Circolare 13 aprile 2012 - Linee guida e precisazioni sull’esercizio dell’azione disciplinare della Polizia penitenziaria e d.lgs. 449/1992

13 aprile 2012

DIPARTIMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA

 OGGETTO: Corpo di polizia penitenziaria e d.lgs. 30 ottobre 1992, n. 449 - Linee guida e precisazioni sull’esercizio dell’azione disciplinare

 

  1.  PREMESSA
    A distanza di dieci anni dall’ultima circolare in tema di procedimenti disciplinari del Corpo di polizia penitenziaria, la 22 aprile 2002 n. 0184021, è avvertita l’esigenza di intervenire di nuovo al fine, da una parte, di confermare negli organi titolari l’attenzione all’esercizio del potere disciplinare, sopra alcuni principi ed adempimenti da osservare, dall’altra di aggiornare talune procedure e modalità di azione alla luce degli assetti giurisprudenziali e delle innovazioni normative che hanno nel tempo avuto ricadute, dirette o indirette, sul sistema disciplinare del Corpo.
     
  2. CRITERI GUIDA DELL’AZIONE DISCIPLINARE
    Nel dare avvio e nello svolgimento all’azione disciplinare, l’Amministrazione deve muoversi seguendo i principi di gradualità e di proporzionalità.
    Per il primo, a fronte di comportamenti progressivamente più gravi deve corrispondere la graduale crescita delle sanzioni irrogabili. Dall’elencazione delle sanzioni inserite all’art. 1, comma 1, del d.ls. 30 ottobre 1992, n. 449, è infatti evidente l’immanenza di detto principio alla progressiva crescita dell’afflittività delle sanzioni comminate a fronte di condotte via via più gravi, senza che tale ascesa punitiva preveda salti logici tra una sanzione e l’altra.
    Il secondo principio (di proporzionalità) è teso a garantire, in relazione ai profili soggettivi ed oggettivi della vicenda, che il provvedimento sanzionatorio non superi la misura di quanto appaia necessario al conseguimento dell’obiettivo da raggiungere, ossia allo scopo che l'istituzione intende perseguire; principio che è espressamente previsto dall’art. 11 del d.ls. n. 1992/449 nella fase decisoria, ma che può ritenersi anch’esso immanente a tutta l’azione disciplinare.
    Consegue dai principi espressi che in sede di valutazione della promozione dell’azione disciplinare e di determinazione della fattispecie entro cui sussumere la condotta, debbano primariamente rilevare le circostanze del caso concreto, il contesto in cui è stata realizzata la mancanza, i motivi e l’intensità dell’elemento intenzionale nonchè il grado di quello colposo.
     
