XIX LEG - ddl - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione.

aggiornamento: 20 dicembre 2023

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 7 agosto 2023

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione.

 

Art. 1

1. Il decreto-legge 10 agosto 2023, n. 105, recante disposizioni urgenti in materia di processo penale, di processo civile, di contrasto agli incendi boschivi, di recupero dalle tossicodipendenze, di salute e di cultura, nonché in materia di personale della magistratura e della pubblica amministrazione, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
 
2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
 
 
Relazione Illustrativa 

Il presente provvedimento contiene disposizioni urgenti che riguardano il processo penale, il processo civile, la normativa sulla formazione della magistratura ordinaria, i dirigenti dell’esecuzione penale esterna e degli istituti di pena minorili. Il decreto contiene, inoltre, disposizioni relative al contrasto al fenomeno degli incendi boschivi, al recupero dalle tossicodipendenze, nonché in materia di isolamento, autosorveglianza e monitoraggio della situazione epidemiologica, di cultura e di pubblica amministrazione.

Si compone di tredici articoli, suddivisi in nove Capi. 

Il Capo I contiene gli articoli 1 e 2, nei quali sono inserite disposizioni in materia di processo penale. L’articolo 1 mira a rafforzare gli strumenti di contrasto a reati di particolare gravità.

La speciale disciplina prevista in materia di intercettazioni dall’articolo 13 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, viene specificamente riferita a fattispecie di reato che esprimono un’offensività omogenea rispetto a quelle di criminalità organizzata. L’intervento, in particolare, riguarda i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 452-quaterdecies (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) e 630 del codice penale (sequestro di persona a scopo di estorsione), ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis del codice penale (forza di intimidazione del vincolo associativo e condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano) o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (associazioni di tipo mafioso).

Il citato articolo 13 prevede l’autorizzazione a disporre le intercettazioni quando le stesse sono necessarie per lo svolgimento di indagini in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono, per il quale sussistano sufficienti indizi, consentendole nei luoghi di cui all’articolo 614 del codice penale (luogo di privata dimora) anche se non vi è motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa. Prevede, altresì, che la durata delle operazioni non può superare i quarandita giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di venti giorni; nei casi di urgenza, alla proroga provvede direttamente il pubblico ministero con decreto che va trasmesso al giudice per le indagini preliminari per la convalida non oltre le ventiquattro ore.

L’estensione di questa disciplina realizza un allineamento di sistema, in quanto relativo ad istituti comuni alle investigazioni in materia di criminalità organizzata.

L’inclusione dei reati di criminalità organizzata e di quelli indicati nell’articolo 1 in esame nel catalogo previsto dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, c.p.p. rende irragionevole il disallineamento della disciplina in materia di intercettazioni, determinando la necessità di introdurre senza ritardo la norma in commento, per garantire un’efficace azione di contrasto a gravi forme di criminalità e rendere più organico il sistema processuale, anche in ragione dei numerosi procedimenti in corso in cui si registrano indirizzi non univoci.

Il comma 2 detta una disposizione transitoria a mente della quale le nuove disposizioni si applicano anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del decreto-legge, coerentemente con la urgente necessità di soddisfare le esigenze di cui si è detto.

Con l’articolo 2 vengono istituite le infrastrutture digitali centralizzate per le intercettazioni.

La previsione di un apposito archivio digitale, localizzato presso ogni singola procura, per la conservazione integrale dei verbali e delle registrazioni relativi alle attività di intercettazione (e di ogni altro atto ad esse pertinenti), introdotto nell’ordinamento dall’art. 269 c.p.p. e dall’art. 89-bis disp. att. c.p.p., sta facendo emergere rilevanti e urgenti problematiche attinenti alla sua gestione, sul piano della capienza e delle esigenze di assoluta sicurezza che l’archivio e il sistema complessivo delle intercettazioni devono garantire. Tali esigenze sono state rappresentate anche dalla procura nazionale antimafia e antiterrorismo e da numerose procure della Repubblica.

Peraltro, la disciplina codicistica e di attuazione ha lasciato scoperti delicati profili connessi alla gestione dell’attività di intercettazione, quale quello relativo alla interconnessione tra il compimento delle operazioni di intercettazione – rispetto al quale l’art. 268, comma 3, c.p.p. si limita a prevedere che “possono essere compiute esclusivamente per mezzo di impianti installati nella procura della Repubblica” – e l’archivio digitale.

Per questo, con l’intervento in esame, pur senza incidere sul principio (che viene espressamente ribadito a maggior chiarezza) per cui le attività di intercettazione sono di pertinenza del singolo ufficio del pubblico ministero, si prevede l’istituzione di apposite infrastrutture digitali interdistrettuali, dirette a consentire più elevati ed uniformi livelli di sicurezza, un aggiornamento tecnologico adeguato alla delicatezza della materia, ma anche una maggiore efficienza, economicità e capacità di risparmio energetico dei sistemi informativi funzionali alle predette attività.

