"Linee d'indirizzo per l'attività di mediazione nell'ambito della giustizia penale minorile" (1999)

Commissione nazionale consultiva e di coordinamento
per i rapporti tra il ministero della giustizia, le regioni, gli enti locali ed il volontariato

Documento approvato in sede politica il 30 novembre 1999

Sommario

  1. Introduzione
    • Definizione in generale e nello specifico penale
    • Riferimento alle esperienze straniere
    • Aspetti culturali della mediazione
  2. Obiettivi della mediazione
  3. Il minore autore del reato
  4. La vittima del reato
    • Valutazione dei bisogni della vittima
  5. Il mediatore
  6. Fasi/Tappe del processo di mediazione
    • Proposta
    • Invio
    • Incontro individuale con le parti - Verifica della fattibilità
    • L'incontro diretto delle parti
    • Comunicazione
  7. Spazi normativi
  8. Carattere sperimentale della mediazione

 

1. Introduzione

  • Definizione in generale e nello specifico penale

Nell'attuale epoca storica, nelle società occidentali complesse e sempre più eterogenee, caratterizzate da movimenti di popolazioni di diversa etnia, cultura, lingua, religione, da rapidi cambiamenti culturali e sociali, sempre più spesso e in modo diffuso, si verificano, emergono, o si moltiplicano, comportamenti conflittuali diffusi, che sono l'espressione di un disagio individuale e collettivo, di incapacità nel gestire gli stati emotivi, i cambiamenti, i conflitti. Anche quando questi comportamenti diventano oggetto di tutela giuridica, o su richiesta delle parti, o perché assumono la configurazione di un reato, di fatto, il problema oggetto della controversia, o che ha determinato il comportamento deviante, rimane irrisolto. Lo strumento giuridico palesa tutta la sua fragilità e insufficienza nel risolvere queste situazioni conflittuali. La sentenza del giudice, quand'anche riconosce i diritti della vittima, identifica l'autore del reato, non si pone l'obiettivo di ricomporre il conflitto tra le parti.

Rimane fuori il discorso relativo al reo e alla vittima come persona, chi è la persona-reo, chi è la persona-vittima. In particolare per la vittima, vengono riconosciuti i suoi diritti, viene "valutata" l'offesa ricevuta ma non altrettanto ci si preoccupa dei risvolti emotivi che il reato ha provocato.

Nell'ambito del diritto civile, in particolare in quello familiare, come nel diritto penale e in particolare nell'ambito minorile, in molti Stati, da più tempo, si è cercato di dare a queste situazioni problematiche, con contenuta conflittualità, di disagio esteso e sofferenza profonda, risposte integrative, alternative, e/o complementari a quelle fornite dal sistema giustizia, diverse secondo le differenti realtà nazionali. Si è cercato di individuare modalità di intervento che si prefiggono di entrare nel conflitto; aiutando le due parti ad incontrarsi, a comprendere i propri comportamenti e possibilmente, a concordare soluzioni accettate da entrambe.

  • Riferimento alle esperienze straniere

Negli Stati Uniti, già negli anni 70, trova applicazione in campo sociale, nella gestione comunitaria dei conflitti, la mediazione (Community Board), attività che si pone come obiettivo di prevenire i conflitti intervenendo nello stadio iniziale, o di latenza del disagio, prima che i comportamenti devianti diventino più gravi e assumano la configurazione di reati.

Il Community Board trae origine dalla tradizione puritana nordamericana, dal comunitarismo dei Pilgrim Fathers. Secondo questo modello il percorso di mediazione è articolato in tre fasi:

1. case work - istruzione del caso attraverso l'audizione separata delle parti da parte di un mediatore;
2. hearing - fase della mediazione in senso proprio nella quale le parti, entrambi presenti, espongono ciascuna le proprie ragioni alla presenza di un gruppo di mediatori che hanno la funzione di provocare l'emersione delle motivazioni profonde del conflitto e aiutare le parti a trovare possibili punti di incontro;
3. follow-up - verifica delle tenuta dell'accordo nel tempo, attuata da un terzo gruppo di mediatori.

In Canada, Gran Bretagna, Olanda, Francia, Austria ed altri paesi da oltre un decennio sono state realizzate sperimentazioni che nelle singole realtà nazionali hanno assunto connotazioni autonome più o meno vicine al modello statunitense.

In questi Stati l'attività di mediazione, anche in relazione ai diversi contesti normativi in cui nasce, assume modalità attuative che non sempre possono considerarsi mediazione in senso stretto.

