Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 6 marzo 2007 - Ricorso n. 43662/98 - Scordino c/Italia

SENTENZA
STRASBURGO, 6 marzo 2007

Tale sentenza diventerà definitiva alle condizioni previste dall'articolo 44 § 2 della Convenzione, e potrà subire delle modifiche formali.

Nella causa SCORDINO c/ Italia (n° 3),

La Corte europea dei Diritti dell'Uomo (quarta sezione), riunitasi in camera alla presenza di:

Sir Nicolas Bratza, presidente,
J. Casadevall,
G. Bonello,
K. Traja,
L. Garlicki,
L. Muovic, giudici
M. Del Tufo, giudice ad hoc,

e di T.L. Early, cancelliere della Sezione

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 13 febbraio 2007,
Pronunzia la seguente decisione, approvata in tal data:


PROCEDIMENTO

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n° 43662/98) presentato contro la Repubblica italiana, di cui quattro cittadini italiani, Giovanni, Elena, Maria e Giuliana Scordino ("i ricorrenti") avevano investito la Commissione Europea dei Diritti dell'Uomo ("la Commissione") il 12 agosto 1998 ai sensi del vecchio articolo 25 della Convenzione della salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà fondamentali ("la Convenzione").
  2. Con sentenza del 17 maggio 2005 ("la sentenza principale"), la Corte ha ritenuto che le ingerenze nel diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti non fossero compatibili con il principio di legalità e che dunque vi era stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1 (Scordino c. Italia (n° 3), n° 43662/98, § 101, e punto 1 del dispositivo, 17 maggio 2005).
  3. Appellandosi all'articolo 41 della Convenzione, i ricorrenti chiedevano, a titolo di danni materiali, una somma corrispondente al valore del terreno controverso, dopo detrazione dell'indennizzo ottenuta a livello nazionale, e dopo aggiunta del valore degli immobili costruiti sul loro terreno. Inoltre, i ricorrenti hanno chiesto un indennizzo per danni morali. Infine, i ricorrenti hanno chiesto il rimborso delle spese di giustizia sostenute dinanzi alle giurisdizioni nazionali e delle spese sostenute nel procedimento di Strasburgo.
  4. Poiché la questione dell'applicazione dell'articolo 41 della Convenzione non era stata definita, la Corte l'ha riservata e ha invitato il Governo e i ricorrenti a sottoporle in forma scritta, entro tre mesi dal giorno in cui la sentenza sarebbe diventata definitiva, le loro osservazioni su tale questione e in particolare a comunicarle qualsiasi accordo a cui potessero essere giunti (ibidem, § 108, e punto 2 del dispositivo).
  5. La sentenza principale è diventata definitiva il 12 ottobre 2005, in seguito al fatto che il collegio di cinque giudici della Grande Camera hanno respinto la richiesta di rinvio depositata dal governo convenuto. Il termine di tre mesi è scaduto senza che le parti abbiano raggiunto alcun accordo.
  6. Il 12 giugno 2006, il Presidente della Camera, che doveva seguire il procedimento (punto 2 c) del dispositivo della sentenza principale), ha deciso di chiedere alle parti di nominare ognuna un perito per valutare il danno materiale e depositare un rapporto di perizia prima del 30 settembre 2006.
  7. Soltanto i ricorrenti hanno depositato un rapporto di perizia nel termine ingiunto, che è stata trasmesso al Governo.
  8. Il 8 novembre 2006, il Governo ha depositato delle memorie, a cui i ricorrenti hanno risposto il 9 gennaio 2007.

