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DDL - Istituzione di squadre investigative comuni sovranazionali - Relazione

Disegno di legge recante: “Istituzione di squadre investigative comuni sovranazionali”

Articolato


Premessa

Il disegno di legge è diretto a disciplinare l'istituto delle squadre investigative comuni.

L'intervento normativo è necessario perché volto a dare attuazione a diversi strumenti di diritto internazionale, obbligatori per lo Stato italiano e già entrati in vigore sul piano internazionale.

Per quanto riguarda l'Unione europea, la disciplina delle squadre investigative comuni è stata introdotta con l'articolo 13 della Convenzione di Bruxelles del 29 maggio 2000, relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale, entrata in vigore sul piano internazionale il 23 agosto 2005, e con la successiva decisione quadro n. 2002/465/GAI del 13 giugno 2002, il cui termine di attuazione da parte degli Stati membri è scaduto il 31.12.2002. Con la Raccomandazione del Consiglio dell'8 maggio 2003 è stato adottato anche il modello formale di accordo per la costituzione della squadra di indagine comune, che integra e completa le disposizioni contenute sia nell'articolo 13 della Convenzione, sia nella decisione quadro del Consiglio.

Con questi strumenti, l'Unione europea ha dato attuazione alla conclusione n. 45 del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, che indicava, fra le priorità da perseguire nell'ambito delle politiche del terzo pilastro della Unione europea, la costituzione delle squadre investigative comuni, in relazione alle fattispecie criminose connesse alla ”criminalità organizzata”.

Per quanto riguarda le altre fonti di diritto internazionale, l'istituto della squadra investigativa comune è prevista, nell'articolo XXI del Trattato fra Italia e Svizzera del 10 settembre 1998 in materia di assistenza giudiziaria, ratificato dall'Italia con la legge 5 ottobre 2001, n. 367. Tra le fonti multilaterali, le squadre investigative comuni sono previste dall'articolo 19 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnanzionale, adottata a Palermo il 12-16 dicembre 2000 e ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2006, n. 146; dall'articolo 5 dell'Accordo di mutua assistenza giudiziaria sottoscritto fra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America il 6 giugno 2003; dall'articolo 49 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione adottata dall'Assemblea generale dell'ONU il 31 ottobre 2003.

L'iniziativa legislativa si propone, quindi, di attuare nell'ordinamento giuridico nazionale le disposizioni in materia di squadre investigative comuni contenute negli accordi internazionali sopra indicati, integrando le disposizioni del codice di procedura penale.

Il ricorso alle squadre investigative comuni trae origine dalla necessità di superare i tradizionali limiti della cooperazione interstatuale, investigativa e giudiziaria, specialmente nel contesto del contrasto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, della lotta contro il terrorismo internazionale e dei cd. “cross-border crimes”.

Oggi, la criminalità organizzata si connota per il ricorso a forme sempre più sofisticate di cooperazione fra gruppi criminali di nazionalità diverse, finalizzata alla gestione di mercati criminali comuni. È sufficiente richiamare l'attenzione sulle modalità operative delle organizzazioni criminali transnazionali dedite al traffico di stupefacenti e di armi, alla tratta di esseri umani, alla pedopornografia, al terrorismo, alla criminalità informatica per rilevare come il potenziamento e l'affinamento delle sinergie criminali su scala internazionale, con il conseguente frazionamento delle correlate attività delittuose in Paesi sottoposti a diverse giurisdizioni nazionali, costituisce un oggettivo freno alla capacità investigativa degli organi inquirenti.

Pertanto, la repressione dei reati aventi dimensioni sovranazionali necessita della diretta partecipazione degli organi titolari dell'azione penale all'attività di indagine da svolgere sul territorio di uno Stato estero.

I più recenti atti di diritto internazionale soddisfano tale esigenza con lo strumento della “squadra investigativa comune”, costituita attraverso un vero e proprio accordo, sottoscritto tra le competenti autorità di ciascuno Stato e che opera sul territorio di uno o più degli Stati parte dell'accordo, per un periodo di tempo predeterminato nell'atto costitutivo.

