Schema di D.lgs - Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione - Relazione illustrativa

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 3 agosto 2011

Schema di Decreto legislativo recante: “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136” - Relazione illustrativa


Articolato


 

Con la legge 13 agosto 2010, n. 136, il Governo è stato delegato ad emanare un decreto legislativo recante il codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, con il precipuo compito di effettuare una completa ricognizione delle norme antimafia di natura penale, processuale e amministrativa, nonché la loro armonizzazione e coordinamento anche con la nuova disciplina dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata recentemente istituita con il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4.
La medesima legge, poi, ha delegato il Governo anche alla redazione di un decreto legislativo per la modifica e l’integrazione della disciplina in materia di documentazione antimafia; trattandosi in ogni caso di normativa attinente, per un verso, la criminalità organizzata di tipo mafioso e, per altro verso, il procedimento di prevenzione, si è ritenuto opportuno procedere all’attuazione di entrambe le disposizioni di delega mediante un unico decreto. Tale modalità di esercizio della delega, invero, consentirà, da un lato, di ottenere un testo che possa costituire un valido e completo punto di riferimento in materia per tutti gli operatori del diritto e dall’altro di semplificare notevolmente l’attività dell’interprete, evitando la necessità di utilizzare nel testo riferimenti esterni a differenti atti normativi.
Il decreto, quindi, prevede l’adozione di un corpus unico di norme, suddiviso in quattro diversi libri:

- Libro I: Le misure di prevenzione;
Libro II: La documentazione antimafia;
- Libro III: Le attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata. L’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata;
Libro IV: Modifiche al codice penale e alla legislazione penale complementare. Abrogazioni. Disposizioni transitorie e di coordinamento.

Quanto al Libro I, la delega ha innanzitutto imposto un attento lavoro di ricognizione della normativa attualmente vigente in tema di misure di prevenzione; il corpus normativo relativo alla materia in questione è, infatti, il frutto di una cinquantennale stratificazione normativa. Le leggi fondamentali sulle misure di prevenzione personali (legge 27 dicembre 1956, n. 1423) e patrimoniali (legge 31 maggio 1965, n. 575) sono assai risalenti nel tempo; esse hanno inoltre costituito l’oggetto di numerosi interventi di modifica, tanto da assumere allo stato attuale una fisionomia affatto diversa rispetto a quella originaria.
Sulle due leggi fondamentali si sono poi innestate numerose leggi speciali, generalmente frutto di una legislazione di emergenza emanata in momenti di particolare asprezza nella lotta al fenomeno mafioso, che hanno operato modifiche rilevanti in tema di ambito e procedimento di applicazione, gestione e destinazione di beni confiscati, nonché dei poteri conferiti alle diverse autorità coinvolte (si vedano, fra tutte, le LL. nn. 152/75, 629/82, 646/82, 327/88, 282/89, 55/90, 197/91, 203/91, 410/91, 172/91, 356/92).
Anche la presente legislatura è stata, del resto, caratterizzata da numerosi interventi normativi relativi alle misure di prevenzione, e segnatamente:
1) il decreto legge 23 maggio 2008, n. 92, recante “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, conv. in L. 24 luglio 2008, n. 125;
2) la legge 15 luglio 2009, n. 94, recante “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”;
3) il decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, recante “Istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”, conv. in l. 31 marzo 2010, n. 50.
Attraverso i sopra citati provvedimenti sono stati introdotti alcuni rilevanti principi ed elementi di assoluta novità nel tessuto normativo previgente, che hanno imposto la predisposizione di un compiuto intervento di revisione ed ammodernamento dell’intera materia; con il d.l. 92/08 sono state, infatti, previste alcune rilevanti modifiche alla legge 31 maggio 1965, n. 575, ed in particolare:
1) l’estensione della normativa antimafia anche alle ipotesi di riciclaggio, impiego di denaro proveniente da attività illecita o, comunque, in tutti i casi in cui le funzioni di pubblico ministero sono attribuite al procuratore della Repubblica distrettuale;
2) viene valorizzata l’esperienza delle direzioni distrettuali antimafia, detentrici di un patrimonio informativo notevolissimo in materia, attraverso l’attribuzione alle stesse della competenza ad indagare ed a proporre le misure di prevenzione in questione;
3) si prevede che le misure di prevenzione patrimoniali possano essere applicate anche disgiuntamente rispetto alle misure di prevenzione personali, consentendo così all’autorità giudiziaria di aggredire il patrimonio mafioso anche in caso di morte del proposto o del sottoposto;
4) si introduce l’articolo 110-ter nel regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (Ordinamento giudiziario), prevedendosi che il procuratore nazionale antimafia possa disporre, d’intesa con il procuratore distrettuale, l’applicazione temporanea di magistrati della direzione nazionale antimafia alle procure distrettuali per la trattazione di singoli procedimenti di prevenzione.
Nell’ambito della legge 94/2009, poi, gli interventi in materia di misure di prevenzione contengono alcune ulteriori innovazioni; l’articolo 13, infatti, sostituisce l’articolo 2–quater della legge n. 575/1965. L’intervento è volto a rendere più efficace la disciplina del sequestro dei beni conseguenti all’applicazione delle misure di prevenzione, delineando con precisione le modalità esecutive dello stesso con riferimento alle diverse tipologie di beni oggetto del provvedimento in questione.
L’intervento contenuto nell’articolo 14 è finalizzato a consentire l’affidamento dei beni mobili registrati, in gratuita giudiziale custodia, alle Forze di polizia operanti, analogamente a quanto già previsto in materia di repressione dei reati di contrabbando, immigrazione clandestina, riciclaggio e traffico di sostanze stupefacenti. In tal modo si realizza anche una riduzione delle notevoli spese che l’Erario sostiene per la custodia dei beni mobili registrati sottoposti a sequestro e che, all’esito del procedimento, risultano spesso privi di ogni utilità e di ogni valore commerciale.
Il terzo rilevante intervento del Governo nella materia in questione è costituito dal decreto legge 4 febbraio 2010, n. 4, convertito nella legge 31 marzo 2010, n. 50, il quale prevede l’istituzione dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, sotto la vigilanza del Ministero dell’interno e con sede principale a Reggio Calabria.
Il decreto disciplina gli organi ed i compiti dell’Agenzia, rinviando ad uno o più regolamenti la disciplina dell’organizzazione e dotazione delle risorse umane, la contabilità e le comunicazioni con l’autorità giudiziaria.
L’Agenzia sostituisce l’amministratore giudiziario nelle procedure di prevenzione patrimoniali e nei procedimenti penali in relazione ai quali è possibile applicare la confisca ai sensi dell’articolo 12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, anche se solo dopo l’emanazione del provvedimento di primo grado. Nella fase precedente l’Agenzia avrà il compito di coadiuvare l’autorità giudiziaria e l’amministratore giudiziario nella gestione dei predetti beni.
L’Agenzia avrà pertanto l’incarico di amministrare e custodire tutti i predetti beni, incluse le aziende, dalla pronuncia di primo grado fino alla confisca definitiva.
Successivamente alla stessa l’Agenzia dovrà occuparsi anche della destinazione dei beni confiscati, procedura precedentemente gestita dai prefetti.
L’Agenzia svolgerà, altresì, funzioni di acquisizione ed analisi dei dati relativi ai beni sopra indicati, nonché di individuazione delle criticità relative alla fase di assegnazione e destinazione.
Al fine di evitare, poi, eccessivi ritardi nell’assegnazione dei beni già confiscati ed i conseguenti oneri che normalmente ne derivano a carico del bilancio dello Stato, la legge 23 novembre 2009, n. 191 (legge finanziaria 2010), ha introdotto la possibilità che i beni immobili «di cui non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubblico interesse» siano «destinati con provvedimento dell’Agenzia alla vendita». Le risorse derivanti da tali operazioni saranno devolute al fondo unico giustizia «per essere riassegnate, nella misura del 50 per cento, al Ministero dell’interno per la tutela della sicurezza pubblica e del soccorso pubblico e, nella restante misura del 50 per cento, al Ministero della giustizia, per assicurare il funzionamento e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli altri servizi istituzionali».

