Foglio delle notizie - Immediata recuperabilità delle sanzioni pecuniarie processuali irrogate dalla Corte di Cassazione su ricorsi in materia cautelare

provvedimento 23 novembre 2022

Il provvedimento con cui, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso presentato dalla parte privata, e la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria processuale, costituisce titolo definitivo per l’immediata recuperabilità della correlativa partita di credito, a termini del combinato disposto art. 202 TUSG e art. 665 c.p.p. e 227-quater TUSG.


Struttura di riferimento

Provvedimento 23 novembre 2022 - Quesito sull’immediata recuperabilità ex art. 227 ter d.P.R. n. 115 del 2002 delle sanzioni pecuniarie processuali irrogate dalla Corte di Cassazione in materia cautelare- Rif.  Prot. DAG 184715E del 14 settembre 2022

Dipartimento per gli affari di giustizia
Direzione Generale degli Affari Interni - Ufficio I
Reparto I - Servizi relativi alla Giustizia Civile

 

Al Sig. Presidente del Tribunale di Lecce

e, per conoscenza,

al Sig. Presidente della Corte di appello di Lecce
 

Oggetto: Quesito sull’immediata recuperabilità ex art. 227 ter d.P.R. n. 115 del 2002 delle sanzioni pecuniarie processuali irrogate dalla Corte di Cassazione in materia cautelare- Rif. Prot. DAG 184715E del 14 settembre 2022

  1. Codesto Ufficio, con nota prot.n. 4221 del 14 settembre u.s., ha chiesto di chiarire se alla “luce delle riforme intervenute, si ritenga ancora possibile procedere all'immediato recupero dell'importo di cui alla sanzione pecuniaria processuale irrogata ex articolo 616 CP nell'ambito di un procedimento incidentale cautelare e se ciò sia possibile ai sensi dell'articolo 227 ter TUSG”.

A tal proposito, ha segnalato che:

  • con circolare del 6 marzo 2000 n.1 l’allora esistente Direzione generale della Giustizia Civile aveva precisato che “la condanna al pagamento delle sanzioni deve essere seguita soltanto al termine del procedimento principale conclusasi con sentenza passata in giudicato”;
  • con nota prot. n. 1/4164/u/ 44 del 1° aprile 2005, a seguito dell’entrata in vigore dell’art.212 TUSG, la Direzione generale della Giustizia Civile “si era espressa in favore della tesi dell'immediata recuperabilità delle somme di cui alle sanzioni processuali pecuniarie processuali irrogate nell'ipotesi di dichiarazione giudiziale di inammissibilità del ricorso ai sensi dell'articolo 616 cpp”, in quanto con l’art.212 d.P.R. n. 115 del 2002 “il legislatore ha ricompreso come titoli che legittimano la riscossione anche tutti i provvedimenti da cui sorge l’obbligo, intendendo con tale inciso i casi in cui non vi è condanna, ma le spese sono poste a carico di qualcuno, e non suscettibili di passare in giudicato, ma solo di divenire definitivi”;
  • successivamente “il regime disciplinare è cambiato per effetto degli interventi legislativi ivi di seguito rappresentati. L'art. 1 comma 372 L. numero 244 del 2007 ha abrogato, ancorché con effetto differito, l'art. 212 TUSG di cui al D.P.R. n 115 del 2002. L'art. 68 co. 1, L. 69/2009, ha abrogato a sua volta l'art. 1 co.372, L. n. 244 del 2007”.

Sulla scorta di tale premessa, la S.V. ha concluso:

“Ciò premesso a giudizio della cancelleria del riesame di questo Tribunale il recupero immediato della sanzione pecuniaria processuale di cui all'art. 616 c.p.p. è ancora possibile, non in virtù dell'articolo 212 d.P.R. n.115 del 2002, ma per effetto dell'articolo 227 ter dello stesso decreto, come modificato dalla legge numero 69 del 2009”.

  1. Per rispondere al quesito prospettato da codesto ufficio giova premettere che, ai sensi dell’art. 202 d.P.R. n. 115/2002 (TUSG) in tema di “Applicabilità della procedura alle sanzioni pecuniarie processuali”, “Secondo le disposizioni di questa parte [1], sono recuperate le somme dovute, in base alle norme del codice di procedura civile e del codice di procedura penale, per sanzioni pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta sulla base di provvedimenti non più revocabili”.

