Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 21 dicembre 2010 - Ricorso n.(v. tabelle) - Gaglione e altri c. Italia;

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall'esperto linguistico Martina Scantamburlo

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
CAUSA GAGLIONE E ALTRI c. ITALIA
Ricorso n.(VEDI TABELLA ALLEGATA)
SENTENZA
STRASBURGO - 21 DICEMBRE 2010

Questa sentenza diventerà definitiva alle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Potrà subire modifiche di forma.
Nella causa Gaglione e altri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
Françoise Tulkens, presidente,
Ireneu Cabral Barreto,
Dragoljub Popović,
Nona Tsotsoria,
Işıl Karakaş,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 7 dicembre 2010,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi sono quattrocentosettantacinque ricorsi presentati contro la Repubblica italiana e con cui dei cittadini di tale Stato, («i ricorrenti»), hanno adito la Corte in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. I ricorrenti sono rappresentati dall’avv. A. Marra, del foro di Napoli. I dettagli riguardanti i ricorrenti e le date di presentazione dei ricorsi sono riportati nella tabella riassuntiva allegata alla presente sentenza.
3. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo ex co-agente, N. Lettieri.
4. Il 10 marzo 2009 la Corte ha deciso di informare il Governo dei ricorsi. Come consentiva il paragrafo 3 dell'articolo 29 della Convenzione, in vigore all’epoca, essa aveva inoltre deciso che sarebbero stati esaminati nel contempo la ricevibilità e il merito dei ricorsi.

IN FATTO

I.    LE CIRCOSTANZE DELLA PRESENTE CAUSA

5. I ricorrenti, parti a dei procedimenti giudiziari, hanno adito i giudici competenti ai sensi della legge «Pinto» per lamentarsi per la durata di tali procedimenti.
6. Con decisioni depositate in cancelleria il 16 dicembre 2003 e il 6 luglio 2007 le corti competenti hanno constatato il superamento di una durata ragionevole e accordato ai ricorrenti delle somme in riparazione del danno morale subito.
7. Tra il 10 aprile 2006 e il 26 novembre 2007 i ricorrenti hanno avviato dei procedimenti in esecuzione.
8. Per alcuni dei ricorrenti, le somme accordate in esecuzione delle decisioni «Pinto», di importi compresi tra 200 e 13.749,99 euro, furono pagate in date comprese tra il 2 maggio 2007 e il 10 luglio 2008, mentre per altri esse non erano ancora state pagate alla data delle ultime informazioni fornite dagli interessati. Il ritardo in contestazione è compreso tra 9 e 49 mesi a decorrere dalla data del deposito in cancelleria delle decisioni «Pinto». Tale ritardo è uguale o superiore a diciannove mesi nel 65% dei ricorsi.
9. Delle informazioni sui fatti di causa sono contenute nell’allegata tabella riassuntiva.

II.    IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

10. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» sono riportati nella sentenza Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006-V).

IN DIRITTO

I.    SULLA RIUNIONE DEI RICORSI

11. Tenuto conto della similitudine dei ricorsi per quanto riguarda i fatti e la questione che essi pongono sul merito, la Corte ritiene necessario riunirli e decide di esaminarli congiuntamente in un'unica sentenza.

II.    SULLE ADDOTTE VIOLAZIONI DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

112. I ricorrenti affermano che il ritardo con il quale le autorità nazionali si sono uniformate alle decisioni «Pinto» ha comportato la violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 che, nelle parti pertinenti, recitano:
Articolo 6 § 1
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi (…) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»
Articolo 1 del Protocollo n. 1
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale (...)»
13. Il Governo contesta questa tesi.

