XIX LEG - ddl - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale.

aggiornamento: 30 maggio 2023

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 28 dicembre 2022

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale.

 

Relazione illustrativa

Art. 1

  1. Il decreto-legge 5 gennaio 2023, n. 2, recante misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale, è convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.
  2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.


 

Relazione illustrativa

L’attuale contesto internazionale di crisi energetica e di au­mento dei prezzi delle materie prime pone a repentaglio il funzionamento ordinario di produzioni industriali considerate d’interesse strategico nazionale. Per tale motivo, si ren­dono indifferibili interventi volti a garantire a tali tipologie di produzioni un quadro di possibili interventi finalizzati a far fronte alle specificità del modo di manifestarsi della crisi internazionale nei loro riguardi e coerenti con la speciale importanza di tali produzioni in relazione all’interesse pubblico nazionale.

In questa prospettiva, risulta urgente inter­ venire sia per salvaguardare determinati con­ testi industriali di rilievo strategico nazionale che, a causa del caro energia, si trovano in situazione di carenza di liquidità, sia per fornire allo Stato strumenti più rapidi per in­tervenire, laddove la gestione di tali imprese dovesse ritenersi disfunzionale rispetto al­l’interesse nazionale, specialmente in una fase in cui il contesto internazionale richiede particolare rapidità al fine di consentire la permanenza e competitività nel mercato.

Per tali motivi, nel dare continuità alle previsioni, già contenute nell’articolo 1, commi 1-ter e 1-quinquies, del decreto-legge 16 dicembre 2019, n. 142, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 febbraio 2020, n. 5, che autorizzano Invitalia a intervenire nella società Acciaierie d’Italia Spa me­diante strumenti di rafforzamento patrimo­niale della stessa, si è previsto e specificato che i 705.000.000 euro (stanziati dall’arti­ colo 3, comma 4-bis, del decreto-legge 20 luglio 2021, n. 103, convertito, con modifi­cazioni, dalla legge 16 settembre 2021, n. 125) possano essere utilizzati oltre che per sottoscrivere aumenti di capitale sociale (com’era nella previsione originaria) anche quale finanziamento soci da erogare secondo logiche, criteri e condizioni di mercato e da convertire in aumento di capitale sociale su richiesta di Invitalia. Quanto, invece, al mi­liardo di euro stanziato per l’anno 2022 dal­ l’articolo 30 del decreto-legge 09 agosto 2022, n. 115, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 settembre 2022, n. 142 (ulte­riore e addizionale rispetto alle risorse già stanziate dall’articolo 3, comma 4-bis, del citato decreto-legge n. 103 del 2021), si è previsto, in sostituzione della precedente previsione, che « anche in costanza di prov­vedimenti di sequestro o confisca degli im­pianti dello stabilimento siderurgico, l’Agen­ zia nazionale per l’attrazione degli investi­ menti e lo sviluppo d’impresa S.p.A. è au­torizzata a sottoscrivere aumenti di capitale sociale o finanziamento soci secondo logi­che, criteri e condizioni di mercato, da con­vertire in aumento di capitale sociale su ri­chiesta della medesima, sino all’importo complessivamente non superiore a 1.000.000.000 di euro, ulteriori e addizionali rispetto a quelli previsti dal comma 1-ter ».