Occorre quindi rammentare le modifiche apportate, alla Parte VII del Testo Unico, mediante l’inserimento del Titolo II-bis [2] (“disposizioni generali per spese di mantenimento in carcere, spese processuali, pene pecuniarie, sanzioni amministrative pecuniarie e sanzioni pecuniarie processuali nel processo civile e penale”), ad opera dell’art. 67, comma 3, lettera i) della legge 18 giugno 2009, n. 69.

Così come vigente dal 4 luglio 2009, il Titolo II-bis è composto dagli artt. 227-bis, 227-ter, 227-quater.

Per effetto dell’art. 227-bis (quantificazione dell’importo dovuto) “a decorrere dalla data di stipula della convenzione prevista dall'articolo 1, comma 367, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e successive modificazioni”[3], alla quantificazione dell’importo dovuto “provvede la società Equitalia Giustizia S.p.A.”.

Secondo l’art. 227-ter (riscossione mediante ruolo), la medesima società “procede all’iscrizione al ruolo” del credito, entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l'obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata l'espiazione in istituto.

L’art. 227-quater (norme applicabili) rende infine applicabili, alle attività previste dal Titolo II-bis, “gli articoli 214, 215, 216, 218, comma 2, e 220” del Testo Unico.

Dalla lettera degli articoli in commento emerge palese la radicale innovazione apportata, dal legislatore del 2009, alla procedura di riscossione (anche) della sanzione pecuniaria processuale, con conseguente elisione delle disposizioni previgenti, nella parte in cui incompatibili con l’assetto prefigurato dalle norme sopravvenute.

In particolare, in virtù del combinato disposto delle norme da ultimo riportate, nonché della intervenuta stipula della convenzione prevista dall’art. 1, comma 367, legge 244/2007, la procedura di riscossione della sanzione pecuniaria processuale non consente più la notifica, all’imputato debitore, dell’invito al pagamento di cui all’art. 212 TUSG, ma al contrario impone all’Ufficio giudiziario di trasmettere senza ritardo, ad Equitalia Giustizia S.p.A., il titolo giudiziale comminatorio della sanzione pecuniaria processuale, in modo che la società in-house possa dapprima quantificare il credito dell’amministrazione (art. 227-bis), quindi procedere alla sua iscrizione al ruolo entro il (piuttosto ristretto) termine di cui all’art. 227-ter (“entro un mese dalla data del passaggio in giudicato della sentenza o dalla data in cui è divenuto definitivo il provvedimento da cui sorge l'obbligo o, per le spese di mantenimento, cessata l'espiazione in istituto”).

Coerentemente con tali prescrizioni, la convenzione stipulata tra il Ministero della giustizia ed Equitalia Giustizia S.p.A., “per lo svolgimento delle attività di acquisizione dei dati dei debitori e di quantificazione dei crediti in materia di spese di giustizia” prevede, all’art. 5 (intitolato Trasmissione degli atti per la identificazione dei debitori e la quantificazione del credito):

“1. L’ufficio trasmette, senza ritardo, alla società la seguente documentazione: a. nota di trasmissione di cui all’allegato modello A, per il processo penale, o quella di cui all’allegato modello A1, per il processo civile; b. copia del provvedimento giurisdizionale irrevocabile o comunque definitivo ovvero copia del provvedimento amministrativo, che costituisce titolo del credito; c. copia del foglio notizie relativo a ogni fase e grado del processo anche se negativo; d. copia di tutti gli atti e i provvedimenti giurisdizionali che incidono sull’esistenza, sulla struttura e sulla quantificazione del credito. 2. L’ufficio trasmette, altresì, alla società, con la nota di trasmissione di cui all’allegato modello B, copia degli atti e dei provvedimenti di cui alla lettera d), emessi o acquisiti successivamente al primo invio della documentazione ovvero successivamente all’iscrizione a ruolo del credito. La società pone in essere tutti gli adempimenti previsti dalla legge e dalla presente convenzione e ne cura lo svolgimento, ivi compresa l’eventuale eliminazione del credito dal registro SIAMM”.