  3. SEGNALAZIONE DISCIPLINARE
    Il superiore gerarchico rilevata l'infrazione disciplinare ai sensi dell’art. 10 del d.ls. n. 1992/449, redige, dopo aver adottato le eventuali disposizioni atte ad eliminare o ad attenuare le conseguenze delle infrazioni, il rapporto sui fatti, indicandovi chiaramente e concisamente tutti gli elementi obbiettivi e utili a configurare l'infrazione.
    Detto rapporto non deve contenere proposte relative alla specie e all'entità della sanzione corrispondente alla mancanza ravvisata. Questa disposizione è connessa a quella contenuta nell’articolo 17 del d.P.R. 15 febbraio 1999, n. 82, secondo cui ogni superiore è tenuto a seguire il comportamento in servizio del personale che da lui dipende gerarchicamente o funzionalmente ed a rilevarne le eventuali infrazioni disciplinari.
    A rilevare l’infrazione, pertanto, è il solo superiore che abbia diretta conoscenza per aver assistito alla commissione del fatto da parte del dipendente o per averne appreso l’esistenza in ragione della funzione o dell’incarico ricoperti in quel momento (ad esempio il capo posto, il responsabile della sorveglianza generale, etc...).
    Quando il fatto viene commesso all'esterno del luogo di lavoro o al di fuori del servizio ed è rilevato da altre forze dell'ordine (Polizia di stato, Guardia di finanza, etc.), il rapporto deve intendersi assorbito da ogni altro atto emesso al riguardo, ad esempio dall’informativa qualificata ricevuta dalla direzione dell’istituto e dell’ufficio di appartenenza del trasgressore. Ciò appare con evidenza quando i fatti integrano individuate fattispecie criminose per le quali viene investita l'autorità giudiziaria.
    Il rapporto deve essere inoltrato seguendo la scala gerarchica fino al direttore dell’istituto (o del servizio) penitenziario dove presti servizio il poliziotto rapportato.
    Il rapporto così redatto costituisce la segnalazione disciplinare, momento a partire dal quale l’organo gerarchico finale che l’ha ricevuta provvede ad una prima valutazione della condotta ed a verificare in quale delle fattispecie tipizzate dall’ordinamento essa possa essere correttamente inquadrata.
    L’organo indicato raccoglierà ogni elemento utile perché sia possibile valutare, già in un momento antecedente all'instaurazione del contraddittorio, la fondatezza dell'addebito disciplinare. Tale attività deve limitarsi, è bene precisarlo ancora una volta, alla raccolta di notizie e di atti (ad esempio ordini di servizio, disposizioni ministeriali e simili) che consentano di non far ritenere manifestamente insussistente l'infrazione. E’ un’attività con finalità meramente>accertative che non deve assumere le caratteristiche di una attività propriamente istruttoria.
    Pertanto, il direttore della sede dove presta servizio il poliziotto rapportato se ritiene che la condotta sia punibile con una sanzione più grave della censura, informerà, qualora l'infrazione comporti la misura della pena pecuniaria o della deplorazione, il provveditore regionale competente, oppure la sede centrale dell’Amministrazione (Direzione generale del personale e della formazione – servizio della disciplina del Corpo di polizia penitenziaria), qualora l'infrazione che si ritiene commessa comporti la sanzione della sospensione dal servizio o, quella più grave, della destituzione.
    Non è superfluo precisare che l'elevazione del rapporto non segna l'avvio del procedimento disciplinare: questo ha inizio, per norma e consolidata giurisprudenza, con la contestazione dell'addebito, atto diverso dal rapporto di cui si è detto - rivolta all'incolpato dal direttore, in caso di censura (art. 14, comma 1, lett. a) d.ls. 1992/449), o dal funzionario istruttore, nei restanti casi (art. 15, comma 4, d.ls. 1992/449).
     
  4. AVVIO DELL’INCHIESTA DISCIPLINARE
    Il provveditore regionale e il direttore generale del personale e della formazione, ove ritengano che l'infrazione comporti l'irrogazione di una delle sanzioni rientranti nella sfera di propria competenza, disporranno che venga svolta inchiesta disciplinare affidandone lo svolgimento ad un funzionario istruttore che appartenga ad istituto, ufficio o servizio diverso da quello dell'inquisito.
    La ricordata operazione logica di inquadramento del fatto nelle diverse ipotesi di illecito disciplinare precede l’avvio dell’inchiesta, e gli organi titolari dell’azione debbono perciò valutare e se del caso integrare o modificare la prospettazione offerta dall’organo segnalante.
    Al funzionario istruttore deve esser data una indicazione della condotta di cui il dipendente si sarebbe reso responsabile così come la stessa appare delinearsi.
    Va infatti notato che il d.ls. 30 ottobre 1992, n. 449, prevede che solo nel rapporto sui fatti di cui all’art. 10, 3 comma, è fatto divieto di "contenere alcuna proposta relativa alla specie e all'entità della sanzione"; mentre, un tale divieto non sussiste al momento dell’apertura dell’inchiesta disciplinare, né all’atto di contestazione degli addebiti. L’art. 12, comma 1, dello stesso d.ls., dispone che la contestazione degli addebiti "deve indicare succintamente e con chiarezza i fatti e la specifica trasgressione di cui l'incolpato è chiamato a rispondere".
    E’ in quella sede che avviene la correlazione del comportamento assunto dal dipendente alla fattispecie disciplinare tipizzata, ponendo l’inquisito, da quel momento in poi, in condizione di svolgere compiutamente la propria difesa.
     
