Commissione Rovelli - revisione sistematica del diritto commerciale (13 aprile 1999) - Relazione e articolato in materia di insolvenza transfrontaliera (Allegato 4 alla Relazione generale)
Relazione allo schema di disegno di legge recante norme in materia di insolvenza transfrontaliera
1. L'esigenza di realizzare un coordinamento tra gli ordinamenti, a diverso titolo, collegati con fallimenti aventi implicazioni transfrontaliere, riguarda e accomuna tutti i paesi industrializzati. Tale esigenza deriva dal crescente intrecciarsi di rapporti economici tra soggetti di nazionalità diverse o che si trovano ad operare in paesi differenti; accade, infatti, sempre più di frequente che, in caso di apertura di una procedura concorsuale in un determinato Stato, soltanto una parte dei beni del debitore viene sottoposta all'esecuzione fallimentare, mentre il restante patrimonio, localizzato nel territorio degli altri paesi, viene sottoposto ad una procedura parallela e confliggente o risulta sottratto a qualunque procedura concorsuale.
Ormai da tempo si sono evidenziati i problemi derivanti dall'insolvenza transnazionale, in particolare in merito all'individuazione del giudice competente, alla determinazione della legge applicabile e al riconoscimento dei provvedimenti pronunciati all'estero. Sino ad oggi, a livello internazionale, non sono state elaborate soluzioni adeguate; le convenzioni dedicate all'argomento hanno, infatti, un ambito di applicazione limitato (solitamente si tratta di convenzioni bilaterali), mentre i pochi esempi di trattati a carattere multilaterale non sempre riescono a raggiungere il numero di ratifiche sufficienti per l'entrata in vigore.
Il compito di disciplinare le procedure d'insolvenza a carattere transfrontaliero è stato, essenzialmente, affidato all'iniziativa dei singoli Stati e, in particolare, alla disciplina interna di diritto internazionale privato, profondamente divergente da paese a paese e, talora, del tutto carente, come accade nell'ordinamento italiano.
2. Con la recente approvazione della legge italiana di riforma del diritto internazionale privato (l. 218/95) si è persa l'occasione per stabilire quali siano gli effetti che le procedure di insolvenza aperte all'estero possono avere nell'ordinamento interno e per tentare di effettuarne un coordinamento rispetto a procedimenti eventualmente aperti nello Stato. Nessuna disposizione specifica è contenuta nella legge di riforma né in ordine la possibilità di riconoscere decisioni fallimentari straniere, né in ordine ai requisiti cui condizionare la produzione dei loro effetti; tanto meno, sono previste modalità per garantire una collaborazione efficace tra corti o autorità italiane e corti o autorità appartenenti a paesi stranieri.
La mancanza di previsioni espresse ha lasciato aperta anche la questione dei rapporti tra disciplina contenuta nella legge n. 218/95 e disciplina contenuta nella legge fallimentare. Il primo problema si pone nella determinazione della relazione esistente tra art. 9 l. fall., che individua le condizioni ricorrendo le quali è possibile aprire una procedura concorsuale, e l'art. 3, secondo comma, della legge di riforma, che, nelle materie non coperte dalla convenzione di Bruxelles, trasforma i criteri di competenza territoriale in titoli di giurisdizione.
Problemi di compatibilità si sono, inoltre, posti tra gli artt. 7 e 64 della legge 218/1995, da un lato, e la seconda parte del secondo comma dell'art. 9, dall'altro lato. La legge fallimentare prevede, infatti, la possibilità di dichiarare il fallimento in Italia anche successivamente ad una dichiarazione di fallimento dello stesso imprenditore all'estero, ponendosi in contrasto sia con il principio del rilievo della litispendenza internazionale, sia con il principio del riconoscimento automatico delle decisioni straniere. In particolare l'art. 7 della legge n. 218/95 stabilisce la sospensione del procedimento civile iniziato in Italia se viene eccepita "la previa pendenza tra le stesse parti di domanda avente il medesimo oggetto e il medesimo titolo dinanzi ad un giudice straniero" la cui decisione sia suscettibile di riconoscimento in Italia. La disposizione entra in contrasto con l'art. 9 della legge fallimentare ogni qual volta venga richiesta l'apertura in Italia di un procedimento nei confronti di un imprenditore già sottoposto a fallimento estero.
