Circolare 18 luglio 2013 - Realizzazione circuito regionale ex art.115 d.p.r. 30 giugno 2000 n. 230: linee guida sulla sorveglianza dinamica

18 luglio 2013

DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
il Capo del Dipartimento

PU-GDAP-1a00-22/07/2013-0260212-2013

circolare n. 3649/6099

Ai Signori Provveditori regionali
LORO SEDI
Ai Signori Vice Capo
Ai Signori Direttori Generali
Al Signor Direttore dell'Issp
Ai Sigg. Direttori degli Uffici di Staff
LORO SEDI

OGGETTO: Realizzazione circuito regionale ex art.115 d.p.r. 30 giugno 2000 n 230 - linee guida sulla sorveglianza dinamica.

I. PREMESSA

Con le circolari nn. 445330, 206745 e 36997 - rispettivamente del 24 novembre 2011, 30 maggio 2012 e 29 gennaio 2013- è stato avviato un percorso di revisione del sistema organizzativo e gestionale dell'Amministrazione penitenziaria che, attraverso la realizzazione di circuiti penitenziari a norma dell'art. 115 del regolamento di esecuzione (D.P.R. n. 230/2000), tende al recupero da parte di tutta l'organizzazione, centrale e territoriale, della razionalità complessiva del sistema in coerenza con il dettato normativo.

Il richiamo delle circolari al concetto di "carcere aperto" è un chiaro riferimento all'art. 6 della Riforma Penitenziaria del 1975 che definisce le celle come luogo di pernotto, intendendo che la vita del detenuto debba normalmente svolgersi al di fuori di esse, ma è anche un'occasione per puntualizzare come il mandato principale assegnato all'Amministrazione sia quello di creare le condizioni per un "trattamento penitenziario conforme a umanità e dignità" ponendo, come punto focale della propria azione, la centralità della persona detenuta e la garanzia dei diritti fondamentali, affinchè i principi dell'art.27 della Costituzione relativi alla presunzione di non colpevolezza degli imputati e di finalizzazione della pena alla rieducazione del condannato possano trovare adeguata realizzazione. 

Un obiettivo, questo, verso cui devono convergere gli interventi di tutti gli operatori penitenziali, secondo le rispettive competenze professionali, in  un'ottica di integrazione e collaborazione, la stessa che si chiede quando si parla della necessità di garantire negli istituti ordine e disciplina. 

I concetti di sicurezza e trattamento, infatti, non hanno, né potrebbero avere, logiche divergenti, essendo, la prima, condizione necessaria perché le attività trattamentali possano svilupparsi, mentre è dimostrato che l'incremento delle seconde contribuisce a stabilizzare l'ordine e la disciplina interna.

La lettura degli artt. 2 e 4 del D.P.R. 230/2000 non lascia dubbi in proposito: i diversi operatori devono offrire ognuno il proprio apporto professionale per definire un sistema fondato su rapporti di stretta collaborazione, sullo scambio di informazioni relativamente a ogni tematica riguardante l'istituto e sull'assunzione comune della responsabilità di risultato.

Al riguardo è necessario evitare ogni fraintendimento: le disposizioni impartite con le circolari citate devono essere attuate pur nel riconoscimento che la complessità insita nell'operazione impone adattamenti progressivi. Nell'ambito di tale direttiva è incombenza dei Sigg. Provveditori operare, coordinando e graduando le iniziative, al fine della realizzazione del progetto che condurrà, anche attraverso le indicazioni fornite con la presente circolare, a definire i dettagli su taluni punti critici, inprimis l'attuazione della ed. sorveglianza dinamica e l'impiego del personale di Polizia Penitenziaria. 

Nonostante la riforma del 1990 abbia, infatti, assegnato alla Polizia Penitenziaria nuove e più pertinenti mansioni, questo personale appare, ancor oggi, troppo confinato in un ruolo di mera custodia [1], immaginando che il modo più idoneo a prevenire fatti e azioni compromettenti la sicurezza consista nell'intensificare la sorveglianza negli istituti.

Tale presupposto appare chiaro nel moltiplicarsi di tabelle di consegna, nel numero dei registri da compilare, nella persistenza o istituzione di posti di  servizio slegati da ogni rapporto diretto con la tipologia d'istituto, le caratteristiche dei detenuti e lo stesso numero di personale presente.