A.    Sulla ricevibilità

1.    Assenza di danno importante

14. Secondo il Governo, i ricorsi dovrebbero essere dichiarati irricevibili in applicazione del nuovo criterio previsto dall’articolo 35 § 3 b) della Convenzione così come emendata dal Protocollo n. 14, secondo il quale la Corte può dichiarare un ricorso irricevibile quando «il ricorrente non ha subito alcun danno importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso sul merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno».
15. Il Governo sostiene a questo proposito che i danni causati dal ritardo in questione sarebbero compensati dalla riscossione di interessi moratori e dal fatto che i ricorrenti avrebbero potuto presentare un nuovo procedimento «Pinto» per lamentarsi per il ritardo con cui le autorità nazionali hanno dato esecuzione alle decisioni «Pinto». Esso sostiene altresì che le somme pagate in ritardo sarebbero di importo irrisorio.
16. L’articolo 35 della Convenzione, come modificato dal Protocollo n. 14, entrato in vigore il 1° giugno 2010, recita:
«(...) 3. La Corte dichiara irricevibile ogni ri-corso individuale presentato ai sensi dell’articolo 34 se ritiene che:
(...)
b) il ricorrente non ha subito alcun danno importante, salvo che il rispetto dei diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame del ricorso nel merito e a condizione di non rigettare per questo motivo alcun caso che non sia stato debitamente esaminato da un tribunale interno.»
17. Nel caso di specie, la Corte ricorda che le somme accordate nell’ambito del ricorso «Pinto» vanno da 200 a 13.749,99 euro. Il ritardo in questione, invece, è compreso tra 9 e 49 mesi e nel 65% dei casi è uguale o superiore a diciannove mesi. In queste condizioni, stando al criterio sopra menzionato non si può affermare che i ricorrenti non hanno subito alcun danno importante. Del resto, gli argomenti del Governo relativi alla concessione di interessi moratori e alla possibilità di introdurre un nuovo procedimento«Pinto» sono stati già rigettati dalla Corte in varie occasioni (v., in particolare, Simaldone c. Italia, (n. 22644/03, §§ 63 e 44, CEDU 2009-... (estratti)).
18. Poiché il nuovo criterio di ricevibilità dell’articolo 35 della Convenzione si applica solo quando le tre condizioni di applicazione sono riunite cumulativamente, la Corte non ritiene necessario esaminare la questione di stabilire se il rispetto dei diritti dell’uomo sancito dalla Convenzione e dai suoi Protocolli esiga un esame dei ricorsi sul merito e se gli stessi siano stati debitamente esaminati da un tribunale interno.
19. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte rigetta questa eccezione sollevata dal Governo.

2.    Mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

20. Eccependo il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, il Governo sostiene che i ricorrenti avrebbero dovuto intentare un nuovo procedimento «Pinto» per lamentarsi per la durata dell’esecuzione delle decisioni «Pinto».
21. La parte ricorrente contesta questa tesi.
22. La Corte considera che esigere dai ricorrenti una tale pratica per lamentarsi della durata dell’esecuzione delle decisioni «Pinto» equivarrebbe a chiudere i ricorrenti in un circolo vizioso in cui il cattivo funzionamento di un rimedio li obbligherebbe a intentarne un altro. Una simile conclusione sarebbe irragionevole e costituirebbe un ostacolo sproporzionato all’esercizio effettivo da parte dei ricorrenti del loro diritto di ricorso individuale, così come definito all’articolo 34 della Convenzione (v., in tal senso, Vaney c. Francia, n. 53946/00, § 53, 30 novembre 2004, mutatis mutandis, Kaić c. Croazia, n. 22014/04, § 32, 17 luglio 2008 e Simaldone c. Italia, già cit., § 44).
23. Conviene pertanto rigettare l’eccezione di irricevibilità presentata dal Governo su questo punto.

3.    Qualità di «vittima»

24. Il Governo considera che i ricorrenti non sono più «vittima» della violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione poiché i ritardi in questione sono stati compensati accordando interessi moratori e, se del caso, somme per le spese sostenute durante le procedure di esecuzione forzata.
25. La parte ricorrente rigetta gli argomenti del Governo.
26. La Corte considera che questa eccezione è strettamente legata alla fondatezza del motivo di ricorso dei ricorrenti. Peraltro, il Governo solleva una parte di questi argomenti nell’ambito delle proprie argomentazioni sul merito. Di conseguenza, la corte decide di unirla al merito.

B.    Sul merito

1.    Argomenti delle parti

a)    il Governo

27. Il Governo sostiene che, secondo la giurisprudenza della Corte, il semplice ritardo nel pagamento dei risarcimenti «Pinto» non può, di per sé, pregiudicare i diritti dei ricorrenti a un tribunale e al rispetto dei loro beni, così come sanciti dagli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1. In particolare, sotto il profilo dell’articolo 6, il ritardo in contestazione non può essere considerato un rifiuto o una lacuna grave nell’adempimento dell’obbligo di eseguire una decisione giudiziaria ma dovrebbe essere definito unicamente sotto il profilo del rispetto del termine ragionevole.
28. Il Governo sostiene inoltre che il termine di sei mesi per procedere al pagamento del risarcimento «Pinto» dovrebbe essere calcolato a decorrere dal momento in cui la decisione della corte d’appello «Pinto» viene comunicata all’Amministrazione dalla cancelleria o notificata a quest’ultima dal ricorrente ai sensi delle disposizioni pertinenti del codice di procedura civile.
29. Dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il Governo sostiene che tale disposizione non è stata violata in quanto il ritardo in questione, che esso definisce irrisorio, sarebbe compensato dalla concessione di interessi moratori, e sostiene inoltre che le somme versate in ritardo sarebbero di modesta entità. Esso ribadisce questi stessi argomenti a sostegno della sua eccezione volta a contestare la qualità di «vittima» dei ricorrenti sotto il profilo dell’articolo 6 della Convenzione.

