Decreto 7 febbraio 2006 n. 144 - Regolamento, ai sensi dell'articolo 19, comma 2, della legge 13 febbraio 2001, n. 45, in materia di trattamento penitenziario di coloro che collaborano con la giustizia

7 febbraio 2006

(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 84 del 10 aprile 2006)

Il Ministro della Giustizia
di concerto con
il Ministro dell'Interno

Visto il decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, recante «Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonchè per la protezione ed il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia», come da ultimo modificata dalla legge 13 febbraio 2001, n. 45, recante «Modifica della disciplina della protezione e del trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia nonchè disposizioni a favore delle persone che prestano testimonianza» e, in particolare l'articolo 17-bis, comma 2;

Vista la legge 26 luglio 1975, n. 354, recante «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta», nonchè il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, «Regolamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta»;

Visto l'articolo 17, commi 3 e 4, legge 23 agosto 1988, n. 400;

Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi nell'adunanza del 30 maggio 2005, le cui osservazioni sono state recepite, ad eccezione di quella concernente la formula utilizzata nell'articolo 4, il cui accoglimento importerebbe conseguenze in contrasto con le regole fondamentali del trattamento penitenziario;

Vista la comunicazione alla Presidenza del Consiglio dei Ministri a norma dell'articolo 17, comma 3, della citata legge 23 agosto 1988, n. 400;

Emana il seguente regolamento:

 Art. 1. (nota)
Ambito di applicazione
 

  1. Sono sottoposti alle disposizioni del presente regolamento:
    1. i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall'articolo 9, comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, e che siano ammessi alle speciali misure di protezione o per i quali sia stata avanzata la proposta di ammissione a misure speciali di protezione, ovvero per i quali sia stata avanzata richiesta di piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a misure di eccezionale urgenza ai sensi dell'articolo 13, comma 1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8;
       
    2. i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti previsti dall'articolo 9, comma 2, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, per i quali, sebbene non sia stata avanzata richiesta di speciali misure di protezione, il Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dall'articolo 16-quater del medesimo decreto-legge, richiede, in vista della formulazione della proposta di ammissione a speciali misure di protezione, l'adozione di particolari cautele nella gestione penitenziaria;
       
    3. i soggetti che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di protezione e ne sono fuoriusciti con misure di reinserimento sociale ai sensi dell'articolo 13, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, salvo che, anche sulla base di informazioni provenienti dall'autorità giudiziaria, il nuovo stato di detenzione o di internamento non sia conseguente a fatti incompatibili con le condotte di collaborazione con la giustizia;
       
    4. i detenuti e gli internati che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di protezione poi revocate, ovvero al piano provvisorio di protezione non seguito dalla richiesta delle speciali misure di protezione, ovvero a misure di eccezionale urgenza non seguite dalla definizione di un piano provvisorio o delle speciali misure di protezione;
       
    5. i detenuti e gli internati che, sebbene non tengono o non hanno tenuto condotte di collaborazione, sono sottoposti alle speciali misure di protezione in ragione delle situazioni previste dall'articolo 9, comma 5, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
       
Art. 2.
Principi direttivi del trattamento penitenziario dei collaboratori di giustizia
 
  1. I soggetti indicati all'articolo 1 godono dei diritti e sono sottoposti ai doveri previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, ed al regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
     
  2. Le modalità di esercizio dei diritti e di adempimento dei doveri dei soggetti indicati all'articolo 1 possono essere modificate soltanto al fine di garantire la genuinità delle dichiarazioni, di assicurare la riservatezza nonchè di tutelare l'incolumità personale del detenuto o dell'internato.
     
  3. Nei confronti di un soggetto che al momento dell'ingresso in carcere si trova nelle condizioni previste dall'articolo 1, l'Amministrazione penitenziaria adotta, a richiesta delle autorità preposte alla tutela del soggetto e, in caso di urgenza, di propria iniziativa, le misure di protezione necessarie ad assicurarne l'incolumità personale.
     
  4. La direzione dell'istituto di pena adotta tutte le misure di sostegno e di trattamento, compatibili con le esigenze di sicurezza, idonee ad evitare che le condizioni di vita dei soggetti indicati all'articolo 1 risultino deteriori rispetto a quelle degli altri detenuti.

Art. 3
. (note)
Provvedimenti nei confronti dei detenuti che manifestano la volontà di collaborare
 
  1. Qualora il detenuto o l'internato manifesta la volontà di collaborare con la giustizia, il Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, in attuazione dall'articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, dispone immediatamente le misure necessarie ad evitare l'incontro con altre persone che collaborano con la giustizia, i colloqui investigativi di cui all'articolo 18-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, e le comunicazioni epistolari, telefoniche o telegrafiche, nonchè adotta le specifiche misure volte a garantire la sicurezza. Le misure sono mantenute fino alla completa conclusione della redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione.
     
  2. Se la manifestazione della volontà di collaborare è comunicata dall'autorità giudiziaria, le disposizioni sono impartite dalla Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, che adotta altresì le opportune misure di protezione, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica ed al Procuratore nazionale antimafia.
     
  3. Nell'ipotesi indicata al comma 2, qualora ricorrano ragioni di urgenza, la direzione dell'istituto che abbia ricevuto direttamente la comunicazione dall'autorità giudiziaria adotta provvedimenti di contenuto analogo a quelli indicati nel comma precedente, dandone immediata comunicazione al Procuratore della Repubblica, al Procuratore nazionale antimafia, nonchè alla Direzione generale dei detenuti e del trattamento per le successive disposizioni.
     
  4. Analoghe misure d'urgenza si applicano ai detenuti ed agli internati che manifestano la volontà di collaborare direttamente alla direzione dell'istituto che provvede alle comunicazioni di cui al comma 3.
     
  5. Qualora non pervenga diversa comunicazione da parte del Procuratore della Repubblica al quale il detenuto sta rendendo o ha reso le dichiarazioni indicate all'articolo 16-quater, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, le misure previste dai commi 2 e 3 sono revocate decorsi centottanta giorni da quello in cui il soggetto ha manifestato la volontà di collaborare, secondo quanto comunicato dal Procuratore della Repubblica.