Delineato il quadro normativo offerto dal Testo Unico delle spese di giustizia, così come completato dalla convenzione in essere con Equitalia Giustizia S.p.A., giova inoltre esaminare, al fine di determinare se la sanzione pecuniaria processuale sia immediatamente recuperabile, le disposizioni di seguito trascritte:

  • l’art. 616 c.p.p. [Spese e sanzione pecuniaria in caso di rigetto o di inammissibilità del ricorso], secondo cui: “Con il provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto è condannata al pagamento delle spese del procedimento. Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la parte privata è inoltre condannata con lo stesso provvedimento al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma da euro 258 a euro 2.065, che può essere aumentata fino al triplo, tenuto conto della causa di inammissibilità del ricorso. Nello stesso modo si può provvedere quando il ricorso è rigettato. 1-bis. Gli importi di cui al comma 1 sono adeguati ogni due anni con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in relazione alla variazione, accertata dall'Istituto nazionale di statistica, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel biennio precedente”; vi è a dire che la Corte cost., con sentenza 13 giugno 2000, n. 186, aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo, nella versione precedente alla modifica apportata dalla l. 23 giugno 2017, n. 103, nella parte in cui non prevedeva “che la Corte di cassazione, in caso di inammissibilità del ricorso, possa non pronunciare la condanna in favore della cassa delle ammende, a carico della parte privata che abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”;
  • l’art. 625 c.p.p. [Provvedimenti conseguenti alla sentenza], che al secondo comma prevede che “In caso di rigetto o di dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la cancelleria trasmette gli atti e la copia del solo dispositivo al giudice che ha emesso la decisione impugnata”;
  • l’art664 c.p.p., denominato [Esecuzione di altre sanzioni pecuniarie] prevede al comma 1 e 2 che: “Le somme dovute per sanzioni disciplinari pecuniarie o per condanna alla perdita della cauzione o in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o di rigetto di una richiesta, sono devolute alla cassa delle ammende anche quando ciò non sia espressamente stabilito. I relativi provvedimenti possono essere revocati dal giudice, su richiesta dell'interessato o del pubblico ministero, prima della conclusione della fase del procedimento nella quale sono stati adottati, sempre che la revoca non sia vietata”.

La condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, in presenza di declaratoria di inammissibilità del ricorso, in virtù del principio espresso nella disposizione di cui all'art. 616 c.p.p., configura una sanzione pecuniaria che comporta l'imposizione di un esborso non commisurato in alcun modo al costo del procedimento; con tale particolare istituto, si è inteso impedire la presentazione di ricorsi che hanno il solo scopo di prolungare la durata del processo. La funzione della disposizione è quella di rafforzare la responsabilità processuale, responsabilità che deve essere particolarmente sentita quando, dopo aver goduto della tutela giurisdizionale nel giudizio di merito, si intenda promuovere il giudizio per cassazione (v. anche Cass. penale sez. II, 16/06/2020, n.21317: “il fondamento della condanna al pagamento della somma in favore della Cassa delle Ammende è sempre connesso ad un profilo di colpa nella proposizione del ricorso”).

A tal proposito, giova ricordare quanto argomentato nella sentenza 15 luglio 2016 n. 30247, Cass. Sez. I penale: “l’istituto già previsto dall’art. 549 c.p.p. del 1930 comma 1) è stato mantenuto nel vigente codice di rito, che, per un verso, ne ha ampliato l’ambito oggettivo di applicazione. Il riferimento al provvedimento che dichiara inammissibile o rigetta il ricorso, contenuto nell’art. 616 c.p.p., comma 1, sostituendo la previgente formulazione dell’abrogato art. 549, recante esclusivamente menzione della sentenza consente infatti la irrogazione della sanzione pecuniaria anche nell’ipotesi della declaratoria di inammissibilità del ricorso mediante ordinanza in camera di consiglio [omissis] l'istituto della condanna della parte privata soccombente al pagamento della sanzione pecuniaria trova, in definitiva, conforto anche nell'ancoraggio al principio costituzionale della ragionevole durata del processo, sancito dall'art. 111 Cost., comma 2, alla luce della considerazione di carattere sistematico che la proliferazione delle impugnazioni dilatorie o, comunque, avventate, se non adeguatamente sanzionata - e in tal guisa contenuta - rischia di pregiudicare [omissis] la possibilità di corrispondere alla domanda di giustizia "entro un termine ragionevole", come peraltro prescritto pur dall'art. 6, comma 1, CEDU. 2.2” (così la massima: “la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall'art. 616 cod. proc. pen., in caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione, trova il suo fondamento nel principio di "responsabilità processuale" enunciato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 69 del 20 giugno 1964, ed ha carattere discrezionale, in funzione dell'apprezzamento dei profili di "colpa" ravvisabili a carico della parte privata per aver presentato un'impugnazione temeraria, ovvero connotata da avventatezza, superficialità, o finalità meramente dilatorie”).