Invero, seppur questa prospettiva fosse realizzabile, essa, oltre a porsi in contraddizione con le finalità istituzionali, non si tradurrebbe in reale utilità, posto che, come l'esperienza dimostra, non contribuisce a evitare gli eventi critici e finisce per tradursi in una modalità destinata a dislocare le responsabilità verso il basso, legandola alla mera presenza degli agenti in servizio nel luogo e nel tempo dell'accaduto piuttosto che a carenze o negligenze specifiche.

Sulla base di tali premesse, richiamandosi alla delibera 51 del Consiglio d'Europa [2], si è cercato di declinare il concetto della "sorveglianza dinamica" immaginando un sistema più efficace per assicurare l'ordine all'interno degli istituti, senza ostacolare le attività trattamentali, fondato sulla semplificazione, la razionalizzazione, la qualificazione dei carichi di lavoro, la distinzione dei livelli di competenza, la condivisione dei flussi informativi tra le diverse figure professionali.  

Il presente documento non intende definire un modello rigido della attuazione della sorveglianza dinamica, replicabile pedissequamente in ogni istituto, ma vuole indicare le linee di riferimento minime e vincolanti entro le quali deve attuarsi questo metodo di lavoro. In tal modo il Dipartimento offre la soluzione a quelli che sono stati evidenziati come punti nevralgici, lasciando al contesto regionale e locale di adattare le linee guida ai singoli istituti. 

II. I CONTENUTI

II.1

II modello di sorveglianza dinamica fonda i suoi presupposti su di un sistema che fa della conoscenza del detenuto il fulcro su cui deve poggiare qualsiasi tipo di intervento trattamentale o securitario adeguato.

Coerentemente con questa esigenza - da intendersi come utilizzo e condivisione delle conoscenze disponibili e incessante lavorio di accrescimento di esse - il primo passaggio nella realizzazione delle condizioni che consentono la sorveglianza dinamica consiste nella differenziazione degli istituti, per graduarU in relazione alla tipologia giuridica e, prima ancora, al livello di concreta pericolosità dei soggetti.

Le conoscenze sui detenuti, però, risulterebbero fortemente limitate ove il perimetro della loro vita rimanesse confinato nei pochi metri quadri della cella o del corridoio così come avviene in troppi istituti. 

Occorre, quindi, realizzare una diversa gestione e utilizzazione degli spazi all'interno degli istituti distinguendo tra la cella - destinata, di regola, al solo pernotto - e luoghi dove vanno concentrate le principali attività trattamentali (scuola, formazione, lavoro, tempo libero) e i servizi (cortili passeggio, alimentazione, colloqui con gli operatori), così creando le condizioni perché il detenuto sia impegnato a trascorrere fuori dalla cella la maggior parte della giornata. 

Correlativo a questa diversa collocazione è l'intervento degli operatori appartenenti ad altre professionalità, o anche dei volontari, all'interno dei suddetti spazi.

I vantaggi di un regime penitenziario così configurato, se appaiono di immediata evidenza per la popolazione detenuta, non sono da meno per la prevenzione degli eventi critici e per il miglioramento dei compiti affidati alla Polizia Penitenziaria. 

L'attuale modalità di operare nei corridoi delle sezioni vincola gli agenti a un contatto diretto con il detenuto, a un continuo lavoro di apertura e chiusura delle porte, a una serie di incombenze, disposte dal regolamento di servizio, D.P.R. 82/99, la cui omissione espone a responsabilità, talvolta improprie, anche ai sensi dell'art. 387 c.p.

La divisione degli ambienti deve portare il personale di Polizia Penitenziaria a svolgere servizio, salvo che nelle ore notturne, in posti fissi all'esterno delle sezioni, presidiando i punti a rischio dell'istituto, il muro di cinta e i varchi verso l'esterno, con sentinelle o presidi automontati e affidando le specifiche incombenze di Polizia (da elevare a "operazioni di governo del territorio", come le operazioni di immissione agli ambienti comuni, i controlli sull'ordinato svolgersi delle attività, le perquisizioni reali o personali o di conta) a Unità Operative la cui consistenza numerica avrà come criterio di riferimento le caratteristiche dei detenuti. 