    IN DIRITTO

    I - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 46 DELLA CONVENZIONE
     
  9. Ai sensi di tale norma:
    1. "Le alte Parti contraenti s'impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte nelle controversie nelle quali sono parti.
    2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l'esecuzione."
  10. La Corte ricorda di aver concluso nella sua sentenza principale (§§ 92-94 e §§ 98-102 della sentenza principale):
    "La Corte osserva poi che vi è il rischio di un risultato imprevedibile o arbitrario per i privati, poiché il meccanismo dell'espropriazione indiretta generalmente permette alla pubblica amministrazione di oltrepassare le regole stabilite in materia di espropriazione: sotto questo profilo è indifferente che si tratti di illegalità ab origine o sopravvenuta.
    In proposito, la Corte osserva che l'espropriazione indiretta permette l'acquisizione di un terreno da parte dell'amministrazione e la sua trasformazione irreversibile, di modo che esso sia considerato acquisito al patrimonio pubblico, senza che sia intervenuto un formale atto di trasferimento della proprietà. In mancanza di un atto formale di espropriazione, che può intervenire al massimo nel momento in cui il proprietario ha perso ogni disponibilità del bene, la constatazione dell'illegalità da parte del giudice, che serve da dichiarazione di passaggio di proprietà, è l'elemento che permetterà di trasferire al patrimonio pubblico il bene occupato e di raggiungere una sicurezza giuridica. Spetta all'interessato - che continua ad essere il proprietario formale - chiedere al giudice competente una decisione che accerti, se è il caso, la situazione di illegalità a cui si aggiunge, eventualmente, la costruzione dell'opera di interesse pubblico, requisiti necessari affinché egli sia dichiarato privato del suo bene retroattivamente.
    In considerazione dei succitati elementi, la Corte ritiene che il meccanismo dell'espropriazione indiretta non garantisca un grado sufficiente di sicurezza giuridica. (&)
    Nel presente procedimento, la Corte ritiene che con l'applicazione del principio dell'espropriazione indiretta, i giudici nazionali abbiano considerato i ricorrenti privi della proprietà del bene dal 13 gennaio 1982, in quanto sussistevano i requisiti di occupazione illecita e di interesse pubblico dell'opera. Ora, in mancanza di un valido atto di espropriazione, la Corte ritiene che tale situazione non può essere considerata "prevedibile", in quanto solo con la decisione definitiva - la sentenza della Corte di Cassazione - si può ritenere che sia stato effettivamente applicato il principio dell'espropriazione indiretta e che sia stata consacrata l'acquisizione del terreno al patrimonio pubblico. I ricorrenti, quindi, hanno avuto la "sicurezza giuridica" relativamente alla privazione del terreno soltanto il 23 agosto 2002, data del deposito in cancelleria della sentenza della Corte di cassazione.
    Inoltre, la corte osserva che la situazione in questione ha permesso all'amministrazione di godere di un'occupazione di terreno sine titulo fin dall'inizio e qualificata come arbitraria dal tribunale amministrativo (vedi paragrafo 14 più oltre). In altre parole, l'amministrazione si è impadronita del terreno ignorando le norme che regolamentano l'espropriazione in buona e dovuta forma e, tra l'altro, senza mettere a disposizione degli interessati alcun indennizzo.
    Per quanto riguarda l'indennizzo, la Corte osserva che l'applicazione retroattiva della legge finanziaria n° 662 del 1996 alla fattispecie ha avuto l'effetto di privare i ricorrenti di un risarcimento integrale del danno subito.
    Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che l'ingerenza nella lite non sia compatibile con il principio di legalità e che essa abbia perciò violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.
    Vi è quindi stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1."
  11. La violazione del diritto dei ricorrenti, quale esso è garantito dall'articolo 1 del Protocollo n° 1, deriva da un problema su grande scala che risulta dal comportamento non a norma delle amministrazioni e convalidato dalle corti e dai tribunali a titolo di espropriazione indiretta, e che permette a queste stesse amministrazioni di impadronirsi dei beni in questione. Il fatto di ignorare il principio di legalità e il diritto al rispetto dei beni non è stato cagionato da un evento isolato né è imputabile a come sono andate le cose in particolare nel caso degli interessati, ma deriva dall'applicazione del principio dell'espropriazione indiretta, principio di fonte giurisprudenziale, successivamente codificato, relativamente a una categoria precisa di cittadini, ovvero i proprietari di terreni senza titolo occupati fin dall'inizio o da un momento preciso (§§ 30-60 della sentenza principale).
    La Corte ritiene che i fatti del procedimento rilevino una falla nell'ordinamento giuridico italiano, in conseguenza della quale una categoria intera di privati si è vista, o si vede tuttora, privata arbitrariamente del diritto al rispetto dei propri beni. La Corte ritiene inoltre che le lacune del diritto individuate in questo particolare procedimento possano dar luogo in futuro a numerosi ricorsi fondati.
  12. Prima di esaminare le richieste di equa soddisfazione presentate dai ricorrenti ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, e in considerazione delle circostanze del caso nonché dell'evoluzione del suo onere di lavoro, la Corte si propone di studiare quali conseguenze possono essere dedotte dall'articolo 46 della Convenzione relativamente allo Stato convenuto, e ricorda che ai sensi dell'articolo 46 le Alte Parti contraenti si impegnano ad uniformarsi alle sentenze definitive emesse dalla Corte nelle controversie di cui sono parte in causa, con la sorveglianza del Comitato dei Ministri sull'esecuzione di tali sentenze. Ne deriva in particolare che, quando la Corte accerta una violazione, lo Stato convenuto ha l'obbligo giuridico non solo di versare agli interessati le somme accordate a titolo di equa soddisfazione di cui all'articolo 41, ma anche di scegliere, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, eventualmente, individuali da integrare nel suo ordinamento giuridico interno allo scopo di mettere fine alla violazione accertata dalla Corte e di annullarne le conseguenze per quanto possibile. Lo Stato convenuto rimane libero, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, di scegliere i mezzi per assolvere al suo obbligo giuridico relativamente all'articolo 46 della Convenzione, purché tali mezzi siano compatibili con le conclusioni contenute nella sentenza della Corte (Scozzari e Giunta c/Italia (GC), n° 39221/98 e 41963/98, § 249, CEDU 2000-VIII; Broniowski c/Polonia (GC), n° 31443/96, § 192, CEDU 2004-V).
