- Misure di sicurezza - Tema per Stati Generali dell'Esecuzione Penale - Tavolo 11 (luglio 2015)

  • pubblicato nel 2015
  • autore: Roberta Palmisano
  • Temi per Stati Generali dell'Esecuzione Penale
  • Ufficio Studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali
  • licenza di utilizzo: CC BY-NC-ND

 

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

La misura di sicurezza detentiva dell’internamento in OPG ha subito nel tempo una trasformazione.
Il codice del 1930 ha introdotto quello che è stato denominato doppio binario per cui, accanto alla pena con funzione retributiva e di prevenzione generale, la misura di sicurezza assolveva ad una funzione specialpreventiva in quanto finalizzata alla rieducazione e alla cura del soggetto socialmente pericoloso.
In seguito al riconoscimento costituzionale (art. 27 Cost.) del finalismo rieducativo della pena, è venuta meno questa distinzione e lo sdoppiamento del sistema, cosicchè nel tempo lo stesso legislatore (vanno ricordati numerosi disegni di legge dal 1983 fino al 2006) e la dottrina più avveduta hanno iniziato ad interrogarsi sulla necessità stessa della distinzione tra soggetti imputabili e non imputabili e delle misure di sicurezza e sullo spazio che ad esse debba residuare all’interno del nostro sistema penale.
L’ordinamento penitenziario (l. 354/75) ha stabilito che la misura alternativa della semilibertà (artt. 48 comma 1 e 50 comma 2) possa essere concessa anche agli internati (ristretti in OPG o case di cura e custodia)
La premessa più risalente ad una radicale trasformazione sta nella riforma del 1978 (l. 180/78 e 833/78) che, pur non avendo toccato gli OPG, ha però trasformato l’approccio della cura del malato di mente.
Ben 22 ordinanze, relative agli artt. 204, 206, 215 e 222 c.p. hanno investito la Corte Costituzionale nei primi anni ottanta di una serie di problemi, alcuni dei quali sono stati risolti in radice dal legislatore con l’art. 31 della legge del 10 ottobre 1986 n. 663, più nota come legge Gozzini, che, come detto, ha abrogato tutte le presunzioni di pericolosità previste dal codice penale.
Infatti già la Corte Costituzionale con la sentenza n. 249/1983 ha evidenziato che l’applicazione della misura deve essere subordinata al previo accertamento della persistenza delle pericolosità sociale e la cd legge Gozzini (art. 31 l. n. 663/1986) per quanto concerne il soggetto non imputabile per vizio totale di mente, ha superato la presunzione di pericolosità fino ad allora collegata alla situazione di sofferente psichico (abrogando l’art. 204 c.p.). Sono state poi travolte da abrogazione legislativa tutte le ipotesi di pericolosità presunta e da allora presupposto per l’applicazione della misura è l’accertamento in concreto della pericolosità sociale da parte dell’autorità giudiziaria (art. 202 c.p.).
I problemi maggiormente rilevanti per le misure di sicurezza per i malati psichici sono rappresentati dalla mancanza di adeguato supporto specialistico alle decisioni della magistratura e dall’eccessiva durata.
Sotto quest’ ultimo profilo il dl 52/2014 (come modificato con la legge di conversione 30 maggio 2014, n. 81) ora prescrive che le misure di sicurezza detentive provvisorie o definitive non possono durare oltre il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione edittale massima.
La prognosi relativa alla pericolosità non ha le caratteristiche di giudizio tecnico riservato agli esperti: è piuttosto un giudizio emesso alla stregua di parametri giuridico-normativi di competenza esclusiva del magistrato, che di certo può avvalersi degli esperti. Fin dal 1996 la Corte di Cassazione (Cass. I, 20/9/96 n. 8996) ha stabilito l’importante distinzione tra pericolosità sociale e pericolosità sul piano psichiatrico, risultante cioé dalle relazioni peritali. Il giudice deve valutare la prima utilizzando i parametri previsti dall’art. 133 del codice penale.
Non conterà inquadrare solo la patologia, le sue caratteristiche e delinearne il possibile sviluppo, ma anche fornire indicazioni sulle soluzioni terapeutico-riabilitative, sulla suscettibilità al trattamento del sofferente psichico, ovvero sulla sua situazione familiare, esistenziale, lavorativa, sociale, sulla presenza di altre condizioni aggiuntive, come l’abuso di sostanze o le condizioni di estrema indigenza, ecc.; tutti elementi, questi, che incidono sulla vicenda della malattia mentale; incide altresì l’idoneità delle strutture presenti sul territorio che potranno contenere le manifestazioni del disturbo. Questi elementi devono essere valutati ex art. 133 c.p. tanto dal giudice della cognizione che da quello della esecuzione.
