Consistenza, destinazione ed utilizzo dei beni sequestrati o confiscati - Stato dei procedimenti di sequestro o confisca - Relazione al Parlamento ex art. 49 D.Lgs. 159/2011 (dicembre 2019)

Dipartimento per gli Affari di Giustizia
Direzione generale degli affari interni
Ufficio I – Reparto II

Indice

INTRODUZIONE

  1. Evoluzione normativa delle misure di prevenzione. Cenni
  2. Misure di prevenzione patrimoniali
  3. Raccolta dei dati relativi ai beni sequestrati e confiscati
  4. Sistema di alimentazione della banca dati centrale: “SIPPI” e “SITMP”
  5. Premesse utili all’esame della metodologia di rilevazione e alla valutazione dei dati
  6. Metodologia della rilevazione e prospettive

Tabelle allegate (formato zip, 1512 Kb)

Relazione semestrale al Parlamento sui beni sequestrati e confiscati
art. 49 D. Lgs. 6 settembre 2011 n. 159

INTRODUZIONE

a. Evoluzione normativa delle misure di prevenzione. Cenni

L’analisi dell’evoluzione normativa delle misure di prevenzione patrimoniali è fortemente connessa a quella delle misure di prevenzione personali.

Si legge, in consolidate definizioni, che le misure di prevenzione indicano tradizionalmente “un insieme di provvedimenti applicabili a cerchie di soggetti considerati a vario titolo socialmente pericolosi, e finalizzati, appunto, a controllarne la pericolosità in modo da prevenire la commissione di futuri reati”1.

Già con legge 26 febbraio 1852 venivano introdotte le misure dell’ammonizione, del domicilio coatto e del rimpatrio con foglio di via obbligatorio per mezzo della forza pubblica dirette a reprimere principalmente l’odio e il vagabondaggio; nel 1864 entravano in vigore le leggi contro il brigantaggio nelle province meridionali.

Nel 1865 veniva varata la legge di pubblica sicurezza con misure che, sia pure in via embrionale, contenevano elementi che si ripresenteranno nella fondamentale legge 1423 del 27 dicembre 1956. Una prima organica sistemazione delle misure di prevenzione veniva attuata con la legge di pubblica sicurezza n. 6144 del 30 giugno 1889, che riservava alla autorità giudiziaria ogni valutazione sulle condotte di reato e a quella amministrativa di pubblica sicurezza la valutazione della pericolosità praeter o ante delictum.

Di tali misure si è fatto un largo uso nel periodo tra il 1922 e il 1943, come emerge dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza del 1926 e dal RD n. 773 del 18 giugno del 1931 con il quale veniva accentuata l’amministrativizzazione delle misure. Sul piano delle garanzie, alla competenza dell’autorità giudiziaria si sostituì, in molti casi, quella dell’autorità amministrativa e dell’autorità di pubblica sicurezza in particolare2.

Le misure di prevenzione, come è noto, non sono menzionate dalla Costituzione e, in ragione delle interferenze con diversi diritti costituzionalmente garantiti, non si è mai sopito il dibattito dottrinario -che in questa sede non può essere ripercorso- tra i sostenitori di una piena compatibilità di esse con il sistema costituzionale e chi, viceversa, ne sostiene l’incompatibilità.

Può tuttavia sottolinearsi come le numerose pronunce della Corte Costituzionale appaiano prevalentemente orientate ad affermare la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione, mantenendo saldi alcuni ineludibili principi come l’obbligo della garanzia giurisdizionale per ogni provvedimento limitativo della libertà personale, il rifiuto del sospetto come presupposto per l’applicazione di siffatti provvedimenti, in tanto legittimi in quanto motivati da fatti specifici3. Ad essi si aggiungono, quali elementi indispensabili per la compatibilità costituzionale delle misure di prevenzione personali, la necessità di un’astratta previsione normativa, l’instaurazione di uno specifico giudizio e motivato provvedimento dell’autorità giudiziaria4. A fronte di queste pronunce è stata approvata la legge 27 dicembre 1956, n. 1423.

Le pronunce del giudice costituzionale5 hanno poi condizionato le successive modifiche normative: alle categorie di soggetti destinatari delle misure di prevenzione personali previste dall’art. 1 della l. 1423/19566 si sono sostituite le categorie contemplate dall’art. 2 della legge del 3 agosto 1988 numero 3277, in accoglimento tra l’altro delle indicazioni fornite dalla sentenza n. 177/1980 della Corte Costituzionale, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 n. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, nella parte in cui elenca tra i soggetti passibili delle misure di prevenzione previste dalla legge medesima coloro che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano “proclivi a delinquere”, stante l’assoluta indeterminatezza della formula, che può condurre a situazioni caratterizzate da spazi di incontrollabile discrezionalità.

Con legge n. 575 del 31 maggio 1965 il legislatore inizia ad ampliare la platea delle categorie di persone sottoponibili a misure di prevenzione personali, consentendone l’adozione anche nei confronti dei soggetti indiziati di appartenere ad associazioni criminali di tipo mafioso, senza che sia più necessaria la preventiva notifica dell’avviso orale del questore a mutare condotta8.

