XVIII LEG. - Schema di D.Lgs. - recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata.

aggiornamento: 24 gennaio 2023

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 28 settembre 2022

Esame preliminare - Consiglio dei ministri 28 luglio 2022

Decreto legislativo recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206 recante delega al governo per l'efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata.

Relazione illustrativa

Indice

Art. 1 - Modifiche al codice civile

Art. 2 - Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

Art. 3 - Modifiche al codice di procedura civile

Art. 4 - Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie

Art. 5 - Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale

Art. 6 - Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale

Art. 7 - Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28

Art. 8 - Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20

Art. 9 - Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162

Art. 10 - Abrogazioni in materia di affiliazione commerciale e arbitrato societario

Art. 11 - Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221

Art. 12 - Modifiche alla legge 21 gennaio 1994, n. 53

Art. 13 - Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115

Art. 14 - Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267

Art. 15 - Modifiche alle leggi speciali conseguenti all’introduzione del rito semplificato e alla riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale

Art. 16 - Modifiche alle leggi speciali in materia di albi dei consulenti tecnici d’ufficio esercenti le professioni sanitarie

Art. 17 - Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12

Art. 18 - Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115

Art. 19 - Modifiche al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104

Art. 20 - Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221

Art. 21 - Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione

Art. 22 - Modifiche alla legge 16 febbraio 1913, n. 89

Art. 23 - Modifiche alla legge 7 marzo 1996, n. 108

Art. 24 - Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150

Art. 25 - Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396

Art. 26 - Ulteriori disposizioni in materia di esecuzione forzata

Art. 27 - Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898

Art. 28 - Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184

Art. 29 - Altre modifiche alle leggi speciali in materia di persone, minorenni e famiglie

Art. 30 - Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12

Art. 31 - Modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835

Art. 32 - Modifiche al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160

Art. 33 - Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448

Art. 34 - Modifiche al decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121

Art. 35 - Disciplina transitoria

Art. 36 - Disposizioni transitorie delle modifiche al codice penale e alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale

Art. 37 - Abrogazioni

Art. 38 - Modifiche al decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 152

Art. 39 - Elenco nazionale dei consulenti tecnici

Art. 40 - Monitoraggio dei dati contenuti nei rapporti riepilogativi

Art. 41 - Disposizioni transitorie delle modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28

Art. 42 - Monitoraggio dei casi di tentativo obbligatorio di mediazione ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28

Art. 43 - Monitoraggio del rispetto dei limiti di spesa

Art. 44 - Norma di coordinamento

Art. 45 - Organico del tribunale e della procura per le persone, per i minorenni e per le famiglie

Art. 46 - Magistrati e personale amministrativo in servizio

Art. 47 - Magistrati titolari di funzioni dirigenziali

Art. 48 - Personale di polizia giudiziaria

Art. 49 - Disposizioni per la definizione dei procedimenti pendenti

Art. 50 - Norma di coordinamento

Art. 51 - Disposizioni finanziarie

Art. 52 - Entrata in vigore

 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

VISTI gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;

VISTA la legge 23 agosto 1988, n. 400, e, in particolare, l’articolo 14;

VISTO l’articolo 1 della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata;

VISTI il regio decreto 16 marzo 1942, n. 262, recante approvazione del testo del codice civile e il regio decreto 30 marzo 1942, n. 318, recante disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie;

VISTI il regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1443, recante approvazione del codice di procedura civile, e il regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, recante disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie;

VISTO il regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398, recante approvazione del testo definitivo del codice penale;

VISTO il decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, recante norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale;

VISTO il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, recante attuazione dell'articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali;

VISTO il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, contenente disposizioni in materia di negoziazione assistita;

VISTO il decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, recante definizione dei procedimenti in materia di diritto societario e di intermediazione finanziaria, nonché in materia bancaria e creditizia, in attuazione dell’articolo 12 della legge 3 ottobre 2001, n. 366;

VISTA la legge 21 gennaio 1994, n. 53, recante facoltà di notificazioni di atti civili, amministrativi e stragiudiziali per gli avvocati e procuratori legali;