Art. 4.
(note)
Criteri di assegnazione agli istituti o alle sezioni
 
  1. Fatte salve le misure indicate all'articolo 3, comma 1, i detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettere a) e c), sono assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto.
    L'assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
     
  2. Fatte salve le misure indicate all'articolo 3, comma 1, su richiesta del Procuratore della Repubblica che sta raccogliendo o che ha raccolto il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, o su richiesta di altro Procuratore della Repubblica, d'intesa con il primo, i detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettera b), sono assegnati con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati al comma 1. L'assegnazione deve essere effettuata in modo da evitare contatti fra collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
     
  3. I detenuti e gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettere d) ed e), sono rispettivamente assegnati, con provvedimento della Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, ad appositi e tra loro distinti istituti o sezioni di istituto, comunque diversi da quelli indicati ai commi 1 e 2.
     
  4. Le disposizioni previste ai precedenti commi si applicano, compatibilmente con le modalità di fruizione del beneficio concesso, anche ai detenuti e agli internati, collaboratori di giustizia:

    1. assegnati al lavoro all'esterno ai sensi dell'articolo 21, legge 26 luglio 1975, n. 354; 
    2. ammessi alla misura della semilibertà ai sensi dell'articolo 48 della medesima legge; 
    3. ammessi alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci ai sensi dell'articolo 21-bis della medesima legge.
       
  5. Per il compimento di specifici atti non esperibili nell'istituto o nella sezione di assegnazione, su richiesta del Procuratore della Repubblica che svolge le indagini, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria può trasferire, per il tempo strettamente necessario e comunque preventivamente indicato, i detenuti e gli internati di cui all'articolo 1 ad istituti o sezioni diversi da quelli indicati ai commi 1, 2, 3 e 4, assicurando comunque le esigenze di sicurezza ed evitando i contatti con altri collaboratori di giustizia che, in base alle notizie comunicate dall'autorità giudiziaria e dal Servizio centrale di protezione, risultano partecipare ai medesimi procedimenti giudiziari o avere, comunque, reso dichiarazioni sui medesimi fatti delittuosi.
     
  6. Qualora agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1, per salvaguardare la genuinità delle dichiarazioni nonchè per tutelare l'incolumità personale, non sia possibile assicurare nella casa di lavoro o nella colonia agricola di assegnazione le stesse condizioni restrittive e le stesse opportunità di trattamento applicate agli altri internati, la Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria può assegnarli ad un'altra casa di lavoro o colonia agricola, assicurando comunque le suddette esigenze.
     
  7. I medesimi criteri indicati al comma 6 si applicano agli internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1 e che sono assegnati ad una casa di cura e custodia, ad un ospedale psichiatrico giudiziario, ad un istituto per infermi o minorati, ovvero che sono sottoposti ad osservazione psichiatrica ai sensi dell'articolo 112 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
     
  8. La Direzione generale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, qualora ricorrano gravi ragioni di sicurezza, può, sentita l'autorità giudiziaria, assegnare i detenuti o gli internati indicati all'articolo 1, comma 1, lettera d), ad istituti o sezioni di istituto ordinari.

Art. 5.
(nota)
Ordini di servizio in materia di sicurezza
 
  1. La direzione dell'istituto penitenziario dotato di sezione per detenuti o internati indicati all'articolo 1 adotta, anche sulla base di eventuali disposizioni del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, un apposito ordine di servizio contenente tutte le prescrizioni alle quali deve attenersi il personale per la gestione dei soggetti ivi ristretti e in ogni caso:

    1. l'assegnazione, ai servizi di sezione, di personale capace ed esperto, nonchè la rigorosa limitazione e la registrazione degli accessi; 
    2. le cautele per assicurare la riservatezza degli atti relativi al collaboratori di giustizia; 
    3. le modalità di spostamento e di uscita dei detenuti dalla sezione; 
    4. le cautele per assicurare che il cibo, i farmaci e gli oggetti che i detenuti possono legittimamente acquistare o detenere non possano subire manipolazioni; 
    5. l'indicazione delle misure per garantire il rispetto dei divieti contenuti nell'articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
       
  2. Qualora l'istituto penitenziario non sia dotato di sezione per collaboratori di giustizia, la direzione dell'istituto di pena in cui sia ristretto un soggetto che abbia manifestato la volontà di collaborare o che comunque si trovi nelle condizioni di cui all'articolo 1, emana un ordine di servizio di contenuto analogo a quello indicato nel comma 2.

Art. 6.
(note)
Colloqui e corrispondenza
 
  1. Ai detenuti ed agli internati indicati all'articolo 1 si applicano integralmente le disposizioni previste dagli articoli 18 e 18-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, e dagli articoli 37, 38, 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, salve le limitazioni previste dall'articolo 13, comma 14, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8.
     
  2. Le condizioni indicate all'articolo 1 integrano le particolari circostanze previste dall'articolo 37, comma 9, decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230.
     
  3. Ai detenuti o internati che si trovano nelle condizioni previste dall'articolo 1, comma 1, lettere a) e c), può essere concessa l'autorizzazione al colloquio telefonico con propri familiari o conviventi sottoposti a protezione mediante connessione ad utenza cellulare, purchè il Servizio centrale di protezione attesti la disponibilità dell'utenza da parte del familiare o del convivente.
    La connessione è effettuata dalla direzione dell'istituto tramite personale specificatamente addetto ed a spese del detenuto.

Art. 7.
(note)
Traduzioni e trasferimenti
 
  1. La traduzione, il trasferimento ed il piantonamento dei soggetti indicati all'articolo 1, anche se detenuti o internati in luoghi esterni agli istituti di pena, sono effettuati da personale del Corpo di Polizia penitenziaria.
     
  2. La direzione dell'istituto penitenziario che provvede alla traduzione o al trasferimento emana le disposizioni ritenute utili ad assicurare l'incolumità fisica del detenuto o internato e della scorta, ad impedire tentativi di evasione, ad assicurare l'effettività dei divieti di colloquio e di incontro stabiliti dalla legge o da disposizioni dell'autorità giudiziaria competente.
     
  3. La direzione dell'istituto penitenziario comunica tempestivamente l'ordine di traduzione o trasferimento al Servizio centrale di protezione che ne informa le Questure ed i Comandi provinciali dell'Arma dei Carabinieri competenti in relazione all'itinerario previsto.
     
  4. Le Forze di polizia interessate dispongono la vigilanza ritenuta adeguata alle concrete esigenze di sicurezza.
     
  5. Salvi i provvedimenti adottati dall'autorità di pubblica sicurezza, per particolari esigenze di ordine e di sicurezza pubblica, il responsabile del servizio di traduzione può richiedere, in situazioni di emergenza attinenti la sicurezza, l'intervento della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri competenti per territorio.
     