La squadra investigativa comune rappresenta una nuova figura di cooperazione giudiziaria e di polizia tra gli Stati. Inoltre, limitatamente ai rapporti tra gli Stati membri dell'Unione europea, essa può coinvolgere non soltanto autorità giudiziarie e di polizia, ma anche autorità non statali, come gli ufficiali in servizio presso l'OLAF, presso l'ufficio europeo di polizia (Europol) o presso Eurojust.

Attraverso le squadre investigative comuni non si tratta più di prevedere misure di coordinamento tra organi inquirenti dei diversi Stati, bensì di individuare uno specifico ambito di azione comune che consenta di operare nei diversi Stati, direttamente e in tempi reali, senza la penalizzazione di ostacoli di carattere formale.

È questa la strada che lo Stato italiano ha inteso in questi anni percorrere sia nei rapporti con gli Stati membri dell'Unione europea, sia nei rapporti con Stati terzi.

Il disegno di legge si compone di sei articoli, che introducono, con la tecnica della novellazione, una serie di modifiche al codice di procedura penale.

Articolato

L'articolo 1 indica l'obiettivo della legge, vale a dire quello di attuare nell'ordinamento interno la decisione quadro n. 2002/465/GAI del 13 giugno 2002, conformemente all'articolo 34, par. 2 del Trattato sull'Unione europea, e di dare esecuzione agli impegni assunti dallo Stato italiano attraverso gli altri accordi e convenzioni internazionali in materia di squadre investigative comuni, citati in premessa.

L'articolo 2 introduce i nuovi articoli 371-ter, 371-quater, 371-quinquies, 371-sexies, 371-septies e 371-octies del codice di procedura penale in materia di indagini comuni con altri Stati. Si tratta di una innovazione importante, in quanto finalizzata ad introdurre nel codice di rito la nuova figura delle indagini comuni fra autorità giudiziarie di differenti Stati per consentire una più incisiva ed efficace azione di contrasto rispetto a quei fatti criminosi che, sempre più spesso, assumono connotazioni transnanzionali.

Si è preferito tenere distinte la procedura di costituzione di squadre investigative comuni quando a richiederla è l'autorità giudiziaria italiana (art. 371-ter), da quella in cui è quest'ultima a ricevere la richiesta proveniente dallo Stato estero (art. 371-quater).

In particolare, attraverso l'articolo 371-ter si è disciplinata la richiesta del procuratore della Repubblica di costituzione di una squadra comune, subordinandola alla sussistenza del requisito della particolare complessità delle indagini da compiere all'estero, ovvero della esigenza di assicurare il coordinamento delle indagini comuni di cui siano titolari le autorità giudiziarie di due o più Stati membri dell'Unione europea.

Si è previsto altresì che nei casi di avocazione delle indagini a norma dell'articolo 372 del codice di procedura penale, o nei casi indicati nell'articolo 371-bis, comma 3, lett. h), la richiesta sia formulata, rispettivamente, dal procuratore generale presso la Corte d'appello ovvero dal procuratore nazionale antimafia. Una volta trasmessa la richiesta di costituzione della squadra investigativa comune alla competente autorità dello Stato estero, l'autorità giudiziaria richiedente deve informare dell'iniziativa il procuratore generale presso la Corte d'appello, ai fini dell'eventuale coordinamento a livello distrettuale, o, per le medesime finalità su scala nazionale, al procuratore nazionale antimafia, se si tratta di delitti di cui all'art. 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale.

