Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 10 luglio 2012 - Ricorso n. 16220/03 Cucinotta c. Italia

Traduzione © a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA CUCINOTTA c. ITALIA
(Ricorso n. 16220/03)
SENTENZA
STRASBURGO
10 luglio 2012 

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.
 
Nella causa Cucinotta c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
    Isabelle Berro-Lefèvre, presidente,
    Guido Raimondi,
    Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 19 giugno 2012,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 16220/03) proposto contro la Repubblica italiana e con cui un cittadino di tale Stato, il sig. Orazio Cucinotta («il ricorrente»), ha adito la Corte il 7 maggio 2003 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. Il ricorrente è rappresentato dall’avv. O. Tommasini del foro di Messina. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dai suoi co-agenti, F. Crisafulli e N. Lettieri.
  3. L’8 giugno 2005 il ricorso è stato comunicato al Governo. In applicazione del Protocollo n. 14, il ricorso è stato assegnato ad un comitato.

    IN FATTO

    I.    LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
     
  4. I fatti di causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.
  5. P.C., padre del ricorrente, era proprietario di un terreno edificabile di 2.178 metri quadrati situato a Messina.
  6. Allo scopo di realizzare un progetto di costruzione di case popolari sul terreno, con un decreto emesso il 20 maggio 1983 il comune di Messina autorizzò la Società Cooperativa Consorzio Peloritano Case («la società cooperativa») a occupare d’urgenza il terreno per un periodo massimo di cinque anni a decorrere dalla data di occupazione materiale ai fini della sua espropriazione per causa di pubblica utilità. L’occupazione materiale ebbe luogo il 19 luglio 1983.
  7. Nel 1987, con un atto di donazione, P.C. trasferì la nuda proprietà del terreno al ricorrente e mantenne l’usufrutto.
  8. Con atto di citazione notificato il 16 e il 18 agosto 1990, P.C. e il ricorrente citarono il comune e la società cooperativa dinanzi al tribunale di Messina. Sostenevano che l’occupazione del terreno si era protratta oltre il termine autorizzato e che i lavori di costruzione si erano conclusi senza che si fosse proceduto all’espropriazione formale del terreno e al pagamento di un indennizzo. Richiedevano in particolare una somma corrispondente al valore materiale del terreno.
  9. Con decreto in data 14 luglio 1993 il comune di Messina dispose l’espropriazione del terreno.
  10. Il 12 luglio 1995 P.C. decedette e il ricorrente divenne proprietario del terreno.
  11. Il 12 settembre 1995 una perizia disposta dal tribunale di Messina fu depositata in cancelleria. Secondo il perito il valore materiale del terreno nel 1988, al momento in cui l’occupazione era divenuta senza titolo, era di 163.786.000 lire.
  12. Con decisione depositata in cancelleria il 28 settembre 2001 il tribunale di Messina giudicò che l’occupazione del terreno era divenuta illegale a decorrere dal 20 maggio 1988, ossia alla fine del periodo di occupazione autorizzata. Considerò che il decreto di espropriazione adottato nel 1993 era tardivo e senza effetto In applicazione del principio dell’espropriazione indiretta, il ricorrente doveva essere considerato come privato del suo terreno per effetto della costruzione dell’opera pubblica a decorrere dal 1988. Di conseguenza, il ricorrente aveva diritto a un indennizzo che doveva essere calcolato in funzione della legge n. 662 del 1996. Il tribunale condannò il comune e la società cooperativa a versare al ricorrente la somma di 90.306.569 lire (46.639 euro), più gli interessi e la rivalutazione a decorrere dal 20 maggio 1988.
  13. Dal fascicolo risulta che la sentenza in questione, non essendo stato interposto appello, è divenuta definitiva il 12 novembre 2002.

    II.    IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
  14. Il diritto interno pertinente è descritto nella sentenza Guiso Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009.

    IN DIRITTO

    I.    SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1
  15. Il ricorrente sostiene di essere stato privato del suo terreno in modo incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1, che recita:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
  16. Il Governo si oppone a questa tesi.