  13. Inoltre, risulta dalla Convenzione, e in particolare dal suo articolo 1, che gli Stati contraenti, nel ratificare la Convenzione, si sono impegnati a far sì che il loro diritto interno sia con essa compatibile (Maestri c/Italia (GC), n° 39748/98, § 47, CEDU 2004-I).
  14. La violazione che la Corte ha accertato nella fattispecie deriva da una situazione riguardante un notevole numero di persone, ossia la categoria di privati interessati dall'occupazione senza titolo di un terreno, e che possono perdere il loro bene in seguito a una decisione giudiziaria che ratifichi il comportamento illegale delle autorità ai sensi dell'espropriazione indiretta. La Corte è già stata investita di decine di ricorsi di questo tipo. Il 30 maggio 2000, la Corte si è pronunciata per la prima volta sull'espropriazione indiretta (Carbonara e Ventura c/Italia, n° 24638/94, CEDU 2000-VI; Belvedere Alberghiera S.r.l. c/Italia, n° 31524/96, CEDU 2000-VI). Nel 2003, la Corte ha precisato i criteri che si applicano all'equa soddisfazione in caso di espropriazione indiretta (Carbonara e Ventura c/Italia (equa soddisfazione), n° 24638/94, 11 dicembre 2003; Belvedere Alberghiera c/Italia (equa soddisfazione), n° 31524/96, 30 ottobre 2003). Da allora la Corte ha emesso diverse sentenze che accertano la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1 a causa di una privazione di beni a titolo di espropriazione indiretta. Ciò non rappresenta soltanto un'aggravante relativamente alla responsabilità dello Stato rispetto alla Convenzione a causa di una situazione passata o attuale, ma anche una minaccia per l'effettività nel futuro del dispositivo attuato dalla Convenzione.
  15. Benché in principio non spetti alla Corte definire quali possano essere le appropriate misure di riparazione affinché lo Stato convenuto ottemperi ai suoi obblighi relativamente all'articolo 46 della Convenzione, in considerazione della situazione di carattere strutturale da lei accertata, la Corte osserva che nell'ambito dell'esecuzione della presente sentenza si impongono indubbiamente misure generali a livello nazionale, misure che devono tener conto dell'alto numero di persone coinvolte. Inoltre, le misure adottate devono essere tali da rimediare alla falla strutturale da cui deriva l'accertamento della violazione da parte della Corte, in modo che il sistema messo in piedi dalla Convenzione non sia compromesso da un elevato numero di ricorsi derivanti dalla stessa causa. Tali misure devono perciò includere un meccanismo che offra alle parti lese un risarcimento per la violazione della Convenzione accertata nella presente sentenza relativamente ai ricorrenti. In proposito, la Corte vuole facilitare la soppressione rapida e efficace di un malfunzionamento constatato nel sistema nazionale di protezione dei diritti dell'uomo. Una volta identificata tale mancanza, spetta alle autorità nazionali, sotto il controllo del Comitato dei Ministri, prendere, retroattivamente se necessario (vedi sentenze Bottazzi c/Italia (GC), n° 34884/97, § 22, CEDU 1999-V, Di Mauro c/Italia (GC), n° 34256/96, § 23, CEDU 1999-V, e la Risoluzione provvisoria del Comitato dei Ministri ResDH (2000) 135 del 25 ottobre 2000 (Durata eccessiva dei procedimenti giudiziari in Italia: misure di carattere generale); vedi altresì Brusco c/Italia (dec.), n° 69789/01, CEDU 2001-IX, e Giacometti e altri c/Italia (dec.), n° 34939/97, CEDU 2001-XII), le misure di riparazione necessarie conformemente al principio di sussidiarietà della Convenzione, affinché la Corte non debba ripetutamente accertare la violazione in un una lunga serie di procedimenti simili.
  16. Al fine di aiutare lo Stato convenuto ad ottemperare ai suoi obblighi ai sensi dell'articolo 46, la Corte ha cercato di indicare il tipo di misure che lo Stato italiano potrebbe prendere per mettere fine alla situazione strutturale constatata nella fattispecie.
    La Corte ritiene che lo Stato dovrebbe, prima di tutto, prendere misure che abbiano l'obiettivo di evitare qualsiasi occupazione non a norma di terreni, sia che si tratti di occupazione sine titulo fin dall'inizio, ovvero che si tratti di occupazione inizialmente autorizzata e diventata successivamente sine titulo. In tale prospettiva, sarebbe possibile autorizzare l'occupazione di un terreno soltanto quando è accertato che il progetto e le decisioni di esproprio sono stati approvati nel rispetto delle norme fissate e che essi sono dotati di una linea finanziaria che possa garantire un indennizzo rapido e adeguato dell'interessato (per i principi applicabili in materia di indennizzo in caso di espropriazione in buona e dovuta forma, vedi Scordino c/Italia (n° 1) (GC), n° 36813/97, §§ 93-98, CEDU 2006-). Inoltre, lo Stato convenuto dovrebbe scoraggiare le pratiche non conformi alle norme degli espropri in buona e dovuta forma, adottando misure dissuasive e cercando di individuare le responsabilità degli autori di tali pratiche.
    In tutti i casi in cui un terreno è già stato oggetto di occupazione sine titulo ed è stato trasformato senza il decreto di esproprio, la Corte ritiene che lo Stato convenuto dovrebbe sopprimere gli ostacoli giuridici che impediscono la restituzione del terreno sistematicamente e per principio. Quando la restituzione di un terreno risulta impossibile per motivi plausibili in concreto, lo Stato convenuto dovrebbe garantire il pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe la restituzione in natura. Inoltre, lo Stato dovrebbe prendere misure di bilancio adeguate al fine di concedere, se è il caso, il risarcimento per le perdite subite e che non sarebbero compensate dalla restituzione in natura o dal pagamento sostitutivo (vedi paragrafi seguenti 25-39).