Il giudizio di pericolosità è sicuramente molto problematico per l’estrema genericità della definizione di pericolosità accolta nel nostro codice all’art. 203 c.p. La base di questo tipo di accertamento è costituita da valutazioni difficilmente predeterminabili, per l’indeterminatezza dei criteri di cui agli artt. 133 c.p. e 236 c.p.p. su cui si sorregge, e il giudice difficilmente potrà avere un supporto scientifico.
A partire dal 1986 di fronte ad un proscioglimento per vizio totale di mente si è aperta l’alternativa: in assenza di pericolosità il soggetto fuoriusciva dall’ingranaggio penale, in caso contrario con l’ingresso in OPG si apriva l’incertezza sulla durata, tendenzialmente illimitata dell’internamento.
La mancanza ̀ di un’alternativa e della possibilità di esercitare comunque una forma di controllo o di sostegno agli infermi di mente, ha posto gli esperti e il giudice di fronte ad una grande responsabilità. Sia che si escluda la pericolosità sociale per sottrarre i sofferenti psichici ad una struttura ritenuta unanimemente antiterapeuta, sia che la si riconosca al solo scopo di non abbandonarli al loro destino, gli psichiatri forensi finiscono comunque consapevolmente per falsare le proprie conclusioni, vittime di un fardello di responsabilità non più sopportabile.
Già nella proposta Pagliaro di nuovo codice penale del 1992 l’art. 48 prevedeva per i non imputabili il ricovero in “strutture psichiatriche” o “strutture terapeutiche” (per i cronici intossicati) oppure la libertà sorvegliata se sufficiente a prevenire la commissione di altri reati o quando la misura dell’internamento era comunque sproporzionata al fatto.
Si sono poi succeduti significativi interventi della Corte Costituzionale che hanno inciso sulla sua configurazione.
Dapprima soltanto nel campo del diritto minorile la Corte Costituzionale si era spinta a dichiarare la incostituzionalità del ricovero in ospedale giudiziario psichiatrico, appoggiandosi sulla necessità costituzionale di un trattamento differenziato dei minorenni (sentenza n. 324 del 1998) dichiarando incostituzionale in questa parte l’art. 222 commi 1 e 2 c.p.: nella motivazione di questa sentenza la Corte ha ricordato che la riforma del 1978 “ha riconosciuto come la cura della malattia mentale non debba attuarsi se non eccezionalmente in condizioni di degenza ospedaliera”.
Il giudice, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 18 luglio 2003 può adottare in luogo del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario una misura di sicurezza che ritenga più adeguata. Misura adeguata può risultare la libertà vigilata. La Corte Costituzionale ha riconosciuto che l'automatismo previsto dalla norma viola le esigenze di protezione dei diritti della persona, e in particolare il diritto alla salute dell'art.32: spetta al giudice adottare, tra le misure previste dall'ordinamento, quella che in concreto possa soddisfare ad un tempo le esigenze di cura e tutela della persona e il contenimento della sua pericolosità sociale. Nella sentenza la Corte ha poi sollecitato l’intervento del legislatore sia sotto il profilo della regolazione dell’istituto delle misure di sicurezza, sia sotto il profilo della riorganizzazione delle strutture in cui vengono eseguite; è questo l’intervento che si è scelto fino ad arrivare al superamento degli OPG, perché l’altro intervento avrebbe implicato un ripensamento di istituti fondamentali quali la pericolosità sociale e la stessa imputabilità.
Con la sentenza n. 367/2004 la Corte Costituzionale ha poi dichiarato incostituzionale l’art. 206 c.p. rendendo la libertà vigilata alternativa utile anche nelle ipotesi di applicazione provvisoria della misura di sicurezza.
Nella giurisprudenza di merito successiva si è registrato il tentativo di ricercare, in alternativa all’OPG misure che risultassero più contenitive della libertà vigilata e si è sollecitato in questo senso l’intervento ulteriore della Corte Costituzionale che però con la sentenza n. 254/2005 ha affermato esulare dai suoi poteri l’ampliamento della tipologia delle misure di sicurezza.