  1. Ciò posto, se si considera che, per giurisprudenza costante, “il provvedimento impositivo del pagamento delle somme devolute alla cassa delle ammende, in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità o del rigetto del ricorso, non è revocabile” (Cass. n. 4210 del 21/12/1993; conf. Cass. 1610 del 28/05/1993 e, da ultimo, Cass. n. 23852 del 17/02/2004: “la previsione dell'art. 673 cod. proc. pen. è circoscritta alla revoca di sentenze di condanna e di proscioglimento o di non luogo a procedere per estinzione del reato o difetto di imputabilità, nei casi di abrogazione o declaratoria di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, e non può trovare alcuna applicazione in caso di condanna al pagamento di sanzioni pecuniarie in forza di disposizioni di natura processuale”) va da sé che la condanna al pagamento della sanzione pecuniaria, emessa ex art. 616, comma 1, c.p.p., dal giudice di legittimità, all’esito di un procedimento in materia cautelare, debba considerarsi ex se definitiva agli effetti dell’art. 227-ter TUSG, così come applicabile alla fattispecie considerata (v. sul punto anche Cass., Sez. I, n. 45773 del 02/12/2008, ove si legge: “la sentenza della Corte di Cassazione, dichiarativa dell'inammissibilità del ricorso, ha per sua natura valore definitivo e costituisce titolo per il recupero delle spese di giustizia e di eventuali sanzioni pecuniarie sin dalla sua pronunzia (Cfr. tra moltissime: sez. 1, sent. 7786 del 29.1.2008; sez. 7, 5.2.2008); nel sistema processuale penale le sentenze vengono pubblicate mediante la lettura del dispositivo; il medesimo principio vale per i provvedimenti decisori presi in forma di ordinanza ovvero per quelli pronunziati dalla Cassazione in Camera di consiglio e S.U. n. 14451 del 27/03/2003, ha confermato la legalità della prassi seguita dalle sezioni penali della Corte di cassazione, secondo la quale l'atto dell'immediato deposito in cancelleria del solo dispositivo risulta attestato dal provvedimento sottoscritto dal presidente del Collegio sul ruolo d'udienza, sì che, qualora dalla decisione debba conseguire l'esecuzione, possa trasmettersene l'estratto "senza ritardo" (art. 15 reg. esec. c.p.p., comma 2 e art. 28 reg. esec. c.p.p.) al competente ufficio presso il giudice di merito; è dunque il momento della pronunzia della Cassazione, non il deposito della relativa motivazione, che segna il passaggio in giudicato o, più in generale, l'efficacia del provvedimento impugnato (ex art. 648 c.p.p., comma 2), ed è l'art. 625 c.p.p., comma 2, che prescrive alla Cancelleria di trasmettere al Giudice che ha emesso la decisione impugnata la sola copia del dispositivo; che il fatto che le pronunzie della Cassazione non siano suscettibili di impugnazioni ordinarie esclude l'applicabilità alle stesse delle disposizioni che impongono la notificazione dei provvedimenti del giudice alle parti in vista del loro diritto ad impugnarli”; nello stesso senso, Cass. Sez. IV penale del 23 febbraio 2010 n. 7310, in cui si legge “Poiché le decisioni della Corte di Cassazione sono per legge immediatamente esecutive indipendentemente dalla notifica o dalla comunicazione all'interessato, l'esecuzione può legittimamente avvenire sulla base dell'estratto della decisione, costituente titolo esecutivo, che viene formato e trasmesso al giudice di merito in base al semplice dispositivo riportato dal Presidente sul ruolo d'udienza, anteriormente al deposito del provvedimento in cancelleria").