  6. La traduzione ed il trasferimento dei soggetti collocati in detenzione domiciliare o agli arresti domiciliari e sottoposti alle speciali misure di protezione, al piano provvisorio di protezione e alle misure di eccezionale urgenza ai sensi dell'articolo 13, comma 1, decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, sono effettuati a cura del Servizio centrale di protezione, il quale vi provvede mediante le forze di polizia territoriali.
     
  7. Qualora venga concesso un permesso ai sensi degli articoli 30 e 30-ter, legge 26 luglio 1975, n. 354, se l'autorità giudiziaria ne ha disposto la fruizione in località nota al Servizio centrale di protezione, la traduzione del soggetto è effettuata a cura del Servizio medesimo, il quale vi provvede mediante le Forze di polizia territoriali.
NOTE

Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato è stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai sensi dell'art. 10, comma 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge alle quali è operato il rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti.

Note alle premesse:
  • Si riporta il testo del comma 2 dell'art. 17-bis del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82 (Nuove norme in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione dei testimoni di giustizia, nonchè per la protezione e il trattamento sanzionatorio di coloro che collaborano con la giustizia):
    1. «Con decreto del Ministro della giustizia, emanato di concerto con il Ministro dell'interno, sono stabiliti i presupposti e le modalità di applicazione delle norme sul trattamento penitenziario, previste dal Titolo I della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e dal Titolo I del relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431, e successive modificazioni, alle persone ammesse alle misure speciali di protezione e a quelle che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativamente ai delitti di cui all'art. 9, comma 2.».
  • Si riporta il testo dell'art. 17, commi 3 e 4, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri):
    1. «Con decreto ministeriale possono essere adottati regolamenti nelle materie di competenza del Ministro o di autorità sottordinate al Ministro, quando la legge espressamente conferisca tale potere. Tali regolamenti, per materie di competenza di più Ministri, possono essere adottati con decreti interministeriali, ferma restando la necessità di apposita autorizzazione da parte della legge.
      I regolamenti ministeriali ed interministeriali non possono dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo. Essi debbono essere comunicati al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della loro emanazione.
       
    2. I regolamenti di cui al comma 1 ed i regolamenti ministeriali ed interministeriali, che devono recare la denominazione di "regolamento", sono adottati previo parere del Consiglio di Stato, sottoposti al visto ed alla registrazione della Corte dei conti e pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.».

Nota all'art. 1:

  • Si riporta il testo dell'art. 9, 13 e 16-quater del citato decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82:

    «Art. 9 (Condizioni di applicabilità delle speciali misure di protezione).
    1. Alle persone che tengono le condotte o che si trovano nelle condizioni previste dai commi 2 e 5 possono essere applicate, secondo le disposizioni del presente Capo, speciali misure di protezione idonee ad assicurarne l'incolumità provvedendo, ove necessario, anche alla loro assistenza.
       
    2. Le speciali misure di protezione sono applicate quando risulta la inadeguatezza delle ordinarie misure di tutela adottabili direttamente dalle autorità di pubblica sicurezza o, se si tratta di persone detenute o internate, dal Ministero della giustizia - Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria e risulta altresì che le persone nei cui confronti esse sono proposte versano in grave e attuale pericolo per effetto di talune delle condotte di collaborazione aventi le caratteristiche indicate nel comma 3 e tenute relativamente a delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell'ordine costituzionale ovvero ricompresi fra quelli di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater e 600-quinquies del codice penale.
       
    3. Ai fini dell'applicazione delle speciali misure di protezione, assumono rilievo la collaborazione o le dichiarazioni rese nel corso di un procedimento penale. La collaborazione e le dichiarazioni predette devono avere carattere di intrinseca attendibilità. Devono altresì avere carattere di novità o di completezza o per altri elementi devono apparire di notevole importanza per lo sviluppo delle indagini o ai fini del giudizio ovvero per le attività di investigazione sulle connotazioni strutturali; le dotazioni di armi, esplosivi o beni, le articolazioni e i collegamenti interni o internazionali delle organizzazioni criminali di tipo mafioso o terroristico-eversivo o sugli obiettivi, le finalità e le modalità operative di dette organizzazioni.
       
    4. Se le speciali misure di protezione indicate nell'art. 13, comma 4, non risultano adeguate alla gravità ed attualità del pericolo, esse possono essere applicate anche mediante la definizione di uno speciale programma di protezione i cui contenuti sono indicati nell'art. 13, comma 5.
       
    5. Le speciali misure di protezione di cui al comma 4 possono essere applicate anche a coloro che convivono stabilmente con le persone indicate nel comma 2 nonchè, in presenza di specifiche situazioni, anche a coloro che risultino esposti a grave, attuale e concreto pericolo a causa delle relazioni intrattenute con le medesime persone.
      Il solo rapporto di parentela, affinità o coniugio, non determina, in difetto di stabile coabitazione, l'applicazione delle misure.
       
    6. Nella determinazione delle situazioni di pericolo si tiene conto, oltre che dello spessore delle condotte di collaborazione o della rilevanza e qualità delle dichiarazioni rese, anche delle caratteristiche di reazione del gruppo criminale in relazione al quale la collaborazione o le dichiarazioni sono rese, valutate con specifico riferimento alla forza di intimidazione di cui il gruppo è localmente in grado di valersi.».
    «Art. 13 (Contenuti delle speciali misure di protezione e adozione di provvedimenti provvisori).
    1. Sulla proposta di ammissione alle speciali misure di protezione, la commissione centrale di cui all'art. 10, comma 2, delibera a maggioranza dei suoi componenti, purchè siano presenti alla seduta almeno cinque di questi. In caso di parità prevale il voto del presidente. Quando risultano situazioni di particolare gravità e vi è richiesta dell'autorità legittimata a formulare la proposta la commissione delibera, anche senza formalità e comunque entro la prima seduta successiva alla richiesta, un piano provvisorio di protezione dopo aver acquisito, ove necessario, informazioni dal Servizio centrale di protezione di cui all'art. 14 o per il tramite di esso. La richiesta contiene, oltre agli elementi di cui all'art. 11, comma 7, la indicazione quantomeno sommaria dei fatti sui quali il soggetto interessato ha manifestato la volontà di collaborare e dei motivi per i quali la collaborazione è ritenuta attendibile e di notevole importanza; specifica inoltre le circostanze da cui risultano la particolare gravità del pericolo e l'urgenza di provvedere. Il provvedimento con il quale la commissione delibera il piano provvisorio di protezione cessa di avere effetto se, decorsi centottanta giorni, l'autorità legittimata a formulare la proposta di cui all'art. 11 non ha provveduto a trasmetterla e la commissione non ha deliberato sull'applicazione delle speciali misure di protezione osservando le ordinarie forme e modalità del procedimento.
      Il presidente della commissione può disporre la prosecuzione del piano provvisorio di protezione per il tempo strettamente necessario a consentire l'esame della proposta da parte della commissione medesima. Quando sussistono situazioni di eccezionale urgenza che non consentono di attendere la deliberazione della commissione e fino a che tale deliberazione non interviene, su motivata richiesta della competente autorità provinciale di pubblica sicurezza, il Capo della polizia - direttore generale della pubblica sicurezza può autorizzare detta autorità ad avvalersi degli specifici stanziamenti previsti dall'art. 17 specificandone contenuti e destinazione. Nei casi in cui è applicato il piano provvisorio di protezione, il presidente della commissione può richiedere al Servizio centrale di protezione una relazione riguardante la idoneità dei soggetti a sottostare agli impegni indicati nell'art. 12.
       