2.
Il legislatore ha tenuto conto di queste trasformazioni con la riforma avviata per il superamento degli OPG.
Il processo di superamento degli OPG è stato avviato il 1 aprile 2008 con il DPCM che ha decretato il trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie afferenti agli OPG e la “ restituzione ad ogni Regione italiana della quota di internati in OPG di provenienza dai propri territori e dell’assunzione della responsabilità per la presa in carico, attraverso programmi terapeutici e riabilitativi da attuarsi all’interno della struttura, anche in preparazione alla dimissione e all’inserimento nel contesto sociale di appartenenza (All. C del DCPM 19 marzo 2008).
Già il D.Lgs. 230/99 prevedeva la creazione di sezioni speciali di osservazione psichiatrica in almeno un Carcere per ogni regione ma il processo di superamento degli OPG è stato avviato il 1 aprile 2008 con il DPCM che ha decretato:

  1. il trasferimento alle Regioni delle funzioni sanitarie afferenti agli OPG ubicati nel loro territorio (sono sei: Castiglione delle Stiviere in Lombardia, Reggio Emilia, Montelupo Fiorentino in Toscana, Aversa e l’OPG di Napoli in Campania, Barcellona Pozzo di Gotto in Sicilia);
  2. la creazione “all’interno degli istituti, di sezioni organizzate o reparti, destinati agli imputati e condannati, con infermità psichica sopravvenuta nel corso della misura detentiva che non comporti l'applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o l'ordine di ricovero in O.P.G. o in case di cura o custodia; presso le stesse sezioni potrebbero essere assegnati, per l’esecuzione della pena, anche i soggetti condannati a pena diminuita per vizio parziale di mente (All. A del DCPM 19 marzo 2008), reparti sanitari destinati alla tutela intramuraria della salute mentale al fine di attenuare il disagio dello stato detentivo (Accordo Stato Regioni ratificato il 13 ottobre 2011, allegato A);
  3. la “ restituzione ad ogni Regione italiana della quota di internati in OPG di provenienza dai propri territori e dell’assunzione della responsabilità per la presa in carico, attraverso programmi terapeutici e riabilitativi da attuarsi all’interno della struttura, anche in preparazione alla dimissione e all’inserimento nel contesto sociale di appartenenza (All. C del DCPM 19 marzo 2008).

Caposaldo della normativa è il principio di territorialità ritenuta “sede privilegiata per affrontare i problemi della salute, della cura, della riabilitazione delle persone con disturbi mentali per il fatto che nel territorio è possibile creare un efficace sinergismo tra i diversi servizi sanitari, tra questi e i servizi sociali, tra le Istituzioni e la comunità per il fine fondamentale del recupero sociale delle persone. Il principio del reinserimento sociale, sancito nell’articolo 27 della Costituzione, per coloro che, autori di reato, sono stati prosciolti per infermità mentale e ricoverati in OPG può e deve essere garantito attraverso la cura, che ne è fondamentale presupposto, e l’azione integrata dei servizi sociosanitari territoriali (All. C del DCPM 19 marzo 2008).