Questa Direzione è ben consapevole che, secondo una pronuncia della corte di legittimità (v. ordinanza del 4 marzo 2020 n. 8841) il ricorso volto a ottenere la revoca della condanna al pagamento della sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, emessa a seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso per cassazione in materia cautelare, sarebbe inammissibile, “in quanto solo dopo la definizione del procedimento principale tale condanna acquista efficacia esecutiva ed è, pertanto, consentito l'avvio della procedura per il recupero della somma e l'attivazione dell'incidente di esecuzione, qualora sorgano questioni sull'esistenza e validità del titolo”.

Ma da un lato tale isolato indirizzo non parrebbe considerare i princìpi altrove enunciati, dallo stesso giudice di legittimità, in tema di definitività delle condanne al pagamento della sanzione in favore della Cassa delle Ammende, dall’altro la conclusione racchiusa nella massima sopra riportata risulta motivata facendo riferimento al diverso istituto della condanna al pagamento delle spese processuali, che risponde ad altre esigenze e ad altra ratio.

Difatti, mentre la condanna al pagamento delle spese processuali costituisce declinazione del principio di soccombenza e del principio di causalità, sì da essere strettamente correlata all’esito del procedimento che, nel merito, è deputato ad accertare la penale responsabilità dell’imputato (v. l’art. 535 c.p.p.), la condanna irrogata ex art. 616 c.p.p. configura un rimedio inteso a sanzionare l’abuso dello strumento processuale (tanto da non poter essere comminata in assenza di colpa del ricorrente) come compiutamente illustrato nelle sentenze sopra ricordate: orbene, non pare che l’abuso in questione, laddove già consumato (e sanzionato) per via della stessa proposizione del ricorso scrutinato inammissibile, sia destinato a venir meno o ad essere eliso, per effetto dell’esito del processo di merito, ove favorevole all’imputato.

Vi è di più: l’opinione sopra menzionata risulta motivata, oltreché assimilando la condanna ex art. 616 c.p.p., alla condanna alla rifusione delle spese processuali, anche facendo riferimento all’art. 181 disp. att. c.p.p. (“…E non è revocabile in dubbio che la condanna alle spese processuali relative al procedimento incidentale di riesame, anche nella fase che si è svolta dinanzi alla Corte di legittimità, non costituisce titolo autonomo e suscettibile di immediata esecuzione, in quanto il recupero di tali spese postula la definizione del procedimento principale, il cui esito, solo in caso di condanna, determina l'attivazione della relativa procedura. Ciò in virtù dell'art. 181 norme att. c.p.p., comma 1, il quale dispone che la cancelleria "provvede al recupero... nei confronti del condannato", ed "entro trenta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza... di condanna", e anche alla stregua degli artt. 199 e 200 stesse norme att." (Sez. 6, n. 3399 del 30/10/1998 - dep. 27/01/1999, Del Pozzo, Rv. 212210). Conseguentemente le spese e così la condanna alla sanzione pecuniaria ai sensi dell'art. 616 c.p.p. seguono la sorte del procedimento principale ed acquistano rilevanza, al fine della esecuzione in concreto, solo in caso di esito processuale sfavorevole”).

Ma l’articolo in questione (181 disp. att. c.p.p.) così come l’art. 199 disp. att. c.p.p., in tema di recupero delle spese del procedimento, sono stati abrogati dall'art. 299, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (TUSG) con la decorrenza indicata nell'art. 302 dello stesso decreto (1° luglio 2002).

In conclusione, questa Direzione generale, in evasione del quesito formulato dal Tribunale di Lecce e condividendone l’opinione, ritiene che la condanna pronunciata, a titolo di sanzione pecuniaria processuale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 616 c.p.p., sia immediatamente recuperabile a termini del combinato disposto art. 202 TUSG e art. 665 c.p.p., e configurando un titolo definitivo agli effetti dell’art. 227-quater TUSG.

Il presente parere viene trasmesso, unitamente al quesito, alla Corte di Appello, per opportuna conoscenza e perché ne dia diffusione presso gli altri uffici del distretto, a fini informativi e di uniformità di indirizzo.

Cordialmente.

Roma, 23 novembre 2022

il direttore generale
Giovanni Mimmo

[1] Parte VII – Riscossione.

[2] Inizialmente inserito, nell’articolato del d.P.R. n. 115/2002, dal d.l. n. 112/2008.

[3] Stipulata in data 23 settembre 2010, e rinnovata in data 28 dicembre 2017, tuttora vigente.