    2. Per stabilire se sia necessario applicare taluna delle misure di protezione e, in caso positivo, per individuare quale di esse sia idonea in concreto, la commissione centrale può acquisire specifiche e dettagliate indicazioni sulle misure di prevenzione o di tutela già adottate o adottabili dall'autorità di pubblica sicurezza, dall'Amministrazione penitenziaria o da altri organi, nonchè ogni ulteriore elemento eventualmente occorrente per definire la gravità e l'attualità del pericolo in relazione alle caratteristiche delle condotte di collaborazione.
       
    3. Esclusivamente al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle speciali misure di protezione, la commissione centrale può procedere anche all'audizione delle autorità che hanno formulato la proposta o il parere e di altri organi giudiziari, investigativi e di sicurezza; può inoltre utilizzare gli atti trasmessi dall'autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 118 del codice di procedura penale.
       
    4. Il contenuto del piano provvisorio di protezione previsto dal comma 1 e delle speciali misure di protezione che la commissione centrale può applicare nei casi in cui non provvede mediante la definizione di uno speciale programma è stabilito nei decreti previsti dall'art. 17-bis, comma 1. Il contenuto delle speciali misure di protezione può essere rappresentato, in particolare, oltre che dalla predisposizione di misure di tutela da eseguire a cura degli organi di polizia territorialmente competenti, dalla predisposizione di accorgimenti tecnici di sicurezza, dall'adozione delle misure necessarie per i trasferimenti in comuni diversi da quelli di residenza, dalla previsione di interventi contingenti finalizzati ad agevolare il reinserimento sociale nonchè dal ricorso, nel rispetto delle norme dell'ordinamento penitenziario, a modalità particolari di custodia in istituti ovvero di esecuzione di traduzioni e piantonamenti.
       
    5. Se, ricorrendone le condizioni, la commissione centrale delibera la applicazione delle misure di protezione mediante la definizione di uno speciale programma, questo è formulato secondo criteri che tengono specifico conto delle situazioni concretamente prospettate e può comprendere, oltre alle misure richiamate nel comma 4, il trasferimento delle persone non detenute in luoghi protetti, speciali modalità di tenuta della documentazione e delle comunicazioni al servizio informatico, misure di assistenza personale ed economica, cambiamento delle generalità a norma del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119, e successive modificazioni, misure atte a favorire il reinserimento sociale del collaboratore e delle altre persone sottoposte a protezione oltre che misure straordinarie eventualmente necessarie.
       
    6. Le misure di assistenza economica indicate nel comma 5 comprendono, in specie, semprechè a tutte o ad alcune non possa direttamente provvedere il soggetto sottoposto al programma di protezione, la sistemazione alloggiativa e le spese per i trasferimenti, le spese per esigenze sanitarie quando non sia possibile avvalersi delle strutture pubbliche ordinarie, l'assistenza legale e l'assegno di mantenimento nel caso di impossibilità di svolgere attività lavorativa. La misura dell'assegno di mantenimento e delle integrazioni per le persone a carico prive di capacità lavorativa è definita dalla commissione centrale e non può superare un ammontare di cinque volte l'assegno sociale di cui all'art. 3, commi 6 e 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335. L'assegno di mantenimento può essere annualmente modificato in misura pari alle variazioni dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati rilevate dall'ISTAT.
      L'assegno di mantenimento può essere integrato dalla commissione con provvedimento motivato solo quando ricorrono particolari circostanze influenti sulle esigenze di mantenimento in stretta connessione con quelle di tutela del soggetto sottoposto al programma di protezione, eventualmente sentiti l'autorità che ha formulato la proposta, il procuratore nazionale antimafia o i procuratori generali interessati a norma dell'art. 11. Il provvedimento è acquisito dal giudice del dibattimento su richiesta della difesa dei soggetti a cui carico sono utilizzate le dichiarazioni del collaboratore. Lo stesso giudice, sempre su richiesta della difesa dei soggetti di cui al periodo precedente, acquisisce l'indicazione dell'importo dettagliato delle spese sostenute per la persona sottoposta al programma di protezione. [Le spese di assistenza legale sono liquidate dal giudice previo parere del Consiglio dell'ordine degli avvocati presso cui il difensore è iscritto].
       
    7. Nella relazione prevista dall'art. 16, il Ministro dell'interno indica il numero complessivo dei soggetti e l'ammontare complessivo delle spese sostenute nel semestre per l'assistenza economica dei soggetti sottoposti a programma di protezione e, garantendo la riservatezza dei singoli soggetti interessati, specifica anche l'ammontare delle integrazioni dell'assegno di mantenimento eventualmente intervenute e le esigenze che le hanno motivate.
       
    8. Ai fini del reinserimento sociale dei collaboratori e delle altre persone sottoposte a protezione, è garantita la conservazione del posto di lavoro ovvero il trasferimento ad altra sede o ufficio secondo le forme e le modalità che, assicurando la riservatezza e l'anonimato dell'interessato, sono specificate in apposito decreto emanato dal Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, sentiti gli altri Ministri interessati. Analogamente si provvede per la definizione di specifiche misure di assistenza e di reinserimento sociale destinate ai minori compresi nelle speciali misure di protezione.
       
    9. L'autorità giudiziaria può autorizzare con provvedimento motivato i soggetti di cui al comma 2 dell'art. 16-quater ad incontrarsi tra loro quando ricorrono apprezzabili esigenze inerenti alla vita familiare.
       