La complessità e la assoluta novità dei principi introdotti dalla citata normativa, unitamente alle molteplici novelle intervenute nel corso di oltre 50 anni di evoluzione normativa in materia, hanno, pertanto, imposto, come già precisato, un complesso lavoro di ricognizione e revisione dell’intera normativa; più specificatamente, i criteri che hanno conformato, in parte qua, l’attività di redazione del codice antimafia sono stati quelli della razionalizzazione, semplificazione e coordinamento della normativa vigente, con l’introduzione nell’ambito del testo delle norme attuative degli ulteriori principi specificamente individuati dal legislatore delegante, secondo le modalità di seguito illustrate.

Il libro si compone di cinque distinti titoli:
• Le misure di prevenzione personali;
• Le misure di prevenzione patrimoniali;
• L’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati;
• La tutela dei terzi e i rapporti con le procedure concorsuali;
• Effetti, sanzioni e disposizioni finali.

Nei primi due titoli sono contenute, razionalizzandole mediante una ulteriore suddivisione per capi e sezioni, tutte le norme attualmente vigenti in tema di applicazione ed esecuzione delle misure di prevenzione; gli articoli 1 e 4, in particolare, enumerano tutti i soggetti nei confronti dei quali potranno essere applicate le misure personali da parte, rispettivamente, del questore o dell’autorità giudiziaria, mentre l’art. 16 svolge la medesima funzione con riguardo ai soggetti destinatari delle misure di prevenzione patrimoniali. Onde armonizzare i molteplici testi di legge che, mediante diversi richiami normativi, consentono l’applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali previste dalla legge 575/65 anche ad altri soggetti, si è ritenuto di unificare dette categorie soggettive, onde riconoscere la possibilità di applicare le misure in parola a tutti i soggetti nei confronti dei quali è possibile richiedere una misura di prevenzione personale.
Gli articoli 7 e 10 prevedono, altresì, l’introduzione della facoltà di richiedere che il procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione sia celebrato, in primo come in secondo grado, in udienza pubblica. La previsione è imposta, oltre che da uno specifico punto di delega, dalla recente giurisprudenza della CEDU che ha dichiarato la normativa nazionale non conforme a quanto previsto Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che prevede la necessaria facoltà per gli indagati di poter sempre scegliere che il procedimento venga svolto in pubblica udienza.
Sempre in attuazione di un dettagliato punto di delega, il decreto legislativo (artt. 24, comma 2 e 27, comma 6) prevede poi una precisa scansione temporale del procedimento, tale da garantire la speditezza dello stesso in uno con le necessarie garanzie del proposto: si prevede la perdita di efficacia del sequestro ove non venga disposta la confisca nel termine di un anno e sei mesi dalla immissione in possesso da parte dell’amministratore giudiziario, nonché, in caso di impugnazione della decisione,  entro un anno e sei mesi dal deposito del ricorso. E’ altresì prevista la possibilità di prorogare i termini in parola per periodi di sei mesi e per non più di due volte in caso di indagini complesse.
L’articolo 28 disciplina, poi, la revocazione della confisca di prevenzione. L’assenza di una specifica normativa sul punto ha, infatti, indotto la giurisprudenza di legittimità ad affermare il principio secondo cui la revoca di cui all’articolo 7 della L. 1423/1956 svolga, per i partecipanti al procedimento di prevenzione, altrimenti privi di diverso rimedio, anche una funzione vicariante quella riservata, per le sentenze e per i decreti penali di condanna, alla revisione, esclusa dalla giurisprudenza per i procedimenti di prevenzione.
Ciò sarebbe possibile in quanto la revoca può essere esperita non solo con efficacia ex nunc, per l’essere venuti meno i presupposti di applicazione della misura di prevenzione (ad esempio: la pericolosità sociale del sottoposto), ma anche per far valere difetti genetici del provvedimento applicativo.
Tuttavia, per effetto della possibilità per gli incisi di proporre la revoca/revisione della confisca e per i terzi estranei al procedimento di proporre incidente di esecuzione, i soggetti in favore dei quali sono stati destinati i beni confiscati (nella maggior parte dei casi i comuni) si trovano nell’impossibilità di investire sui compendi confiscati, in funzione del loro riutilizzo per finalità sociali, in ragione della continua presentazione di istanze di revoca, che rendono il giudicato di prevenzione, per così dire, instabile.
A ciò si aggiunga il rischio che, tramite interposizioni fittizie, spesso difficilmente dimostrabili, i beni confiscati possano rientrare nella disponibilità degli ablati.
Da ciò sorge la necessità di fornire una disciplina compiuta, che da un lato assicuri agli interessati le necessarie garanzie, dall’altra consenta alla confisca di conservare, dopo la sua “definitività”, il connotato della “irreversibilità”.
Il principio che ispira tutto il provvedimento è che quando un bene è stato confiscato con provvedimento definitivo, esso non possa più essere retrocesso ed eventuali ipotesi satisfattorie dei diritti del sottoposto o di terzi potranno avvenire esclusivamente “per equivalente”.
Con riferimento a tale aspetto la Cassazione ha aperto uno spiraglio significativo: dopo avere sottolineato le similitudini tra la confisca di prevenzione e l’espropriazione per pubblica utilità, la citata sentenza delle Sezioni Unite del 2007 ha parlato esplicitamente dell’ “insorgenza di un obbligo riparatorio della perdita patrimoniale”.
E proprio come nel caso dell’espropriazione per pubblica utilità, nel testo proposto si prevede che, in caso di accoglimento della domanda di revisione della confisca, l’interessato abbia titolo esclusivamente alla corresponsione di una somma pari al valore di mercato del bene, quale risultante dalle relazioni di stime dell’amministratore giudiziario. Il bene, pertanto, con la confisca definitiva entrerà a far parte del patrimonio dello Stato privo di oneri o pesi.
Si è inoltre ritenuto di prevedere una disciplina unica che accomuni soggetti direttamente coinvolti nel procedimento di prevenzione e terzi che vantano diritti sul bene, superando il doppio binario “revoca/incidente di prevenzione”.
La disciplina concreta dei presupposti di esperibilità ricalca sostanzialmente quella dell’articolo 630 del codice di procedura penale. Si prevede, infatti, che la revocazione possa essere proposta, al solo fine di dimostrare il difetto originario dei presupposti per l’applicazione della misura:

- in caso di scoperta di prove nuove decisive, sopravvenute alla conclusione del procedimento;
- quando i fatti accertati con sentenze penali definitive, sopravvenute o conosciute in epoca successiva alla conclusione del procedimento di prevenzione, escludano in modo assoluto l’esistenza dei presupposti di applicazione della confisca;
- quando la decisione sulla confisca sia stata motivata, unicamente o in modo determinante, sulla base di atti riconosciuti falsi, di falsità nel giudizio ovvero di un fatto previsto dalla legge come reato.