Queste norme sono rimaste disattese fino a quando la Commissione di inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del servizio sanitario nazionale presieduta dal senatore Marino, dopo aver effettuato visite a sorpresa presso gli OPG, nella relazione finale del 20 luglio 2011, oltre a denunciare la violazione della dignità delle persone e una schiacciante prevalenza delle esigenze di custodia piuttosto che terapeutiche, ha proposto la creazione di strutture pubbliche di ricovero.

La legge 17 febbraio 2012, n. 9 all’art. 3-ter ha fissato al 1° febbraio 2013 il completamento del processo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari disponendo che dal 31 marzo 2013 le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia fossero eseguite all’interno di strutture sanitarie regionali (REMS) caratterizzate da una gestione esclusivamente sanitaria. Nell’attesa dell’effettiva realizzazione di tali strutture per due volte è stata disposta la proroga del superamento degli OPG, rispettivamente al 1 aprile 2014 con decreto-legge 25 marzo 2013 n. 24 e da ultimo al 31marzo 2015 (decreto-legge 52/2014).

L’art. 3-ter d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito con modificazioni dalla l. 17 febbraio 2012, n. 9, ha fissato al 1° febbraio 2013 il completamento del processo per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari disponendo che dal 31 marzo 2013 le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia fossero eseguite all’interno di strutture sanitarie regionali (REMS). Nell’attesa dell’effettiva realizzazione di tali strutture è stata disposta per due volte la proroga del superamento degli OPG, da ultimo fissata, con decreto-legge 52/2014, al 31 marzo 2015.
La legge ha rimandato ad un decreto di natura non regolamentare la definizione dei requisiti delle strutture destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza ed ha fissato il rispetto dei seguenti criteri:

  1. esclusiva gestione sanitaria all'interno delle strutture;
  2. attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna, ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati, da svolgere nel limite delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente;
  3. destinazione delle strutture ai soggetti provenienti, di norma, dal territorio regionale di ubicazione delle medesime.

Il Decreto 1° ottobre 2012, emanato dal Ministro della Salute di concerto con il Ministro della Giustizia, reca “Requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle strutture residenziali destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia.”
L’Allegato A prescrive che tali strutture esplichino “funzioni terapeutico-riabilitative e socio riabilitative” e siano realizzate e gestite dalle Regioni. L’inciso “realizzate e gestite dalle aziende sanitarie, tramite i dipartimenti di salute mentale” inizialmente previsto è caduto nella versione definitiva del testo. Si ritiene comunque che le residenze non possano essere appaltate ad organismi del privato sociale o imprenditoriali perché la funzione della esecuzione di una sanzione penale è propria dello Stato e non è compatibile con una logica privatistica.
L’Allegato A contiene i requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi per il funzionamento delle predette strutture e prevede che “Con appositi Accordi tra il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, il Ministero della salute, le Regioni e le Province Autonome di Trento e Bolzano, sarà regolamentato lo svolgimento delle funzioni di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e al decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230,anche con riferimento agli aspetti della esecuzione della misura di sicurezza e alle forme dei rapporti con la magistratura.”
Il contenuto del predetto Accordo dovrà tenere fermi i principi fissati dall’art. 3 ter comma 3 lett. a) legge 17 febbraio 2012, n. 9, primo fra tutti quello dell’”esclusiva gestione sanitaria all’interno delle strutture”. In proposito lo stesso Allegato A del Decreto 1 ottobre 2012 prescrive al secondo capoverso che “la gestione interna delle strutture residenziali è di esclusiva competenza sanitaria” e che “la responsabilità della gestione all'interno della struttura è assunta da un medico dirigente psichiatra”.

