Stati Generali della Lotta alle Mafie

aggiornamento: 23 novembre 2017

  Tavolo 13 - Mafia e religione

Coordinatori Alberto Melloni - Professore Università di Modena e Reggio Emilia
 

Partecipanti

  • Branca Paolo - Università Cattolica di Milano
  • Ceci Lucia - Università di Roma2
  • Cristofori Silvia - Fondazione per le scienze religiose - Bologna
  • Dainese Davide - Fondazione per le Scienze Religiose “Giovanni XXIII” - Bologna
  • Dino Alessandra - Università di Palermo
  • Foffani Luigi - Università di Modena
  • Garuti Giulio - Università di Modena
  • Lombardo Paolo - Pastore delle assemblee di Dio - Catania
  • Lorefice Corrado - Arcivescovo di Palermo
  • Mira Toni - Giornalista
  • Naso Paolo - Università di Roma1
  • Rinaldini Chiara - Giornalista
  • Ruggieri Giuseppe - Studio teologico di Catania
  • Valle Anna - Giornalista

 

Il tavolo s’è dovuto misurare con la convinzione (sbagliata) che la devozione effettiva degli uomini e delle donne della mafia sia “il” luogo in cui si manifesta una prossimità fra cattolicesimo e mafie e con la deduzione (sbagliata) che alla chiesa cattolica e alle altre comunità si debba chiedere una adesione pubblica all’etica della legalità come forma di solidarietà con lo Stato contro la mafia. Scopo del lavoro, molto compresso nel tempo e dunque orientato più a formulare ipotesi e proposte che analisi definitive, è stato quello di sottoporre a vaglio critico queste due prospettive.

L’uso della ritualità e della devozione come saldatura del patto mafioso non è infatti né peculiare del cattolicesimo né della religiosità (ci sono una ritualità massonica e una spiritualità ortodossa non meno vulnerabili di quelle cattoliche al dirottamento mafioso, mentre la pratica dei “giuramenti” religiosi dei militanti di vari gruppi jihadisti estendono da questo lato della famiglia abramitica l’area di contiguità fra terrorismo e mafia).
Se ed in quanto organizzate, le criminalità che usano tutti gli strumenti di controllo sociale usano dunque universi di senso e doverosità superiori come leve per imporre una visione del mondo che subalterna obbedienti a comandanti e genera una forma di controllo che opprime non solo vittime esterne al sistema criminale, ma anche una parte degli stessi militanti assoggettati ad un codice schiavile. Di questo codice la chiesa cattolica ha fornito per lungo tempo, con rare incrinature. una giustificazione teologico-politica motivata, nella forte presa della Dc in alcune regioni ad alta densità mafiosa, da un anticomunismo e dal suo significato teologale (espresso dalla scomunica del 1949): davanti a questo nemico, la mafia diventava ipso facto “male minore” con penose conseguenze pagate care anche dai cattolici indocili a quelle semplificazioni.

Ciò che si può/deve chiedere a chiesa cattolica e alle altre comunità di fede è dunque qualcosa di molto più ampio di ciò che finora è stato loro chiesto (supporto all’etica della legalità, azione di socialità educativa, vigilanza sulle pratiche devozionali, esplicitazione della coincidenza peccato/reato nella adesione alle mafie). Serve una serie di passi che configurino una teologia della liberazione dalle mafie, per i quali gli approcci interrreligiosi, la logica ecumenica e gli strumenti sinodali – sessioni straordinarie delle conferenze regionali, sinodi provinciali (nel senso delle province ecclesiastiche) o interregionali – presentano una potenzialità superiore alle affermazioni di principio (“i mafiosi sono scomunicati”) che per quanto solenni rischiano di impegnare solo la suprema autorità che li pronuncia (cfr. obiettivi).

 