Si prevede inoltre che la richiesta di revocazione debba essere proposta, a pena di inammissibilità, entro sei mesi dalla data in cui si verifica uno dei caso di cui sopra, salvo che l’interessato dimostri di non averne avuto conoscenza per causa a lui non imputabile e che la revocazione non possa comunque essere chiesta da chi, potendo o dovendo partecipare al procedimento, vi abbia rinunciato, anche non espressamente.
Nel decreto si è, poi, proceduto a disciplinare, all’articolo 29, l’ipotesi di coesistenza tra sequestro penale e sequestro di prevenzione, che nella prassi applicativa ha determinato non pochi problemi, posto che per il primo il codice di rito prevede la sola custodia, mentre per il secondo sono previste forme di gestione e amministrazione. Si prevede quindi che in caso di coesistenza dei due sequestri, prevalga il sequestro di prevenzione, con conseguente affidamento dei beni in sequestro all’amministratore giudiziario, al fine di consentire, in caso di confisca, la migliore destinazione del bene stesso. Si prevede in particolare che:

1) il sequestro e la confisca di prevenzione possano essere disposti anche in relazione a beni già sottoposti a sequestro in seno ad un procedimento penale;
2) nel caso di contemporanea esistenza in relazione al medesimo bene di sequestro penale e di prevenzione si proceda all’amministrazione e gestione dei beni secondo le disposizioni previste dal decreto;
2) in relazione alla vendita, assegnazione e destinazione dei beni si applichino le norme relative alla confisca divenuta definitiva per prima;
3) in ogni caso la confisca intervenuta successivamente venga trascritta, iscritta o annotata con le modalità previste dal decreto.
Le rimanenti disposizioni dei primi due titoli non sono innovative, ma costituiscono semplice riorganizzazione di previsioni già vigenti.

Il titolo III, quindi, raccoglie tutte le disposizioni vigenti in tema di amministrazione, gestione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati; la materia è suddivisa in quattro distinti capi, tre dei quali (quelli interenti l’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati) meramente ricognitivi della attuale normativa, mentre il quarto attua i principi di delega relativi al regime fiscale da applicarsi con riferimento ai beni sequestrati. In particolare, l’art. 51 prevede che l’amministratore giudiziario assuma nel corso della procedura la qualità di sostituto d’imposta: sarà, pertanto, incaricato di pagare provvisoriamente le imposte relative ai beni sequestrati secondo le aliquote vigenti per i diversi redditi. All’esito della procedura, nel caso di intervenuta restituzione dei beni, i pagamenti intervenuti medio tempore potranno essere recuperati nei confronti del proposto.

