Circolare 14 giugno 2005 - Commissione "Mediazione penale e Giustizia riparativa". Linee d'indirizzo sull'applicazione nell'ambito dell'esecuzione penale dei condannati adulti

14 giugno 2005

Prot. n. 3601/6051 Alle Direzioni Generali del Dipartimento
SEDE
All'Istituto Superiore di Studi Penitenziari
ROMA
Ai Provveditorati Regionali
LORO SEDI
Alle Direzioni degli Istituti Penitenziari
LORO SEDI
Alle Direzioni dei Centri di Servizio Sociale per Adulti
LORO SEDI
Alle Direzioni delle Scuole di Formazione e Aggiornamento
del Corpo di Polizia Penitenziaria
e del Personale dell'Amministrazione Penitenziaria
LORO SEDI
Alla Direzione del Centro Amministrativo G. Altavista
ROMA
e, p. c. Al Dipartimento per gli Affari di Giustizia
Al Dipartimento per la Giustizia Minorile
ROMA

OGGETTO: Commissione "Mediazione penale e Giustizia riparativa". Linee di indirizzo sull'applicazione nell'ambito dell'esecuzione penale dei condannati adulti.

Nell'ambito dell'esecuzione della pena dei condannati adulti, particolare rilievo applicativo sono venute assumendo le disposizioni dell'art 47, comma 7, della legge 26 luglio 1975 n. 354, "Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", e dell'art. 27, comma 1, del D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, "Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà", relative alla giustizia riparativa. Al fine di promuoverne una congrua applicazione, è stata istituita con decreto di questo Capo del Dipartimento del 26 febbraio 2002 la Commissione di studio "Mediazione penale e giustizia riparativa", composta da personale dell'Amministrazione Penitenziaria ed esperti esterni, che ha avuto come obiettivo quello di definire le linee guida che assicurino, nell'ambito dell'esecuzione penale di soggetti adulti, l'adozione di modelli negli interventi di giustizia riparativa, che risultino conformi alle Raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Consiglio d'Europa, con la Dichiarazione di Vienna del 2000 e la Risoluzione 27 luglio 2000, n. 2000/14 sui principi base sull'uso dei programmi di giustizia riparativa in ambito penale, emanate dall'Economic and Social Council.
In esecuzione del mandato ricevuto, la Commissione ha iniziato un delicato percorso di elaborazione di indirizzi teorici ed operativi da diffondere a livello nazionale, avviando innanzitutto un'indagine sulle prime prassi ed esperienze riparative intraprese sul territorio nazionale in relazione a specifici contesti normativi.
Si era infatti notata l'esigenza di conoscere le prassi, le iniziative e le situazioni esistenti, quale passaggio fondamentale sia per la definizione di paradigmi teorici, sia per l'elaborazione di linee guida che orientino le prassi operative.
Lo sviluppo delle prime riflessioni teoriche sulla complessa tematica della giustizia riparativa è stato accompagnato da un primo monitoraggio, esitato nel febbraio 2003, rivolto ai direttori dei Centri di servizio sociale per adulti, ed ha riguardato la rilevazione della "politica", degli orientamenti e delle iniziative operative di ciascun servizio.
Il secondo monitoraggio, esitato nel maggio 2004, ha riguardato l'analisi dei dati relativi a ben 4511 casi di affidamento in prova al servizio sociale. Sono così emersi aspetti di indubbia criticità nell'applicazione della cosiddetta prescrizione riparativa e, più in generale, nella gestione dei compiti attribuiti all'amministrazione penitenziaria dagli artt. 27 e 118 del regolamento di esecuzione. I risultati hanno posto in luce l'importanza di dirimere alcuni nodi problematici, sul piano teorico-concettuale e sul piano operativo, e così la necessità di definire direttive e metodologie tecnico professionali per gli operatori penitenziari.
A tale fine vengono diramate le presenti istruzioni, sulla base del documento concernente le Linee di indirizzo sull'applicazione della giustizia riparativa e la mediazione penale nell'ambito dell'esecuzione penale di condannati adulti, linee di indirizzo, elaborate dal presidente della Commissione.

In via preliminare, si precisa, una volta per tutte, che per giustizia riparativa si intende il "&procedimento nel quale la vittima e il reo, e se appropriato, ogni altro individuo o membro della comunità lesi da un reato partecipano insieme attivamente alla risoluzione delle questioni sorte dall'illecito penale, generalmente con l'aiuto di un facilitatore (Risoluzione 2000/14 ECOSOC).
Si tratta, pertanto, "di un modello di giustizia che coinvolge nella ricerca di soluzioni agli effetti del conflitto generato dal fatto delittuoso, oltre al reo anche la vittima e la comunità, al fine di promuovere la riparazione del danno, la riconciliazione fra le parti e il rafforzamento del senso di sicurezza collettivo".
Le modalità applicative del paradigma riparativo, secondo l'International Scientific and Professional Advisory Council (ISPAC), comprendono svariate tipologie di programmi adottate nei diversi Paesi, tra le quali la Commissione ha indicato a titolo esemplificativo, riservandosi di verificare la praticabilità di alcune di esse in ambito italiano:

  1. l'invio di una lettera di scuse (apology) alla vittima da parte dell'autore del reato;
  2. gli incontri tra vittime e autori di reati analoghi a quello subito dalle vittime (the Victim/Community Impact Panel);
  3. gli incontri di mediazione allargata che tendono a realizzare un dialogo esteso ai gruppi parentali ovvero a tutti soggetti coinvolti dalla commissione di un reato (the Community/Family Group Conferencing);
  4. l'espletamento di un'attività lavorativa a favore della vittima stessa (Personal Service to Victims), o a favore della collettività (Community Services);
  5. la mediazione tra l'autore del reato e la sua vittima (Victim-Offender Mediation).

In ragione del carattere evolutivo degli studi in materia, con la presente si impartiscono indicazioni limitatamente alle ipotesi di lavoro a favore della collettività e di mediazione.

La mediazione presume un intervento diretto, personale e consensuale sia del reo sia della vittima, e rappresenta la specie che meglio consente alle parti di svolgere un percorso di riconoscimento reciproco e di ricostruire la relazione rotta dal reato (1).
Non attengono, invece, direttamente al concetto di giustizia riparativa, e da essa vanno tenute distinte, le restituzioni ed il risarcimento del danno previste rispettivamente dall'art. 185 c.p. e dagli articoli 2043 e 2059 c.c..
Ciò viene precisato perché la Commissione ha rilevato che, in tale ambito, esiste sicuramente una confusione terminologica e concettuale, sia rispetto al significato di giustizia riparativa e di mediazione penale, sia circa la differenza tra queste e altre nozioni giuridiche quali le restituzioni ed il risarcimento del danno.
Si ritiene perciò indispensabile, anche al fine di evitare qualsiasi possibile equivoco, comunicare le seguenti definizioni.

Le restituzioni riguardano l'oggetto materiale della condotta criminosa e consistono nella sua consegna (non di un suo equivalente) al legittimo titolare. Le restituzioni comportano quindi, quando possibile, la reintegrazione e il ripristino del medesimo stato di fatto esistente prima della commissione del reato (es. consegna della refurtiva al derubato).

Il risarcimento del danno consiste nel pagamento di una somma di danaro quale ristoro della perdita patrimoniale subita (cd. danno patrimoniale). Nel caso della commissione di un illecito penale, è risarcibile anche il danno non patrimoniale, c.d. danno morale, che consegue alla sofferenza patita, al turbamento e all'angoscia generati dall'illecito.

La pretesa risarcitoria può essere vantata da tutti coloro i quali hanno concretamente subito un danno ingiusto (patrimoniale o morale) in conseguenza del reato, e può essere avanzata nel corso del procedimento penale attraverso la costituzione di parte civile o con separato giudizio in sede civile. Si ricorda poi che l'obbligo del risarcimento può gravare anche su soggetti diversi dal condannato (è il caso, per esempio, della compagnia di assicurazione). Dunque, di tale pretesa non è titolare solo la vittima del reato. Il risarcimento del danno, che risponde a significati prettamente civilistici, non è in nessun modo una pena, cioè una risposta dell'ordinamento dello Stato al fatto criminoso.