L’istituzione delle nuove infrastrutture permetterà, infatti, in primo luogo, di localizzare presso di esse – con apposito decreto del Ministro della giustizia, da adottare entro il 1° marzo 2024 – l’archivio digitale di cui all’articolo 269, comma 1, c.p.p., attraverso un percorso organizzato in più momenti. Un primo momento, che muove da un decreto del Ministro della giustizia (da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge), diretto ad individuare le infrastrutture e a definire i loro requisiti tecnici essenziali, nell’ottica di assicurare la migliore capacità tecnologica, il più elevato livello di sicurezza e l’interoperabilità dei sistemi.

Un secondo momento, che muove ancora da un decreto del Ministro della giustizia (da adottare entro i successivi novanta giorni), per la definizione dei requisiti tecnici specifici per la gestione dei dati, in modo tale che siano assicurate l’autenticità, l’integrità e la riservatezza dei dati medesimi, anche in relazione al conferimento e ai rischi di perdita, e, in secondo luogo, per la disciplina del collegamento telematico (in modo tale che siano garantiti il massimo livello di sicurezza e di riservatezza) tra le infrastrutture e i luoghi di ascolto, che restano presso le singole procure della Repubblica.

Un terzo momento riguarderà l’effettiva migrazione dei dati conservati dalle singole procure della Repubblica e il conferimento dei nuovi dati acquisiti nel corso dell’attività di intercettazione. Un passaggio, quest’ultimo, che – con riferimento ai tempi, alle modalità e ai requisiti di sicurezza della migrazione e del conferimento – sarà governato dalla direzione generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, fermo il fatto che le singole operazioni saranno effettuate d’intesa con i singoli procuratori della Repubblica.

All’interno di questo nuovo modello organizzativo, peraltro, sono espressamente fatti salvi i compiti di direzione, organizzazione e sorveglianza sulle attività di intercettazione, nonché sui relativi dati e sugli accessi e sulle operazioni compiute su di essi, che la legge attribuisce ai procuratori della Repubblica. Al riguardo, infatti, è specificamente previsto che i requisiti tecnici delle infrastrutture debbano essere tali da garantire l’esercizio autonomo delle funzioni oggi attribuire ai procuratori della Repubblica.

Al Ministero della giustizia sono attribuiti l’allestimento e la manutenzione delle infrastrutture. Anche rispetto all’esercizio di questi compiti è, comunque, imposto il rispetto delle funzioni proprie dei procuratori della Repubblica; in aggiunta, è specificamente ribadito che il Ministero della giustizia, pur nell’ambito delle attività di allestimento e di manutenzione delle infrastrutture, non può avere accesso ai dati in chiaro, che restano coperti dal segreto investigativo.

Da ultimo, con prospettiva di più ampio raggio, l’intervento in esame stabilisce, inoltre, che le infrastrutture in esame sono destinate ad assumere anche la funzione che oggi l’art. 268, comma 3, c.p.p. attribuisce agli impianti installati presso le singole procure.

Si è, infine, previsto che per l’attuazione delle disposizioni di cui alla norma in commento è autorizzata la spesa di 46 milioni di euro per l’anno 2023 e di 50 milioni di euro annui per ciascuno degli anni 2024 e 2025, cui si provvede per quanto attiene a 43 milioni di euro mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia (comma 10 lett. a). Quanto a 3 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023, mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2023-2025, nell'ambito del programma "Fondi di riserva e speciali" della missione "Fondi da ripartire" dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2023, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della giustizia (comma 10 lett. b). Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio (comma 11).

Nel Capo II sono inserite disposizioni in materia di processo civile, contenute nell’articolo 3. Questo è relativo al processo civile davanti al tribunale per i minorenni e ha lo scopo di intervenire con urgenza in relazione ad una problematica sorta dopo la riforma attuata con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, che rischia di pregiudicare il celere ed efficace svolgimento dei relativi procedimenti.

Va premesso che, in attuazione di uno specifico principio di delega previsto dall’articolo 1, comma 23, lettera c) della legge 26 novembre 2021, n. 206, nel disciplinare il nuovo rito unitario destinato a regolare lo svolgimento di tutte le controversie in materia di stato delle persone, di minorenni e di famiglia tanto davanti al tribunale ordinario quanto davanti al tribunale per i minorenni, il decreto legislativo n. 149 del 2022 ha introdotto, con l’articolo 473-bis.1, comma 2, del codice di procedura civile, la previsione secondo cui nei procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità genitoriale trattati dal tribunale per i minorenni possono essere delegati ai giudici onorari specifici adempimenti, purché diversi dall’ascolto del minore, dall’assunzione delle testimonianze e dagli altri atti riservati al giudice.

La riserva dello svolgimento di tali attività in capo ai giudici togati mira ad assicurare al massimo grado la professionalità di chi è chiamato ad attività procedimentali particolarmente delicate, l’esito delle quali può influire in modo determinante sul contenuto di provvedimenti incisivi quali, in ipotesi, anche la sospensione dei genitori dall’esercizio della responsabilità genitoriale o il collocamento del minore presso affidatari o in casa-famiglia.

