Circolare 18 marzo 2009 - Intervento nei confronti dei detenuti sottoposti alla pena accessoria dell'isolamento diurno

18 marzo 2009

Lettera Circolare

GDAP-0103308-2009- 18/03/2009

Ai Signori Provveditori
Ai Signori Direttori Uffici Esecuzione Penale Esterna
Ai Signori Direttori degli Istituti Penitenziari
e,p.c. Ai Signori Vice Capi del Dipartimento
Al Signor Direttore Generale Detenuti e Trattamento
 

§1. Si desiderano porgere alle Loro Signorie alcune considerazioni emergenti da diverse decisioni delle somme giurisdizioni italiane che, pur confermando indirizzi interpretativi già assunti, rinnovano l'attenzione sul tema.

Nella prima parte si svolgerà, perciò, argomentata ricostruzione della posizione dell'isolamento diurno.

Nella seconda parte della presente circolare sono invece contenute istruzioni operative per adeguare ai casi in esame l'intervento delle dipendenti articolazioni territoriali.

Per evidenti ragioni di competenza congiunta, si ritiene di fare cosa utile nel porgere questa lettera circolare anche al Signor Direttore Generale dei Detenuti e del Trattamento.

PARTE PRIMA - CONSIDERAZIONI GENERALI

§2. Il canone generale che regge la strutturazione degli interventi trattamentali è notoriamente quella della personalizzazione (articoli 2 e 27 Cost., articoli 1 e 13 ord.penit.).Pur mortificato sovente dalla povertà di risorse, vuoi nell'osservazione della personalità, vuoi nel ritrovamento di adeguati o proporzionati strumenti, esso ispira a sé non solo l'azione confidata ai Loro uffici ed agli istituti, ma anche la lettura giurisprudenziale delle norme.

§3. In tale quadro, è necessario osservare che le conseguenze applicative del canone personalistico non sono univocamente quelle del processo verso una maggiore libertà, ben potendo imporre la realtà umana del condannato avvedutezze, attese e sospensioni del processo stesso.
Ancora di recente (sentenza 10 ottobre 2008 n. 338), la Corte Costituzionale ha ripetuto che: "è infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.5O, comma 2, ord.penit., nella parte in cui prevede che i condannati per uno dei reati indicati nell'art.4 bis, comma 1, ord .penit.. possano essere ammessi al regime di semilibertà solo se abbiano espiato i due terzi della pena, anche quando il residuo non eccede i tre anni, sollevata in riferimento all'art.3, comma 1, Cost ".

La Corte nel motivare, ricorda che già in precedenza essa aveva affermato che il regime dell'affidamento in prova e della semilibertà non sono omogenei a causa della "sostanziale diversità di presupposti delle due misure [1] e anche se il quadro normativo era stato parzialmente mutato (nel senso che il presupposto dell'esito positivo del «trattamento» penitenziario non è più indispensabile nei casi previsti dall'art. 47) [2], la novella , osserva la Corte, "non ha avuto l'effetto di una completa parificazione dei due istituti":per la concessione dell'affidamento in prova è necessaria una prognosi di rieducazione del reo, opportunamente assistito, e di prevedibile assenza del rischio di recidive.

Il soggetto che può essere ammesso a godere di tale regime "deve presentare, al momento dell'osservazione, una personalità tale da indurre alla ragionevole previsione che lo stesso non commetterà altri reati". E' per tale ragione che sulla base della residua pericolosità del condannato, nel caso concreto e alla luce di tutti i parametri indicati dalla legge, "si giustifica la parificazione tra coloro che hanno commesso reati in astratto valutati con particolare severità, come quelli previsti dall'art. 4 bis, e tutti gli altri condannati, sempre che la pena da espiare non superi i tre anni".

Diversa è la situazione "nell'ipotesi in cui il condannato non presenti le caratteristiche personali e comportamentali sufficienti a far ritenere che l'affidamento in prova possa servire, nell'attualità, alla sua rieducazione, e non sia conseguentemente escluso il rischio di recidive; riacquista qui senso e valore la ratio che ha ispirato il legislatore nel prevedere una condizione più severa per accedere alla semilibertà".

§4. Nell'autorevole lettura testé riferita, si incontra la rinnovata applicazione di alcuni principi che conformano il canone personalista.
E' legittimo che differenze nel percorso rieducativo siano stabilite dal legislatore in ragione del reato commesso e della stessa struttura della sanzione originalmente irrogata [3].

§5. Prendendo atto di tanto, è necessario riflettere ad una congrua differenziazione anche nella procedura di presa in carico e nelle tecniche di trattamento, nelle quali la natura dei reati commessi sia chiaramente riconosciuta, analizzata e incida sull'offerta trattamentale.

