Parere su certificazione di compatibiltà delle condizioni di salute con il regime carcerario (dicembre 2013)

  • pubblicato nel 2013
  • autore: Roberta Palmisano
  • parere
  • Ufficio Studi, ricerche, legislazione e rapporti internazionali
  • licenza di utilizzo: CC BY-NC-ND

 

DIPARTIMENTO AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
UFFICIO DEL CAPO DEL DIPARTIMENTO
Ufficio Studi Ricerche Legislazione e Rapporti Internazionali

 

  1. Il Tribunale di sorveglianza omissis nel procedimento di revoca dell'esecuzione penale richiesta da un detenuto ometteva di decidere e rinviava l'udienza del omissis segnalando, al Dap Ufficio Detenuti e Trattamento “per conoscenza e per eventuali provvedimenti” che la relazione del sanitario del carcere era priva del richiesto parere sulla compatibilità o meno delle riscontrate condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario; il Tribunale precisava che la relazione sanitaria sarebbe dovuta pervenire almeno sette giorni prima della nuova udienza. Alla nota era allegata l'indicata relazione del dirigente sanitario in cui si certificavano le condizioni di salute del detenuto ma si precisava che la richiesta valutazione in ordine alla compatibilità o meno con il regime carcerario era di competenza di un consulente tecnico che avrebbe dovuto essere nominato dal Tribunale.

    Nella nota in oggetto, trasmessa a questo Ufficio studi dal Direttore dell'istituto penitenziario, risulta che in riscontro alla segnalazione del Tribunale di sorveglianza, il Direttore dell'indicato Ufficio IV della Direzione generale Detenuti e Trattamento, aveva invitato il predetto dirigente sanitario a rilasciare il richiesto accertamento medico sulla compatibilità con il regime detentivo, e ciò in applicazione dell'art. 299 comma 4 ter del Codice di procedura penale. Secondo questa norma il Tribunale può disporre senza formalità accertamenti medici sulle condizioni di salute dell'imputato e correlativamente il sanitario che ne è investito è tenuto a ottemperare alla richiesta.

    Il Direttore del carcere, nel riferire le divergenti opinioni del Tribunale di sorveglianza e del Dap da un lato, e del dirigente sanitario dall'altro, chiedeva chiarimenti a questo Ufficio studi, facendo leva sul menzionato art. 299, comma 4 ter, c.p.p.
     
  2. Per ciò che attiene la segnalazione al Dap “per conoscenza e per eventuali provvedimenti” da parte del Tribunale di Sorveglianza della relazione del sanitario del carcere, priva del richiesto parere sulla compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, deve essere in via preliminare osservato che, a seguito della riforma della medicina penitenziaria disposta dall'art. 5 della legge delega 30.11.1998 n. 419, l'Amministrazione penitenziaria non controlla più il funzionamento dei servizi di assistenza sanitaria ai detenuti sicché la competenza di assumere provvedimenti amministrativi o disciplinari nei confronti dei sanitari che operano all'interno delle carceri è ora passata al Servizio Sanitario nazionale.
    La riforma, che ha lo scopo di assicurare ai detenuti e agli internati livelli di prestazione analoghi a quelli garantiti ai cittadini liberi, ha trasferito dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale non soltanto le funzioni sanitarie ma anche i rapporti di lavoro riguardanti la sanità penitenziaria.
    Il riordino della medicina penitenziaria ha avuto la sua prima attuazione con il decreto legislativo 22.6.1999 n. 230, che ha stabilito due basilari principi: l'Azienda Sanitaria Locale provvede alla erogazione delle prestazioni sanitarie ai detenuti e agli internati e gestisce e controlla i servizi sanitari degli istituti penitenziari; l'Amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti e degli internati nei singoli istituti e al Ministero della Giustizia sono riservate tutte le competenze in materia di sicurezza all'interno delle strutture sanitarie ubicate negli istituti penitenziari. Lo stesso decreto legislativo prevedeva che sarebbe stato individuato il personale operante negli istituti penitenziari da trasferire al Servizio Sanitario Nazionale.
    L'art. 2, comma 283, della legge 24.12.2007 n. 244, regolando il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale di tutte le funzioni sanitarie già svolte dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile, stabilì le modalità e le procedure per il trasferimento al Servizio Sanitario Nazionale degli esistenti rapporti di lavoro relativi all'esercizio delle funzioni sanitario nell'ambito del Dap e del Dipartimento della Giustizia Minorile.

