XIX LEG - ddl - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.

aggiornamento: 20 dicembre 2023

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 7 giugno 2023

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 giugno 2023, n. 69, recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.

  

Relazione illustrativa

ART. 1

1. Il decreto legge 13 giugno 2023, n.69 recante disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi derivanti da atti dell'Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

 

 

RELAZIONE ILLUSTRATIVA

Con il presente decreto-legge, il Governo, in attuazione dell’articolo 37 (Misure urgenti per l'adeguamento agli obblighi derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea) della legge 24 dicembre 2012, n. 234, reca disposizioni urgenti per l'attuazione di obblighi comunitari derivanti da atti normativi dell’Unione europea e da procedure di infrazione e pre-infrazione pendenti nei confronti dello Stato italiano.

In sintesi, con il presente provvedimento il Governo intende:

  • agevolare la chiusura di n. 8 procedure d’infrazione di seguito elencate:
    1. la n. 2014/4075, in materia di aliquota agevolata dell’imposta di registro analoga a quella prevista per l’acquisto prima casa, senza obbligo di stabilire la residenza nel comune in cui è situato l’immobile acquistato (articolo 2);
    2. la n. 2021/2170 in materia di revisioni legali (articolo 3);
    3. la n. 2021/2075, per l’incompleto recepimento della direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari, allo stadio di messa in mora ex articolo 258 TFUE (articolo 4);
    4. la n. 2014/4231, per non conformità alla direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato del personale volontario del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e in materia di computo del pre-ruolo ai fini della ricostruzione di carriera del personale docente delle scuole (articoli 11, 12, 13 e 14);
    5. la n. 2018/2044, per mancato recepimento della direttiva 2013/59/EURATOM che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti (articoli 7 e 8);
    6. la n. 2014/2147, in materia di superamento dei valori limite fissati per il PM10 (articolo 9);
    7. la n. 2015/2043 in materia di superamento dei valori di biossido di azoto (articolo 9);
    8. la n. 2020/2299 relativa alla qualità dell’aria per quanto concerne i valori limite per il PM2,5 (articolo 9).
  • agevolare la chiusura di n. 7 casi di pre-infrazione di seguito elencati:
    1. caso EU Pilot 2021/10083/FISMA, sui sistemi di garanzia dei depositi bancari (articolo 1);
    2. caso EU Pilot (2021) 10047-Empl., in materia di cumulo dei periodi di assicurazione maturati presso organizzazioni internazionali (articolo 5);
    3. caso ARES (2021)5623843, in materia di attribuzione della Carta del docente anche ai docenti con contratto a tempo determinato (articolo 15);
    4. caso NIF 2020/4008, in materia di pubblicità nel settore sanitario (articolo 6);
    5. caso ARES (2022)1775812, in materia di istituzione del Fondo per la individuazione delle aree prioritarie e istituzione del Fondo per la prevenzione e riduzione del radon indoor e per rendere compatibili le misure di efficientamento energetico, di qualità dell’aria in ambienti chiusi con gli interventi di prevenzione e riduzione del radon indoor (articoli 7 e 8);
    6. Caso Ares (2019) 3110724, in materia di rilascio dei passaporti (articolo 20);
    7. caso EU Pilot 2022/10193/ENER, in materia di verifica dell’efficienza degli investimenti nella rete di distribuzione del gas ai fini della copertura tariffaria (articolo 22).
  • agevolare la chiusura di n. 1 caso di aiuto di Stato:
    1. il caso SA.50274 (2018/EO), in materia di regime di interrompibilità del carico elettrico (articolo 21);
  • adeguare l’ordinamento nazionale a n. 3 regolamenti e a n. 2 direttive di seguito elencati:
    1. il regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea (articolo 16);
    2. il regolamento (UE) 2019/125 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 gennaio 2019 in materia di antitortura (articolo 23);
    3. il regolamento (UE) 2021/821 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2021 in materia di prodotti a duplice uso (articolo 23);
    4. la direttiva 2022/738/UE sull’utilizzazione di veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada (articolo 24);
    5. la direttiva delegata 2022/2100/UE della Commissione che modifica la direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la revoca di talune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato (articolo 25).

 

Si illustrano di seguito i contenuti dei singoli articoli, disposti in conformità alla struttura del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

 

ART. 1 (Modifiche al Testo Unico Bancario. Caso EU Pilot 2021/10083/FISMA)

L’articolo 1 reca modifiche al Testo Unico Bancario, al fine di risolvere il caso EU Pilot 2021/10083/FISMA.

La Commissione europea, nell’ambito della propria attività di verifica della corretta trasposizione negli ordinamenti nazionali della direttiva (UE) 2014/49 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, sui sistemi di garanzia dei depositi (di seguito, la direttiva o DGSD), ha formulato alcuni rilievi sul recepimento della direttiva avvenuto in Italia con l’introduzione di modifiche al decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 285 (di seguito, Testo Unico Bancario o TUB). In particolare, la Commissione europea ha rilevato la mancanza nell’ordinamento interno della previsione in base alla quale l’autorità nazionale deve effettuare, entro il termine di 5 giorni lavorativi dall’accertamento del mancato rimborso di depositi da parte della banca, una valutazione relativa all’incapacità, attuale e prospettica, della banca medesima di effettuare i rimborsi per cause connesse con la sua situazione finanziaria (c.d. indisponibilità dei depositi). Dalla dichiarazione di indisponibilità effettuata dall’autorità decorre il termine di 7 giorni lavorativi entro i quali deve avvenire il rimborso dei depositi da parte del sistema di garanzia dei depositanti. Le modifiche proposte sono pertanto volte ad introdurre un termine espresso entro cui effettuare la suddetta valutazione, nonché a chiarire che essa deve essere effettuata anche nel caso in cui venga assunto il provvedimento di sospensione dei pagamenti ai sensi dell’articolo 74 TUB – come affermato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (sentenza Kantarev del 4 ottobre 2018 nella causa C-571/16).

La Commissione ha, inoltre, mosso altri due rilievi di minore entità sulle norme di recepimento italiane: l’articolo 7, paragrafo 5, della direttiva deve essere interpretato nel senso che le passività del depositante nei confronti dell’ente creditizio siano dedotte dall'importo cumulato e non dall'importo rimborsabile; l’articolo 11, paragrafo 6, della direttiva specifica espressamente che l’utilizzo del sistema di garanzia per finanziare misure volte a preservare l’accesso dei depositanti ai depositi coperti sia responsabile solo per l'importo netto dell'indennizzo dei depositi.

Di seguito i contenuti dell’articolato.

Il comma 1, lettera a), modifica l’articolo 74 TUB. La modifica all’articolo del TUB, che disciplina la moratoria nel corso della procedura di amministrazione straordinaria, è volta a chiarire, con l’aggiunta di un nuovo comma (3-bis), che la sospensione del pagamento delle passività di qualsiasi genere emesse dalla banca comporta altresì l’impossibilità per i depositanti di accedere ai propri depositi e, pertanto, obbliga la Banca d’Italia a effettuare la valutazione circa la loro indisponibilità. Detta valutazione deve essere effettuata entro 5 giorni lavorativi a partire dal momento in cui la sospensione dei pagamenti diventa efficace.

Il comma 1, lettera b), modifica l’articolo 96-bis, comma 1-bis, TUB. In particolare, la modifica della lettera a) è volta a chiarire che i sistemi di garanzia devono effettuare il rimborso dei depositi secondo i limiti e le modalità indicati nel TUB, non solo in caso di liquidazione coatta amministrativa ma altresì nel caso in cui sia stato adottato, alternativamente, il provvedimento con cui è dichiarata l’indisponibilità dei depositi. La modifica della lettera c) è volta a dare seguito al rilievo della Commissione circa l’attuazione dell’articolo 11 della direttiva, specificando che l’intervento del sistema di garanzia sia finalizzato a sostenere quanto debba essere rimborsato ai depositanti al netto di quanto da essi recuperato dall’ente di credito.

Il comma 1, lettera c), modifica l’articolo 96-bis.1 TUB. Le modifiche, di carattere tecnico, sono volte ad assimilare all’avvio della liquidazione coatta amministrativa l’adozione del provvedimento di indisponibilità dei depositi per determinare il momento in cui l’eventuale debito del depositante nei confronti della banca depositaria debba essere compensato al fine della determinazione dell’ammontare massimo rimborsabile del deposito. Con riferimento al comma 5, parte delle modifiche sono volte altresì a dare seguito ai rilievi della Commissione in merito alla trasposizione dell’articolo 7 della direttiva in merito alla circostanza che sia preso a base l’importo cumulato (e non quello rimborsabile) da cui applicare la deduzione delle passività del depositante, pertanto con effetto favorevole al depositante stesso.

Il comma 1, lettera d), modifica l’articolo 96-bis.2 TUB. La principale modifica all’articolo 96-bis.2 (ossia l’aggiunta del comma 01) è volta a disciplinare il provvedimento con cui la Banca d’Italia dichiara l’indisponibilità dei depositi. La prima parte del comma precisa che per indisponibilità dei depositi si intende l’incapacità, attuale e nel breve termine, della banca di adempiere all’obbligo di restituire i propri depositi per cause direttamente connesse con la sua situazione finanziaria. Accertata l’indisponibilità, la Banca d’Italia la dichiara con provvedimento e valuta la sussistenza dei presupposti del dissesto. Il nuovo comma precisa, infine, che ogni qual volta sia già stata adottata la proposta di avvio della liquidazione coatta amministrativa il provvedimento di indisponibilità dei depositi non viene adottato considerato che gli effetti che conseguono al secondo sono già riconnessi alla prima. Le altre modifiche all’articolo sono volte ad assimilare all’avvio della liquidazione coatta amministrativa l’adozione del provvedimento di indisponibilità dei depositi per determinare i) la data da cui decorre il termine per l’effettuazione del rimborso da parte dei sistemi di garanzia dei depositanti, ii) la data in cui determinare il tasso di cambio nell’ipotesi in cui il deposito sia denominato in valuta diversa dall’euro o da quella dello Stato di residenza del depositante, iii) la data da cui decorre la prescrizione del diritto di rimborso.

ART. 2 (Imposta di registro sulla prima casa. Procedura di infrazione 2014/4075)<

Riguardo all’articolo 2 si fa presente che con la procedura di infrazione 2014/4075 sono stati sollevati dubbi in ordire alla previsione di cui Alla nota II-bis), comma 1, lettera a), primo periodo, della tariffa, parte prima, allegata al testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, nella parte in cui prevede un’aliquota agevolata dell’imposta di registro analoga a quella prevista per l’acquisto prima casa, senza obbligo di stabilire la residenza nel comune in cui è situato l’immobile acquistato. 

Viene in particolare contestata l’individuazione soggettiva dell’agevolazione (“cittadino italiano emigrato all’estero”) in quanto non risulterebbe sufficientemente identificato lo status di migrante che non potrebbe essere collegato alla cittadinanza italiana.

Viene pertanto previsto che dell’agevolazione possano godere anche soggetti con un legame con l’Italia di natura lavorativa (svolgimento di attività lavorativa per almeno 5 anni), pur essendo stati costretti ad allontanarsene per motivi lavorativi. 

L’agevolazione viene in tal modo ancorata a un criterio oggettivo svincolandola dal criterio di cittadinanza, oggetto della contestazione.

L’agevolazione inoltre non sarebbe fruibile su tutto il territorio nazionale ma in un comune con cui si manifesta un vincolo, individuato dalla nascita, residenza o attività lavorativa..

ART. 3 (Modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati. Procedura di infrazione 2021/2170)

L’articolo 3 reca modifiche al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di revisioni legali, conti annuali e conti consolidati, al fine della risoluzione della procedura di infrazione 2021/2170.

La modifica dell’articolo 33 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, scaturisce dall’esigenza di conformare il diritto nazionale alle osservazioni formulate dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione 2021/2170 con la quale è stato contestato all’Italia l’incompleto recepimento della direttiva 2014/56/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2006/43/CE relativa alle revisioni legali dei conti annuali e dei conti consolidati.

A seguito dell’avvio della procedura d’infrazione, la Commissione europea ha adottato, infatti, un parere motivato ex articolo 258 TFUE, nel quale è segnalato, tra gli altri, il mancato recepimento dell’articolo 47, paragrafo 1, frase introduttiva e lettera a), paragrafo 2, lettera b-bis) e lettera d), secondo e terzo trattino, della direttiva 2006/43/CE sulla revisione legale, così come modificata dalla

direttiva 2014/56/UE.

Nello specifico, l’articolo 47 in parola stabilisce le condizioni che le autorità competenti devono rispettare per lo scambio di carte di lavoro o di altri documenti rilevanti per la valutazione della qualità

della revisione legale e le disposizioni richiamate dalla Commissione europea (paragrafo 1, frase introduttiva e lettera a), e il paragrafo 2, lettera b-bis) e lettera d), secondo e terzo trattino) costituiscono, per l’appunto, le novelle introdotte dalla direttiva 2014/56/UE.

Nel parere motivato viene espresso, infatti, quanto segue:

«Benché gli scambi con le autorità dei paesi terzi siano consentiti dalla legislazione nazionale ai sensi dell’articolo 33 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, le suddette prescrizioni della direttiva sono recepite solo in parte nell’articolo 33 del decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, che individua, al comma 1, la Consob quale autorità competente a prestare la cooperazione internazionale. Ciò è confermato dalla risposta delle autorità italiane alla lettera di costituzione in mora della Commissione. Pertanto, il diritto nazionale non definisce le condizioni stabilite per tali scambi dall’articolo 47 paragrafo 1, frase introduttiva e lettera a), paragrafo 2, lettera b bis) e lettera d), secondo e terzo trattino della direttiva 2014/56/UE» concludendo con l’invito all’Italia «ad adottare le misure necessarie per conformarsi al parere motivato entro due mesi dal suo ricevimento».

L’intervento normativo, pertanto, ha l’obiettivo di adeguare la legislazione nazionale alla segnalazione della Commissione europea, mediante l’integrazione dell’articolo 33 del decreto legislativo n. 39/2010 con le pertinenti disposizioni del citato articolo 47 della direttiva 2006/43/CE così come modificata dalla direttiva 2014/56/UE.

Alla luce di quanto sopra rappresentato, viene introdotto nell’articolo 33 del decreto legislativo n. 39/2010, dopo il comma 2, il comma 2-bis che recepisce integralmente i paragrafi 1 e 2 dell’articolo 47 della direttiva 2006/43/CE modificata dalla direttiva 2014/56/UE, e non per le sole lettere indicate nel parere motivato della Commissione europea. Il testo corrisponde, infatti, in maniera più esauriente, per completezza e omogeneità con la legislazione di altri Stati membri, alla necessità di armonizzare le condizioni di scambio delle carte di lavoro tra i paesi membri. La formulazione del testo deriva dalla comparazione con altri testi normativi di attuazione della direttiva 2006/43/CE come modificata dalla direttiva 2014/56/UE (Belgio, Lussemburgo, Spagna e Germania) nei quali vengono trasposte e localizzate le varie fattispecie di condizioni di scambio di carte di lavoro indicate nell’articolo 47, paragrafi 1 e 2 della direttiva. Come avvenuto negli altri Paesi membri, il punto e) del paragrafo 1 dell’articolo 47 che così recita «la trasmissione di dati personali al paese terzo sia conforme al capo IV della direttiva 65/46/CE», essendo riferito ad una direttiva ormai abrogata, è stato recepito con riferimento alle analoghe disposizioni vigenti, ovvero al regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 sulla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione di tali dati, che abroga la direttiva 95/46/CE.

ART. 4 (Disposizioni per il completo adeguamento alla direttiva 2013/48/UE, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari - Procedura di infrazione n. 2021/2075)

L’articolo 4 reca disposizioni per il completo adeguamento alla direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari.

L’intervento normativo trae origine dalla necessità di dar seguito ai rilievi formulati dalla Commissione europea nell’ambito della procedura di infrazione n. 2021/2075, avviata nei confronti dell’Italia ai sensi dell’articolo 258 TFUE con nota C(2021)4364 final del 15 luglio 2021 e concernente l’implementazione della direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2013, relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato di arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari (di seguito, la direttiva).

Nella lettera di costituzione in mora la Commissione contesta, in particolare, la mancata attuazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva «nella misura in cui impone di informare un altro adulto idoneo della privazione della libertà personale del minore e dei relativi motivi, qualora sia contrario all’interesse superiore del minore informarne il titolare della potestà genitoriale».

Al riguardo, la Commissione osserva, in particolare:

  • che «[a]i sensi dell’articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448 - Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria che hanno eseguito l’arresto o il fermo del minorenne ne danno immediata notizia all’esercente la responsabilità genitoriale e all’eventuale affidatario»; e, dunque,
  • che «[q]uesta disposizione non prevede che debba essere informato d’ufficio un altro adulto idoneo qualora sia contrario all’interesse superiore del minore che sia informato il titolare della responsabilità genitoriale».

Ai fini di una più chiara e completa comprensione della contestazione, giova rammentare che già nella relazione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della direttiva (doc. COM(2019) 560 final del 26.9.2019), la Commissione aveva lamentato che «[i]n metà degli Stati membri non esiste la possibilità di deroga al diritto di informare il titolare della responsabilità genitoriale o un altro adulto idoneo della privazione della libertà personale di un minore, come previsto dall'articolo 5, paragrafo 2 della direttiva [...]».

Deve prendersi atto che, in effetti, la suddetta possibilità di deroga non risulta espressamente contemplata dalla nostra normativa sul processo minorile, e in particolare dall’articolo 18 del d.P.R. 448/1988.

Per tale ragione, con la disposizione in esame si interviene sul comma 1 della norma citata al fine di chiarire che «[q]uando risulta necessario a salvaguardare il superiore interesse del minorenne, in luogo dell’esercente la responsabilità genitoriale, dell’arresto o del fermo è informata altra persona idonea maggiorenne».

 

ART. 5 (Modifiche alla legge 29 luglio 2015, n. 115, in materia di cumulo dei periodi di assicurazione maturati presso organizzazioni internazionali. Caso EU Pilot (2021) 10047-Empl)

Riguardo all’articolo 5, si fa presente che la legge 29 luglio 2015, n. 115, recante "Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea - Legge europea 2014", ha introdotto, all’articolo 18, la facoltà di cumulo dei periodi assicurativi maturati presso organizzazioni internazionali derivanti da rapporti di lavoro dipendente svolti nel territorio dell'Unione europea o della Confederazione svizzera con quelli maturati presso determinate gestioni previdenziali italiane. Il cumulo può essere richiesto se necessario per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, invalidità e superstiti, purché la durata totale dei periodi di assicurazione maturati ai sensi della legislazione italiana sia almeno di cinquantadue settimane e a condizione che i periodi da cumulare non si sovrappongano. La norma venne adottata al fine di chiudere la procedura d’infrazione 2014/4168, a seguito della causa C-233/12 (Simone Gardella contro INPS), relativa alla facoltà di cumulare i periodi assicurativi maturati presso l’INPS con quelli maturati presso organizzazioni internazionali per il conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia. A legislazione vigente non è pertanto consentito, attraverso l’esercizio della facoltà di cumulo, conseguire il diritto ad una prestazione pensionistica diversa da quanto indicato espressamente dall’articolo 18 della legge 29 luglio 2015, n. 115. La Commissione Europea – Direzione Generale Occupazione, Affari Sociali e Inclusione, in data 17.12.2021, con l’apertura del caso EU Pilot (2021) 10047-Empl, ha formalizzato ulteriori rilievi all’Italia relativamente alla questione della totalizzazione dei diritti a pensione di lavoratori che hanno prestato attività lavorativa presso organizzazioni internazionali e in Italia. Con riferimento al citato articolo 18 della legge 29 luglio 2015, n.115, la Commissione ha rilevato la necessità che il cumulo possa essere richiesto anche per il conseguimento del diritto alla pensione anticipata, al fine di evitare difformità di trattamenti tra lavoratori degli Stati membri e quindi impedire ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori ex articolo 45 del TFUE. Al fine di evitare l’apertura di una procedura d’infrazione a carico dell’Italia per violazione del diritto euro-unitario, si prevede pertanto di novellare il citato articolo 18, estendendo la facoltà di cumulare i periodi assicurativi maturati presso l’INPS con quelli maturati presso organizzazioni internazionali anche ai fini del conseguimento del diritto alla pensione anticipata.