3.
Il 26 febbraio 2015 la Conferenza Stato Regioni ha ratificato il Regolamento concordato con l’Amministrazione penitenziaria.
L’art. 2 il Regolamento assegna al DAP la competenza in materia di trasferimenti, traduzioni e assegnazioni (la procedura è prevista all’art. 658 c.p.p. su impulso del pubblico ministero, cui viene trasmesso il provvedimento che dispone o conferma la misura di sicurezza) prevedendo forme di coordinamento con le Regioni, attesa la necessità di aggiornare in tempo reale il registro delle presenze e della disponibilità dei posti.
Per quanto riguarda l’attività perimetrale di sicurezza, all’art. 6 il Regolamento rimanda a specifici accordi tra le Regioni e le Province Autonome e le Prefetture ai sensi dell'art. 3-ter, comma 3, lettera b)della legge 17 febbraio 2012, n. 9.
L’articolo 7 rimanda ad accordi locali per la definizione, tra l’altro, della “definizione delle modalità e procedure di collaborazione interistituzioanle per la contemporanea gestione sia del percorso terapeutico-riabilitativo individuale interno alla struttura, che di quello di reinserimento esterno”.
Questi accordi certamente non potranno derogare a norme primarie e potranno avere ad oggetto soltanto le modalità organizzative e l’articolazione di servizi che, all’interno delle nuove strutture non potranno più essere svolti dalla polizia penitenziaria, tenendo conto che “la gestione interna delle strutture residenziali è di esclusiva competenza sanitaria” e “la responsabilità della gestione all'interno della struttura è assunta da un medico dirigente psichiatra” (l’Allegato A del Decreto 1 ottobre 2012).
Gli Accordi locali dovranno disciplinare i casi di sovraffollamento della singola struttura nel rispetto del principio di territorialità espressamente previsto all’art. 3-ter comma 3 lett c) (“destinazione delle strutture ai soggetti provenienti, di norma, dal territorio regionale di ubicazione delle medesime”) predisponendo un collegamento in rete delle varie strutture per un controllo in tempo reale dei posti disponibili.
Per quanto riguarda le norme applicabili:
l’art. 3-ter d.l. 22 dicembre 2011, n. 211, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 febbraio 2012, n. 9 non ha abolito la misura di sicurezza del ricovero in OPG. Da questo consegue che nei confronti degli internati destinatari di questa misura, ricoverati nelle REMS, troveranno senz’altro applicazione tutte le norme del codice penale e del codice di procedura penale riferite agli internati tra cui:

  • l’art. 214 comma 2 c.p. (inosservanza delle misure di sicurezza detentive);
  • l’art. 123 comma 1 c.p.p. (dichiarazioni e richieste di persone detenute e internate);
  • l’art. 174 comma 2 c.p.p. (prolungamento dei termini di comparizione);
  • l’art. 666 comma 4 c.p.p. (audizione da parte del magistrato di sorveglianza del luogo ove si trova l’internato se posto fuori della circoscrizione del giudice).

Permane in capo alla magistratura di sorveglianza il compito di vigilare sulle strutture che ospiteranno gli internati e troveranno applicazione le relative norme:

  • art. 677 comma 2 c.p.p.) (competenza della magistratura di sorveglianza);
  • art. 679 c.p.p. e 69 O.p., che prevedono il controllo della magistratura di sorveglianza sull’esecuzione delle misure di sicurezza personali;
  • art. 5 D.P.R. n. 230/2000 che prevede le visite del magistrato di sorveglianza nei luoghi ove la misura si svolge.

Molte norme della legge 354/75 nell’enunciare i diritti richiamano espressamente gli internati e in primo luogo il diritto alla parità di condizioni (art. 3) e il diritto ad esercitare personalmente i propri diritti (art. 4). Inoltre:

  • il diritto a locali adeguati (art. 6);
    L’Allegato A nel paragrafo “Area abitativa” prescrive nel dettaglio le caratteristiche minime.
  • il diritto al vestiario (art. 7);
  • il diritto all’igiene personale (art. 8);

gli Accordi locali dovranno prevedere la ripartizione degli oneri tra il Ministero della salute e l’Amministrazione penitenziaria circa il corredo personale e i prodotti per l’igiene.