Nell'articolo 371-quater si è provveduto a disciplinare, al primo comma, l'ipotesi in cui è l'autorità giudiziaria italiana a ricevere la richiesta proveniente dall'autorità straniera. Anche in questo caso, analogamente a quanto previsto nell'articolo 371-ter, si è previsto che il procuratore della Repubblica ne trasmetta copia al procuratore generale presso la Corte d'appello, ovvero al procuratore nazionale antimafia, se si tratta di indagini relative a delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, ai fini dell'eventuale coordinamento investigativo. Il secondo comma regola l'ipotesi in cui il procuratore della Repubblica, avendo ricevuto dall'autorità straniera la richiesta di costituzione della squadra investigativa comune, ritenga di non essere competente. In tal caso provvede direttamente alla trasmissione della richiesta al pubblico ministero competente, dandone comunicazione all'autorità richiedente. L'incompetenza cui si fa riferimento è quella per territorio, oltre che quella funzionale.

L'articolo 371-quinquies completa la disciplina delle squadre investigative comuni fissando i requisiti dell'atto costitutivo della squadra. In generale, le norme relative alle squadre investigative comuni si limitano a regolare il profilo procedurale dell'accordo ed a fissare i requisiti minimi della richiesta.

Per quanto concerne il contenuto dell'accordo costitutivo e i limiti dell'azione delle squadre investigative comuni valgono, ovviamente, le disposizioni contenute nello strumento di diritto internazionale, di volta in volta, applicabili, se in vigore per lo Stato italiano. In particolare, con la previsione di cui alle lett. g) ed h) si è inteso fare riferimento agli ufficiali ed esperti in servizio presso Stati terzi o presso altre organizzazioni internazionali ovvero ancora presso organismi istituiti nell'ambito dell'Unione europea, come l'OLAF, l'ufficio europeo di polizia (Europol) ed Eurojust, laddove la loro partecipazione alla squadra investigativa comune sia prevista dallo strumento internazionale.

L'articolo 371-sexies prevede, fra gli adempimenti esecutivi, l'obbligo per l'autorità giudiziaria di trasmettere l'atto costitutivo della squadra, sia nei casi di cui all'art. 371-bis che 371-ter, al Ministro della giustizia e al Ministro dell'interno.

L'obbligo di informare il Ministro della giustizia dell'iniziativa assunta dal procuratore della Repubblica deriva, anzitutto, dalla funzione di rappresentanza dello Stato che il Ministro riveste nei rapporti internazionali e dalla correlata responsabilità politico-istituzionale che su di lui incombe. La comunicazione al Ministro dell'interno è, invece, prevista per consentire all'organo titolare della funzione di coordinamento e di indirizzo in materia di pubblica sicurezza di esercitare i poteri previsti dall'articolo 6 della legge 1 aprile 1981, n. 121.

Il secondo comma dell'articolo riconosce al Ministro della giustizia il potere di non dar corso all'operatività della squadra investigativa comune, quando risulta evidente che gli atti che essa deve compiere, in base all'accordo costitutivo, sono espressamente vietati dalla legge o contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. In effetti, quella del Ministro della giustizia costituisce una necessaria valvola di sicurezza del sistema di cooperazione internazionale ed è compatibile sia con gli strumenti internazionali in materia di squadre investigative comuni, sia con le legislazioni adottate, in questa materia, da altri Stati. Il potere attribuito al Ministro della giustizia è ancorato al presupposto che gli atti oggetto dell'indagine comune risultino illegittimi o contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.

Il terzo comma del medesimo articolo prevede, anzitutto, che la durata delle indagini comuni non può superare i sei mesi, salvo proroghe giustificate dalla oggettiva impossibilità di concludere le indagini nel termine stabilito. Il termine complessivo non può superare comunque i dodici mesi. È ovvio che la proroga debba essere concordata fra le competenti autorità procedenti dei diversi Stati. Si è, invece, ritenuto di prevedere espressamente che tale proroga debba essere comunicata sia al procuratore generale presso la Corte d'appello che al procuratore nazionale antimafia, per le rispettive competenze in tema di eventuale coordinamento investigativo; così come si è previsto di informare della proroga anche il Ministro della giustizia per le ragioni sopra esposte.