L'art. 64 della l. 218/95 prevede, inoltre, il riconoscimento automatico delle sentenze straniere, contrastando con le indicazioni contenute nell'art. 9 l. fall. che consente di dichiarare il fallimento di un soggetto, già sottoposto a procedura concorsuale all'estero, senza tenere in alcun conto la decisone straniera. Anche nell'ipotesi in cui si volesse riconoscere valore alla sentenza straniera dichiarativa di fallimento, non è chiaro quali tra gli effetti, che la decisione produce nello Stato di origine, si estendano all'ordinamento italiano.
Di fronte alle contraddittorietà tra legge di riforma e legge fallimentare, una parte della dottrina ha proposto un'interpretazione adeguatrice del secondo comma dell'art. 9, interpretazione che va nel senso di consentire, in presenza di una procedura straniera di insolvenza cd. principale, l'avvio in Italia di una procedura secondaria, rivolta esclusivamente alla liquidazione del patrimonio locale. Questo alla stregua di quanto avvenuto nell'ordinamento tedesco, in cui la giurisprudenza ha promosso un'interpretazione evolutiva delle norme fallimentari interne, in epoca precedente rispetto all'entrata in vigore dell'Insolvenzordnung.
L'impostazione prospettata in dottrina, per quanto non condivisibile, tenta di dare soluzione ai problemi esistenti nell'ordinamento interno in materia di fallimento transfrontaliero. Taluni di questi verranno risolti con l'approvazione del regolamento comunitario sulle procedure di insolvenza, attualmente in fase di studio da parte del Consiglio. A tutt'oggi, peraltro, l'unica normativa in vigore nell'ordinamento italiano, e finalizzata ad instaurare un coordinamento con ordinamenti stranieri in materia di fallimento transfrontaliero, è quella contenuta nelle convenzioni bilaterali di cui l'Italia è parte.
3. Tra le convenzioni, attualmente in vigore per l'Italia, si segnalano:
- la convenzione italo-austriaca sottoscritta il 12 luglio 1977 e resa esecutiva con l. 14 dicembre 1985 n. 612, la quale ha come specifico oggetto la disciplina delle procedure di insolvenza;
- la convenzione italo-francese per l'esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale, sottoscritta a Roma il 3 giugno 1930 e resa esecutiva con l. 7 gennaio 1932, n. 45, parzialmente sostituita dalla disciplina contenuta nella convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e il riconoscimento delle sentenze;
- la convenzione italo-britannica per il reciproco riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale, sottoscritta a Roma il 7 febbraio 1964 e resa esecutiva con l. 18 maggio 1973 n. 280.
Al di fuori dei rapporti convenzionali, l'inadeguatezza e le contraddittorietà della normativa italiana, indicate nei paragrafi precedenti, rendono opportuna la predisposizione di una disciplina specificamente dedicata al fallimento transfrontaliero, la cui utilità sarà mantenuta anche successivamente all'entrata in vigore della regolamentazione comunitaria, quantomeno nei rapporti tra Italia e paesi extracomunitari.
4. In Europa l'unica convenzione multilaterale in vigore in materia di fallimento internazionale è la Nordic Bankruptcy Convention del 7 novembre 1933, che trae il proprio "successo" dalla contiguità territoriale e dalle affinità normative che accomunano i cinque Stati contraenti, ossia Danimarca, Finlandia, Islanda, Svezia e Norvegia.
5. In sede comunitaria, dopo un lungo e travagliato periodo di elaborazione (i primi tentativi di disciplinare le procedure concorsuali si sono svolti in parallelo con i lavori preparatori della convenzione di Bruxelles del 1968!), il 23 novembre 1995 è stata aperta alla ratifica la convenzione per la disciplina del fallimento transfrontaliero, mai entrata in vigore.
La procedure secondarie, a differenza delle procedure principali, hanno necessariamente carattere liquidatorio e riguardano esclusivamente i beni presenti nello Stato di apertura.
Il regolamento prevede, inoltre, una specifica disciplina relativa ai diritti dei creditori che devono essere informati, senza ritardo, dell'apertura di una procedura di insolvenza e possono insinuare il proprio credito nella procedura principale o in qualsiasi procedura secondaria.
