Carcere

aggiornamento: 16 gennaio 2020

La privazione della libertà personale tramite la reclusione in carcere è la pena più diffusa negli ordinamenti contemporanei per i reati di non lieve entità.

La Costituzione italiana con l’art. 27 c3, affermando i fondamentali principi di umanità e funzione rieducativa della pena, ha superato, pur conservandone alcuni aspetti, la funzione punitivo-retributiva secondo la quale la pena serve a compensare o retribuire il male arrecato alla società con l’atto criminoso.

Il decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 124 mettendo sempre il detenuto-persona al centro dell’esecuzione, titolare di tutti i diritti che non siano strettamente incompatibili con la restrizione della libertà personale, prevede:

  • rafforzamento dei divieti di discriminazione
  • promozione di attività che responsabilizzino il detenuto in vista del suo futuro reinserimento
  • nuove norme su alimentazione, permanenza all’aperto, attività di lavoro, istruzione e ricreazione
  • riaffermazione del principio di territorialità della pena (destinazione ad istituti vicini alla famiglia)
  • creazione di sezioni per donne che non compromettano attività trattamentali e che salvaguardino eventuali detenute con prole
  • inserimento della formazione professionale tra gli elementi fondamentali alla rieducazione, accanto al lavoro e alla partecipazione a progetti di pubblica utilità
  • nuova e più ampia regolamentazione dei colloqui
  • diritto a una corretta informazione, anche con nuovi strumenti di comunicazione previsti dal regolamento
  • costituzione di rappresentanze dei detenuti e degli internati, in cui sia inserita anche una rappresentante di genere femminile.

La repressione dei reati si attua oggi con una "strategia differenziata" basata sul trattamento individualizzato che presuppone l’osservazione scientifica del condannato, tiene conto delle sue condizioni specifiche ed ha come scopo ultimo il suo recupero.

L’amministrazione penitenziaria ha il mandato istituzionale di promuovere interventi "che devono tendere al reinserimento sociale" (art. 1 della legge 354/1975 sull'ordinamento penitenziario) dei detenuti e degli internati e ad avviare "un processo di modificazione delle condizioni e degli atteggiamenti personali, nonché delle relazioni familiari e sociali che sono di ostacolo ad una costruttiva partecipazione sociale" (art. 1, comma 2, regolamento di esecuzione, d.p.r. 230/2000).

Nel quadro di riferimento normativo rientrano anche le c.d. Regole minime europee in materia penitenziaria adottate nel 1987 dal Consiglio d’Europa allo scopo di “assicurare delle condizioni umane di detenzione e un trattamento positivo” e rinnovate con la Raccomandazione R (2006)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sulle Regole penitenziarie europee.

Quest’area informativa offre informazioni sulle attività praticate negli istituti penitenziari che costituiscono "elementi del trattamento" individuati dall'art. 15 dell'ordinamento penitenziario, alcune delle quali, come l’istruzione, i rapporti affettivi, il culto, rilevanti anche sotto il profilo della tutela dei diritti che le persone conservano in condizioni di privazione della libertà.