A tale fine, sarà buona prassi da parte dei Loro uffici affinare la riflessione degli assistenti sociali sulle diverse esperienze che essi abbiano incontrato negli anni e sulle eventuali attenzione posta alla diversa carriera criminale delle persone condannate, nella consapevolezza comune che nel caso di persone detenute, l'apporto del servizio sociale si fonde nella collegialità del gruppo di osservazione e trattamento.
L'azione di ricognizione e formalizzazione di fruttuosi interventi svolta sarà apprezzabile.

§6. Altro principio confermato è quello del carattere procedurale delle disposizioni che reggono l'accesso alle misure alternative, e, nei sensi sopra accennati {§3} basterà qui ricordare il dictum della Corte Costituzionale [4] in ordine al c.d. indultino, laddove l'alto giudice ripetè che “ la generalizzata applicazione del trattamento di favore previsto dalla disposizione censurata,nell'assegnare un identico beneficio a condannati che presentino fra loro differenti stadi di percorso di risocializzazione, compromette, ad un tempo, non soltanto il principio di uguaglianza,  finendo per omologare fra loro, senza alcuna plausibile ratio, situazioni diverse, ma anche la stessa funzione rieducativa della pena, posto che il riconoscimento di un beneficio penitenziario che non risulti correlato alla positiva evoluzione del trattamento, compromette inevitabilmente l'essenza stessa della progressività, che costituisce il tratto saliente dell'iter riabilitativo".

Di tale assunto le Loro Signorie furono rese edotte a suo tempo, onde appropriatamente corrispondere al diverso tipo di istruttoria che quel tipo di misura straordinaria ed analoga all'affidamento in prova [5] non preceduta da indagine socio familiare imponeva.

E' appena da dirsi che l'esaurirsi storico del ricorso a quello strumento di deflazione penitenziaria non ha inciso sulla validità e la vigenza del principio della liceità della ”reformatio in pejus", se il condannato preso in carico manifesti regresso rispetto alla accettazione della proposta trattamentale.

E' però insieme necessario ricordare l'altro caposaldo della stessa linea interpretativa, per il quale il jus superveniens costituito da norma più restrittiva sui requisiti di ammissione non comporta, perciò solo, la revoca delle misure alternative al condannato legittimamente ammesso sotto la vigenza di più larga, precedente, disciplina.

§7. La necessità di fare governo congiunto anche sul versante amministrativo dei principi richiamati è sollecitata dal rinnovato dictum della Corte di Cassazione (prima sezione penale, 11 novembre 2008, n. 3016) circa la natura dell'isolamento diurno.
Premesso che la giurisprudenza di legittimità è nel senso che la pena dell'ergastolo, in quanto pena detentiva perpetua, non è condonabile in parte,ma soltanto, per eventuale volontà del legislatore, in toto, ovvero, sempre in forza della medesima volontà, è convertibile in pena di altra specie [6], la Corte ha escluso la condonabilità dell'isolamento diurno, derivante dal concorso di più reati ciascuno dei quali punibili con la pena dell'ergastolo oltre che di alcuni reati non punibili con l'ergastolo.

Essa ha pure confermato che l'isolamento diurno non riveste le caratteristiche di una modalità di esecuzione della pena (come avviene, ad esempio, nel caso di isolamento notturno), bensì ha natura di sanzione penale: esso non può, perciò, essere applicato dal pubblico ministero in sede di cumulo, ma deve essere determinato ed applicato dal giudice in sede di cognizione, ovvero, quando si sia già in sede esecutiva, dal giudice dell'esecuzione [7]

In tale ambito, l'isolamento diurno è stato classificato fra le sanzioni penali con caratteristiche di temporaneità, cui si applica il principio (analogo a quello del calcolo delle pene concorrenti) secondo cui il limite massimo previsto dalla legge, se non può essere superato nella formazione del cumulo,non può però individuare un "tetto" insuperabile nel curriculum delinquenziale del condannato, qualora, durante l'esecuzione del provvedimento di cumulo o successivamente ad esso il soggetto riporti condanna alla quale consegua un ulteriore periodo di isolamento diurno [8].