La disposizione, della quale è confermato il carattere meramente facultizzante (Invita­lia è autorizzata) e non obbligatorio, innova su due punti quella sostituita: a) consente che l’investimento sia effettuato anche in pendenza di provvedimenti di sequestro o confisca; b) elimina il riferimento ai « di­ versi strumenti, comunque idonei al raffor­zamento patrimoniale », concentrando le possibilità di intervento, oltre che nell’incre­mento del capitale sociale, nel finanziamento soci in conto aumento di capitale, specifi­cando che quest’ultimo debba avvenire se­condo logiche, criteri e condizioni di mer­cato, e debba essere convertibile in aumento di capitale sociale su richiesta di Invitalia (articolo 1). Sotto altro profilo, è stato consentito che, in caso di imprese che gestiscono uno o più stabilimenti di interesse nazionale strategico individuati ai sensi dell’articolo 1 del decre­to-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231, non quotate, in cui il socio pubblico detenga oltre il 30 per cento delle quote societarie, la richiesta di accesso im­mediato alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi del decreto-legge 23 dicembre 2003, n. 347, convertito, con mo­dificazioni, dalla legge 18 febbraio 2004, n. 39, possa avvenire non soltanto su istanza degli amministratori, ma anche del socio pubblico detentore della minoranza qualifi­cata nei termini anzidetti, qualora gli ammi­nistratori siano rimasti inerti a fronte della ricorrenza dei presupposti per accedere alla procedura. Al contempo, sono stati previsti limiti massimi ai compensi degli ammini­stratori giudiziari e un meccanismo di pro­gressivo décalage dei compensi dei commis­sari straordinari, con funzione di incentivo alla realizzazione nei termini più rapidi degli obiettivi posti dall’amministrazione straordi­naria e di evitare consolidamenti connessi a procedure che, per natura, dovrebbero avere carattere temporaneo e straordinario (articolo 2).

L’articolo 3 detta disposizioni che introdu­cono meccanismi incentivanti e disincenti­vanti miranti a provocare una riduzione della durata delle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi nonché una maggiore efficacia delle stesse. In particolare, si consente di liquidare somme parametrate al fatturato dell’impresa in amministrazione straordinaria «solo ove non siano prodotte ulteriori perdite rispetto alla situazione esistente al momento della dichiarazione dello stato di insolvenza» e di corrispondere acconti sul compenso nella sola fase di esercizio dell’impresa. Ancora, si scoraggiano le proroghe subordinando il 15 per cento del compenso «al completa­ mento del programma senza il beneficio di alcuna proroga» (articolo 3). In ordine ai commissari giudiziari (ausi­liari del giudice) è poi previsto, al fine di assicurare la prevedibilità e ragionevolezza delle liquidazioni, che il giudice, nell’utiliz­zare le tabelle e i parametri per la liquida­ zione del compenso, debba comunque osser­vare un tetto massimo di euro 500.000,00 anche in caso di incarico collegiale (articolo 4).

Accanto all’attuale contesto energetico e internazionale, altro fattore suscettibile di in­cidere sull’effettivo conseguimento dell’inte­resse pubblico sotteso alle produzioni indu­striali dichiarate di rilevante interesse nazio­nale è dato dalla possibile presenza di pro­ cedimenti e vincoli giudiziari che li riguar­dino. Gli impedimenti allo svolgimento del­ l’attività o i vincoli alla disponibilità dei beni strumentali al relativo esercizio possono determinare pregiudizi significativi, e finan­che danni irreparabili, a una serie di inter­essi pubblici di primaria importanza, quali in particolare l’approvvigionamento di beni e servizi ritenuti essenziali per il sistema economico nazionale e la tutela della coe­sione sociale, con speciale riferimento al di­ ritto al lavoro e alla tutela dell’occupazione. Al contempo, occorre adottare ogni mi­sura necessaria affinché lo svolgimento del­ l’attività negli stabilimenti o loro parti o beni strumentali afferenti non rechi pregiu­dizio ad altri beni giuridici di primaria im­portanza ed essenzialità, quali in particolare il diritto alla salute e alla salubrità ambien­tale.