6. Come già indicato, lo Stato comunitario che si è fatto promotore, insieme alla Finlandia, della proposta di regolamento comunitario è la Repubblica di Germania, che nella legge interna introduttiva alla disciplina fallimentare, Einfuhrungsgesetz zur Insolvenzordnung del 1994, in vigore dal 1° gennaio 1999, ha espressamente previsto all'art. 102 una serie di regole relative al "diritto internazionale dell'insolvenza".
7. Un ulteriore modello di riferimento è la Model Law on Cross-Boarder Insolvency, approvata in seno all'Uncitral nel maggio del 1997 e definita dalla Guide to Enactment, ad essa allegata, "a vehicle for the harmonization of laws". La Model Law si propone come scopo principale quello di assistere gli Stati nella predisposizione di leggi interne sulle procedure di insolvenza "with a modern, harmonized and fair framework to address more effectively proceedings in taking place". Considerando le differenze tra gli ordinamenti giuridici cui essa intende applicarsi, questa non mira a realizzare l'unificazione delle leggi sulle procedure di insolvenza ma a promuoverne un graduale avvicinamento, favorendo la cooperazione tra corti e autorità competenti che si trovano ad operare nei diversi Stati collegati ad un fallimento transnazionale.
Questo non dovrebbe presentare particolari difficoltà per gli ordinamenti degli Stati comunitari, dal momento che la legge modello si ispira al regolamento CE sia dal punto di vista delle nozioni impiegate, sia dal punto di vista della regolamentazione sostanziale.
In particolare, la procedura straniera deve essere una procedura concorsuale, ossia prevedere un controllo sui beni del debitore da parte dell'autorità competente, con finalità di liquidazione o riorganizzazione. Questa può assumere il carattere di procedura principale (aperta nel centro degli interessi principali del debitore) o secondaria (aperta nel luogo dove si trova una dipendenza del debitore). L'unica condizione di carattere sostanziale è quella della compatibilità del decreto straniero di fallimento con l'ordine pubblico del foro.
In particolare, nel caso in cui la procedura locale sia stata aperta per prima, le richieste di misure conservative o di sospensione di istanze individuali avanzate dal curatore straniero possono essere accolte solo se si rivelano compatibili con la procedura locale (artt. 19 e 21); mentre non si producono gli effetti tipici del riconoscimento di una procedura principale, quali la sospensione automatica delle azioni individuali e delle azioni esecutive sopra i beni del fallito.
Perfettamente in linea con le previsioni del regolamento, la Model Law stabilisce un obbligo di collaborazione ed informazione reciproca tra i curatori e i tribunali dei diversi paesi coinvolti nel fallimento transfrontaliero (art. 25, 26 e 27).
8. Da segnalare è, infine, il Cross-Border Insolvency Concordat, approvato dall'Insolvency and Creditors' Rights Committee of the International Bar Association il 31 maggio 1996.
9. Il progetto allegato vuole colmare le lacune esistenti nel diritto italiano, tenendo conto della disciplina contenuta nel regolamento comunitario, per integrarlo, nelle ipotesi di procedure d'insolvenza che riguardino debitori localizzati nella Comunità e dare una soluzione autonoma alle questioni che possono sorgere a seguito dell'apertura di procedure d'insolvenza a carattere transfrontaliero relative a soggetti che abbiano il centro degli interessi principali fuori dal territorio comunitario. Il progetto, senza pregiudizio per l'applicazione delle disposizioni comunitarie, delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia e della disciplina relativa a procedure d'insolvenza previste da norme speciali, in relazione a particolari tipologie di debitori, si applica a qualunque procedura concorsuale che sia fondata sull'insolvenza del debitore, comporti il suo spossessamento e implichi la designazione di un curatore basato. Esso si fonda sul è basato sul principio dell'universalità limitata, per cui la procedura principale aperta nel centro degli interessi principali del debitore coinvolge tutti i suoi beni, ovunque localizzati e interessa tutti i creditori, ovunque residenti o domiciliati, salvo l'esistenza di una procedura territoriale o l'apertura di una procedura secondaria.
