Circolare 5 ottobre 2021 - Servizi di cancelleria. Segnalazione Istituto Nazionale Amministratori Giudiziari (INAG) sulla richiesta di pagamento dei diritti di certificato ai fini della attestazione del depositato in istanze e relazioni degli amministratori giudiziari in materia penale. Esito monitoraggio. Indicazioni operative

5 ottobre 2021

Dipartimento per gli affari di giustizia
Direzione Generale degli Affari Interni - Ufficio I
Reparto I - Servizi relativi alla Gistizia Civile

 

Ai sigg. Presidenti delle Corti di appello
LORO SEDI

e, p.c.

All’Istituto Nazionale degli Amministratori giudiziari

 

Oggetto: Servizi di cancelleria. Segnalazione Istituto Nazionale Amministratori Giudiziari (INAG) sulla richiesta di pagamento dei diritti di certificato ai fini della attestazione del depositato in istanze e relazioni degli amministratori giudiziari in materia penale. Esito monitoraggio. Indicazioni operative.

Rif. prot. DAG n. 139563.E del 9 settembre 2020.

Si fa seguito al monitoraggio di cui all’oggetto ed ai riscontri pervenuti dagli Uffici giudiziari, rappresentando quanto segue.

Come noto, a fronte della segnalazione dell’Istituto nazionale degli amministratori giudiziari (di seguito anche “Inag”) concernente presunte difformità operative nell’esazione dei diritti di certificato dagli amministratori giudiziari richiedenti “il timbro del depositato” sulla propria copia di istanze/relazioni destinate all’autorità giudiziaria, questa Direzione ha avviato un’interlocuzione con gli Uffici giudiziari di tutte le Corti di appello, volta a verificare le prassi adottate in merito, ed eventuali diverse impostazioni in ambito nazionale.

Al riguardo, va precisato che la segnalazione atteneva non ai depositi tout court di istanze o relazioni presso la Cancelleria, ma all’ipotesi specifica in cui l’amministratore giudiziario, nei casi di “carteggio depositato a mani” presso l’Ufficio, richiedesse il “timbro del depositato” sulla copia destinata a rimanere in suo possesso (“propria copia”): pertanto, appaiono non conferenti quei riscontri degli Uffici riferiti, genericamente, al deposito di documentazione di tali professionisti, senza alcuna menzione della problematica dell’attestazione del deposito rilasciata, dalla cancelleria, sulla copia dell’atto depositato, trattenuta dal medesimo depositante. 

Giova poi puntualizzare che la fattispecie in disamina non riguarda la trasmissione di istanze e/o relazioni in via dematerializzata (a mezzo pec, come indicato nella stessa segnalazione dell’Inag), poiché in tal caso lo strumento telematico adoperato e le ricevute di accettazione e consegna generate dal sistema sopperiscono alla prova legale dell’invio/deposito di tali atti, superando l’utilità stessa di un’apposita “attestazione” da parte della Cancelleria e, di riflesso, il problema dell’esigibilità dei diritti.

È appena il caso di aggiungere, in replica alle obiezioni sul punto dell’Inag, che nei casi di deposito di carteggio voluminoso l’amministratore ben potrebbe valersi di plurimi invii, sempre via pec, sulle caselle dedicate degli Uffici giudiziari, in modo da disporre della prova dell’avvenuto deposito degli atti nei termini.

Certamente, in caso di malfunzionamenti, anche temporanei, dei sistemi informatizzati, grava sul depositante il rischio del buon fine dell’invio, e comunque la prova di eventuali, incolpevoli impedimenti, ma è un dato pacifico quello per cui – nella corrispondenza esplicata tramite posta elettronica certificata – non resti dovuto alcun diritto dal depositante, per non es-sere richiesta alcuna correlativa attività da parte del funzionario di cancelleria.

In breve, il problema sollevato dall’Inag non sembra porsi nelle ipotesi in cui, essendo “telematizzati” determinati adempimenti processuali, il deposito è di per sé tracciabile, e l’amministratore depositante riceve, in automatico, una “conferma” dell’invio.