 

ART. 6 (Disposizioni in materia di pubblicità nel settore sanitario. Caso NIF 2020/4008)

L’articolo 6 reca disposizioni in materia di pubblicità nel settore sanitario. La modifica è finalizzata a superare le criticità evidenziate dalla Commissione europea nell’ambito del caso NIF 2020/4008 - Pubblicità nel settore sanitario- Comma 525 art. 1 L.15/2018, in ordine alla violazione del principio della libera concorrenza in tema di pubblicità sanitaria, scongiurando così una eventuale procedura di infrazione. La proposta di modifica tiene conto delle osservazioni mosse dalla Commissione sull’asserito contrasto del divieto di cui all’art. 1, comma 525, della legge 145/2018 con le norme europee in tema di diritto di stabilimento e prestazione di servizi. Il divieto viene, pertanto, limitato ai casi in cui la comunicazione commerciale abbia ad oggetto offerte, sconti o promozioni che possano determinare il ricorso improprio a trattamenti sanitari per carattere attrattivo e suggestivo.

Verrebbe in tal modo garantita la proporzionalità delle limitazioni rispetto a quelle informazioni decettive nei confronti del peculiare consumatore a cui si rivolgono, che è di fatto un paziente e quindi un soggetto certamente in asimmetria informativa e di norma in una naturale situazione di debolezza e di necessità.

 

ART. 7 (Istituzione del Fondo per la individuazione delle aree prioritarie di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n. 101. Procedura di infrazione 2018/2044. Caso Ares (2022) 1775812)

Con riferimento all’articolo 7, si fa presente che il radon è un gas radioattivo classificato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), attraverso l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC), nel gruppo 1 delle sostanze per le quali vi è la massima evidenza di cancerogenicità e rappresenta uno dei principali fattori di rischio di tumore ai polmoni, dopo il fumo.

La direttiva 2013/59/Euratom, che stabilisce norme fondamentali di sicurezza relative alla protezione contro i pericoli derivanti dall’esposizione alle radiazioni ionizzanti, obbliga gli Stati membri dell’Unione europea a predisporre un Piano d’azione per il radon che affronta i rischi a lungo termine dovuti alle esposizioni al radon nelle abitazioni, negli edifici pubblici e nei luoghi di lavoro per qualsiasi fonte di radon, sia essa il suolo, i materiali da costruzione o l'acqua. Il Piano d'azione deve tenere conto degli aspetti elencati nell’apposito allegato III ed è aggiornato periodicamente. La sopra citata direttiva è stata recepita con il decreto legislativo 31 luglio 2021, n. 101 ed è ancora in corso la procedura per l’adozione del Piano nazionale d’azione per il radon mediante decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della transizione ecologica e della salute, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con la Conferenza Stato- Regioni sentito l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN) e l’Istituto superiore di sanità (ISS), ai sensi dell’art. 10, comma 1 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n.101.

La mancata adozione e attuazione del Piano nazionale, prevista dalla direttiva 2013/59/Euratom, ha comportato l’avvio della procedura di infrazione 2018/2044/ENER con l’invio della lettera di richiesta di informazioni da parte della DG ENER della Commissione europea che ha, tra l’altro, chiesto di essere costantemente informata sull’attuazione del Piano nazionale. Più recentemente la DG ENER della Commissione europea ha avviato una richiesta di informazioni ARES (2022)1775812, con carattere d’urgenza, al fine di evitare una procedura di infrazione. La richiesta riguarda le misure di prevenzione adottate nella Provincia di Taranto contro i pericoli derivanti dall’esposizione al radon. In particolare, la Commissione europea ritiene che le misure sinora intraprese in quel territorio siano insufficienti a garantire il rispetto della direttiva 2013/59/Euratom con specifico riferimento alla protezione della popolazione dall’esposizione al radon.

Tra i contenuti del Piano nazionale d’azione per il radon, rilevano i seguenti elementi:

  1. strategia per l'esecuzione di indagini sulle concentrazioni di radon in ambienti chiusi o concentrazioni di gas radon nel suolo al fine di stimare la distribuzione delle concentrazioni di radon in ambienti chiusi, per la gestione dei dati di misurazione e per la determinazione di altri parametri pertinenti (quali suolo e tipi di roccia, permeabilità e contenuto di radio-226 della roccia o del suolo);
  2. metodologie, dati e criteri utilizzati per la classificazione delle aree prioritarie o per la determinazione di altri parametri che possano essere utilizzati come indicatori specifici di situazioni caratterizzate da un'esposizione al radon potenzialmente elevata;
  3. identificazione delle tipologie di luoghi di lavoro ed edifici pubblici, ad esempio scuole, luoghi di lavoro sotterranei e luoghi di lavoro o edifici pubblici ubicati in determinate zone in cui sono necessarie misurazioni della concentrazione di radon sulla base di una valutazione del rischio, tenendo conto, ad esempio, delle ore di occupazione;
  4. identificazione delle tipologie di attività lavorative per le quali i lavoratori effettuano prestazioni in uno o più luoghi di lavoro, gestiti anche da terzi, la cui esposizione cumulativa al radon può comportare un rischio che non può essere trascurato dal punto di vista della radioprotezione;
  5. strategie per la riduzione dell'esposizione al radon nelle abitazioni e per affrontare in via prioritaria le situazioni di cui al punto 2;
  6. strategie volte a facilitare interventi di risanamento dopo la costruzione;
  7. strategia, compresi i metodi e gli strumenti, per prevenire l'ingresso del radon nei nuovi edifici, inclusa l'identificazione di materiali da costruzione con esalazione di radon significativa;
  8. strategia per la comunicazione finalizzata a sensibilizzare maggiormente l'opinione pubblica e a informare i responsabili delle decisioni a livello locale, i datori di lavoro e i dipendenti in merito ai rischi del radon, anche associati al consumo di tabacco;
  9. orientamenti riguardanti i metodi e gli strumenti per le misurazioni e gli interventi correttivi.
  10. orientamenti per la qualificazione dei servizi di dosimetria e dei servizi esperti in interventi di risanamento da radon;
  11. sostegno alle indagini finalizzate al rilevamento del radon e agli interventi di risanamento, soprattutto per quanto concerne le abitazioni private con concentrazioni di radon estremamente elevate;
  12. obiettivi di lungo termine in termini di riduzione del rischio di cancro dei polmoni attribuibile all'esposizione al radon (per fumatori e non fumatori);
  13. presa in considerazione di altre questioni associate e programmi corrispondenti, quali programmi sul risparmio energetico e la qualità dell'aria in ambienti chiusi.

La responsabilità per l’attuazione del Piano nazionale è affidata al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e al Ministero della salute che, nell’ambito delle proprie competenze, hanno una funzione di definizione dei contenuti e di monitoraggio della realizzazione delle attività.

La presenza del gas radon rappresenta una criticità poiché il territorio nazionale è caratterizzato da siti con emissività di radon importante in virtù sia della geomorfologia del territorio che delle tecniche costruttive utilizzate, oltre che da altri fattori di gestione della qualità dell’aria indoor. La predisposizione del Piano, svolta con la collaborazione delle amministrazioni interessate, ha evidenziato tale criticità. L’attuazione del piano, discendendo dal recepimento di una direttiva, rappresenta un obbligo comunitario, al quale fare fronte con un impegno di risorse, non reperibili negli stanziamenti ordinari.

 

Gli interventi necessari sono, in particolare:

  • individuazione delle aree interessate, “aree prioritarie”, con strumenti di tipo sia geomorfologico e sia di misurazione diretta della concentrazione media annua di radon indoor;
  • attuazione di interventi adeguati, tenuto conto delle caratteristiche della situazione;
  • monitoraggio dell’evoluzione della situazione
  • azioni di formazione dei lavoratori, di informazione della popolazione interessata
  • strategie di connessione tra la prevenzione e riduzione del gas radon indoor e gli interventi di efficientamento energetico e gestione della qualità dell’aria indoor.

Il problema dei costi deve, dunque, essere evidentemente tenuto in considerazione anche per consentire al al Ministero della salute e al Ministero della sicurezza energetica di garantire la piena attuazione del Piano.

Al fine, pertanto, di consentire alle autorità competenti, ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo 31 luglio 2020, n.101, di disporre di sufficienti risorse finanziarie per adempiere all’adozione dei provvedimenti opportuni in ottemperanza a quanto previsto dal Titolo IV, Capo I del suddetto decreto, con la norma in esame, si propone di istituire, nello stato di previsione del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, un fondo con una dotazione di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni 2023, 2024 e 2025, per il finanziamento degli interventi di individuazione delle aree, di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 31 luglio 2021, n. 101, in cui si stima che la concentrazione media annua di attività di radon in aria superi il livello di riferimento in un numero significativo di edifici, ai sensi dell’articolo 11, Capo I, titolo IV del decreto legislativo 31 luglio 2020, n.101.

 

ART. 8 (Istituzione del Fondo per la prevenzione e riduzione del radon indoor e per rendere compatibili le misure di efficientamento energetico, di qualità dell’aria in ambienti chiusi con gli interventi di prevenzione e riduzione del radon indoor. Procedura di infrazione 2018/2044. Caso Ares (2022) 1775812)

 

Analogamente con quanto previsto per l’articolo 7, con la norma di cui all’articolo 8, si propone di istituire, nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della sicurezza energetica, un fondo con una dotazione di 10 milioni di euro ogni anno dall’anno 2023 all’anno 2031, per il finanziamento degli interventi di riduzione e prevenzione del radon indoor e per interventi sinergici di efficientamento energetico, qualità dell’aria negli ambienti chiusi e prevenzione e riduzione del gas radon indoor.

 

ART. 9 (Misure in materia di circolazione stradale finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria. Procedure di infrazione n. 2014/2147, n. 2015/2043 e n. 2020/2299)

L’articolo 9 reca misure in materia di circolazione stradale finalizzate al miglioramento della qualità dell’aria. La direttiva 2008/50/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa, impone agli Stati membri di limitare le emissioni inquinanti ed è oggetto di tre procedure:

  • la prima infrazione, 2014/2147 ha ad oggetto la contestazione circa il superamento nelle zone interessate, dei valori limite giornaliero e annuale applicabili alle concentrazioni di particelle PM10 e la mancata adozione delle misure appropriate per garantire il rispetto dei valori limite fissati per le particelle PM10 nell’insieme delle zone interessate. In relazione a tale procedura, l’Italia è stata condannata dalla Corte di giustizia europea nella causa 644/18 ;
  • la seconda infrazione (2015/2043) ha ad oggetto il superamento e la mancata adozione di misure finalizzata a ridurre i valori limite del biossido di azoto. Nell’ambito di tale procedura, è stata pronunciata dalla Corte europea di giustizia sentenza di condanna nella causa n. 573/2019;
  • nel 2020 la Commissione apre la procedura di infrazione (2020/2299) relativamente al PM2,5.

Tra le varie iniziative intraprese dall’Italia per la risoluzione delle procedure si inserisce il Protocollo “Aria Pulita” sottoscritto, nell’ambito del Clean Air Dialogue, a Torino in data 4 giugno 2019, recante un Piano d’azione della durata di 24 mesi per il miglioramento della qualità dell’aria. 

In particolare, nell’ambito di intervento 3 “Mobilità”, sono delineate quali azioni di intervento:

  1. Azione 1. - Introduzione dei criteri ambientali nella disciplina della circolazione in ambito extraurbano che prevede quale misura attuativa: “A) formulare una proposta di modifica del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, volta ad introdurre il criterio ambientale per l’adozione di provvedimenti di limitazione della circolazione, limitatamente ai tratti autostradali adiacenti ai centri urbani, con particolare riferimento alla riduzione dei limiti di velocità”;
  2. Azione 2 – Controllo delle aree a traffico limitato che individua quale misura attuativa “formulare una proposta di modifica della legge n.127 del 1997 e del successivo decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 1999, n. 250 e congiuntamente dell’articolo 201 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 al fine di meglio precisare la possibilità dell’utilizzo dei dispositivi per il controllo delle aree a traffico limitato anche all’interno di tali aree e non solo nelle zone di varco”.

In tale contesto, si inserisce la disposizione in esame che è finalizzata ad attuare le misure indicate dal Protocollo di Torino, strumentali al superamento delle contestazioni all’Italia oggetto delle procedure di infrazioni citate.

Tenuto conto della misura attuativa delineata dall’Azione 1 prevista dal protocollo di Torino, al comma 1, lettera a), si introducono modiche all’articolo 6, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante il Nuovo Codice della Strada, prevedendo un nuovo sistema di regolamentazione della velocità sulle strade extraurbane principali, secondarie e sui tratti stradali o autostradali che attraversano centri abitati ovvero che sono ubicati in prossimità degli stessi, finalizzato a ridurre le emissioni inquinanti connesse ai trasporti.

In particolare, il comma 1-bis radica, in capo alle regioni e alle province autonome, sulle strade nei casi in cui risulti necessario limitare le emissioni derivanti dal traffico veicolare in relazione ai livelli delle sostanze inquinanti nell’aria, la possibilità di disporre riduzioni della velocità di circolazione dei veicoli, anche a carattere permanente, sulle strade extraurbane principali, secondarie e locali, limitatamente ai tratti stradali o autostradali che attraversano centri abitati ovvero che sono ubicati in prossimità degli stessi. La diposizione, al fine di assicurare la valutazione di tutti gli interessi coinvolti, prevede che vengano sentiti il prefetto o i prefetti competenti per territorio limitatamente agli aspetti di sicurezza della circolazione stradale, gli enti proprietari o gestori dell’infrastruttura stradale.

Il comma 1–ter prevede che l’ente proprietario o gestore dell’infrastruttura stradale provvede a rendere noti all’utenza i provvedimenti adottati ai sensi del comma 1-bis in conformità a quanto previsto dall’articolo 5, comma 3 del Codice della strada, ovvero con ordinanze motivate e rese note al pubblico mediante i prescritti segnali.

Il comma 1–quater prevede che il controllo della velocità nelle aree individuate ai sensi del comma 1-bis può essere effettuato ai sensi dell’articolo 201, comma 1-bis, lettera f, ovvero con i dispositivi non presidiati da operatori,  di cui all'articolo 4 del decreto-legge 20 giugno 2002, n. 121, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° agosto 2002, n. 168.

Il comma 1-quinquies stabilisce l’applicabilità delle sanzioni di cui all’articolo 142 del Codice della strada nei casi di mancata osservanza dei limiti di velocità stabiliti con i provvedimenti di cui al comma 1-bis.

Infine, la disposizione di cui al comma 1, lettera b), prevede, in coerenza con l’obiettivo di estendere la possibilità del controllo automatico all’interno ed in uscita dalle zone traffico limitato (ZTL), individuato nell’Azione 2 del Protocollo di Torino, l’inserimento, all’interno dell’art. 7 del Codice della Strada, del comma 9-ter), relativo alla possibilità, per i Comuni, di stabilire un tempo di permanenza massimo all’interno delle ZTL, anche in relazione alle categorie e ai veicoli interessati.

 

ART. 10 (Pratiche di raggruppamento e abbruciamento di materiali vegetali nel luogo di produzione. Procedura d’infrazione n. 2014/2147)

La proposta normativa di cui all’articolo 10 è volta ad evitare l’aggravamento della procedura d’infrazione n. 2014/2147, relativa al superamento dei valori limite fissati per il PM10, già giunta alla fase di sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 10/11/2020 (C-644/18), con cui è stato dichiarato l’inadempimento dell’Italia rispetto agli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE in relazione allo stato di qualità dell’aria ambiente in diverse zone del territorio nazionale.

Il duplice scopo perseguito dalla norma, ovvero di limitare progressivamente la pratica dell’abbruciamento dei residui vegetali e, ove possibile, di prediligere il recupero e valorizzazione di tali residui, risponde alla finalità di dare attuazione alla transizione ecologica, nel senso di rendere meno dannosi per l’ambiente determinati comportamenti consolidati (nella specie, la pratica dell’abbruciamento dei residui agricoli) e ‘costumi’ delle persone (nella specie, della categoria degli agricoltori) e al contempo di recuperare e valorizzare i residui agricoli attraverso la creazione di una filiera di raccolta e di trasformazione degli stessi in un prodotto (pellet o combustibile per teleriscaldamento ad esempio) avente valore di mercato. La proposta si inserisce nel Protocollo Aria Pulita sottoscritto il 4 giugno 2019 a Torino, in occasione del Clean Air Dialogue tra l’Italia e la Commissione europea, che, sul tema dell’abbruciamento dei residui agricoli, prevedeva che entro 180 giorni dall’entrata in vigore dello stesso il Ministero dell’ambiente ed il Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste formulassero una proposta di modifica del decreto legislativo n. 152/2006 volta progressivamente a limitare la pratica dell’abbruciamento dei residui vegetali, anche nell’ottica del recupero e valorizzazione di tali residui, ed è legata al Piano per la qualità dell’aria inserito nella sezione riforme della Missione 2 del PNRR. In attuazione di tale impegno, sono stati svolti numerosi incontri con gli uffici competenti del Ministero dell'agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste al fine di elaborare e concordare un testo normativo avente la finalità sopra descritta.

 

ART. 11 (Disposizioni in materia di riconoscimento del servizio agli effetti della carriera per il personale delle Istituzioni di Alta Formazione Artistica Musicale e Coreutica. Procedura di infrazione n. 2014/4231)

L’articolo 11 reca disposizioni in materia di riconoscimento del servizio agli effetti della carriera per il personale delle AFAM, ossia le Istituzioni di Alta Formazione Artistica e Musicale.

La norma interviene sugli articoli 485, comma 1, e 569, comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 1994, recante: “Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado” (rispettivamente commi 1 e 2 del presente articolo), escludendone l’applicazione nei confronti del personale delle AFAM di cui all’articolo 1 della legge 21 dicembre 1999, n. 508, laddove prevede che i servizi pre-ruolo non siano riconosciuti per intero ai fini delle ricostruzioni di carriera, violando, in tal modo, la direttiva 99/70/CE.