10. In particolare, nell'art. 1 del progetto di lavoro relativo ad una disciplina italiana sull'insolvenza transfrontaliera, sono elencate e definite le nozioni impiegate nel progetto; la disposizione si ispira agli artt. 2 (lettere a, c, h) e 3 (punti 1, 2, 3) della proposta di regolamento comunitario in materia di fallimento transfrontaliero.
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procedura principale (art. 1, lettera b); è la procedura d'insolvenza aperta nel territorio dello Stato in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore; per le persone giuridiche si presume che sia il luogo in cui si trova la sede statutaria (come previsto nel Progetto di regolamento all'art. 3, punto 1, seconda frase).
Il progetto di lavoro non contiene una definizione di centro degli interessi principali, rinviando alla giurisprudenza in materia e al preambolo del progetto di regolamento comunitario, il cui punto 13 identifica il centro degli interessi principali del debitore con il luogo in cui il debitore esercita in modo abituale, e pertanto riconoscibile ai terzi, la gestione dei suoi interessi.La procedura in esame non ha necessariamente natura liquidatoria e presenta il carattere dell'universalità in quanto interessa tutti i creditori e coinvolge tutti i beni del debitore, indipendentemente dal fatto che siano localizzati nel territorio dello Stato di apertura o all'estero. La procedura principale, se aperta in Italia, inibisce il riconoscimento di procedure d'insolvenza straniere; se è aperta all'estero, può essere riconosciuta nell'ordinamento italiano alle condizioni indicate nell'art. 3; -
procedura territoriale (art. 1, lettera c); è una procedura d'insolvenza aperta in Italia prima del riconoscimento di una procedura principale straniera, a condizione che il debitore possieda una dipendenza nel territorio dello Stato. Per dipendenza, ai sensi dell'art. 1, lettera f (cha riprende l'art. 2, lettera h del progetto di regolamento) si intende qualsiasi luogo in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica organizzata.
La procedura territoriale, regolata dalla legge italiana, non ha necessariamente carattere liquidatorio, coinvolge tutti i beni del debitore localizzati nello Stato e interessa esclusivamente i creditori ivi residenti o domiciliati. -
procedura secondaria (art. 1, lettera d); è una procedura di liquidazione (salvo quanto disposto nell'art. 5, comma I, lett. a), aperta in Italia dopo il riconoscimento di una procedura principale straniera, a condizione che il debitore possieda una dipendenza o, in mancanza, dei beni nello Stato. Questa coinvolge solo i beni del debitore localizzati in Italia, interessa esclusivamente i creditori residenti o domiciliati nello Stato ed ha carattere eventuale, nel senso che il tribunale fallimentare può decidere di inibire l'apertura di un procedimento nello Stato per consentire alla procedura principale straniera di estendere i suoi effetti sui beni presenti in Italia.
11. L'art. 2, comma I, determina i criteri attributivi della giurisdizione italiana e della competenza per territorio, in particolare:
- la presenza in Italia del centro degli interessi principali del debitore è criterio attributivo sia della giurisdizione che della competenza per l'apertura di una procedura principale;
- la presenza in Italia di una dipendenza del debitore è criterio attributivo di giurisdizione e di competenza per l'apertura di una procedura territoriale o secondaria;
- la presenza in Italia di beni del debitore è criterio attributivo sia della giurisdizione che della competenza per l'apertura di una procedura secondaria.
L'art. 2, comma II, della proposta si ispira all'art. 24 legge fallimentare, stabilendo che il tribunale fallimentare è competente a decidere in merito a tutte le controversie che derivano dal fallimento, eccettuate le azioni reali immobiliari per le quali restano ferme le competenze ordinarie. In altre parole, il foro fallimentare esercita vis actractiva su tutte le azioni strettamente collegate alla procedura d'insolvenza.
L'art. 2, comma III, della proposta di legge afferma espressamente il principio dell'irrilevanza della pendenza all'estero di una procedura straniera territoriale o secondaria nel caso in cui in Italia sia in corso una procedura del medesimo tipo.
L'art.2, al comma IV, stabilisce, infine, che i crediti del fallito si intendono localizzati nel domicilio del suo debitore.
12. In tema di effetti dei provvedimenti stranieri relativi all'apertura di una procedura principale, il progetto non si ispira al principio dell'automatico riconoscimento delle sentenze straniere, principio accolto, invece, sia nell'art. 64 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sia nell'art. 16 del progetto di regolamento comunitario sul fallimento transfrontaliero.