È vero tuttavia che nel sistema processuale minorile italiano, riconosciuto per molti aspetti come all’avanguardia anche nel panorama internazionale, i giudici onorari costituiscono un’importante e qualificante risorsa non solo per il contributo fornito nel momento della camera di consiglio, grazie all’apporto che i loro saperi specialistici forniscono a decisioni che non possono prescindere da conoscenze ed esperienze multidisciplinari, ma anche per la collaborazione fornita nella fase istruttoria e, in particolare, in sede di ascolto del minore; ascolto che, come da tempo riconosciuto e sottolineato in plurime sedi anche extranazionali, per consentire di fare emergere appieno i bisogni e le aspirazioni del minore, è bene sia svolto avvalendosi anche di competenze diverse da quelle proprie del giurista.

In proposito si evidenzia, altresì, che successivamente all’entrata in vigore della legge n. 206 del 2021 è intervenuto un importante elemento di novità, in chiave di valorizzazione dell’apporto multidisciplinare dei giudici onorari nei procedimenti a tutela dei minori, costituito dalla risoluzione del Parlamento europeo del 5 aprile 2022 sulla tutela dei diritti dei minori nei procedimenti di diritto civile, amministrativo e di famiglia. La risoluzione ricorda, infatti, che «l’accesso alla giustizia e il diritto di essere ascoltati sono diritti fondamentali e che ogni minore, indipendentemente dal suo contesto sociale, economico o etnico, deve poter godere pienamente di tali diritti a titolo personale, indipendentemente dai propri genitori o tutori legali»; ribadisce la necessità «di garantire che l’audizione del minore sia condotta da un giudice o da un esperto qualificato e che non sia esercitata alcuna pressione, neanche da parte dei genitori»; evidenzia come le audizioni «dovrebbero svolgersi in un contesto a misura di minore ed essere consoni all’età, alla maturità e alle abilità linguistiche del minore in termini di padronanza della lingua e dei contenuti, fornendo nel contempo tutte le garanzie tese ad assicurare il rispetto dell’integrità emotiva e dell’interesse superiore del minore e assicurando che l’autorità competente tenga in debita considerazione le opinioni del minore in funzione della sua età e maturità»; sottolinea che, «nell’ambito di procedimenti di diritto familiare in cui vi è un sospetto di violenza domestica, familiare o "assistita", l’audizione del minore dovrebbe essere sempre condotta in presenza di professionisti qualificati, medici o psicologi, compresi professionisti specializzati in neuropsichiatria infantile, per non aggravare il suo trauma o causargli ulteriori danni».

In generale, poi, si osserva che le linee guida del Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa per una giustizia a misura di minore, adottate il 17 novembre 2010, sottolineano la necessità di rispettare il diritto di ogni minore di essere informato sui suoi diritti e di essere consultato e ascoltato nei procedimenti che lo coinvolgono o lo riguardano; di dare il giusto riconoscimento alle opinioni del minore, tenendo conto del suo grado di maturità e delle sue eventuali difficoltà di comunicazione al fine di rendere significativa la sua partecipazione; di garantire l’effettiva attuazione del diritto dei minori affinché il loro interesse superiore sia posto davanti a ogni altra considerazione, in particolare riconoscendo il dovuto peso ai loro punti di vista e alle loro opinioni; di garantire un approccio multidisciplinare che garantisca una stretta collaborazione tra diversi professionisti al fine di pervenire a un’approfondita comprensione del minore e a una valutazione della sua situazione legale, psicologica, sociale, emotiva, fisica e cognitiva; di «prendere in seria considerazione la questione di chi ascolterà il minore, presumibilmente il giudice o un esperto nominato», in quanto «è possibile che alcuni minori preferiscano essere ascoltati da uno “specialista” che poi trasmette il loro punto di vista al giudice».

A ciò si aggiunga che in molti uffici giudiziari i soli magistrati togati – considerate la ristrettezza delle piante organiche rispetto alle effettive esigenze e la competenza promiscua penale e civile degli uffici minorili – verosimilmente non saranno in grado di procedere all’adempimento di cui si discute in tempi compatibili con le esigenze di tutela e, in ultima analisi, con l’interesse superiore del minore, che in questa materia costituisce il principale obiettivo da perseguire, tanto più quando, come spesso accade, ci si trovi in presenza di minori maltrattati o vittime di violenza assistita.

In questo quadro, una disposizione “rigida” quale quella introdotta dal decreto legislativo n. 149 del 2022, sia pur accompagnata dalla previsione secondo cui nell’ascolto del minore il giudice può farsi assistere da un esperto, rischia di compromettere il raggiungimento degli obiettivi perseguiti dalla riforma e, in ultima analisi, potrebbe rivelarsi controproducente per l’interesse del minore, dal momento che la concentrazione esclusivamente in capo ai giudici togati di incombenti istruttori finora assicurati grazie all’apporto dell’assai più ampio organico dei giudici onorari creerebbe, nell’immediato, un sovraccarico destinato ad incidere proprio sui tempi degli incombenti e delle attività più critiche, perché relative all’ascolto dei minori ed alla assunzione di informazioni.