In Gran Bretagna i Compensation Orders e i Community Service Orders sono sanzioni autonome alternative alle pene, mentre negli Stati Uniti la Restitution è una disposizione aggiuntiva all'inflizione delle pene; oppure sono disposizioni da effettuarsi all'interno dell'esecuzione del probation che, nel sistema anglosassone, può essere applicato in vari modi:

- informalmente senza esercitare l'azione penale
- all'interno del processo come sospensione della condanna
- come misura alternativa alla detenzione.

In Francia la mediazione è una procedura alternativa che può risolversi con la rinuncia ad esercitare l'azione penale. Il nuovo codice di procedura penale francese, prevede che il Procuratore della Repubblica possa, dopo un accordo preliminare con le parti, attivare la mediazione con l'obiettivo di :

1. assicurare la riparazione del danno alla vittima;
2. porre fine al conflitto;
3. contribuire al reinserimento dell'autore dell'infrazione.

L'esito positivo della mediazione, che si conclude con un accordo scritto, è motivo di archiviazione del caso da parte del Pubblico ministero.

Nell'esperienza francese l'attività di mediazione è applicata per reati di non particolare gravità, sia per i minori che per gli adulti e l'attuazione è delegata ad associazioni esterne.

In Austria, il cui ordinamento giuridico pure prevede il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, la mediazione, prima di diventare legge in attuazione del nuovo codice penale minorile, è stata sperimentata con modalità analoghe al modello francese.

Il Procuratore della Repubblica decide se può essere effettuata tra le parti la mediazione, dopo che ha verificato l'ammissione di responsabilità da parte del minore e il consenso da parte della vittima.

L'attività di mediazione viene effettuata da un mediatore che è un operatore sociale della giustizia, prevede che il minore si impegni in attività di risarcimento o riparazione nei confronti della vittima e della società o, anche, attraverso incontri si adoperi per riconciliarsi con la parte offesa.

Se la mediazione ha un esito positivo il pubblico ministero archivia il caso.

Queste esperienze di mediazione, pur nella difformità dei contesti normativi in cui sono inserite e delle modalità di attuazione, sono tutte fondate su due principi:

1. l'ammissione di colpevolezza e di responsabilità da parte del minore e la sua disponibilità ad incontrarsi con la vittima
2. la libera disponibilità della vittima ad incontrarsi con l'autore del reato.

  • Aspetti culturali della mediazione

Il contesto culturale di riferimento è quello di una giustizia riparativa, nella quale lo Stato ritiene più efficace dirimere i conflitti, conferendo alle parti un ruolo attivo nella risoluzione del conflitto, anziché esercitare la potestà punitiva.

In Italia sperimentazioni di mediazione sono state avviate in Piemonte, a Torino, nel settore penale minorile da oltre cinque anni, in altre realtà Bari, Catanzaro, Milano, Roma, Trento si stanno realizzando sperimentazioni nell'ambito civile-familiare e penale-minorile.

L'attività di mediazione, così come è venuta delineandosi nelle varie esperienze, in particolare nel settore penale minorile, si configura come attività realizzata da un terzo equidistante, finalizzata a realizzare una comunicazione tra due parti che sono in conflitto, su posizioni contrapposte. La mediazione non è una risposta per la risoluzione dei conflitti, sostitutiva dello strumento giuridico. È una modalità di regolazione dei conflitti che non si sostituisce alla giurisdizione, ma può costituire una risorsa operativa da essa utilizzabile. È un intervento in linea con i principi cui si ispira tutta la legislazione penale minorile che privilegia nella sua interezza i processi di responsabilizzazione e di maturazione del minore.

È un'attività che può essere utilmente considerata dal sistema penale, in quanto mette a confronto diretto reo e vittima e favorisce la comprensione delle reciproche posizioni: il reo è aiutato a comprendere gli effetti prodotti dal reato sulla vittima, la vittima trova un contesto che accoglie le sue emozioni e che le consente di interagire con il reo.

Nel processo di mediazione la vittima è considerata quale soggetto e non come semplice beneficiario di un eventuale risarcimento materiale. Il risarcimento materiale è solo un aspetto della riparazione che ha anche contenuti di tipo psicologico e morale.

La mediazione è uno strumento che richiede una posizione di "equidistanza fra le parti" e presuppone che esse esprimano un consenso, una disponibilità a riesaminare i propri comportamenti in un contesto relazionale non giudicante, volto a facilitare l'espressione e la riflessione su fatti e comportamenti per capirne le motivazioni.

2. Obiettivi della mediazione

Abbiamo detto che la mediazione s'inserisce in un dibattito culturale in cui si cerca di dare ai reati commessi dai minori una risposta diversa passando da un'ottica retributiva ad un'ottica riparativa e riconciliativa.

Tale processo consentirà al minore di sviluppare più consapevoli possibilità di scelta in ordine ai propri comportamenti, con una ricaduta positiva sia rispetto alla sua maturazione, sia rispetto alle relazioni sociali e permetterà alla vittima di acquisire un ruolo attivo nella vicenda dando voce alle proprie sofferenze ed alla propria esigenza di capire. Anche la comunità locale (enti locali, istituzioni, associazioni, privato sociale, volontariato) viene coinvolta nel processo e chiamata a farsi carico dei problemi della devianza.

Il riconoscimento da parte del minore della propria responsabilità del fatto-reato consente di agevolare la comprensione del reato nei suoi aspetti relazionali e non soltanto come astratta violazione di una norma.

Per tale motivo, la mediazione potrà dirsi conclusa con successo quando entrambe le parti hanno sviluppato una visione nuova del fatto, arricchita dalla dimensione cognitiva ed emotiva dell'altro, quale condizione per la ricerca di un accordo che superi il conflitto. Per tale ragione la mediazione può considerarsi uno strumento, un servizio finalizzato a migliorare la convivenza sociale.

3. Il minore autore del reato

Si è molto parlato, dopo l'entrata in vigore del codice di procedura penale minorile (D.P.R. n. 448/88), dell'importanza dell'attribuzione di significato al reato, al fine della presa di coscienza e della responsabilizzazione del suo autore. La realizzazione di questa finalità è, non solo facilitata, ma resa più reale dal processo mediativo, perché pone il minore a diretto confronto con il danno ed il dolore subiti dalla vittima, invece che con delle rappresentazioni più o meno astratte dello stesso.

Ciò non comporta la strumentalizzazione della vittima a fini educativi riguardanti il minore. Se così fosse, si consumerebbe nei confronti della parte offesa dal reato un'ulteriore esperienza di vittimizzazione, che nel nostro paese, più che in altri, già registra un tasso elevatissimo, a causa dell'inerzia totale che le istituzioni della sicurezza sociale manifestano riguardo a questa problematica.

Nell'attività di mediazione, quindi, è necessario che preventivamente il minore sia supportato in un percorso di rielaborazione dell'esperienza penale. È un percorso che implica uno sviluppo sul piano cognitivo e comporta anche una rielaborazione del fatto penale.

Se da un lato è necessario garantire il supporto al minore, dall'altro va tenuta in analoga considerazione la situazione della persona offesa dal reato, persona che ha uguale necessità di essere riconosciuta, di rielaborare la vicenda penale e di essere sostenuta emotivamente nell'affrontare la proposta di mediazione e l'eventuale incontro con il reo. Alla parte lesa deve essere garantita l'accoglimento dei suoi vissuti rispetto all'evento reato.

4. La vittima del reato

  • Valutazione dei bisogni della vittima

Uno degli obiettivi primari della mediazione è quello di dare rilievo e riconoscimento alla vittima del reato, aiutandola a prendersi carico del conflitto al fine di eliminare o ridurre i sentimenti di insicurezza, di disagio e di rabbia suscitati dal reato.
La percezione di se come vittima di un reato, quando non viene soffocata dalla vergogna, ingenera spesso il bisogno forte di immediata riparazione del torto subito.
Nel processo penale minorile, invece, la vittima del reato vive il suo status in spazi normativi e procedurali così limitati da non poter soddisfare le istanze di ascolto e di riparazione del danno subito.
La mediazione prepara il terreno, le condizioni, per arrivare ad una soddisfacente conciliazione, anche in termini riparativi, in un luogo ad hoc più vicino alla vittima, accolta con la sua identità, i suoi bisogni e le sue paure.
La mediazione, inoltre, permette la presa in carico del conflitto in un tempo prossimo al momento del fatto-reato, evitando così di generare il sentimento di sfiducia ed impazienza determinato dai lunghi tempi di amministrazione della giustizia.
La vittima diventa "destinataria non solo di una politica penale ma anche di una politica sociale". Le lacerazioni sociali, infatti, che emergono dal racconto del conflitto non sono affrontate e risolte dalle norme e dalle istituzioni penali(1).
La mediazione prende in considerazione le conseguenze del reato per la vittima, vissute spesso in modo molto intenso e diffuso anche a prescindere dalla natura del reato.
Il recuperare senso di giustizia, fiducia e sicurezza, è direttamente proporzionale alla "simpatia" incontrata nell'ambiente, sia nell'imminenza del fatto che nei tempi lunghi. Nella vittima c'è un vero e proprio impellente "bisogno di solidarietà" che chiede di essere soddisfatto sia negli ambiti più stretti (la parentela), sia in quelli più allargati (ambiente di lavori, istituzioni, agenzie assistenziali...) e ciò per ritrovare un sentimento di socialità fortemente danneggiato e compromesso dal reato.