- la pronuncia da parte dell'autorità straniera dello Stato in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore;
- il rispetto dei diritti essenziali della difesa. Si è scelta una formulazione volutamente generica per permettere un costante adeguamento alla giurisprudenza della Corte Costituzionale e ai principi del due process of law, risultanti dagli strumenti internazionali diretti a garantire il rispetto delle libertà e dei diritti fondamentali della persona;
- l'esecutività nello Stato d'origine;
- la non contrarietà a decisioni italiane;
- la non contrarietà all'ordine pubblico.
La scelta della Corte d'appello come giudice del riconoscimento deriva da un'esigenza di uniformità rispetto a quanto previsto sia dalla legge interna di diritto internazionale privato, sia dal progetto di regolamento comunitario che, sul punto, rinvia alla convenzione di Bruxelles del 1968. In particolare, secondo quanto disposto dall'art. 67 della legge n. 218/1995, in caso di mancata ottemperanza o di contestazione del riconoscimento della decisione straniera o quando sia necessario procedere ad esecuzione forzata, chiunque vi abbia interesse può chiedere alla Corte d'appello del luogo di attuazione l'accertamento dei requisiti del riconoscimento. Secondo quanto disposto dall'art. 32 della convenzione di Bruxelles, invece, la competenza per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze spetta alla Corte d'appello del domicilio del convenuto ovvero del luogo di situazione dei beni.
L'art. 4, comma III, è volto a disciplinare la fase dell'opposizione al decreto di riconoscimento nell'ambito della quale viene instaurato il contraddittorio. Giudice competente è la stessa Corte d'appello, presso la quale chiunque vi abbia interesse può proporre opposizione entro il termine di 60 giorni dalla notificazione del decreto di riconoscimento.
Contro la sentenza che decide l'opposizione è ammesso unicamente ricorso per Cassazione per violazione di legge (parallelamente rispetto a quanto previsto nell'art. 41 della convenzione di Bruxelles).
Come norma di chiusura, è prevista la partecipazione al giudizio del Pubblico Ministero.
13. Il riconoscimento di una procedura principale straniera produrrà effetti diversi a seconda che in Italia sia già aperta una procedura territoriale di insolvenza oppure non risulti pendente alcun procedimento concorsuale.Nella prima ipotesi, il riconoscimento determina la trasformazione della procedura territoriale in procedura secondaria. La differenza tra i due procedimenti, limitati ai beni presenti nello Stato e ai creditori domiciliati in Italia, risiede nel fatto che la procedura territoriale non ha necessariamente carattere liquidatorio, mentre la procedura secondaria (art. 1, lettera d) è, di regola, una procedura di liquidazione.
Al momento della trasformazione della procedura territoriale in secondaria, a seguito del riconoscimento della procedura principale straniera, possono verificarsi due differenti ipotesi:
- se la procedura territoriale è una procedura di liquidazione non occorre alcuna pronuncia del tribunale fallimentare, dal momento che il riconoscimento pronunciato dalla Corte d'appello determina automaticamente la trasformazione della procedura italiana in procedura secondaria;
- se la procedura territoriale non è una procedura di liquidazione, il tribunale fallimentare è tenuto, invece, a valutare l'opportunità di attribuire alla procedura territoriale carattere liquidatorio o di mantenerne il carattere originario. Nell'emettere la pronuncia, il tribunale tiene conto dello stato di avanzamento della procedura territoriale e degli interessi dei creditori; il curatore straniero e quello italiano devono, comunque, essere sentiti.
Il tribunale decide, infatti, sull'opportunità di aprire una procedura secondaria in Italia, tenendo conto dell'esigenza di economia processuale e della consistenza dei beni del debitore in Italia (a tal fine il debitore deve rendere apposita dichiarazione). Se il giudice decide di non aprire la procedura secondaria, gli effetti della procedura principale straniera si estendono ai beni presenti nello Stato.