VISTO il regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell’amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa;

VISTO il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115;

VISTO il regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante disposizioni in materia di ordinamento giudiziario;

VISTA la legge 16 febbraio 1913, n. 89, recante disposizioni sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili;

VISTA la legge 7 marzo 1996, n. 108, recante disposizioni in materia di usura;

VISTO il decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell’articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69;

VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127;

VISTA la legge 31 maggio 1995, n. 218, recante riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato;

VISTA la legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio;

VISTA la legge 4 maggio 1983, n. 184, recante disposizioni sul diritto del minore ad una famiglia;

VISTO il decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, recante nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150;

VISTO il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni;

VISTA la legge 24 marzo 2001, n. 89, recante previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile;

VISTA la legge 8 marzo 2017, n. 24, recante disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie;

VISTA la preliminare deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 28 luglio 2022;

ACQUISITI i pareri delle competenti Commissioni permanenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati a norma dell’articolo 1, comma 2, della citata legge 26 novembre 2021, n. 206;

VISTA la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 28 settembre 2022;

SULLA PROPOSTA del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale;

 

EMANA

il seguente decreto legislativo:

 

CAPO I

Modifiche al codice civile e alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

ART. 1

(Modifiche al codice civile)

  1. Al Libro I, Titolo VI, Capo IV, articolo 145, del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. al primo comma, le parole «per quanto opportuno» sono soppresse e le parole «il sedicesimo anno» sono sostituite dalle seguenti: «gli anni dodici o anche di età inferiore ove capaci di discernimento»;
    2. il secondo comma è sostituito dal seguente: «Ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente da uno o entrambi i coniugi, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all’interesse dei figli e alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia»;
    3. dopo il secondo comma è inserito il seguente: «In caso di inadempimento all’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia previsto dall’articolo 143, il giudice, su istanza di chiunque vi ha interesse, provvede ai sensi dell’articolo 316-bis.».
  2. Al Libro I, Titolo VI, Capo V, del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 156, il quarto, quinto e sesto comma sono abrogati;
    2. all’articolo 158, il secondo comma è abrogato;
  3. Al Libro I, Titolo VII, Capo IV, articolo 250, del codice civile, il quarto comma è sostituito dal seguente: «Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l’ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo ».
  4. Al Libro I, Titolo IX, Capo I, del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 316:
      1. al primo comma, secondo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e adottano le scelte relative alla sua istruzione ed educazione»;
      2. al secondo comma, dopo le parole «su questioni di particolare importanza» sono inserite le seguenti: «, tra le quali quelle relative alla residenza abituale e all’istituto scolastico del figlio minorenne,»;
      3. al terzo comma, le parole «suggerisce le determinazioni che ritiene più utili nell’interesse del figlio e dell’unità familiare. Se il contrasto permane il giudice attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che, nel singolo caso, ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio» sono sostituite dalle seguenti: «tenta di raggiungere una soluzione concordata e, ove questa non sia possibile, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all’interesse del figlio»;
    2. all’articolo 316-bis:

1. al secondo comma, dopo le parole «In caso di inadempimento il presidente del tribunale» sono aggiunte le seguenti: «o il giudice da lui designato»;

2. al quarto comma, le parole «relative all’opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili» sono sostituite dalle seguenti: «che disciplinano il procedimento relativo allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie»;

3. al quinto comma, dopo le parole «possono sempre chiedere, con le» è aggiunta la seguente «medesime» e le parole «del processo ordinario» sono soppresse;

c. all’articolo 320, il quinto comma è sostituito dal seguente: «L’esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l’autorizzazione del giudice »;

d. all’articolo 336:

1. al primo comma, dopo le parole «dei parenti» sono inserite le seguenti: «, del curatore speciale se già nominato»;

2. il secondo e il terzo comma sono abrogati;

3. al quarto comma, le parole «Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori» sono sostituite dalle seguenti: «I genitori»;

4. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Legittimazione ad agire»;

e. l’articolo 336-bis è

5. Al Libro I, Titolo IX, Capo II, del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. all’articolo 337-ter, secondo comma:

1. al terzo periodo, dopo le parole «degli accordi intervenuti tra i genitori» sono inserite le seguenti: «, in particolare qualora raggiunti all’esito di un percorso di mediazione familiare»;

2. al quinto periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «o su richiesta del pubblico ministero»;

3. il sesto periodo è soppresso;

b. l’articolo 337-octies è

6. Al Libro I, Titolo X, Capo I, Sezione II, articolo 350, primo comma, del codice civile, dopo il numero 5) è aggiunto il seguente: «5-bis) coloro che versano nelle ulteriori condizioni di incapacità previste dalla ».