Ciò premesso, dalle risposte pervenute all’esito della ricognizione sono emerse non solo diverse modalità operative in ordine al rilascio dell’attestazione di deposito sulla copia trattenuta dagli amministratori giudiziari, ma anche delle prassi irrituali inerenti il rilascio di copie (ad es., apposizione del timbro di depositato privo di sottoscrizione del preposto al servizio, ovvero, tolleranza a lasciar fotografare, al depositante, la documentazione depositata presso l’Ufficio), e comunque una non piena chiarezza in ordine ai presupposti di esigibilità del diritto di certificato, tali per cui si rende opportuno impartire le seguenti indicazioni, nell’ambito dei poteri di vigilanza/controllo sui servizi di cancelleria devoluti a questa Direzione generale.

Tralasciando gli Uffici che non hanno registrato casistiche in concreto, vuoi per assenza di istanze presentate in tal senso dagli amministratori giudiziari, vuoi per l’esclusivo ricorso a depositi informatizzati delle istanze/relazioni, dal sondaggio sono emerse, in sostanza, due tipologie di approccio, divise fra la tesi della non debenza dei diritti, ex art. 273 d.P.R. 115/2002 (di seguito, “testo unico delle spese di giustizia” o “tusg”) e quella della relativa esazione:

- la prima giustificata dalla diversità di posizione dell’amministratore giudiziario - poiché investito di un munus istituzionale - rispetto alle parti del processo, menzionate nell’art. 273 tusg;

- la seconda incentrata sull’eccezionalità delle ipotesi di gratuità delle spese sostenute nel corso di un incarico, e comunque sulla personalità dell’interesse del professionista che richieda la “ricevuta” del deposito sulla copia dell’atto depositato, che trattiene, poiché esulante dai compiti istituzionalmente ricevuti, ma finalizzata alla sola prova del corretto espletamento dell’incarico.

A tal proposito, merita premettere brevi cenni sulla figura professionale qui in rilievo, ossia degli amministratori giudiziari nominati “in materia penale”, per l’amministrazione di “beni in sequestro ai sensi degli artt. 321 c.p.p. e 240-bis c.p.” (v. segnalazione Inag), per i quali (ove il caso) valgono altresì le speciali disposizioni recate dal d.lgs. del 6.9.2011, n. 159 (di seguito anche “codice antimafia” o “CAM”).

Alla luce della generale disciplina sulle funzioni e finalità dell’amministratore giudiziario (in part., v. norme del CAM sui presupposti di nomina ed operatività, sugli adempimenti previsti, come la redazione della relazione, etc.) nonché della rigorosa cornice procedurale in cui deve espletarsi l’incarico (come qualificata figura gestoria, chiamata a supportare il Tribunale e il giudice delegato nella realizzazione della procedura, sotto il controllo del medesimo giudice; v. in part. artt. 35-44 CAM, e arg. da Cass. sez. un. civili, n.19583/2019; Cass. pen. sez. III 15/11/2018, n. 15755), ben può ritenersi che l’amministratore giudiziario, nello svolgimento dei compiti funzionali all’incarico affidato e per gli obiettivi perseguiti dalla procedura, rivesta un ruolo pubblicistico (v. anche art. 35 comma 5 CAM, anche in combinato disposto con l’art. 357 c.p.). 

Tale veste pubblicistica - di qualificato coadiutore del magistrato – non appare tuttavia ravvisabile in relazione a richieste o attività che, quand’anche occasionate dall’esercizio di detta funzione, non siano strettamente strumentali, né indispensabili ai fini dell’incarico (come nel caso dell’interesse a conservare, per sé, un’attestazione dell’intervenuto deposito di istanze o elaborati presentati all’autorità all’A.G., ad es. al fine di poter dimostrare eventualmente, ove contestato, l’esaustivo o tempestivo adempimento dell’incarico).

In effetti, a ben guardare, l’ipotesi prospettata (ossia la “richiesta” della certificazione di depositato sulla copia dell’atto destinato all’AG, trattenuta dall’amministratore giudiziario, dopo il deposito) non sembra trovare riscontro normativo, o comunque non corrisponde a incombenze (sia pure ipotizzabili in via di prassi) previste nell’ambito dell’incarico, potendosi invece ritenere che gli atti espletabili e i documenti da predisporre quoad munus, proprio in quanto funzionali alla procedura, siano quelli intrinsecamente espressivi dei compiti ricevuti, e destinati, in quanto tali, a confluire nell’incartamento del procedimento.

Da tanto può concludersi che la scelta di trattenere per sé la copia di tali atti o relazioni, recante la “prova” dell’avvenuto deposito, esuli da quanto indispensabile all’espletamento dell’incarico, rispondendo piuttosto al personale interesse del professionista investito del munus di amministratore.