Tanto più in tali ambiti, peraltro, la tempestività dell’ascolto è un valore che merita di essere tenuto in considerazione, in una ottica di prudente bilanciamento delle diverse esigenze delle quali il giudice minorile ed il sistema nel suo complesso devono farsi carico.

La norma in esame intende dunque, in via transitoria, responsabilizzare i giudici minorili, dotati di peculiare specializzazione nella materia di cui si discute, per valutare caso per caso l’eventuale sussistenza di ragioni che consiglino di demandare al giudice onorario minorile – professionista fornito di particolare preparazione nelle materie della psicologia minorile, della neuropsichiatria infantile o dell’assistenza sociale – l’ascolto del minore o gli altri adempimenti istruttori, ovvero se si rientri nel caso ordinario, nel quale il giudice togato provvede personalmente, eventualmente con l’assistenza di un esperto.

Non si tratterà, dunque, di conferire una delega “in bianco” al giudice onorario: la norma prevede che il giudice togato debba mantenere la direzione del procedimento, al fine di assicurare che questo si svolga sempre nel pieno rispetto dei principi costituzionali del contraddittorio e del diritto di difesa. I procedimenti de potestate, infatti, sono sì volti a perseguire il best interest del minore, ma al tempo stesso sono destinati ad incidere, a volte anche in modo particolarmente significativo, su diritti personalissimi dei genitori. La norma prevede perciò di consentire al giudice relatore di delegare ai giudici onorari specifici adempimenti, compresi l’audizione delle parti e l’ascolto del minore, ma secondo le modalità e sulle circostanze da lui puntualmente indicate, motivando sul punto.

A maggiore garanzia delle persone coinvolte, inoltre, si prevede – analogamente a quanto imposto nel processo penale dall’articolo 525 c.p.p. – che il giudice onorario cui sia stato delegato l’ascolto del minore o lo svolgimento di attività istruttoria debba poi comporre il collegio chiamato a decidere sul procedimento o ad adottare provvedimenti temporanei, al fine di non disperdere il patrimonio di conoscenze derivante dall’esame diretto del minore o delle parti.

Viene inoltre confermata la previsione, già presente nella disciplina introdotta dal decreto legislativo n. 149 del 2022 in attuazione di uno specifico criterio di delega, secondo cui la prima udienza, l’udienza di rimessione della causa in decisione e le udienze all’esito delle quali sono assunti provvedimenti temporanei devono comunque essere tenute davanti al collegio o al giudice relatore e non sono delegabili al giudice onorario minorile, considerata la loro particolare delicatezza e l’importanza che la discussione orale della causa può rivestire.

La modifica, infine, non interferisce con le condizionalità legate al PNRR, dal momento che queste non riguardano direttamente il processo minorile; in ogni caso, l’ampliamento delle possibilità di delegare attività ai componenti privati del tribunale per i minorenni comporterà verosimilmente, rispetto ai tempi derivanti dall’immediata applicazione delle nuove disposizioni, una riduzione dei tempi generali di trattazione dei procedimenti minorili, dal momento che il giudice togato potrà continuare ad avvalersi della collaborazione dei giudici onorari, sia pur, ora, nei limiti e con le maggiori garanzie di cui si è detto.

Il Capo III è formato dagli articoli 4 e 5 e contiene disposizioni in materia di personale di magistratura e del Ministero della giustizia.

L’articolo 4 riguarda la formazione dei magistrati ordinari. Il particolare, l’articolo 26-bis del decreto legislativo 30 gennaio 2006, n. 26, recante «Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150», da ultimo modificato dalla legge 17 giugno 2022, n. 71, prevede al comma 5 che tutti coloro che aspirano al conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo, di primo o di secondo grado, per poter partecipare al concorso devono necessariamente aver frequentato, non più di cinque anni prima della data di vacanza del posto desiderato, l’apposito corso di formazione organizzato dalla Scuola superiore della magistratura (SSM).

La SSM e il Consiglio superiore della magistratura hanno tuttavia rappresentato che tale disposizione crea gravi problemi logistici e applicativi, dal momento che la prima non è in grado di organizzare corsi in numero sufficiente a soddisfare le esigenze formative di cui di discute. Di conseguenza, numerosi magistrati si vedrebbero privati della possibilità di aspirare al conferimento di un incarico direttivo o semidirettivo; il che potrebbe avere effetti negativi sulla stessa efficienza degli uffici giudiziari, in quanto restringendo la platea degli aspiranti verrebbe limitata la possibilità per il CSM di selezionare profili ipoteticamente più meritevoli e più dotati di capacità organizzative rispetto a coloro che invece, avendo frequentato il corso, possono partecipare al concorso.

La norma vuole quindi ovviare al problema, sul presupposto che chi ha già esercitato le funzioni direttive o semidirettive (e magari ha partecipato al corso di formazione in epoca più risalente o ha già ottenuto dal CSM una valutazione positiva in sede di conferma dopo il primo quadriennio) ha già potuto sperimentare le proprie attitudini organizzative e ha già avuto modo di acquisire le competenze ordinamentali, organizzative e di gestione del personale richieste, e può quindi essere esonerato dalla partecipazione al corso di formazione. Ciò, beninteso, a condizione che nel frattempo il CSM non abbia formulato una valutazione negativa sulla conferma nelle funzioni, giacché in questo caso la frequenza del corso – ferma restando la preclusione alla partecipazione ad altri concorsi per cinque anni prevista dagli articoli 45 e 46 del decreto legislativo n. 160 del 2006 – si rivela indispensabile perché il magistrato acquisisca le competenze necessarie per lo svolgimento delle funzioni di cui si discute.

