Lavoro di pubblica utilità

aggiornamento: 18 dicembre 2023

Il lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti e organizzazioni di assistenza sociale o volontariato.

Il lavoro di pubblica utilità può riguardare sia soggetti liberi imputati che detenuti o internati.

- Il più ampio ricorso al lavoro di pubblica utilità avviene per soggetti liberi, è disciplinato dal d.m. 26 marzo 2001 ed è applicato con sentenza.

Il lavoro di pubblica utilità può essere svolto anche da detenuti ed internati, ai sensi dell’art. 20-ter dell’ordinamento penitenziario, secondo le medesime modalità previste dal d.m. 26 marzo 2001, dall’art. 21 comma 4 dell’ordinamento penitenziario e sulla base di apposite convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 47 comma 1 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 n. 230.

La prestazione di lavoro, ai sensi del decreto ministeriale 26 marzo 2001, viene svolta

  • a favore di persone affette da HIV, portatori di handicap, malati, anziani, minori, ex detenuti o extracomunitari
  • nel settore della protezione civile
  • nel settore della tutela del patrimonio pubblico e ambientale
  • in altre attività pertinenti alla specifica professionalità del condannato.

L’attività viene svolta presso gli Enti che hanno sottoscritto con il Ministro, o con i Presidenti dei Tribunali delegati, le convenzioni previste dall’art. 2 comma 1 del d.m. 26 marzo 2001, che disciplinano le modalità di svolgimento del lavoro, nonché le modalità di raccordo con le autorità incaricate di svolgere le attività di verifica.

La sanzione è stata introdotta dall’art. 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274.

Lo spettro di applicazione della sanzione è stato negli anni esteso a numerose e diverse fattispecie penali, che hanno configurato il lavoro di pubblica utilità come una modalità di riparazione del danno e di restituzione alla collettività, collegata all’esecuzione di diverse sanzioni e misure penali, che vengono eseguite nella comunità.

Attualmente, infatti, il lavoro di pubblica utilità trova applicazione anche:

- Nei casi di violazione del Codice della strada (C.D.S) previsti all’art. 186, comma 9-bis e art. 187, comma 8-bis del d.lgs.285/1992

L’art. 186 C.D.S. così come l’art. 187 C.D.S. del d.lgs.285/1992 prevedono la pena detentiva dell’arresto e quella pecuniaria dell’ammenda, che variano di importo a seconda della gravità delle circostanze indicate negli articoli medesimi.
Tuttavia, l’art. 186, comma 9-bis C.D.S. e l’art. 187, comma 8-bis C.D.S., prevedono la possibilità di sostituzione delle pene predette con l’effettuazione di lavori di pubblica utilità, in determinati casi.
Detta sostituzione può essere disposta dall’autorità giudiziaria anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione dell’imputato, oppure può essere concessa, a seguito di espressa richiesta dell'imputato, con la sentenza che chiude il procedimento, in particolare con la sentenza che applica la pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (patteggiamento).

- Nei casi di violazione della legge sugli stupefacenti ai sensi dell’art. 73, comma 5-bis, del D.P.R. 309/1990

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dall’art. 73 del D.P.R. 309/1990 che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a quattro anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329.

Limitatamente ai reati di cui al presente articolo, commessi da persona tossicodipendente o da assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope, il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 del codice di procedura penale, su richiesta dell’imputato e sentito il pubblico ministero, qualora non debba concedersi il beneficio della sospensione condizionale della pena, può applicare, anziché le pene detentive e pecuniarie, quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’art. 54 del d. lgs. 274/2000, secondo le modalità ivi previste.

Con la sentenza, il giudice incarica l’ufficio locale di esecuzione penale esterna di verificare l’effettivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.
L’ufficio riferisce periodicamente al giudice.