b)    I ricorrenti

30. La parte ricorrente ritiene che le allegazioni del Governo vanno contro i principi fondamentali derivanti dalla giurisprudenza della Corte. A sostegno dei propri argomenti essa invoca, in particolare, le sentenze seguenti: Scordino c. Italia (n. 1) [GC], n. 36813/97, CEDU 2006 V; Ernestina Zullo c. Italia [GC], n. 64897/01, 29 marzo 2006; Simaldone c. Italia, già cit.
31. Quanto alla pretesa mancanza di qualità di «vittima» dei ricorrenti, questi ultimi sostengono anzitutto che il pagamento dei risarcimenti deve avvenire entro un termine di sei mesi a decorrere dal deposito in cancelleria delle decisioni Pinto, il che non è avvenuto nel caso di specie. Essi affermano anche che obbligare le parti al procedimento a intentare un’azione giudiziaria in esecuzione si traduce in una violazione della Convenzione. Per quanto riguarda infine gli interessi moratori, i ricorrenti sostengono che si tratta di un risarcimento di carattere materiale che non ha alcun legame con il danno morale subito.

2.    Valutazione della Corte

32. Per quanto riguarda l’articolo 6 § 1, la Corte ricorda che il diritto a un tribunale sancito da tale disposizione include il diritto all’esecuzione di una decisione giudiziaria definitiva e obbligatoria e che l’esecuzione di una sentenza deve essere considerata come facente parte integrante del «processo» ai sensi dell’articolo 6 (v., in particolare, Hornsby c. Grecia, 19 marzo 1997, § 40 e segg., Recueil 1997 II; Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, § 25, 27 maggio 2004). Poiché l’esecuzione costituisce la seconda fase del procedimento sul merito, il diritto rivendicato trova la propria realizzazione effettiva solo al momento dell’esecuzione (v., tra le altre, le sentenze Di Pede c. Italia e Zappia c. Italia, 26 settembre 1996, rispettivamente §§ 22, 24, 26 e 18, 20, 22, Recueil 1996 IV; mutatis mutandis, Silva Pontes c. Portogallo, 23 marzo 1994, § 33, serie A n. 286 A).
33. Nella sentenza Cocchiarella c. Italia già cit. (§§ 36-107), la Corte ha preso in considerazione il ritardo nel pagamento del risarcimento «Pinto» allo scopo di valutare il carattere adeguato e sufficiente della riparazione offerta da questo rimedio per la violazione del diritto al «termine ragionevole». Essendo padrona della qualificazione giuridica dei fatti di causa (v., in primo luogo, Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil 1998 I), la Corte ritiene opportuno analizzare questo motivo di ricorso sotto il profilo del diritto dei ricorrenti a un tribunale così come sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione, e in particolare dell’obbligo dello Stato ad uniformarsi a una decisione giudiziaria esecutiva.
34. La Corte ricorda di avere già stabilito (v., in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, già cit., § 89) che se è ammissibile che un’amministrazione possa avere bisogno di un certo lasso di tempo per procedere ad un pagamento, nel caso tuttavia di un ricorso risarcitorio volto a riparare le conseguenze della durata eccessiva di procedimenti questo lasso di tempo non dovrebbe generalmente superare sei mesi a decorrere dal momento in cui la decisione che accorda il risarcimento diventa esecutiva.
35. Inoltre, un’autorità dello Stato non può addurre il pretesto della mancanza di risorse per giustificare il mancato pagamento di un debito basato su una decisione giudiziaria (v. Cocchiarella c. Italia, già cit., § 90; Bourdov c. Russie, già cit., § 35).
36. La Corte osserva che il ritardo in questione è compreso tra 9 e 49 mesi dal deposito in cancelleria delle decisioni «Pinto». Inoltre, in quasi il 65% dei ricorsi, detto ritardo è uguale o superiore a diciannove mesi. Il termine di sei mesi a decorrere dal momento in cui la decisione che accorda il risarcimento è divenuta definitiva è stato dunque ampiamente superato.
37. Quanto agli argomenti del Governo relativi alla data da cui far partire il calcolo di detto termine di sei mesi, è opportuno notare che la Corte ha già rigettato questa tesi nella sentenza Simaldone (già cit., §§ 51 – 54) e non vede alcun motivo per giungere a una conclusione diversa nella presente causa. Pertanto, il termine di sei mesi per effettuare il pagamento decorre, conformemente alla giurisprudenza Cocchiarella c. Italia, dalla data in cui la decisione diventa esecutiva, ossia la data del deposito in cancelleria della decisione «Pinto».