Ciò garantirà comunque che tutti i magistrati che sinora non hanno svolto funzioni direttive o semidirettive (ovvero, la grande maggioranza di quelli in servizio, oltre a quelli che prenderanno servizio negli anni a venire) per poter aspirare a tali incarichi dovranno necessariamente partecipare al corso di formazione di cui si discute; e dovranno ripeterlo a distanza di cinque anni, qualora nel frattempo non abbiano ottenuto l’assegnazione delle funzioni medesime.

Al contempo, si è colta l’occasione per introdurre disposizioni di coordinamento normativo del testo rese necessarie dal fatto che con la legge n. 71 del 2022 la disciplina dei corsi di formazione, sino a quel momento relativa al conferimento di incarichi direttivi, è stata estesa anche agli incarichi semidirettivi.

In particolare, la lettera a) dell’unico comma di cui si compone l’articolo interviene direttamente sull’articolo 26-bis. Il numero 1) aggiunge, al comma 3, la previsione secondo cui gli elementi di valutazione, le schede valutative redatte dai docenti e la documentazione relativa alla prova finale del corso sono valutati dal CSM anche con riferimento al conferimento di incarichi semidirettivi, e non solo per quelli direttivi. Il numero 2), a sua volta, riscrive il comma 5 prevedendo che siano esonerati dall’onere di partecipare al corso di formazione coloro che hanno svolto funzioni direttive o semidirettive nel medesimo lasso di tempo di validità del corso (o per una sua porzione). In particolare, la previsione relativa a una porzione del quinquennio si giustifica in ragione del fatto che i magistrati hanno un vincolo di permanenza nella sede e nelle funzioni di quattro anni, e sino a quel momento non possono proporre domande di trasferimento o di conferimento di altre funzioni. Può quindi verificarsi il caso che nei quattro anni antecedenti alla domanda il magistrato sia stato destinato ad altre funzioni, ma in precedenza abbia svolto funzioni direttive o semidirettive per più anni, compreso il quinto anno antecedente alla domanda. L’effetto pratico è che, come la norma vigente, richiede lo svolgimento di un corso di tre settimane nell’arco di cinque anni, allo stesso modo con la nuova disposizione sarà legittimato a partecipare ai bandi per funzioni direttive o semidirettive chi abbia già svolto queste per un determinato lasso di tempo nell’arco dei medesimi cinque anni, anche se non necessariamente per tutto il quinquennio.

Tutto ciò a condizione che il magistrato interessato non abbia ricevuto una valutazione negativa in sede di conferma nelle funzioni stesse, dal momento che invece in questo caso egli – ammesso che possa partecipare al concorso in virtù di quanto previsto dagli articoli 45 e 46 del decreto legislativo n. 160 del 2006 – sarà comunque tenuto a frequentare il corso.

La norma incide, inoltre, sull’individuazione della data a decorrere dalla quale viene calcolato, a ritroso, il quinquennio entro cui deve essere stato frequentato il corso o devono essere state svolte le funzioni. La norma attualmente vigente individua tale data in quella di scopertura del posto a cui si aspira; ciò, tuttavia, potrebbe causare complicazioni di carattere pratico, dal momento che con riferimento allo stesso bando, relativo a posti con data di scopertura diversa, lo stesso magistrato potrebbe essere esonerato dalla partecipazione al corso per uno dei posti messi a concorso, ma non esserlo con riguardo ad altro posto cui ugualmente aspiri. Si è pertanto ritenuto opportuno, per ragioni eminentemente di carattere pratico, far decorrere il quinquennio dalla scadenza del termine per la presentazione delle domande indicato nel bando di concorso, in modo che chi gode dell’esonero lo sia per tutti i posti pubblicati nella medesima occasione. Al contempo, ciò rende anche più semplice per i magistrati valutare le proprie necessità formative, in quanto essi saranno messi in grado di calcolare con un miglior margine di approssimazione l’avvicinarsi della scadenza del quinquennio e valutare quindi l’opportunità di partecipare o meno al corso di formazione. Ciò verosimilmente contribuirà a ridurre il numero di coloro che chiedono di partecipare al corso, agevolando così l’organizzazione e la gestione dei corsi stessi da parte della SSM e il soddisfacimento del fabbisogno formativo di quanti la maggioranza dei magistrati non godano dell’esonero che si introduce.

La lettera b), infine, si limita ad aggiungere il riferimento agli incarichi semidirettivi nella rubrica del capo che contiene l’articolo 26-bis, per i motivi di coordinamento normativo in precedenza indicati.

L’urgenza di provvedere è determinata dal fatto che è ormai imminente l’avvio dei corsi da parte della Scuola superiore della magistratura, la quale è in questi giorni chiamata a svolgere le indispensabili attività organizzative.