  5. IL FUNZIONARIO ISTRUTTORE ED IL CONSIGLIO DI DISCIPLINA
    Occorre ora spendere alcune parole sulla qualifica del funzionario da nominarsi “istruttore” o componente del consiglio di disciplina, cui fa riferimento la normativa di settore (artt. 13 e 15 d.lgs. 1992/449).
    Il legislatore delegato quando indicava, nel 1992, “funzionario inquadrato nella IX qualifica funzionale” aveva come scenario normativo di riferimento la classificazione del personale pubblico, operata dalla legge 11 luglio 1980 n. 312, secondo una scala crescente di qualifiche funzionali contraddistinte da numeri ordinali e connotate da specifici elementi attinenti al livello di istruzione richiesto, alla preparazione professionale e ai profili di responsabilità. Negli stessi anni, peraltro, non esisteva il ruolo dei funzionari del Corpo, esaurendosi questo con al vertice il ruolo degli ispettori. In relazione alle disponibilità di qualifiche secondo le dotazioni organiche allora esistenti, rimaneva quasi automatica la scelta di individuare il funzionario inquadrato nella IX qualifica funzionale, nella figura professionale del direttore coordinatore d’istituto penitenziario.
    Il quadro normativo, dopo 20 anni, è radicalmente mutato. Con il d.ls. 21 maggio 2000, n. 146 è stato istituito il ruolo direttivo ordinario del Corpo di polizia penitenziaria, articolato nelle qualifiche di vice commissario, commissario, commissario capo, commissario coordinatore penitenziario. Più significativamente, per quanto qui occupa, il d.ls. 30 maggio 2001 n. 165 ha abolito il sistema delle qualifiche funzionali, introducendo nel pubblico impiego un rapporto cd privatizzato. Infine, il d.ls. 15 febbraio 2006 n. 63, ha fissato il nuovo ordinamento del personale della carriera dirigenziale penitenziaria.
    Emerge la necessità di armonizzare la previsione che parlava di funzionario inquadrato nella IX qualifica funzionale con l’attuale ordinamento del lavoro pubblico, pur senza snaturarne la ratio. Dalla prima successione delle norme ricordate fa si che non esista alcun funzionario con IX qualifica funzionale nelle amministrazioni dello Stato e che in assenza di interpretazioni adeguatrici non possano più istruirsi procedimenti disciplinari. Data l’illiceità delle conseguenze, vanno individuate le norme che consentano di designare, anche per via di richiamo indiretto, il funzionario, con la maggiore congruità rispetto agli assetti del Corpo.
    Invero, potrebbe anche concludersi per l’idoneità di ogni funzionario dell’Amministrazione ascritto all’Area Terza a svolgere gli incarichi in esame.
    Ora, lo stesso d.ls. 1992/449, del resto nel prevedere all’art. 24, comma 5, un rinvio al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, (Testo unico sugli impiegati civili dello Stato) per tutto quanto non previsto in materia di disciplina e di procedura, permette di richiamare l’art. 107 del d.P.R. 1957/3, laddove recita che il capo del personale, quando ritenga opportune ulteriori indagini, nomina un funzionario istruttore scegliendolo tra gli impiegati aventi qualifica superiore a quella dell'incolpato.
    Altrettanto fa l’art. 19, comma 2, del d.P.R. 25 ottobre 1981 n. 737, nel regolare il procedimento disciplinare della Polizia di Stato, cui l’art. 21 della legge 15 dicembre 1990, n. 395 rimanda nel prevedere che il sistema disciplinare del Corpo debba ispirarsi ai principi e ai criteri previsti per gli appartenenti alla Polizia di Stato.
    Conseguentemente, per via di doppio rinvio, sembra possibile colmare la lacuna individuata e pervenire ad una interpretazione ispirata ai principi cui si è ispirato il legislatore nel disciplinare i settori affini. Anche se ciò è previsto esclusivamente per la contestazione delle infrazioni della sospensione dal servizio e della destituzione, non pare necessario escludere, trattandosi di ipotesi meno afflittive, una sua corrispondente applicazione per le infrazioni meno gravi della deplorazione e della pena pecuniaria.
    Conseguentemente, si ritiene di disporre che le autorità di cui all’art. 15 del d.ls. 1992/449, affidino l’inchiesta disciplinare ad un funzionario, dirigente o di livello non dirigenziale purchè avente qualifica superiore a quella dell'incolpato. Pertanto, se nel primo caso si tratterà di un dirigente penitenziario ex d.ls. 2006/63, nel secondo caso ben potrà essere nominato funzionario istruttore un appartenente al ruolo dei commissari del Corpo.
    Tale interpretazione può essere estesa anche alla composizione dei Consigli di disciplina.
     