7. Al Libro I, Titolo X, Capo I, Sezione III, del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. l’articolo 374 è sostituito dal seguente:

«Art. 374

(Autorizzazione del giudice tutelare)

Il tutore non può senza l’autorizzazione del giudice tutelare:

  1. acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l’uso del minore, per l’economia domestica e per l’amministrazione del patrimonio;
  2. alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento;
  3.  riscuotere capitali;
  4. costituire pegni o ipoteche, ovvero consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni;
  5. assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio;
  6. accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni, procedere a divisioni;
  7. fare compromessi e transazioni o accettare concordati;
  8. fare contratti di locazione di immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età;
  9. promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti »;

b. l’articolo 375 è abrogato;

c. all’articolo 376:

  1. al primo comma le parole «il tribunale» sono sostituite dalle seguenti: «il giudice tutelare» e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e stabilendo il modo di erogazione o di reimpiego del prezzo»;
  2. il secondo comma è abrogato.

8. Al Libro I, Titolo X, Capo II del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. all’articolo 394, terzo comma, il secondo periodo è soppresso;
  2. all’articolo 395, primo comma, le parole «, salva, se occorre, l’autorizzazione del tribunale» sono soppresse;
  3. all’articolo 397:
    1. al primo comma, le parole «, se è autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore» sono sostituite dalle seguenti: «se è autorizzato dal giudice tutelare, sentito il curatore»;
    2. al secondo comma, le parole «dal tribunale su istanza del curatore o d’ufficio, previo, in entrambi i casi, il parere del giudice tutelare e sentito il minore emancipato» sono sostituite dalle seguenti: «dal giudice tutelare su istanza del curatore o d’ufficio sentito il minore emancipato».

9. Al Libro I, Titolo XII, Capo I, articolo 411, primo comma, del codice civile, il secondo periodo è soppresso.

10. Al Libro I, Titolo XII, Capo II, articolo 425, primo comma, primo periodo, del codice civile, le parole «soltanto se autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare» sono sostituite dalle seguenti: «soltanto se autorizzato dal giudice tutelare».

11. Al Libro III, Titolo VII, Capo II, articolo 1137, quarto comma, del codice civile, le parole «, con l’esclusione dell’articolo 669-octies, sesto comma,» sono soppresse.

12. Al Libro VI, Titolo I, Capo I del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni:

 a. all’articolo 2652, primo comma, dopo il numero 9 è inserito il seguente:

«9-bis) le domande di revocazione contro le sentenze soggette a trascrizione per le cause previste dall’articolo 391-quater del codice di procedura civile.

La sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.»;

b. all’articolo 2658, secondo comma, è inserito, in fine, il seguente periodo: «Quando la domanda giudiziale si propone con ricorso, la parte che chiede la trascrizione presenta copia conforme dell’atto che la contiene munita di attestazione della data del suo deposito presso l’ufficio ».

  1. Al Libro VI, Titolo I, Capo III, Sezione I, articolo 2690, primo comma, del codice civile, dopo il numero 6), secondo periodo, è inserito il seguente: «6-bis) le domande indicate dal numero 9-bis dell’articolo 2652 per gli effetti ivi

La trascrizione della sentenza che accoglie la domanda prevale sulle trascrizioni e iscrizioni eseguite contro il convenuto dopo la trascrizione della domanda.».

ART. 2

(Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie)

  1. Al Capo I, Sezione I, delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 38:
      1. al primo comma, secondo periodo, le parole «o dell’articolo 710 del codice di procedura civile e dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898» sono sostituite dalle seguenti: «procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore»;
      2. al secondo comma, primo periodo, le parole «previsto dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile» sono sostituite dalle seguenti: «per l’irrogazione delle sanzioni in caso di inadempienze o violazioni,» e, al secondo periodo, le parole «previsto dall’articolo 709-ter del codice di procedura civile» sono sostituite dalle seguenti: «per l’irrogazione delle sanzioni»;
      3. al terzo comma, il secondo periodo è soppresso;
      4. il quarto comma è sostituito dal seguente: «Quando il tribunale per i minorenni procede ai sensi dell’articolo 737 del codice di procedura civile, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i »;
    2. l’articolo 38-bis è abrogato;
    3. dopo l’articolo 38-bis è inserito il seguente:

«Art. 38-ter

Nei procedimenti riguardanti l’affidamento dei minori e l’esercizio della responsabilità genitoriale non possono assumere l’incarico di tutore, curatore, curatore speciale, consulente tecnico d’ufficio o svolgere funzioni di assistente sociale coloro che rivestono, o hanno rivestito nei due anni antecedenti, cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, o partecipano alla gestione delle medesime strutture, o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono.

 

Il divieto previsto dal primo comma si applica anche a coloro il cui coniuge, parte dell’unione civile, convivente o parente entro il quarto grado svolge, o ha svolto nei due anni antecedenti, le funzioni di cui al primo comma.»;

d. l’articolo 41 è abrogato;

e. all’articolo 45, le parole «, secondo comma» sono soppresse;

f. all’articolo 47, dopo le parole «un registro delle curatele» sono inserite le seguenti: «dei minori,»;

g. l’articolo 49 è sostituito dal seguente:

«Art. 49

Nel registro delle curatele, in un capitolo speciale per ciascuna di esse, si devono annotare a cura del cancelliere:

  1. la data e gli estremi essenziali del provvedimento che concede l’emancipazione o della sentenza che pronuncia l’inabilitazione o del provvedimento che dispone la nomina del curatore del minore ai sensi dell’articolo 473-bis.7, secondo comma, del codice di procedura civile;
  2. il nome, il cognome, la condizione, l’età e il domicilio del minore o della persona emancipata o inabilitata;
  3. il nome, il cognome, la condizione e il domicilio del curatore nominato al minore, all’emancipato, o all’inabilitato;
  4. la data del provvedimento che revoca la nomina del curatore del minore ai sensi dell’articolo 473-bis.7, secondo comma, del codice di procedura civile o l’emancipazione, o della sentenza che revoca l’inabilitazione.»;

h. all’articolo 51, il primo comma è sostituito dal seguente: «Nei registri delle tutele e delle curatele devono essere annotati, in capitoli speciali per ciascun minore, i provvedimenti emanati dal tribunale per i minorenni e dal tribunale ordinario ai sensi degli articoli 252, 262, 279, 316, 317-bis, 330, 332, 333, 334 e 335 del codice, e delle altre disposizioni della legge speciale che prevedono la nomina del ».

2. Al Capo I, Sezione III, articolo 71-quater, delle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:

a. il comma 2 è abrogato;

b. al comma 3, le parole «, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice» sono sostituite dalle seguenti: «secondo quanto previsto dall’articolo 5-ter del decreto legislativo 4 marzo 2010, 28»;

c. il quarto, quinto e sesto comma sono abrogati.

CAPO II

Modifiche al codice di procedura civile e alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie

ART. 3

(Modifiche al codice di procedura civile)

1. Al Libro I, Titolo I, Capo I, Sezione I, articolo 7, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. al primo comma la parola «cinquemila» è sostituita dalla seguente: «diecimila»;

b. al secondo comma, la parola «ventimila» è sostituita dalla seguente: «venticinquemila».

2. Al Libro I, Titolo I, Capo I, Sezione V, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. l’articolo 37 è sostituito dal seguente:

«Art. 37

(Difetto di giurisdizione)

Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo o dei giudici speciali è rilevato anche d’ufficio nel giudizio di primo grado. Nei giudizi di impugnazione può essere rilevato solo se oggetto di specifico motivo, ma l’attore non può impugnare la sentenza per denunciare il difetto di giurisdizione del giudice da lui adito.»;

b. all’articolo 40, al terzo comma, dopo il primo periodo, è aggiunto, in fine, il seguente: «In caso di connessione ai sensi degli articoli 31, 32, 34, 35 e 36 tra causa sottoposta al rito semplificato di cognizione e causa sottoposta a rito speciale diverso da quello previsto dal primo periodo, le cause debbono essere trattate e decise con il rito semplificato di ».

  1. Al Libro I, Titolo I, Capo I, Sezione VI, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 47:
      1. il terzo comma è sostituito dal seguente: «La parte che propone l’istanza deve depositare il ricorso, con i documenti necessari, nel termine perentorio di venti giorni dall’ultima notificazione alle altre »;
      2. al quarto comma le parole «, il quale dispone la rimessione del fascicolo di ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione» sono soppresse;
      3. al quinto comma le parole «nella cancelleria della Corte» sono sostituite dalle seguenti: «alla Corte»;
    2. all’articolo 48, al primo comma, le parole «presentata l’istanza al cancelliere a norma dell’articolo precedente o dalla pronuncia dell’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti:

«depositata innanzi al giudice davanti al quale pende la causa, a cura della parte, copia del ricorso notificato o è pronunciata l’ordinanza»;

c. all’articolo 49, il primo comma è abrogato e, al secondo comma, le parole «Con la ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «L’ordinanza con cui» e dopo la parola «competenza» il segno di interpunzione «,» è soppresso.

  1. Al Libro I, Titolo I, Capo I, Sezione VI-bis, articolo 50-bis, primo comma, del codice di procedura civile, i numeri 5) e 6) sono
  2. Al Libro I, Titolo III, Capo I, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 78, il terzo ed il quarto comma sono soppressi;
    2. all’articolo 80, il terzo comma è

 

  1. Al Libro I, Titolo III, Capo IV, del codice di procedura civile, all’articolo 96, dopo il terzo comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «Nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma, il giudice condanna altresì la parte al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 000.».
  2. Al Libro I, Titolo IV, del codice di procedura civile, all’articolo 101, il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il giudice assicura il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adotta i provvedimenti Se ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice riserva la decisione, assegnando alle parti, a pena di nullità, un termine, non inferiore a venti giorni e non superiore a quaranta giorni dalla comunicazione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla medesima questione.».
  3. Al Libro I, Titolo V, del codice di procedura civile, all’articolo 118, dopo le parole «Se la parte rifiuta di eseguire tale ordine senza giusto motivo, il giudice» sono inserite le seguenti:

«la condanna a una pena pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 e».

  1. Al Libro I, Titolo VI, Capo I, Sezione I, del codice di procedura civile, all’articolo 121 sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. al primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e »;
    2. alla rubrica, dopo le parole «Libertà di forme.» sono aggiunte le seguenti: «Chiarezza e sinteticità degli atti».
  2. Al Libro I, Titolo VI, Capo I, Sezione II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 127, dopo il secondo comma, è aggiunto il seguente: «Il giudice può disporre, nei casi e secondo le disposizioni di cui agli articoli 127-bis e 127-ter, che l’udienza si svolga mediante collegamenti audiovisivi a distanza o sia sostituita dal deposito di note »;
    2. dopo l’articolo 127 sono inseriti i seguenti:

«Art. 127-bis

(Udienza mediante collegamenti audiovisivi)

Lo svolgimento dell’udienza, anche pubblica, mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto dal giudice quando non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice.

Il provvedimento di cui al primo comma è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell’udienza. Ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l’udienza si svolga in presenza. Il giudice, tenuto conto dell’utilità e dell’importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza, provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l’udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. In tal caso resta ferma la possibilità per queste ultime di partecipare in presenza.

Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al secondo comma possono essere abbreviati.

Art. 127-ter

 (Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza)

L’udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice. Negli stessi casi, l’udienza è sostituita dal deposito di note scritte se ne fanno richiesta tutte le parti costituite.