Quanto disposto dall'art. 5, comma III, per cui l'apertura di una procedura secondaria in Italia non richiede un esame dell'insolvenza del debitore già accertata nel provvedimento straniero riconosciuto, rispecchia esattamente l'art. 27 della proposta di regolamento comunitario. La regola appare perfettamente idonea ad essere trasposta anche al di fuori del contesto comunitario; nel momento in cui si riconosce il provvedimento straniero di apertura di una procedura principale, sembra infatti corretto riconoscerne anche l'accertamento relativo all'insolvenza del debitore.
In particolare, il curatore della procedura secondaria dovrà fornire informazioni al curatore della principale in ordine all'insinuazione e la verifica dei crediti, nonché in ordine ai provvedimenti volti a porre fine alla procedura.
L'esercizio di tali poteri è subordinato al rispetto della legge italiana, in particolare in ordine alle norme che disciplinano le modalità di liquidazione dei beni.
14. L'art. 6, nel disciplinare gli effetti del ricorso per il riconoscimento del provvedimento straniero di apertura di una procedura principale nei confronti dei creditori concorsuali, si ispira alla legge fallimentare (r.d. 267/42), in particolare all'art. 51 e alle limitazioni ad esso inerenti. Quest'ultimo prevede che "dal giorno della dichiarazione di fallimento nessuna azione esecutiva individuale può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nel fallimento".
15. A norma dell'art. 8 del progetto, le forme di pubblicità cui sono sottoposti i provvedimenti stranieri relativi alle procedure di insolvenza sono le medesime previste per i corrispondenti provvedimenti italiani.
BOZZA DI DISEGNO DI LEGGE IN MATERIA DI INSOLVENZA TRANSFRONTALIERA
Art. 1
(Definizioni)
Ai fini della presente legge:
- per procedura d'insolvenza si intende qualunque procedura concorsuale fondata sull'insolvenza del debitore, che comporta lo spossessamento parziale o totale del debitore stesso e la designazione di un curatore o commissario. Tra le procedure d'insolvenza sono procedure di liquidazione quelle che comportano la liquidazione dei beni del debitore;
- per procedura principale si intende la procedura d'insolvenza aperta nello Stato in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore; la procedura principale, regolata dalla legge italiana, non ha necessariamente carattere liquidatorio, coinvolge tutti i beni del debitore, ovunque localizzati (salvo l'apertura di procedure secondarie) e interessa i creditori, ovunque residenti o domiciliati;
- per procedura territoriale si intende la procedura d'insolvenza aperta in Italia prima del riconoscimento di una procedura principale straniera, quando nel territorio dello Stato sia situata una dipendenza del debitore; la procedura territoriale, regolata dalla legge italiana, non ha necessariamente carattere liquidatorio, coinvolge i beni del debitore localizzati in Italia e interessa i creditori residenti o domiciliati nello Stato;
- per procedura secondaria si intende la procedura d'insolvenza aperta in Italia dopo il riconoscimento di una procedura principale straniera, quando nel territorio dello Stato sia situata una dipendenza del debitore o, in mancanza, siano localizzati beni ad esso appartenenti; la procedura secondaria, regolata dalla legge italiana, ha necessariamente carattere liquidatorio (salvo quanto disposto nell'art. 5, comma I, lett. a), coinvolge i beni del debitore localizzati in Italia e interessa i creditori domiciliati o residenti nello Stato;
- per le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia il luogo in cui si trova la sede statutaria;
- per dipendenza si intende qualsiasi luogo in cui il debitore esercita in maniera non transitoria un'attività economica organizzata.
(Giurisdizione italiana e competenza)
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Quando in Italia sono localizzati:
- il centro degli interessi principali del debitore, sussiste la giurisdizione italiana per l'apertura della procedura principale da pronunciarsi su decisione del tribunale fallimentare del luogo in cui è situato il centro degli interessi principali del debitore;
- una dipendenza del debitore, sussiste la giurisdizione italiana limitatamente all'apertura di una procedura territoriale o secondaria da pronunciarsi su decisione del tribunale fallimentare della dipendenza;
- i beni del debitore, sussiste la giurisdizione italiana limitatamente all'apertura di una procedura secondaria da pronunciarsi su decisione del tribunale fallimentare del luogo in cui sono localizzati i beni.
- Il tribunale che si è pronunciato sull'apertura della procedura, sia essa principale, territoriale o secondaria, è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, eccettuate le azioni reali immobiliari per le quali restano ferme le competenze ordinarie.