Un ulteriore allargamento del novero dei destinatari di misure di prevenzione si è avuto con la legge 22 maggio n. 152 del 1975 che ha esteso anche a soggetti coinvolti a vario titolo in associazioni “sovversive” l’applicazione delle misure preventive. La medesima legge ha stabilito, inoltre, che le disposizioni di cui alla legge 575 del 65 si applichino anche alle persone indicate dall’articolo 1 numeri 1) e 2) della legge 1423 del 56 e cioè a coloro che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi che vivono abitualmente anche in parte con i proventi di attività delittuose.

Seguono ulteriori interventi della Corte Costituzionale: con sentenza n. 93/2010, si introduce, di fatto, la facoltà per il proposto di richiedere che l’udienza di prevenzione si svolga in forma pubblica e con sentenza n. 282/2010 vengono fugati i dubbi di costituzionalità, nuovamente sollevati in materia, riconoscendo la compatibilità delle espressioni “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” con i canoni di tassatività e precisione-determinatezza di cui all’art. 25, comma 2 Cost.

Viene affermata la legittimità della norma incriminatrice delle condotte che violano quelle prescrizioni9. Secondo il giudice delle leggi tali disposizioni, seppur imprecise nella loro formulazione, acquistano carattere sufficientemente preciso avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione e tenuto conto del più ampio contesto ordinamentale in cui esse si collocano.

Successivamente, con sentenza pubblicata il 23.02.2017, nel procedimento n. 43395/09 De Tommaso contro Italia, la Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha affermato che le previsioni degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1423/1956 (oggi artt. 1 e ss. d.lgs. n. 159/11) contrastano con le previsioni dell’art. 2 del protocollo n. 4 addizionale della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, reso esecutivo in Italia con d.P.R. 217/1982. In particolare la CEDU sostiene che tali norme confliggono con la libertà di circolazione prevista dall'art. 2 cit. perché difettano di precisione e di prevedibilità sia nell'indicazione delle categorie dei soggetti sottoponibili a misura di prevenzione personale, sia nella descrizione del contenuto precettivo delle misure di prevenzione e delle prescrizioni conseguenti all'imposizione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza.

Gli effetti della pronuncia sull’ordinamento italiano si sono ad oggi esplicati attraverso le pronunce della Corte di Appello di Napoli, VIII Sez. che, con ordinanza del 14 marzo 2017, V. C., ha sollevato davanti alla Consulta la questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 3 e 5 della legge n. 1423/1956 (in riferimento all’art. 117 Cost. e all’art. 2 Prot. 4 CEDU) e degli artt. 2 ter legge 31 maggio 1965, n. 575 e 19 legge 22 maggio 1975, n. 152 (in riferimento agli artt. 42 e 117 Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 1 Prot. 1 CEDU in tema di tutela della proprietà individuale)10.

Ci sono state inoltre pronunce della giurisprudenza di merito11 che, sul presupposto che i principi espressi dalla Corte EDU non siano da qualificarsi come “consolidati” e tenuto conto che tali disposizioni hanno superato il vaglio di legittimità da parte della Consulta, hanno ritenuto di poter continuare ad applicare misure preventive sulla base della pericolosità generica, impartendo altresì la prescrizione del vivere onestamente e di “rispettare le leggi” di cui all’art. 8 comma 4 Codice antimafia.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza 27 aprile 2017 (dep. 5 settembre 2017) n. 40076, Ric. Paternò12, hanno dichiarato inapplicabile il delitto di violazione degli obblighi inerenti alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno di cui all’art. 75 co. 2 d.lgs. 159/2011 rispetto all’ipotesi della violazione delle prescrizioni di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, alla luce di un’interpretazione convenzionalmente conforme alla CEDU e ai suoi Protocolli e alla relativa giurisprudenza di Strasburgo.

Con successiva sentenza della II sezione della Cassazione13 la Corte ha ritenuto di sollevare una questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione in relazione agli artt. 25, 117 Cost., 7 CEDU e 2 prot. 4 CEDU.

Più di recente la Corte Costituzionale con sentenza n. 24/2019 ha dichiarato illegittima l’applicazione della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale e di quelle patrimoniali del sequestro e della confisca, nei confronti delle persone, individuate dall’art. 1 lett. a) d.lgs. 159/2011 (in cui è confluito l’art. 1, n. 1 l. 1423/1956), che «debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dedite a traffici delittuosi».

La sentenza riguarda, dunque, i presupposti applicativi delle misure personali e patrimoniali di prevenzione; la Corte, prendendo le mosse dalle statuizioni della sentenza Grande Camera CEDU de Tommaso, ha ritenuto che, alla luce dell’interpretazione tassativa condotta dalla più recente giurisprudenza di Cassazione, mentre può dirsi ormai raggiunto un sufficiente grado di precisione nella definizione della fattispecie di cui alla lettera b) dell’art. 1 d.lgs. 159/2011 (che, si rammenta, riguarda i soggetti ritenuti vivere abitualmente con i proventi di attività delittuose), l’ipotesi di cui all’art. 1, lett. a), d.lgs. 159/2011 rimane tuttora affetta da radicale imprecisione non colmabile attraverso il diritto vivente nel quale, anzi, persiste un contrasto in ordine al significato del concetto, senz’altro letteralmente ambiguo e polisenso, di “traffici delittuosi”.