Tali norme continuano ad applicarsi al personale docente e tecnico amministrativo delle AFAM che, prima dell’intervento normativo della legge n. 508 del 1999 (che ha previsto all’articolo 2, comma 6, un apposito Comparto), era disciplinato dal contratto collettivo nazionale del personale della scuola. Poiché, anche successivamente all’approvazione della legge n. 508 del 1999, né la disciplina specifica di comparto né i regolamenti di attuazione della medesima legge istitutiva hanno disposto alcunché in materia di riconoscimento del servizio in pre-ruolo, svolto dal personale delle Istituzioni, a fini di carriera, sulla scorta dall’art. 5 del CCNL del 4.08.2010, relativo al personale del comparto AFAM, recante “Conferma di discipline preesistenti” nonché del parere prot. 4674 del 6 luglio 2012 - reso dal MEF-RGS, si è continuato, sino ad oggi, ad applicare al personale dipendente delle predette Istituzioni la normativa vigente al momento in cui faceva parte del comparto scuola, laddove non diversamente disciplinato.

Con diverse pronunce (sentenze e ordinanze nn. 22552/2016, 22558/2016, 29791/2018, 31149/2019, 15231/2020, 24201/2020, 4877/2020), la Corte di Cassazione ha affermato il principio di diritto in base al quale, ai fini delle ricostruzioni di carriera, la Clausola 4 dell’Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato, recepito dalla direttiva 99/70/CE, impone di riconoscere integralmente l’anzianità di servizio maturata dal personale del comparto assunto con contratti a termine. Si segnala, in particolare, la sentenza della Corte di Cassazione, IV Sezione Lavoro, del 28 novembre 2019, n. 31149, nella quale si precisa che: “L’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive, disciplina il riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall'art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato”.

Per quanto concerne il personale tecnico-amministrativo, con la sentenza n. 31150/2019 della Suprema Corte è stato disapplicato l’articolo 569 del decreto legislativo n. 297 del 1994, sulla base del seguente principio di diritto: “Nel settore scolastico, l’art. 569 del d.lgs n. 297 del 1994, nella parte in cui limita il riconoscimento al personale ATA assunto con contratti a termine, e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità pari al servizio effettivo prestato, si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CE e va disapplicato”.

Al momento, l’applicazione della Clausola 4, come interpretata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea e della Corte di Cassazione, è lasciata alla decisione del giudice del lavoro, cui è costretto a rivolgersi il personale delle istituzioni AFAM impugnando il decreto di ricostruzione di carriera emanato dalle singole istituzioni in applicazione della disciplina di cui agli articoli 485, comma 1, e 569, comma 1, del decreto legislativo n. 297 del 1994.

Tanto premesso, la disposizione mira a superare le criticità constatate nella procedura di infrazione n. 2014/4231, nell’ambito della quale la Commissione UE ha evidenziato che l’Italia abbia violato le clausole 4 e 5 dell’”Accordo quadro” allegato alla direttiva 1999/70/CE, in base al quale il contratto di lavoro “a tempo determinato” può essere utilizzato - in quanto meno vantaggioso per il lavoratore di quello “a tempo indeterminato” - solo al fine di fronteggiare esigenze straordinarie ed occasionali, chiedendo, pertanto, che si ponga fine alla prassi di perpetuare forme contrattuali destinate a situazioni del tutto eccezionali, in violazione della normativa nazionale e di quella europea.

 

ART. 12 (Potenziamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Procedura di infrazione n. 2014/4231)

L’articolo 12 trae origine dal rilievo formulato dalla Commissione europea in ordine alla non conformità della legislazione italiana alle disposizioni unionali in materia di lavoro a tempo determinato, anche per la categoria del personale volontario c.d. discontinuo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, il cui rapporto con l’Amministrazione andrebbe in sostanza regolato secondo il suindicato istituto giuridico e non con le modalità semplificate degli attuali richiami in servizio come regolamentati dalla legislazione nazionale.

Verificati i profili di criticità applicativa e di scarsa utilità operativa dello strumento del rapporto di lavoro a tempo determinato qualora applicato al servizio dei cd. discontinui, è stato predisposto un intervento legislativo che, interrompendo il meccanismo dei cosiddetti richiami in servizio del personale discontinuo, supera in modo definitivo la situazione di fatto che ha generato l’apertura della procedura di infrazione, escludendo il rischio di dover sostenere i connessi oneri economici.

Infatti, con il potenziamento delle dotazioni organiche delle qualifiche dei vigili del fuoco e degli operatori, si potranno compensare i notevoli riflessi negativi, sia sul piano organizzativo che funzionale, che verrebbero a generarsi per i mancati richiami del personale volontario discontinuo, assicurando il mantenimento dei livelli di efficienza ed efficacia dei compiti istituzionali svolti dal Corpo nazionale.

Pertanto, al comma 1, sono state individuate in numero pari a 550 (di cui 350 vigili del fuoco e 200 operatori) le unità di personale da assumere in via straordinaria e a tempo indeterminato, sulla base dell’effettivo impiego reso dal suddetto personale in diversificate attività presso le strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale (completamento delle squadre di intervento, supporto amministrativo, autista per i servizi di istituto, piccoli interventi di manutenzione, ecc.). Tale numero è stato determinato considerando le ore di servizio annue mediamente prestate dal personale discontinuo fino al 2020 (circa 720.000) e che in futuro dovranno essere rese da personale assunto a tempo indeterminato. Tuttavia non si può non tener conto della recrudescenza degli incendi boschivi verificatesi nell’ultimo biennio che ha comportato un impegno straordinario dei vigili del fuoco con una mobilitazione nazionale di personale e mezzi evidenziando la necessità di un assetto che permetta una più capillare operatività in ambienti di grande pregio ambientale al fine di aumentare la rapidità e l’efficacia di intervento delle strutture del Corpo nazionale. La previsione di presidi rurali risponde proprio all’esigenza non più rinviabile di potenziare il sistema di contrasto statale con squadre e reparti aggiuntivi dislocati all’interno o in prossimità dei parchi e delle aree protette. In tale contesto non potendo contare sull’apporto del personale discontinuo, che sarebbe risultato particolarmente prezioso per la rapidità di richiamo in servizio e la flessibilità di impiego, occorre sopperire con un potenziamento della componente operativa di ruolo già computata nel contingente di 350 unità. Si prevede, di conseguenza, un incremento della dotazione organica di cui alla Tabella A, allegata al decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, che viene rideterminata in base ai suddetti incrementi. 

Le assunzioni sono previste a decorrere dal 1° ottobre 2023 (comma 2) per garantire il necessario periodo di transizione dall’attuale sistema, basato sui richiami in servizio del personale discontinuo, al futuro assetto che verrà determinato dalle assunzioni in argomento, traguardando in tal modo anche il periodo estivo, particolarmente delicato tra l’altro per l’espletamento della campagna antincendio boschivo, che rende solitamente più gravoso l’impegno del Corpo sull’intero territorio nazionale. Trattandosi di assunzioni straordinarie connesse alla cessazione dei richiami dei volontari cd. discontinui per far fronte alla procedura di infrazione avviata dalla Commissione europea, rispetto alle modalità già utilizzate in casi analoghi, che prevedevano una percentuale di riserva del 30% a favore della graduatoria del personale discontinuo formata ai sensi dell’articolo 1, comma 295, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, è stata indicata la possibilità di assumere tutte le 550 unità dalla citata graduatoria. Ciò consentirà di assorbire un più alto numero di unità dalla graduatoria di stabilizzazione di tale personale volontario. Inoltre, per le assunzioni nella qualifica di operatore, che determinerebbe il passaggio da un’attività prettamente operativa ad un’attività tecnico-professionale, si dispone lo svolgimento di una selezione, attraverso un apposito bando, per accertare l’idoneità dei candidati a svolgere le specifiche funzioni proprie della qualifica di operatore di cui all’articolo 70 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217.

Il comma 3 individua gli oneri relativi alle spese di funzionamento (vettovagliamento e vestiario) relative alle predette assunzioni, stabiliti in euro 703.630 per l’anno 2023 e in euro 550.000 a decorrere dall’anno 2024.

Il comma 4 quantifica l’onere complessivo connesso alle 550 unità da assumere, ivi incluse le spese per il trattamento economico accessorio e quelle di funzionamento, a partire da 6.075.383 euro per l’anno 2023 per arrivare a 26.080.019 euro a decorrere dall’anno 2032.

Il comma 5 prevede la copertura finanziaria degli oneri complessivi previsti dalla proposta normativa, per far fronte ai quali si provvede mediante la riduzione degli stanziamenti di spesa per la retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritti nello stato di previsione del Ministero dell’Interno, nell’ambito della missione “Soccorso civile”, nonché mediante corrispondente riduzione del fondo per il recepimento della normativa europea di cui all’art. 41 bis della legge 24 dicembre 2021, n. 234.

Il comma 6 circoscrive l’impiego annuale del personale volontario, ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, nel limite delle risorse che residuano nell’autorizzazione annuale di spesa al netto delle utilizzazioni di cui al comma 5. Tali risorse saranno utilizzate a copertura delle spese del personale volontario cd. puro che, a differenza dei discontinui, potrà continuare ad essere impiegato per le attività del Corpo nazionale.

Il comma 7, con l’autorizzazione del Ministro dell’economia e delle finanze ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio, chiude le disposizioni di carattere finanziario.

Inoltre, il comma 8, al fine di favorire il processo di graduale assorbimento nei ruoli operativi del Corpo nazionale del personale discontinuo in possesso di specifici requisiti, introduce la  percentuale di riserva del 30% a favore della graduatoria del personale discontinuo formata ai sensi dell’articolo 1, comma 295, della legge 27 dicembre 2017, n. 205, anche per le rimanenti assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco di cui all’articolo 1, comma 877, della legge 30 dicembre 2020, n. 178 (legge di bilancio 2021), pari a 750 unità nel triennio 2021-2023.

 

ART. 13 (Disposizioni per il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Procedura di infrazione n. 2014/4231)

Con l’articolo 13 vengono disposti gli interventi sull’assetto delle norme vigenti, concernenti il personale volontario del Corpo nazionale, che si rendono necessari al fine di adeguarlo al nuovo quadro che scaturisce a seguito dei rilievi formulati dalla Commissione europea. Va, al riguardo, precisato che il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 97, attuativo del progetto di riordino del Corpo nazionale recato dalla legge delega 7 agosto 2015, n. 124, ha previsto che i volontari del Corpo nazionale, già iscritti nell'unico elenco tenuto presso i Comandi provinciali dei vigili del fuoco, potessero chiedere l'iscrizione in appositi nuovi elenchi distinti in due tipologie, rispettivamente per le necessità dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale e per le necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo stesso. Si sottolinea anche che il citato decreto ha disposto che solo il personale iscritto nell'elenco istituito per le necessità delle strutture centrali e periferiche (c.d. discontinuo) può essere oggetto di eventuali assunzioni in deroga. L’Amministrazione ha dato attuazione alla disposizione in argomento, avviando immediatamente le iniziative amministrative che hanno condotto all’effettiva attivazione dei due elenchi. Sul punto si evidenzia che si è operato partendo dal fatto che la procedura di infrazione non concerne i volontari - che la stessa Commissione definisce “puri” - che operano nei distaccamenti volontari istituiti sul territorio, bensì solo i volontari cd. discontinui, quelli cioè richiamati per le esigenze delle strutture centrali e periferiche del Corpo. Va anche tenuta presente la significativa scelta operata dal legislatore nel 2017, quando nel decreto legislativo del 29 maggio 2017 n. 97, all’articolo 14, ha espressamente previsto che l’elenco in cui sono iscritti i cd. volontari discontinui è ad esaurimento, con ciò già prefigurando la conclusione di tale modalità di impiego del predetto personale. Pertanto, le disposizioni di cui al presente articolo devono necessariamente tener conto dell’esigenza di non abrogare sic et simpliciter il complesso delle norme che disciplinano l’apporto del personale volontario ma, soprattutto, di orientarne l’applicazione ai soli volontari cd. puri, quelli cioè che operano e continueranno ad operare nei distaccamenti volontari del Corpo.

Con tale finalità il comma 1, mediante l’inserimento dell’art. 12-bis, novella il decreto legislativo 8 marzo 2006, n. 139, concernente le funzioni e i compiti del Corpo nazionale, e segnatamente quelle del Capo II, Sezione II. In particolare, il comma 1 del cennato articolo aggiuntivo stabilisce che le predette disposizioni si applicano esclusivamente al citato personale volontario iscritto nell’elenco per le necessità dei distaccamenti volontari del medesimo Corpo, mentre il comma 2 dispone nelle more dell’adozione del regolamento che disciplinerà i requisiti, le modalità di reclutamento e d’impiego, l’addestramento iniziale, il rapporto di servizio e la progressione del personale volontario, le disposizioni del vigente decreto del Presidente della Repubblica 6 febbraio 2004, n. 76 si applicano esclusivamente al personale volontario iscritto nell’elenco per le necessità dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Al comma 2 dell’articolo in esame, si conferma, per il solo personale volontario puro, la vigenza dell’articolo 29, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, cioè della norma che esclude un rapporto di lavoro derivante da contratto a tempo determinato per tale personale.

Diversa finalità ha il comma 3: con tale norma, l’Amministrazione intende confermare la validità di quelle norme volte a non disperdere le professionalità acquisite dal personale volontario, ma, anzi, a valorizzarlo, consentendo canali particolari di accesso con assunzioni a tempo indeterminato al Corpo nazionale. Si richiamano, al riguardo, le disposizioni in materia di riserva di posti nei concorsi pubblici per l'accesso a tutte le qualifiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. In particolare, il decreto legislativo 29 maggio 2017, n. 97 ha modificato le disposizioni di cui all’articolo 5 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217, elevando dal 25 al 35% la riserva di posti, in favore dei volontari, nell’ambito del concorso pubblico per l’assunzione nella qualifica di vigile del fuoco. Con lo stesso provvedimento normativo, sono state anche introdotte ulteriori riserve in favore dei volontari, pari al 10% dei posti disponibili, in tutti gli altri concorsi di accesso nei ruoli del Corpo nazionale.

Si fa riferimento ai novellati articoli 21 (concorso per vice ispettore antincendi), 41 (concorso per vice direttore), 53 (accesso al ruolo dei direttivi medici), 62 (accesso al ruolo dei direttivi ginnico sportivi), 97 (accesso al ruolo collaboratori e sostituti direttori amministrativo contabili), 108 (accesso al ruolo dei collaboratori e sostituti direttori tecnico informatici), 119 (accesso al ruolo dei funzionari amministrativo contabili direttori) e 126 (accesso al ruolo dei funzionari tecnico informatici direttori) del decreto legislativo n. 217/2005 (articoli ora sostituiti dal decreto legislativo 6 ottobre 2018, n. 127). Allo stesso modo, in ordine all’accesso al ruolo degli operatori e degli assistenti, che avviene mediante selezione tra i cittadini italiani inseriti nell’elenco anagrafico presente presso i centri per l’impiego, nel citato decreto legislativo di riordino è stata attribuita la precedenza in favore del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Si è già fatto cenno alla norma che consente al solo personale discontinuo di poter essere oggetto di eventuali assunzioni straordinarie. Per tale personale è in atto, già dal 2018, una procedura di stabilizzazione che, non prevedendo, per la prima volta, alcun limite di età per l’ingresso, ha generato una graduatoria di 8946 idonei, dalla quale sono state sinora assunte 754 unità, fino ad arrivare alla posizione n. 2045 per l’ultimo assunto (si precisa che sono molti i volontari che non si presentano alla prova e, previa giustificazione, restano in graduatoria). Dalla suddetta graduatoria è possibile attingere per il 30% delle assunzioni straordinarie nella qualifica di vigile del fuoco.

Si precisa che il predetto personale discontinuo ha potuto e potrà accedere, sempre per il 30% dei posti, alle seguenti assunzioni straordinarie:

  • articolo 1, commi 287, 289 e 295, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (legge di bilancio 2018): 350 assunzioni nel 2018, 100 assunzioni nel 2019, 383 assunzioni nel 2020, 383 assunzioni nel 2021 e 384 assunzioni nel 2022;
  • articolo 1, comma 389, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019): 650 assunzioni dal 10 maggio 2019, 200 assunzioni dal 1° settembre 2019 e 650 assunzioni dal 1° aprile 2020 (parte di tali assunzioni è stata riservata per esaurire definitivamente la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti indetto nel 2008);
  • articolo 1, commi 136 e 137 della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (legge di bilancio 2020): 60 assunzioni a decorrere dal 1° aprile 2020, 40 assunzioni dal 1° ottobre 2021 e 100 assunzioni dal 1° ottobre di ciascuno degli anni dal 2022 al 2025.

Con la presente proposta normativa verrà ampliata la possibilità di attingere alla predetta graduatoria anche per tutte le 550 nuove assunzioni straordinarie ivi previste, sia, in parte, per le rimanenti assunzioni straordinarie di cui all’articolo 1, comma 877, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.

Il medesimo intento viene perseguito anche con la disposizione di cui al comma 4, che interviene sull’articolo 6 del decreto legislativo n. 139 del 2006, così come modificato dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 97 del 2017. Tale norma già prevede che il solo personale volontario discontinuo può essere oggetto di eventuali assunzioni in deroga, con conseguente trasformazione del rapporto di servizio in rapporto di impiego con l’amministrazione. In tale ambito viene introdotta la specifica percentuale del 30% delle assunzioni straordinarie che in futuro interesseranno la qualifica di vigile del fuoco del Corpo nazionale, e viene indicata, quale bacino da cui attingere, la citata graduatoria dei discontinui.

Tali iniziative non consentono certamente una risposta esaustiva per tutta la platea degli iscritti negli elenchi dei c.d. discontinui, ma, oltre ad interrompere il meccanismo dei richiami in servizio e, quindi, il rischio di infrazione comunitarie, costituiscono un segnale concreto nei confronti delle aspirazioni del predetto personale nei limiti delle oggettive possibilità di questa Amministrazione.

Il comma 5 introduce disposizioni volte a porre rimedio ad alcune anomalie verificatesi in questi primi anni di applicazione delle norme concernenti lo scorrimento della graduatoria dei discontinui. In particolare, si prevede che l’assenza ingiustificata o la mancata partecipazione per due volte, anche se giustificata, all’accertamento dell’idoneità o all’accertamento dei requisiti di idoneità psico-fisica e attitudinale determinano l’esclusione del candidato dalla graduatoria. Si è infatti verificato, ad esempio, il fenomeno di reiterata presentazione di certificati medici da parte delle stesse persone chiamate ad effettuare i predetti accertamenti, che costituiscono condizione necessaria per l’assunzione. Tale fenomeno, oltre ad appesantire le procedure assunzionali generando una permanenza senza fine nella graduatoria, costituisce un evidente segnale di mancanza dei requisiti necessari all’assunzione o di non interesse alla stessa.

Il comma 6, nel tener conto della complessità del passaggio al nuovo regime imposto dalle determinazioni unionali e dei tempi necessari a portare a conclusione le 550 assunzioni straordinarie, consente il passaggio definitivo al nuovo assetto al compimento delle procedure assunzionali di cui all'articolo precedente e comunque entro il 30 ottobre 2024.