Il titolo IV dà attuazione alla delega disciplinando la materia dei rapporti dei terzi con il procedimento di prevenzione e, conseguentemente, regolando la disciplina dei rapporti pendenti al momento dell’esecuzione del sequestro. Quindi viene disciplinata, sempre in funzione della tutela delle pretese dei terzi interessati, l’ipotesi della coesistenza delle misure di prevenzione patrimoniali del sequestro e della confisca con le procedure esecutive e le procedure concorsuali.
L’articolato del titolo che qui si illustra è ripartito in tre capi. Il primo reca disposizioni generali riguardanti le condizioni sulla base delle quali i diritti dei terzi vengono tutelati, stabilisce il limite della garanzia patrimoniale idonea a soddisfare i creditori, regola i rapporti con le azioni esecutive sui beni oggetto di vincolo di prevenzione e disciplina il pagamento dei crediti prededucibili. Il capo II offre una disciplina di dettaglio dell’accertamento dei diritti dei terzi e stabilisce sull’attività di progettazione e pianificazione dei pagamenti da effettuarsi in favore dei creditori. Il capo III è specificamente destinato a disciplinare la duplice ipotesi che il sequestro sia seguito o preceduto dalla dichiarazione di fallimento dell’imprenditore i cui beni siano stati in tutto od in parte attinti dal vincolo di prevenzione.
L’articolo 52 enuclea le condizioni sussistendo le quali i diritti di credito dei terzi, comunque anteriori al sequestro e documentati con atto avente data certa, possono ricevere tutela pur in presenza di confisca definitiva. La finalità della norma è quella di garantire l’effettività della misura reale, escludendo che sia sufficiente un controllo estrinseco del diritto di credito e rendendo invece necessario l’accertamento dell’estraneità del terzo all’attività delittuosa del proprio debitore. La tutela dei terzi viene dunque assicurata evitando il rischio che il proposto possa avvalersi di prestanomi che vantino fittiziamente diritti sui beni sottoposti alla misura reale, al fine di riottenerne il controllo.
E’ previsto, in particolare, quali condizioni della tutela del terzo creditore, che il diritto di credito non abbia già trovato soddisfazione nella necessaria preventiva escussione del patrimonio del proposto non soggetto a misura di prevenzione; che il credito non nasca nell’ambito di attività strumentali a quella illecita e che di essa non costituisca il frutto o il reimpiego, salva la dimostrazione dell’ignoranza di tale nesso da parte del terzo in buona fede; che i crediti fondati su mere promesse di pagamento o atti di ricognizione di debito, ovvero su titoli di credito possono essere soddisfatti solo ove sia dimostrato il rapporto sottostante, superando così il connotato di astrattezza derivante dalle predette fonti obbligatorie.
Nella stessa disposizione (art. 52, comma 3) vengono delineati i criteri di giudizio per la valutazione della buona fede del terzo.
E’ introdotta la regola per cui la sola confisca definitiva determina lo scioglimento dei contratti aventi ad oggetto diritti personali di godimento, ovvero l’estinzione di diritti reali di godimento sui beni medesimi. La compressione del diritto dei terzi è funzionale a mantenere il bene libero da pesi in vista della sua destinazione, una volta acquisito al patrimonio dello Stato. Il pregiudizio del terzo è tuttavia equamente indennizzato.
Ancora nella stessa disposizione, è regolata la posizione del terzo comproprietario del bene oggetto di misura di prevenzione, cui è concesso, se in buona fede, diritto di prelazione per l’acquisto della quota confiscata al valore di mercato; ove il comproprietario non eserciti tale diritto, la quota non confiscata è acquisita al patrimonio dello Stato, allo scopo di mantenere l’integrità del bene. Al comproprietario è riconosciuta un’indennità corrispondente al valore attuale della quota di proprietà.
L’articolo 53 sancisce il limite della garanzia patrimoniale dello Stato nei confronti dei creditori anteriori al sequestro fissandolo, come disposto dalla legge delega, nel 70 per cento del valore dei beni dalla stima redatta dall’amministratore giudiziario. Il pagamento è in ogni caso subordinato all’accertamento dei diritti e delle garanzie in base alle disposizioni del capo II, cui sono sottratti i crediti c.d. prededucibili, sorti cioè nel corso del procedimento di prevenzione su iniziativa dell’amministratore e sotto il controllo del giudice delegato alla misura.
Nello stesso capo I del titolo IV è sancito il principio della inammissibilità o improseguibilità delle azioni esecutive sui beni oggetto di sequestro. Nell’ipotesi di revoca definitiva del sequestro o della confisca è stabilito un termine di riassunzione per le procedure esecutive dichiarate improseguibili; ne deriva il carattere eventualmente temporaneo della improcedibilità, che garantisce all’originario creditore procedente la conservazione degli effetti del pignoramento.
L’articolo 56 attua la delega nella parte in cui si richiede che vengano disciplinati i rapporti pendenti alla data della esecuzione del sequestro di prevenzione. Vengono fatte salve le norme relative ai rapporti altrimenti disciplinati (così per le ipotesi dei contratti aventi ad oggetto diritti reali e diritti personali di godimento per cui è previsto un regime speciale in considerazione della loro inerenza sul bene vincolato). E’ prevista la sospensione della esecuzione dei contratti ineseguiti o non compiutamente eseguiti sino alla decisione dell’amministratore giudiziario, che si determini, con l’autorizzazione del giudice delegato, a subentrare nel rapporto in corso in luogo del proposto. L’altro contraente ha diritto di sollecitare la decisione dell’amministratore inducendo il giudice delegato a fissare un termine.
Si prevede, però, che, nel caso in cui dalla sospensione possa derivare un danno grave al bene o all’azienda, il giudice delegato possa autorizzare, entro trenta giorni dall’esecuzione del sequestro, la provvisoria esecuzione dei predetti rapporti. La norma è chiaramente volta ad impedire che l’automatica sospensione dei contratti in corso possa paralizzare l’attività aziendale nelle more della decisione dell’amministratore o del giudice delegato, che può risultare a volte complessa non immediata, garantendo la possibilità di adozione di un meccanismo che permetta la prosecuzione dell’attività di impresa senza, al contempo, minare le possibilità di intervento nella gestione da parte dell’amministrazione giudiziaria.
Per quanto concerne i contratti preliminari di vendita viene confermata la regola generale del diritto per il promissario acquirente di far valere il proprio credito nella procedura di verifica e pagamento dei crediti secondo le disposizioni del capo II; viene, però, specificato – in analogia a quanto previsto nelle procedura fallimentare – che il promissario acquirente gode del privilegio previsto nell’articolo 2775-bis del codice civile, seppur a condizione che gli effetti della trascrizione del contratto preliminare non siano cessati anteriormente alla data del sequestro. Da ultimo, si precisa che in caso di scioglimento del contratto preliminare non è dovuto alcun risarcimento o indennizzo.
Il capo II (composto di cinque articoli) introduce, così attuando chiari principi di delega, l’attività di accertamento dei diritti dei terzi secondo un modello che ricalca quello dell’accertamento dei crediti e dei diritti nel passivo fallimentare. Il procedimento viene svolto con l’ausilio dell’amministratore e sotto la direzione del giudice delegato. E’ pertanto prevista la formazione, da parte dell’amministratore giudiziario, dell’elenco dei creditori e di coloro che vantano diritti reali o personali sui beni oggetto di misura di prevenzione; la conseguente fissazione di un termine per la presentazione delle istanze di insinuazione e di una successiva data per l’esame delle domande proposte secondo un contenuto analiticamente disciplinato.
Il giudice delegato, a seguito di istruttoria anche officiosa, forma lo stato passivo e lo rende esecutivo con provvedimento soggetto ad opposizione dinanzi al tribunale della prevenzione. E’ espressamente chiarito che le domande proposte dai creditori non producono effetti interruttivi di prescrizione o decadenza del diritto fatto valere e che i provvedimenti di ammissione o esclusione dei crediti emessi dal giudice delegato producono effetti nei soli confronti dell’Erario ai fini del soddisfacimento nella misura di prevenzione.
Anche la fase distributiva riprende per grandi linee lo schema fallimentare, prevedendo la formazione di un progetto di pagamento dei crediti ad opera dell’amministratore, l’intervento del giudice delegato per le eventuali modifiche e la definitiva formazione del piano all’esito delle osservazioni sulla collocazione e graduazione dei crediti, la possibilità di impugnazione dinanzi al tribunale.
E’ disciplinata, con norma di chiusura del capo, la revocazione dei crediti ammessi, su iniziativa del pubblico ministero, dell’amministratore giudiziario o dell’Agenzia, in caso di giudizio determinato da falsità, dolo, errore essenziale di fatto o dalla mancata conoscenza di documenti decisivi non prodotti tempestivamente senza colpa del ricorrente.
Il capo III è destinato a disciplinare i controversi rapporti tra misure di prevenzione e fallimento dell’imprenditore i cui beni siano stati attinti da sequestro. Sono distinte l’ipotesi in cui la dichiarazione di fallimento segua il sequestro già disposto su alcuni o su tutti i beni dell’imprenditore, da quella in cui la procedura concorsuale preceda il vincolo di prevenzione.
Nel primo caso è conferita al pubblico ministero specifica legittimazione a richiedere il fallimento dell’imprenditore i cui beni aziendali siano sottoposti a sequestro o a confisca, laddove emerga dalle indicazioni dell’amministratore giudiziario, che gestisce l’azienda sequestrata, la sussistenza di uno stato di insolvenza. Al pubblico ministero è espressamente conferita legittimazione a chiedere al tribunale competente l’emissione del provvedimento di cui all’art. 195 della legge fallimentare ove l’azienda sequestrata riguardi soggetto sottoposto a liquidazione coatta amministrativa con esclusione del fallimento.
In entrambi i casi delineati opera il principio, espressamente indicato dal legislatore delegante, della sottrazione dei beni sottoposti alla prevenzione rispetto alla massa fallimentare. Esso trova attuazione mediante un duplice meccanismo che tiene conto delle cadenze temporali in cui intervengono le diverse procedure: nel caso di dichiarazione di fallimento successiva al sequestro o alla confisca, lo spossessamento dell’imprenditore-proposto è escluso per i beni già sottoposti alla gestione dell’amministratore giudiziario; ove invece la dichiarazione di fallimento preceda l’applicazione della misura di prevenzione su beni dell’imprenditore insolvente, l’ufficio fallimentare è chiamato ad effettuare una operazione di separazione dei beni già acquisiti alla massa per la consegna degli stessi, in quanto attinti da sequestro di prevenzione, all’amministratore giudiziario.
Allorché la massa fallimentare sia integralmente costituita da beni sottoposti a sequestro (o confisca), si è ritenuto superfluo mantenere aperte entrambe le procedure. E’ infatti prevista un’ipotesi di chiusura del fallimento, essendo rimessa in tal caso al solo giudice della prevenzione l’accertamento del passivo non ancora verificato e la formazione del progetto di riparto tra i creditori insinuati che intendono soddisfarsi sui beni oggetto di vincolo di prevenzione, con applicazione delle disposizioni del capo II.
Al di fuori dell’ipotesi ora esaminata di chiusura del fallimento, in attuazione di espressa delega sul punto, è stata definita la disciplina dell’accertamento del passivo rimettendo le operazioni al giudice delegato al fallimento sopravvenuto, il quale è chiamato ad accertare i crediti insinuati al passivo anche alla luce dei criteri e delle condizioni previste dalle disposizioni in materia di prevenzione a tutela dei terzi di buona fede. In altri termini, il giudice delegato al fallimento successivo al sequestro provvederà ad accertare, nelle rituali forme fallimentari, non solo la concorsualità del credito e la sua documentata sussistenza, ma anche, come se fosse il giudice delegato alla misura di prevenzione, le condizioni poste dalle disposizioni precedenti a garanzia della massa dei creditori da possibili interferenze illecite nella formazione dei crediti concorrenti.
Nella diversa ipotesi di fallimento preesistente a sequestro, è mantenuta la competenza del giudice delegato alla procedura concorsuale per la verifica dei crediti, che, ove già effettuata, deve essere riaperta, previa fissazione di apposita adunanza, per i creditori già ammessi. Nei confronti di costoro va accertata l’applicazione anche delle condizioni previste per la verifica della loro buona fede. Analogo accertamento avverrà in caso di insinuazione tardiva al fallimento di imprenditore soggetto a misura di perenzione e laddove penda impugnazione avverso lo stato passivo già definito.
In caso di revoca del sequestro o della confisca e ove il fallimento sia ancora aperto, si prevede che i beni liberati dal vincolo di prevenzione vengano acquisti alla massa fallimentare; ove il fallimento fosse stato già chiuso, è prevista la riapertura anche su iniziativa del pubblico ministero.
Viene disciplinata l’ipotesi, espressamente contenuta nella delega, dell’esercizio delle azioni revocatorie e di inefficacia previste dalla legge fallimentare quando esse si riferiscano ad atti, pagamenti o garanzie concernenti i beni oggetto di sequestro. E’ data legittimazione esclusiva all’amministratore giudiziario per l’esercizio di dette azioni, il cui effetto è quello di recuperare i beni revocati al patrimonio della misura di prevenzione.
Da ultimo sono regolati, nel senso della prevalenza del fallimento, i rapporti tra detta procedura concorsuale e le misure del controllo giudiziario e dell’amministrazione giudiziaria.