La conseguenza è, dunque, quella della espunzione di questa categoria di soggetti dalla platea dei destinatari delle suddette misure di prevenzione.


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Note:

1Cfr. Fiandaca, misure di prevenzione, profili sostanziali, In Digesto, VII 1994, pp. 108 e ss.

2Come emerge da una delle prime pronunce della Corte costituzionale che si occupa di misure di prevenzione (ammonizione) e ne dichiara la illegittimità costituzionale: cfr Corte Cost. sent. n. 11 del 1956 (La Corte dichiara la illegittimità costituzionale delle disposizioni contenute negli articoli dal 164 al 176 del T.U. delle leggi di p.s., approvato col R.D. 18 giugno 1931, n. 773, modificati col D.L.L. 10 dicembre 1944, n.419, in riferimento all'art. 13 della Costituzione, salva la ulteriore necessaria disciplina della materia).

3Cfr. Corte Costituzionale sent. n. 2/1956 riguardante la misura del rimpatrio con foglio di via obbligatorio.

4Cfr. Corte Costituzionale sent. n. 11/1956 cit.: dopo aver qualificato i diritti costituzionali come “patrimonio irretrattabile della personalità umana”, evidenzia il “grave problema di assicurare il contemperamento tra le due fondamentali esigenze, di non frapporre ostacoli all’esercizio di attività di prevenzione dei reati e di garantire il rispetto degli inviolabili diritti della personalità umana». Tale contemperamento si realizza «attraverso il riconoscimento dei tradizionali diritti di habeas corpus nell’ambito del principio di stretta legalità”; “in nessun caso l’uomo potrà essere privato o limitato nella sua libertà se questa privazione o restrizione non risulti astrattamente prevista dalla legge, se un regolare giudizio non sia a tal fine instaurato, se non vi sia provvedimento dell’autorità giudiziaria che ne dia le ragioni”.

5Nella prima decisione successiva all’adozione della norma Corte costituzionale n. 27 del 1959 si legge che se tali misure sono in grado di determinare limitazioni a diritti costituzionali, è anche vero che “tali limitazioni sono informate al principio di prevenzione e di sicurezza sociale, per il quale l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti fra cittadini deve essere garantito, oltre che dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema di adeguate misure preventive contro il pericoli del loro verificarsi in avvenire”. Anche in più recenti pronunce la Corte Costituzionale ha delineato il concetto di “ordine pubblico” come quel «complesso di beni giuridici fondamentali e de-gli interessi pubblici primari sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale» ritenendo compreso in tale ambito anche la funzione di prevenzione dei reati, intesa come funzione costituzionalmente rilevante: cfr. sentenze n. 129 del 2009; n. 296 del 2009, n. 21 del 2010 e in senso analogo sentenza nn. 226 e 274 del 2010, 35 e 300 del 2011.

6Oziosi e vagabondi; soggetti dediti a traffici illeciti; proclivi a delinquere; soggetti sospettati, per la condotta e il tenore di vita, di favorire lo sfruttamento della prostituzione ecc. o di esercitare il contrabbando o il traffico illecito di stupefacenti o scommesse abusive ovvero di gestire bische clandestine e, infine, soggetti dediti ad altre attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume ( categorie già estese dalla l. 1176/1967 agli indiziati di “gestire abitualmente bische clandestine” o di “esercitare abitualmente scommesse abusive nelle corse”)

7Coloro che debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono abitualmente dediti a traffici delittuosi; coloro che per la condotta il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivono abitualmente anche in parte con i proventi di attività delittuose; coloro che per il loro comportamento debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che sono dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica.

8Con tale norma, all’art. 1, si prevede inoltre la possibilità di sequestrare e confiscare i beni di sospetta provenienza illecita nei confronti di quanti fossero “indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni comunque localmente denominate che perseguono finalità o agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.

9Norma allora contenuta nell’art. 9, comma 2 l. 1423/1956 e oggi trasfusa nell’art. 75 d.lgs. 159/2011.

10A seguito del gravame spiegato dal proposto avverso il provvedimento di primo grado con il quale erano state irrogate all’appellante, in ragione della pericolosità generica “contestata”, la misura personale della sorveglianza speciale, del soggiorno obbligatorio (art. 3 l. n. 1423/1956) e quella patrimoniale della confisca.

11Cfr. Trib. Palermo, I Sez., 28 marzo 2017, Trib. Milano, decreto 7 marzo 2017, Trib. Vercelli, decreto 24 maggio 2017

12Cass. pen., Sez. Un., sent. 27 aprile 2017 (dep. 5 settembre 2017), n. 40076, Pres. Canzio, Rel. Fidelbo, Ric. Paternò

13Cass. pen., II sez., ord. 11 ottobre 2017 (dep. 26 ottobre 2017), n. 49194, Pres. De Crescienzo, Est. Recchione, Imp. Sorresso