Si rende, pertanto, necessario provvedere a bilanciare ragionevolmente i predetti inte­ressi, in modo da approntare una disciplina che, da un lato, minimizzi i rischi di pregiu­dizio all’interesse pubblico all’approvvigio­namento di beni e servizi ritenuti essenziali per il sistema economico nazionale e alla tu­ tela della coesione sociale, e, dall’altro lato, minimizzi i rischi di pregiudizio a beni giu­ridici fondamentali quali la salute e l’am­biente. Il tutto – secondo i principi fissati dalla Corte costituzionale – senza eccessivo sacrificio di alcuno dei beni giuridici rile­vanti, limitando la compressione di ciascuno di essi a quanto strettamente necessario per realizzare il fine perseguito: « Non può in­ fatti ritenersi astrattamente precluso al legi­slatore di intervenire per salvaguardare la continuità produttiva in settori strategici per l’economia nazionale e per garantire i corre­ lati livelli di occupazione, prevedendo che sequestri preventivi disposti dall’autorità giudiziaria nel corso di processi penali non impediscano la prosecuzione dell’attività d’impresa; ma ciò può farsi solo attraverso un ragionevole ed equilibrato bilanciamento dei valori costituzionali in gioco. Per essere tale, il bilanciamento deve essere condotto senza consentire “l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe ‘tiranno‘ nei confronti delle altre situazioni giuridiche co­stituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona” (sentenza n. 85 del 2013). Il bilanciamento deve, perciò, ri­spondere a criteri di proporzionalità e di ra­gionevolezza, in modo tale da non consen­tire né la prevalenza assoluta di uno dei va­ lori coinvolti, né il sacrificio totale di alcuno di loro, in modo che sia sempre garantita una tutela unitaria, sistemica e non fram­mentata di tutti gli interessi costituzionali implicati (sentenze n. 63 del 2016 e n. 264 del 2012) », ciò che deve ritenersi sufficien­temente garantito nel caso in cui « la prose­cuzione dell’attività d’impresa [sia] condi­zionata all’osservanza di specifici limiti, di­ sposti in provvedimenti amministrativi ..., e assistita dalla garanzia di una specifica di­sciplina di controllo e sanzionatoria » (così, espressamente, sentenza della Corte costitu­zionale n. 58 del 2018).

L’ordinamento, tuttavia, allo stato non co­nosce istituti finalizzati a garantire quel bi­ lanciamento, tanto che in alcune situazioni di emergenza si è dovuto fare ricorso a provvedimenti emergenziali di natura straor­dinaria, che, proprio per questa ragione, hanno prodotto frizioni tra i soggetti prepo­sti alla tutela dei diversi interessi, e in ogni caso, risultati provvisori e insoddisfacenti. In questa prospettiva, si è ritenuto necessario predisporre un intervento di «sistema», volto a dettare una disciplina organica e sta­ bile che permetta di attuare quel bilancia­ mento entro un quadro normativo prevedi­ bile e razionale. Per questo aspetto, in primo luogo, si ritiene possibile modulare opportu­namente alcuni istituti giuridici presenti nel­ l’ordinamento, che già richiedono al giudice di considerare anche esigenze estranee a quelle propriamente connesse all’esercizio della giurisdizione.