Le definizioni che precedono sono di particolare importanza e mostrano la necessità di una riflessione circa l'esigenza di condividere con la Magistratura di Sorveglianza delle scelte di chiarezza. Sembra infatti corretto affermare che la riparazione non possa coincidere, in senso stretto, con il mero risarcimento, con la monetizzazione del danno subito dalla vittima, e non possa integrare una modalità sanzionatoria. Realizzabile tramite azioni positive, infatti, la riparazione ha una valenza molto più profonda e, soprattutto, uno spessore sociale che la rende ben più complessa del mero risarcimento.
In questo senso, l'azione riparativa non può che essere intimamente legata al concetto di assunzione di responsabilità da parte del reo, non solo nei confronti del fatto reato, ma anche delle conseguenze dello stesso, specie il danno arrecato alla vittima. Di conseguenza, l'adesione ad una ipotesi riparativa diventa possibile solo a seguito di un percorso di responsabilizzazione del reo, percorso che il condannato deve essere sollecitato ad intraprendere dagli operatori penitenziari.
Al di fuori di questo percorso, ed in assenza di una assunzione di responsabilità, appare molto probabile il rischio di strumentalizzazione finalizzata esclusivamente all'ottenimento di benefici.
È necessario recuperare pienamente, in sede concettuale prima ed applicativa poi, concetti quali revisione critica e responsabilizzazione del reo, secondo quanto puntualmente disposto dagli articoli 27, comma primo e 118, comma ottavo del regolamento.
Il compito degli operatori, in questi processi, è quello di avviare con il reo un processo di elaborazione critica del proprio vissuto, all' interno del quale il fatto reato diventa il dato oggettivo da cui partire per innescare la riflessione sia sulla assunzione di responsabilità sia sulle conseguenze dello stesso, il danno arrecato alla vittima e alle cd. vittime secondarie. Solo attraverso tale percorso di responsabilizzazione e maturazione di un consenso può scaturire un progetto riparatorio che sia idoneo per quel reo, per quel reato, per quella vittima.

La Commissione ha rilevato numerosi casi nei quali era stata iniziata l'osservazione senza che gli uffici avessero piena conoscenza della posizione giuridica, dei precedenti penali, dei carichi pendenti e più specificatamente della sentenza di condanna per la quale ha corso l'esecuzione. Tale omissione impedisce la contestualizzazione dell'attività di osservazione e trattamento e, in particolare, la conoscenza dell'eventuale costituzione di parte civile da parte di chi ha subito danno.
La riflessione prima degli operatori e più tardi del condannato, infatti, deve avere come fondamento il fatto reato; ne segue che è indispensabile l'acquisizione della sentenza sia come strumento conoscitivo dei fatti accaduti, sia come verifica del racconto del detenuto. Può così iniziare un percorso di revisione basato su fatti concreti, realmente accaduti, avendo la possibilità di acquisire elementi di conoscenza quali la percezione del reo rispetto al reato, l'esatto danno arrecato, se vi è stata una qualche forma di risarcimento, l'eventuale distorsione strumentale dei fatti.
Tutto ciò aiuta l'operatore a ricercare, con il reo, un'ipotesi di progetto riparatorio rispetto a quel reato, a quel danno, a quella vittima, un'azione che sia equa, proporzionata, ragionevole, ma che soprattutto abbia "significato"(2).

Anche la mancanza di un rapporto di comunicazione costante e codificato con la Magistratura di Sorveglianza è stata spesso notata dalla Commissione.
Vista la complessità della materia e le innumerevoli decisioni esaminate che evidenziano interpretazioni diverse tra i vari distretti di Corte d'Appello, è necessario che codesti Uffici si mantengano in costante comunicazione con gli uffici giudiziari competenti, proponendo, se del caso, sedi di comune riflessione. Invero, condividere i linguaggi ed i significati, coniugare aspettative reciproche e competenze di ciascuno, individuare linee di azione comuni, definire i criteri di valutazione applicati da Magistratura e amministrazione e le diverse chiavi di lettura di ciascuno, possono migliorare la qualità dei risultati.

Per la loro peculiare posizione, sono necessari i rapporti tra gli Uffici di Sorveglianza, gli Istituti penitenziari e soprattutto i Centri di Servizio Sociale affinché questi ultimi possano cogliere il significato di una giurisprudenza che si sviluppa in diversa maniera lungo il territorio nazionale e i magistrati interessati possano valorizzare il sapere professionale del servizio sociale.
Per agevolare quanto suggerito, si è provveduto a comunicare agli Uffici di sorveglianza il risultato dei due monitoraggi compiuti dalla Commissione.

Un ulteriore aspetto di grande rilievo e complessità esaminato nello studio è quello riguardante la vittima.