  6. LA CONTESTAZIONE DEGLI ADDEBITI
    La contestazione degli addebiti è l’atto con il quale si dà inizio al procedimento, portando a conoscenza dell'appartenente al Corpo che all'Amministrazione è pervenuta notizia del tale fatto da lui compiuto, contrario ai doveri d'ufficio dello stesso o comunque in contrasto con le norme deontologiche dell’ordinamento particolare cui appartiene.
    La contestazione deve essere, per quanto possibile, precisa e puntuale, deve indicare i fatti e i comportamenti sui quali è fondata l'imputazione disciplinare e ciò per permettere al dipendente (d’ora in poi “incolpato”) di conoscere con ogni possibile precisione l'accusa mossagli, al fine di permettere l'esplicazione integrale della sua difesa [1]
    La contestazione degli addebiti delimita l'oggetto del giudizio, in quanto nel giudizio disciplinare non potranno essere considerati fatti diversi da quelli contestati.
    Nel caso in cui in sede istruttoria emergano fatti specifici diversi dagli addebiti iniziali è necessario, pertanto, procedere alla modificazione dell'originaria contestazione.
    Quando il procedimento disciplinare sia nato a seguito di un procedimento penale conclusosi con sentenza di condanna, dovrà costituire oggetto di contestazione il fatto accertato in sede penale, ad esempio «l'essersi impossessato indebitamente della cosa altrui», in quanto ciò che rileva sul piano amministrativo è il comportamento (disciplinarmente rilevante) attivo od omissivo, dell’incolpato. La condanna, da cui emerge che l’incolpato ha commesso il fatto e che lo stesso gli è riferibile, dovrà essere menzionata dopo la descrizione della condotta stessa. La formulazione corretta e completa, per restare all’esempio fatto, è la seguente: «l'essersi impossessato indebitamente di ..... sottraendola a.... in data ..... ed in luogo …… Così come accertato in sede penale con sentenza in data ….del ..... ,con la quale veniva condannato per i reati di ….alla pena di ..... Tale condotta è lesiva del prestigio dell'Istituzione, non consona alla dignità del grado rivestito ed ai doveri propri dello status di poliziotto penitenziario e concreta l’infrazione di cui all’articolo 6, comma 2, lett. a) b) c) d) e comma 3, lett. a) del d.ls. 30 ottobre 1992, n. 449».
    La contestazione degli addebiti, istituto sufficiente a garantire la partecipazione dell'inquisito in luogo dell'avviso di avvio del procedimento previsto dall'art. 7 della legge n. 1990/241, è atto ricettizio e, pertanto, esplica i suoi effetti non dalla data di emanazione ma da quella di partecipazione all'interessato.
     