II "gruppo dinamico" potrà essere chiamato, all'occorrenza, anche per qualsiasi emergenza dovesse insorgere.

E' necessario che, con questa diversa organizzazione, gli agenti non rimangano più da soli a svolgere complicate, e a volte rischiose, operazioni né assumano responsabilità eccedenti rispetto ai compiti loro affidati, come sarà in seguito chiarito [3].

In definitiva, una diversa conformazione e utilizzo degli ambienti agevola le operazioni di controllo, consente l'incremento delle varie attività, aumenta i livelli di sicurezza, riduce i rischi attraverso la struttura a gruppo o a pattuglia, consente la distribuzione delle responsabilità su Evelli differenziati e allo stesso tempo integrati e permette agli operatori di valutare il detenuto sulla base di elementi concreti - quali il senso di responsabilità, la coerenza rispetto agli impegni presi all'atto della immissione nel circuito aperto, l'interrelazione con i compagni e col personale - sì da avere dati più attendibili ed utilizzabili sia ai fini dell'osservazione e del trattamento sia ai fini della valutatone di pericolosità.

Ben si può comprendere il valore dell'incrocio dei dati di esperienza diretta con quelli giudiziari, sanitari, psicologici e la conseguente necessità di coordinare i diversi interventi per lo scambio di informazioni che può avvenire sia all'interno del GOT sia nell'ambito delle conferenze di servizio di settore o interprofessionali. 

In tale ottica, per imparare a "stare e lavorare insieme", assumono infine fondamentale rilevanza i momenti formativi congiunti così come già organizzati dal Dipartimento in un recente passato [4].

II.2

L'integrazione degli interventi deve essere, a maggior ragione, assicurata allorquando si ricorre alla sorveglianza per affrontare problematiche che importano soluzioni pluri-professionali.

Un esempio è dato dalle ricorrenti disposizioni riguardanti la sorveglianza a vista, la grandissima sorveglianza e la grande sorveglianza che sono andate a formarsi a seguito della circolare 30 dicembre 1987 n. 3233/5683 relativa alla istituzione del «servizio nuovi giunti" a tutela della incolumità fisica dei detenuti e consistono nell'impiegare personale di Polizia Penitenziaria al controllo, più o meno esteso e intensivo, di detenuti ritenuti a rischio suicidario.

Premettendo che non appare fuori contesto sottolineare quanto il miglioramento del regime penitenziario influenzi in termini positivi qualsiasi azione di prevenzione del fenomeno dell'autolesionismo che voglia definirsi realmente efficace, nello specifico si sottolinea che misure del genere, in particolar modo la "sorveglianza a vista", non possono essere contemplate quali interventi a sé stanti e che la stessa circolare citata prevedeva, nel caso sussistesse un rischio concreto, l'allocazione dei detenuti in speciali reparti, ma soltanto al fine di agevolare l'instaurarsi di un valido iter terapeutico affidato a un servizio di assistenza psico/socio/sanitaria.

Tale logica è ribadita oggi, dopo che la sanità è passata al Servizio Sanitario Nazionale, nelle "Linee di indirizzo per la riduzione del rischio autolesivo e suicidario dei detenuti" approvate dalla Conferenza Unificata Stato Regione (in G.U. n° 34 del 10 febbraio 2012), linee che affrontano sia la prevenzione sia gli interventi terapeutici inserendoli in un ampio processo trattamentale che deve impegnare tutte le aree, ma di cui sono titolari, e responsabili, l'area educativa e/o sanitaria, non la Polizia Penitenziaria chiamata a collaborare e non già ad assumere oneri per fatti che esulano dalla sua specifica competenza professionale.

Il ricorso al controllo a vista deve intendersi, allora, quale misura eccezionale, limitata nel tempo e adottata solo se prescritta, in quanto giustificata nella sua necessità, da personale medico che assumerà, nel contempo, l'onere di seguire costantemente il detenuto sino alla redazione di un programma terapeutico specifico nel quale siano precisate le azioni di intervento assegnate alle diverse aree, compresa la sorveglianza, con l'obiettivo non solo di prevenire azioni autolesionistiche, ma anche di stimolare la crescita del senso di responsabilità del soggetto a rischio.