Con l’articolo 5 si consente, al comma 1, il conferimento degli incarichi superiori nell’ambito della esecuzione penale esterna e degli istituti penali minorili, ai dirigenti penitenziari del ruolo di istituto penitenziario in possesso della anzianità necessaria per l’assunzione di tali incarichi, in deroga all’articolo 3 del decreto legislativo 15 febbraio 2006, n. 63. Tale disposizione prevede infatti per la qualifica di dirigente penitenziario i due diversi ruoli di dirigente di istituto penitenziario e di dirigente di esecuzione penale esterna, ai quali si è successivamente aggiunto il ruolo di dirigente di istituto penale minorile. L’articolo 7 prevede poi il requisito dell’anzianità di nove anni e sei mesi di effettivo servizio per il conferimento degli incarichi superiori. Non sussiste attualmente un numero di dirigenti di esecuzione penale esterna e di dirigenti di istituto penale minorile sufficiente ad assumere incarichi superiori (posto che per tali incarichi è richiesto il possesso dell’anzianità prevista dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 63 del 2006), né tale anzianità è raggiungibile nel breve periodo dai dirigenti che verranno assunti al più tardi entro la fine del prossimo mese di settembre all’esito delle procedure di reclutamento in corso.

La disposizione di cui al comma 2 è dettata allo scopo di consentire l’attribuzione dell’incarico di direttore aggiunto ai nuovi vincitori di concorso che saranno assunti, i quali potranno in tal modo coadiuvare i dirigenti di istituto penitenziario cui saranno attribuiti i posti con incarichi superiori di esecuzione penale esterna e di istituto penale minorile. Tale facoltà è esercitabile sino alla data del 31 marzo 2033.

L’urgenza delle disposizioni risiede nella improrogabile necessità di coprire posizioni dirigenziali di grande rilievo, come quelle degli uffici interdistrettuali di esecuzione penale esterna e degli istituti penali minorili di maggiore complessità, che altrimenti, sulla base del personale ad oggi in servizio, non potrebbero essere coperte; al contempo, è urgente e necessario consentire l’immissione in servizio di tutti i vincitori delle procedure concorsuali in via di definizione, per i quali altrimenti non vi sarebbero posti sufficienti, atteso che alcuni posti vacanti sono relativi ad incarichi superiori in relazione ai quali i nuovi assunti non hanno, ovviamente, la necessaria anzianità di servizio.

Nel Capo IV, composto dal solo articolo 6, sono inserite disposizioni urgenti in materia di repressione degli incendi boschivi.

I recenti gravissimi e reiterati episodi di incendio, che hanno causato la distruzione di decine di migliaia di ettari di bosco, macchia mediterranea, terreni agricoli e pascoli in diverse regioni d’Italia, documentano come si sia in presenza di una seria emergenza ambientale a fronte della quale si pone la necessità e l’urgenza di un intervento normativo volto a rafforzare il complessivo sistema di prevenzione e contrasto al fenomeno degli incendi boschivi.

Come noto, il legislatore, a fronte della esigenza di individuare nuove misure per prevenire e arginare il problema, è già intervenuto con l’emanazione del decreto-legge n. 120 dell’8 settembre 2021, recante «Disposizioni per il contrasto degli incendi boschivi e altre misure urgenti di protezione civile», altresì noto come “decreto incendi”, convertito con alcune modificazioni nella legge 8 novembre 2021, n. 155. Con tale intervento si è integrato e in parte modificato quanto già previsto dalla «Legge-quadro in materia di incendi boschivi» n. 353 del 21 novembre 2000.

Le recenti vicende dimostrano tuttavia come si ponga, attuale, la necessità di rafforzare ulteriormente gli strumenti di contrasto a delitti che determinano la compromissione di beni giuridici di rilevanza costituzionale (quali sono l’ambiente e la diversità degli ecosistemi, espressamente contemplati dall’art. 9 Cost., come modificato dalla legge costituzionale 11 febbraio 2022, n. 1), facendosi leva sull’efficacia deterrente del trattamento sanzionatorio.

Le modifiche incidono sul testo dell’art. 423-bis c.p., che sanziona il delitto di incendio boschivo: la prima modifica, introdotta dal comma 1, lettera a), interviene sul comma 1 della norma incriminatrice ora indicata innalzando la pena edittale minima prevista per l’ipotesi di incendio doloso da quattro anni a sei anni di reclusione (art. 6, comma 1, lett. a); la seconda modifica interviene sul comma 2, innalzando la sanzione edittale minima per l’ipotesi di incendio colposo da uno a due anni di reclusione (comma 1, lettera b, del d.l.).