    II - SULL'APPLICAZIONE DELL'ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  17. Ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione,
    "Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell'Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un'equa soddisfazione alla parte lesa."

    A. Danni materiali

    Le tesi dei ricorrenti
  18. I ricorrenti chiedono alla Corte di concedere loro un'equa soddisfazione in conformità alla giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (Carbonara e Ventura c/Italia (equa soddisfazione), n° 24638/94, 11 dicembre 2003; Belvedere Alberghiera c/Italia (equa soddisfazione), n° 31524/96, 30 ottobre 2003). Secondo i ricorrenti, soltanto la restituzione del terreno avrebbe potuto metterli in una situazione equivalente a quella iniziale. In mancanza di restituzione, i ricorrenti chiedono di essere risarciti integralmente, dopo aver dedotto la somma da loro percepita a livello nazionale, e chiedono una somma che corrisponda al valore attuale del terreno, aumentata del plusvalore corrispondente all'esistenza di edifici, e al mancato godimento.
  19. A sostegno delle loro richieste, i ricorrenti hanno depositato un rapporto di perizia, redatto da tre periti, che riguarda un'area di 3.694 metri quadrati, a pochi chilometri dal centro della città di Reggio Calabria, in una zona che si presta allo sviluppo urbanistico.
    Secondo il rapporto, nel 1980, anno dell'occupazione del terreno, l'indice di fabbricabilità passò da 1,75 metri cubi per metro quadro a 3,15 metri cubi per metro quadro. Vi sono stati costruiti due edifici con trenta alloggi e dei garage, per un volume di 13.338 metri cubi.
    I periti hanno valutato in 1.329.840 EUR (360 EUR al metro quadro) il valore attuale del terreno, in funzione del mercato immobiliare odierno.
    I periti hanno poi valutato il plusvalore apportato dall'esistenza dei due edifici ad uso residenziale, che, dedotto il valore del terreno, ammonta a 2.476.067 EUR.
    Tra l'altro, i periti hanno indicato che il costo di edificazione degli edifici nel 2006, dedotto il 17% per la vetustà degli immobili, meno il valore del terreno, è sempre di 2.476.067 EUR.
    Infine, i periti hanno valutato il danno per mancato godimento, dovuto all'impossibilità di usare il terreno e gli edifici per più di ventiquattro anni. Tale danno ammonta complessivamente a 4.179.653,50 EUR.
  20. Riportiamo qui di seguito una tabella riassuntiva delle conclusioni dei periti:
    valore del terreno nel 2006: 1.329.840 EUR
    Plusvalore apportato dagli edifici = costo di edificazione nel 2006, meno la vetustà: 2.476.067 EUR
    Mancato godimento del terreno e degli edifici: 4.179.653,50 EUR