38. Di conseguenza, astenendosi per un lasso di tempo compreso tra 9 e 49 mesi dall’adottare le misure necessarie per uniformarsi alle decisioni «Pinto» pronunciate nel caso di specie, le autorità italiane hanno privato le disposizioni dell’articolo 6 § 1 della Convenzione di qualsiasi effetto utile.
39. Per quanto riguarda l’argomento del Governo secondo il quale il ritardo sarebbe stato compensato dal fatto di aver ottenuto degli interessi moratori, la Corte ritiene che, considerata la natura della via di ricorso interna, il versamento degli interessi non può essere considerato determinante (v., mutatis mutandis, Simaldone c. Italia, già cit., § 63). La Corte osserva ancora che il fatto di accordare interessi non comporta alcun riconoscimento di violazione e non può riparare il danno morale che ne deriva. Essa ricorda poi di aver stabilito che, nell’ambito del ricorso «Pinto», gli interessati non hanno l’obbligo di avviare una procedura di esecuzione (v. Delle Cave e Corrado c. Italia, n. 14626/03, §§ 23-24, 5 giugno 2007, CEDU 2007 VI). Pertanto, la Corte non capisce bene in che modo il fatto che le autorità nazionali abbiano liquidato ai ricorrenti le spese sostenute nell’ambito di detta procedura possa compensare o rimediare alla violazione del diritto degli interessati a un tribunale.
40. Di conseguenza, l’eccezione del Governo relativa alla mancanza della qualità di «vittima» dei ricorrenti va rigettata e si deve concludere che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
41. Sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 la Corte ricorda anzitutto che, alla luce della propria giurisprudenza (v. Bourdov c. Russia, già cit. § 40), il ritardo in questione si traduce in una ingerenza nel diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti. Nelle presenti cause il Governo non ha fornito alcuna giustificazione per questa ingerenza e la corte ritiene che un’eventuale mancanza di risorse non possa legittimare una simile omissione (ibidem, § 35).
42. Per quanto riguarda la tesi del Governo relativa alla concessione di interessi moratori, la Corte desidera qui ribadire, mutatis mutandis, le proprie argomentazioni sopra sviluppate (v. § 39 supra) dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
43. Quanto al preteso carattere irrisorio del ritardo in questione e delle somme «Pinto», la Corte ricorda rispettivamente che i ritardi in contestazione sono compresi tra 9 e 49 mesi mentre le somme in questione sono di importi compresi tra 200 e 13.749,99 euro (v. §§ 8 e 17 supra). In queste circostanze, la Corte è portata a respingere la tesi del Governo.
44. La Corte ritiene che, alla luce della sua giurisprudenza in materia (v. Simaldone c. Italia, già cit., § 62) il limite che può comportare una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 debba essere fissato in sei mesi a decorrere dal momento in cui la decisione controversa è divenuta esecutiva, termine che è stato ampiamente superato nella presente causa (v. § 8 supra).
45. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

IV.    SULLE ALTRE VIOLAZIONI ADDOTTE

46. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti si lamentano per il ritardo con cui le autorità nazionali si sono uniformate alle decisioni «Pinto», il che renderebbe inefficace questa via di ricorso.
47. Alla luce della giurisprudenza Simaldone (già cit., § 84), la Corte ritiene che questo motivo di ricorso debba essere dichiarato irricevibile in quanto manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
48. Invocando l’articolo 17 della Convenzione, i ricorrenti sostengono che il ritardo on questione si traduce in un abuso di diritto.
49. Tenuto conto dei motivi per i quali ha concluso che vi è stata violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 (paragrafi 36-40 e 42-45 supra) e alla luce delle argomentazioni degli interessati, la Corte ritiene che, nel caso di specie, non si pone alcuna questione distinta sotto il profilo dell’articolo 17 della Convenzione.