II.3

L'organizzazione dell'area della sicurezza, in base alle premesse indicate, deve essere coerente con la tipologia dell'Istituto, con il circuito penitenziario in cui esso è collocato e con le risorse umane e strumentali disponibili. In ogni caso i carichi di lavoro - intesi come numero di turni lavorativi e compiti individuali - non devono superare la soglia della forza disponibile e delle capacità soggettive.

Sull'argomento dell'impiego delle risorse umane - fermo restando il riferimento all'accordo quadro d'Amministrazione sottoscritto in data 24 marzo 2004 e l'obbligo di determinare i posti di servizio in relazione alla forza effettivamente disponibile nonché alle caratteristiche dell'istituto, assicurando al personale sia il riposo settimanale sia le ferie - particolare attenzione sarà dedicata alla formazione e alle incombenze da attribuire alle Unità Operative.

L'organizzazione per Unità Operative - introdotta dal D.P.R. 15 febbraio 1999, n.82 - risulta essere, infatti, un punto fondamentale nel dispiegarsi ottimale della sorveglianza dinamica.

Un assetto non solo formale delle stesse consente al personale del ruolo degli Ispettori e/o Sovraintendenti di esprimere le proprie competenze in tema di organizzazione e gestione del personale con il grado di autonomia attribuito al proprio ruolo migliorando il livello di consapevolezza nel governo della quotidianità.

Per questo motivo le tabelle di consegna a mente dell'alt. 29 D.P.R. 82/99, contenenti le direttive sul servizio da svolgere, saranno redatte col contributo dei responsabili delle U.O., così che essi possano efficacemente esercitare quelle incombenze di direzione, indirizzo e coordinamento che la legge (art. 23, comma 2, D. lgs. 443/92) loro conferisce. 

Gli agenti impiegati nelle diverse U.O. non assumendo titolarità nei processi di lavoro non vengono a subire le responsabilità delle possibili conseguenze derivanti dagli anzidetti processi, che rimangono in capo a coloro che svolgono le funzioni superiori.

II.4

Una trattazione conclusiva merita, infine, la questione sollevata circa la responsabilità del personale derivante dall'art. 387 c.p. («colpa del custode") in relazione ai compiti dettagUatamente descritti nel regolamento di servizio agli artt. 42 e segg.

In breve, si obietta il timore di una incompatibilità del modello fondato sulla sorveglianza dinamica con la richiamata previsione normativa.

Da qui la richiesta di abrogare l'art.387 c.p. e/o rivedere le disposizioni regolamentari.

Appare dubbio che tale reato - peraltro non limitato specificamente ai comportamenti della Polizia penitenziaria, posto che può essere commesso da «chiunque» - possa essere, nonostante una proposta del Dipartimento in tal senso, espunto dal nostro ordinamento oltre tutto perché il richiamo alla colpa, di cui alTart. 43 c.p., comprende fattispecie di gravita tale, da poter difficilmente essere trascurate o rimanere impunite, e ciò indipendentemente dalle previsioni del regolamento di servizio.

In ogni caso, seppure dovesse giungersi a una abrogazione, che ovviamente non potrebbe riguardare soltanto la Polizia penitenziaria, il risultato potrebbe richiedere tempi non brevi, per cui il problema rimane attuale e deve trovare soluzione a normativa vigente.

Tale soluzione, in effetti, è consentita dalle norme ed è certamente tale da togliere ogni profilo di irrazionale intimidazione connesso alla norma dell'art. 387 c.p..

In primis, il regolamento di servizio 82/99 è sicuramente derogabile per le custodie attenuate previste da una norma di pari livello, e successiva, contenuta nell'art.115, 3° comma, D.P.R. 230/00, immaginando tipologie di detenuti che per pericolosità o situazioni soggettive non hanno bisogno di una sorveglianza stretta.

Ma, in secondo luogo, una deroga è certamente possibile anche rispetto agli altri istituti, in quanto l'art. 34, comma 3, del capo I del Regolamento (dedicato alle "norme generai?), capo che precede la disciplina dei servizi (Capo II, artt. 35 e ss.), prevede che i servizi siano disciplinati dalle disposizioni contenute nel Capo II «salvo specifiche diverse disposizioni adottate dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria".