    A.    Sulla ricevibilità
  17. Il Governo solleva un’eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto il ricorrente non ha interposto appello avverso la sentenza del tribunale.
  18. Il ricorrente si oppone all’eccezione di mancato esaurimento del Governo e sostiene che né un appello né un ricorso per cassazione avrebbero posto rimedio alla situazione denunciata.
  19. La Corte ricorda di avere già respinto delle eccezioni simili nelle cause Giacobbe e altri c. Italia (n. 16041/02, 15 dicembre 2005) e Chirò c. Italia (n. 5), n. 67197/01, 11 ottobre 2005). Essa non vede alcun motivo per derogare alle sue precedenti conclusioni e rigetta pertanto l’eccezione in questione.
  20. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.    Sul merito
  21. Il ricorrente ricorda che è stato privato del suo bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che permette all’autorità pubblica di acquisire un bene in maniera assolutamente illegale, il che non è ammissibile in uno Stato di diritto. Inoltre, l’applicazione della legge n. 662 del 1996 lo avrebbe privato di qualsiasi tipo di «riparazione» del danno subito.
  22. Secondo il Governo, malgrado l’assenza di un decreto di espropriazione e la trasformazione del terreno in maniera irreversibile mediante la costruzione di un’opera di utilità pubblica, rendendone impossibile la restituzione, l’occupazione in questione è stata fatta nell’ambito di una procedura amministrativa basata su una dichiarazione di pubblica utilità. L’applicazione al caso di specie del criterio di valutazione del risarcimento introdotto dalla legge n. 662 del 1996 non avrebbe costituito un ostacolo all’esigenza di garantire un giusto equilibrio tra il sacrificio imposto al privato e la compensazione accordata a quest’ultimo.
  23. La Corte osserva anzitutto che le parti sono concordi nell’affermare che vi è stata «privazione della proprietà».
  24. La Corte rinvia alla propria giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, tra le altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005; Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per il riepilogo dei principi pertinenti e per uno sguardo generale sulla sua giurisprudenza in materia.
  25. Nella presente causa, la Corte osserva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici interni hanno considerato che il ricorrente era stato privato del proprio bene a decorrere dalla data di realizzazione dell’opera pubblica. In assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che tale situazione non possa essere considerata «prevedibile», poiché solo con la decisione giudiziaria definitiva si può considerare che il principio dell’espropriazione indiretta sia stato effettivamente applicato e l’acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche sia stata convalidata. Di conseguenza, il ricorrente ha avuto la «sicurezza giuridica» con riguardo alla privazione del terreno solo il 12 novembre 2002, data in cui la sentenza del tribunale è divenuta definitiva.
  26. La Corte ritiene che l’ingerenza in questione non sia compatibile con il principio di legalità e che abbia pertanto violato il diritto al rispetto dei beni del ricorrente comportando la violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

    II.    SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

    A.    Sulla ricevibilità
  27. Il ricorrente lamenta in sostanza la mancanza di equità del procedimento. Sostiene che non potrà ottenere un risarcimento pari al valore materiale del terreno per effetto della legge n. 662 del 1996, entrata in vigore nel corso del procedimento.
  28. La Corte ricorda che, al momento in cui la causa è stata comunicata, ha ritenuto che il ricorrente lamentasse in sostanza una violazione del suo diritto a un processo equo come sancito all’articolo 6 § 1 della Convenzione che, nelle sue parti pertinenti, recita:
    «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»
  29. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione. Osserva peraltro che esso non incorre in nessun altro motivo di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.


    B.    Sul merito
  30. La Corte ha appena constatato, sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che la situazione denunciata dal ricorrente non è conforme al principio di legalità. Considerati i motivi che l’hanno portata a una tale constatazione di violazione, la ritiene che non sia opportuno esaminare separatamente se vi sia stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 6 § 1 (si vedano Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, § 49, 12 luglio 2011; Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, § 30, 14 giugno 2011).

