Ricongiungimento familiare del minore straniero

aggiornamento: 30 aprile 2009

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza, n. 22216 del 28.09/16.10.2006, in tema di ingresso e permanenza in Italia del familiare di un minore straniero in deroga alle norme sull’immigrazione (art. 31, D. Lgs. n. 286/1998),ha ritenuto ammissibile il ricorso straordinario per cassazione contro i provvedimenti di cui all’articolo 31, comma 3, Decreto Legislativo n. 286/98 ed ha definito i criteri di applicazione di tale norma, che disciplina i provvedimenti (di competenza del Tribunale per i minorenni) di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza in Italia, in deroga alle norme in materia di immigrazione, del familiare di un minore straniero per gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore stesso, tenuto conto della sua età e delle sue condizioni di salute.

In particolare la Corte ha ritenuto che la presenza dei gravi motivi deve essere rappresentata dal richiedente ed accertata dal giudice come emergenza “attuale” solo nel caso di autorizzazione all’ingresso del familiare, mentre ciò non vale sempre nel caso di autorizzazione alla permanenza del familiare, che altrimenti dovrebbe essere espulso: in questo secondo caso la situazione eccezionale (che giustifica la deroga alle norme sull’immigrazione) può anche presentarsi quale conseguenza dell’allontanamento improvviso del genitore e quindi quale situazione “futura ed eventuale” rimessa all’accertamento del giudice minorile.

Quindi, seppure ovviamente l’autorizzazione non può fondarsi sulla mera constatazione della presenza in territorio italiano di figli in tenera età, correttamente può il giudice ritenere certo il verificarsi dei gravi motivi sulla base di un accertamento concreto del grave pregiudizio che deriverebbe dall’assenza di una figura genitoriale (nel caso di specie l’autorizzazione alla permanenza del padre era stata data dal Tribunale per i minorenni, con provvedimento poi revocato dalla Corte d’Appello, all’esito di una consulenza tecnica d’ufficio).

A titolo di esempio dei casi, cui la sentenza della Cassazione si riferisce, si può brevemente riassumere il fatto stesso, ormai molto frequente, da cui è derivato il procedimento definito con questa pronuncia.

Un padre, cittadino straniero colpito da provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, aveva fatto ricorso al Tribunale per i minorenni chiedendo la sospensione dell’espulsione per esigenze di tutela della salute e della crescita della figlia all’epoca di soli nove mesi; la bambina era nata dal suo matrimonio con una connazionale, in Italia in posizione di regolarità, tanto che la minore era stata iscritta nel permesso di soggiorno della madre. Il padre rappresentava che, pur nella sua condizione di clandestinità, era sempre stato vicino alla figlia, prendendosene cura e provvedendo ai suoi bisogni, e che, pertanto, il suo improvviso allontanamento avrebbe causato alla bambina un grave trauma.

Il Tribunale per i minorenni interessato del caso aveva autorizzato la permanenza del padre in Italia per tre anni, salvo proroga, mentre la Corte d’Appello (cui avevano fatto ricorso la Procura della Repubblica per i minorenni e la Procura Generale) aveva revocato tale provvedimento sostenendo che anche nel caso di autorizzazione alla permanenza i gravi motivi che la potevano giustificare dovevano intendersi solo come situazione di emergenza e di attuale pericolo, tale da rendere necessaria la cura di un familiare per un certo periodo. Altrimenti, sempre ad avviso della C.A., la clausola dei gravi motivi avrebbe potuto essere strumentale ad una sanatoria della permanenza irregolare dello straniero sul territorio nazionale, mentre il superiore interesse del minore non potrebbe essere invocato per consentire una deroga alle leggi in materia di immigrazione.
Contro tale pronuncia sfavorevole della C.A. il padre straniero aveva quindi presentato ricorso alla Corte di Cassazione.

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