Ne consegue che l'Amministrazione può derogare alle norme regolamentari di cui al Capo II. 

III. CONCLUSIONI

Per questi motivi, fermo restando che tutte le disposizioni contenute nella presente circolare sono esecutive e riguardano gli istituti specificamente indicati dall'Amministrazione ai sensi della disposizione testé richiamata, si dispone che: 

  1. la "sorveglianza dinamica" è adottata, secondo le linee-guida che precedono e nell'immediato: 1° - negli istituti e nelle sezioni definiti "a custodia attenuata" ai sensi della successiva lettera e); II0 - nelle case di reclusione di media sicurezza identificate specificamente dal Dipartimento ai sensi della successiva lettera f);
  2. la "sorveglianza dinamica" verrà gradualmente estesa agli altri istituti, ad esclusione dei reparti di alta sicurezza;
  3. in ogni regione almeno un istituto o una sezione attueranno un "regime aperto" secondo le caratteristiche di cui alla lettera a);
  4. le modifiche strutturali che risultino eventualmente necessarie ove comportino spesa saranno effettuate con i fondi disponibili o proponendo progetti ad hoc alla Cassa delle Ammende;
  5. sono identificate con P.C.D. le "Case a custodia attenuata". Il Direttore dell'istituto di riferimento prowederà nel tempo più breve alla attuazione del relativo progetto d'istituto nonché alla redazione delle tabelle di consegna coerenti con le presenti disposizioni ed incidenti sul regolamento di servizio (D.P.R. 15 febbraio 1999, n. 82). Il progetto d'istituto e le tabelle sono trasmesse al Dipartimento per il tramite del Provveditorato, che esprimerà la propria valutazione. Ove la valutazione sia positiva, il progetto di istituto e le tabelle sono provvisoriamente esecutivi fino alla approvazione del Dipartimento che interverrà con decreto del Capo del Dipartimento entro 60 giorni dalla data di trasmissione;
  6. analogamente si procede per le case di reclusione a media sicurezza: il progetto d'istituto e le tabelle, del pari incidenti sul regolamento di servizio, vanno trasmessi al Dipartimento tramite il Provveditorato e la loro approvazione avviene entro il termine suindicato, ferma la previsione della provvisoria esecutività.

Roma, 18 luglio 2013

Buon lavoro

IL CAPO DEL DIPARTIMENTO
G. Tamburino

 

 

Nota 1 - Rammentiamo, ancor prima delle circolari citate, i due Pea della Direzione Generale Detenuti ti N°41 del 2004 "Rilancio delle aree educative" e N°l 1 del 2007 "La sicurezza compito della Polizia Penitenziaria quale elemento indispensabile per le attività dì osservazione e trattamento" che portarono alle linee guida trasmesse ai Prap con la circolare Gdap - 0434987 del 24 novembre 2009

Nota 2 - Rea 51 raccomandazione Ree 2006 Comitato Ministri Consiglio d'Europa « Le misure di sorveglianza applicate ai singoli detenuti devono corrispondere al minimo richiesto per garantire la sicurezza della loro detenzione. La sorveglianza garantita tramite sbarramenti fisici e altri mezzi tecnici deve essere completata da una sorveglianza dinamica garantita da membri del personale di vigilanza che conoscano bene i detenuti..». Nello specifico, dopo la sua ammissione ogni detenuto deve essere valutato non solo in relazione al perìcolo per la collettività, ma anche per le probabilità che tenti di evadere e, quindi, sottoposto a un regime di sorveglianza corrispondente al livello di pencolo individuato e da rivalutarsi nel tempo.

Nota 3 - Utili in un contesto del genere la predisposizione di sistemi informatici e/o tecnologia, in pnmis la creazione o l'ampliamento della Sala regia, che, dove esiste, deve divenire la "centrale operativa degli istituti, avere sotto controllo la maggior parte delle zone dell'istituto e rimanere in costante contatto con d comandante, con i responsabili delle Unità Operative e con i responsabili della sorveglianza.

Nota 4 - Cfr. l'iniziativa dell'Issp per veicolare l'introduzione della circolare 0024103 del 20 gennaio 2011 riguardante il progetto d'istituto.