Il titolo V, infine, contiene tutte le norme che disciplinano gli effetti delle misure di prevenzione e le sanzioni connesse alle predette misure. La normativa vigente in materia viene nel testo raccolta e coordinata in quattro distinti capi; nel primo (effetti delle misure di prevenzione) viene affrontata e risolta la questione – postasi successivamente all’introduzione della facoltà di applicazione disgiunta delle misure di prevenzione personali e patrimoniali – degli effetti delle misure di prevenzione patrimoniali ove applicate disgiuntamente dalle misure personali. Il tessuto normativo, infatti, sul quale è andata ad incidere la dirompente innovazione portata, come visto, dal d.l. 92/08, era disegnato in termini di applicazione necessariamente congiunta delle due distinte tipologie di misure di prevenzione, di tal che non sarebbe stato possibile applicare una misura di prevenzione patrimoniale senza la previa o contemporanea applicazione anche della corrispondente misura personale. In applicazione del principio di delega relativo al coordinamento ed all’armonizzazione delle disposizioni, si è reso, pertanto, necessario chiarire il tenore del previgente articolo 10 della legge 575/65, il quale disciplina, per l’appunto gli effetti delle misure di prevenzione, senza fornire alcuna precisazione in ordine al tipo di misure di prevenzione alle quali conseguano gli effetti ivi indicati.
Dopo l’innovazione dell’applicazione disgiunta, tuttavia, appare logico limitare gli effetti in questione alla sola applicazione di misure di prevenzione personali, le uniche in relazione alle quali è ancora sempre prevista una valutazione dell’attuale pericolosità sociale del soggetto proposto; depone a favore di tale interpretazione la considerazione che le misure patrimoniali possono oggi (dopo il citato d.l. 92/08) essere applicate anche nei confronti degli eredi di un soggetto che ha accumulato negli anni un patrimonio illecito: in questo caso la valutazione di pericolosità sociale degli eredi è esclusa in radice, riferendosi la misura ad un patrimonio accumulato da altri, mentre ove sussista pericolosità sociale anche degli eredi, ricorrendone gli ulteriori presupposti sarà possibile applicare nei loro confronti anche la misura di prevenzione personale con i conseguenti effetti previsti ora dall’art. 67.
Il medesimo ragionamento ha portato a limitare gli effetti della riabilitazione (capo II) alle sole misure di prevenzione personali, come chiarito nell’articolo 70 del decreto.
Quanto alle sanzioni (capo III), si è proceduto a raccogliere tutte le sanzioni presenti nei diversi testi di legge con riferimento a soggetti nei confronti dei quali viene proposta ovvero applicata una misura di prevenzione; a tal proposito si è ritenuto, in primis, di confermare la sanzione già prevista dall’art. 6 della legge 575/65 (guida senza patente o con patente revocata). Il nuovo codice della strada, per effetto della depenalizzazione contenuta nell’art. 19 del D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507, ha, in realtà ricondotto la violazione in oggetto al rango di illecito amministrativo; la giurisprudenza costante della Corte di cassazione ha, però, costantemente ritenuto che «la guida di un autoveicolo da parte di soggetto sottoposto a misura di prevenzione, al quale, per tale sua condizione, la patente sia stata revocata, costituisce tuttora reato punibile ai sensi dell’art. 6 della L. 31 maggio 1965, n. 575, attesa l’autonomia di tale previsione rispetto a quella del comune reato di guida senza patente, trasformato in illecito amministrativo per effetto dell’art. 19 D.Lgs. 30 dicembre 1999, n. 507» (Sez. I, sent. n. 18429 del 21-04-2006; cfr. anche Sez. II, sent. n. 9926 del 04-11-2004).
Nel testo si segue, pertanto, l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza testè richiamata, confermandosi la validità della norma in questione e la conseguente permanenza nell’ordinamento giuridico della fattispecie criminosa nella stessa descritta.
Si è, da ultimo, provveduto ad aggiornare i riferimenti all’albo nazionale costruttori, resi ormai obsoleti dall’introduzione con la legge 11 febbraio 1994, n. 109 ed il successivo dpr 25 gennaio 2000, n. 34 del sistema di qualificazione degli esecutori di lavori pubblici, contenuti all’interno degli articoli 10-bis e 10-quinquies della legge 575/65; in tal senso le disposizioni ora citate sono state rimodulate negli articoli 67, 69 e 74 sia con riferimento all’«elenco generale degli enti e delle amministrazioni legittimati a disporre le licenze, le concessioni, le iscrizioni e le attestazioni nonché le autorizzazioni, le abilitazioni e le erogazioni indicate nell’articolo 67», sia con riferimento ai soggetti in relazione ai quali è prevista una apposita sanzione penale per l’omissione di attività obbligatoriamente previste dalla normativa in materia di misure di prevenzione.
Il capo IV, infine, raccoglie:

• all’art. 77: le disposizioni di cui all’art. 4 della legge 575/65, aggiornando le stesse alle modifiche processuali medio tempore intervenute (in tal senso è stato sostituito il riferimento al mandato di cattura obbligatorio con quello all’arresto facoltativo in flagranza di reato ai sensi dell’art. 381 del codice di procedura penale);
• all’art. 78: le disposizioni dettate dall’art. 16 della legge 646/82 in tema di intercettazioni telefoniche relative a soggetti nei cui confronti sia stata applicata una misura di prevenzione;
• all’art. 79: le disposizioni di cui agli articoli 25 e 26 della medesima legge 646/82 in tema di verifiche fiscali, economiche e patrimoniali a carico di soggetti sottoposti a misure di prevenzione; in relazione a tali disposizioni è stato necessario precisare che rimane vigente il disposto delle norme in questione per quanto riguarda le ulteriori fattispecie criminose ivi indicate, onde non limitare l’operatività delle stesse;
• all’art. 80: le disposizioni di cui all’art. 30 della legge 646/82 in tema di obbligo di comunicazione delle variazioni patrimoniali superiori a 10.329,14 euro per i medesimi soggetti di cui al punto che precede; anche in questo caso è stato necessario operare la precisazione di cui sopra;
• all’art. 81: le disposizioni di cui all’art. 34 della legge 55/90 in tema di registri delle misure di prevenzione, da istituirsi presso ogni procura ed ogni tribunale.