§8. Vi è dunque analogia anche di questa pena (in qualche modo,l'estremità sanzionatoria dell'ordinamento penale) con il sistema prima delineato, per il quale la progressiva apertura verso la società del modo di eseguire la pena è sempre revocabile nel caso concreto per l'apparire di una
personalità del reo diversa rispetto a quanto di lui conosciuto (e ciò sia nei classici termini della revoca per comportamenti successivi sia nel caso di sopravvenuti giudicati penali che danno la conoscenza di altri elementi della vita del condannato preso in carico).
Resta poi, in via generale, lecito al legislatore il mutamento dei requisiti di legge per l'ammissione alle misure alternative, purché ciò non determini ipso iure la revoca di misure o regimi in corso che avevano corrisposto ad un progresso nella riabilitazione del reo.

§9. Nonostante l'analogia rilevata ne mostri la continuità col sistema delle pene, il caso dell'isolamento diurno per la sua peculiarità merita particolare attenzione, sia perché sia adeguata la tempestività nell'applicazione sia per la disposizione di particolare accorgimenti quando siano chiamati ad aprire l'osservazione di tali casi.
Si richiama alla Loro attenzione, la lettera circolare 14 maggio 2002, n.216953 della Direzione generale dei detenuti e del trattamento, che aveva richiamato l'attenzione dei signori Direttori degli istituti penitenziari a fare sollecita applicazione dell'isolamento diurno, sì da erodere da subito, per così dire, un rilevante obice al trattamento.
Più specificamente, si rammenta alle Loro Signorie, in subiecta materia che al condannato che subisce l'isolamento diurno deve essere garantita l'ordinaria vita di detenzione, compatibilmente con la suddetta sanzione,circa la quale, l'art. 73 reg. esec. prevede che non sia esclusa l'ammissione alle attività lavorative scolastiche e religiose.
A conferma di ciò, la Cassazione ha riconosciuto che nell'ipotesi di isolamento dei condannati alla pena all'ergastolo, ex art. 72 c.p., una forma di trattamento penitenziario, anche se attenuato, deve sempre essere garantita [9].

PARTE SECONDA - ISTRUZIONI OPERATIVE

§10. I tratti diffusamente sopra delineati inducono dunque a impartire le seguenti istruzioni:

10.1 Le Direzioni degli istituti penitenziari vorranno richiedere formalmente, per i condannati alla pena dell'ergastolo con la pena accessoria dell'isolamento diurno, la collaborazione e l'intervento da parte degli Uffici di esecuzione penale esterna.
10.2 Nei confronti di tali condannati devono essere svolte le normali attività di servizio sociale, attesa l'importanza del contributo che può essere offerto in termini di qualità rispetto alla peculiare competenza professionale.
10.3 Il Direttore dell'ufficio di esecuzione penale esterna farà prendere in carico il condannato, con apposito ordine di servizio, assegnandolo, secondo i criteri generali, all'assistente sociale competente.
10.4 L'assistente sociale incaricato prenderà visione del caso in esame,programmando i propri interventi, e facendo particolare attenzione alla dimensione conoscitiva del condannato, con riguardo al contesto sociale,relazionale e familiare del detenuto.
10.5 Nella programmazione dell'intervento si terrà conto sia della necessaria separatezza dagli altri ristretti sia della maggiore intensità di supporto che la condizione specifica di tale ergastolano richieda.

§ 11. I Signori Provveditori vorranno porgere cortese attenzione alla conoscenza nelle articolazioni territoriali della presente circolare e alla verifica dell'effettiva applicazione di quanto segnalato al §10.

Si rinnovano con l’occasione atti di viva considerazione e si confida in una collaborazione istituzionale tra le direzioni degli istituti penitenziari e gli uffici di esecuzione penale esterna nel mantenere un adeguato rapporto funzionale, garantendo, così, l'integrazione ed il coordinamento degli interventi.

IL DIRETTORE GENERALE Riccardo Turrini Vita

NOTE

nota 1 Corte Cost. 7 aprile 1997, n. 1002

nota 2 Per effetto dell'art. 5 l. 27 maggio 1998, n. 165, recante "Modifiche all'art. 656 del codice di procedura penale ed alla l. 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni"

nota 3 Anche la sola virtualità degli effetti nel caso di aggravante contestata su un reato sanzionato edittalmente dall'ergastolo, può infatti divenire efficace proprio in sede di trattamento penitenziario: si veda Cass.SS.UU. 9 gennaio 2009, n.237

nota 4 Corte Costituzionale 4 luglio 2006, n.255.

nota 5 Lettera circolare 27 settembre 2006, n.0307672/2006, § 4.

nota 6 E plurimis sentenza 22 maggio 2008, n.22760, rv. 239886

nota 7 V. per tutte, Cass. Sez. 1 n. 3004 del 1993

nota 8 V. Cass. n. 4381 del 2000

nota 9 Cassazione penale sez. I, Natoli, 21 marzo 2000, n. 2116