    10. Al fine di garantire la sicurezza, la riservatezza e il reinserimento sociale delle persone sottoposte a speciale programma di protezione a norma del comma 5 e che non sono detenute o internate è consentita l'utilizzazione di un documento di copertura.
       
    11. L'autorizzazione al rilascio del documento di copertura indicato nel comma 10 è data dal Servizio centrale di protezione di cui all'art. 14 il quale chiede alle autorità competenti al rilascio, che non possono opporre rifiuto, di predisporre il documento e di procedere alle registrazioni previste dalla legge e agli ulteriori adempimenti eventualmente necessari. Si applicano le previsioni in tema di esonero da responsabilità di cui all'art. 5 del decreto legislativo 29 marzo 1993, n. 119.
      Presso il Servizio centrale di protezione è tenuto un registro riservato attestante i tempi, le procedure e i motivi dell'autorizzazione al rilascio del documento.
       
    12. Quando ricorrono particolari motivi di sicurezza, il procuratore della Repubblica o il giudice possono autorizzare il soggetto interrogato o esaminato a eleggere domicilio presso persona di fiducia o presso un ufficio di polizia, ai fui delle necessarie comunicazioni o notificazioni.
       
    13. Quando la proposta o la richiesta per l'ammissione a speciali forme di protezione è formulata nei confronti di soggetti detenuti o internati, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria provvede ad assegnare i soggetti medesimi a istituti o sezioni di istituto che garantiscano le specifiche esigenze di sicurezza. Allo stesso modo il Dipartimento provvede in vista della formulazione della proposta e su richiesta del Procuratore della Repubblica che ha raccolto o si appresta a raccogliere le dichiarazioni di collaborazione o il verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione previsto dall'art. 16-quater.
       
    14. Nei casi indicati nel comma 13, la custodia è assicurata garantendo la riservatezza dell'interessato anche con le specifiche modalità di cui al decreto previsto dall'art. 17-bis, comma 2, e procurando che lo stesso sia sottoposto a misure di trattamento penitenziario, specie organizzative, dirette ad impedirne l'incontro con altre persone che già risultano collaborare con la giustizia e dirette ad assicurare che la genuinità delle dichiarazioni non possa essere compromessa. E' fatto divieto, durante la redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, di sottoporre la persona che rende le dichiarazioni ai colloqui investigativi di cui all'art. 18-bis, commi 1 e 5, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni. E' fatto altresì divieto, alla persona medesima e per lo stesso periodo, di avere corrispondenza epistolare, telegrafica o telefonica, nonchè di incontrare altre persone che collaborano con la giustizia, salvo autorizzazione dell'autorità giudiziaria per finalità connesse ad esigenze di protezione ovvero quando ricorrano gravi esigenze relative alla vita familiare.
       
    15. L'inosservanza delle prescrizioni di cui al comma 14 comporta l'inutilizzabilità in dibattimento, salvi i casi di irripetibilità dell'atto, delle dichiarazioni rese al pubblico ministero e alla polizia giudiziaria successivamente alla data in cui si è verificata la violazione.».
    «Art. 16-quater (Verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione).
    1. Ai fini della concessione delle speciali misure di protezione di cui al Capo II, nonchè per gli effetti di cui agli articoli 16-quinquies e 16-nonies, la persona che ha manifestato la volontà di collaborare rende al Procuratore della Repubblica, entro il termine di centottanta giorni dalla suddetta manifestazione di volontà, tutte le notizie in suo possesso utili alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato nonchè degli altri fatti di maggiore gravità ed allarme sociale di cui è a conoscenza oltre che alla individuazione e alla cattura dei loro autori ed altresì le informazioni necessarie perchè possa procedersi alla individuazione, al sequestro e alla confisca del denaro, dei beni e di ogni altra utilità dei quali essa stessa o, con riferimento ai dati a sua conoscenza, altri appartenenti a gruppi criminali dispongono direttamente o indirettamente.
       
    2. Le informazioni di cui al comma 1 relative alla individuazione del denaro, dei beni e delle altre utilità non sono richieste quando la volontà di collaborare è stata manifestata dai testimoni di giustizia.
       
    3. Le dichiarazioni rese ai sensi dei commi 1 e 2 sono documentate in un verbale denominato «verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione», redatto secondo le modalità previste dall'art. 141-bis del codice di procedura penale, che è inserito, per intero, in apposito fascicolo tenuto dal Procuratore della Repubblica cui le dichiarazioni sono state rese e, per estratto, nel fascicolo previsto dall'art. 416, comma 2, del codice di procedura penale relativo al procedimento cui le dichiarazioni rispettivamente e direttamente si riferiscono. Il verbale è segreto fino a quando sono segreti gli estratti indicati nel precedente periodo. Di esso è vietata la pubblicazione a norma dell'art. 114 del codice di procedura penale.
       
    4. Nel verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, la persona che rende le dichiarazioni attesta, fra l'altro, di non essere in possesso di notizie e informazioni processualmente utilizzabili su altri fatti o situazioni, anche non connessi o collegati a quelli riferiti, di particolare gravità o comunque tali da evidenziare la pericolosità sociale di singoli soggetti o di gruppi criminali.
       
    5. Nel verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione la persona indica i colloqui investigativi eventualmente intrattenuti.
       
    6. Le notizie e le informazioni di cui ai commi 1 e 4 sono quelle processualmente utilizzabili che, a norma dell'art. 194 del codice di procedura penale, possono costituire oggetto della testimonianza. Da esse, in particolare, sono escluse le notizie e le informazioni che il soggetto ha desunto da voci correnti o da situazioni a queste assimilabili.
       
    7. Le speciali misure di protezione di cui ai Capi II e II-bis non possono essere concesse, e se concesse devono essere revocate, qualora, entro il termine di cui al comma 1, la persona cui esse si riferiscono non renda le dichiarazioni previste nei commi 1, 2 e 4 e queste non siano documentate nel verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione.
       
    8. La disposizione del comma 7 si applica anche nel caso in cui risulti non veritiera l'attestazione di cui al comma 4.
       
    9. Le dichiarazioni di cui ai commi 1 e 4 rese al pubblico ministero o alla polizia giudiziaria oltre il termine previsto dallo stesso comma 1 non possono essere valutate ai fini della prova dei fatti in esse affermati contro le persone diverse dal dichiarante, salvo i casi di irripetibilità.».