- Nelle ipotesi sub b. e c. non rileva la pendenza di procedure secondarie o territoriali straniere relative a dipendenze o beni localizzati all'estero.
- I crediti del fallito si intendono localizzati nel domicilio del suo debitore.
(Riconoscimento dei provvedimenti stranieri)
- sono pronunciati dall'autorità straniera dello Stato in cui si trova il centro degli interessi principali del debitore;
- non sono stati violati i diritti essenziali della difesa;
- sono esecutivi nello Stato d'origine;
- non sono contrari ad altra decisione pronunciata da giudice italiano;
- il riconoscimento non produce effetti contrari all'ordine pubblico.
(Competenza per il riconoscimento)
- La competenza a pronunciarsi sul riconoscimento spetta alla Corte d'appello della dipendenza del debitore o, in difetto, del luogo in cui sono localizzati i beni.
- La Corte d'appello si pronuncia, in camera di consiglio, con decreto da notificare al ricorrente, al debitore, al curatore e al Pubblico ministero.
- Contro il decreto, chiunque vi abbia interesse può proporre opposizione, secondo le norme sul procedimento in contraddittorio, davanti alla stessa Corte d'appello entro 60 giorni dalla notificazione o dalla pubblicazione del provvedimento.
- Il decreto viene immediatamente trasmesso al tribunale fallimentare competente al pari della sentenza che decide l'opposizione.
- Contro la sentenza che decide l'opposizione è ammesso unicamente ricorso per Cassazione per violazione di legge.
- Se il provvedimento straniero è stato sospeso nello Stato d'origine, la Corte d'appello, appena avuta la notizia, sospende il procedimento.
- Il Pubblico ministero partecipa al procedimento.
(Effetti del riconoscimento)
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Il riconoscimento di un provvedimento straniero determina:
- la trasformazione della procedura territoriale aperta in Italia in procedura secondaria. Qualora la procedura territoriale non sia una procedura di liquidazione, il tribunale fallimentare, sentiti il curatore straniero e quello italiano, decide se la procedura territoriale nonostante la sua trasformazione in secondaria mantenga carattere non liquidatorio, tenuto conto dello suo stato di avanzamento e degli interessi dei creditori;
- l'apertura di una procedura secondaria o l'estensione degli effetti della procedura principale straniera ai beni presenti in Italia su decisione del tribunale fallimentare che si pronuncia, nel termine più breve possibile, con decreto. La scelta tra le alternative è operata dal tribunale tenuto conto delle esigenze di economia processuale e della consistenza dei beni del debitore nello Stato; quest'ultimo deve rendere apposita dichiarazione al riguardo. Sino a quando verrà operata tale scelta, il riconoscimento determina gli effetti patrimoniali previsti dalla legge fallimentare italiana.
- La procedura secondaria non richiede un riesame dell'insolvenza del debitore già accertata nel provvedimento straniero riconosciuto.
- In caso di apertura di una procedura secondaria, il curatore italiano deve comunicare, senza ritardo, qualsiasi informazione che possa essere utile al curatore della procedura principale, in particolare la situazione circa l'insinuazione e la verifica dei crediti e i provvedimenti volti a porre fine alla procedura.
- In caso di estensione della procedura straniera ai beni presenti nello Stato, senza apertura di una procedura secondaria, il curatore straniero può esercitare in Italia tutti i poteri che gli sono attribuiti dalla legge dello Stato di apertura. Nell'esercizio dei medesimi il curatore deve rispettare le legge italiana, in particolare in ordine alle modalità di liquidazione dei beni.
(Divieto di azioni esecutive individuali)
Art. 7
(Azione revocatoria)
Art. 8
(Pubblicità)
(Rapporti tra creditori)
- Il creditore che in una procedura straniera abbia recuperato una quota del proprio credito, partecipa ai riparti effettuati nella procedura italiana soltanto quando i creditori dello stesso grado abbiano ottenuto una quota equivalente.
- Una volta soddisfatti i creditori domiciliati o residenti nello Stato il giudice delegato trasferisce, su richiesta del curatore della procedura secondaria, il residuo dell'attivo al curatore della procedura principale.
(Salvaguardia della disciplina internazionale e speciale)