L'articolo 371-septies disciplina le modalità di partecipazione dei membri distaccati, nonché dei rappresentanti ed esperti di altri Stati, stabilendo che, salva diversa disposizione dell'atto costitutivo, i membri distaccati dall'autorità di altro Stato possono partecipare agli atti di indagine da compiersi nel territorio dello Stato, nonché all'esecuzione dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria e che, limitatamente al compimento di tali atti, ad essi sono attribuite le funzioni di agenti di polizia giudiziaria. Si è, inoltre, fatto esplicito richiamo all'articolo 53 del codice penale, in tema di uso legittimo delle armi per i membri distaccati, se essi sono autorizzati al porto d'armi sul territorio dello Stato ai sensi dell'articolo 9 della legge 21 febbraio 1990, n. 36.

Coerentemente con la indicazioni della decisione quadro e degli altri strumenti internazionali, si è viceversa, previsto una disposizione a parte per i rappresentanti e gli esperti eventualmente designati da altri Stati, da organizzazioni internazionali e dagli organismi istituiti nell'ambito dell'Unione europea; in particolare. Si è stabilito che nell'atto costitutivo si può prevedere che essi siano autorizzati ad assistere ovvero a partecipare all'esecuzione degli atti di indagine da compiersi nel territorio dello Stato e che, limitatamente al compimento di tali atti, ad essi sono attribuite le funzioni di agenti di polizia giudiziaria.

L'articolo 371-octies prevede le condizioni cui è subordinata l'utilizzazione delle informazioni acquisite nel corso delle attività di investigazione comune per fini investigativi e processuali diversi da quelli indicati nell'atto costitutivo. Si è previsto al riguardo che il procuratore della Repubblica possa richiedere all'autorità dell'altro Stato, con cui ha costituito la squadra investigativa comune di ritardare l'utilizzazione delle informazioni ottenute dai componenti della squadra, quando non siano altrimenti disponibili, se tale impiego può pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato. Ed anche in questo caso, per i motivi sopra esposti, si è previsto che il Ministro della giustizia venga informato senza ritardo della richiesta.

Il comma 2 stabilisce l'obbligo per l'autorità giudiziaria straniera di osservare le condizioni richieste dall'autorità dell'altro Stato per l'utilizzazione delle informazioni di cui al comma 1 per fini investigativi e processuali diversi da quelli indicati nell'atto costitutivo.

L'articolo 3 modifica la lettera c) dell'articolo 431 del codice di procedura penale completando, sotto il profilo funzionale, la disciplina delle indagini comuni e delle squadre investigative comuni. Viene ribadito il principio secondo il quale i verbali degli atti acquisiti all'estero dalla squadra investigativa comune, se non ripetibili, ancorché assunti nella forma non rogatoriale, possono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento solo se compiuti con l'osservanza delle norme previste dal codice di procedura penale.

L'articolo 4, attraverso un rinvio normativo, assoggetta gli atti che la squadra investigativa comune compie sul territorio dello Stato alle norme del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in virtù del principio della lex loci riconosciuto anche dagli strumenti di diritto internazionale indicati in premessa. In questo modo, il compimento dell'attività istruttoria è assoggettato allo stesso regime giuridico della indagine preliminare domestica (regola di non discriminazione).

L'articolo 5 riguarda lo responsabilità civile dei membri della squadra investigativa comune. La norma intende attuare gli obblighi previsti negli articoli 13 della convenzione e 3 della decisione quadro, stabilendo che se i membri della squadra investigativa, nell'ambito della indagine comune, procurano sul territorio dello Stato danni a terzi, lo Stato italiano è civilmente obbligato al loro risarcimento, alle stesse condizioni, e con i limiti, previsti per i danni cagionati da propri funzionari. In questo caso, lo Stato i cui funzionari abbiano cagionato i danni nel territorio di un altro Stato membro è tenuto a rimborsare integralmente a quest'ultimo le somme versate alle vittime o ai loro aventi diritto; ma ciascuno Stato membro può rinunciare a chiedere ad un altro Stato membro il risarcimento dei danni da esso subiti.

L'articolo 6 contiene la clausola di invarianza della spesa.