    Le tesi del Governo
  21. Il Governo non ha presentato né controperizia, né espresso critiche sul fondamento e sull'esattezza dei calcoli figuranti nella perizia dei ricorrenti.
  22. Nelle sue memorie, il Governo contesta la giurisprudenza della Corte in materia di equa soddisfazione per arbitraria privazione dei beni, giurisprudenza su cui si basano le richieste dei ricorrenti.
    Il Governo ritiene che la sentenza Papamichalopoulos rappresenti un errato precedente, sia sul piano giuridico che economico: vi sarebbe stata confusione tra il valore degli edifici, il costo di edificazione, il plusvalore apportato dagli edifici. Inoltre, il Governo sostiene che il fatto di mettere a carico di uno Stato l'obbligo di restituire un terreno - compresi gli edifici che vi sono stati costruiti -, significa un arricchimento per l'interessato, che quindi otterrebbe gratuitamente l'investimento effettuato dallo Stato.
    Successivamente, il Governo critica la sentenza Carbonara e Ventura, nella misura in cui è stata concessa al ricorrente una somma corrispondente al costo di edificazione della scuola costruita dalle autorità. Infine, il Governo osserva che nel procedimento Belvedere Alberghiera, in cui il terreno era stato utilizzato per la costruzione di una strada, la Corte non ha concesso una somma corrispondente al costo di costruzione della strada ma una somma per il deprezzamento dell'immobile dovuto alla costruzione della strada.
  23. In conclusione, il Governo ritiene che la giurisprudenza sia incoerente e chiede alla Corte di non tenerne conto.
  24. Il Governo esorta la Corte affinché essa adotti nuovi criteri e conceda quindi agli interessati un'equa soddisfazione che si limiti al valore di mercato del terreno all'epoca della trasformazione di quest'ultimo, aumentata del tasso d'inflazione nel periodo relativo e degli interessi. A sostegno della sua tesi, il Governo sostiene che la decisione con cui i tribunali nazionali accertano l'illegalità commessa dall'amministrazione abbia l'effetto di legalizzare la situazione, in quanto sostituisce il mancato atto di espropriazione. Di conseguenza, gli interessati non possono pensare di avere un risarcimento, in quanto quest'ultimo è riservato ai casi di arbitraria privazione dei beni.