Infine, con le disposizioni di cui al comma 1, lettera c) si inserisce dopo il quarto comma dell’art. 423-bis c.p., che prevede quale circostanza aggravante ad effetto speciale comune all’ipotesi dolosa e colposa il fatto che dall’incendio sia derivato un «danno grave, esteso e persistente all’ambiente», un ulteriore comma che prevede, quale circostanza aggravante ad effetto speciale dell’ipotesi dolosa prevista al comma 1, implicante un aumento di pena da un terzo alla metà, l’avere commesso il fatto

«con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti allo svolgimento di servizi nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi boschivi o al fine di trarne profitto per sé o per altri». La previsione si collega, peraltro, all’articolo 423-ter, comma 2, c.p., che prevede, quale conseguenza della condanna per il reato di cui all’articolo 423-bis, comma 1, la sanzione accessoria della interdizione «da cinque a dieci anni dall’assunzione di incarichi o dallo svolgimento di servizi nell’ambito della prevenzione e della lotta attiva contro gli incendi boschivi o al fine di trarne profitto per sé o per altri».

Il Capo V reca disposizioni urgenti per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche.

Gli articoli 7 e 8 dettano misure relative alla destinazione della quota pari all’otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e alle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi.

L’articolo 7 prevede che la quota parte di spettanza statale del gettito dell’otto per mille dell’IRPEF, riferita a scelte non espresse dai contribuenti, oggetto di ripartizione nell’anno 2023, sia utilizzata prioritariamente per finanziare intervento straordinari per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche, sulla base di domande presentate entro il 31 ottobre 2023 e, per la parte eventualmente rimanente, in proporzione alle scelte espresse. Si rimettono ad un successivo decreto del Segretario generale della PCM, da adottarsi entro il 15 settembre 2023, l’individuazione dei parametri specifici di valutazione delle istanze della tipologia di interventi “recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche” nonché le modalità di istituzione della Commissione valutativa e di monitoraggio, composta da tre rappresentanti della PCM, uno dei quali con funzioni di Presidente, da cinque rappresentanti del MEF e da cinque rappresentanti delle amministrazioni statali competenti per materia. Con dPCM, da adottarsi entro il 30 novembre, è individuata la quota da rendere disponibile per il finanziamento dei progetti. Si precisa che ai componenti della Commissione non spettano compensi, gettoni di presenza, rimborsi di spesa o altri emolumenti comunque denominati.

L’articolo 8 apporta, in primo luogo, talune modifiche agli artt. 47 e 48 della legge 20 maggio 1985, n.222: con la modifica all’art. 47 si specifica che le risorse relative alla quota a diretta gestione statale, per le quali i contribuenti non hanno effettuato una scelta, sono ripartite tra gli interventi di cui all’articolo 48 secondo le finalità stabilite annualmente con deliberazione del Consiglio dei ministri o, in assenza, in proporzione alle scelte espresse.

Con la modifica dell’articolo 48 si stabilisce che le quote di spettanza statale del gettito dell’otto per mille dell’IRPEF possano essere utilizzate anche per il recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche.

L’articolo prevede inoltre che la disposizione di cui alla modifica del suddetto art. 47 produca effetti con riferimento alle risorse oggetto di ripartizione nell’anno 2023 mentre dall’anno 2024 all’anno 2027 saranno inclusi tra gli interventi anche quelli relativi al recupero dalle tossicodipendenze e dalle altre dipendenze patologiche. Per quanto concerne di cui alla modifica dell’art. 48, si precisa che queste produrranno effetti per le scelte effettuate dai contribuenti con riferimento alle dichiarazioni dei redditi presentate dall’anno 2023.

Il Capo VI reca disposizioni in materia di isolamento, autosorveglianza e monitoraggio della situazione epidemiologica.

Articolo 9. Il comma 1, in considerazione del mutato quadro epidemiologico a seguito della dichiarazione, da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità del 5 maggio 2023, della cessazione dello stato di emergenza sanitaria mondiale a causa della pandemia da Covid-19,   e dell’evoluzione del quadro clinico dei casi di COVID-19, prevede l’abrogazione della disciplina relativa alle misure concernenti l’isolamento per le persone risultate positive al SARS-CoV-2 e il regime di autosorveglianza per i contatti stretti con soggetti confermati positivi, prevedendo l’abrogazione delle correlate disposizioni sanzionatorie.

Il comma 2, tenuto conto delle suddette mutate condizioni epidemiologiche, prevede che, nell’ambito del monitoraggio della situazione epidemiologica, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano comunicano i relativi dati al Ministero della salute e all'Istituto superiore di sanità, con cadenza stabilita, in base alla situazione epidemiologica, con provvedimento della Direzione generale della prevenzione sanitaria, anziché quotidiana. Il Ministero della salute verifica l’andamento della situazione epidemiologica. Resta fermo in ogni caso il potere del Ministro della salute di emettere ordinanze di carattere contingibile ed urgente in materia di igiene e sanità pubblica.

Il Capo VII reca disposizioni in materia di cultura.

Articolo 10.

I commi 1, 2 e 3 prevedono la trasformazione in forma dipartimentale del modello organizzativo del Ministero della cultura, dando seguito all’ordine del giorno 9/1239-A/61, accolto dal Governo nell’Aula della Camera in sede di conversione del decreto-legge 22 giugno 2023, n.75.