5. Il mediatore

Compito del mediatore è quello di creare una situazione neutrale in cui reo e vittima possano incontrarsi e riconoscersi reciprocamente come persone, come parti.

Il mediatore è chiamato ad intervenire per permettere la comunicazione tra soggetti in conflitto e per consentire una positiva modificazione nella relazione che, allo stesso tempo, li unisce e li divide.

Il mediatore è quindi un facilitatore della comunicazione, non deve sostituirsi alle parti, ma deve consentire a queste ultime di trovare un modo diverso di comunicare e una visione del conflitto che include anche la visione dell'altro. Si tratta, quindi, di passare dall'oggettività dell'evento alla soggettività del vissuto.

Il mediatore deve creare un clima di accoglienza in cui ognuna delle parti si senta riconosciuta e possa esprimere dialetticamente la propria sofferenza.

Il mediatore permette ai sentimenti che sono sotto l'iceberg del conflitto di venir fuori ed essere riconosciuti e accolti, sia quelli di rabbia e/o di depressione della vittima, sia i sensi di colpa del reo.

Il mediatore mira a stabilire o ristabilire una comunicazione fra le parti assumendo un ruolo contraddistinto da imparzialità, riservatezza e intervento non direttivo.

Questa definizione di compiti consente di precisare il ruolo di mediatore, i requisiti necessari e i criteri che prefigurano un'incompatibilità ad esercitare il ruolo.

Riguardo al ruolo si può affermare che esso discende direttamente dalla definizione della prima finalità della mediazione, quella di favorire la comunicazione tra le parti, ma si arricchisce di ulteriori contenuti dovuti:

- all'asimmetria delle parti rispetto al conflitto in quanto la posizione di vittima e di reo stabilisce una diversità che deve essere riconosciuta;
- alla natura del conflitto, che si configura come reato e quindi richiede un intervento giudiziario, garantito dall'obbligatorietà dell'azione penale e presuppone che il mediatore operi in raccordo con i soggetti istituzionali che assicurano interventi nei confronti del minore: l'autorità giudiziaria, gli operatori dei Servizi Minorili della Giustizia e del territorio e gli avvocati.

La professionalità richiesta per l'attività di mediazione può far riferimento a specializzazioni diverse, che debbono però avere in comune esperienze operative nel campo della devianza minorile, esperienze e conoscenze nell'ambito specifico della mediazione penale, nonché un percorso di formazione mirato.

Tutti i componenti del gruppo di mediazione, operatori istituzionali e non, dovranno ricevere una formazione specifica, attuata da Agenzie formative specializzate.

Si possono invece considerare condizioni di incompatibilità all'esercizio del ruolo, l'esistenza di fattori che comportano la decadenza dei requisiti di imparzialità e terzietà del mediatore.

In particolare, il mediatore non può avere relazioni, di tipo familiare, sociale o lavorativo con una delle parti, né essere coinvolto professionalmente nel processo penale del minore (giudici, avvocati, periti, etc.). Nel caso degli operatori dei Servizi, si può prevedere che l'operatore che ha seguito il caso possa essere coinvolto solo ed esclusivamente nella fase relativa alla proposta di mediazione.

È opportuno, inoltre, richiamare l'attenzione sul fatto che la mediazione va svolta non solo da un singolo operatore ma da un gruppo di operatori che costituiscono una "équipe", il cui buon funzionamento è collegato ad una sintonia operativa. Una delle "qualità" implicite dei gruppi professionali è proprio quella di operare sinergicamente e, a tal fine, la formazione costituisce una valida esperienza comune ed un contenitore privilegiato in cui è possibile affinare questa capacità.

Sarebbe quindi auspicabile che gli operatori partecipassero congiuntamente al percorso formativo e/o individuassero dei momenti di riflessione e di approfondimento da svolgere ciclicamente.

6. Fasi/Tappe del processo di mediazione

  • Proposta

La proposta di mediazione può venire dal magistrato, dalla polizia giudiziaria delegata per l'interrogatorio, dai servizi minorili dell'Amministrazione della giustizia e del territorio, dalla vittima o dal reo.

  • Invio

L'invio al Servizio di mediazione può essere effettuato dall'Autorità Giudiziaria oppure dai servizi previsti nell'art. 6 del D.P.R. 448/88 nello svolgimento delle funzioni di assistenza. È ammesso anche l'accesso diretto al Servizio Mediazione da parte del reo e della vittima. Condizione per l'invio è la manifestazione di un consenso che deve essere "informato".
Il consenso è sempre "informato" nel senso che il minore e la vittima devono essere informati delle finalità generali della mediazione, dei contenuti e dei significati che vengono attivati, sottolineando il valore di "opportunità positiva".
La mediazione può avvenire in ogni stato e grado del giudizio e durante l'esecuzione della pena. Quando avviene nel corso delle indagini preliminari, in prossimità del fatto reato, assume un significato molto forte per tutti gli attori coinvolti, vittima, collettività interessata, nonché per lo stesso minore.

  • Incontro individuale con le parti - Verifica della fattibilità

Le parti (reo e vittima) vengono ascoltate separatamente, in un clima di accoglienza ed ascolto, per dare spazio alla persona di raccontare il suo "conflitto" di esprimere la sua sofferenza e, per quanto riguarda la vittima, di manifestare la sua rabbia e rappresentare le sue aspettative. In questa fase vengono sentiti ed informati i genitori del minore e il difensore.
La parte finale dell'incontro con ciascuna delle parti è dedicata ad una definizione delle possibilità e delle condizioni di sviluppo del processo di mediazione.

  • L'incontro diretto delle parti

Dopo l'accoglienza delle parti vengono precisate le regole dell'incontro e il ruolo del mediatore (anche se già precisati nella fase precedente). In questa fase il mediatore (équipe) attiva una comunicazione attorno al conflitto che si configura come riconoscimento del conflitto/danno e come ascolto e assunzione dei diversi punti di vista rispetto all'evento.
La mediazione può comprendere anche un progetto di riparazione del danno, svolto dal reo in favore della vittima. L'accordo se riesce è opera dei protagonisti.

  • Comunicazione

L'esito della mediazione deve essere comunicato alla Magistratura e al Servizio che sta seguendo il caso. Non verranno comunicati contenuti, fatti, e comportamenti emersi durante la mediazione ma soltanto l'esito positivo o negativo della stessa. In caso di esito positivo potrà essere comunicato l'eventuale accordo di riparazione definito tra la vittima e il reo.

7. Spazi normativi

Nell'ambito del processo penale minorile italiano, l'attività di mediazione si pone come una attività a latere del procedimento penale, in una posizione parallela e contemporanea, attivabile in un qualsiasi momento dell'azione processuale. L'attività di mediazione può essere promossa:

  • durante le indagini preliminari:

Il tempo delle indagini preliminari può essere considerato il momento privilegiato per l'avvio della mediazione.

Ai sensi dell'art. 9 del D.P:R: 448-88, infatti, "il Pubblico Ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne, al fine di accertarne l'imputabilità, il grado di responsabilità e valutare la rilevanza sociale del fatto": in quest'ambito si può ritenere che la risposta del minore alla proposta di incontro con la vittima e la sua capacità di prendere coscienza del significato della propria condotta possano fornire indicazioni utili sul grado della sua consapevolezza. In questa fase, l'attività mediatoria, riveste carattere di immediatezza rispetto al reato.

L'intervento di mediazione presuppone:

- l'ammissione di responsabilità del minore di fronte al P.M. o l'esistenza di una situazione obiettiva da cui si desume chiaramente la responsabilità del minore (sorpresa in flagranza di reato....)
- l'assenso del minore e degli esercenti la potestà genitoriale
- l'assenso della parte offesa.

  • durante l'udienza preliminare/dibattimento:

Così pure l'art. 27 del D.P.R. 448/88 - sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, è uno spazio normativo nel quale la mediazione può essere attivata; l'irrilevanza del fatto, l'occasionalità del comportamento, sono due aspetti del fatto-reato che fanno apparire la mediazione come strumento adeguato alla composizione del conflitto.

L'art. 28 del D.P.R. 448/88 prevede che, nei casi di cui al 1° comma, con l'ordinanza di sospensione del processo e di messa alla prova del minore, il giudice lo affidi ai servizi dell'Amministrazione della Giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno.

Con il medesimo provvedimento, il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minore con la persona offesa. L'intervento di mediazione, in questa fase, può essere attivato a pieno titolo, a salvaguardia della natura consensuale della mediazione; tale misura non dovrebbe essere prescritta su iniziativa del giudice stesso, nell'ambito della messa alla prova, ma avviata come contenuto del progetto concordato dai Servizi Sociali in accordo con il minore. Occorre altresì evitare che l'esito del procedimento penale, nonché la dichiarazione di estinzione del reato, vengano a dipendere soltanto dall'esito della mediazione stessa.

La mediazione può, altresì, essere attivata nell'ambito dell'applicazione delle sanzioni sostitutive previste dall'art. 32/II del D.P.R. 448/88, o in fase d'esecuzione penale, o nello stesso ambito d'applicazione delle misure alternative alla detenzione previste dall'art. 47 della Legge 354/75 (con implicite talune difficoltà di carattere attuativo).

L'art. 564 c.p.p. offre un ulteriore spazio per l'attivazione della mediazione, in quanto attribuisce al P.M. la facoltà, anche prima del compimento di atti di indagine, di tentare la conciliazione tra querelante e querelato, che, nella situazione specifica, potrebbe avvenire con il supporto di un mediatore dell'Ufficio.

L'attività di mediazione, pertanto, attuandosi in relazione al procedimento penale, può essere definita mediazione giudiziaria, in quanto, nonostante che il mediatore e l'ufficio di mediazione siano esterni all'ambito processuale, l'accettazione della proposta di mediazione e ancor più l'esito positivo, non possono non influire sull'iter del procedimento penale e sul suo esito.

Rispetto al processo, però, la mediazione tende a superare la radicalizzazione del conflitto, la logica della non comunicazione fra autore del reato e parte offesa, riconosce i diritti della vittima in modo più profondo e sostanziale, in quanto vi è il loro riconoscimento anche da parte di chi li ha violati e, ove è possibile, una attività tesa a compensare i danni (riparazione).

8. Carattere sperimentale della mediazione

Nel contesto normativo attuale, che non contempla una disciplina giuridica della mediazione penale, la sperimentazione appare come una fase propedeutica e necessaria che può fornire un contributo importante anche alla predisposizione di una legge in materia.

L'applicazione sperimentale della mediazione penale nel sistema giuridico e sociale italiano potrà fornire una conoscenza specifica evidenziando risultati e problematiche e quindi ponendo all'attenzione vincoli e necessità operative.

Tra i punti fermi che orientano e caratterizzano la sperimentazione appare importante sottolineare la dimensione e la qualità interistituzionale delle iniziative che dovrebbero coinvolgere i Servizi Minorili della Giustizia e quelli dell'Ente Locale: la collaborazione tra Servizi Minorili ed Enti locali è prevista dal D.P.R. 448/88 che prevede un'attivazione congiunta per la realizzazione di interventi e programmi destinati all'utenza penale.

Si richiama inoltre l'attenzione sulla opportunità di coinvolgere il volontariato per il riconoscimento ormai consolidato della funzione e del valore sociale di tale risorsa. A tale riguardo può essere citato il documento "Linee di indirizzo sul volontariato" della Commissione Nazionale Consultiva e di Coordinamento per i rapporti con le Regioni e gli Enti Locali del 1994.

L'équipe di mediatori, essendo costituita da una pluralità di soggetti, istituzionali e non, necessita di un impegno politico ed economico congiunto da parte delle istituzioni coinvolte, rivolto sia alla formazione degli operatori, sia alla gestione ed organizzazione del servizio stesso.

Il servizio di mediazione, stante il carattere di equidistanza che lo contraddistingue, deve poter realizzare una situazione che consenta alle parti in causa di esprimersi, in uno spazio fisico che dovendo facilitare la comunicazione, si configuri quanto più possibile neutrale.

Si ritiene, quindi, importante che fisicamente il servizio di mediazione sia collocato in una struttura "idealmente" della comunità, cioè in una sede dell'Ente territoriale che è rappresentativo della comunità.

Roma, febbraio 1999

Note
(1) L. Pepino - D. Scatolero, "Vittime del delitto e vittimologia", in Dei delitti e delle pene, 1/92, pag. 181: "Non si può relegare l'intera questione negli ambiti delle norme e delle istituzioni penali, è solo un pretesto, una fuga per non affrontare le altre denunce sull'organizzazione del vivere sociale poste dalla vittima quando, contro ogni suo desiderio, compare fugacemente in scena".

 


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