V.    SUGLI ARTICOLI 46 E 41 DELLA CONVENZIONE

A.    Sull’articolo 46 della Convenzione

50. Ai sensi di questa disposizione:
«1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti.
2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione.
(...).»
51. Le conclusioni della Corte nella presente causa, nonché il numero di cause, trattate o pendenti, riguardanti il ritardo nel pagamento dei risarcimenti «Pinto», confermano l’esistenza di un problema interno su vasta scala, ossia la difficoltà per le autorità italiane di garantire in un numero considerevole di casi che detti risarcimenti saranno versati entro un termine ragionevole che generalmente non dovrebbe essere superiore a sei mesi dal momento in la decisione di accordare il risarcimento diventa esecutiva.
52. Si deve notare che, al 7 dicembre 2010, più di 3.900 ricorsi contro l’Italia riguardanti, tra l’altro, il ritardo nel pagamento dei risarcimenti «Pinto» erano pendenti dinanzi alla Corte. Il numero di ricorsi che includono questo tipo di doglianza, del resto, è costantemente aumentato negli ultimi anni, passando da più di 600 ricorsi presentati nel 2007 a circa 1.340 dal 1° gennaio al 7 dicembre 2010.
53. Peraltro, dal rapporto sull’amministrazione della Giustizia relativo al 2009 prodotto dal Governo risulta che i costi derivanti dall’introduzione del rimedio «Pinto» a titolo dei risarcimenti accordati dalle corti competenti sono aumentati, passando da 3.873.427 euro nel 2002 a 40.000.000 euro nel 2008. Al 31 dicembre 2008 più di 81.000.000 euro erano stati pagati dallo Stato convenuto per i risarcimenti «Pinto», mentre circa 36.500.000 euro dovevano ancora essere versati allo stesso titolo.
54. Nei ricorsi in questione, che si differenziano sensibilmente da quelli delle cause Adrian Mihai Ionescu c. Romania ((dec.), n. 36659/04, 1° giugno 2010) e Korolev (II) c. Russia ((dec.), 25551/05, 1° luglio 2010), che non riguardano un problema generale, la Corte raccomanda un approccio uniforme sul merito della questione dei ritardi in contestazione. Una tale soluzione è indispensabile per evitare che il ruolo della Corte sia maggiormente rallentato da una grande quantità di cause ripetitive.
55. La Corte vede in questa mancanza dello Stato non solo un fattore aggravante per quanto riguarda la sua responsabilità rispetto alla Convenzione a causa di una situazione passata o attuale, ma anche una minaccia per l’effettività in futuro del dispositivo attuato dalla Convenzione (Scordino c. Italia (n. 3) (equa soddisfazione), n. 43662/98, §§ 14-15, CEDU 2007-III, Driza c. Albania, n. 33771/02, § 122, CEDU 2007-XII (estratti), Katz c. Romania, n. 29739/03, § 9, 13 novembre 2008).
56. Per questi motivi, prima di esaminare la domanda di equa soddisfazione presentata dai ricorrenti a titolo dell’articolo 41 della Convenzione, e avuto riguardo alle circostanze del caso di specie, la Corte si propone di esaminare quali conseguenze possono essere tratte dall’articolo 46 della Convenzione per lo Stato convenuto. A questo proposito, essa ricorda anche che, il 2 aprile 2009, il Comitato dei Ministri è stato informato dal Cancelliere della Corte della comunicazione del presente gruppo di cause per mezzo di una lettera che raccomandava un intervento urgente da parte delle autorità italiane affinché le stesse «predispongano rapidamente le risorse di bilancio necessarie allo scopo di evitare che la Corte si ritrovi ad affrontare la stessa situazione, che l’ha già portata a prendere posizione sul problema della lungaggine della giustizia italiana». Nella sua lettera, il Cancelliere si riferiva, tra l’altro, alla Risoluzione interinale CM/ResDH(2009)42 del 19 marzo 2009 presentando in dettaglio tutta una serie di raccomandazioni rivolte allo Stato convenuto a proposito della durata dei procedimenti giudiziari. In particolare tale Risoluzione, dopo aver rilevato che «le statistiche per gli anni 2006-2007 rivelano un ulteriore aumento della durata dei procedimenti (...) nonché un arretrato considerevole nei settori civile e penale (circa 5,5 milioni di cause pendenti al civile e 3,2 milioni di cause pendenti al penale), incita vivamente le autorità italiane a «prevedere una modifica della legge n. 89/2001 (legge Pinto) per mettere a punto un sistema di finanziamento che permetta di disciplinare i problemi di ritardo nel pagamento delle indennità accordate, di semplificare la procedura e di estendere la portata della via di ricorso in modo tale da inserirvi delle ingiunzioni che permettano di accelerare la procedura».
57. La Corte ricorda che, ai sensi dell’articolo 46, le Alte Parti contraenti si impegnano ad uniformarsi alle sentenze definitive pronunciate dalla Corte anche nelle cause alle quali esse sono parti, e il Comitato dei Ministri è incaricato di vigilare sull’esecuzione di tali sentenze. Ne consegue in particolare che, quando la Corte constata una violazione, lo Stato convenuto ha l’obbligo giuridico non solo di versare agli interessati le somme accordate a titolo dell’equa soddisfazione prevista dall’articolo 41, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, delle misure generali e/o, se del caso, individuali da inserire nel proprio ordinamento giuridico allo scopo di porre fine alla violazione constatata dalla Corte e di rimuoverne per quanto possibile le conseguenze. Lo Stato convenuto resta libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi per adempiere al proprio obbligo giuridico rispetto all’articolo 46 della Convenzione, purché tali mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (v., mutatis mutandis, Scozzari e Giunta c. Italia [GC], nn. 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000-VIII, nonché Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 192, CEDU 2004-V, Öcalan c. Turchia [GC], n. 46221/99, § 210, CEDU 2005 IV, Sejdovic c. Italia [GC], n. 56581/00, § 119, CEDU 2006 II, Katz c. Romania, già cit., § 30).
58. Benché in linea di principio non le spetti di definire quali possano essere le misure di riparazione appropriate affinché lo Stato convenuto adempia ai propri obblighi rispetto all’articolo 46 della Convenzione, considerata la situazione di carattere strutturale che essa constata, la Corte osserva che delle misure generali a livello nazionale sono senza dubbio indispensabili nell’ambito dell’esecuzione della presente sentenza (v. Broniowski c. Polonia, già cit., § 193, Katz c. Romania, già cit., § 31).
59. LaCorte ritiene che lo Stato italiano dovrebbe anzitutto ristabilire l’efficacia della via di ricorso «Pinto», mettendo fine ai ritardi nel pagamento dei risarcimenti accordati dai giudici aditi in virtù della legge «Pinto». Poiché tali ritardi derivano probabilmente da una copertura di bilancio insufficiente, lo Stato dovrebbe prevedere nel proprio bilancio uno stanziamento di fondi più importante al fine di garantire l’esecuzione rapida delle decisioni rese ai sensi della legge «Pinto» entro sei mesi a decorrere dal momento in cui esse diventano esecutive.
60. La Corte è cosciente della difficoltà di questo compito. Essa prende atto del fatto che una riforma globale della via di ricorso «Pinto» è attualmente all’esame della Camera dei Deputati dopo essere stata approvata dal Senato della Repubblica nel gennaio 2010. Lungi dal sostenere tutte le misure proposte in tale riforma, essa ritiene che questo rappresenterebbe il quadro ideale per prendere in considerazione le indicazioni che la Corte ha appena formulato sotto il profilo dell’articolo 46, nonché le raccomandazioni adottate dal Comitato dei Ministri nella Risoluzione interinale sopra menzionata.