Percorsi tematici assegnati

Come indicato in apertura la devozione propria della mafia è reale: la chiesa cattolica ne conosce meglio di altre le sfumature e i pericoli, ma una prima ricognizione bibliografica e una prima indagine sul campo mostra con evidenza che anche in altre comunità di fede il “dirottamento rituale” di pratiche religiose ha una funzione nella costruzione del patto mafioso.
Una analisi antropologica e psicanalitica dei riti potrebbe forse dare indicazioni più puntuali su quali riti vengono utilizzati (riti delle comunità di prossimità, riti del sangue, oggetti privilegiati, uso di materiali cultuali). Tuttavia, la questione di fondo rimane un’altra: cioè il superamento di una logica per cui le comunità di fede devono “fornire” ciò che lo Stato esige dal cittadino. Avallare o supporre il contrario fornisce un messaggio ambiguo se non addirittura pericoloso, perché sembra significare che per fare ciò che è il dovere di ciascun cittadino è indispensabile un rinforzo soprannaturale (che corrobora l’ambigua identificazione di chi si batte contro il potere mafioso con la figura dell’“eroe").
Oggi si tende a chiedere la fornitura di un rinforzo religioso all’etica della legalità. Questa senza dubbio non nuoce e anzi, più specificamente, sarebbe interessante misurarne la densità e le variazioni – ad esempio nel magistero scritto della Cei, delle conferenze episcopali regionali, degli ordinari diocesani, della Fcei delle metropolie e nelle altre forme di insegnamento autorevole delle comunità di fede. Ma è bene ribadire che l’etica della legalità è propria del cittadino in quanto tale e a essa sono tenuti tutti con una responsabilità che si accresce, ma non si genera, nell’esercizio del ministero o della pratica religiosa.
Oggi si plaude alle lodevoli forme di socializzazione, contrasto alla emarginazione ed educazione che promanano dalle Chiese: il che è giusto e, nello specifico, sarebbe interessante censire le quote di impegno e di diserzione dei diversi soggetti molto attivi sui temi educativi o che hanno addirittura costruito la propria soggettività su questi aspetti per verificare l’impegno profuso nella cura di una piaga che chiama alla responsabilità verso le regioni più colpite l’intera comunità nazionale.
Oggi, inoltre, s’incoraggia l’attività di prevenzione del fenomeno mafioso che passa da iniziative di socialità inclusiva: si fa certamente bene; peraltro sarebbe interessante un’analisi ravvicinata dell’impegno di socializzazione delle comunità di fede e del grado di coscienza con cui ciò è stato vissuto come un atto di ribellione al sistema criminale organizzato.
Oggi, ancora, si pretende un’estrema vigilanza affinché le espressioni della religiosità popolare non diventino il set su cui inscenare una rappresentazione del potere mafioso con effetti di intimidazione verso le vittime e di seduzione verso i giovani: il che costituisce una attesa minimale, molto spesso adempiuta dalle autorità, pur mancando ancora un censimento capillare delle devozioni oggetto di manipolazione mafiosa e le origini di un “hommage au drapeau” che ha visto i poteri civili oggetto di interessata blandizie ecclesiastica.
Oggi si vigila e ci si propone di vigilare (addirittura con l’auspicio di interventi all’ordinamento interno delle comunità di fede che giungerebbero ad imporre della lingua italiana nella predicazione) sulla predicazione di comunità di fede nelle quali si suppone che vi sia un reclutamento criminale e si enfatizza doverosamente l’impegno del magistero dei vescovi diocesani e dello stesso vescovo di Roma contro le mafie: il che è plausibile, anche se specificamente bisognerebbe procedere a una raccolta di alcune serie di omelie che possano permettere di comprendere le tendenze di medio periodo, come ad es. un omeliario della predicazione dei parroci e dei vescovi per le vittime di mafia, un omeliario dei funerali celebrati per capi della mafia, o la disamina dei processi di beatificazione delle vittime cattoliche della mafia, etc.
Dunque, tutto quello che oggi ci si aspetta dalle chiese è buono e utile, ma non basta: suppone un “coinvolgimento” da parte della lotta che lo Stato conduce alla mafia di un soggetto sociale, che si colloca sullo stesso piano degli altri corpi intermedi. E che produce effetti di saturazione che, probabilmente, spiegano il fin-de-non recevoir opposto dalla presidenza e dalla segreteria generale della conferenza episcopale italiana a dare un contributo in forma di audizione scritta ai lavori del tavolo e il diniego alla richiesta da indirizzare all’episcopato di una lettera che chiedeva a ciascuna chiesa diocesana di confessione cattolico-romana di prendere posizione sul tema.
Dalle comunità di fede ci si deve infatti attendere molto di più in due direzioni che riguardano la loro vita, perché solo in questo cammino esse potranno essere parte di una grande azione di resistenza civile e di una lunga lotta di liberazione dalla mafia, che va trattata come una potenza occupante e oppressiva, collusa con poteri collaborazionisti, con culture politiche infettate dalla complicità con i sistemi criminali.
Alle chiese bisogna chiedere una teologia della liberazione dalla mafia, che identifichi il servaggio della manovalanza, le vittime della prepotenza e i complici di questo sistema come attori di un sistema schiavile nel quale chi è vittima – e talora anche il carnefice può essere vittima insieme alla sua vittima – può e deve essere liberato.
In questo sforzo la responsabilità delle singole comunità di fede è diversificata: quella della confessione cattolico-romana maggiore, per la sua presenza storica e la capillarità della sua diffusione; ma non è certo irrilevante il peso delle comunità ortodosse in alcune grandi città e delle comunità del mainstream protestante, delle comunità battiste e delle comunità evangelicali, che specie nei fenomeni legati alla mafia dei corpi (migranti, prostituzione, caporalato) hanno voce e sono voce come la chiesa cattolica delle vittime e dei carnefici. E infine vengono le autorità islamiche, che, pur rappresentando una comunità più piccola di quella cattolica e di quella ortodossa, devono affrontare sistemi di organizzazione etnico-confessionale nelle quali la religione gioca un ruolo di asservimento.

Obiettivi

Il tavolo si è posto tre ordini di obiettivi, per i cui dettagli si rimanda alle sezioni relative alle “proposte”:

  1. OSSERVATORI E DOCUMENTAZIONE
  • creazione di un osservatorio grazie al quale realizzare una digital library offerta agli studi e alla conoscenza delle autorità investigative sul rapporto mafie e religiosità;
  • creazione di posti specifici in un dottorato a rete di sedi per finanziare un progetto sulla storia della lotta delle religioni alla mafia; creazione di un master di secondo livello per educatori nelle carceri e nelle scuole in tema di lotta alla mafia in cui sia curata anche la formazione religiosa.
  1. SEMINARI
  • proposta di un seminario periodico (biennale) con i presidenti delle conferenze episcopali regionali e, in parallelo, vuoi del pastorato delle chiese valdesi-metodiste, vuoi del pastorato battista ed evangelicale, vuoi dei metropoliti e arcipreti delle chiese ortodosse, vuoi delle autorità delle chiese copte e siriache e dell’imamato sunnita per raccogliere prese di posizione e atti di indirizzo disciplinare.
  1. ATTI NORMATIVI
  • richiesta all’UL di valutare due proposte volte a risolvere lacune normative e problemi di procedura penale nazionale;
  • richiesta alla Santa Sede di un inasprimento delle pene canoniche per i crimini legati alla mafia sul modello di quanto fatto per il contrasto alla violenza sessuale ai danni dei minori


Lavori del tavolo