La disposizione, inoltre, consente alle 350 unità assunte come vigili del fuoco di continuare a svolgere le funzioni relative alle capacità professionali acquisite come volontario nelle more dell'avvio del corso di formazione di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217. Ciò al fine di evitare che l'immediata interruzione dei richiami possa determinare ripercussioni negative sull'operatività del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Il comma 7 persegue un’armonizzazione con le indicazioni della Commissione europea circa la natura della prestazione di lavoro resa dal personale discontinuo, che viene assimilata ad un rapporto di lavoro a tempo determinato. La norma, quindi, al fine di concentrare le opportunità di assunzione nel Corpo nazionale, sui soggetti privi di occupazione lavorativa, stabilisce che a decorrere dal 31 dicembre 2023, il personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, iscritto nell’elenco e nella graduatoria di cui al comma 3, permane nei medesimi se iscritto nell’elenco anagrafico presso i centri per l’impiego alla data del 31 dicembre 2023.

 

ART. 14 (Modifiche al testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado, di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297. Procedura d’infrazione 2014/4231)

L’articolo 14 reca disposizioni in materia di riconoscimento del servizio agli effetti della carriera per il personale docente e amministrativo, tecnico e ausiliario delle istituzioni scolastiche.

Esso interviene sulle previsioni del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Testo Unico Istruzione) per quanto di competenza del personale scolastico affinché i servizi “pre-ruolo”, non integralmente considerati dalle norme vigenti, vengano riconosciuti per intero ai fini delle ricostruzioni di carriera, in coerenza con quanto previsto dalla Direttiva n. 99/70/CE.

La modifica si rende necessaria al fine di allineare l’ordinamento nazionale alla clausola 4 dell’Accordo quadro sul rapporto di lavoro a tempo determinato recepito dalla Direttiva 99/70/CE, che impone di riconoscere integralmente l’anzianità di servizio del personale di comparto assunto con contratti a termine. La non conformità alla direttiva è oggetto della procedura d’infrazione 2014/4231, in ragione del principio di non discriminazione dei lavoratori a tempo indeterminato e a tempo determinato.

Con numerose e univoche pronunce (Sentenze e Ordinanze nn. 22552/2016, 22558/2016, 29791/2018, 31149/2019, 15231/2020, 24201/2020, 4877/2020), la Suprema Corte di Cassazione ha affermato il principio giurisprudenziale in base al quale, ai fini delle ricostruzioni di carriera, la clausola 4 dell’Accordo Quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla Direttiva n. 99/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere integralmente l’anzianità di servizio maturata dal personale del comparto assunto con contratti a termine. In particolare, la sentenza n. 31149 della Corte di Cassazione, IV Sezione Lavoro, del 28 novembre 2019, ha statuito che “L’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994, che anche in forza del rinvio operato dalle parti collettive, disciplina il riconoscimento dell'anzianità di servizio dei docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell'amministrazione scolastica, viola la clausola 4 dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato, nei casi in cui l'anzianità risultante dall'applicazione dei criteri dallo stesso indicati, unitamente a quello fissato dall'art. 489 dello stesso decreto, come integrato dall'art. 11, comma 14, della legge n. 124/1999, risulti essere inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato”.

Per quanto concerne il personale tecnico-amministrativo, con la sentenza n. 31150/2019 della Suprema Corte è stato disapplicato l’art 569 del d.lgs n. 297 del 1994, sulla base del seguente principio di diritto: “Nel settore scolastico, l’art. 569 del d.lgs n. 297 del 1994, nella parte in cui limita il riconoscimento al personale ATA assunto con contratti a termine, e definitivamente immesso in ruolo, di un’anzianità pari al servizio effettivo prestato, si pone in contrasto con la clausola 4 dell’Accordo quadro allegato alla direttiva n. 99/70/CE e va disapplicato”.

Al momento, l’applicazione della clausola 4 come interpretata dalle pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e dei principi giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione è lasciata alla decisione del Giudice del lavoro, cui si rivolge il personale delle istituzioni scolastiche impugnando la ricostruzione di carriera effettuata dalle scuole.

Occorre considerare che lasciare al giudice il lavoro il compito di disapplicare la norma interna confliggente con quella europea produce un costante e copioso contenzioso, a fronte del quale l’Amministrazione risulta soccombente, con condanna al pagamento delle spese di lite, che gravano sul bilancio dello Stato. Inoltre, l’instaurazione del contenzioso in materia di ricostruzione di carriera diviene l’occasione per richiedere anche il risarcimento del danno derivante dall’abuso di ricorso ai contratti a termine (cosiddetto “danno comunitario”), con ulteriore gravame a carico del bilancio dello Stato.

L’intervento non si limita ad allineare la normativa nazionale alla Direttiva, bensì consente di prevenire il contenzioso e di ridurre gli esborsi ad esso connessi e gravanti sul bilancio dello Stato.

In particolare, con il comma 1, lettera a), si interviene sul testo dell’art. 485, comma 1, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, che reca la vigente disciplina dell’istituto della ricostruzione di carriera del personale docente stabilendo che il servizio prestato in qualità di docente non di ruolo, sia riconosciuto per intero ai fini giuridici ed economici per i primi 4 anni e nella misura dei 2/3 per la  parte eventualmente eccedente tale periodo, mentre, il rimanente 1/3 sia riconosciuto ai soli fini economici.

La distinzione dei periodi riconosciuti ai fini della carriera in “utili ai fini giuridici ed economici” e in “utili ai soli fini economici” deriva dal tipo di progressione di carriera in uso negli ordinamenti giuridico-economici precedenti a quelli degli attuali C.C.N.L.

In base al regime vigente, a far data dall’applicazione del C.C.N.L. 4 agosto 1995, per le ricostruzioni di carriera che decorrono dopo il 1° gennaio 1996, tenuto conto del rinvio operato dal C.C.N.L. alle previsioni del d.P.R. n. 399/88, al momento dell’istanza di ricostruzione di carriera, l’inquadramento nelle fasce stipendiali è effettuato considerando provvisoriamente solo l’anzianità utile ai soli fini giuridici ed economici, mentre l’anzianità utile ai soli fini economici temporaneamente non si considera. Essa è attribuita successivamente al maturare del tetto delle anzianità utile ai fini giuridici ed economici previsto dall’art. 4, comma 3, del d.P.R. n. 399/88 (i.e. 16 anni per i docenti laureati scuola secondaria di secondo grado, 18 anni per gli altri docenti e responsabili amministrativi, 24 anni per i docenti conservatori ed accademie, istituto del “riallineamento della carriera” o “aggiornamento della ricostruzione di carriera”).

Al maturare dei menzionati tetti di anzianità di servizio, il docente può ottenere il riconoscimento integrale dell’anzianità pre-ruolo anche ai fini giuridici ed economici, recuperando l’1/3 di anzianità che al momento della ricostruzione iniziale della carriera era stato valutato utile ai soli fini economici (circolare del Ministero dell’istruzione n. 466 del 1° dicembre 1998).

Con la modifica in esame  dell’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994 si supera la disciplina suindicata, con la conseguenza che il personale docente immesso in ruolo a far data dall’anno scolastico 2023/24, dopo aver superato il periodo di prova e ottenuta la conferma in ruolo, potrà dietro richiesta avere riconosciuto subito tutto il periodo di servizio pre-ruolo svolto, ai fini giuridici ed economici.

Le disposizioni di cui al comma 1, lettera a), nn. 2), 3) e 4), constano di adeguamenti dei riferimenti interni presenti nelle altre disposizioni sulla disciplina della ricostruzione di carriera per il personale docente, conseguenti alla modifica di cui al n. 1) della medesima lettera a).

Il comma 1, lettera b) modifica l’attuale testo dell’art. 489 del d.lgs. n. 297/1994 nel senso di prevedere che, ai fini del riconoscimento del servizio di insegnamento, si valuta il servizio effettivamente prestato e non trova applicazione la disciplina sulla validità dell’anno scolastico prevista dall’ordinamento scolastico al momento della prestazione.

In base alla vigente formulazione dell’art. 489 del Testo unico istruzione, al docente con servizio pre-ruolo l’anno e` computato per intero ai fini del riconoscimento se il contratto o i vari contratti cumulati raggiungono almeno 180 giorni ovvero se il servizio e` stato svolto, senza nessuna interruzione, dal 1° febbraio fino agli scrutini compresi.

Il riferimento introdotto dalla proposta normativa in esame al “servizio effettivamente prestato” ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo fa sì che non si possa più fare applicazione dell’art. 11, comma 14, legge n. 124/1999 alla ricostruzione di carriera, ai sensi del quale “Il comma 1 dell'articolo 489 del testo unico è da intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a decorrere dall'anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle operazioni di scrutinio finale”, con un evidente abbassamento dei costi sostenuti a titolo di riconoscimento del servizio pre-ruolo.

Tale modifica normativa trova la sua ratio nel venir meno a seguito dell’introduzione del principio del riconoscimento integrale del servizio pre-ruolo dei docenti del correttivo previsto dall’articolo 489 del TUI.

Ciò è reso evidente anche alla luce delle statuizioni della giurisprudenza. In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che “un problema di trattamento discriminatorio può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di servizio, non quella virtuale ex art. 489 d.lgs. n. 297/1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti superiore a quella riconoscibile ex art. 485 d.lgs. n. 297/1994, perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione riservata all’assunto a tempo indeterminato” (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 31149/2019).

Conseguentemente, la sentenza precisa che, ai fini della determinazione del calcolo dell’anzianità: “…occorre, quindi, tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente, degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato (congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo, né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015), sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle attività di scrutinio…” (cfr. Cass., sez. lav., sent. n. 31149/2019).

Ai fini di tale verifica, come correttamente rilevato, la Corte di Cassazione ha comunque specificato che non vanno presi in considerazione gli intervalli non lavorati, né va applicato il criterio dell’equivalenza di cui all’art. 489 dello stesso decreto.

Affinché il docente si possa dire discriminato dall’applicazione dell’art. 485 d.lgs. 297/1994 (con conseguente disapplicazione della stessa per contrarietà con la clausola n. 4) deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della suddetta norma (anno intero per i primi 4 anni di servizio e 2/3 per i successivi), sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato il docente assunto con contratto a tempo indeterminato per svolgere le stesse mansioni. Per svolgere tale comparazione, secondo la Suprema Corte, è necessario eliminare dal computo complessivo dell’anzianità del lavoratore a tempo determinato il meccanismo di compensazione a lui favorevole costituito dalla regola di cui all’art. 489 del d.lgs. 297/1994 (secondo il quale: “...I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del periodo richiesto per il riconoscimento...”).

In buona sostanza, secondo la Suprema Corte, una situazione di discriminazione determinata dall’art. 485 del d.lgs. 297/1994 si pone nel caso in cui l’anzianità di effettivo servizio svolto dal lavoratore a tempo determinato (e non l’anzianità virtuale determinata ai sensi dell’art. 489) risulti superiore a quella riconoscibile con il criterio di cui al medesimo art. 485. Alla luce di ciò, nel calcolo dell’anzianità la Suprema Corte ha ritenuto che debba essere considerato il servizio effettivamente svolto, nonché il servizio non svolto che non comporta la decurtazione dell’anzianità per l’assunto a tempo indeterminato (es. congedo ed aspettativa retribuiti, maternità ed istituiti assimilabili). Non può, viceversa, essere computato l’intervallo fra la cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento del successivo, così come, pure, il periodo, per le supplenze diverse da quelle annuali, dei mesi estivi.

Ebbene, una volta riconosciuta per intero l’anzianità di servizio pre-ruolo non ha più ragion d’essere il meccanismo di compensazione favorevole costituito dalla regola di cui all’art. 489 del d.lgs. 297/1994 che pertanto viene modificato dall’articolo 23 in esame recependo i principi sopra enunciati e prevedendo che sia riconosciuta l’anzianità di effettivo servizio svolto dal lavoratore a tempo determinato (e non l’anzianità virtuale determinata ai sensi dell’art. 489 pre-modifica).

Infine, la lettera c) modifica la disciplina dettata dall’articolo 569 del d.lgs. n. 297/1994 in materia di riconoscimento del servizio pre-ruolo prestato dal personale ATA.

A legislazione vigente, in sede di prima applicazione della ricostruzione di carriera, il servizio non di ruolo prestato nelle scuole e istituzioni educative statali è riconosciuto al personale amministrativo, tecnico e ausiliario (A.T.A.) sino ad un massimo di tre anni agli effetti giuridici ed economici e, per la restante parte, nella misura di due terzi, ai soli fini economici.

Il riconoscimento per intero del servizio pregresso viene differito, in applicazione dell’art. 4, comma 3, del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399, al raggiungimento del 18° anno di anzianità per i DSGA e del 20° anno di anzianità per il restante personale ATA.

In sostanza, pertanto, per effetto del meccanismo del c.d. “riallineamento”, al raggiungimento dell’anno di servizio indicato per ogni categoria professionale, il predetto personale ha modo di “recuperare”, ai soli fini economici, l’anzianità di servizio residua (il restante 1/3) non calcolata in precedenza in fase di ricostruzione carriera.

Ciò consente al personale ATA di conseguire, al maturare del tetto di anzianità indicato per ogni categoria professionale, l’attribuzione della posizione stipendiale corrispondente al servizio pregresso svolto.

Va precisato peraltro che, a differenza di quanto accade per il personale docente, nel caso del personale A.T.A. non trovano applicazione, ai fini del riconoscimento del servizio pre-ruolo, le previsioni di cui all’art. 489 del d.lgs. n. 297/1994. Per tale categoria di personale, infatti, vengono considerati utili solo i periodi di servizio effettivamente prestati di modo che la modifica che ci si propone di apportare all’articolo 489 non ha impatto per il personale ATA.

La proposta normativa in  esame, nel prendere atto della giurisprudenza ormai consolidata, in sede contabile e ordinaria, sul tema dell’integrale riconoscimento dell’anzianità maturata nei servizi prestati dal personale ATA prima della immissione in ruolo ai fini della ricostruzione della carriera, supera la disciplina sopra richiamata, prevedendo che il servizio non di ruolo prestato dal predetto personale nelle scuole e istituzioni educative statali possa essere integralmente riconosciuto, agli effetti giuridici ed economici, già in sede di prima applicazione della ricostruzione di carriera, con conseguente immediato inserimento nella corrispondente fascia stipendiale. Per effetto della modifica proposta, vengono quindi, in sostanza, anticipati al momento della richiesta di ricostruzione di carriera il riconoscimento anche della quota dell’1/3 di servizio pre-ruolo - quota attualmente riconosciuta solo a distanza di tempo - e l’inserimento nel gradone stipendiale spettante sulla base del servizio pregresso prestato. La norma dispone pro-futuro e pertanto per coloro che sono immessi in ruolo a decorrere dal 2023/2024.

 

ART. 15 (Disposizioni in materia di Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente- Caso ARES (2021) 5623843)

L’articolo 15 reca disposizioni in materia di Carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del docente. L’articolo 1, comma 121, della legge 13 luglio 2015, n. 107, prevede l’attribuzione al solo docente di ruolo della carta elettronica per l’aggiornamento e la formazione del valore di euro 500, con esclusione del personale docente con contratto a tempo determinato.

La proposta mira ad estendere il beneficio dell’attribuzione della citata carta anche ai docenti con contratto di supplenza annuale su posto vacante e disponibile, nonché a stabilire che l’importo annuo da assegnare nominalmente, per un massimo di euro 500, sia definito con il d.P.C.M. di cui al successivo comma 122. Con Ordinanza del 18 maggio 2022, emessa nella causa C-450/21 (UC contro Ministero dell’Istruzione) su richiesta del Tribunale di Vercelli, la Corte di Giustizia Europea si è espressa sull’interpretazione della clausola 4, punto 1 e della clausola 6 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato allegato alla direttiva 1999/70/CE, in merito all’accesso al bonus di 500 euro da parte di un docente non di ruolo. La Corte di giustizia ha riconosciuto che l’indennità prevista dalla citata normativa vada inquadrata tra le “condizioni di impiego” ai sensi dell’art. 1, punto 1, dell’accordo quadro, richiamando la giurisprudenza che si è occupata di tale aspetto. Sotto il profilo della disparità di trattamento e della non discriminazione, ha ritenuto che tra le due tipologie di docenti non sussista alcuna differenza in relazione alle mansioni espletate tale da giustificare una differenza di trattamento. Ha concluso, quindi, nel senso della non conformità alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro di una normativa nazionale che riservi solo al personale docente a tempo indeterminato e non anche a quello a tempo determinato il beneficio di un vantaggio finanziario concesso al fine di sostenere la formazione continua dei docenti e valorizzarne le competenze professionali.

 

ART. 16 (Designazione dell’Autorità per la verifica dell’autenticità delle decisioni sulle spese emesse dall’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale ai sensi dell’articolo 110 del regolamento (UE) 2017/1001 sul marchio dell’Unione europea)

L’articolo 16 reca la designazione dell’Autorità competente all’espletamento delle formalità previste dall’articolo 110 del regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea. Tale regolamento è stato adottato su proposta della Commissione europea (COM(2016) 702 final) al fine di operare la “codificazione” del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell'Unione europea e sostituisce i vari regolamenti che esso incorpora (indicati negli allegati) e, come sottolineato dalla stessa Commissione, “preserva in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione e pertanto non fa altro che riunirli apportando unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell’opera di codificazione”. Stando a quanto riportato nell’allegato III del regolamento (UE) n. 1001/2017, che contiene la tavola di concordanza fra norme precedenti e successive, l’articolo 110 riproduce l’articolo 86 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio europeo e disciplina l’esecuzione delle decisioni che fissano l’ammontare delle spese emesse dall’Ufficio dell'Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), le quali costituiscono titolo esecutivo idoneo a consentire l’esecuzione forzata. Il paragrafo 2 del citato articolo 110 prevede espressamente che ogni Stato membro designi un’autorità responsabile della verifica dell’autenticità delle suddette decisioni e comunichi i relativi recapiti all’EUIPO, alla Corte di giustizia e alla Commissione europea. La norma anzidetta prevede che la formula esecutiva venga apposta alla decisione da ciascuna autorità nazionale designata, previa verifica dell’autenticità della decisione.

Lo Stato italiano, al momento attuale, non ha ancora designato l’Autorità competente all’espletamento delle suddette formalità, né ha provveduto alle comunicazioni sopra indicate, e pertanto, al fine di evitare l’apertura di procedure di infrazione, l’articolo 18 mira ad attribuire al Ministero della giustizia il compito di verificare l’autenticità delle decisioni dell’EUIPO sulle spese e di apporvi la formula esecutiva.

 

ART. 17 (Adeguamento al regolamento UE 1157/2019, sul rafforzamento della sicurezza delle carte di identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione)

L’articolo 17 reca disposizioni volte al rafforzamento della sicurezza degli attestati di iscrizione e di soggiorno permanente.

La norma è finalizzata a dare concreta attuazione al regolamento (UE) 1157/2019, del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 che rafforza le norme di sicurezza applicabili alle carte di identità dei cittadini dell’Unione e dei titoli di soggiorno rilasciati ai cittadini dell’Unione e ai loro familiari che esercitano il diritto di libera circolazione.

