Nota 9 luglio 2013 - Significato del concetto di sicurezza all'interno degli istituti penitenziari alla luce del Progetto di attuazione su base regionale dell’art. 115, comma 4, d.P.R. n. 230/2000

9 luglio 2013

Ministero della Giustizia
DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA
Ufficio del Capo del Dipartimento

 

Significato del concetto di sicurezza all’interno degli istituti penitenziari alla luce del Progetto di attuazione su base regionale dell’art. 115, comma 4, d.P.R. n. 230/2000

Ritengo doveroso esplicitare alcune considerazioni sui reali contenuti del progetto di attuazione su base regionale dell’art. 115, comma 4, d.P.R. n.230/2000, per rispondere a una campagna mediatica di disinformazione e fuorviamento dell’opinione pubblica messa in atto da una sigla sindacale che ha, in numerose occasioni, contestato il “Progetto dei circuiti regionali” con passaggi del seguente tenore apparsi su alcuni quotidiani: “il progetto prevede la possibilità per i detenuti di restare liberi di circolare all’interno del carcere e l’obbligo di rientrare in cella solo per dormire, lasciando ad alcune telecamere il controllo della situazione. (…) Un provvedimento assolutamente destabilizzante”.

  1. In linea di principio, è mia opinione che, per essere al passo con i tempi, un valido modello di gestione intramuraria dei detenuti e degli internati non possa prescindere dalla logica di un progressivo abbandono delle sezioni e delle camere di pernottamento, ambienti che, nel nostro sistema, hanno fin qui monopolizzato, o quasi, lo spazio di vita quotidiana dei ristretti.
    Anche sulla scorta dei risultati conseguiti da altri Paesi occidentali, che si caratterizzano per modelli più aperti di quello nostrano, è ragionevole attendersi che la prevalente collocazione della vita intramuraria in spazi di socialità per attività trattamentali intensificate - e, solo residualmente, nelle sezioni e nelle camere detentive - possa comportare un netto miglioramento delle condizioni di carcerazione, alleggerendo i carichi di lavoro del personale, incidendo positivamente sul clima complessivo, diminuendo le violenze, avvicinando altri operatori ai detenuti.

    La ridefinizione del significato del concetto di “sicurezza” degli e negli istituti penitenziari, nell’ottica di riforma avviata da questa Amministrazione con la realizzazione dei circuiti a custodia attenuata ex art. 115, comma 4, d.P.R. n. 230/2000, si ispira all’accennato “passaggio epocale”, che presuppone un’efficace risposta al grave problema del sovraffollamento, un graduale adeguamento delle strutture e, a monte, una consistente riorganizzazione del sistema carcere, obiettivi ai quali tutti sono chiamati ad offrire il proprio contributo propositivo e/o operativo.

    Si tratta, icto oculi, di una riforma da attuare gradualmente e con saggezza, evitando salti nel buio. Non a caso, il progetto sulla custodia attenuata e sulla correlata vigilanza dinamica è già in parte attuato e sarà completato, nel rispetto del regolamento di esecuzione del 2000, non indiscriminatamente, ma in “istituti autonomi o in sezioni di istituto” a cui assegnare “detenuti e internati di non rilevante pericolosità”.
     
  2. A tale riguardo, le esperienze sinora maturate dall’Amministrazione in diversi istituti del Paese, ai fini dell’assegnazione di detenuti da avviare presso strutture a trattamento avanzato, sono state precedute da un filtro selettivo dell’utenza saldamente ancorato al predetto criterio della “non rilevante pericolosità”.I primi risultati di tali esperienze inducono, pur in attesa di un consolidamento dei dati statistici, ad un fondato ottimismo circa l’equazione “maggiore apertura dei ristretti ed intensificazione delle attività trattamentali = maggiore sicurezza dell’utenza e del personale”. Alla prova dei fatti, le richiamate esperienze registrano un numero di eventi critici (dal suicidio all’evasione, dalle risse all’autolesionismo) di gran lunga inferiore a quelli rilevabili in altri contesti. In buona sostanza -a differenza delle case circondariali e degli istituti a media ed alta sicurezza, dove non è prevista la vigilanza dinamica- le strutture a custodia attenuata hanno fin qui garantito apprezzabili e documentabili livelli di sicurezza [1].
     
  3. Benché in termini probabilistici non possa escludersi in modo assoluto il rischio marginale di qualche evento critico, i risultati già scaturiti, con particolare riferimento alle strutture destinate alla vigilanza dinamica, ridimensionano notevolmente la necessità di implementarvi le barriere fisiche e gli altri mezzi tecnici (esigenza che, invece, va soddisfatta, unitamente ai programmi di ammodernamento dei sistemi tecnologici, nelle case circondariali e negli istituti a media ed alta sicurezza, secondo scale di priorità legate ai livelli delle strutture).
     
  4. Ove a ragion veduta si escluda che il progetto della custodia attenuata e della vigilanza dinamica comporti un’esposizione a rischi della Polizia penitenziaria superiore a quelli esistenti o realisticamente ipotizzabili, per le motivazioni sopra elencate e relativamente alle strutture interessate al progetto, non si intravede altresì la necessità di dotare il personale di strumenti di contenzione (spray anti-aggressione, manette, etc. ) .
     
  5. Nell’immaginare una riorganizzazione idonea a ridurre i carichi di lavoro del personale ed i posti di servizio, è invece ragionevole ipotizzare l’utilizzo di piccoli contingenti di personale il cui servizio in prossimità della cinta muraria possa prevenire eventuali remoti tentativi di evasione, senza escludere, all’uopo ed in caso di necessità, la possibilità di impiego per intervenire nelle aree intramurarie.

Giovanni Tamburino
Capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria

Roma, 9 luglio 2013

 

nota 1 Può essere utile citare l’esito di una recente attività di ricognizione ed analisi condotta, attraverso i dati della Sala Situazioni, che evidenzia come:” gli episodi di aggressione si verificano in misura molto ridotta negli Istituti o nelle parti di Istituti caratterizzati da una maggiore apertura e da una maggiore presenza di attività trattamentale. Tale dato sembra da una prima analisi confermato dalla flessione degli eventi critici che si è registrata in questi primi mesi del 2013, dove in molti Istituti o in alcune sezioni, si sta avviando un processo di cambiamento dei metodi di vigilanza ed una apertura delle camere detentive per più ore al giorno”.