Correlativamente, è indubbio che l’apposizione del c.d. “timbro di depositato”, sulla copia destinata a restare in possesso del richiedente, esprima un’attività certificativa dell’ufficio preposto: in altri termini, quanto l’amministratore giudiziario presenta all’autorità giudiziaria atti o documenti, chiedendo l’attestazione del deposito in calce ad una copia che trattiene per sé, la corrispondente attività della cancelleria deve intendersi quale dichiarazione di “scienza” su determinati fatti semplici (come appunto l’avvenuta presentazione, da parte del professionista, di determinate istanze, documenti o relazioni). La dichiarazione di cui si chiede il rilascio attiene, pertanto, a fatti di cui il dichiarante (cancelliere) ha diretta ed immediata conoscenza (per trattarsi di operazioni dallo stesso effettuate o, come in specie, di fatti svoltisi in sua presenza, o perché riferite al contenuto di documenti alla cui conservazione il medesimo dichiarante è preposto; vd. circ. 8/1684(U)13 Ques.2001 Min. Giustizia, dell’allora Direzione generale degli Affari civili e delle libere professioni).

È poi importante sottolineare che la casistica al vaglio scaturisce dall’apposita richiesta, dell’amministratore giudiziario, di ricevere l’attestazione di ricevuta sulla copia che resta in suo possesso, in sede di deposito delle relazioni/istanze: ragion per cui l’attività della cancelleria deve intendersi effettuata non certamente d’ufficio, ma su domanda del richiedente.

Inoltre, non essendo una simile richiesta strumentale né immanente alla pubblica funzione di cui è investito l’amministratore giudiziario (ma diretta, come visto, a finalità di natura certificativa), la stessa non può che ritenersi svolta nell’interesse proprio ed esclusivo del medesimo professionista.

Resta a questo punto da chiarire se il rilascio di simili “attestazioni” sia soggetto, nei confronti dell’amministratore giudiziario, ad esazione del diritto di certificato, nell’attuale assetto delineato dal d.P.R. n. 115/2002.

Ebbene, i superiori rilievi sull’attività certificativa - implicante una corrispondente attività di cancelleria, con un’utilità finale per il soggetto richiedente - inducono a ritenere che, nella particolare ipotesi in oggetto, i diritti di cui all’art. 273, tusg, siano dovuti anche dall’amministratore giudiziario.

Difatti in tale caso, l’amministratore che richieda l’attestazione dell’avvenuto deposito sulla propria copia del documento, agisce al pari di un utente privato, e la possibilità che altri soggetti (diversi dalle parti), nell’ambito del procedimento penale, possano avere un interesse all’ottenimento di “certificazioni, è espressamente contemplata dall’art. 116 c.p.p., che prescrive (al comma 1): “1. Durante il procedimento e dopo la sua definizione, chiunque vi abbia interesse può ottenere il rilascio a proprie spese di copie, estratti o certificati di singoli atti”.

Peraltro, non si ignorano i presupposti applicativi di tale norma (cfr. Cass. pen. sez. V, del 25.5.1993 che annovera fra i principi regolanti il rilascio di copie, estratti o certificati di atti, ai sensi dell’art. 116 c.p.p. e 43 disp. att. c.p.p., fra l’altro: .. 2) il rilascio stesso deve essere preceduto dalla richiesta e dalla relativa autorizzazione; 3) l'autorizzazione non è necessaria solo nei casi in cui è riconosciuto espressamente il diritto al rilascio di copie, estratti o certificati; 4) in ogni caso, sono fatti salvi gli effetti di eventuali provvedimenti cosiddetti di "segretazione" di cui all'art. 329 comma 3 c.p.p.). È pertanto ipotizzabile che simili richieste – in una corretta prassi operativa – debbano essere presentate e vagliate dal giudice delegato, previa verifica dell’interesse tutelabile del professionista.

Ma non si ravvisano motivi particolari per ritenere gli amministratori giudiziari beneficino di un regime diverso da quello applicabile agli altri ausiliari del magistrato (per i quali, analogamente, l’art. 116 c.p.p. non prevede il diritto di ricevere attestazioni di depositato, senza obbligo di versamento dei diritti di certificato).