Il citato regolamento trova applicazione, come recita l’art. 2, punto b), anche agli attestati d’iscrizione rilasciati ai sensi dell’articolo 8 della direttiva 2004/38/CE ai cittadini dell’Unione per soggiorni di durata superiore a tre mesi in uno Stato membro ospitante e ai documenti che attestano il soggiorno permanente rilasciati su richiesta ai sensi dell’articolo 19 della direttiva 2004/38/CE ai cittadini dell’Unione.

I citati attestati, rilasciati dagli Stati membri ai cittadini dell’Unione, devono presentare le informazioni richiamate all’articolo 6 del regolamento (UE) 1157/2019 ed essere realizzati con tecniche atte a rafforzare la protezione contro la contraffazione e falsificazione dei dati quali l’impiego di elementi di sicurezza come la carta filigranata e tecniche di stampa tipiche delle carte valori.

La proposta normativa conferisce, quindi, agli attestati di iscrizione e di soggiorno permanente, previsti dagli articoli 8 e 19 della direttiva 2004/38/CE, la natura di carte valori ed attribuisce all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato la competenza a produrli con le caratteristiche di sicurezza indicate dalla legge 13 luglio 1966, n. 559.

Il Poligrafico, nell’ambito della sua funzione istituzionale ex art. 2 della legge 13 luglio 1966, n. 559 “Nuovo ordinamento dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato” produce e fornisce in esclusiva carte valori, stampati e pubblicazioni anche su supporti informatici, nonché prodotti cartotecnici per il fabbisogno delle amministrazioni dello Stato. In particolare, il comma 10-bis del citato art. 2 stabilisce che: “….ferme restando le specifiche disposizioni legislative in materia, sono considerati carte valori i prodotti, individuati con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell'economia e delle finanze, aventi almeno uno dei seguenti requisiti:

  1. sono destinati ad attestare il rilascio, da parte dello Stato o di altre pubbliche amministrazioni, di autorizzazioni, certificazioni, abilitazioni, documenti di identità e riconoscimento, ricevute di introiti, ovvero ad assumere un valore fiduciario e di tutela della fede pubblica in seguito alla loro emissione o alle scritturazioni su di essi effettuate;
  2. sono realizzati con tecniche di sicurezza o con impiego di carte filigranate o similari o di altri materiali di sicurezza ovvero con elementi o sistemi magnetici ed elettronici in grado, unitamente alle relative infrastrutture, di assicurare un'idonea protezione dalle contraffazioni e dalle falsificazioni.”

Al riguardo, si evidenzia che il citato decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, in relazione alle carte valori, ha natura ricognitiva e, pertanto, è rimessa ad una norma primaria l’individuazione dei documenti con quella valenza. Pertanto, nel caso di specie, si rende necessaria la presente disposizione normativa.

In relazione poi alle attività per la produzione degli attestati di iscrizione, svolte sotto la supervisione del Ministero dell’economia e delle finanze, si rammenta che, a garanzia della sicurezza del prodotto e del rispetto della normativa di riferimento, vengono osservate tutte le rigorose procedure di controllo e tracciabilità delle carte valori.

Lo schema inerente agli specimen degli attestati di iscrizione e di soggiorno permanente è stato condiviso con la Commissione europea tramite il referente per l’Italia della Rappresentanza Permanente presso l’Unione europea.

 

ART. 18 (Disposizioni per l’adeguamento ai regolamenti (UE) 2017/2225, 2017/2226, 2018/1240, 2019/817 e 2019/818 in materia di interoperabilità dei sistemi informativi per le frontiere, l’immigrazione e la sicurezza)

Le disposizioni inserite nell’articolo 18 sono finalizzate a dare piena attuazione al Regolamento (UE) 2017/2225 del Parlamento europeo, del 30 novembre 2017 che modifica il regolamento (UE) 2016/399 per quanto riguarda l’uso del sistema di ingressi/uscite, al Regolamento (UE) 2017/2226, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 novembre 2017, che istituisce un sistema di ingressi/uscite (EES) per la registrazione dei dati di ingresso e uscita e dei dati relativi al respingimento dei cittadini di Paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri e che determina le condizioni di accesso al sistema di ingressi/uscite a fini di contrasto e che modifica la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e i regolamenti (CE) n. 767/2008 e (UE) n. 1077/2011, al Regolamento (UE) 2018/1240 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 settembre 2018, istitutivo del sistema europeo di informazione e autorizzazione di viaggi (ETIAS) e di modifica dei regolamenti (UE) n. 1077/2011, (UE) n. 515/2014, (UE) 2016/399, (UE) 2016/1624 e (UE) 2017/2226, al Regolamento (UE) 2019/817 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2019, che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi di informazione dell’UE nel settore delle frontiere e dei visti e che modifica i regolamenti (CE) 767/2008, (UE) 2016/399, (UE) 2017/2226, (UE) 2018/1240, (UE) 2018/1726 e (UE) 2018/1861 del Parlamento europeo e del Consiglio e le Decisioni 2004/512/CE e 2008/633/GAI del Consiglio, nonché al Regolamento 2019/818 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2019, che istituisce un quadro per l’interoperabilità tra i sistemi di informazione dell’UE nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria, asilo e migrazione, e che modifica i regolamenti (UE) 2018/1726, (UE) 2018/1862 e (UE) 2019/816.

La novella, che si articola in cinque commi, reca, al comma 1, le norme di modifica al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, recante il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero - d’ora in avanti “TUI” – al fine della piena applicazione, nell’ordinamento interno, delle norme unionali in materia di autorizzazione ai viaggi e di registrazione dei dati degli stranieri in ingresso e in uscita dalle frontiere esterne Schengen nazionali.

In particolare, alla lettera a), è modificato l’articolo 4, comma 1, del TUI, prevedendo, per l’'ingresso nel territorio dello Stato, anche l’autorizzazione ai viaggi di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punto 5), del Regolamento (UE) 2018/1240 del 12 novembre 2018.

Il successivo nuovo comma 1 bis è finalizzato a precisare che l’ingresso in Italia può avvenire, salvi i casi di forza maggiore e i casi di eccezione previsti dal Regolamento (UE) 2016/399 del 9 marzo 2016, soltanto attraverso i valichi di frontiera appositamente istituiti.  Tale disposizione - nel riproporre i contenuti dell’ultima parte del comma 1, dell’articolo 4 del TUI, abrogato in forza della modifica proposta alla lettera a), punto 1 – meglio delinea le ipotesi di forza maggiore e di eccezione in quanto introduce il chiaro riferimento al Regolamento (UE) 2016/399 che - all’articolo 5, paragrafo 2, e ai relativi Allegati VI - punti 2.1.4 e 3.2.5 – e VII – espressamente ne fa menzione.

Il comma 1 ter è finalizzato a dare piena attuazione al considerando 4, e all’articolo 1, punto 2), lettera a) del Regolamento (UE) 2225 del 30 novembre 2017.

Tale ultima disposizione, infatti, modifica l’articolo 6, del Regolamento (UE) 2016/399, istitutivo del codice frontiere Schengen, prevedendo l’obbligo di fornire i dati biometrici, laddove richiesti, per la costituzione del fascicolo individuale nel sistema EES e per l’effettuazione di verifiche di frontiera. Il nuovo comma 1 ter precisa inoltre che, in caso di rifiuto, si adotta il provvedimento di respingimento di cui all’articolo 10, comma 1, del TUI.

Con il nuovo comma 1 quater sono superate le disposizioni di cui agli articoli 7, comma 2, e 8, comma 1, del Regolamento di attuazione di cui al DPR 31 agosto 1999, n. 394, recanti la disciplina della timbratura sui documenti di viaggio, in quanto con il Regolamento (UE) 2017/2226 sono introdotte le procedure unionali di registrazione nel sistema di ingressi/uscite dei dati degli stranieri in ingresso e in uscita dalle frontiere esterne. La disposizione contenuta nel nuovo comma consente, peraltro, all’Italia di poter esercitare l’opzione prevista dal novellato articolo 11 del Regolamento (UE) 2016/399 - come modificato dal Regolamento (UE) 2017/2225 – in cui si prevede espressamente la facoltà per gli Stati membri di poter apporre un timbro sul documento di viaggio dei cittadini di paesi terzi titolari di un permesso di soggiorno o di un visto per soggiorno di lunga durata rilasciato da detto Stato membro.

Il comma 1 quinquies prevede l’adozione di uno o più decreti - adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recate la disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri - del Ministro dell’Interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e della Giustizia, finalizzati a dare piena attuazione alle disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punti 3), 4) e 26) del Regolamento (UE) 2017/2226. Nel particolare, tali decreti sono finalizzati a:

  1. determinare le autorità di frontiera, nonché quelle competenti in materia di immigrazione;
  2. designare le autorità responsabili per finalità di prevenzione, accertamento e indagine di reati di terrorismo o altri reati gravi;
  3. disciplinare le modalità tecniche di accesso, consultazione, inserimento, modifica e cancellazione dei dati nel sistema di ingressi/uscite (EES) a cura dei soggetti autorizzati, di eventuale conservazione negli archivi o sistemi nazionali, nonché di comunicazione dei dati ai sensi dell’articolo 41 del Regolamento (UE) 2017/2226.

Con il nuovo comma 2 bis.  è precisato che l’autorizzazione ai viaggi - di cui al comma 1, dell’articolo 4, del TUI -  deve essere richiesta dai cittadini di paesi terzi di cui all’articolo 1, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2018/1240 del 12 novembre 2018, secondo le modalità previste dagli articoli 15, 17 e 18 del medesimo regolamento. Il nuovo comma, nel secondo periodo, chiarisce inoltre che tale autorizzazione è rilasciata, rifiutata, annullata o revocata dall’Unità nazionale ETIAS in attuazione del Capo VI, del Regolamento (UE) 2018/1240. Con particolare riguardo all’Unità nazionale ETIAS, si precisa che essa - in forza del decreto del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza, del 25 marzo 2020 - è allocata (articolo 4) presso la Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno. Lo stesso decreto ha conferito al direttore centrale l’incarico di promuovere e attuare le iniziative finalizzate alla piena operatività della predetta struttura. La direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’Interno è stata istituita, infatti, dall’articolo 35, della legge 30 luglio 2002, n. 189, con compiti di impulso e di coordinamento delle attività di polizia di frontiera e di contrasto dell'immigrazione clandestina, nonché delle attività demandate alle autorità di pubblica sicurezza in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri.

Il nuovo comma, al terzo periodo, prevede inoltre che per le decisioni adottate dall’Unità nazionale ETIAS la tutela giurisdizionale è esercitata dinanzi al giudice amministrativo, secondo la disciplina del codice del processo amministrativo.

Il comma 2 ter prevede l’adozione di uno o più decreti - adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante la disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri - del Ministro dell’Interno, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e della Giustizia, finalizzati a dare piena attuazione alle disposizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, punti 4), 21) e 22) del Regolamento (UE) 2018/1240. Nel particolare, tali decreti sono finalizzati a:

  1. determinare le autorità di frontiera, nonché quelle competenti in materia di immigrazione;
  2. designare le autorità responsabili per finalità di prevenzione, accertamento e indagine di reati di terrorismo o altri reati gravi;
  3. disciplinare le modalità tecniche di accesso, consultazione, inserimento, modifica e cancellazione dei dati nel sistema europeo di informazione e autorizzazione di viaggi (ETIAS) a cura dei soggetti autorizzati, di eventuale conservazione negli archivi o sistemi nazionali, nonché di comunicazione dei dati ai sensi dell’articolo 65 del Regolamento (UE) 2018/1240.

Al comma 1, alla lettera b), è modificato l’articolo 5, comma 8 bis, del TUI, prevedendo un esplicito richiamo alla “comunicazione del rilascio di un’autorizzazione ai viaggi” ed alla “autorizzazione ai viaggi”, integrando la specifica fattispecie penalistica prevista in caso lo straniero contraffà o altera tali documenti per agevolare il suo ingresso o il soggiorno in Italia. Tale intervento, quindi, costituisce un allineamento della normativa vigente (articolo 5, comma 8 bis, del TUI) al Regolamento (UE) 2018/1240 del 12 novembre 2018. La sanzione prevista dalla legislazione vigente -  per chiunque “contraffà o altera” un visto, un permesso di soggiorno, un contratto di soggiorno, ovvero documenti finalizzati a determinarne il rilascio, oppure utilizza tali documenti contraffatti – è applicata anche per colui che contraffà o altera un’autorizzazione ai viaggi, ovvero documenti finalizzati a determinarne il rilascio o anche utilizza tali documenti.

La novella in esame recepisce, peraltro, l’articolo 17 del Regolamento (UE) 2018/1240 in cui è chiarito che il cittadino può essere invitato a presentare, all’atto del controllo in frontiera, in fase di ingresso – e, conseguentemente, anche sul territorio, nel corso dei controlli su strada – i pertinenti documenti giustificativi. Si ritiene, infatti, che nell’espressione generica “documenti giustificativi” sia da ricomprendere anche la stessa autorizzazione ai viaggi che – rilasciata ai sensi dell’articolo 36, dello stesso regolamento – è valida nel territorio degli Stati membri ed è comunicata all’interessato mediante un servizio di posta elettronica ai sensi del successivo articolo 38.

Con il comma 1, alla lettera c), è modificato l’articolo 10, del TUI.

In particolare, al punto 1), è modificato il comma 1 dell’articolo, per consentire di ancorare il respingimento dello straniero che si presenta alle frontiere esterne attraverso un rinvio dinamico anche alle condizioni di ingresso complessivamente previste dal Regolamento (UE) 2016/399, quale normativa europea di riferimento per l’ingresso dei cittadini di paesi terzi nel territorio degli Stati membri.

Al successivo punto 2), è introdotto il nuovo comma 1 bis in cui - traendo spunto anche dai contenuti dell’articolo 54, del Regolamento (UE) 2017/2226 – è individuata – in via definitiva - l’autorità giudiziaria– il tribunale amministrativo regionale - competente alla trattazione del ricorso sul respingimento in frontiera, superando quindi le incertezze applicative riscontrabili a legislazione vigente.

Con il comma 1, alla lettera d), è modificato l’articolo 13, del TUI. Le modifiche all’articolo 13, dei commi 2 e 2 ter, e l’introduzione dei nuovi commi 2 quater, 2 quinquies e 2 sexies, sono volte a dare piena attuazione all’articolo 12 del Regolamento (UE) n. 2017/2226. Esso infatti introduce un “…meccanismo che individua automaticamente le cartelle di ingresso/uscita che non contengono dati di uscita immediatamente successivi alla data di scadenza di un soggiorno autorizzato ed individua automaticamente le cartelle per le quali è stata superata la durata massima di un soggiorno autorizzato”; tale sistema è in grado di generare l’elenco degli “overstayers”, cioè di coloro che risulteranno “soggiornanti fuori termine”; è previsto, in particolare - al paragrafo 3, dell’articolo 12 del Regolamento 2226 - che le “autorità nazionali competenti”, tra cui rientrano quelle competenti per l’immigrazione, prendano le opportune misure al riguardo.

È stata quindi delineata – con i nuovi commi 2 quater, 2 quinquies e 2 sexies - la trattazione degli stranieri il cui soggiorno è fuori termine, come anche sono state procedimentalizzare le specifiche attività e definiti i provvedimenti adottabili, a cura delle autorità nazionali.

In dettaglio, con la modifica dell’articolo l’articolo 13, comma 2, lettera b) del TUI, potrà essere adottato dal Prefetto il provvedimento di espulsione dal territorio nazionale, qualora sia accertato -  con opportuna consultazione del Sistema informativo EES – che lo straniero è un “soggiornante fuori termine”.

Laddove, invece, lo straniero fuori termine sia rintracciato in uscita dalla frontiera italiana, nel considerare preminente l’esigenza di favorirne la partenza volontaria, è delineato - con l’integrazione del comma 2 ter e l’introduzione dei nuovi commi 2 quater, 2 quinquies e 2 sexies - un procedimento finalizzato all’adozione di un divieto di reingresso, a cura del questore del luogo in cui ha sede l’ufficio di frontiera, a seguito di una valutazione sul singolo caso.

In particolare, il nuovo comma 2 quater è finalizzato a dare piena attuazione al considerando 4, e all’articolo 1, punto 2), lettera a) del Regolamento (UE) 2225 del 30 novembre 2017. Questa ultima disposizione, infatti, modifica l’articolo 6, del Regolamento (UE) 2016/399, istitutivo del codice frontiere Schengen, prevedendo l’obbligo di fornire i dati biometrici, laddove richiesti, per la costituzione del fascicolo individuale nel sistema EES e per l’effettuazione di verifiche di frontiera.

Con il nuovo comma 2 quinquies è previsto che l’autorità di frontiera, all’atto della registrazione in uscita dello straniero, informi adeguatamente l’interessato, comunicando che le laddove, nel corso del controllo in uscita, non sia dichiarato un domicilio diverso, le comunicazioni relative all’adozione del provvedimento di divieto saranno notificate, anche con ricorso a modalità telematiche, all’indirizzo fornito in occasione della compilazione del modulo di domanda di autorizzazione ai viaggi o di richiesta del visto ovvero alla rappresentanza diplomatica o consolare italiana del Paese di appartenenza o di stabile residenza ovvero, qualora assenti, del Paese limitrofo.  L’articolo 17, paragrafo 2, del Regolamento 2018/1240 indica, infatti, in modo specifico i dati personali necessari per la richiesta dell’autorizzazione ai viaggi. In dettaglio, ai punti g) e h) si fa riferimento al domicilio del richiedente e ai recapiti dell’interessato

Con il nuovo comma 2 sexies. è prevista l’autorità giudiziaria – il tribunale amministrativo regionale - competente alla trattazione del ricorso al provvedimento questorile di divieto di reingresso. Con l’intervento normativo è delineato un procedimento impugnatorio dall’estero, di garanzia del diritto di difesa del cittadino straniero, delineato sulla base del meccanismo già previsto in tema di ricorsi ai provvedimenti di espulsione, dagli articoli 18 e 19, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 e successive modificazioni.  La previsione è formulata riprendendo i contenuti dell’articolo 6, comma 10 del TUI, recante le modalità di impugnazione dei provvedimenti correlati al soggiorno adottati dal Questore.

Al comma 1, alla lettera d), punto 4) è modificato il comma 14 bis, dell’articolo 13 del TUI al fine di chiarire l’autorità nazionale competente – l’autorità di pubblica sicurezza - ad inserire, nel sistema di informazione Schengen di cui al regolamento (UE) 1987/2006, il divieto di ingresso nello Spazio Schengen correlato a espulsioni disposte dal giudice.

Il comma 2 prevede, alle lettere a), b), l’abrogazione di norme contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394 e successive modificazioni, recante il regolamento di attuazione al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero.

In dettaglio, con le lettere a) e b) sono abrogati, all’articolo 7, il comma 2, e, all’articolo 8, al comma 1, il secondo periodo, in quanto recanti disposizioni in materia di timbratura superate dall’introduzione della novella contenuta al comma 1, lettera b), dell’articolo in commento, al nuovo comma 1 quater, dell’articolo 4, del TUI.