  7. IL DIRITTO DI DIFESA E LA MALATTIA DELL’INCOLPATO
    L'esistenza di uno stato patologico dell’incolpato, di regola, non legittima la sospensione del procedimento disciplinare.
    Occorre, però, sul punto distinguere la fase istruttoria e quella decisoria, potendovi il diritto di difesa ed il contraddittorio, a seconda del diverso scopo e della diversa natura caratterizzanti le due fasi, essere garantiti secondo diverse modalità (Parere del Consiglio di Stato, Sezione Seconda, Adunanza 22 giugno 2011 numero affare 01851/2011, a richiesta di questa Amministrazione).
    La fase istruttoria è diretta a raccogliere tutta la documentazione probatoria, onde porre in grado l’autorità, che ha disposto l’inchiesta, prima, ed il collegio di disciplina, poi, di assumere le proprie determinazioni. La fase decisoria assume, dal canto suo, la formalità di un vero e proprio dibattimento, nel quale riveste particolare importanza la presenza dell’inquisito.
    Nella fase istruttoria il diritto di difesa è garantito con la presentazione a discolpa di giustificazioni scritte, mentre la fisica presenza dell’incolpato deve ricondursi all’esercizio della mera facoltà di richiedere di essere ascoltato, facoltà che le norme prevedono implicitamente all’art. 11, comma 2, del d.ls. 1992/449. Tutte le disposizioni relative alla fase istruttoria, infatti, compresa quella che precede l’irrogazione della censura (art. 14) ove si parla di “giustificazioni scritte”, fanno riferimento ad una partecipazione collaborativa dell’incolpato da svolgersi in forma documentale con la presentazione di memorie scritte. La fase istruttoria, d’altra parte, deve svolgersi sollecitamente secondo precisi termini, che solo in taluni casi specificamente determinati possono essere prorogati; e ciò a garanzia non solo dell’incolpato (che ha diritto a vedere al più presto risolta le proprie pendenze di carattere disciplinare) ma anche dell’Amministrazione, che ha interesse ad applicare la sanzione disciplinare con speditezza e rapidità.
    Nella fase istruttoria la presenza dell’incolpato deriva dall’esercizio da parte sua della richiesta di essere sentito, in deroga all’ordinaria forma scritta che assume tale fase del procedimento, onde un suo eventuale impedimento per malattia – salva la facoltà di chiedere una proroga dei termini e, se concessa, nell’ambito dello spazio temporale di tale proroga – non può determinare una sospensione dei termini assegnati per lo svolgimento dell’istruttoria, soprattutto quando chi è chiamato a decidere sul rinvio constati che un eventuale rinvio determinerebbe il rischio di una violazione del termine assegnato per lo svolgimento dell’attività istruttoria.
    Diversamente si atteggia l’ipotesi nella fase decisoria, nella quale la presenza dell’inquisito è necessaria, ferma restando la sua facoltà di non presentarsi. In tale situazione, la sussistenza di un legittimo impedimento, debitamente provato ed in ordine al quale l’Amministrazione dovrà e potrà compiere tutti gli accertamenti ritenuti utili (Parere del Consiglio di Stato, Sez. III del 24 aprile 2001, n. 598), avrà l’effetto di sospendere tale fase del procedimento.
    Ogni deliberazione del Consiglio di disciplina che ammetta e giustifichi l’assenza dell’incolpato per un legittimo impedimento, su richiesta di quest’ultimo è atto di natura ricettizia, che deve ritenersi atto proprio del procedimento disciplinare specificamente rivolto all’incolpato e pertanto, interruttivo del termine di 90 giorni previsto dall’art. 120 d.P.R. 10 gennaio 1057, n. 3 (Cons. Stato, Sez. IV, 18 settembre 1991, n. 726; Sez. V, 16 novembre 1998, n. 1617).
    Così, ove non si tratti di un impedimento la cui risoluzione sia prevedibile in tempi brevi e, quindi, entro i termini normalmente previsti per lo svolgimento dell’inchiesta o del giudizio, il procedimento disciplinare può essere sospeso solo quando il soggetto versi in una condizione di incapacità psico-fisica che impedisca o diminuisca la sua cosciente e consapevole partecipazione al procedimento, con particolare riferimento alla produzione difensiva in ordine agli addebiti mossi.
    L’onere della prova della sussistenza di un tale impedimento, secondo i principi generali, si pone a carico di chi invoca a suo favore dette circostanze, sicché l’incolpato dovrà produrre una certificazione medica che non si limiti ad attestare la sussistenza di una infermità, ma che precisi in modo chiaro ed espresso che l’infermità stessa comporta l’impossibilità a partecipare al procedimento (Cons. Stato. Sez. IV, 15 luglio 2008, n. 4630).
    In conclusione, durante la fase istruttoria l’incolpato ha diritto di depositare memorie scritte a giustificazione e difesa degli addebiti mossigli con l’atto di contestazione. Può chiedere di essere sentito, ma tale facoltà è rimessa all’apprezzamento del funzionario istruttore. La malattia dell’incolpato può costituire motivo di proroga del termine per la presentazione delle giustificazioni scritte od orali, se concessa l’audizione, ma non può costituire legittima causa di sospensione del procedimento se non impedisce la presentazione quantomeno di giustificazioni scritte, il che ricorre solo allorquando ci si trovi – di regola - davanti ad un accertamento sanitario particolarmente affidabile dello stato di incapacità di intendere e volere, temporanea o definitiva che sia, dell’incolpato (Cons. Stato. Sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5796).
    Durante la fase decisoria, invece, la malattia costituisce impedimento legittimo che giustifica il rinvio dell’udienza di trattazione orale che, però, non potrà mai superare il termine massimo di cui all’art. 120 del d.P.R. 1957/3. Si consideri, altresì, che in questa fase ben può l’incolpato farsi sostituire in udienza dal difensore. Nella stessa fase, costituisce comunque pur sempre legittima causa di sospensione del procedimento lo stato di incapacità psico-fisica di cui sopra.
     
  8. RAPPORTI TRA AZIONE DISCIPLINARE E PROCEDIMENTO PENALE
    L’obbligo di non dare avvio all’azione disciplinare o se avviata di sospenderla si determina in capo all’Amministrazione solo quando l’appartenente al Corpo sia sottoposto, per gli stessi fatti, ad azione penale.
    Prima di tale momento si dovrà valutare caso per caso la possibilità di promuovere l’azione disciplinare, soprattutto alla luce della disponibilità probatoria della Amministrazione, talora ridotta dalle analoghe attività di indagine.
    Il Consiglio di Stato (Adunanza Plenaria 29 gennaio 2009, n. 1) ha ritenuto che il presupposto ostativo all’attivazione o alla prosecuzione del procedimento disciplinare sia costituito dall’esercizio dell’azione penale e dalla conseguente assunzione della veste di imputato da parte del soggetto al quale è attribuito il fatto. Soltanto dopo l’esercizio dell’azione penale (artt. 60 e 405 c.p.p.) il procedimento disciplinare eventualmente intrapreso va sospeso, così come prescrive l’articolo 9 del d.ls. 1992/449.
    In mancanza di esercizio dell’azione penale, l’inchiesta disciplinare può essere avviata, purché l’Amministrazione sia in possesso di elementi sufficienti a motivare la sanzione disciplinare.
    Va considerato che può accadere (ed accade) che in pendenza di indagini penali, laddove l’Amministrazione non sia in possesso di adeguata prova dimostrativa dei fatti e di come si siano svolti, l’adozione di provvedimenti disciplinari possa risultare mal motivata o peggio rischi di incorrere nel divieto del ne bis in idem in caso di antinomia coll’esito del processo penale, e vanificare così l’azione disciplinare stessa.
    Poichè un procedimento disciplinare potrà essere utilmente avviato solo quando si sia in possesso di elementi tali da fondare l’imputazione di responsabilità; quando la documentazione necessaria per sostenere una qualsiasi attività istruttoria sia depositata presso l’autorità giudiziaria, sarà cura dell’organo titolare preventivamente ottenere il nulla osta da parte del magistrato titolare dell’inchiesta al rilascio della documentazione , rendendolo così edotto delle correlate necessità di legge.
     
  9. IL REGIME DEI PROCEDIMENTI DISCIPLINARI IN CASO DI TRANSITO AI SENSI DEGLI ARTT. 75 E 76 DEL D.LS. 30 OTTOBRE 1992, N.  443
    L’ex appartenente al Corpo che transito nei ruoli civili dell’amministrazione, ai sensi degli artt. 75 e 76 del d.ls. 30 ottobre 1992, n. 443, è sottoposto a procedimento disciplinare secondo le regole del regime pubblicistico del d.ls. 1992/449, quando il fatto è stato commesso mentre era poliziotto penitenziario, purchè il transito sia avvenuto con riserva a causa del fatto stesso e nelle more del suo accertamento.
    Se il transito nei ruoli civili è avvenuto senza riserva, il procedimento verrà avviato o proseguirà, se sospeso in pendenza del penale, secondo le regole proprie del sistema cd privatistico recentemente modificato dal d.lgs. 2009/150.
     
  10. LA COMUNICAZIONE DEGLI ATTI
    In tema di comunicazione idonea a dare all’interessato adeguata notizia degli atti del procedimento disciplinare che lo riguarda, la norma di riferimento si rinviene nell’art. 104 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, secondo il quale, ove non sia possibile la consegna diretta della copia dell’atto all’interessato (cd. “a mani proprie”), si deve procedere mediante raccomandata con avviso di ricevimento o, se neppure in tal modo sia possibile la comunicazione, mediante pubblicazione nell'albo dell'ufficio cui l'impiegato appartiene.
    In caso di spedizione della raccomandata occorre rifarsi alla disciplina delle notificazioni a mezzo posta di cui alla legge 20 novembre 1982, n. 890, e, con particolare riferimento all’ipotesi di “compiuta giacenza”, alla disciplina dettata all’art. 8, per cui è valida ed efficace la comunicazione degli atti a mezzo posta anche se il destinatario non ritiri il piego postale quando sia decorso il termine di dieci giorni dal deposito dell’atto stesso nell’ufficio postale.
    Ipotesi residuale è, infine, la comunicazione mediante affissione nell’albo dell’ufficio di appartenenza del destinatario; in tal caso, occorrerà procedere in modo da tutelare, nei limiti della compatibilità con la finalità del procedimento notificatorio, le esigenze di protezione della riservatezza dei dati personali, e ciò sarà possibile fare pubblicando nell’albo una nota con la quale si informa l’interessato che presso l’ufficio del direttore giace un atto amministrativo a lui diretto.
  11. ALCUNI ADEMPIMENTI A CURA DEI PROVVEDITORATI E DELLE DIREZIONI

    11.1 Di seguito alla lettera circolare 27 dicembre 2010 nr. 527272 in tema di “Trattamento economico” del personale del Corpo e transito della gestione al Ministero dell’economia e finanze, ed alle note 30 giugno 2011 nr. 260511 e 2 gennaio 2012 n. 580 della direzione generale del personale e della formazione, si ricorda la necessità del tempestivo e corretto adempimento, da parte delle direzioni degli istituti, uffici e servizi di appartenenza del dipendente interessato, delle comunicazioni alle Direzioni Territoriali dell’Economia e delle Finanze (oggi Ragionerie Territoriali dello Stato, RTS) riguardanti le cessazioni dal servizio per destituzione, le decurtazioni ed i congelamenti sullo stipendio a seguito di esecuzione dei provvedimenti sanzionatori della pena pecuniaria e delle sospensioni dal servizio o, comunque, delle misure interruttive del servizio con incidenza sul trattamento economico, a qualsiasi titolo adottate nell’ambito dei procedimenti penali e disciplinari.
    Copia della comunicazione effettuata alle RTS dovrà essere trasmessa al Servizio bilancio e contabilità della direzione generale del personale e della formazione per il controllo.
    I provveditorati regionali dovranno vigilare sul corretto e puntuale adempimento del richiamato obbligo.

    11.2 I dati relativi alle sanzioni della censura, della pena pecuniaria e .della deplorazione irrogate in sede regionale e locale, così come eventuali proscioglimenti, devono essere inseriti nel sistema SIGIP1 a cura delle direzioni degli istituti, uffici e servizi che hanno in carico il personale interessato da predette misure. L’alimentazione della banca dati è fattore indispensabile per le importanti valutazioni sulla complessiva gestione del personale e sull'azione amministrativa, per cui i provveditorati regionali vigileranno sul corretto e puntuale adempimento, emanando se del caso direttive al riguardo.

    11.3 La direzione dell’istituto, servizio ed ufficio penitenziario, dove presta servizio l’appartenente al Corpo destinatario di una informativa di reato, di una denuncia o querela, di una misura cautelare o comunque sottoposto ad indagini penali, è tenuta a richiedere periodicamente all’autorità giudiziaria competente le notizie utili per conoscere lo stato del procedimento penale, gli esiti delle udienze, i provvedimenti disposti (es. avviso di conclusione delle indagini, esercizio dell’azione penale, rinvio a giudizio, sentenze e archiviazioni, ecc.), nonchè il passaggio in giudicato delle decisioni assunte.
    Le richieste, di regola, dovranno essere, nel silenzio dell’autorità giudiziaria, rinnovate almeno ogni tre mesi. Una volta acquisite le informazioni le stesse dovranno essere subito trasmesse alla direzione generale del personale e della formazione, servizio della disciplina del Corpo.

    11.4 Ai fini di quanto prescrive l’articolo 32, comma 4, del d.P.R. 31 luglio 1995, n. 395, il direttore, in caso di censura, ed il funzionario istruttore, negli altri casi, sono altresì tenuti a comunicare, in occasione della notifica della contestazione degli addebiti, l’avvio del procedimento disciplinare nei confronti degli appartenenti al Corpo che ricoprono cariche di dirigenti sindacali in seno agli organismi direttivi previsti dagli statuti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale, direttamente alla segreteria nazionale della organizzazione sindacale interessata e all’ufficio del Capo del dipartimento – ufficio per le relazioni sindacali per l’attività di monitoraggio.

  12. Le circolari 15 febbraio 1999 n. 004518/1.1 e 22 aprile 2002 n. 0184021 restano in vigore per le parti non trattate o comunque non in contrasto con la presente.

IL CAPO DIPARTIMENTO
Giovanni Tamburino

 

nota 1
Ad esempio, non può essere considerata legittima una contestazione generica nella quale non si faccia riferimento ad un preciso fatto, come può essere quella di essersi comportato in modo non conforme al decoro delle funzioni, mentre dovrà considerarsi legittima una contestazione che, facendo riferimento ad un preciso fatto (ad esempio: un alterco fra colleghi alla presenza di detenuti), rilevi in esso il comportamento non conforme al suddetto decoro.