    La completa e definitiva attuazione del riordino della medicina penitenziaria è stata data con il DPCM in data 1.4.2008 che, a decorrere dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto, ha trasferito al Servizio Sanitario Nazionale tutte le funzioni svolte dal Dap e dal Dipartimento della Giustizia Minorile e ha disposto il trasferimento del personale sanitario dipendente di ruolo in servizio alla data del 15.3.2008 alle aziende sanitarie locali nei cui territori erano ubicati gli istituti penitenziari ove tale personale prestava servizio. Con il trasferimento questo personale veniva inquadrato nelle corrispondenti categorie e profili previsti per il personale delle aziende sanitarie del Servizio Nazionale ed era previsto che il suo rapporto di lavoro doveva essere disciplinato, oltre che dalle vigenti disposizioni di legge, dalla contrattazione collettiva del personale dei ruoli del Servizio Sanitario Nazionale.
    Nell'ambito di questo personale l'art. 3 del menzionato DPCM comprendeva espressamente i dirigenti medici penitenziari.
     
  3. Dopo questo breve excursus sulla riforma della sanità penitenziaria deve trarsi la conclusione che il dirigente sanitario svolge il suo servizio alle dirette dipendenze della ASL (come chiaramente è confermato dalla intestazione della menzionata lettera inviata al Tribunale di sorveglianza), senza alcun rapporto con l'Amministrazione penitenziaria se non per problemi inerenti alla sicurezza dei detenuti e degli internati assistiti nello stesso carcere.
    Pertanto il Tribunale di Sorveglianza di Catania avrebbe potuto segnalare le ravvisate carenze nella denunziata relazione sanitaria del medico non già all'Ufficio IV della Direzione generale dei Detenuti e del Trattamento, ma all'Azienda sanitaria la quale avrebbe potuto adottare gli opportuni rimedi nel suo potere di controllo dei servizi sanitari negli istituti penitenziari.
     
  4. Passando alla questione sollevata nelle due note in oggetto, questione che per quanto si è detto avrebbe dovuto essere posta all'ASL , va premesso che, per valutare se il dirigente sanitario avesse dovuto riferire al Tribunale di sorveglianza sulla compatibilità o meno delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario, non può farsi applicazione dell'art. 299 comma 4 ter c.p.p. a cui hanno fatto riferimento sia il Direttore della casa circondariale di Taranto sia il Direttore dell'Ufficio IV, sezione V settore I, della Direzione generale dei Detenuti e del Trattamento.
    Il ristretto non era assoggettato a misure cautelari, ma era detenuto in espiazione di pena ed aveva fatto istanza di differimento dell'esecuzione della stessa pena per la gravità delle sue condizioni di salute. La questione quindi rientrava nell'ambito dell'art. 684 c.p.p., che regola il differimento dell'esecuzione della pena, e che peraltro è espressamente menzionato dal Tribunale di sorveglianza nella nota inviata al Dap.
    Per esaminare l'istanza del detenuto il Tribunale di Sorveglianza aveva il compito di procedere all'accertamento dell'incompatibilità della denunziata patologia con lo stato di detenzione ai sensi degli artt. 146 e 147 del Codice penale sul rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena.
    A tal fine lo stesso Tribunale, sulla base delle patologie denunciate dal detenuto e confermate nella relazione sanitaria, ne avrebbe dovuto accertare la gravità e valutare se se nello stato di detenzione fosse assicurata la necessaria assistenza sanitaria, oppure se tali infermità fossero compatibili con la permanenza del detenuto in carcere anche sotto il profilo della possibilità di apprestamento delle opportune terapie.
    Dovendo procedere agli accertamenti medici del caso, il solo mezzo consentito al Tribunale era quello di nominare ai sensi degli artt. 220 e segg. del Codice di procedura penale un perito al quale affidare il relativo formale incarico, previo giuramento e formulazione di appositi quesiti.

    Correttamente quindi il Dirigente sanitario dell'istituto penitenziario, nel confermare la sua diagnosi, aveva sostenuto che l'eventuale incompatibilità con il regime carcerario avrebbe dovuto essere accertata da un perito.

Roma, 5 dicembre 2013

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO
Roberta Palmisano