Il comma 3 prevede, al primo periodo, l’accesso all’archivio comune di dati di identità (CIR), istituito dall’articolo 17, dei Regolamenti (UE) 2019/817 e 2019/818 del 20 maggio 2019. In particolare chiarisce che tale accesso è consentito, in conformità alle disposizione previste dai citati regolamenti – dagli articoli 20, 21 e 22 - , alle autorità di polizia di cui all’articolo 2, comma 1, lettera g) punto 1., del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51, recante l’attuazione della direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio. In particolare, il richiamo alle autorità designate ai sensi del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51 è operato sulla base di quanto previsto dai Regolamenti 817 e 818 che, nell’ambito delle definizioni – articolo 4, punto 19 – nel definire le “autorità di polizia”, richiamano le autorità competenti di cui alla direttiva 680.

Al secondo periodo è inoltro posto un richiamo all’applicazione delle disposizioni di cui al medesimo decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51. La previsione corrisponde all’esigenza di attuazione dell’articolo 45, dei regolamenti 817 e 818, in tema di sanzioni, determinando l’applicazione della specifica disposizione di cui all’articolo 42, del decreto legislativo 18 maggio 2018, n. 51.

Il comma 4 prevede che i decreti ministeriali di cui al comma 1, lettera a), punti 2) e 3) sono emanati, sentito il Garante per la protezione dei dati personali, entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge.

Il comma 5, infine, reca una clausola di invarianza finanziaria in base alla quale le disposizioni per l’attuazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea in materia di interoperabilità dei sistemi informativi per le frontiere, l’immigrazione e la sicurezza previste dal nuovo articolo in commento sono svolte con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Il comma 6, in ultimo, reca una disposizione transitoria. In essa è chiarito che – fatta eccezione per le disposizioni di cui al comma 1, lettera a), punto 2) comma « 1-bis », nonché alle lettere c) e d), punti 2) e 4), immediatamente applicabili alla data di entrata in vigore del decreto legge – le previsioni inserite nell’articolo in esame si applicano a decorrere dalla data di avvio in esercizio dei relativi sistemi informativi per le frontiere, l’immigrazione e la sicurezza, comunicata ufficialmente dalla Commissione europea.

 

ART. 19 (Modifica dell’articolo 1, commi 185 e 187, della legge 30 dicembre 2021, n. 234)

L'articolo 19, che si compone di un solo comma articolato in due lettere a) e b), introduce delle modifiche all’articolo 1, commi 185 e 187, della legge di bilancio 30 dicembre 2021 n. 234.

Alla lett. a) la modifica chiarisce innanzitutto che la misura di agevolazione fiscale disciplinata al comma 185 non rientra nella nozione di aiuto di Stato ex art. 107, par. 1, TFUE. 

L’obiettivo della modifica è infatti quello di escludere che la misura possa falsare, o minacciare di falsare la concorrenza, ossia che la stessa possa in qualche modo favorire le attività commerciali svolte dalle federazioni sportive (impregiudicata la valutazione se tali attività siano o meno esercitate in concorrenza con altri operatori).

Pertanto, il nuovo comma 185 prevede che, per gli anni 2022, 2023 e 2024, gli utili derivanti dalle attività commerciali delle federazioni sportive non andranno a comporre la base imponibile delle imposte IRES e IRAP, a condizione che il 100% di tali utili sia impiegato esclusivamente per il finanziamento delle attività statutarie non commerciali, ossia delle attività prive di natura economica e quindi fuori dal campo della concorrenza.

Con riferimento alle suddette attività, inoltre, non si fornisce una elencazione esemplificativa. Al contrario, per meglio evidenziare che si tratta di una misura che non deve avere effetti di mercato, si prevede che le attività verso cui si devono impiegare gli utili commerciali non devono avere natura commerciale.

Alla lett. b) la norma abroga il comma 187. Tale abrogazione costituisce una conseguenza delle modifiche apportate al comma 185.

 

ART. 20 (Modifiche alla legge 21 novembre 1967, n. 1185, in materia di rilascio dei passaporti. Caso Ares (2019)3110724)

L’articolo 20 reca modifiche alla legge 21 novembre 1967, n. 1185, in materia di rilascio dei passaporti, al fine della risoluzione del caso Ares (2019)3110724.

L’articolo 3, primo comma, lettera b) della citata legge 21 novembre 1967, n. 1185 subordina il rilascio dei documenti validi per l’espatrio in favore del cittadino che sia genitore di figli minorenni all’autorizzazione del giudice tutelare, salvo che vi sia il consenso dell’altro genitore. La norma risponde allo scopo di garantire il rispetto degli obblighi connessi alla responsabilità genitoriale, secondo quanto previsto dagli articoli 143, 147 e 315-bis del codice civile e, prima ancora, dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione, e in particolare dell’obbligo di contribuire al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e quello di mantenere, educare, istruire e assistere moralmente i figli (v. sul punto C. cost. n. 464/1997). Per effetto di tale disposizione, in mancanza dell’assenso dell’altro genitore – che meglio di chiunque altro può valutare il rischio che il richiedente si sottragga ai suoi obblighi – allo scopo di garantire l’interesse superiore del minore è demandato al giudice tutelare il compito di valutare se concedere o meno al genitore di figli minori di età la possibilità di espatriare.

Nel 2011 e poi nuovamente nel 2019, a seguito di una petizione, la Commissione europea ha chiesto alle Autorità italiane informazioni circa la norma in parola, e recentemente le ha informate, tramite la Rappresentanza Permanente d’Italia a Bruxelles, della necessità di acquisire un aggiornamento dei dati a suo tempo forniti e confermare la tesi della compatibilità della normativa interna dettata dalla legge n. 1185 del 1967 e dal d.P.R. n. 649 del 1974 (recante la disciplina dell'uso della carta d'identità e degli altri documenti equipollenti al passaporto ai fini dell'espatrio) rispetto ai principi in materia di libertà di circolazione delle persone.

La disciplina in esame certamente costituisce una limitazione della libertà di circolazione, tutelata dall’articolo 16 della Costituzione, dall’articolo 3, paragrafo 2 del Trattato sull’Unione europea, dall’articolo 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dall’articolo 21 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Sinora, essa è stata ritenuta conforme ai principi dettati dal diritto sovranazionale, in quanto:

  1. le misure restrittive della libertà di circolazione si applicano all’esito di una valutazione fatta caso per caso, per un periodo di tempo limitato e in assenza di automatismi di sorta;
  2. il diniego di autorizzazione al rilascio del passaporto è sottoposto alla valutazione, da parte dell’autorità giudiziaria, di specifiche circostanze;
  3. il provvedimento del giudice tutelare è sempre modificabile o revocabile, ed è adottato secondo criteri di proporzionalità.

Tuttavia, la normativa europea – che pure attribuisce ai singoli Stati la competenza nel disciplinare le condizioni e le procedure per il rilascio dei documenti validi per l’espatrio – riconosce tra i propri princìpi cardine, come si è detto, quello della libera circolazione dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri; libertà di circolazione che può tollerare limitazioni solo nella misura in cui queste rispondano al principio di proporzionalità.

Nel caso di specie, dalle statistiche disponibili risulta che negli anni dal 2018 al 2022 il tempo mediamente necessario per ottenere l’autorizzazione del giudice tutelare è stato oscillante tra i 70 e i 125 giorni; l’attuale sistema è poi fonte di inconvenienti, costringendo l’interessato a rivolgersi al giudice – con i conseguenti ritardi nel rilascio del passaporto – anche in assenza di un reale contrasto, ad esempio quando l’altro genitore si sia reso di fatto irreperibile o semplicemente abbia omesso di rispondere alla richiesta di assenso del richiedente, anche solo per inerzia o trascuratezza. Per contro, non è stato possibile acquisire dati da cui evincere in quanti casi il diniego del passaporto – evento verificatosi, nel periodo 2018-2022, in meno del 7% dei casi – ha avuto l’effetto di garantire l’assolvimento degli obblighi da parte del genitore. Non è quindi possibile fare valutazioni oggettive circa l’efficacia della normativa vigente e la sua concreta capacità di assicurare, proprio sotto il profilo della proporzionalità e dell’effettività, un equilibrato e ragionevole bilanciamento tra l’esigenza di tutela dell’interesse superiore del minore e la libertà di circolazione, tutelata, come si è visto, da norme costituzionali e sovranazionali.

Tutto ciò fa ritenere che la disposizione in parola – peraltro concepita in epoca ormai risalente, anteriore alla riforma del diritto di famiglia introdotta nel 1975 – potrebbe non superare un rinnovato vaglio di compatibilità con i principi eurounitari e indurre quindi la Commissione all’apertura di una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano.

Si ritiene, pertanto, che sia ormai urgente e indifferibile una modifica della normativa vigente volta da un lato a ridurre le restrizioni alla libertà di circolazione e fare sì che il richiedente il passaporto non sia costretto a rivolgersi all’autorità giudiziaria anche nei casi in cui non sussista un reale contrasto circa il rilascio del documento, e dall’altro a predisporre uno strumento, di natura cautelare in senso lato, volto a far sì che nella singola fattispecie concreta possa essere tutelato l’interesse del minore a che il genitore non sfrutti l’opportunità di trasferirsi all’estero per sottrarsi ai propri obblighi nei suoi confronti.

L’intervento propone quindi il superamento dell’attuale regime, secondo cui per il rilascio del passaporto la necessità di autorizzazione del giudice tutelare costituisce la regola salvo che non vi sia l’assenso dell’altro genitore, prevedendo tuttavia, al contrario, che il giudice possa nella singola fattispecie inibire il rilascio del documento, al ricorrere di specifiche condizioni.

Più in particolare, la lettera a) dell’unico comma di cui si compone l’articolo è volta a sopprimere la previsione sinora vigente, secondo cui non possono ottenere il passaporto i genitori di prole minore che non hanno ottenuto l’autorizzazione del giudice tutelare o l’assenso dell’altro genitore, sostituendola con quella secondo cui non possono ottenere il documento coloro nei confronti dei quali il rilascio di questo sia stato inibito con provvedimento dell’autorità giudiziaria.

La lettera b) introduce nella legge n. 1185 del 1967 un nuovo articolo 3-bis, che disciplina l’inibitoria di cui si è detto. La nuova disposizione prevede, nel dettaglio, che il pubblico ministero o l’altro genitore (ovvero, ove nominato, il terzo che esercita la responsabilità genitoriale) possano chiedere al giudice di inibire il rilascio del passaporto in favore del genitore di prole minorenne, quando vi è concreto e attuale pericolo che a causa del trasferimento all’estero egli possa sottrarsi all’adempimento dei suoi obblighi materiali e morali verso i figli. Poiché il provvedimento è destinato a incidere in maniera significativa su un diritto fondamentale, esso dovrebbe essere adottato, quale extrema ratio, solo quando sia necessario per la salvaguardia dell’interesse del minore; per questo motivo si è specificato che il giudice debba tenere conto del principio di proporzionalità e della normativa eurounitaria e internazionale sulla cooperazione giudiziaria in tema di rapporti familiari e conseguenti diritti e doveri, quale quella che concerne il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia di responsabilità genitoriale, obbligazioni alimentari, sottrazione internazionale di minori. Si è inoltre previsto che l’inibitoria debba avere una durata determinata dal giudice e non superiore a due anni, quale ulteriore strumento volto ad assicurare il bilanciamento dei contrapposti interessi secondo i principi di proporzionalità ed effettività.

Il comma 2 della nuova disposizione individua il giudice competente nel tribunale ordinario del luogo di residenza abituale del minore. Per il caso in cui il minore sia residente all’estero, si è prevista la competenza del tribunale del luogo di ultima residenza in Italia o del tribunale nel cui circondario si trova il suo comune di iscrizione AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero), mutuando le analoghe previsioni contenute nella legge consolare (decreto legislativo 3 febbraio 2011, n. 71). Se tuttavia è già pendente altro procedimento relativo allo stato delle persone, ai minori o alla famiglia la domanda dovrà essere proposta al giudice che procede. Ciò potrà comportare, per evidenti motivi di concentrazione delle tutele, l’attribuzione della competenza al tribunale per i minorenni, quando sia pendente un procedimento avente ad oggetto la decadenza o la limitazione della responsabilità genitoriale, o al diverso tribunale ordinario davanti al quale penda un procedimento di separazione, di divorzio, di regolamentazione dell’affido di figli nati fuori dal matrimonio, di revisione delle relative condizioni. Sarà poi il giudice adito a valutare l’opportunità di riunire i procedimenti.

L’espressione «concreto e attuale pericolo» è mutuata, non casualmente, dall’articolo 274 del codice di procedura penale, al fine di restringere l’applicazione della norma alle sole ipotesi in cui vi sia un effettivo pericolo di lesione dell’interesse del minore. Nello stesso senso va anche il riferimento al «trasferimento all’estero» come «causa» del pericolo, che dovrebbe indurre il giudice ad una particolare prudenza nell’emettere l’inibitoria. Il procedimento così configurato ha natura contenziosa, incidendo su diritti costituzionalmente tutelati, e non di volontaria giurisdizione; si è a tal fine specificato che all’esito il tribunale dovrà provvedere sulle spese del giudizio. Di conseguenza, egli potrà adottare anche i provvedimenti sanzionatori e risarcitori previsti dall’articolo 96 del codice di procedura civile, il che potrà contribuire a disincentivare eventuali iniziative giudiziarie meramente emulative. Si prevede espressamente, inoltre, che il procedimento si svolga nelle forme del rito camerale previsto dagli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile, in modo da assicurarne celerità e snellezza. Il richiamo al rito camerale fa poi sì che sia sempre possibile proporre il reclamo previsto dall’articolo 739 c.p.c. e che l’inibitoria, emessa “rebus sic stantibus”, possa essere sempre modificata o revocata ai sensi dell’articolo 742. Si prevede inoltre che copia del provvedimento che inibisce il rilascio del documento debba essere trasmessa, a cura della cancelleria, al Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno, all’ufficio competente per il rilascio del passaporto (Questura o rappresentanza diplomatica del luogo di residenza) e al Comune in cui risiede l’interessato, affinché tali enti siano a conoscenza del provvedimento, tanto per il caso in cui venga loro richiesto il rilascio di un documento valido per l’espatrio, quanto perché possano provvedere, ai sensi dell’articolo 12, primo comma, al ritiro del documento già rilasciato, essendo sopravvenuta una circostanza che ne avrebbe legittimato il diniego.

La lettera c) contempla, a seguito dell’introduzione dell’articolo 3-bis, una disposizione di mero coordinamento dell’articolo 4, il quale prevede che quando il cittadino italiano è residente all’estero i provvedimenti autorizzatori contemplati dall’articolo 3 sono emessi dal console. Con l’occasione, è stato aggiornato il riferimento normativo ormai obsoleto. Al fine di prevenire possibili dubbi interpretativi in ordine ai poteri del console si è inoltre precisato che l’emissione del provvedimento di inibitoria di cui si è detto è in ogni caso di esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria.

La lettera d) è infine volta ad aggiornare, alla luce degli istituti sopravvenuti rispetto all’epoca in cui è stata introdotta la norma e del mutato sentire sociale, le disposizioni di cui al secondo comma dell’articolo 12, il quale oggi prevede che il passaporto sia ritirato «quando il titolare si trovi all'estero e, ad istanza degli aventi diritto, non sia in grado di offrire  la  prova  dell'adempimento  degli  obblighi  alimentari che derivano  da pronuncia della autorità giudiziaria o che riguardino i discendenti di età minore ovvero inabili al lavoro, gli ascendenti e il coniuge non legalmente separato». In proposito si è ritenuto opportuno mantenere ferma la previsione secondo cui il ritiro del passaporto avviene quando il titolare si trovi all’estero, trattandosi di norma volta a sanzionare il comportamento dell’obbligato che, trasferitosi in un Paese straniero, trascuri di adempiere gli obblighi alimentari e di mantenimento a lui facenti capo. La proposta di modifica ha lo scopo di prevedere esplicitamente che gli obblighi «alimentari» la cui violazione comporta il ritiro del passaporto non sono unicamente quelli previsti dagli articoli 433 e seguenti del codice civile, ma anche quelli aventi ad oggetto il contributo al mantenimento dei figli, l’assegno di mantenimento per il coniuge legalmente separato, l’assegno divorzile e quello determinato dall’autorità giudiziaria in favore della parte dell’unione civile successivamente allo scioglimento di questa; obblighi, quelli ora indicati, il cui inadempimento è penalmente sanzionato. Si è infine recepita anche in questo contesto normativo l’equiparazione dei figli maggiorenni portatori di handicap grave ai figli minorenni, già introdotta nel codice civile (articolo 337-septies, secondo comma) e che con il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, attuativo della delega di cui alla legge 26 novembre 2021, n. 206, è stata introdotta anche nel codice di procedura civile.

 

ART. 21 (Modifica all’art. 30 della legge 23 luglio 2009, n. 99 in materia di regime di interrompibilità elettrica. Caso SA.50274 (2018/EO)

L’articolo 21 reca disposizioni in materia di regime di interrompibilità del carico elettrico.

Il servizio italiano di interrompibilità del carico elettrico è uno degli strumenti più efficaci, a disposizione di TERNA S.p.A., per assicurare la sicurezza del sistema elettrico italiano.

Esso è parte integrante del sistema di difesa della rete nazionale e consente di mitigare il rischio di disalimentazioni diffuse in presenza di eventi improvvisi (perdita di gruppi di generazione e/o guasti su componenti di rete importanti).

La misura è attualmente disciplinata dai commi 18 e 19 dell’articolo 30 della legge 23 luglio 2009, n. 99, mentre dal punto di vista tecnico e operativo, è gestita da TERNA S.p.A., nel rispetto del quadro regolatorio definito dall’ARERA, la quale, in particolare, organizza le aste per la selezione dei carichi interrompibili di durata triennale (l’asta principale triennale è effettuata entro la fine dell’anno precedente al nuovo triennio, a cui si aggiungono poi aste annuali, nonché aste trimestrali di aggiustamento).

Sin dal 2018, la Commissione europea ha manifestato attenzione in merito alle modalità con cui è disciplinato e gestito il meccanismo italiano dell’interrompibilità elettrica. L’indagine della Commissione, che ha riguardato contemporaneamente anche altri Stati membri, è stata aperta per il nostro paese in data 17 aprile 2018, con nota prot. B.2 AM/MDB/mklD2018/036836, avente ad oggetto SA.50274 (2018/EO) – Regime italiano di interrompibilità.

Le determinazioni finali della Commissione sull’indagine avviata sono state ufficializzate nel mese di settembre 2020, con nota prot. ARES sv(2020)2976243 del 21 settembre 2020, in cui sono state evidenziate alcune criticità relative al meccanismo di interrompibilità finora operativo, ritenuto non compatibile con la normativa europea in materia di aiuti di stato, invitando il Ministero competente a procedere alle modifiche necessarie. In particolare, secondo la Commissione, la misura attuata dal Governo italiano potrebbe configurarsi come un aiuto di stato distorsivo della concorrenza nel mercato interno dell’energia e, pertanto, configurare un aiuto “illegale”.