B.    Sull’articolo 41 della Convenzione

61. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.    Danno

62. I ricorrenti chiedono la somma di 100 euro per ogni mese di ritardo a partire dal sesto mese successivo al deposito in cancelleria delle decisioni «Pinto», o qualsiasi altra somma che la Corte riterrà opportuno accordare per il danno morale.
63. Il Governo ritiene che queste richieste non tengono conto in alcun modo delle caratteristiche di ciascuna causa, in particolare della somma accordata caso per caso dalle corti «Pinto», e che esse sono in ogni caso eccessive.
64. La Corte ricorda che, in applicazione della giurisprudenza Cocchiarella, per il ritardo nel pagamento dei risarcimenti «Pinto», essa ha finora accordato ai ricorrenti la somma di 100 euro per ogni mese di ritardo a partire dal settimo mese (v., in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, già cit., § 149). Ne consegue che, in questa circostanza, gli importi da accordare a ciascun ricorrente per ritardi compresi tra 9 e 49 mesi andrebbero da 300 a 4.300 euro.
65. Tuttavia, la Corte si chiede se, alla luce delle circostanze del caso di specie, un tale approccio sia opportuno. A questo proposito, essa ci tiene a sottolineare ancora una volta che le cause oggetto della presente sentenza fanno parte di un gruppo di più di 3.900 ricorsi che riguardano, principalmente o unicamente, il ritardo nel pagamento delle somme «Pinto» pendenti contro l’Italia e che il numero dei ricorsi che contengono questo tipo di doglianza è in costante aumento dal 2007 (v. § 18 supra).
66. I pericoli, in termini di intasamento del ruolo con ricorsi ripetitivi presentati contro l'Italia, che derivano da una situazione di questo tipo sull’effettività del dispositivo creato dalla Convenzione sono evidenti. Il Governo convenuto ha il dovere di adoperarsi adeguatamente e nel più breve tempo possibile per garantire il rispetto degli obblighi ad esso derivanti in virtù dell’adesione alla Convenzione nell’ambito del rimedio «Pinto».
67. La Corte ricorda che è un giudice internazione il cui compito principale è quello di garantire il rispetto dei diritti dell’uomo così come sanciti dalla convenzione e dai suoi Protocolli, piuttosto che di compensare i danni subiti dai ricorrenti minuziosamente e in maniera completa. Contrariamente ai giudici nazionali, la Corte ha il ruolo privilegiato di adottare delle decisioni pubbliche che stabiliscono le norme in materia di diritti dell’uomo applicabili in tutta l’Europa (v., mutatis mutandis, Goncharova e altri, e altri 68 ricorsi «pensionati privilegiati» c. Russia, n. 23113/08 e altri ricorsi).
68. Per tutti questi motivi, in casi che comprendono un numero significativo di vittime che si trovano in una situazione simile, si impone un approccio uniforme.
69. La Corte osserva che, nel caso di specie, indipendentemente dalle specificità legate a ciascun ricorso, i ricorrenti sono tutti allo stesso modo vittime dell’incapacità delle autorità italiane di garantire il pagamento degli indennizzi «Pinto» entro un termine compatibile con gli obblighi derivanti dall’adesione dello Stato convenuto alla Convenzione dei diritti dell’uomo.
70. Alla luce di quanto precede e deliberando equamente, la Corte ritiene opportuno accordare una somma forfettaria di 200 euro per ciascun ricorso in riparazione del danno morale.