  • il diritto a praticare il proprio culto (art. 26);
  • assistenza alle famiglie (art. 45);
  • il diritto ad un’alimentazione adeguata (art. 9): a questo proposito, considerato che l’art. 9 prescrive che il servizio di vettovagliamento è di regola gestito direttamente dall'amministrazione penitenziaria. Anche in questo caso gli Accordi locali dovranno prevedere uno specifico riparto di oneri;
  • il diritto al trattamento rieducativo individualizzato (artt. 1, 13, 15, 17, 19) e alla conseguente osservazione sulla cui base è redatto il programma personalizzato.

In proposito l’Allegato A nel paragrafo relativo ai requisiti organizzativi prevede che il personale sia organizzato in equipe di lavoro multi professionale comprendente medici psichiatri, psicologi, infermieri, terapisti della riabilitazione psichiatrica/educatori, operatori socio sanitari (OSS). E prescrive in particolare che per l'assistenza e la gestione di un nucleo di 20 pazienti, è necessaria la seguente dotazione di personale: 12 infermieri a tempo pieno; 6 operatori socio sanitari (OSS) a tempo pieno; 2 medici psichiatri a tempo pieno con reperibilità medico-psichiatrica notturna e festiva; 1 educatore o tecnico della riabilitazione psichiatrica a tempo pieno; 1 psicologo a tempo pieno; 1 assistente sociale per fasce orarie programmate; 1 amministrativo per fasce orarie programmate.

Anche per l’internato il trattamento deve comprendere il lavoro, la religione, le attività ricreative e sportive e l’Allegato A nel paragrafo relativo ai Requisiti tecnologici prescrive tra l’altro la presenza di apposite attrezzature, strumentazioni e arredi, che facilitino lo svolgimento di attività di tempo libero, educazionale e riabilitativo precisando che la dotazione di attrezzature e strumentazioni deve essere in quantità adeguata alla tipologia e al volume delle attività svolte e tali da non risultare pregiudizievoli per l'ordinario svolgimento della vita all'interno delle residenze e/o per l'incolumità degli stessi ricoverati e degli operatori in servizio.
Gli Accordi locali dovranno prevedere la presenza di eventuali altre figure professionali (insegnanti, lavorazioni), assicurare che anche la comunità esterna partecipi all’azione rieducativa (volontari) e che siano acquisite, oltre alle informazioni sanitarie, tutte le altre informazioni utili (socio-familiari, lavorative, psicologiche, relative all’istruzione, tossicodipendenza, alle relazioni interpersonali, ad eventuali comportamenti auto lesivi …) a supporto delle decisioni del Magistrato di Sorveglianza e assicurare interventi trattamentali integrati anche nell’ambito del territorio.

  • il ricovero in luogo esterno di cura (art. 11)
  • il lavoro all’esterno (art. 21);
  • l’assistenza all’esterno dei figli (art. 21-bis);
  • le visite al minore infermo (art. 21-ter);
  • i rapporti con la famiglia (art. 28)
  • il permesso di necessità per gravi motivi (art. 30).
  • la semilibertà (art. 48)
  • le licenze (art. 53)

Sono infine da considerarsi anche le disposizioni:

  • dell’art. 4-bis (divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per alcuni delitti);
  • dell’51-ter (sospensione cautelativa delle misure alternative);
  • dell’53-bis (computo del periodo di permesso o licenza).