In considerazione delle suddette determinazioni della Commissione, si è avviato un lungo confronto con la Commissione medesima da cui è emersa la necessità di modificare, tra gli altri, i seguenti commi dell’articolo 30 della legge n. 99/2009:

  1. attuale comma 18: “Anche in deroga alle disposizioni di cui all'articolo 32, comma 8, l’Autorità per l'energia elettrica e il gas definisce entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge i criteri e le modalità per l'assegnazione delle risorse interrompibili istantaneamente e interrompibili con preavviso, da assegnare con procedure di gara a ribasso, cui partecipano esclusivamente le società utenti finali. Le maggiori entrate eventualmente derivanti dall'applicazione del presente comma sono destinate all'ammodernamento della rete elettrica. Le assegnazioni rimangono in capo agli attuali beneficiari per i sei mesi successivi alla data di entrata in vigore della presente legge.”
  2. attuale comma 19: “I clienti finali che prestano servizi di interrompibilità istantanea o di emergenza sono esentati, relativamente ai prelievi di energia elettrica nei siti che hanno contrattualizzato una potenza interrompibile non inferiore a 40 MW per sito e solo per la quota parte sottesa alla potenza interrompibile, dall’applicazione dei corrispettivi di cui agli articoli 44, 45, 48 e 73 dell'allegato A della deliberazione dell’Autorità per l'energia elettrica e il gas n. 111/06 del 9 giugno 2006.”.

 

In particolare, la Commissione ha, tra le altre cose, chiesto espressamente di:

  • rimuovere l’esenzione dal pagamento degli oneri di cui all’articolo 30, comma 19;
  • eliminare il riferimento a “risorse interrompibili istantaneamente ed interrompibili con preavviso” di cui all’articolo 30, comma 18;
  • riconoscere espressamente la possibilità per l’accumulo di fornire il servizio di interrompibilità;
  • eliminare la restrizione della fornitura del servizio di interrompibilità alle sole “società utenti finali” di cui all’articolo 30, comma 18.

 

La modifica normativa proposta recepisce le puntuali osservazioni della Commissione in quanto, relativamente al comma 18, elimina il riferimento a più servizi di interrompibilità e alle “società utenti finali”, nonché estende la partecipazione al servizio anche agli accumuli, in linea a quanto discusso con la Commissione nel corso delle diverse riunioni di confronto.

Per quanto attiene al comma 19, invece, come richiesto dalla Commissione, ne viene prevista l’abrogazione.

 

ART. 22 (Verifica dell’efficienza degli investimenti nella rete di distribuzione del gas ai fini della copertura tariffaria. Caso EU Pilot 2022/10193/ENER).

L’articolo 22 reca l’abrogazione del comma 4-bis dell’art. 23 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164, recante “Attuazione della direttiva n. 98/30/CE recante norme comuni per il mercato interno del gas naturale”, introdotto dall’articolo 114-ter del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34.

Al riguardo giova ricordare che l’articolo 23, al comma 1, fa salve le funzioni di indirizzo spettanti al Governo e le attribuzioni dell’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (ARERA), con particolare riferimento a quelle previste dall’articolo 2, comma 12, della legge 14 novembre 1995, n. 481. Nel novero delle suddette funzioni rientra il potere di stabilire e aggiornare, in relazione all’andamento del mercato e al reale costo di approvvigionamento della materia prima, la tariffa base, i parametri e gli altri elementi di riferimento per determinare le tariffe, nonché le modalità per il recupero dei costi eventualmente sostenuti nell’interesse generale.

L’articolo 23, inoltre, attribuisce ad ARERA il compito di determinare le tariffe per il trasporto e per il dispacciamento, per lo stoccaggio minerario, strategico e di modulazione, per l’utilizzo dei terminali di GNL e per la distribuzione, in modo da assicurare una congrua remunerazione del capitale investito. Le tariffe per il trasporto e per il dispacciamento, nonché le tariffe per lo stoccaggio, tengono conto della necessità di non penalizzare le aree del Paese con minori dotazioni infrastrutturali e, in particolare, le aree del Mezzogiorno.

In tale contesto, si inserisce la disposizione che si intende abrogare, la quale stabilisce l’obbligo a carico di ARERA di riconoscere un’integrale copertura tariffaria degli investimenti relativi al potenziamento o alla nuova costruzione di reti e di impianti in comuni metanizzati o da metanizzare, in specifiche località del Paese. Trattasi, in particolare, di comuni già metanizzati e da metanizzare appartenenti alla zona climatica “F” e classificati come territori montani, ai sensi della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, nonché dei comuni che hanno presentato la domanda di contributo relativamente al completamento del programma di metanizzazione del Mezzogiorno ai sensi della deliberazione CIPE n. 5/2015.

A tal fine, la norma in esame considera presuntivamente e positivamente valutata l'efficienza dell’investimento, in deroga alla regola generale prevista per gli sviluppi infrastrutturali delle reti di distribuzione del gas naturale che richiede lo svolgimento di un’analisi costi-benefici a cura di ARERA.

Tutto ciò premesso, si evidenzia che la disciplina introdotta dall’articolo 114-ter del d.l. n. 34/2020 è attualmente oggetto del caso EU Pilot n. (2022)10193 ENER, nell’ambito del quale i servizi della Commissione hanno rilevato che la procedura istituita sembra configurare una violazione dell'articolo 41, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2009/73/CE, per quanto concerne le competenze esclusive attribuite alle autorità nazionali di regolazione, atteso che la determinazione delle metodologie per calcolare o per stabilire le condizioni di connessione e di accesso alle reti nazionali, comprese le tariffe applicabili, rientra nelle competenze riservate direttamente alle predette autorità dalla direttiva.

Ad avviso della Commissione, infatti, l'obbligo imposto ad ARERA di ammettere a integrale riconoscimento tariffario gli investimenti le impedirebbe di esercitare il proprio potere discrezionale nella fissazione delle tariffe, privando così l'autorità delle competenze che la direttiva sul gas le attribuisce in via esclusiva.

A seguito della risposta fornita dal Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, la Commissione ha confermato i propri dubbi circa la compatibilità della legislazione nazionale con la direttiva sul gas, rilevando che “qualsiasi interferenza, anche circoscritta, nelle prerogative delle ANR è da considerarsi una violazione delle norme sostanziali stabilite dalla direttiva 2009/73/CE e della recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (nella causa C-718/18), giacché i suoi effetti e le sue conseguenze travalicano i limiti temporali e di finalità”.

La Commissione ha quindi chiesto se l’Italia intenda “adottare un'interpretazione formale della disciplina introdotta dall'articolo 114-ter, che precisi l'interpretazione "europeisticamente" orientata e conferisca ad ARERA poteri discrezionali di applicazione”, ovvero se stia valutando l’opportunità di abrogare la norma, viste le problematiche di compatibilità con la normativa europea e la disapplicazione de facto da parte di ARERA.

 

ART. 23 (Adattamento dell’ordinamento nazionale al regolamento (UE) 2019/125 in materia di commercio di merci utilizzabili per infliggere la pena di morte o la tortura e al regolamento (UE) 2021/821 in materia di controllo delle esportazioni, dell’intermediazione, dell’assistenza tecnica, del transito e del trasferimento di prodotti a duplice uso)

L’articolo 23 reca l’adeguamento dell’ordinamento nazionale ai regolamenti UE n. 2019/125 e n. 2021/821, rispettivamente in materia di commercio di merci utilizzabili per infliggere la pena di morte o la tortura e in materia di controllo delle esportazioni, dell’intermediazione, dell’assistenza tecnica, del transito e del trasferimento di prodotti a duplice uso (beni ad utilizzo prevalentemente civile ma tali da poter essere utilizzati anche a fini militari).

 

Il regolamento 2019/125 è un atto di codificazione di diversi strumenti normativi precedentemente esistenti e apporta modifiche essenzialmente formali.

Il regolamento 2021/821 è un atto di rifusione che sistematizza gli aggiornamenti in materia intervenuti negli ultimi anni, conferendo maggiore coerenza al testo normativo e ampliando le categorie degli operatori commerciali destinatari del provvedimento.

Entrambi i regolamenti sono di per sé direttamente applicabili negli ordinamenti degli Stati membri dell’UE, salvo che per le parti in cui conferiscono al legislatore statale il potere di determinare le norme di dettaglio.

L’entrata in vigore dei due regolamenti rende necessario aggiornare il decreto legislativo 221/2017, che raccoglie la disciplina sui prodotti utilizzabili per infliggere la tortura e a duplice uso, mettendola in relazione con le norme in materia di sanzioni per le violazioni di embarghi commerciali. Il decreto legislativo individua nel Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale l’autorità competente a gestire il sistema delle licenze di esportazione, a seguito del trasferimento di competenze dal Ministero dello sviluppo economico, attuato con il decreto-legge n. 104/2019.

Tra le modifiche necessarie al d.lgs. 221/2017 si segnalano: l’ampliamento del campo di applicazione della normativa sui prodotti a duplice uso all’assistenza tecnica fornita su tali prodotti e tecnologie; l’aggiornamento dei rinvii alle disposizioni dei regolamenti europei così come modificate nelle ultime formulazioni; l’eliminazione delle norme meramente riproduttive dei regolamenti e precisazione delle attribuzioni delle competenze a livello nazionale, anche alla luce del citato d.l. 104/2019; l’introduzione di disposizioni che consentono la digitalizzazione delle procedure, in linea con l’impegno governativo ad attuare una rapida transizione digitale all’interno della pubblica amministrazione.

Nello specifico, la lettera a) aggiorna i riferimenti al regolamento antitortura (2019/125), al regolamento duplice uso (2021/821) e all’allegato contenente l’elenco dei prodotti a duplice uso per i quali è richiesta un’autorizzazione (cosiddetti “prodotti listati”). La modifica opera su tutto il testo e, in particolare, nelle premesse, e agli articoli 1, 2 e 19 del d.lgs. 221/2017.

La lettera b), modifica l’articolo 2, comma 1, sostituendo la definizione generale di “prodotti a duplice uso”, già contenuta nel regolamento, con la definizione di “prodotti a duplice uso listati”, per i quali vige una normativa differenziata, esplicitando il rinvio all’allegato I del regolamento. L’introduzione di questa definizione permette di marcare la differenza con i prodotti non listati, già definiti dal decreto legislativo. Di conseguenza, l’intero testo è modificato per riflettere questa distinzione ogni volta che le disposizioni facciano riferimento ai prodotti a duplice uso listati e non listati. La lettera b) specifica inoltre il riferimento all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento duplice uso, che prevede la subordinazione ad autorizzazione di operazioni relative ad alcuni prodotti a duplice uso non listati. Infine, definisce la nozione di operatore come esportatore, intermediario o prestatore di assistenza tecnica, facilitando l’interpretazione delle norme applicabili a tali soggetti, che sono i destinatari delle norme contenute nel decreto legislativo.

La lettera c) aggiorna il riferimento contenuto all’articolo 3, comma 2, del d.lgs. 221/2017 all’articolo 8 del regolamento duplice uso, che è stato rinumerato. Si dispone quindi che sono subordinati a controllo, autorizzazioni o divieti dello Stato anche le operazioni di esportazione, trasferimento, intermediazione e transito concernenti prodotti a duplice uso non listati, qualora gli stessi siano o possano essere destinati, in tutto o in parte, ad un'utilizzazione prevista dagli articoli 4 e 9 del regolamento duplice uso.

La lettera d), al numero 1), sostituisce un generale riferimento al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale con un più puntuale riferimento all’Autorità nazionale UAMA - Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento quale autorità competente, responsabile dell’applicazione delle disposizioni del decreto. Al numero 2), semplifica il riferimento ai prodotti a duplice uso, includendovi sia quelli listati, sia quelli non listati, coerentemente con quanto disposto alla lettera b). Al numero 3), inserisce un secondo periodo al comma 2-bis, introdotto con la recente modifica operata con il d.l. n. 21/2022, per precisare che il personale dell’UAMA include anche le unità distaccate per lo svolgimento delle attività connesse al rilascio delle autorizzazioni ai sensi dell’articolo 30 della legge n. 185/1990. Si segnala che la disposizione non comporta nuovi o maggiori oneri in quanto il contingente di personale distaccato rimane invariato.

La lettera e), al numero 1), semplifica il riferimento alle funzioni del Comitato Consultivo presso la UAMA, che è istituito per le autorizzazioni in materia di prodotti a duplice uso, di merci soggette al regolamento antitortura e di prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali. Al numero 2) si prevede l’espressione di un parere obbligatorio del Comitato Consultivo sull’irrogazione delle sanzioni amministrative. Al numero 3), aggiorna le denominazioni del Ministero delle imprese e del made in Italy e del Ministero della cultura, a seguito delle modifiche intervenute con d.l. 173/2022, di riorganizzazione delle attribuzioni dei Ministeri. Al numero 4) la lettera e) introduce inoltre la possibilità che le riunioni del Comitato consultivo si svolgano anche per via telematica, al fine di semplificarne l’attività.

La lettera f), al numero 1) specifica l’applicabilità delle restrizioni al transito sul territorio nazionale per entrambe le categorie dei prodotti a duplice uso listati e dei prodotti a duplice uso non listati, coerentemente con quanto disposto alla lettera b), e dispone che l’Agenzia delle dogane e dei monopoli sospenda l’operazione di transito vietata di prodotti a duplice uso, di merci soggette al regolamento antitortura e di prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali, dandone tempestiva comunicazione all’Autorità UAMA, oltre che ai Ministeri dell’interno e della difesa. Al numero 2), si dispone che l’Autorità UAMA informi a sua volta l’Agenzia delle dogane e dei monopoli ed i Ministeri dell’interno e della difesa nei casi in cui si rendano necessari ulteriori approfondimenti per poter autorizzare un’operazione di transito sul territorio nazionale.

 

La lettera g), modifica l’articolo 8, comma 3, del d. lgs. 221/2017 specificando che, salva una diversa previsione dei regolamenti dell’UE concernenti misure restrittive, l’Autorità UAMA rilascia autorizzazioni specifiche individuali in merito ai prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali, senza distinguere tra operazioni di esportazione o di fornitura di assistenza tecnica.

 

La lettera h), al numero 1) dispone che l’Autorità UAMA può condizionare alla propria autorizzazione l’esportazione, la prestazione di servizi di intermediazione o di assistenza tecnica relative a prodotti a duplice uso non listati ed a prodotti di sorveglianza informatica, nei casi in cui abbia acquisito informazioni su una specifica operazione d’esportazione ai sensi degli articoli 4, 5, 6, 7, 8 e 10 del regolamento duplice uso, o dello stesso d. lgs. 221/2017. Il numero 1) chiarisce inoltre che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale può vietare o subordinare ad autorizzazione con proprio decreto l’esportazione di prodotti a duplice uso non listati per i motivi di pubblica sicurezza, inclusa la prevenzione di atti di terrorismo, o di rispetto dei diritti umani, di cui all’articolo 9 del regolamento duplice uso.

Il numero 2) sopprime il riferimento al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che non è più pertinente, in seguito al trasferimento generale di competenze al MAECI da parte del Ministero dello sviluppo economico.

Il numero 3) precisa che l'esportazione di prodotti a duplice uso non listati, la prestazione di servizi di intermediazione o di assistenza tecnica collegate ai medesimi prodotti, possono essere subordinate al rilascio di un’autorizzazione, ai sensi degli articoli 4, 5, 6, 8, 9 e 10 del regolamento duplice uso, anche su richiesta specifica del Ministero dell'interno, del Ministero della difesa o dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

Il numero 4) prevede che l’Autorità UAMA comunichi tempestivamente all'esportatore o all'intermediario la decisione di assoggettare ad autorizzazione per motivi di non proliferazione l'esportazione o la prestazione di servizi di intermediazione o di assistenza tecnica.

Il numero 5) precisa che, nei casi in cui le amministrazioni interessate non hanno formulato osservazioni, l’Autorità UAMA comunica tempestivamente all’operatore la subordinazione ad autorizzazione dell’operazione di esportazione, di fornitura di assistenza tecnica o di servizi di intermediazione.

Il numero 6) sostituisce il comma 7, disponendo che gli operatori che intendano esportare, fornire servizi di assistenza tecnica o di intermediazione relativi a prodotti di sorveglianza informatica non compresi negli elenchi di cui all’allegato I del regolamento duplice uso, hanno l’obbligo di informare l’Autorità UAMA quando sussistono motivi per sospettare che tali prodotti sono o possono essere destinati, in tutto o in parte, a uno degli usi di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento duplice uso (ossia alla produzione di armi chimiche, biologiche o nucleari o di altri congegni esplosivi nucleari; a scopi militari se il paese acquirente o il paese di destinazione è soggetto a un embargo sugli armamenti; ad un uso come parti o componenti di prodotti militari, che sono stati esportati dal territorio di uno Stato membro senza autorizzazione o in violazione dell'autorizzazione prevista dalla legislazione nazionale dello stesso Stato membro).

Il numero 6) fa salvo quanto previsto dagli articoli 4, paragrafo 2, 5, paragrafo 2, 6, paragrafo 2 e 8, paragrafo 2 del regolamento duplice uso. La disposizione estende quindi ad operazioni relative ai prodotti di sorveglianza informatica l’obbligo di informativa all’Autorità UAMA già gravante sugli operatori che intendano esportare o fornire servizi di assistenza tecnica o di intermediazione relative a prodotti a duplice uso non listati.

Il numero 7) prevede infine che l’Autorità UAMA comunica l’informativa fornita dagli operatori economici al Ministero dell'interno, al Ministero della difesa, nonché all'Agenzia delle dogane e dei monopoli.

La lettera i), al numero 1), sostituisce il comma 1 dell’articolo 10, rinviando ai termini di durata dell’autorizzazione specifica individuale rilasciata ad un operatore, previsti dal regolamento antitortura (2019/125) e dal regolamento duplice uso (2021/821). Si prevede inoltre che, su istanza motivata dell’operatore, da formulare entro la scadenza del provvedimento, l’Autorità UAMA possa prorogare più di una volta l’autorizzazione specifica individuale.

Al numero 2), la lettera i) sostituisce i riferimenti all’esportatore, all’intermediario ed al fornitore di assistenza tecnica, con un unico riferimento all’operatore che richiede l’autorizzazione.

Al numero 3), specifica, inoltre, l’applicabilità della norma a entrambe le categorie dei prodotti a duplice uso listati e dei prodotti a duplice uso non listati, coerentemente con quanto disposto alla lettera b). Al numero 4), semplifica la procedura di richiesta dell’autorizzazione, sopprimendo il riferimento all’obbligo di timbratura della dichiarazione della parte acquirente (end user statement).

La lettera l), al numero 1) precisa che un’autorizzazione globale individuale può essere rilasciata all’esportatore che abbia già ottenuto autorizzazioni individuali per uno o più prodotti a duplice uso o per merci soggette al regolamento antitortura. Inoltre, il numero 1) sopprime il riferimento alla predisposizione di linee guida del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale per individuare i Paesi di destinazione verso cui gli operatori possono esportare i prodotti a duplice uso o le merci soggette al regolamento antitortura.

Al numero 2) rinvia al regolamento antitortura (2019/125) e al regolamento duplice uso (2021/821) per determinare la durata di un’autorizzazione globale individuale, prevedendo che l’Autorità UAMA possa accordare una o più proroghe che ne faccia richiesta motivata entro la scadenza.

Al numero 3), esplicita il riferimento di cui all’articolo 11, comma 5, lettera c), ai prodotti a duplice uso listati e non listati.

La lettera m) precisa il riferimento ai soli prodotti a duplice uso listati, coerentemente con la prassi dell’Autorità UAMA di rilasciare licenze solo in relazione a questa categoria di prodotti.