B. Spese

71. Producendo le relative parcelle, l’avvocato dei ricorrenti chiede la somma di 1.000 euro per ciascun ricorso a titolo delle spese.
72. Il Governo considera tale richiesta non giustificata in quanto si tratta di 475 ricorsi perfettamente identici per quanto riguarda la natura dei motivi sollevati.
73. La Corte ricorda che, secondo la sua giurisprudenza, lo stanziamento di somme per le spese ai sensi dell’articolo 41 presuppone che ne siano dimostrate la realtà, la necessità e l’importo ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, § 22, 24 gennaio 2008). Inoltre, le spese di giustizia sono rimborsabili solo nella misura in cui si riferiscono alla violazione constatata (v., ad esempio, Beyeler c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 33202/96, § 27, 28 maggio 2002; Sahin c. Germania [GC], n. 30943/96, § 105, CEDU 2003 VIII).
74. Nella fattispecie, la Corte osserva che si tratta di 475 cause identiche sotto quasi tutti i profili. Alla luce di tali circostanze e tenuto conto dei documenti di cui dispone, essa ritiene ragionevole accordare una somma globale di 10.000 euro per le spese.

C.    Interessi moratori

75. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE,

  1. Decide, all’unanimità, di riunire i ricorsi e di esaminarli congiuntamente in una sola sentenza;
  2. Rigetta, all’unanimità, le eccezioni del Governo relative all’assenza del danno importante e al mancato esperimento di tutte le vie di ricorso interne;
  3. Riunisce al merito, all’unanimità, l'eccezione del Governo relativa all’assenza della qualità di «vittima» dei ricorrenti e la rigetta;
  4. Dichiara, all’unanimità, ricevibili i motivi di ricorso relativi agli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, e irricevibile quello relativo all’articolo 13 della Convenzione;
  5. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  6. Dichiara, all’unanimità, che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  7. Dichiara, all’unanimità, che non si pone alcuna questione distinta sotto il profilo dell’articolo 17 della Convenzione;
  8. Dichiara, con cinque voti contro due,
    1. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le somme seguenti:
      1. 200 euro (duecento euro) a ciascun ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
      2. 10.000 euro (diecimila euro), in totale, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, per le spese;
    2. che a decorrere dallo scadere di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante tale periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  9. Rigetta, con cinque voti contro due, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 21 dicembre 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Stanley Naismith
Cancelliere

Françoise Tulkens
Presidente

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata dei giudici Cabral Barreto e Popović.
F.T.
S.H.N

OPINIONE PARZIALMENTE DISCORDANTE COMUNE
AI GIUDICI CABRAL BARRETO E POPOVIC

1. Pur condividendo il parere della maggioranza per quanto riguarda la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, siamo tuttavia in profondo disaccordo con i criteri adottati ai fini della valutazione dell’equa soddisfazione.

2. Benché, secondo la giurisprudenza derivante dalla sentenza della Grande Camera Cocchiarella c. Italia, le somme accordate per i ritardi sarebbero comprese tra 300 e 4.300 euro, la maggioranza decide, per i motivi invocati ai paragrafi 64 e seguenti della presente sentenza, di accordare, per ciascuno dei ricorsi, solo una somma forfettaria di 200 euro per il danno morale, e questo a prescindere dalla misura dei ritardi da parte dello Stato italiano nel pagamento delle somme fissate dalle corti d’appello nell’ambito dei procedimenti «Pinto».