Il punto di maggiore criticità, infatti, nell'attuazione dei percorsi riparativi dei condannati adulti è il rischio di infliggere alla vittima ulteriori violenze o comunque di invaderne l'ambito privato quando, in genere a distanza di molti anni, il reo inizia il suo percorso di rieducazione e viene sostenuto a sviluppare una riflessione critica aderendo ad ipotesi riparatorie indirette o dirette. Questo rischio è particolarmente alto in quelle realtà ove viene prescritto nell'ordinanza di ammissione all'affidamento di un soggetto condannato, che lo stesso, o il suo avvocato, o l'assistente sociale contattino la vittima, sia per proporre una verifica in ordine all'avvenuto assolvimento di una obbligazione risarcitoria, sia nella prospettiva riparativa o ancora con particolare riferimento alla possibilità di ricorrere ad un incontro di mediazione.

Data la delicatezza e la complessità del problema si avverte che non si possono in alcun modo assecondare estemporanee iniziative che, seppur mosse da una motivazione professionale a favore dell'utente, inevitabilmente vanno ad incidere nella sfera della vita di un altro soggetto; la vittima del reato.

Alla luce, inoltre, delle norme comunemente condivise in ambito internazionale, va escluso che il "facilitatore" della comunicazione tra reo e vittima possa essere l'operatore penitenziario, cui spetta invece il compito istituzionale di preparare e sostenere il reo nel percorso di responsabilizzazione e nella definizione di un progetto riparatorio verso la vittima.

Il compito di codesti Uffici, va dunque confermato nel promuovere un processo di responsabilizzazione del reo, e quindi la sua adesione al trattamento, con l'assunzione consapevole di un impegno riparativo in favore delle eventuali vittime o della collettività.

In quella fase, gli Uffici inizieranno con l'acquisire gli atti rilevanti, specie processuali, ed in modo particolare la sentenza integrale di condanna.

Al fine di rendere concreta la disponibilità del reo a compiere un percorso riparatorio, codesti Uffici nei rispettivi ambiti si attiveranno (se già non fatto) per definire una rete territoriale sia con gli Enti locali sia con il privato sociale che possa accogliere i soggetti che abbiano aderito ad un progetto riparativo. Si farà uso, a tale fine, dello schema di convenzione allegato.

Le eventuali convenzioni esistenti che divergano dallo schema testé richiamato, progressivamente verranno conformate.

Per quanto attiene, infine, l'ipotesi di sperimentare percorsi di mediazione penale, si differisce ogni eventuale determinazione all'acquisizione del parere, già richiesto, del Garante per la protezione dei dati personali in ordine al trattamento da parte dell'Amministrazione dei dati della vittima. Il parere sarà reso noto a codesti Uffici.

Attesa la complessità del tema, per ogni migliore comprensione, si unisce il documento elaborato dalla Commissione, rappresentando che ne è consentito l'uso solo a fini interni, fino a eventuale pubblicazione a cura del Dipartimento.

Si confida nella collaborazione di codesti Uffici per l'efficace applicazione delle presenti direttive.

Roma, 14 giugno 2005
 

IL VICE CAPO DEL DIPARTIMENTO
Emilio di Somma


(1) La Raccomandazione (99)19 del Consiglio d'Europa in tema di mediazione penale definisce infatti mediazione il "procedimento che permette alla vittima e al reo di partecipare attivamente, se vi consentono liberamente, alla soluzione delle difficoltà derivanti dal reato, con l'aiuto di un terzo indipendente (mediatore)". La medesima Raccomandazione prevede che "ogni procedimento riparativo deve essere posto in atto soltanto con il libero e volontario consenso delle parti", anzi viene specificato che "Le parti possono ritirare detto consenso in ogni momento..".

(2) La stessa Commissione, in questa prospettiva, ha già proposto, nel giugno 2004, al competente Istituto Superiore un percorso formativo rivolto agli operatori dell'area trattamentale finalizzato alla acquisizione di conoscenze di carattere generale relativamente agli orientamenti internazionali e nazionali ed alla applicabilità in ambito penitenziario; allo sviluppo della capacità di identificare i diversi aspetti con riferimento alle diverse tipologie di reato; allo sviluppo della capacità di promuovere la riflessione, la progettazione e l'implementazione dei piani di intervento; a sviluppare le capacità per valutare i dati e gli interventi attuati.

ALLEGATI :

Schema di convenzione per attività riparativa a favore della collettività da parte di affidati

Linee di indirizzo sull'applicazione nell'ambito dell'esecuzione penale di condannati adulti


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