Rimangono di competenza della Polizia penitenziaria le traduzioni (42-bis).
L’Allegato A nel paragrafo relativo all’area abitativa) prevede un locale per la gestione degli aspetti giuridico-amministrativi.
Gli Accordi locali dovranno prevedere le singole operazioni da compiere (identificazioni, dimissioni, aggiornamento della posizione giuridica, compilazione e aggiornamento della cartella personale con i dati dell’internato e i risultati del trattamento, organizzazione delle presenze in udienza, notifiche, visite mediche all’esterno, lavoro all’esterno).
La specificità di questi compiti molto complessi e in carcere affidati al matricolista, e la necessità del collegamento al sistema informativo centrale e al sistema di rilevamento delle impronte, fa propendere a che gli Accordi prevedano che essi rimangano in carico all’istituto penitenziario più vicino alla struttura.
Dovrà essere individuata la figura dirigenziale alla quale spettano le competenze e la responsabilità della gestione giuridico-amministrativa della struttura e dovranno essere previsti percorsi formativi dedicati. In proposito l’Allegato A prescrive che le Regioni adottino un piano di formazione del personale delle strutture sanitarie residenziali “mirato ad acquisire e a mantenere competenze cliniche, medico legali e giuridiche, con particolare attenzione ai rapporti con la Magistratura di sorveglianza, specifiche per la gestione dei soggetti affetti da disturbo mentale autori di reato”.
Dovranno altresì essere informatizzati gli aspetti sanitari.
L’Allegato A prevede che “le strutture residenziali, nell'ambito delle direttive dei Dipartimenti di salute mentale, adottano linee guida e procedure scritte di consenso professionale. Le procedure scritte si riferiscono almeno alle seguenti tematiche: definizione dei compiti di ciascuna figura professionale; modalità d'accoglienza del paziente; valutazione clinica e del funzionamento psico-sociale; definizione del programma individualizzato; criteri per il monitoraggio e la valutazione periodici dei trattamenti terapeutico/riabilitativi; gestione delle urgenze/emergenze; modalità di raccordo col Dipartimento Cure primarie per garantire l'assistenza di base ai pazienti ricoverati nella struttura; modalità e criteri di raccordo con gli altri servizi del Dipartimento di salute mentale, i servizi per le tossicodipendenze, altri servizi sanitari, i servizi degli enti locali, le cooperative sociali, l'associazionismo, al fine programmare le attività di recupero e di inclusione sociale dei pazienti, una volta revocata la misura di sicurezza detentiva; modalità di attivazione delle Forze dell'Ordine, nelle situazioni di emergenza attinenti alla sicurezza”.

La “esclusiva gestione sanitaria all’interno delle strutture” ove non vi è presenza di polizia penitenziaria, rende invece incompatibili:

  • le norme che limitano la permanenza all’aperto (art. 10 OP)
  • quelle disciplinari (artt 38-40)
  • le norme che vietano di possedere denaro (art. 77)
  • le modalità e il numero dei colloqui e delle telefonate (art. 18, 37, 39) (l’Allegato A prevede che nelle strutture vi sia un locale per lo svolgimento dei colloqui con i familiari, avvocati, magistrati. Gli Accordi locali dovranno regolare l’accesso degli oggetti (e in generale gli oggetti che i ricoverati possono utilizzare): in proposito l’Allegato A nel paragrafo relativo all’area abitativa prevede un locale/spazio attrezzato per la custodia temporanea degli effetti personali dei degenti, effetti che sono gestiti dal personale per motivi terapeutici, di sicurezza o salvaguardia; nel paragrafo relativo ai Requisiti tecnologici è previsto altresì che a cura del Responsabile della struttura sarà redatto apposito regolamento interno che disciplini gli oggetti che i ricoverati possono detenere ed utilizzare.

Sono incompatibili altresì le norme che si riferiscono ad esigenze di ordine e sicurezza:

  • quelle relative alle perquisizioni (art. 34)
  • l’impiego della forza fisica (art. 41)
  • il regime di sorveglianza particolare (art 14-bis)
  • il regime del 41-bis
  • i trasferimenti per motivi di sicurezza (art. 42)

Sarà utile prevedere uno schema di Regolamento-tipo, così da assicurare una uniformità di gestione delle REMS sul territorio nazionale.

Roma, 23 luglio 2015

 

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO
Roberta Palmisano