La lettera n), al numero 1), specifica l’applicabilità della norma a entrambe le categorie dei prodotti a duplice uso listati e dei prodotti a duplice uso non listati, coerentemente con quanto disposto alla lettera b) e aggiorna i riferimenti normativi all’allegato III, sezione C, e all’allegato II, sezione I del regolamento duplice uso; al numero 2), adegua il rinvio al testo del regolamento duplice uso così come rifuso; al numero 3), elimina il rinvio all’articolo 12, comma 6, del d. lgs. 221/2017, che è abrogato dalla lettera aa).

La lettera o) aggiorna i riferimenti all’articolo 12 del regolamento duplice uso, che è stato rinumerato, e sopprime l’obbligo di ritiro dell’originale dell'autorizzazione rilasciata dall’Autorità UAMA, nei casi in cui l’operatore economico non si conformi ai requisiti stabiliti dall’Autorità o sopravvengano interessi pubblici rilevanti meritevoli di tutela, alla luce dei fondamentali interessi di sicurezza dello Stato e degli impegni ed obblighi assunti dall'Italia in materia di non proliferazione.

La lettera p) prevede una specifica procedura per le richieste di autorizzazione al trasferimento di informazioni classificate incluse in prodotti a duplice uso da trasferire all’interno dell’Unione europea, che prevede il coinvolgimento del Dipartimento per le informazioni e la sicurezza (DIS). Il DIS comunica all’operatore – e se necessario agli Stati o alle organizzazioni internazionali di destinazione – le prescrizioni imposte a tutela delle informazioni classificate entro 180 giorni dal ricevimento dell’istanza.

La lettera q) aggiorna i riferimenti all’allegato II-bis del regolamento duplice uso, che è stato rinumerato (Allegato II, sezione A, parte 2).

La lettera r), al numero 1), colma una lacuna inserendo uno specifico riferimento all’importatore tra i soggetti destinatari di misure ispettive presso le proprie sedi, riferite sia alla fase preliminare che successiva all'operazione. Al numero 2), precisa che l'Autorità UAMA può svolgere attività di ispezione e verifica anche in collaborazione con gli organi preposti alla tutela dell'ordine e sicurezza pubblica ed al controllo doganale, fiscale e valutario, nonché con l'eventuale apporto dei Servizi di informazione per la sicurezza. Al numero 3), elimina il riferimento ad uno specifico decreto del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, d'intesa con le amministrazioni interessate, per disciplinare la collaborazione nelle attività di ispezione e verifica. Infine, il numero 3), dispone che sono oggetto di attività ispettiva anche i prodotti importati in base al d. lgs. 221/2017.

La lettera s) riformula l’articolo 18, introducendo le seguenti modifiche: specifica l’applicabilità della norma a entrambe le categorie dei prodotti a duplice uso listati e dei prodotti a duplice uso non listati, coerentemente con quanto disposto alla lettera b); aggiorna i riferimenti al regolamento duplice uso così come rifuso; corregge alcuni refusi presenti nel testo. La nuova formulazione, inoltre, modifica le norme sanzionatorie per estendere la portata delle disposizioni ai prestatori di assistenza tecnica e per colmare il divario tra l’importo massimo della pena pecuniaria e la soglia minima della pena detentiva, così come proposto dal Ministero della giustizia. Tale modifica opera ai commi 1 e 2 e consente di salvaguardare i caratteri della proporzionalità e della dissuasività delle sanzioni sanciti dall’articolo 25 del regolamento duplice uso: in questo modo, il giudice avrà i margini necessari per adeguare la pena alla gravità del fatto commesso. L’elemento di dissuasività è accentuato dalla previsione di comminare congiuntamente la pena detentiva a quella pecuniaria. In seguito all’abrogazione di norme nazionali riproduttive del regolamento UE disposte con la lettera aa), (10, comma 8, 11, comma 8 e 12, comma 6), sono riformulati gli obblighi contenuti nei commi 3 e 4 ed è inserita una precisazione sul termine di cui al comma 5, lett. a).

La lettera t), nei numeri 1), 5) e 6) riformula le norme sanzionatorie perseguendo gli stessi obiettivi delle simili modifiche apportate all’articolo 18: colma il divario tra l’importo massimo della pena pecuniaria e la soglia minima della pena detentiva e le rende comminabili solo congiuntamente. Tale modifica consente di salvaguardare i caratteri della proporzionalità e della dissuasività delle sanzioni sanciti dall’articolo 33 del regolamento antitortura. La norma precisa, inoltre, i termini stabiliti per la comunicazione delle informazioni e della conservazione della documentazione relativa alle operazioni, in linea con quanto disposto per i prodotti a duplice uso (le cui norme sono già contenute nel regolamento UE). La presente modifica dovrà essere notificata alla Commissione europea ai sensi dell’articolo 33, comma 2, del regolamento antitortura (2019/125). Il numero 6), inoltre, tiene conto delle abrogazioni operate con la lettera aa) (10, comma 8 e 12, comma 6) e riformula espressamente gli obblighi precedentemente contenuti in tali disposizioni.

Nei numeri 2), 3) e 4) aggiorna i riferimenti al regolamento antitortura per consentire una più facile interpretazione del testo.

La lettera u), ai numeri 1) e 2) allinea la formulazione delle sanzioni alle modifiche operate agli articoli 18 e 19. Con il numero 3), introduce una sanzione amministrativa da 15.000 a 90.000 euro per le violazioni degli obblighi di informazione, conservazione ed esibizione di documenti relativi ad operazioni che hanno ad oggetto prodotti listati per effetto di misure restrittive unionali, uniformando il regime sanzionatorio a quello previsto per le operazioni illecite relative ai prodotti a duplice uso ed alle merci soggette al regolamento antitortura.

La lettera v), allinea la formulazione delle sanzioni relative all'assistenza tecnica riguardante taluni fini militari alle modifiche operate alle disposizioni sanzionatorie precedenti. Anche in questo caso, si colma il divario tra l’importo massimo della pena pecuniaria e la soglia minima della pena detentiva e si introduce la cumulatività della pena pecuniaria e della pena detentiva.

La lettera z) introduce l’articolo 21-bis, relativo alla confisca obbligatoria. La disposizione introdotta sostituisce le norme dello stesso tenore già previste agli articoli 18, comma 3, 19, comma 3, e 20, comma 4, che sono abrogate con la riformulazione dell’articolo 18 e con la lettera aa). La nuova formulazione precisa i riferimenti all’articolo 240 del codice penale e chiarisce in maniera inequivocabile che la confisca in parola è di carattere obbligatorio (“è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere i reati di cui agli articoli 18, commi 1 e 2, 19, commi 1 e 2, o 20, commi 1 e 2, del presente decreto, nonché delle cose che ne sono il prodotto o il profitto”). Si precisa infine che, nei casi in cui non sia possibile procedere alla confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità, il giudice ordina la confisca di altre somme di denaro, di beni e di altre utilità di legittima provenienza per un valore equivalente, delle quali il condannato ha la disponibilità, anche per interposta persona. La formulazione di una disposizione unica applicabile alle tre diverse fattispecie di reato favorisce l’interpretazione e aumenta la coerenza del testo.

 La lettera aa) abroga le norme riproduttive di disposizioni già contenute nel regolamento, l’articolo 10, comma 8, l’articolo 11, comma 8, l’articolo 12, comma 6) e le norme sostituite dal nuovo articolo 20-bis sulla confisca obbligatoria (l’articolo 19, comma 3 e l’articolo 20, comma 4).

 

ART. 24 (Attuazione della direttiva (UE) 2022/738 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 aprile 2022, che modifica la direttiva 2006/1/CE relativa all’utilizzazione di veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada)

L’articolo 24 reca attuazione della direttiva (UE) 2022/738 del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 aprile 2022, relativa all’utilizzazione dei veicoli noleggiati senza conducente per il trasporto di merci su strada. La citata direttiva (UE) 2022/738, il cui termine di recepimento è il 6 agosto 2023, modifica la direttiva 2006/1/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 gennaio 2006. Al riguardo, si rappresenta che la direttiva 2006/1/CE ha codificato, abrogandola, la direttiva 84/647/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1984, recepita nell’ordinamento nazionale dal decreto del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie 14 dicembre 1987, n. 601, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 aprile 1988, n. 92, S.O., e, successivamente, dall’articolo 84 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, come sostituito dall’articolo 38, comma 1, del decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360, che, parzialmente riproduce le disposizioni contenute nel medesimo decreto n. 601/1987.

Pertanto, al fine di recepire la direttiva (UE) 2022/738, lo schema di norma in esame:

  • apporta modifiche all’articolo 84 del codice della strada;
  • reca attuazione delle ulteriori disposizioni della direttiva, parzialmente disciplinate dal decreto n. 601 del 1987 e relative, in particolare, alle condizioni contrattuali del noleggio e alla documentazione da tenere a bordo;
  • individua, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il punto di contatto nazionale, preposto alla cooperazione informativa e all’assistenza alle autorità competenti degli altri Stati membri;
  • dispone l’abrogazione del decreto 14 dicembre 1987, n. 601, non più coordinato con le disposizioni europee.

Premesso quanto sopra, la norma, al comma 1, apporta modifiche all’articolo 84 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante “Nuovo codice della strada”, rubricato “Locazione senza conducente”.

In particolare, alla lettera a), al fine di recepire l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2006/1/CE, come modificato dalla direttiva (UE) 2022/738, si sostituisce il comma 2 del citato articolo 84, con l’obiettivo di consentire anche sul trasporto nazionale l’utilizzazione dei veicoli locati in un qualsiasi Stato membro. Infatti, il vigente articolo 84 del codice della strada limita la possibilità di utilizzo di tali veicoli al solo trasporto internazionale. Inoltre, il novellato comma 2 dell’articolo 84 prevede che la condizione per utilizzare i veicoli noleggiati è che essi siano immatricolati o messi in circolazione secondo la legislazione di qualsiasi Stato membro.

La lettera b) sostituisce il comma 3 dell’articolo 84, al fine di prevedere che l’impresa locatrice possa essere sia un’impresa di trasporto sia altro tipo di impresa (es. impresa di noleggio). Il vigente comma 3 dell’articolo 84 prevede, invece, che l’impresa locatrice sia necessariamente un’impresa di autotrasporto.

La lettera c) del comma 1 modifica la lettera a) del comma 4 dell’articolo 84, mantenendo il limite delle 6 tonnellate di massa solo per i veicoli dati in locazione senza conducente alle imprese che esercitano trasporto di merci in conto proprio. La facoltà di limitare l’utilizzo di veicoli noleggiati per il trasporto di cose per conto proprio è prevista dall’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2006/1/CE. Tale limite viene meno per il trasporto di merci per conto di terzi, ai sensi di quanto disposto dai novellati commi 2 e 3 dell’articolo 84.

La lettera d) sostituisce il comma 5 dell’articolo 84, prevedendo che la carta di circolazione dei veicoli adibiti a locazione senza conducente sia rilasciata sulla base della denuncia di inizio attività di cui all’articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 19 dicembre 2001, n. 481, che ha semplificato il procedimento di autorizzazione per l’esercizio dell’attività di locazione di veicoli senza conducente.

La lettera e) sostituisce il comma 6 dell’articolo 84, rinviando ad un decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, adottato di concerto con il Ministro dell’interno, la possibilità di stabilire eventuali ulteriori criteri limitativi, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 3, paragrafo 2, della direttiva 2006/1/CE, ed in particolare in materia di: periodo massimo di utilizzazione, di reimmatricolazione (almeno dopo trenta giorni di utilizzo) del veicolo noleggiato, di numero di veicoli noleggiati in rapporto al parco veicoli dell’impresa, di utilizzo di veicoli noleggiati per il trasporto in conto proprio.  

Il comma 2 dell’articolo recepisce le disposizioni di cui alle lettere b), c) e d) del paragrafo 1 dell’articolo 2 della direttiva 2006/1/CE, inerenti alle condizioni per l’utilizzo di veicoli presi a noleggio da imprese stabilite nel territorio di un altro Stato membro. In particolare, la lettera a) dispone che il contratto di locazione deve prevedere unicamente la messa a disposizione del veicolo senza conducente e non deve essere abbinato ad un contratto di servizio concluso con la stessa impresa e riguardante il personale di guida o di accompagnamento; alla lettera b), si prevede che il veicolo noleggiato deve essere esclusivamente a disposizione dell'impresa che lo utilizza, per la durata del contratto di locazione; alla lettera c), è previsto che il veicolo locato sia guidato dal personale proprio dell'impresa che lo utilizza.

I commi 3 e 4, in recepimento di quanto previsto dal paragrafo 2 dell’articolo 2 della direttiva 2006/1/CE, recano disposizioni in ordine alla documentazione (in formato cartaceo o elettronico) che deve trovarsi a bordo del veicolo noleggiato, prevedendo, altresì, che la predetta documentazione possa essere sostituita da un documento equivalente rilasciato dalle autorità competenti dello Stato membro.

Il comma 5, in attuazione dell’articolo 3-bis, paragrafo 1, della direttiva 2006/1/CE, dispone che il Centro elaborazioni dati del Dipartimento per la mobilità sostenibile del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti iscrive il numero di targa di immatricolazione dei veicoli noleggiati nel registro elettronico nazionale (REN), in conformità all’articolo 16 del regolamento (CE) n. 1071/2009.

Il comma 6 individua, ai sensi dell’articolo 3-bis, paragrafo 2, della direttiva 2006/1/CE, il punto di contatto nazionale nella Direzione generale per la sicurezza stradale e l’autotrasporto del Dipartimento per la mobilità sostenibile del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Il punto di contatto nazionale è preposto alla cooperazione informativa e all’assistenza alle autorità competenti degli altri Stati membri.

Il comma 7 dispone l’abrogazione del decreto del Ministro per il coordinamento delle politiche comunitarie 14 dicembre 1987, n. 601, con il quale è stata data attuazione alla direttiva n. 84/647/CEE, non più coordinato con le disposizioni eurounitarie.

Il comma 8 reca la clausola d’invarianza finanziaria.

 

ART. 25 (Attuazione della direttiva delegata 2022/2100/UE della Commissione che modifica la direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda la revoca di talune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato)

L’articolo 25 intende dare attuazione alla direttiva delegata (UE) 2022/2100/UE della Commissione che prevede la revoca di alcune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato previste dalla direttiva 2014/40/UE del 3 aprile 2014 (“sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati”), recepita nell’ordinamento con il Decreto legislativo 12 gennaio 2016, n. 6.

In proposito, la direttiva 2014/40/UE prevede il divieto di immissione sul mercato dei prodotti del tabacco con un aroma caratterizzante e dei prodotti del tabacco contenenti aromi - in qualsiasi dei loro elementi quali i filtri, le cartine, le confezioni, le capsule e così via - che consentono di modificare l’odore o il gusto dei prodotti del tabacco interessati o la loro intensità di fumo.

Da tale divieto – già esistente per le sigarette e il tabacco da arrotolare – erano esonerati i prodotti del tabacco riscaldato.

Tenuto conto dei significativi sviluppi intervenuti sul mercato negli ultimi anni, la Commissione europea ha recentemente dato atto di un mutamento sostanziale della situazione riguardo ai prodotti a base di tabacco riscaldato (COM(2022)279 final). In coerenza con tale mutato contesto, l’articolo in illustrazione, al comma 1, lett. a) prevede di intervenire sulla disciplina nazionale di riferimento integrando le definizioni riportate nell’art. 2 del D.lgs. n. 6 del 2016, con l’introduzione della lettera “j-bis)”, recante una specifica previsione volta a delineare il prodotto del tabacco riscaldato, con cui si intende un “prodotto del tabacco di nuova generazione che è riscaldato per produrre un’emissione contenente nicotina e altre sostanze chimiche, che viene poi inalata dall’utilizzatore e che, per le sue caratteristiche, è un prodotto del tabacco non da fumo, in quanto consumato senza processo di combustione. La portata di tale inquadramento definitorio consente di qualificare come prodotto del tabacco non da fumo un prodotto che è identificabile ove la preparazione ne renda possibile il consumo in assenza di un processo di combustione.  La caratteristica del prodotto, a cui si fa riferimento al fine della sua classificazione tra i prodotti non da fumo non può che riguardare le modalità di consumo (riscaldamento o combustione) da prevedere in relazione alle peculiarità con cui il prodotto stesso si presenta per il consumo finale.

Coerentemente con la citata modifica della normativa unionale e con la revoca di talune esenzioni per i prodotti del tabacco riscaldato, si prevede altresì di intervenire in relazione ai collegati aspetti di regolamentazione degli ingredienti e di etichettatura.

In particolare, con il comma 1, lett. b) si prevede che anche per i prodotti del tabacco riscaldato – così come attualmente già previsto per le sigarette e per il tabacco da arrotolare - sarà vietata l’immissione sul mercato dei prodotti del tabacco riscaldato contenenti aromi caratterizzanti o aromi in qualsiasi dei loro elementi quali i filtri, le cartine, le confezioni, le capsule o le caratteristiche tecniche che consentono di modificare l’odore o il gusto dei prodotti del tabacco interessati o la loro intensità di fumo. Tale divieto, in particolare, riguarderà sia i prodotti del tabacco riscaldato “da fumo” che quelli riscaldati “non da fumo”.

Inoltre, il comma 1, lett. c), emendando le previsioni normative in tema di etichettatura al fine di informare correttamente i consumatori sui rischi legati all'uso del tabacco, dispone che i prodotti del tabacco da fumo – diversi dalle sigarette, dal prodotto del tabacco riscaldato da fumo, dal tabacco da arrotolare e dal tabacco per pipa ed acqua – non rechino obbligatoriamente su ciascuna confezione e sull’eventuale imballaggio esterno l’avvertenza generale “Il fumo uccide – smetti subito”, che comprende altresì il riferimento alle informazioni sulla disassuefazione dal fumo, oltre alle previste avvertenze testuali.

L’articolo in esame prevede, al comma 2, infine, un intervento di mero coordinamento con il decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo Unico delle Accise), al solo fine di garantire la coerenza delle disposizioni normative fiscali in materia di accisa con quelle in tema di salute. Nello specifico, tale comma 2 sostituisce la lett. e-bis) del comma 2 dell’art. 39-bis del citato TUA (“Oggetto dell’imposizione”) specificando che sono da considerare tabacchi da inalazione senza combustione i prodotti del tabacco riscaldato non da fumo che sono consumati senza un processo di combustione.

Con il comma 3 infine, in coerenza con le previsioni di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 29 giugno 2022, n. 2022/2100/UE, sono stabilite le decorrenze delle disposizioni in argomento anche volte ad un ordinato esaurimento delle scorte.

 

ART. 26 (Clausola di invarianza finanziaria)

L’articolo 26 prevede la clausola di invarianza finanziaria, secondo la quale dall’attuazione della legge in esame non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e le amministrazioni provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto-legge con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

Tale clausola non si applica agli articoli 2, 5, 7, 8, 11, 12, 14 e 17 che, invece, comportano oneri per la finanza pubblica.

 

ART. 27 (Entrata in vigore)

L’articolo 27 riguarda l’entrata in vigore del presente decreto-legge.