Il Libro II, quindi, compendia l’attuale normativa in tema di documentazione antimafia, modificando la stessa in ragione dei principi di delega contenuti nell’art. 2 della legge 136/2010; l’esigenza di disporre di strumenti sempre più efficaci per il contrasto della criminalità organizzata non può, infatti, prescindere dalla riforma del sistema relativo alle certificazioni antimafia, la cui attuale disciplina è, però, il frutto di un’evidente successione di norme spesso non ben coordinate fra loro.
Con la legge 31 maggio 1965, n. 575, infatti, è stata prevista una serie di divieti volti ad impedire che determinate categorie di soggetti potessero partecipare a procedure per l’aggiudicazione di contratti pubblici o fossero destinatari di provvedimenti concessori o autorizzatori. Successivamente, il legislatore è nuovamente intervenuto approvando la legge 17 gennaio 1994, n. 47, con la quale, tra l’altro, ha delegato il Governo ad emanare «Nuove disposizioni in materia di comunicazioni e certificazioni di cui alla legge 31 maggio 1965, n. 575», cui ha fatto seguito il decreto legislativo 8 agosto 1994, n.490.
La materia delle cautele antimafia è stata, poi, delegificata con il D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, recante il «Regolamento per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni e delle informazioni antimafia», adottato ai sensi dell’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59 e dell’art. 17, comma 94, della legge 15 maggio 1997, n. 127, che ha proceduto all’abrogazione quasi integrale del decreto legislativo 490/1994, con l’eccezione di alcune disposizioni, tra le quali quella che disciplina le informazioni del prefetto.
L’esperienza di questi anni, peraltro, ha dimostrato che, nonostante l’intento di semplificazione perseguito dal citato D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252, l’attuale disciplina non corrisponde più alle esigenze di una puntuale, compiuta e rapida acquisizione di conoscenze, indispensabile per un’incisiva azione generale di prevenzione e di contrasto del condizionamento e dei tentativi di infiltrazione mafiosa delle imprese, soprattutto nel settore degli appalti pubblici.
Pertanto, la legge 13 agosto 2010, n. 136, recante il «Piano straordinario contro le mafie, nonché delega al governo in materia di normativa antimafia», dettando principi e criteri direttivi, ha conferito al Governo la delega per la modifica e l’integrazione della disciplina in materia di documentazione antimafia, che costituisce il Libro II del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione.
La nuova disciplina intende calibrare maggiormente sui soggetti che intendono contrattare con la pubblica amministrazione o ricevere contributi od erogazioni pubbliche anche comunitarie gli accertamenti antimafia.
L’esperienza di questi anni ha dimostrato, infatti, un’evoluzione delle modalità di eterodirezione dell’attività d’impresa da parte della criminalità organizzata, che non si limita più a controllare direttamente il consiglio di amministrazione o le quote sociali ma, sempre più spesso, introduce suoi “referenti” all’interno degli organi di controllo dell’attività d’impresa.
Conseguentemente le cautele antimafia sono estese anche al direttore tecnico e ai componenti del collegio di revisione contabile (oltre ai già previsti organi di governance della società).
Particolare rilevanza assume, inoltre, l’istituto delle informazioni del prefetto che, sulla base dell’esperienza maturata sul territorio dalle prefetture, si è rivelato strumento maggiormente idoneo - rispetto alle comunicazioni - a realizzare un sistema di controllo preventivo-amministrativo sul pericolo di infiltrazioni criminali nel settore degli appalti pubblici.
A tale proposito, è stato aggiornato, ampliandolo, l’elenco delle situazioni dalle quali si desume il tentativo di infiltrazione mafiosa prevedendo, oltre alle fattispecie già contemplate dalla previgente normativa, nuove ipotesi suggerite dall’esame delle condotte tenute in questi anni dagli esponenti della criminalità organizzata. E’ stato abrogato, quindi, l’istituto delle c.d. informazioni suppletive atipiche previsto dall’articolo 1-septies del decreto legge 6 settembre 1982, n. 629 convertito con modifiche dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726 ed è stata introdotta una norma di chiusura che, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale formatosi in materia, conferisce al prefetto il potere di desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche da elementi idonei a fondare un giudizio prognostico circa la sussistenza del condizionamento mafioso, anche indiretto, dell’attività d’impresa.
Al fine di privilegiare il ricorso alle informazioni del prefetto, con l’emanazione del D.P.R. 2 agosto 2010, n. 150, recante «Norme relative al rilascio delle informazioni antimafia a seguito degli accessi e accertamenti nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici» era già stato previsto che tutti i soggetti che intervengono, a qualunque titolo, nel ciclo di realizzazione dell’opera, sono sottoposti al regime delle informazioni, indipendentemente dal valore dei relativi contratti o subcontratti. Dette disposizioni sono state trasfuse, quindi, nel presente decreto legislativo.
Infine, la chiave di volta di questa innovativa impostazione delle verifiche antimafia consiste nella realizzazione di un sistema integrato dei dati, conseguito tramite l’istituzione della banca dati nazionale della documentazione antimafia, che consente una forma costante di monitoraggio delle imprese. In concreto, l’accertamento sull’insussistenza delle condizioni ostative a contrarre con la pubblica amministrazione viene direttamente verificato in via informatica dalla stazione appaltante, dalle camere di commercio e dagli ordini professionali, attraverso il collegamento telematico con la banca dati realizzato nel rispetto delle garanzie a tutela della sicurezza dell’accesso ai dati in essa contenuti previste dal presente decreto legislativo.
Ciò consente di ottenere evidenti benefici in termini di semplificazione e di risparmio di risorse per tutti i soggetti coinvolti: prefetture, stazioni appaltanti ed imprese, con conseguente maggiore celerità del procedimento di aggiudicazione di contratti.  Inoltre, il superamento di un’impostazione troppo legata allo specifico accertamento permette di eliminare un’altra criticità dell’attuale sistema: la limitazione dell’effetto interdittivo delle eventuali informazioni di contenuto negativo solamente alla fattispecie contrattuale per la quale sono state richieste.