Note all'art. 3:

  • Per il testo degli articoli 13 e 16-quater della citata legge 15 gennaio 1991, n. 8, vedi note all'art. 1.
     
  • Si riporta il testo dell'art. 18-bis della citata legge 26 luglio 1975, n. 354:

    «Art. 18-bis (Colloqui a fini investigativi).
    1. Il personale della direzione investigativa antimafia di cui all'art. 3 del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410, e dei servizi centrali e interprovinciali di cui all'art. 12 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, nonchè gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili, a livello centrale, della predetta direzione e dei predetti servizi, hanno facoltà di visitare gli istituti penitenziari e possono essere autorizzati, a norma del comma 2 del presente articolo, ad avere colloqui personali con detenuti e internati, al fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti di criminalità organizzata.
       
    2. bis. Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano anche ai responsabili di livello almeno provinciale degli uffici o reparti della Polizia di Stato o dell'Arma dei carabinieri competenti per lo svolgimento di indagini in materia di terrorismo, nonchè agli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai responsabili di livello centrale e, limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del terrorismo, a quelli del Corpo della guardia di finanza, designati dal responsabile di livello centrale, al fine di acquisire dai detenuti o dagli internati informazioni utili per la prevenzione e repressione dei delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell'ordine democratico.
       
    3. Al personale di polizia indicato nei commi 1 e 1-bis, l'autorizzazione ai colloqui è rilasciata:
      1. quando si tratta di internati, di condannati o di imputati, dal Ministro di grazia e giustizia o da un suo delegato;
      2. quando si tratta di persone sottoposte ad indagini, dal pubblico ministero.
         
    4. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2 sono annotate in apposito registro riservato tenuto presso l'autorità competente al rilascio.
       
    5. In casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del Ministro dell'interno o, per sua delega, dal Capo della Polizia, l'autorizzazione prevista nel comma 2, lettera a), non è richiesta, e del colloquio è data immediata comunicazione all'autorità ivi indicata, che provvede all'annotazione nel registro riservato di cui al comma 3.
       
    6. La facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti e internati è attribuita, senza necessità di autorizzazione, altresì al Procuratore nazionale antimafia ai fini dell'esercizio delle funzioni di impulso e di coordinamento previste dall'art. 371-bis del codice di procedura penale; al medesimo Procuratore nazionale antimafia sono comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2 e 4, qualora concernenti colloqui con persone sottoposte ad indagini, imputate o condannate per taluno dei delitti indicati nell'art. 51, comma 3-bis del codice di procedura penale.».

Note all'art. 4:

  • Si riporta il testo degli articoli 21, 21-bis e 48 della citata legge 26 luglio 1975, n. 354:

    «Art. 21 (Lavoro all'esterno).
    1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro all'esterno in condizioni idonee a garantire l'attuazione positiva degli scopi previsti dall'art. 15. Tuttavia, se si tratta di persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis, l'assegnazione al lavoro esterno può essere disposta dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei condannati all'ergastolo l'assegnazione può avvenire dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
       
    2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all'esterno sono avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono ammessi al lavoro all'esterno previa autorizzazione della competente autorità giudiziaria.
       
    3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi sotto il diretto controllo della direzione dell'istituto a cui il detenuto o l'internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine del personale dipendente e del servizio sociale.
       
    4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di ammissione al lavoro all'esterno diviene esecutivo dopo l'approvazione del magistrato di sorveglianza.
       
    5. bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione di cui al secondo periodo del comma sedicesimo dell'art. 20 si applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare corsi di formazione professionale all'esterno degli istituti penitenziari.».
    «Art. 21-bis (Assistenza all'esterno dei figli minori).
    1. Le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di età non superiore agli anni dieci, alle condizioni previste dall'art. 21.
       
    2. Si applicano tutte le disposizioni relative al lavoro all'esterno, in particolare l'art. 21, in quanto compatibili.
       
    3. La misura dell'assistenza all'esterno può essere concessa, alle stesse condizioni, anche al padre detenuto, se la madre è deceduta o impossibilitata e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre.».
    «Art. 48 (Regime di semiliberta).
    1. Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale.
      I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.».
  • Si riporta il testo dell'art. 112 del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230:

    «Art. 112 (Accertamento delle infermità psichiche).
    1. L'accertamento delle condizioni psichiche degli imputati, dei condannati e degli internati, ai fini dell'adozione dei provvedimenti previsti dagli articoli 148, 206, 212, secondo comma, del codice penale, dagli articoli 70, 71 e 72 del codice di procedura penale e dal comma 4 dell'art. 111 del presente regolamento, è disposto, su segnalazione della direzione dell'istituto o di propria iniziativa, nei confronti degli imputati, dall'autorità giudiziaria che procede, e, nei confronti dei condannati e degli internati, dal magistrato di sorveglianza. L'accertamento è espletato nel medesimo istituto in cui il soggetto si trova o, in caso di insufficienza di quel servizio diagnostico, in altro istituto della medesima categoria.
       
    2. L'autorità giudiziaria che procede o il magistrato di sorveglianza possono, per particolari motivi disporre che l'accertamento sia svolto presso un ospedale psichiatrico giudiziario, una casa di cura e custodia o in un istituto o sezione per infermi o minorati psichici, ovvero presso un ospedale civile. Il soggetto non può comunque permanere in osservazione per un periodo superiore a trenta giorni.
       
    3. All'esito dell'accertamento, l'autorità giudiziaria che procede o il magistrato di sorveglianza, ove non adotti uno dei provvedimenti previsti dagli articoli 148, 206 e 212, secondo comma, del codice penale o dagli articoli 70, 71, e 72 del codice di procedura penale e dal comma 4 dell'art. 111 del presente regolamento, dispone il rientro nell'istituto di provenienza.

Nota all'art. 5:

  • Per il testo dell'art. 13 del citato decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.

Note all'art. 6:

  • Si riporta il testo degli articoli 18 e 18-ter della citata legge 26 luglio 1975, n. 354:

    «Art. 18 (Colloqui, corrispondenza e informazione). - I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e corrispondenza con i congiunti e con altre persone, anche al fine di compiere atti giuridici.

    I colloqui si svolgono in appositi locali, sotto il controllo a vista e non auditivo del personale di custodia.

    Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari.

    L'amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei detenuti e degli internati, che ne sono sprovvisti gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.

    Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e le cautele previste dal regolamento.

    I detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sè i quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all'esterno e ad avvalersi di altri mezzi di informazione.