    III.    SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  31. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

    A.    Danno materiale
  32. Il ricorrente chiede una somma corrispondente alla differenza tra il valore materiale del terreno e l’importo del risarcimento accordato a livello nazionale. Al momento in cui ha depositato la sua domanda di equa soddisfazione nel 2005, egli quantificava tale danno in 108.495,46 euro, da rivalutare e maggiorare degli interessi a decorrere dal 1988 (somma che, rivalutata e comprensiva degli interessi, corrisponderebbe a circa 231.614 euro). Chiedeva anche il rimborso della somma di 28.000 euro corrispondente all’imposta alla fonte che aveva dovuto versare conformemente alla legge n. 413/1991.
  33. Il Governo si oppone a tale richiesta.
  34. La Corte ricorda che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l’obbligo di porre fine alla violazione e di eliminarne le conseguenze in modo tale da ristabilire, per quanto possibile, la situazione anteriore a quest’ultima (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).
  35. Essa ricorda che, nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009), la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte riguardante i criteri di indennizzo nelle cause in materia di espropriazione indiretta. In particolare, ha deciso di scartare le richieste dei ricorrenti nella misura in cui si basano sul valore dei terreni alla data della sentenza della Corte e di non tenere più conto, ai fini della valutazione del danno materiale, del costo di costruzione degli immobili costruiti dallo Stato sui terreni.
  36. L’indennizzo deve dunque corrispondere al valore pieno e intero del terreno al momento della perdita della proprietà, stabilito dalla perizia disposta dal giudice competente nel corso del procedimento interno. Una volta dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, tale importo deve poi essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione. Conviene altresì maggiorarlo degli interessi che possano compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento dei terreni.
  37. Nella fattispecie, il ricorrente ha perso la proprietà del suo terreno il 20 maggio 1988. Dalla perizia disposta dal tribunale di Messina risulta che il valore del terreno in tale data era di 163.786.000 lire, ossia 84.588 euro.
  38. Tenuto conto di questi elementi e deliberando equamente, la Corte ritiene ragionevole accordare al ricorrente 144.000 euro per il danno materiale, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma.
  39. Resta da valutare la perdita di chance subita a seguito dell’espropriazione in contestazione (Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC] sopra citata, § 107). La Corte ritiene opportuno prendere in considerazione il danno derivante dalla indisponibilità del terreno durante il periodo che va dall’inizio dell’occupazione legittima (20 maggio 1983) fino al momento della perdita di proprietà (20 maggio 1988). Deliberando equamente, la Corte accorda a tale titolo la somma di 23.000 euro.

    B.    Danno morale
  40. Il ricorrente chiede 30.000 euro per il danno morale che avrebbe subito.
  41. Il Governo sostiene che la somma richiesta è eccessiva.
  42. La Corte ritiene che il senso di impotenza e frustrazione derivante dallo spossessamento illegale del proprio bene abbia causato al ricorrente un danno morale importante, che deve essere riparato in maniera adeguata.
  43. Deliberando equamente, la Corte accorda al ricorrente la somma di 10.000 euro per il danno morale.

    C.    Spese
  44. Producendo i relativi documenti giustificativi, il ricorrente chiede anche 15.130 euro per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.
  45. Il Governo si oppone a tale richiesta.
  46. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne vengano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole.
  47. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte ritiene ragionevole accordare per intero l’importo richiesto per le spese complessivamente sostenute.

    D.    Interessi moratori
  48. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;
  3. Dichiara che non è opportuno esaminare il motivo di ricorso relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, le somme seguenti:
      1. 167.000 euro (centosessantasettemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno materiale;
      2. 10.000 euro (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      3. 15.130 euro (quindicimilacentotrenta euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dal ricorrente, per le spese;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 10 luglio 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Françoise Elens-Passos   
Cancelliere aggiunto   

Isabelle Berro-Lefèvre
Presidente