Il Libro II si compone di venti articoli, ripartiti in sei capi.
L’articolo 82 introduce il Capo I e definisce l’oggetto del decreto legislativo. Esso contiene la disciplina della documentazione antimafia e dei suoi effetti, istituisce la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia e introduce specifiche disposizioni per gli enti locali sciolti ai sensi dell’art. 143 del testo unico sull’ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000).
L’articolo 83, al comma 1, individua i soggetti pubblici tenuti all’acquisizione della documentazione antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67.
La disposizione, nel riprodurre il contenuto dell’articolo 1 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 «Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti relativi al rilascio delle comunicazioni ed informazioni antimafia», inserisce anche il riferimento alla stazione unica appaltante. Viene così ulteriormente rilanciata l’importanza della promozione di questo istituto al fine di ottimizzare l’acquisizione da parte delle pubbliche amministrazioni di lavori, servizi e forniture e garantire, al contempo, una maggiore trasparenza nella gestione degli appalti pubblici, anche in adesione all’articolo 13 della legge 13 agosto 2010, n. 136.
Inoltre, tra i soggetti pubblici tenuti a richiedere la documentazione antimafia vengono inseriti anche i contraenti generali di cui all’art. 176 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in quanto la realizzazione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi, in deroga alla previsione generale dell’art. 53 del Codice, può essere realizzata anche con affidamento unitario a contraente generale (art. 173 del d. l.vo. n. 163/2006).
Il comma 3 definisce i casi in cui la documentazione antimafia non è richiesta, riproducendo le disposizioni contenute nel D.P.R. 252 citato e fissa in euro 150.000 il valore economico al di sotto del quale essa non è richiesta.
L’articolo 84 introduce il Capo II e contiene la definizione della comunicazione e dell’informazione antimafia.
L’articolo 85 individua i soggetti sottoposti alla verifica antimafia riproducendo il contenuto dell’articolo 2, comma 3, del D.P.R. 252/1998 opportunamente aggiornato ed integrato. In particolare, è stato inserito il riferimento ai raggruppamenti temporanei di imprese, in ordine ai quali la documentazione antimafia deve riferirsi anche alle imprese aventi sede all’estero, nonché al direttore tecnico, ove previsto, ed ai rappresentanti legali delle associazioni. Infine, è stato previsto che l’informazione antimafia debba riferirsi anche ai familiari conviventi dei soggetti che la legge sottopone alla verifica.
L’articolo 86 disciplina la validità della documentazione antimafia: si conferma il termine di sei mesi dalla data del rilascio per la validità della comunicazione; si innalza ad un anno, salvo mutamenti intervenuti nell’assetto societario e gestionale dell’impresa, la validità dell’informazione. L’innovazione relativa all’innalzamento del termine di validità dell’informazione soddisfa l’esigenza della semplificazione ed è bilanciata dalla contemporanea previsione, a carico dei rappresentanti legali, dell’obbligo di comunicare, entro il termine di trenta giorni, le suddette modifiche. In caso di inosservanza di tale obbligo é prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 20.000 euro ad un massimo di 60.000 euro, nonché l’applicazione, in quanto compatibili, delle disposizioni della legge 24 novembre 1981, n. 689. Le disposizioni introdotte sono l’espressione dei principi di delega contenuti nell’articolo 2, comma 1, lettere l), m) ed n) della legge n. 136/2010.
L’articolo 87 introduce il Capo III, relativo alla comunicazione e, riproduce, sostanzialmente, il contenuto dell’articolo 3, comma 1, del D.P.R. n. 252/1998. La competenza territoriale al rilascio della comunicazione viene confermata in capo al prefetto della provincia in cui il soggetto richiedente ha sede, ovvero a quello della provincia in cui le persone fisiche, le imprese, le associazioni o i consorzi richiedenti risiedono o hanno sede. La nuova disciplina, inoltre, prende in considerazione l’ipotesi in cui l’interessato abbia sede o residenza all’estero. In tal caso, la competenza al rilascio della comunicazione antimafia viene incardinata in capo al prefetto della provincia nel cui territorio hanno esecuzione i contratti e subcontratti, nonché le attività oggetto dei provvedimenti di cui all’articolo 67.
Particolare rilievo assume l’introduzione della consultazione della banca dati unica nazionale, di cui al successivo Capo V, per l’acquisizione della comunicazione.
L’articolo 88 prevede il rilascio della comunicazione antimafia in via immediata salvo che, dalla consultazione della banca dati, emerga la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 e in tal caso fissa il termine per il rilascio in quarantacinque giorni.
L’articolo 89 ripropone la possibilità, per i soggetti interessati, di ricorrere all’istituto dell’autocertificazione.
L’articolo 90 introduce il Capo IV, concernente l’informazione antimafia e individua la competenza del prefetto a rilasciarla, prevedendo anche in questo caso la consultazione della banca dati unica nazionale da parte dei soggetti aventi titolo all’accesso, debitamente autorizzati.
L’articolo 91 detta la disciplina dell’informazione antimafia riproponendo il sistema delle soglie di valore, i cui importi sono fissati in euro 150.000. Viene mantenuto il divieto di frazionamento mentre l’obbligo per la stazione appaltante di richiedere le informazioni al prefetto viene anticipato al momento dell’aggiudicazione del contratto. Nel caso di subcontratto, tale richiesta deve essere inoltrata nei trenta giorni antecedenti alla relativa stipula.
E’ stata introdotta, infine, una norma di chiusura che ha inteso superare la previgente disciplina dell’istituto delle informazioni c.d. supplementari atipiche, previsto dall’articolo 1-septies del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629 convertito con modifiche dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, che – in assenza di specifici protocolli d’intesa – rimetteva ad una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria dell’informativa il conseguente effetto interdittivo. La nuova disposizione, invece, attribuisce alla responsabilità del prefetto la valutazione degli elementi che possono supportare il rilascio dell’informazione interdittiva, proponendosi l’obiettivo di conferire maggiore concretezza agli elementi oggetto di valutazione.
L’articolo 92, analogamente a quanto previsto per la comunicazione, prevede il rilascio dell’informazione in via immediata salvo che, dalla consultazione della banca dati e salva l’applicazione della norma di cui al comma 7 del precedente articolo 91, emerga la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 ovvero del tentativo di infiltrazione mafiosa desunto dalle situazioni di cui all’articolo 84, comma 4.  In tal caso fissa il termine per il rilascio in quarantacinque giorni. Rimane immutata la disciplina previgente in presenza di verifiche di particolare complessità e nei casi di urgenza.
L’articolo 93, recependo integralmente il contenuto del D.P.R. 2 agosto 2010, n. 150, disciplina le modalità con le quali sono rilasciate le informazioni riguardanti gli accessi e gli accertamenti effettuati presso i cantieri delle imprese interessate all’esecuzione dei lavori pubblici. In particolare, il comma 2 chiarisce che sono imprese interessate all’esecuzione dei lavori pubblici tutti i soggetti che intervengono a qualunque titolo nel ciclo di realizzazione dell’opera, qualunque sia l’importo dei relativi contratti e subcontratti.
La norma definisce puntualmente la procedura, prevedendo anche l’eventuale audizione dell’interessato e l’inserimento, con criteri e modalità standardizzati, dei dati acquisiti nel corso degli accessi all’interno del sistema informatico costituito presso la Direzione investigativa antimafia.
L’articolo 94 definisce gli effetti delle informazioni del prefetto, confermando la previgente disciplina secondo la quale il rilascio dell’informazione interdittiva comporta il divieto, per le amministrazioni interessate, di stipulare, approvare e autorizzare i contratti e subcontratti, e di autorizzare, rilasciare e consentire le concessioni e le erogazioni. Nel caso in cui l’accertamento di dette circostanze sia successivo alla stipula del contratto o al rilascio degli atti autorizzatori, il decreto legislativo inasprisce gli effetti dell’informazione prevedendo l’obbligo e non più la facoltà per la stazione appaltante di recedere dal contratto o di revocare i provvedimenti concessori, fatto salvo il pagamento del valore delle opere eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite. Sulla scorta della sperimentazione avviata con la stipula dei più recenti protocolli d’intesa – nei quali è stata prevista la caducazione automatica del contratto in caso di verifica antimafia interdittiva, effettuata successivamente alla stipula – si è ritenuto di far prevalere l’interesse pubblico sotteso ai poteri interdittivi antimafia, il cui sacrificio può risultare giustificato solo quando stringenti ragioni di opportunità e convenienza amministrativa richiedano di non interrompere un servizio ritenuto essenziale, difficilmente sostituibile in tempi rapidi, o di completare un’opera in corso di ultimazione. Pertanto, alla previsione generalizzata dell’effetto caducatorio immediato delle informazioni interdittive la norma pone due sole eccezioni, con riferimento alle ipotesi in cui il lavoro sia in fase di ultimazione ovvero, trattandosi di servizio ritenuto essenziale, il contraente non possa essere sostituito in tempi celeri.
L’ultimo comma dell’articolo 94 prevede l’emissione dell’informazione interdittiva, con effetto caducatorio ex post, qualora gli elementi relativi ai tentativi di infiltrazioni mafiose siano emersi a seguito degli accessi disposti dal prefetto ai sensi dell’articolo 93.
L’articolo 95 ripropone il contenuto dell’articolo 12 del D.P.R. n. 252 del 1998, adeguato alle previsioni del presente libro.
L’articolo 96, che introduce il Capo V, istituisce la banca dati nazionale unica della documentazione antimafia presso il Ministero dell’interno, Dipartimento per le politiche del personale dell’amministrazione civile e per le risorse strumentali e finanziarie, in ossequio al criterio di delega di cui all’articolo 2, comma 1, lettera c) della legge n. 136/2010.
L’istituzione della banca dati nazionale unica della documentazione antimafia, collegata telematicamente con il Centro Elaborazione Dati di cui all’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121 al fine di verificare la sussistenza di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’articolo 84, comma 4, la banca dati, rappresenta l’innovazione più incisiva del corpus normativo vigente, in quanto è tramite questa che si realizza l’obiettivo di semplificare l’attuale sistema delle procedure di rilascio della documentazione antimafia, con evidenti ricadute positive in termini di celerità e di efficienza.
L’articolo 97 individua i soggetti che possono consultare il sistema informatico ai fini del rilascio della documentazione antimafia. In particolare, vengono in rilievo, oltre ai soggetti indicati nell’articolo 83, commi 1 e 2, del presente decreto, le camere di commercio, industria e artigianato, gli ordini professionali e, esclusivamente per lo svolgimento dei compiti previsti dall’art. 371-bis del codice di procedura penale, la Direzione nazionale antimafia.
L’articolo 98 definisce il contenuto della banca dati, nella quale sono inserite le comunicazioni e le informazioni antimafia, sia liberatorie che interdittive. Tramite il collegamento con il sistema informatico costituito presso la D.I.A., è possibile consultare anche i dati acquisiti nel corso degli accessi, disposti dal prefetto, nei cantieri delle imprese interessate all’esecuzione di lavori pubblici.  Ulteriore profilo di novità è costituito dalla possibilità che il sistema sia implementato anche con dati provenienti dall’estero.
L’articolo 99 demanda – previa acquisizione del parere del Garante per la protezione dei dati personali – ad uno o più regolamenti di organizzazione la disciplina delle modalità di funzionamento, di accesso, di autenticazione, di autorizzazione e di consultazione della banca dati, nonché quelle del suo collegamento con il CED interforze.
L’articolo 100, in attuazione dei criteri di delega contenuti nelle lettere g) ed h) dell’articolo 2 della legge n. 136/2010, introduce il capo VI recante specifiche disposizioni per gli enti locali sciolti ai sensi dell’articolo 143 del TUEL. In particolare, rafforza le cautele volte a prevenire ulteriori fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso degli enti locali, già sciolti ai sensi dell’articolo 143 del TUEL, imponendo ai medesimi di acquisire, nei cinque anni successivi allo scioglimento, l’informazione antimafia prima della stipulazione, approvazione o autorizzazione di qualsiasi contratto o subcontratto ovvero prima del rilascio di qualsiasi erogazione o concessione, indipendentemente dal valore economico degli stessi.
L’articolo 101, ai commi 1 e 2, prevede la facoltà, per l’ente locale sciolto ai sensi del citato articolo 143 del TUEL e per gli organi eletti in seguito allo scioglimento, di avvalersi della stazione unica appaltante per lo svolgimento delle procedure di evidenza pubblica di competenza per un periodo di tempo determinato e comunque non superiore, rispettivamente, alla durata in carica del commissario e degli organi elettivi.