In deroga a quanto disposto dal citato art. 54 del d.lgs. n. 274/2000, il lavoro di pubblica utilità ha una durata corrispondente a quella della sanzione detentiva irrogata.
Esso può essere disposto anche nelle strutture private autorizzate ai sensi dell’art. 116, previo consenso delle stesse. In caso di violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, in deroga a quanto previsto dal citato art. 54 del d.lgs. n. 274/2000, su richiesta del pubblico ministero o d’ufficio, il giudice che procede, o quello dell’esecuzione, con le formalità di cui all’art. 666 del codice di procedura penale, tenuto conto dell’entità dei motivi e delle circostanze della violazione, dispone la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita.
Avverso tale provvedimento di revoca è ammesso ricorso per cassazione, che non ha effetto sospensivo. Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di due volte.

- Come obbligo dell’imputato in stato di sospensione del processo e messa alla prova ai sensi dell’art. 168-bis del codice penale, introdotto dalla l. 67/2014.

Nei casi di sospensione del procedimento e messa alla prova l'Ufficio di esecuzione penale esterna ha il compito specifico di definire con l’imputato la modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità, tenendo conto delle attitudini lavorative e delle esigenze personali e familiari, raccordandosi con l’ente presso cui sarà svolta la prestazione gratuita. Il lavoro di pubblica utilità diventa parte integrante e obbligatoria del programma di trattamento per l’esecuzione della prova.

Nel corso dell’esecuzione, l’UEPE cura l’attuazione del programma di trattamento svolgendo gli interventi secondo le modalità previste dall’art. 72 della legge 354/1975, informa il giudice sullo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, sulla necessità di eventuali modifiche o inosservanze che possano determinare anche la revoca della prova.

- Come obbligo del condannato ammesso alla sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 165 codice penale e art. 18-bis delle Disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale.

Secondo l’art. 18-bis delle Disposizioni di coordinamento e transitorie del codice penale, nei casi di cui all'articolo 165 del codice penale, il giudice dispone che il condannato svolga attività non retribuita a favore della collettività osservando, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 44, 54, commi 2, 3, 4 e 6, e 59 del d.lgs. n. 274/2000.

- Come lavoro di pubblica utilità sostitutivo di pena detentiva breve (art. 56-bis della l. n. 689/1981).

Nel caso del lavoro di pubblica utilità sostitutivo, l’art. 56-bis della l. n. 689/1981 riprende la nozione contenuta all’art. 54, comma 2 d.lgs. 274/2000, definendolo come una “prestazione di attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato”.

Il nuovo art. 56-bis disciplina il lavoro di pubblica utilità che, per la prima volta nel nostro ordinamento, viene introdotto quale pena sostitutiva della pena detentiva irrogata per qualsiasi reato in misura non superiore a tre anni.

Riguardo al luogo di esecuzione della prestazione lavorativa, si prevede che il lavoro di pubblica utilità sostitutivo debba essere svolto di regola nella regione in cui risiede il condannato. 

Quanto alla durata, la prestazione deve consistere in non meno di sei e non più di quindici ore di lavoro settimanale. Tuttavia, se il condannato lo richiede, il giudice può ammetterlo a svolgere il lavoro di pubblica utilità per un tempo superiore, non eccedente le otto ore giornaliere.

Ai fini del computo della pena, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione di due ore di lavoro. 

Si specifica che la prestazione lavorativa non debba pregiudicare le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute del condannato.

In caso di risarcimento del danno o di eliminazione delle conseguenze dannose del reato, ove possibili, è prevista la revoca della confisca eventualmente disposta, salvi i casi di confisca obbligatoria. 

L’articolo in esame demanda ad un decreto del Ministro della giustizia, d’intesa con la Conferenza unificata, la definizione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

L’art. 56-bis prevede che, in attesa dell’emanazione del decreto del Ministero della giustizia, si dovrà fare riferimento, per quanto compatibili, ai d.m. 26 marzo 2001 e d.m. 8 giugno 2015 n. 88, adottati, rispettivamente, per disciplinare le convenzioni atte a consentire lo svolgimento del lavoro di pubblica utilità quale pena principale irrogabile dal giudice di pace e ai fini della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato.