XIX LEG - ddl - Conversione in legge con modificazioni del decreto-legge 31 ottobre 2022, n.162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti sars-cov-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.

aggiornamento: 30 gennaio 2023

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 31 ottobre 2022

Conversione in legge con modificazioni del decreto legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonche' in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.

Relazione illustrativa

Art. 1

1. Il decreto - legge 31 ottobre 2022, n.162, recante misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonche' in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n.150, di obblighi di vaccinazione anti SARS-COV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, e' convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge.

2. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

Relazione illustrativa

 

Il presente disegno di legge è volto alla conversione in legge del decreto-legge 31 ottobre 2022, n. 162, recante misure urgenti in materia di di­vieto di concessione dei benefici peniten­ziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, non­ ché in materia di entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARSCOV-2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali, come di seguito si illustra.

In particolare, con i primi tre articoli del citato decreto-legge vengono dettate dispo­sizioni urgenti in tema di divieto di con­ cessione dei benefìci penitenziari nei con­ fronti dei detenuti o internati che non col­laborano con la giustizia. L’articolo 4 in­troduce la possibilità per la Guardia di finanza di procedere a indagini fiscali nei confronti dei detenuti ai quali sia stato applicato il regime carcerario previsto dal­ l’articolo 41-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354, (Norme sull’ordinamento penitenzia­ rio e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, di seguito «O.P.»). L’articolo 5 introduce alcune misure volte a rafforzare il sistema di prevenzione e di con­ trasto del fenomeno dei grandi raduni musi­ cali, organizzati clandestinamente (cosiddetti «rave party»). L’articolo 6 differisce l’en­trata in vigore del decreto legislativo 10 ot­tobre 2022, n. 150, al fine di consentire la gestione dell’impatto della riforma in mate­ ria penale sull’organizzazione degli uffici. L’articolo 7 apporta modifiche alle disposi­ zioni vigenti in materia di obbligo vaccinale. Gli articoli 8 e 9 recano rispettivamente la clausola di invarianza finanziaria e l’entrata in vigore.

È indubbia la sussistenza dei presupposti di necessità ed urgenza.

Quanto al primo ambito di intervento in tema di divieto di concessione dei benefìci penitenziari nei confronti dei detenuti o in­ ternati che non collaborano con la giustizia è noto che, sul tema, è pendente un giudizio di legittimità costituzionale

Con l’ordinanza n. 97 del 2021, in parti­ colare, la Corte costituzionale ha infatti sot­tolineato l’incompatibilità con la Costitu­zione delle norme che individuano nella col­laborazione l’unica possibile strada, a dispo­sizione del condannato all’ergastolo per un reato ostativo, per accedere alla liberazione condizionale, demandando però al legislatore il compito di operare scelte di politica cri­ minale tali da contemperare le esigenze di prevenzione generale e sicurezza collettiva con il rispetto del principio di rieducazione della pena affermato dall’articolo 27, terzo comma, della Costituzione. La Corte ha con­ seguentemente rinviato, in un primo mo­mento al 10 maggio 2022, la nuova discus­sione delle questioni di legittimità costitu­zionale sollevate, contestualmente indiriz­zando al legislatore un monito a provvedere e, successivamente, ha ulteriormente differito all’udienza pubblica dell’8 novembre 2022 la decisione, anche in ragione dello stato avanzato dei lavori parlamentari. Rispetto a questa situazione, infatti, nella precedente legislatura il Parlamento aveva già svolto ampi lavori, pervenendo all’approvazione di un testo presso la Camera dei deputati e lo svolgimento di un’ampia attività di esame anche in seno al Senato, che non è perve­nuto all’approvazione definitiva solo a causa dello scioglimento delle Camere. Solo, quindi, un intervento di urgenza può oggi consentire di adempiere al monito della Corte.

Le modifiche in materia di concessione dei benefìci penitenziari ai detenuti e agli inter­ nati «non collaboranti»

In tale ambito, il presente decreto-legge riproduce nei contenuti il testo unificato già approvato dalla Camera dei deputati il 31 marzo 2022 (Atto Senato n. 2574), con un’unica circoscritta modifica di seguito se­gnalata.

Con l’articolo 1, in particolare, si inter­viene sulla citata legge 26 luglio 1975, n. 354

In primo luogo, al comma 1, con la let­tera a), numero 1), si incide sul comma 1 dell’articolo 4-bis, che – in caso di con­ danna per alcuni gravi delitti indicati come ostativi – esclude la concessione delle mi­sure dell’assegnazione al lavoro all’esterno e delle misure alternative alla detenzione, fuori dei casi di collaborazione con la giu­stizia (ai sensi dell’articolo 58-ter O.P. ov­vero dell’articolo 323-bis codice penale). In forza del rinvio operato dall’articolo 2 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, con­vertito, con modificazioni, dalla legge 12 lu­glio 1991, n. 203, il divieto si applica altresì alla liberazione condizionale.

Secondo un orientamento consolidato della Corte di cassazione, quando sia in ese­cuzione un provvedimento di unificazione di pene concorrenti irrogate sia per delitti osta­tivi, sia per delitti non ostativi, è legittimo lo scioglimento del cumulo nel corso dell’e­secuzione ai fini del vaglio di ammissibilità della domanda di concessione di un benefi­cio penitenziario, sempre che il condannato abbia espiato la parte di pena relativa ai de­litti ostativi (ex multis, Cassazione penale, sezione I, sentenza n. 13041 dell’11 dicem­bre 2020).

In proposito, va ricordato che la Corte co­stituzionale, con la sentenza n. 361 del 1994, aveva affermato che la disciplina contenuta nell’articolo 4-bis O.P. non delinea uno sta­tus di detenuto pericoloso, precisando che detta norma « va interpretata – in confor­mità del principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, nel senso che possono essere concesse misure alterna­tive alla detenzione ai condannati per i reati gravi, indicati dalla giurisprudenza, quando essi abbiano espiato per intero la pena per i reati stessi e stiano espiando pene per reati meno gravi non ostativi alla concessione delle misure alternative alla detenzione ».

Tanto premesso, con la novella in esame si intende circoscrivere la portata del sum­ menzionato principio giurisprudenziale, escludendone i casi in cui il giudice della cognizione o il giudice dell’esecuzione ab­biano accertato la sussistenza di una connes­sione qualificata tra il delitto non ostativo e quello ostativo, ovvero – in particolare – le ipotesi in cui il delitto ostativo risulti com­messo « per eseguire od occultare uno dei reati di cui al primo periodo, ovvero per conseguire o assicurare al condannato o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo ov­vero l’impunità di detti reati ».

Ricorrendo siffatta connessione qualifi­cata, dunque, non sarà più possibile proce­dere allo scioglimento del cumulo, sicché l’accesso ai benefici e alle misure alternative rimarrà soggetto al più gravoso regime di cui al primo periodo anche nel corso dell’e­spiazione del reato non ostativo.

Rispetto alla disposizione approvata dalla Camera dei deputati, sono state apportate due modifiche

Va infatti rilevato, in primo luogo, che in detta disposizione l’estensione del regime ostativo viene testualmente operata con rife­rimento all’ipotesi «di esecuzione di pene concorrenti» che, a mente di quanto previ­ sto dall’articolo 663 del codice di procedura penale, si verifica allorquando una mede­ sima persona sia stata condannata con più sentenze o decreti penali per reati diversi.

Poiché, tuttavia, non v’è ragione alcuna per non estendere l’applicazione della nuova disciplina del regime ostativo anche al caso in cui la condanna per reati ostativi e non ostativi sia stata adottata con un’unica sen­ tenza, si è ritenuto di eliminare dal testo della norma l’aggettivo «concorrenti» con cui si era inteso qualificare le pene in ese­cuzione. In secondo luogo, si è attribuita rilevanza anche all’accertamento della connessione qualificata eventualmente compiuto in fase esecutiva.

Con l’articolo 1, comma 1, lettera a), nu­ mero 2), si modifica la disciplina dettata dal comma 1-bis dell’articolo 4-bis O.P., che attualmente – per i cosiddetti reati ostativi – consente la concessione di benefici e misure nelle ipotesi in cui sia accertata l’inesigibilità (a causa della limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso) o l’impossi­bilità (per l’accertamento integrale dei fatti) della collaborazione: in questi casi, non sussistendo margini per un’utile cooperazione con la giustizia, viene meno la preclusione assoluta stabilita dal comma 1, purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organiz­zata

La novella sostituisce il comma 1-bis con tre nuovi commi che individuano le condi­zioni per l’accesso ai suddetti benefici, deli­neando un peculiare regime probatorio, fon­ dato sull’allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di esclu­dere per il condannato sia l’attualità di col­ legamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi. Quando si tratta di reati non associativi, tra i quali in particolare quelli contro la pubblica ammini­strazione, dovranno essere esclusi collega­ menti con il contesto nel quale il reato è stato commesso.

Con specifico riguardo ai reati associativi, il decreto-legge introduce una disciplina volta a superare la presunzione legislativa assoluta che la commissione di determinati delitti dimostri l’appartenenza dell’autore alla criminalità organizzata, o il suo collega­ mento con la stessa e costituisca, quindi, un indice di pericolosità sociale incompatibile con l’ammissione ai benefici penitenziari ex­ tramurari.

In particolare, il superamento del divieto di ammissione ai benefici in assenza di col­laborazione potrà avvenire – anche in caso di collaborazione impossibile e inesigibile – in presenza delle concomitanti condi­zioni:

– dimostrazione da parte degli istanti di aver adempiuto alle obbligazioni civili e agli obblighi di riparazione pecuniaria conse­guenti alla condanna o l’assoluta impossibi­lità di tale adempimento;

 – allegazione da parte degli istanti di elementi specifici che consentano di escludere sia l’attualità di collegamenti con la crimi­nalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, sia il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi.

Il nuovo comma 1-bis.1.prevede una spe­cifica, meno rigorosa, disciplina con ri­guardo ai reati non associativi, tra cui i reati contro la pubblica amministrazione, per i quali si esclude la sussistenza dell’onere di allegazione in relazione all’assenza di colle­gamenti con la criminalità organizzata e al pericolo di ripristino di tali collegamenti. L’onere di allegazione è altresì escluso in relazione al pericolo di ripristino dei colle­gamenti con il contesto nel quale il reato venne commesso. In base al nuovo comma 1-bis.2, tuttavia, tornerà ad applicarsi il più gravoso regime di cui al comma 1-bis allor­ quando il detenuto o l’internato abbia ripor­ tato condanna anche per il delitto di cui al­ l’articolo 416 del codice penale finalizzato alla commissione dei delitti indicati nel me­desimo comma 1-bis.1.

Va osservato che la nuova formulazione del comma 1-bis richiama un passaggio della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019 che, in relazione ai permes­si-premio, ha dichiarato l’illegittimità costi­tuzionale dell’articolo 4-bis comma 1, O.P., nella parte in cui non prevede che possano essere concessi tali permessi anche in as­senza di collaborazione con la giustizia « al­lorché siano stati acquisiti elementi tali da escludere, sia l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, sia il pericolo del ripristino di tali collegamenti ».

La Corte sottolinea, al riguardo la neces­sità che il «regime probatorio rafforzato» si estenda all’acquisizione di elementi che escludono non solo la permanenza di colle­gamenti con la criminalità organizzata «ma altresì il pericolo di un loro ripristino, tenuto conto delle concrete circostanze personali e ambientali». A giudizio della Corte si tratta «di aspetto logicamente collegato al prece­ dente, del quale condivide il carattere neces­sario alla luce della Costituzione, al fine di evitare che il già richiamato interesse alla prevenzione della commissione di nuovi re­ati, tutelato dallo stesso articolo 4-bis O.P., finisca per essere vanificato».

Nella citata sentenza n. 253 del 2019, la Corte sottolinea altresì come gravi sullo stesso condannato che richiede il beneficio «l’onere di fare specifica allegazione di en­trambi gli elementi – esclusione sia dell’attualità di collegamenti con la criminalità or­ganizzata che del pericolo di un loro ripri­stino ». Si ricorda al riguardo che la giurispru­denza di legittimità ha recentemente specifi­cato (Cassazione penale, Sezione I, sentenza n. 33743 del 14 luglio 2021), in tema di concessione del permesso premio a soggetto condannato per delitti ostativi, che è illegit­tima l’ordinanza del giudice di sorveglianza che dichiari l’inammissibilità dell’istanza per omessa specifica allegazione di elementi di prova idonei a dimostrare la sussistenza dei requisiti sulla base dei quali, dopo la sen­ tenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, può essere concesso il beneficio (vale a dire l’assenza di collegamenti con la cri­minalità organizzata e del pericolo del loro ripristino), essendo a tal fine sufficiente l’al­ legazione di elementi fattuali (quali, ad esempio, l’assenza di procedimenti posteriori alla carcerazione, il mancato sequestro di missive o la partecipazione fattiva all’opera rieducativa) che, anche solo in chiave logica, siano idonei a contrastare la presunzione di perdurante pericolosità prevista dalla legge per negare lo stesso, potendo, eventual­mente, il giudice completare l’istruttoria an­ che d’ufficio. In particolare la Corte di cas­sazione precisa che «Allegazione specifica, in particolare, significa che gli elementi di fatto prospettati nella domanda devono avere una efficacia “indicativa” anche in chiave lo­gica, di quanto occorre a rapportarsi al tema di prova».

Il decreto-legge specifica inoltre che gli elementi che l’istante dovrà allegare per ot­tenere l’accesso ai benefici dovranno essere diversi e ulteriori rispetto:

–   alla regolare condotta carceraria;

–   alla partecipazione del detenuto al per­ corso rieducativo;

– alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza.

Il giudice di sorveglianza dovrà, al ri­guardo:

– tenere conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente de­ dotte a sostegno della mancata collabora­ zione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile;

– accertare la sussistenza di iniziative del­ l’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giusti­ zia riparativa.

Al riguardo si rileva che, nella citata or­dinanza n. 97 del 2021, la Corte costituzio­nale ha sottolineato che « a presunzione di pericolosità sociale del condannato all’erga­stolo che non collabora, per quanto non più assoluta, può risultare superabile non certo in virtù della sola regolare condotta carcera­ ria o della mera partecipazione al percorso rieducativo, e nemmeno in ragione di una soltanto dichiarata dissociazione. A fortiori, per l’accesso alla liberazione condizionale di un ergastolano (non collaborante) per delitti collegati alla criminalità organizzata, e per la connessa valutazione del suo sicuro rav­vedimento, sarà quindi necessaria l’acquisi­zione di altri, congrui e specifici elementi, tali da escludere, sia l’attualità di suoi col­ legamenti con la criminalità organizzata, sia il rischio del loro futuro ripristino».

La lettera a), numero 3), interviene sul comma 2 dell’articolo 4-bis per introdurvi una nuova disciplina del procedimento per la concessione dei benefici penitenziari per i detenuti non collaboranti condannati per re­ati cosiddetti ostativi. In particolare, il giu­dice di sorveglianza, prima di decidere sul­ l’istanza, ha l’obbligo di chiedere il parere del pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i gravi delitti indi­cati dall’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater del codice di procedura penale, del pubblico ministero presso il tribunale del capoluogo del distretto ove ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrori­smo.

Si ricorda che una disposizione analoga è contenuta nel decreto-legge n. 28 del 2020, che ha modificato gli articoli 30-bis e 47-ter O.P., stabilendo che, prima della concessione di un permesso (articolo 30) e della cosid­detta detenzione domiciliare « in surroga » (articolo 47-ter, comma 1-ter), oppure della proroga di quest’ultima, l’autorità proce­dente debba acquisire alcuni pareri: in caso di richiesta proveniente da detenuti per de­litti ex articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, il parere del procuratore distrettuale, da cumulare – in relazione a soggetti sottoposti al regime di cui all’articolo 41-bis O.P. – a quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrori­smo.

Il giudice di sorveglianza dovrà altresì:

– acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto dove l’istante è detenuto o inter­nato;

– disporre nei confronti del medesimo, degli appartenenti al suo nucleo familiare e delle persone ad esso collegate, accertamenti in ordine alle condizioni reddituali e patri­moniali, al tenore di vita, alle attività eco­nomiche eventualmente svolte e alla pen­denza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali.

Al riguardo, si segnala che, nella citata sentenza n. 253 del 2019, la Corte costitu­zionale ha sottolineato come l’acquisizione di informazioni, a partire da quelle di natura economico-patrimoniale « non solo è criterio già rinvenibile nell’ordinamento (sentenze n. 40 del 2019 e n. 222 del 2018) – nel caso di specie, nella stessa disposizione di cui è questione di legittimità costituzionale (sentenza n. 236 del 2016) – ma è soprat­tutto criterio costituzionalmente necessario (sentenza n. 242 del 2019) per sostituire in parte qua la presunzione assoluta caducata, alla stregua dell’esigenza di prevenzione della “commissione di nuovi reati” (sentenze n. 211 del 2018 e n. 177 del 2009) sottesa ad ogni previsione di limiti all’ottenimento di benefici penitenziari (sentenza n. 174 del 2018) ».

Quanto alla tempistica, il decreto-legge prevede che i pareri, con eventuali istanze istruttorie, e le informazioni e gli esiti degli accertamenti siano resi entro sessanta giorni dalla richiesta, prorogabili di ulteriori trenta giorni in ragione della complessità degli ac­certamenti e che decorso tale termine, il giu­dice debba decidere anche in assenza dei pareri e delle informazioni richiesti.

Il decreto-legge prevede, inoltre, nel caso in cui dall’istruttoria svolta emergano indizi dell’attuale sussistenza di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o ever­siva o con il contesto nel quale il reato è stato commesso, ovvero del pericolo di ripri­stino di tali collegamenti, l’onere per il con­ dannato di fornire, entro un congruo ter­ mine, idonei elementi di prova contraria. A tal proposito, sempre nella più volte ci­ tata sentenza n. 253 del 2019, la Corte co­stituzionale ha sottolineato che, se le infor­mazioni pervenute dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica depongono in senso negativo «incombe sullo stesso detenuto non il solo l’onere di allega­zione degli elementi a favore, ma anche quello di fornire veri e propri elementi di prova a sostegno».

Nel provvedimento con cui decide sull’i­ stanza di concessione dei benefici il giudice dovrà indicare specificamente le ragioni del­ l’accoglimento o del rigetto dell’istanza me­desima, avuto altresì riguardo ai pareri ac­quisiti. Il decreto-legge subordina, inoltre, la con­ cessione dei benefici ai detenuti soggetti al regime carcerario speciale previsto dall’arti­ colo 41-bis O.P., alla previa revoca di tale regime. All’articolo 1, comma 1, lettera a), nu­ mero 4), apporta una modifica di carattere meramente lessicale al comma 2-bis dell’ar­ticolo 4-bis, il quale specifica che, in rela­zione alla concessione dei benefici peniten­ziari ai condannati per una serie di reati elencati al comma 1-ter del medesimo arti­ colo (che non rientrano tra quelli cosiddetti ostativi) il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore. La no­vella sostituisce l’espressione «ai fini della concessione dei benefici » con « nei casi ». La lettera a), numero 5), inserisce, nell’ar­ticolo 4-bis, il nuovo comma 2-ter, volto a specificare che le funzioni di pubblico mini­ stero per le udienze del tribunale di sorve­glianza che abbiano ad oggetto la conces­sione dei benefici penitenziari ai condannati per i gravi reati di cui all’articolo 51, comma 3-bis e 3-quater, del codice di pro­cedura penale possono essere svolte dal pub­blico ministero presso il tribunale del capo­ luogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado. In merito, si ri­corda che l’articolo 678, del codice di pro­cedura penale, che disciplina il procedi­ mento di sorveglianza, specifica al comma 3 che le funzioni di pubblico ministero sono esercitate, davanti al tribunale di sorve­glianza, dal procuratore generale presso la corte di appello e, davanti al magistrato di sorveglianza, dal procuratore della Repub­blica presso il tribunale della sede dell’uffi­cio di sorveglianza.

La lettera a), numero 6) è volta – in con­seguenza dell’introduzione della nuova disci­plina sul procedimento per la concessione dei benefici – ad abrogare il comma 3-bis dell’articolo 4-bis, concernente l’impossibi­lità di concedere benefici penitenziari ai condannati per delitti dolosi quando il pro­ curatore nazionale antimafia e antiterrorismo o il procuratore distrettuale abbia rappresen­tato l’attualità di collegamenti con la crimi­nalità organizzata. La lettera b) e la lettera c) dell’articolo 1 incidono, rispettivamente, sulla disciplina del lavoro all’esterno (articolo 21 O.P.) e dei permessi premio (articolo 30-ter O.P.) per attribuire alla competenza del tribunale di sorveglianza – in luogo dell’attuale compe­tenza del magistrato di sorveglianza – l’au­torizzazione ai predetti benefici quando si tratti di condannati per delitti:

– commessi con finalità di terrorismo an­ che internazionale o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza;

– di associazione mafiosa di cui all’arti­ colo 416-bis del codice penale o commessi avvalendosi delle condizioni previste da tale articolo ovvero al fine di agevolare le asso­ciazioni mafiose.

Si tratta, dunque, di alcuni dei delitti compresi nel più ampio elenco di cui al più volte citato comma 1 dell’articolo 4-bis O.P. Per ciò che riguarda la competenza a de­cidere sulla concessione dei benefici previsti dall’articolo 4-bis O.P., va premesso che at­tualmente la ripartizione della competenza per materia tra tribunale di sorveglianza e magistrato di sorveglianza è disciplinata da­ gli articoli 69 e 70 O.P. In estrema sintesi il magistrato di sorveglianza è, in linea di massima, competente sulla concessione dei permessi premio e sull’approvazione del provvedimento del direttore dell’istituto di assegnazione al lavoro esterno, con reclamo al tribunale di sorveglianza. Tutti gli altri benefici previsti dall’O.P. sono invece attri­buiti al tribunale di sorveglianza. In base alla lettera c), numero 2), la com­petenza del tribunale di sorveglianza, in sede di reclamo, opererà solo in relazione ai provvedimenti assunti dal magistrato di sor­veglianza.

L’articolo 2 interviene sul decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, (Provvedimenti ur­genti in tema di lotta alla criminalità orga­nizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa) allo scopo di modificare l’articolo 2, in base al quale la disciplina restrittiva per l’accesso ai benefici penitenziari, prevista all’articolo 4-bis O.P., si estende anche al regime della liberazione condizionale. In base a quanto previsto nell’articolo 176 del codice penale, il condannato a pena de­tentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedi­ mento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni. Se si tratta di re­cidivo deve, invece, avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli. L’articolo 176 del codice penale prevede che il condannato all’ergastolo possa essere ammesso alla libe­razione condizionale quando abbia scontato almeno 26 anni di pena. In ogni caso la concessione della liberazione condizionale è subordinata all’adempimento delle obbliga­ zioni civili derivanti dal reato salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossi­bilità di adempierle. Disposizioni specifiche sono previste per la revoca della liberazione condizionale e sull’estinzione della pena dal­ l’articolo 177 del codice penale.

La disciplina restrittiva per l’accesso ai benefici penitenziari, prevista all’articolo 4-bis O.P., si estende, per effetto dell’arti­ colo 2 del citato decreto-legge n. 152 del 1991, anche al regime della liberazione con­dizionale. Infatti, il comma 1 dell’articolo 2 afferma che i condannati per i delitti indicati nel citato articolo 4-bis possono essere am­messi alla liberazione condizionale solo se ricorrono i presupposti che lo stesso articolo prevede, a seconda delle fattispecie delit­tuose, per la concessione degli altri benefici penitenziari. In virtù di tale complesso nor­mativo, la richiesta di accedere alla libera­ zione condizionale, se presentata da condan­nati per i delitti compresi nel comma 1 del­ l’articolo 4-bis, può essere valutata nel me­ rito solo laddove essi abbiano collaborato con la giustizia, oppure nei casi di accertata impossibilità o inesigibilità della collabora­ zione medesima. Sul punto si è espressa la Corte costituzionale con l’ordinanza n. 97 del 2021.

Rispetto al quadro normativo vigente, il decreto-legge, in primo luogo interviene sul comma 1 dell’articolo 2, per ribadire che l’accesso alla liberazione condizionale è su­bordinato al ricorrere delle condizioni previ­ ste dall’articolo 4-bis O.P. (lettera a)) e che si applicano le norme procedurali per la concessione dei benefici contenute in tale articolo. La modifica ha carattere di coordi­namento: i presupposti e la procedura per l’applicazione dell’istituto della liberazione condizionale sono dunque quelli dettati dal­ l’articolo 4-bis O.P.

Con la lettera b) sono invece apportate di­ verse modifiche alla disciplina vigente in materia di liberazione condizionale (comma 2 dell’articolo 2 del decreto-legge n. 152 del 1991) per i condannati all’ergastolo per i co­siddetti reati ostativi, non collaboranti, di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis.

Per i predetti soggetti:

– la richiesta della liberazione condizio­nale potrà essere presentata dopo che ab­biano scontato trent’anni di pena (per i con­ dannati all’ergastolo per un reato non osta­tivo, e per i collaboranti, rimane il requisito dei ventisei anni);

– occorrono dieci anni dalla data del provvedimento di liberazione condizionale per estinguere la pena dell’ergastolo e revo­care le misure di sicurezza personali ordi­nate dal giudice (per i condannati all’erga­stolo per un reato non ostativo, e per i col­laboranti, occorrono cinque anni).

– la libertà vigilata – sempre disposta per i condannati ammessi alla liberazione condi­zionale – è accompagnata al divieto di in­ contrare o mantenere comunque contatti con:

– i soggetti condannati per i gravi reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-qua­ ter, del codice di procedura penale;

– i soggetti sottoposti a misura di pre­venzione di cui alle lettere a), b), d), e), f) e g) dell’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (cosiddetto «codice antimafia»);

 – i soggetti condannati per reati previsti dalle predette lettere.

L’articolo 3 delinea una specifica disci­plina transitoria da applicare a detenuti e in­ ternati per fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto-legge. Con specifico riguardo alla disposizione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), nu­ mero 1), del presente decreto-legge, il comma 1 dell’articolo 3 prevede che essa non si applica quando il delitto diverso da quelli indicati nell’articolo 4-bis, comma 1, O.P., sia stato commesso prima della data di entrata in vigore del decreto-legge. Ai sensi del comma 2 ai condannati e agli internati che, prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, abbiano commesso i reati ostativi di cui al comma 1 dell’arti­ colo 4-bis O.P., nei casi in cui la limitata partecipazione al fatto criminoso, accertata nella sentenza di condanna, ovvero l’integrale accertamento dei fatti e delle respon­sabilità, operato con sentenza irrevocabile, rendano comunque impossibile un’utile col­laborazione con la giustizia, nonché nei casi in cui, anche se la collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante, nei confronti dei medesimi detenuti o internati sia stata applicata una delle circostanze atte­nuanti previste dall’articolo 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia avvenuto dopo la sentenza di condanna, dal­ l’articolo 114 ovvero dall’articolo 116, se­condo comma, del codice penale, le misure alternative alla detenzione e la liberazione condizionale possono essere concesse, se­condo la procedura di cui al comma 2 del­ l’articolo 4-bis O.P., purché siano acquisiti elementi tali da escludere l’attualità di col­ legamenti con la criminalità organizzata, ter­roristica o eversiva.

In tali casi, precisa sempre il comma 2 dell’articolo 3, ai condannati alla pena del­ l’ergastolo, ai fini dell’accesso alla libera­ zione condizionale, non si applicano le di­sposizioni di cui all’articolo 2, comma 1, lettera b), del presente decreto-legge. Nondi­meno, la libertà vigilata comporta sempre per il condannato il divieto di incontrare o mantenere comunque contatti con soggetti condannati per i reati di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di pro­cedura penale o sottoposti a misura di pre­venzione ai sensi delle lettere a), b), d), e), f) e g) del comma 1 dell’articolo 4 del co­ dice antimafia, o condannati per alcuno dei reati indicati nelle citate lettere.

Modifiche all’articolo 25 della legge n. 646 del 1982

L’articolo 4 modifica l’articolo 25 della legge 13 settembre 1982, n. 646, al fine di introdurre la possibilità per la Guardia di fi­nanza di procedere a indagini fiscali nei confronti dei detenuti ai quali sia stato ap­plicato il regime carcerario previsto dall’ar­ticolo 41-bis O.P. (lettera a)). Attualmente, in base al citato articolo 25, comma 1, il nucleo di polizia economico-fi­nanziaria della Guardia di finanza può pro­ cedere alla verifica della posizione fiscale, economica e patrimoniale delle seguenti ca­tegorie di persone:

– persone nei cui confronti sia stata ema­nata sentenza di condanna anche non defini­tiva per taluno dei reati previsti dall’articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale;

– persone nei cui confronti sia stata ema­nata sentenza di condanna, anche non defi­nitiva, per il delitto di cui all’articolo 12- quinquies, comma 1, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con modifi­cazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356;

– persone nei cui confronti sia stata di­ sposta, con provvedimento anche non defini­tivo, una misura di prevenzione.

Con riguardo al regime detentivo speciale di cui all’articolo 41-bis, O.P., tale disposi­ zione prevede che quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, an­ che a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, nei con­ fronti dei detenuti o internati per taluno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell’articolo 4-bis o comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associa­ zione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da far ritenere la sus­sistenza di collegamenti con un’associazione criminale, terroristica o eversiva, l’applica­ zione delle regole di trattamento e degli isti­ tuti previsti dal presente decreto-legge che possano porsi in concreto contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. Il provvedimento di sospensione è adot­tato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, sentito l’ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini prelimi­nari ovvero quello presso il giudice proce­dente e acquisita ogni altra necessaria infor­mazione presso la Direzione nazionale anti­ mafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell’azione di contrasto alla criminalità organizzata, terro­ristica o eversiva, nell’ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è di­ sposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o eversiva non è ve­nuta meno, tenuto conto di specifiche condi­zioni. Il mero decorso del tempo non costi­tuisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collega­ menti con l’associazione o dimostrare il ve­nir meno dell’operatività della stessa (comma 2-bis). Per consentire alla Guardia di finanza di procedere con le verifiche, la disposizione in commento prevede che una copia del de­creto del Ministro della giustizia, che ap­plica il cosiddetto 41-bis, sia trasmessa al nucleo di polizia economico-finanziaria competente per le verifiche (lettera b)).

Norme in materia di occupazioni abusive e organizzazione di raduni illegali

L’articolo 5 mira a rafforzare il sistema di prevenzione e di contrasto del fenomeno dei grandi raduni musicali, organizzati clandesti­namente (cosiddetti rave party). I casi che si sono finora presentati hanno riguardato me­eting, organizzati mediante un «passa pa­rola» clandestino, realizzato attraverso il web e soprattutto attraverso i social network, che si sono tenuti in aree di proprietà pub­blica o privata invase illecitamente dai par­tecipanti. L’articolo in esame, al comma 1 inserisce nel codice penale l’articolo 434-bis, recante disposizioni in materia di «Invasione di ter­ reni o edifici per raduni pericolosi per l’or­ dine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica». Il nuovo articolo 434-bis del codice pe­nale, al primo comma, definisce gli elementi che concretizzano la nuova fattispecie preci­sando che essa consiste nell’invasione arbi­traria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può de­rivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica. Il secondo comma dell’articolo 434-bis stabilisce che chiunque organizza o pro­ muove l’invasione di cui al primo comma è punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000. Il terzo comma dell’articolo 434-bis pre­vede che, per la mera partecipazione all’in­vasione di cui al primo comma, la pena è diminuita. Il quarto comma dell’articolo 434-bis di­ spone che venga sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere l’invasione di cui al primo comma, nonché di quelle utilizzate nei casi medesimi per realizzare le finalità dell’occu­pazione.

Il comma 2 dell’articolo in esame, me­diante la modifica dell’articolo 4 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, con­ sente l’applicazione della sorveglianza spe­ciale di pubblica sicurezza anche nei con­ fronti degli indiziati del delitto di cui al nuovo articolo 434-bis del codice penale. Il comma 3 dispone in merito all’efficacia delle disposizioni di cui al presente articolo, stabilendo che esse trovino applicazione a decorrere dal giorno successivo a quello della pubblicazione del decreto nella Gaz­zetta Ufficiale.

Differimento dell’entrata in vigore della ri­forma penale

Con l’articolo 6 si interviene per differire l’entrata in vigore del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, con una misura da adottare in via d’urgenza, considerata l’im­minente entrata in vigore delle sue disposi­ zioni (1° novembre 2022). L’intervento si giustifica per la riscontrata necessità di ap­prontare misure attuative adeguate a garan­tire un ottimale impatto della riforma sul­ l’organizzazione degli uffici. Il differimento consentirà, inoltre, un’ana­ lisi delle nuove disposizioni normative, age­volando l’individuazione di prassi applica­tive uniformi e utili a valorizzare i molti aspetti innovativi della riforma. In ogni caso, il rinvio dell’entrata in vi­ gore è contenuto entro la data del 30 dicem­bre 2022, in quanto si tratta di un lasso di tempo certamente sufficiente ai fini indicati e che permette di mantenere gli impegni as­sunti in relazione al Piano nazionale ripresa resilienza (PNRR). La tecnica normativa utilizzata è quella della novella al testo del decreto legislativo n. 150 del 2022, al fine di collocare l’intera disciplina in un unico corpus normativo e agevolarne la lettura e l’applicazione. La scelta di un rinvio dell’entrata in vigore, piuttosto che di una applicabilità o efficacia delle disposizioni è imposta dalla necessità di assicurare la corretta e certa operatività anche delle disposizioni transitorie contenute nel titolo VI del citato decreto legislativo, che assumono proprio nell’entrata in vigore del decreto il punto di riferimento per l’ap­plicazione differenziata di vecchi e nuovi istituti.

Disposizioni in materia di obblighi di vacci­ nazione anti sars-cov-2

L’articolo 7 riveste carattere di necessità e urgenza, in quanto è finalizzato ad apportare modifiche alle disposizioni vigenti in mate­ ria di obbligo vaccinale, in considerazione del mutato quadro epidemiologico. Invero, con riferimento al quadro epide­miologico si registra una diminuzione del­ l’incidenza dei casi di contagio da Covid-19 e una stabilizzazione della trasmissibilità sebbene al di sopra della soglia epidemica. L’impatto sugli ospedali continua ad essere limitato con un lieve aumento nel tasso di occupazione dei posti letto nelle aree medi­ che e una tendenza alla stabilizzazione nel tasso di occupazione dei posti letto in tera­pia intensiva. Nel merito, l’articolo 7 anticipa al 1° no­vembre 2022 la scadenza dell’obbligo vacci­nale per il personale esercente le professioni sanitarie, per i lavoratori impiegati in strut­ture residenziali, socio-assistenziali e sociosanitarie nonché per il personale delle strutture di cui all’articolo 8-ter del decreto le­gislativo 30 dicembre 1992, n. 502, ovvero­ sia le strutture che effettuano attività sanita­ rie e socio-sanitarie, allo stato fissata al 31 dicembre 2022. Inoltre, con specifico riguardo alla catego­ria degli esercenti le professioni sanitarie, la vigente misura della sospensione dall’eserci­zio della professione, non si ritiene più giu­stificata né proporzionata al mutato quadro epidemiologico. Peraltro, il reintegro del menzionato personale contrasta la grave ca­renza di personale sanitario che si registra sul territorio. Sulla base delle argomentazioni rese, il reintegro del personale sanitario nell’eserci­zio delle relative funzioni diventa una mi­sura necessaria e urgente per garantire l’ef­fettività del diritto alla salute sancito dall’ar­ticolo 32 della Costituzione.

Clausola di invarianza finanziaria ed en­trata in vigore

Gli articoli 8 e 9 recano rispettivamente la clausola di invarianza finanziaria e l’entrata in vigore.