    Decisione della Corte
  25. La Corte ribadisce che una sentenza che accerti una violazione implica per lo Stato convenuto l'obbligo giuridico di porre fine a tale violazione e di risarcirne le conseguenze in modo tale da ripristinare, per quanto possibile, la situazione preesistente alla violazione (Iatridis c/ Grecia (equa soddisfazione) (GC), n° 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).
  26. Gli Stati contraenti che sono parti di un procedimento hanno, in linea di principio, la libertà di scegliere gli strumenti con cui adeguarsi ad una sentenza in cui la Corte ha rilevato una violazione. Tale discrezionalità circa le modalità di esecuzione di una sentenza è speculare rispetto alla libertà di scelta derivante dall'obbligo primario degli Stati contraenti di garantire il rispetto dei diritti e delle libertà ai sensi della Convenzione (articolo 1). Se la natura della violazione consente la restitutio in integrum, è compito dello Stato resistente attuarla, in quanto la Corte non ha né il potere né la possibilità pratica di farlo essa stessa. Se, d'altro canto, la normativa nazionale non consente, ovvero consente solo parzialmente, di riparare le conseguenze della violazione, l'articolo 41 consente alla Corte di accordare alla parte lesa l'indennizzo che a suo avviso appare adeguato (Brumarescu c/Romania (equa soddisfazione) (GC), n. 28342/95, § 20, CEDU 2001-I).
  27. Nella sentenza principale, la Corte ha dichiarato che l'ingerenza in questione non soddisfaceva il requisito di legalità (§§ 98-102 della sentenza principale). L'atto del Governo italiano che la Corte ha ritenuto essere contrario alla Convenzione non era nella fattispecie un'espropriazione che sarebbe stata legittima se fosse stata corrisposta un'equa indennità; si trattava invece di un impossessamento dello Stato sul terreno dei ricorrenti, a cui essi non hanno potuto reagire (§§ 99-100 della sentenza principale).
    In proposito, la Corte ha osservato che le giurisdizioni nazionali hanno preso atto della situazione di illegalità, e che, in seguito a tale accertamento, hanno dichiarato i ricorrenti privati dei loro beni a beneficio dell'occupante (§ 98 della sentenza principale). Inoltre, la Corte ha ritenuto che malgrado l'indennità versata ai ricorrenti, non vi era stato "risarcimento integrale del danno subìto" (§ 100 della sentenza principale).
  28. Da tali elementi, risulta chiaramente che la Corte ha tenuto conto dello statuto di "vittima" dei ricorrenti per arrivare poi all'accertamento della violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1 (Eckle c/Germania, sentenza del 15 luglio 1982, serie A n. 51, p. 32, §§ 69 e segg., Amuur c/Francia, 25 giugno 1996, Raccolta 1996-III, p. 846, § 36, Dalban c/Romania (GC), n° 28114/95, § 44, CEDU 1999-VI, e Jensen c/Danimarca (dec.), n° 48470/99, CEDU 2001-X). Tra l'altro, i ricorrenti sono sempre "vittime", in quanto la loro situazione è rimasta immutata dalla pronuncia della sentenza principale.
  29. La Corte ribadisce che secondo lei, la decisione con cui una giurisdizione nazionale prende atto di un'occupazione illegale di terreno e ne dichiara l'espropriazione indiretta non ha l'effetto di regolarizzare la situazione denunciata, ma si limita ad interinare una situazione illegale (tra le numerose sentenze, vedi Serrao c/Italia, n° 67198/01, § 81, 13 ottobre 2005), situazione che quindi non può essere risanata in assenza di un risarcimento conforme ai criteri applicabili ai casi di illegale privazione di beni.
  30. Di conseguenza, la Corte respinge la tesi del Governo e riafferma l'impossibilità di mettere sullo stesso piano un esproprio regolare, che disconoscerebbe l'articolo 1 del Protocollo n° 1 per l'inadeguatezza dell'indennizzo, e un procedimento come quello della fattispecie, in cui la violazione del diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti dipende dalla violazione del principio di legalità (Ex-Re di Grecia e altri c/Grecia (equa soddisfazione) (GC), n° 25701/94, § 75, CEDU 2002).
    Ne deriva che il risarcimento in caso di espropriazione indiretta sarà diverso dall'indennizzo considerato per i procedimenti in cui la constatazione di violazione dell'articolo 1 del Protocollo n° 1 per privazione di beni si basa sulla rottura del "giusto equilibrio", in considerazione del livello d'indennizzo di molto inferiore al valore di mercato del terreno e della mancanza di motivi "di pubblica utilità" che permettono di versare un indennizzo di espropriazione inferiore al valore del bene (Scordino c/Italia (n° 1) (GC), n° 36813/97, § 257, CEDU 2006-).
  31. L'indennizzo da determinare nella fattispecie dovrà riflettere l'idea di una totale eliminazione delle conseguenze dell'ingerenza nella lite. In effetti, nel presente procedimento all'origine della violazione constatata relativamente all'articolo 1 del Protocollo n° 1 vi è stata l'illegalità intrinseca della confisca del terreno. L'illiceità di tale occupazione si ripercuote per forza di cose sui criteri da applicare per definire il risarcimento che lo Stato convenuto deve versare, in quanto le conseguenze finanziarie di una confisca lecita non possono essere paragonate a quelle di un'occupazione illecita (Ex-Re di Grecia e altri c/Grecia (equa soddisfazione) (GC), succitato, § 75; Scordino c/Italia (GC), succitato, §250).
  32. La Corte ricorda di aver basato la sua giurisprudenza in materia di equa soddisfazione in caso di arbitraria privazione di beni sui principi elaborati dalla Corte permanente di giustizia internazionale (Papamichalopoulos e altri c/Grecia (articolo 50), sentenza del 31 ottobre 1995, serie A n° 330-B, § 35), che nella sua sentenza del 13 settembre 1928 nel procedimento relativo alla fabbrica di ChorzO'w ha sancito:
    "(&) il risarcimento deve, per quanto possibile, eliminare ogni conseguenza dell'atto illecito e ripristinare lo stato che probabilmente sarebbe sussistito se il detto atto non fosse stato commesso. Risarcimento in natura, o, se non è possibile, pagamento di una somma corrispondente al valore che avrebbe il risarcimento in natura; riconoscimento, eventualmente, dei danni per le perdite subite e non coperte dal risarcimento in natura o dal pagamento sostitutivo; questi sono i principi a cui deve ispirarsi la definizione dell'ammontare dell'indennizzo dovuto a causa di un fatto contrario al diritto internazionale." (Raccolta delle sentenze, serie A n° 17, p. 47).
  33. La Corte ha adottato una posizione molto simile nel procedimento Papamichalopoulos c/Grecia (Papamichalopoulos e altri c/Grecia (articolo 50), succitato, §§ 36 e 39), in cui essa ha giudicato che vi era stata una violazione a causa di un'espropriazione di fatto irregolare (occupazione di terre da parte della marina greca dal 1967) che durava da più di venticinque anni al momento della sentenza principale emessa il 24 giugno 1993. La Corte intimò quindi allo Stato greco di versare ai ricorrenti, per danni e mancato godimento dal momento dell'impossessamento di questi terreni da parte delle autorità, una somma equivalente al valore attuale dei terreni aumentata del plusvalore apportato dall'esistenza di alcuni edifici che sarebbero stati edificati dopo l'occupazione.
  34. La Corte ha seguito questa stessa impostazione in due procedimenti italiani relativi ad espropri non conformi al principio della preminenza del diritto. Nel primo di questi procedimenti, Belvedere Alberghiera S.r.l. c/Italia (equa soddisfazione), n° 31524/96, §§ 34-36, 30 ottobre 2003), essa ha stabilito quanto segue:
    "Poiché è l'illegalità intrinseca dell'impossessamento che è stata all'origine della violazione constatata, l'indennizzo deve necessariamente riflettere il valore pieno ed integrale dei beni.
    Con riguardo al danno materiale, la Corte ritiene in conseguenza che l'indennizzo da concedere alla ricorrente non si limiti al valore che la sua proprietà aveva alla data dell'occupazione, e per questa ragione essa ha invitato il perito a valutare anche il valore attuale del terreno oggetto del contendere e gli altri pregiudizi.
    La Corte decide che lo Stato dovrà versare all'interessata il valore attuale del terreno. A questo valore si aggiungerà una somma relativa al mancato godimento del terreno dal momento in cui le autorità hanno preso possesso del terreno nel 1987 e per il deprezzamento dell'immobile. Inoltre, in difetto di controdeduzioni del Governo sulla perizia, è d'uopo concedere una somma per il mancato guadagno nell'attività alberghiera."
  35. Nel secondo di tali procedimenti (Carbonara e Ventura c/Italia (equa soddisfazione), n° 24638/94, §§ 40-41, 11 dicembre 2003), la Corte ha dichiarato:
    "Trattandosi di danno materiale, la Corte stima di conseguenza che l'indennità da accordarsi ai ricorrenti non si limiti al valore che aveva la loro proprietà alla data della sua occupazione. Per questo motivo, ella ha invitato il perito a stimare anche il valore attuale del terreno oggetto della lite. Questo valore non dipende dalle condizioni ipotetiche, il che accadrebbe se si trovasse oggi nello stesso stato del 1970. Scaturisce chiaramente dalla relazione di perizia che da allora il detto terreno ed il suo immediato vicinato - che disponevano per la loro situazione di una potenzialità di sviluppo urbanistico - sono stati valorizzati dalla costruzione di edifici, fra cui la scuola.
    La Corte decide che lo Stato dovrà versare agli interessati, per danno o per mancato godimento da quando la pubblica amministrazione ha preso possesso del terreno nel 1970, il valore attuale del terreno aumentato del plusvalore apportato dall'esistenza dell'edificio.
    Quanto alla determinazione dell'ammontare di questa indennità, la Corte fa proprie le conclusioni del rapporto di perizia per la valutazione esatta del danno subito, che ammonta a 1.385.394,60 euro.»
  36. Dall'analisi delle tre cause suddette tutte riguardanti casi di occupazione in sé illegittima emerge che al fine di riparare integralmente il danno subito la Corte ha concesso delle somme che tenevano conto del valore venale del terreno in rapporto al mercato immobiliare attuale. Inoltre, ha cercato di compensare le perdite subite non coperte da tale risarcimento tenendo conto del potenziale del terreno in causa, calcolato, se necessario, partendo dal costo di edificazione degli immobili eretti dall'espropriante.
  37. Tenuto conto di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che nel presente procedimento la natura della violazione accertata nella sentenza principale le permette di partire dal principio di una restitutio in integrum, e quindi considera che la restituzione del terreno controverso - insieme all'assegnazione degli edifici esistenti - avrebbe messo i ricorrenti, il più possibile, in una situazione equivalente a quella in cui si troverebbero se non vi fosse stata violazione delle esigenze dell'articolo 1 del Protocollo n° 1: li risarcirebbe perciò completamente delle conseguenze del presunto mancato godimento (Papamichalopoulos e altri c/Grecia (articolo 50), sentenza succitata, § 36 e § 38).
  38. In mancanza di restituzione, la Corte ritiene che l'indennizzo da concedere ai ricorrenti non si limiti al valore che aveva la loro proprietà al momento dell'occupazione, e stabilisce che lo Stato dovrà versare agli interessati una somma corrispondente al valore attuale del terreno (1.329.840 EUR), da cui occorre detrarre l'indennizzo avuto dai ricorrenti a livello nazionale (cioè 264.284.339 ITL nel 1982, vedi paragrafo 25 della sentenza principale), attualizzato (ossia circa 436 000 EUR). A tale somma, si aggiungerà il plusvalore apportato dalla presenza di edifici - che nella fattispecie è stato considerato alla stregua del costo di edificazione - e che può risarcire i ricorrenti anche per ogni altra perdita da loro subita.
  39. Per quanto riguarda la determinazione dell'ammontare di tale indennizzo, in mancanza di perizia da parte del Governo e di commenti relativi alle somme richieste, la Corte si basa sul rapporto di perizia dei ricorrenti, e, deliberando in equità concede ai ricorrenti 3.300.000 EUR.

    B. Danni morali
     
  40. I ricorrenti chiedono ognuno 25.000 EUR.
  41. Il Governo trova tali somme eccessive e si rimette al giudizio della Corte.
  42. La Corte ritiene che la violazione della Convenzione abbia apportato ai ricorrenti un sicuro danno morale, derivante dal sentimento di impotenza e di frustrazione di fronte all'occupazione illegale dei loro beni. Deliberando in equità, concede a ogni ricorrente 10.000 EUR per tale motivo, ossia 40.000 EUR in totale.

    C. Spese di procedimento
     
  43. I ricorrenti chiedono il rimborso delle spese di 26.983,76 EUR per le spese di procedimento sostenute dinanzi alle giurisdizioni nazionali, e chiedono inoltre il rimborso delle spese sostenute dinanzi alla Corte, per un ammontare complessivo di 51.891,44 EUR, di cui 46000 EUR per onorari, oltre all'IVA e ai contributi sociali. I ricorrenti non chiedono il rimborso delle spese di perizia.
  44. Il Governo osserva che le spese richieste sono eccessive e si rimette al giudizio della Corte.
  45. La Corte ricorda che la concessione delle spese di procedimento ai sensi dell'articolo 41 soltanto nella misura in cui ne sono accertate la concretezza, la necessità e, inoltre, la ragionevolezza del loro tasso (Iatridis c/Grecia (equa soddisfazione) succitata, § 54). Inoltre, le spese giudiziarie sono recuperabili soltanto se riguardano la violazione accertata (Van de Hurk c/Olanda, sentenza del 19 aprile 1994, serie A n° 288, § 66).
  46. La Corte non mette in dubbio la necessità delle spese reclamate né che siano state effettivamente sostenute a questo titolo, e ritiene inoltre che il procedimento dei ricorrenti dinanzi alle giurisdizioni nazionali mirava essenzialmente ad ottenere il risarcimento delle presunte violazioni della Convenzione dinanzi alla Corte. Tuttavia, la Corte ritiene gli onorari complessivi rivendicati a tale titolo troppo alti, e considera perciò che debbano essere rimborsati solo parzialmente.
    Tenuto conto delle circostanze della causa, e deliberando in equità ai sensi dell'articolo 41 della Convenzione, la Corte ritiene ragionevole la somma di 30.000 EUR, oltre all'IVA e alla CPA, per le spese di procedimento sostenute complessivamente dinanzi alle giurisdizioni nazionali e a Strasburgo.

    Interessi moratori
     
  47. La Corte ritiene opportuno che gli interessi moratori debbano essere ragguagliati al tasso di interesse ufficiale marginale della Banca centrale europea maggiorati di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL'UNANIMITA',

  1. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre mesi dal momento in cui la sentenza sarà divenuta definitiva ai sensi dell'articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 3.300.000 EUR (tre milioni trecentomila euro) per danni materiali;
      2. 40.000 EUR (quarantamila euro) e 3.000.000 (tre milioni) per danni morali;
      3. 30.000 EUR (trentamila euro) per le spese di procedimento;
      4. qualsiasi altra somma concedibile a titolo di imposta su tali somme;
    2. che dal momento della scadenza di tale termine e fino al versamento, tali somme dovranno essere ricalcolate in base ad un interesse semplice al tasso corrispondente a quello di interesse ufficiale marginale della Banca centrale europea applicabile in tale periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
  2. Respinge la richiesta di equa soddisfazione per il resto.




Fatto in francese e successivamente comunicato in forma scritta il 6 marzo 2007 ai sensi dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

T.L. Early
Cancelliere

Nicolas Bratza
Presidente