    Salvo quanto disposto dall'art. 18-bis, per gli imputati i permessi di colloquio fino alla pronuncia della sentenza di primo grado e le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza dell'autorità giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo comma dell'art. 11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore dell'istituto.».

    «Art. 18-ter (Limitazioni e controlli della corrispondenza).
    1. Per esigenze attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza o di ordine dell'istituto, possono essere disposti, nei confronti dei singoli detenuti o internati, per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile per periodi non superiori a tre mesi:
      1. limitazioni nella corrispondenza epistolare e telegrafica e nella ricezione della stampa;
      2. la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo;
      3. il controllo del contenuto delle buste che racchiudono la corrispondenza, senza lettura della medesima.
         
    2. Le disposizioni del comma 1 non si applicano qualora la corrispondenza epistolare o telegrafica sia indirizzata ai soggetti indicati nel comma 5 dell'art. 103 del codice di procedura penale, all'autorità giudiziaria, alle autorità indicate nell'art. 35 della presente legge, ai membri del Parlamento, alle rappresentanze diplomatiche o consolari dello Stato di cui gli interessati sono cittadini ed agli organismi internazionali amministrativi o giudiziari preposti alla tutela dei diritti dell'uomo di cui l'Italia fa parte.
       
    3. I provvedimenti previsti dal comma 1 sono adottati con decreto motivato, su richiesta del Pubblico ministero o su proposta del direttore dell'istituto:
      1. nei confronti dei condannati e degli internati, nonchè nei confronti degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza;
      2. nei confronti degli imputati, fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dal giudice indicato nell'art. 279 del codice di procedura penale; se procede un giudice collegiale, il provvedimento è adottato dal presidente del tribunale o della Corte di Assise.
         
    4. L'autorità giudiziaria indicata nel comma 3, nel disporre la sottoposizione della corrispondenza a visto di controllo, se non ritiene di provvedere direttamente, può delegare il controllo al direttore o ad un appartenente all'amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.
       
    5. Qualora, in seguito al visto di controllo, l'autorità giudiziaria indicata nel comma 3 ritenga che la corrispondenza o la stampa non debba essere consegnata o inoltrata al destinatario, dispone che la stessa sia trattenuta. Il detenuto e l'internato vengono immediatamente informati.
       
    6. Contro i provvedimenti previsti dal comma 1 e dal comma 5 può essere proposto reclamo, secondo la procedura prevista dall'art. 14-ter, al tribunale di sorveglianza, se il provvedimento è emesso dal magistrato di sorveglianza, ovvero, negli altri casi, al tribunale nel cui circondario ha sede il giudice che ha emesso il provvedimento. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento. Per quanto non diversamente disposto dal presente comma si applicano le disposizioni dell'art. 666 del codice di procedura penale.
       
    7. Nel caso previsto dalla lettera c) del comma 1, l'apertura delle buste che racchiudono la corrispondenza avviene alla presenza del detenuto o dell'internato.».
  • Si riporta il testo degli articoli 37, 38 e 39 del citato decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230:

    «Art. 37 (Colloqui).
    1. I colloqui dei condannati, degli internati e quelli degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo grado sono autorizzati dal direttore dell'istituto. I colloqui con persone diverse dai congiunti e dai conviventi sono autorizzati quando ricorrono ragionevoli motivi.
       
    2. Per i colloqui con gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, i richiedenti debbono presentare il permesso rilasciato dall'autorità giudiziaria che procede.
       
    3. Le persone ammesse al colloquio sono identificate e, inoltre, sottoposte a controllo, con le modalità previste dal regolamento interno, al fine di garantire che non siano introdotti nell'istituto strumenti pericolosi o altri oggetti non ammessi.
       
    4. Nel corso del colloquio deve essere mantenuto un comportamento corretto e tale da non recare disturbo ad altri. Il personale preposto al controllo sospende dal colloquio le persone che tengono comportamento scorretto o molesto, riferendone al direttore, il quale decide sulla esclusione.
       
    5. I colloqui avvengono in locali interni senza mezzi divisori o in spazi all'aperto a ciò destinati. Quando sussistono ragioni sanitarie o di sicurezza, i colloqui avvengono in locali interni comuni muniti di mezzi divisori. La direzione può consentire che, per speciali motivi, il colloquio si svolga in locale distinto. In ogni caso, i colloqui si svolgono sotto il controllo a vista del personale del Corpo di polizia penitenziaria.
       
    6. Appositi locali sono destinati ai colloqui dei detenuti con i loro difensori.
       
    7. Per i detenuti e gli internati infermi i colloqui possono avere luogo nell'infermeria.
       
    8. I detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell'art. 4-bis della legge e per i quali si applichi il divieto di benefici ivi previsto, il numero di colloqui non può essere superiore a quattro al mese.
       
    9. Ai soggetti gravemente infermi, o quando il colloquio si svolge con prole di età inferiore a dieci anni ovvero quando ricorrano particolari circostanze, possono essere concessi colloqui anche fuori dei limiti stabiliti nel comma 8.
       
    10. Il colloquio ha la durata massima di un'ora. In considerazione di eccezionali circostanze, è consentito di prolungare la durata del colloquio con i congiunti o i conviventi. Il colloquio con i congiunti o conviventi è comunque prolungato sino a due ore quando i medesimi risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l'istituto, se nella settimana precedente il detenuto o l'internato non ha fluito di alcun colloquio e se le esigenze e l'organizzazione dell'istituto lo consentono. A ciascun colloquio con il detenuto o con l'internato possono partecipare non più di tre persone. E' consentito di derogare a tale norma quando si tratti di congiunti o conviventi.
       
    11. Qualora risulti che i familiari non mantengono rapporti con il detenuto o l'internato, la direzione ne fa segnalazione al centro di servizio sociale per gli opportuni interventi.
       
    12. Del colloquio, con l'indicazione degli estremi del permesso, si fa annotazione in apposito registro.
       
    13. Nei confronti dei detenuti che svolgono attività lavorativa articolata su tutti i giorni feriali, è favorito lo svolgimento dei colloqui nei giorni festivi, ove possibile.».
    «Art. 38. (Corrispondenza epistolare e telegrafica).
    1. I detenuti e gli internati sono ammessi a inviare e a ricevere corrispondenza epistolare e telegrafica. La direzione può consentire la ricezione di fax.
       