Per questo aspetto, in relazione all’appli­cazione delle misure interdittive previste dal decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, l’articolo 15, comma 1, già prevede alcuni casi in cui l’applicazione è esclusa in ra­gione del ricorrere di interessi diversi, quale, ad esempio, l’esigenza di evitare che cessi l’attività un ente che «svolge un pubblico servizio o un servizio di pubblica neces­sità». Allo stesso modo, in relazione all’ap­plicazione cautelare delle medesime misure, l’articolo 45 del decreto legislativo citato la­ scia al giudice la possibilità di sostituirne l’applicazione con la nomina di un commis­sario giudiziale. Rispetto a questi istituti è ora esplicitato che essi devono trovare appli­cazione anche rispetto all’attività svolta in stabilimenti industriali o parti di essi dichia­rati di interesse strategico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. Allo stesso modo, si è specificato che, nel caso in cui l’ente gestisca stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strate­gico nazionale, è esclusa l’applicazione delle misure interdittive se l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato, mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi. Si è previsto espressamente che il modello orga­nizzativo si considera sempre idoneo a pre­venire reati della specie di quello verificatosi quando nell’ambito della procedura di rico­noscimento dell’interesse strategico nazio­nale sono stati adottati provvedimenti diretti a realizzare, anche attraverso l’adozione di modelli organizzativi, il necessario bilancia­ mento tra le esigenze di continuità dell’atti­vità produttiva e di salvaguardia dell’occu­pazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi (articolo 5). Analogo intervento si è effettuato rispetto ai provvedimenti di sequestro (adottati sia in ambito propriamente penale sia nell’ambito disciplinato dal decreto legislativo n. 231 del 2001). Per quanto attiene ai sequestri, valo­rizzando il fatto che già l’articolo 104-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale prevede l’esigenza di un’attività gestoria di beni sequestrati, e se­gnatamente di aziende, vengono inseriti nel­ l’ambito dello stesso articolo 104-bis (al quale rinvia anche l’articolo 53 del decreto legislativo n. 231 del 2001) alcuni commi, i quali specificano gli effetti del provvedi­ mento di sequestro che abbia ad oggetto sta­bilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale ai sensi del­ l’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 dicembre 2012, n. 231. In particolare, è previsto che, allorché il seque­stro riguardi stabilimenti industriali o parti di essi dichiarati di interesse strategico na­zionale, il giudice debba di regola disporre la prosecuzione dell’attività, avvalendosi di un amministratore giudiziario (che in caso di amministrazione straordinaria deve coinci­dere con il commissario già nominato nel­ l’ambito della procedura) e dettando ove ne­cessario le prescrizioni occorrenti per realiz­zare un bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salva­ guardia dell’occupazione e la tutela della si­curezza sul luogo di lavoro, della salute, dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi dagli illeciti commessi. In tale prospettiva, deve tenere anche conto del contenuto dei provvedimenti amministrativi a tal fine adottati dalle competenti autorità: tanto garantisce il pieno rispetto dei principi fissati dalla Corte costituzionale con le sen­ tenze n. 85 del 2013 e 58 del 2018. Peraltro, si è altresì previsto che quelle disposizioni non si applichino quando il giudice ritenga che dalla prosecuzione possa derivare un concreto pericolo per la salute o l’incolumità pubblica, ovvero per la salute o la sicurezza dei lavoratori, non evitabile con alcuna pre­scrizione. Tuttavia, nella stessa logica del necessario bilanciamento tra beni, che in­nerva l’intera disciplina in esame, si è pre­visto che il giudice debba autorizzare la pro­secuzione dell’attività se, nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, sono state adottate mi­sure con le quali si è ritenuto realizzabile il bilanciamento tra le esigenze di continuità dell’attività produttiva e di salvaguardia del­ l’occupazione e la tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente e degli altri eventuali beni giuridici lesi da­ gli illeciti commessi.