Il Libro III, invece, si limita a compendiare le disposizioni vigenti in tema di Procura nazionale antimafia, Direzione distrettuale antimafia, Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata, Direzione investigativa antimafia ed Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con le sole modifiche (essenzialmente in ordine ai riferimenti interni) dettate dalla necessità di rendere il testo compatibile con la sua nuova collocazione.
Il libro, pertanto, risulta composto da due distinti titoli:
I) il primo, relativo alle attività informative ed investigative nella lotta contro la criminalità organizzata, raccoglie le vigenti disposizioni inerenti la Direzione distrettuale antimafia (art. 70-bis del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), la Procura nazionale antimafia (artt. 76-bis, 76-ter, 110-bis e 110-ter del R.D. 30 gennaio 1941, n. 12), il Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata e la Direzione investigativa antimafia (artt. 1, 3 e 5 del d.l. 29 ottobre 1991, n. 345, conv. in l. 30 dicembre 1991, n. 410);
II) il secondo, invece, contiene tutte le disposizioni del d.l. 4 febbraio 2010, n. 4, conv. in l. 31 marzo 2010, n. 50, relative all’istituzione ed al funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata; le norme contenute nel medesimo decreto e volte a modificare la vigente legislazione in materia di misure di prevenzione, sono state inserite nel Libro I del codice, mentre quelle relative alle disposizioni transitorie ed alla copertura finanziaria sono refluite nel Libro IV.

Nel Libro IV, infine, sono raccolte tutte le norme transitorie, di coordinamento e di modifica della legislazione vigente resesi necessarie a seguito dell’intera operazione di riordino derivante dall’entrata in vigore del codice antimafia; in particolare si prevede:
• all’art. 115: il coordinamento della disciplina prevista dall’articolo 23-bis, comma 1, della legge 13 settembre 1982, n. 646, con le innovazioni dettate dal cd. decreto sicurezza in materia di competenza del procuratore «distrettuale» a proporre le richieste di misura di prevenzione per soggetti indagati dei reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis c.p.p.;
• all’art. 116: il rinvio, dalla data di entrata in vigore del decreto, di tutte le norme vigenti che richiamino le disposizioni di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, e alla legge 31 maggio 1965, n. 575, alle corrispondenti disposizioni del codice;
• all’art. 117: la disciplina transitoria. Al comma 1 si prevede che le norme contenute le libro I non trovino applicazione ai procedimenti di prevenzione in relazione ai quali sia già stata presentata la proposta di applicazione al momento dell’entrata in vigore del codice; le successive disposizioni contengono la disciplina transitoria già prevista dal d.l. 4/2010 in relazione all’Agenzia nazionale per l’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati;
• all’art. 118: le norme di copertura finanziaria relative all’Agenzia nazionale per l’amministrazione, la gestione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati;
• all’art. 119: si prevede che le disposizioni relative alla documentazione antimafia contenute nel libro II, capi I, II, III e IV entrino in vigore decorsi due anni dalla data di pubblicazione del regolamento (o dell’ultimo dei regolamenti) di cui all’art. 99, comma 1;
• all’art. 120: è prevista l’abrogazione espressa delle disposizioni confluite nel codice e della normativa comunque incompatibile con la disciplina dettata dal medesimo codice.

Infine, con riferimento alle condizioni contenute nei pareri formulati dalle commissioni parlamentari, ai sensi degli articoli 1, comma 4, e 2, comma 3, della legge 13 agosto 2010, n.136, in relazione alla disciplina del procedimento di prevenzione, contenuta nel Libro I, numerose richieste di modifica dello schema di decreto legislativo non sono state accolte in quanto contrarie o, comunque, non in linea con i principi e criteri direttivi contenuti nella legge di delega.

Altre modifiche non sono state ritenute opportune o necessarie ed in particolare:

- con riferimento all’articolo 5 non è stato accolto il rilievo secondo cui l’ampliamento dei soggetti titolari del potere di proposta non sarebbe conforme alla legge delega, posto che il decreto legislativo non ha, in realtà, ampliato il novero di tali soggetti;
- con riferimento all’articolo 20, comma 2, non è stata accolta la richiesta di soppressione o modifica della norma; la stessa è infatti da interpretarsi, nella nuova disciplina, come riferita alla richiesta di misura di prevenzione patrimoniale ed è pertanto corretta; del pari, è stato ritenuto opportuno riservare in via esclusiva al Tribunale la competenza a disporre il sequestro, escludendo così l’ipotesi che il provvedimento potesse essere disposto anche dalla Corte d’Appello in riforma della decisione del Tribunale;
- il rilievo sull’art. 25 è privo di fondamento: la confisca per equivalente è già applicabile nei confronti di qualunque persona nei cui confronti è proposta la misura di prevenzione, quindi anche nei confronti degli eredi;
- non è stato accolto il rilievo di sopprimere l’art. 34 sull’amministrazione giudiziaria dei beni connessi ad attività economiche in quanto la misura in questione non è di nuova introduzione, ma è già prevista dall’art. 22 della legge 152/75;
- nell’art. 44, non è stata accolta la richiesta di separare la disciplina relativa ai beni sequestrati e confiscati; per ragioni sistematiche, si è preferito, infatti, mantenere in un’unica disposizione la disciplina concernente la gestione, da parte dell’Agenzia, dei beni sequestrati e confiscati;
- all’art. 46 non è possibile accogliere il rilievo per carenza di copertura finanziaria di una eventuale modifica nel senso dell’obbligatorietà di procedersi alla restituzione per equivalente;
- con riferimento alla disciplina della tutela dei diritti dei terzi, non sono state accolte le richieste di modifica dell’art. 52, il cui contenuto appare pienamente corrispondente al testo della delega;
- con riferimento all’art. 54, il testo del decreto è univocamente interpretabile nel senso che i crediti prededucibili siano pagati dall’Agenzia nel periodo compreso tra la confisca definitiva e la successiva destinazione del bene;
- con riferimento all’art. 60:
1) sulla necessità di prevedere una scansione temporale dell’attività di ammissione dei crediti in relazione alla possibilità che il sequestro venga revocato, può essere rilevato che la revoca del provvedimento costituisce un evento non prevedibile, cosicché pare opportuno non ‘ingessare’ le fasi di accertamento dei crediti e quelle successive di vendita e pagamento dei creditori, rimesse alle decisioni di volta in volta più opportune del giudice delegato e  del tribunale;
2) non sembrano sussistere ragioni che impediscano la vendita dei beni sequestrati – come indicato nella condizione parlamentare – ove ciò si renda necessario per il pagamento dei creditori di buona fede, già sottoposti ad un iter assai gravoso di verifica dei diritti vantati nei confronti del proposto. Nella legge delega (art. 1, comma 3, lett. f), n. 3.) è accordata in via primaria tutela giurisdizionale dei diritti dei terzi sui beni oggetto di sequestro e confisca.  Ne consegue la necessità di procedere all’accertamento dei diritti dei terzi già dopo l’adozione del provvedimento di sequestro e, di conseguenza, alla vendita dei beni che costituiscono la garanzia patrimoniale dei creditori secondo le procedure dettagliatamente regolate;
3) non si è ritenuto di accogliere il rilievo per cui andrebbero ulteriormente specificati i compiti dell’amministratore e dell’Agenzia nell’iter procedimentale di gestione dei beni sequestrati e confiscati. La normativa appare invero sufficientemente dettagliata agli artt. 40-44.