Per gli stessi rilievi di cui sopra, e alla luce della natura certificativa dell’attività richiesta, il “reclamo” (così dall’espressione usata a pag. 2, segnalazione Inag) del rilascio del timbro di deposito dovrà presentarsi in forma scritta, secondo l’ordinario regime di simili istanze (v. anche circ.4/3349/21 Ques. 1984 del 10.10.1986 G. del Min., GG. Aff. Civ., segreteria), come desumibile anche dal fatto che, ai sensi dell’art. 285, comma 3 tusg, per il diritto di copia e quello di certificato “la marca” si applica sull’originale o sull’istanza.

Neppure appare condivisibile la tesi dell’Inag sull’inesigibilità del bollo, a motivo dell’afferenza di simili attestazioni ad un procedimento in materia penale: in primis, il bollo in questo caso integra un mero mezzo di esazione (cfr. art. 285 tusg) di un diverso onere autonomamente configurato; in secondo luogo, si tratta di atti per i quali – per tutti i rilievi sinora svolti - non si riscontra un’intrinseca correlazione o funzionalità con il procedimento, e per i quali non può dunque invocarsi il disposto dell’art. 18 del d.P.R. n. 115/2002, in forza del quale l’imposta di bollo non si applica agli atti e provvedimenti del processo ossia per “tutti gli atti processuali, inclusi quelli antecedenti, necessari o funzionali”.

Invero, argomentando dallo stesso articolo 18, comma 2, tusg (“La disciplina sull'imposta di bollo è invariata per le istanze e domande sotto qualsiasi forma presentate da terzi, nonché per gli atti non giurisdizionali compiuti dagli uffici, compreso il rilascio di certificati, sempre che non siano atti antecedenti, necessari o funzionali ai processi di cui al comma 1”), come dai chiarimenti resi dall’Agenzia delle Entrate con risoluzione n. 70/E del 14 agosto 2002, l’esenzione dal bollo richiede la concomitante ricorrenza sia del requisito oggettivo, dato dalla inequivoca ed intrinseca necessarietà e funzionalità dell’atto al procedimento giurisdizionale, sia del requisito soggettivo, dato dalla qualifica di “parte processuale” del soggetto a cui inerisca l’atto in questione: è evidente che, nel caso considerato, non ricorra alcuno dei requisiti testé indicati.

Per tutto quanto sinora esposto, si ritiene che l’amministratore giudiziario che richieda l’attestazione del depositato sulla (propria) copia dell’atto presentato all’Ufficio dovrà corrispondere il diritto di certificazione nella misura vigente: l’esazione del diritto di certificazione verrà operata applicando la marca da bollo al documento depositato, e sulla copia in possesso del depositante si trascriverà “percepiti diritti per la somma di € 3,92” (tale l’importo attuale dei diritti di certificato), con la sottoscrizione del funzionario depositante.

Qualora il difensore richieda alla cancelleria o segreteria del magistrato anche il rilascio della copia dell’atto/documento depositato, sulla quale verrà attestato l’avvenuto deposito, lo stesso dovrà corrispondere (a seconda che trattasi di copia con certificazione di conformità o senza certificazione di conformità), rispettivamente il diritto forfettizzato di copia e di certificazione di conformità ovvero quello forfettizzato di copia senza certificazione di conformità.

Deve, per contro, ritenersi l’irritualità di ogni altra diversa prassi, come il rilascio di un semplice “timbro” non corredato di sottoscrizione del funzionario preposto (privo di rilevanza giuridica), o come la tollerata riproduzione a mezzo di dispositivi elettronici dell’atto contestualmente depositato presso l’Ufficio (perché elusiva di un’attività certificativa e degli oneri a ciò correlati).

Per gli stessi rilievi di cui sopra ma in senso speculare, deve ritenersi che il rilascio del depositato su atti e documenti strettamente necessari all’esercizio della funzione delegata, sia non oneroso, proprio in ragione del vincolo “funzionale” dell’attività svolta. Pertanto, tutte le ipotesi riconducibili nell’ambito del munus conferito, non sconteranno i diritti in questione.

Giova, infine, rammentare che le disposizioni dell’art. 273 TUSG sono state aggiornate ai sensi dell’art. 1 del decreto ministeriale 9 luglio 2021 (in G.U. il 3.8.2021), che ha determinato l’ammontare del diritto di certificato nella misura di euro 3,92.

Le SS.LL. sono pregate, per quanto di rispettiva competenza, di assicurare idonea diffusione della presente circolare.

Cordialmente.

Roma, 5 ottobre 2021

Il Direttore generale
Giovanni Mimmo