In tutti questi casi il provvedimento deve essere immediatamente trasmesso, entro il termine di quarantotto ore, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al Ministero delle imprese e del made in Italy e al Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. Rispetto a questo provvedimento, si è in­tervenuti anche al fine di dettare una disciplina processuale che valorizzi la posizione dei vari soggetti coinvolti e il diverso profilo in gioco, che non è, come usualmente ac­cade, il solo tema del mantenimento del se­questro (di interesse del solo indagato o del soggetto che avrebbe diritto alla restitu­zione), ma anche la continuità dell’attività, che è interesse dello Stato (tramite i soggetti preposti alla tutela dell’interesse strategico nazionale dello stabilimento, ma anche alla tutela dell’ambiente: Presidenza del Consi­glio dei ministri, Ministero delle imprese e del made in Italy e Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica). Il provvedi­ mento in questione, infatti, può essere og­getto di impugnazione ai sensi dell’articolo 322-bis del codice di procedura penale, in ampliamento rispetto al suo tenore ordinario: sono legittimati all’impugnazione (oltre alle parti processuali, al soggetto al quale le cose sono state sequestrate e all’avente diritto alla restituzione) anche la Presidenza del Consi­glio dei ministri, il Ministero delle imprese e del made in Italy e il Ministero dell’am­biente e della sicurezza energetica. Nella valutazione in questione assume centralità il bilanciamento tra i valori giuri­ dici protetti dalle norme penali e l’interesse nazionale all’approvvigionamento dei beni e servizi prodotti dall’impresa oggetto di se­questro che riguardano tutto il territorio na­zionale: si è ritenuto, pertanto, necessario in­dividuare la competenza sull’impugnazione in capo ad un’unica autorità, individuata nel tribunale di Roma, anche allo scopo di man­ tenere unitarietà di indirizzi applicativi su tutto il territorio nazionale nonché maturare una specializzazione nella gestione di un profilo di intervento di certo delicato e com­plesso. Ciò nel rispetto dei principi, costan­temente affermati dalla Corte costituzionale, secondo cui è rimessa al legislatore, nella sua discrezionalità – limitata dal rispetto del generale principio di ragionevolezza – l’individuazione del giudice competente alla decisione delle controversie, con l’unica condizione che esso venga precostituito con norma di rango legislativo (si veda, ex mul­tis, sentenza della Corte costituzionale n. 237 del 2013) (articolo 6). Conclusivamente, in ragione del fatto che la prosecuzione dell’attività nei casi predetti è frutto di un bilanciamento complesso e de­licato tra l’interesse nazionale sotteso alla produzione industriale strategica e gli altri valori giuridici protetti dall’ordinamento, si è ritenuto necessario inserire una norma di raccordo che assicuri omogeneità di valuta­ zione da parte dell’ordinamento, in omaggio ai principi di razionalità e certezza del di­ ritto, in ordine alle condotte compiute da chi sia incaricato di attuare i provvedimenti giu­diziari o amministrativi relativi alla prosecu­zione dell’attività d’impresa. Pertanto, viene previsto che chiunque agi­sca al fine di dare esecuzione ad un provve­dimento che autorizza la prosecuzione del­ l’attività di uno stabilimento industriale o parte di esso dichiarato di interesse strate­gico nazionale ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge 3 dicembre 2012, n. 207, con­vertito, con modificazioni, dalla legge 24 di­ cembre 2012, n. 231, non è punibile per i fatti che derivano dal rispetto delle prescri­zioni dettate dal provvedimento dirette a tu­ telare i beni giuridici protetti dalle norme incriminatrici, se ha agito in conformità alle medesime prescrizioni. La norma costituisce esplicitazione del principio generale per cui il soggetto che abbia riposto legittimo affidamento in un’au­torizzazione amministrativa non risulta rim­proverabile per le condotte poste in essere in esecuzione del provvedimento amministra­tivo, anche in conformità al principio di cui all’articolo 51 del codice penale. Le prescri­zioni dell’autorizzazione amministrativa co­stituiscono, dunque, regole cautelari idonee alla protezione dei beni giuridici oggetto del provvedimento amministrativo, con conse­guente non configurabilità – tra l’altro – di condotte omissive penalmente punibili in capo al soggetto che abbia protetto il bene giuridico affidato alla sua tutela eseguendo tutti gli adempimenti prescritti dal provvedi­ mento amministrativo. Il tutto, naturalmente, salvo i casi di concorso dell’agente in even­tuali reati commessi in sede di rilascio del provvedimento amministrativo stesso. La norma si applica ai procedimenti in corso in virtù del principio del favor rei (articolo 7). Ciò posto sul piano generale, dal punto di vista del diritto transitorio viene infine con­ fermata l’applicabilità, oltre il termine in essa in origine stabilito, della specifica causa di non punibilità prevista dall’articolo 2, comma 6, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, riferita al caso specifico delle acciaierie di Taranto, con ap­plicazione estesa fino alla data di perdita di efficacia del Piano ambientale (articolo 8). La norma finale reca la clausola di inva­rianza finanziaria del provvedimento (arti­colo 9).