3. Siamo ben consapevoli delle difficoltà incontrate dalla Corte nel trattare il considerevole numero di cause provenienti dall’Italia relative ai ritardi nell’amministrazione della giustizia.
Si tratta di un problema persistente al quale, a suo tempo, anche la Commissione europea dei Diritti dell’Uomo ha dovuto far fronte.
Purtroppo la legge «Pinto», che doveva risolvere questo problema, ha semplicemente spostato la questione dalla violazione all’origine del processo al pagamento delle somme attribuite. Ancora più grave è il fatto che tale legge ha favorito l’aggiunta, alla violazione costituita dalla lunghezza eccessiva del procedimento principale, quella derivante dai ritardi nel pagamento delle somme fissate nell’ambito dello stesso procedimento «Pinto».

4. Questa situazione, secondo noi, è insostenibile e inaccettabile.
Se la lunghezza del processo nel procedimento principale è già criticabile in quanto l’Italia già da decenni non riesce a mettere in moto un apparato giudiziario che possa superare il problema, che dire delle difficoltà incontrate dall’Italia, un Paese che appartiene al G 20, nell’effettuare il pagamento delle somme fissate dai tribunali interni?

5. La Corte non può dare l’impressione di farsi garante del comportamento dell’Italia; essa non può scegliere un criterio che, in un certo modo, potrebbe far pensare che venga accordato un «premio» allo Stato colpevole e, pertanto, essere all’origine di una profonda discriminazione tra le parti contraenti.

6. D’altra parte, bisogna agire per preservare la Corte da un afflusso massiccio di ricorsi di questo tipo, il cui scopo principale non è quello di far garantire il rispetto dei diritti dell’uomo, ma piuttosto uno scopo essenzialmente pecuniario, cercando di ottenere una compensazione completa e minuziosa.

7. Di fronte a questa sfida, che dipende da preoccupazioni contraddittorie, la Corte non deve perdere di vista che la soluzione da cercare deve sempre essere ispirata ai valori diffusi dalla Convenzione e dalla sua giurisprudenza.

8. Riteniamo dunque che se la Sezione voleva discostarsi dalla giurisprudenza fissata dalla Grande Camera, avrebbe dovuto allora dichiararsi incompetente in questa causa in favore della Grande Camera.
Invece, se la camera voleva essa stessa risolvere il problema, ci sembra che una «sentenza pilota» sarebbe stata più adatta alla situazione.
La questione è infatti molto semplice e non pone alcun problema giuridico: l'Italia si trova nell’obbligo di pagare le somme fissate dalle corti d’appello nel procedimento «Pinto», e ciò deve avvenire entro termini ragionevoli.
Secondo noi, la situazione impone più un’azione energica da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa che una produzione di sentenze da parte della Corte.

9. Infine, se la Sezione vuole procurarsi un criterio per alleviare il lavoro enorme, ripetitivo e senza interesse nel senso del rispetto dei diritti dell’uomo, per dedicarsi al suo nobile compito che è quello di proteggere i valori fondamentali legati alla dignità della persona umana, - e su questo siamo assolutamente d’accordo -, non bisogna al contempo dimenticare che le posizioni della Corte non possono essere anch’esse contrarie agli scopi di non discriminazione e di equità che sono innegabilmente insiti nello spirito e nella lettera della Convenzione.

10. Al fine di rispettare la Convenzione e alleggerire la Corte e la cancelleria di un lavoro che viene fatto – bisogna ammetterlo – a danno di altri ricorsi in cui sono in causa dei valori più cari, il criterio da adottare dovrebbe essere, al limite, almeno giusto e non discriminatorio.

11. Un criterio che mette sullo stesso piano ritardi che vanno da 9 a 49 mesi per attribuire 200 euro a tutte le vittime è, secondo il nostro punto di vista, incomprensibile e ingiusto.
Nel caso dell’Italia, condividiamo l’idea secondo cui l’esame delle cause «Pinto» deve essere quanto più semplificato possibile, e quella di fissare delle somme che, da una parte, non incoraggiano l’afflusso massiccio dei ricorsi e, dall’altra, non diano la sensazione che venga concesso un «premio» allo «Stato che si trova in condizione di infrazione».
Secondo noi, le somme da accordare, per quanto modeste siano, dovrebbero essere proporzionali ai ritardi in contestazione.