In particolare, il comma 1 modifica il decreto legislativo n. 300 del 1999. La lettera a) sostituisce l’articolo 53 definendo più puntualmente le aree funzionali nelle quali il Ministero svolge i propri compiti, al fine di agevolarne le attribuzioni ai singoli dipartimenti: in ogni caso, le funzioni restano invariate rispetto a quelle attualmente esercitate dallo stesso Dicastero. La lettera b) sostituisce il comma 1 dell’articolo 54 prevedendo che il Ministero si articola in dipartimenti, disciplinati ai sensi degli articoli 4 e 5. Il numero dei dipartimenti è fissato nel massimo di quattro, in riferimento alle aree funzionali di cui all'articolo 53. Il numero delle posizioni di livello dirigenziale generale resta invariato a trentadue: alle 27 attualmente previste dalla disposizione vanno infatti aggiunte le 5 ulteriori introdotte con il decreto-legge n. 44 del 2023.

Il comma 2 dispone sull’adozione del regolamento di organizzazione conseguente alla modifica della normativa primaria: il Ministero della cultura vi provvede, entro il 31 dicembre 2023, mediante le procedure di cui all'articolo 13 del decreto-legge 11 novembre 2022, n. 173, convertito, con modificazioni, dalla legge 16 dicembre 2022, n. 204. L’entrata in vigore del regolamento è in ogni caso fissata a una data non anteriore al 1° gennaio 2024. Si tratta di un tempo minimo per consentire la trasformazione da organizzazione segretariale a organizzazione dipartimentale. Nelle more continuerà ad applicarsi il vigente regolamento di organizzazione. Si prevede inoltre, come di consueto, che gli incarichi dirigenziali generali e non generali in corso decadono con la conclusione delle procedure di conferimento dei nuovi incarichi.

Si prevede inoltre che, a seguito della riorganizzazione che sarà realizzata, saranno comunque fatte salve le funzioni delle strutture preposte all’attuazione degli interventi del PNRR di cui all’articolo 1, comma 1, del decreto-legge 24 febbraio 2023, n. 13, nonché della Soprintendenza speciale per il

PNRR, di cui all’articolo 29 del decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77.

Al comma 3 vengono individuati gli oneri finanziari, con relativa copertura, derivanti dalla riorganizzazione.

Al comma 4 si interviene sulla legge n. 140 del 2022 - che reca le disposizioni per la celebrazione dell'ottavo centenario della morte di San Francesco d'Assisi – abrogando il comma 3 dell’art. 2 che rimette ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della cultura, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro del turismo, sentita la Conferenza unificata, l’individuazione dei criteri di assegnazione e di ripartizione annuale del contributo per la suddetta celebrazione.

Il comma 5 proroga di tre mesi (fino al 15 dicembre 2023) la disposizione di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto-legge 1 giugno 2023, n. 61, che ha disposto l’incremento di 1 euro, dal 15 giugno 2023 al 15 settembre 2023, del costo dei biglietti di ingresso, negli istituti e luoghi della cultura di appartenenza statale di cui all'articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per finanziare e avviare gli interventi di tutela e ricostruzione del patrimonio culturale, pubblico e privato, inclusi i musei, danneggiato in conseguenza degli eventi alluvionali verificatisi a partire dal 1° maggio 2023, per i quali è stato dichiarato lo stato di emergenza con delibere del Consiglio dei ministri del 4 maggio 2023, del 23 maggio 2023 e del 25 maggio 2023.

Il Capo VIII detta disposizioni in materia di pubblica amministrazione.

Articolo 11. I commi 1 e 2 danno attuazione ad un ordirne del giorno (n.102) accolto dal Governo in sede di approvazione della legge di conversione del decreto-legge n. 75 del 2023 da parte della Camera dei deputati. Il comma 1, in particolare, limita l’applicazione dell’istituto del trattenimento in servizio, da parte di tutte le amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (quindi anche regioni, province, comuni ed altri enti ricompresi in tale ambito) alle sole posizioni dirigenziali generali dei dipartimenti – o unità corrispondenti in relazione al relativo ordinamento – che siano attuatori di progetti del PNRR.

Il comma 3 introduce, per i soli incarichi di vertice degli uffici di diretta collaborazione, una deroga alla disposizione che vieta di conferire incarichi retribuiti ai soggetti in quiescenza, e che, ove conferiti a titolo gratuito, non possano superare la durata massima di un solo anno (articolo 5, comma 9, del DL n. 95 del 2012). Si richiama, infine, il rispetto del limite previsto dall’articolo 1, comma 489, della legge n. 147 del 2013, che impedisce che il cumulo del trattamento pensionistico e dell’indennità di diretta collaborazione possa comportare il superamento del tetto stipendiale fissato ai sensi dell'articolo 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, nonché agli articoli 14, comma 3 e 14.1, comma 3, del decreto-legge n. 4 del 2009 in materia di pensionamento anticipato.

Il Capo IX reca le disposizioni finanziarie e finali.

Articolo 12. Si dispone che, fatto salvo quanto previsto agli articoli 2 e 10, dall’attuazione del provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che le Amministrazioni interessate provvedono ai rispettivi adempimenti con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Articolo 13. Si dispone in ordine all’entrata in vigore del provvedimento.