    2. Al fine di consentire la corrispondenza, l'amministrazione fornisce gratuitamente ai detenuti e agli internati, che non possono provvedervi a loro spese, settimanalmente, l'occorrente per scrivere una lettera e l'affrancatura ordinaria.
       
    3. Presso lo spaccio dell'istituto devono essere sempre disponibili, per l'acquisto, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza.
       
    4. Sulla busta della corrispondenza epistolare in partenza il detenuto o l'internato deve apporre il proprio nome e cognome.
       
    5. La corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in partenza, è sottoposta a ispezione al fine di rilevare l'eventuale presenza di valori o altri oggetti non consentiti. L'ispezione deve avvenire con modalità tali da garantire l'assenza di controlli sullo scritto.
       
    6. La direzione, quando vi sia sospetto che nella corrispondenza epistolare, in arrivo o in partenza, siano inseriti contenuti che costituiscono elementi di reato o che possono determinare pericolo per l'ordine e la sicurezza, trattiene la missiva, facendone immediata segnalazione, per i provvedimenti del caso, al magistrato di sorveglianza, o, se trattasi di imputato sino alla pronuncia della sentenza di primo grado, all'autorità giudiziaria che procede.
       
    7. La corrispondenza epistolare, sottoposta a visto di controllo su segnalazione o d'ufficio, e inoltrata o trattenuta su decisione del magistrato di sorveglianza o dell'autorità giudiziaria che procede.
       
    8. Le disposizioni di cui ai commi 6 e 7, si applicano anche ai telegrammi e ai fax in arrivo.
       
    9. Ove la direzione ritenga che un telegramma in partenza non debba essere inoltrato, per i motivi di cui al comma 6, ne informa il magistrato di sorveglianza o l'autorità giudiziaria procedente, che decide se si debba o meno provvedere all'inoltro.
       
    10. Il detenuto o l'internato viene immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta.
       
    11. Non può essere sottoposta a visto di controllo la corrispondenza epistolare dei detenuti e degli internati indirizzata ad organismi internazionali amministrativi o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell'uomo, di cui l'Italia fa parte.».
    «Art. 39 (Corrispondenza telefonica).
    1. In ogni istituto sono installati uno o più telefoni secondo le occorrenze.
       
    2. I condannati e gli internati possono essere autorizzati dal direttore dell'istituto alla corrispondenza telefonica con i congiunti e conviventi, ovvero, allorchè ricorrano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse dai congiunti e conviventi, una volta alla settimana. Essi possono, altresì, essere autorizzati ad effettuare una corrispondenza telefonica, con i familiari o con le persone conviventi, in occasione del loro rientro nell'istituto dal permesso o dalla licenza. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei delitti previsti dal primo periodo del primo comma dell'art. 4-bis della legge, e per i quali si applichi il divieto dei benefici ivi previsto, il numero dei colloqui telefonici non può essere superiore a due al mese.
       
    3. L'autorizzazione può essere concessa, oltre i limiti stabiliti nel comma 2, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonchè in caso di trasferimento del detenuto.
       
    4. Gli imputati possono essere autorizzati alla corrispondenza telefonica, con la frequenza e le modalità di cui ai commi 2 e 3, dall'autorità giudiziaria procedente o, dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sorveglianza.
       
    5. Il detenuto o l'internato che intende intrattenere corrispondenza telefonica deve rivolgere istanza scritta all'autorità competente, indicando il numero telefonico richiesto e le persone con cui deve corrispondere.
      L'autorizzazione concessa è efficace fino a che non ne intervenga la revoca. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, il richiedente deve anche indicare i motivi che consentono l'autorizzazione, che resta efficace, se concessa, solo fino a che sussistono i motivi indicati. La decisione sul richiesta, sia in caso di accoglimento che di rigetto, deve essere motivata.
       
    6. Il contatto telefonico viene stabilito dal personale dell'istituto con le modalità tecnologiche disponibili. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di dieci minuti.
       
    7. L'autorità giudiziaria competente a disporre il visto di controllo sulla corrispondenza epistolare, ai sensi dell'art. 18 della legge, può disporre che conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate a mezzo di idonee apparecchiature. E' sempre disposta la registrazione delle conversazioni telefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell'art. 4-bis della legge.
       
    8. La corrispondenza telefonica è effettuata a spese dell'interessato, anche mediante scheda telefonica prepagata.
       
    9. La contabilizzazione della spesa avviene per ciascuna telefonata e contestualmente ad essa.
       
    10. In caso di chiamata dall'esterno, diretta ad avere corrispondenza telefonica con i detenuti e gli internati, all'interessato può essere data solo comunicazione del nominativo dichiarato dalla persona che ha chiamato sempre che non ostino particolari motivi di cautela. Nel caso in cui la chiamata provenga da congiunto o convivente anch'esso detenuto, si dà corso alla conversazione, purchè entrambi siano stati regolarmente autorizzati ferme restando le disposizioni di cui al comma 7.».
  • Per il testo dell'art. 13 del citato decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.

Note all'art. 7:

  • Per il testo dell'art. 13 del citato decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, vedi note all'art. 1.
     
  • Si riporta il testo degli articoli 30 e 30-ter della citata legge 26 luglio 1975, n. 354:

    «Art. 30 (Permessi).
    1. Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento l'infermo. Agli imputati il permesso è concesso, durante il procedimento di primo grado, dalle medesime autorità giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma dell'art. 11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni di cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente dell'ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento di appello.
       
    2. Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per eventi di particolare gravità.
       
    3. Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso senza giustificato motivo, se l'assenza si protrae per oltre tre ore e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l'assenza si protrae per un tempo maggiore, è punibile a norma del primo comma dell'art. 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell'ultimo capoverso dello stesso articolo.
       
    4. L'internato che rientra in istituto dopo tre ore dalla scadenza del permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.».
    «Art. 30-ter (Permessi premio).
    1. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell'istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.
       
    2. bis.
       
    3. Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.
       
    4. L'esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio.
       
    5. La concessione dei permessi è ammessa:
      1. nei confronti dei condannati all'arresto o alla reclusione non superiore a tre anni anche se congiunta all'arresto;
      2. nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena;
      3. nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nel comma 1 dell'art. 4-bis, dopo l'espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni;
      4. nei confronti dei condannati all'ergastolo, dopo l'espiazione di almeno dieci anni.
         
    6. Nei confronti dei soggetti che durante l'espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l'espiazione della pena o l'esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto.
       
    7. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell'art. 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo.
       
    8. Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all'art. 30-bis.
       
    9. La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali.».