Con il provvedimento con cui sostituisce l’udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note. Ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali il giudice dà atto nel provvedimento, i termini di cui al primo e secondo periodo possono essere abbreviati.

Il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note.

Se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato il giudice assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza. Se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all’udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo.

Il giorno di scadenza del termine assegnato per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti.».

  1. Al Libro I, Titolo VI, Capo I, Sezione IV, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 136, al terzo comma, le parole «viene trasmesso a mezzo telefax, o» sono soppresse;
    2. all’articolo 137:

1. al secondo comma, dopo le parole «L’ufficiale giudiziario» sono inserite le seguenti: «o l’avvocato»;

2. dopo il quinto comma sono aggiunti i seguenti:

«L’avvocato esegue le notificazioni nei casi e con le modalità previste dalla legge.

L’ufficiale giudiziario esegue la notificazione su richiesta dell’avvocato se quest’ultimo non deve eseguirla a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, o con altra modalità prevista dalla legge, salvo che l’avvocato dichiari che la notificazione con le predette modalità non è possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario. Della dichiarazione è dato atto nella relazione di notificazione.»;

c. all’articolo 139, il quarto comma è sostituito dal seguente: «Se la copia è consegnata al portiere o al vicino, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione di notificazione, specificando le modalità con le quali ne ha accertato l’identità, e dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto, a mezzo di lettera raccomandata»;

d. all’articolo 147, dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti: «Le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato possono essere eseguite senza limiti orari.

 

Le notificazioni eseguite ai sensi del secondo comma si intendono perfezionate, per il notificante, nel momento in cui è generata la ricevuta di accettazione e, per il destinatario, nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna. Se quest’ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, la notificazione si intende perfezionata per il destinatario alle ore 7.»

e. all’articolo 149-bis:

1. il primo comma è sostituito dal seguente: «L’ufficiale giudiziario esegue la notificazione a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo, quando il destinatario è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato risultante dai pubblici elenchi oppure quando il destinatario ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, 82.»;

2. alla rubrica sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «certificata eseguita dall’ufficiale giudiziario».

12. Al Libro II, Titolo I, Capo I, Sezione I, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. all’articolo 163, al terzo comma:

1. dopo il numero 3) è inserito il seguente «3-bis) l’indicazione, nei casi in cui la domanda è soggetta a condizione di procedibilità, dell’assolvimento degli oneri previsti per il suo superamento;»;

2. al numero 4, dopo le parole «l’esposizione» sono inserite le seguenti: «in modo chiaro e specifico»;

3. il numero 7) è sostituito dal seguente: «7) l’indicazione del giorno dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di settanta giorni prima dell’udienza indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166 e a comparire, nell’udienza indicata, dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168-bis, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall’articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato»;

b. all’articolo 163-bis:

1. al primo comma, la parola «novanta» è sostituita dalla seguente: «centoventi»;

2. il secondo comma è abrogato;

3. al terzo comma è inserito, in fine, il seguente periodo: «In questo caso i termini di cui all’articolo 171-ter decorrono dall’udienza così fissata»;

c. all’articolo 164, al sesto comma, le parole «dell’articolo 183» sono sostituite dalle seguenti: «dell’articolo 171-bis»;

d. all’articolo 165, il primo comma è sostituito dal seguente: «L’attore, entro dieci giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, depositando la nota d’iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il tribunale o indicare l’indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica.»;

e. all’articolo 166, il primo comma è sostituito dal seguente: «Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione depositando la comparsa di cui all’articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione»;

f. all’articolo 167, dopo le parole «Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione» sono inserite le seguenti: «in modo chiaro e specifico»;

g. all’articolo 168-bis:

1. al primo comma, le parole «, con decreto scritto in calce della nota d’iscrizione a ruolo,» sono soppresse;

2. al terzo comma, il segno di interpunzione «,» è sostituito con la parola «e» e le parole «e gli trasmette il fascicolo» sono soppresse;

3. il quinto comma è abrogato;

h. all’articolo 171:

1. al secondo comma le parole «fino alla prima udienza,» sono soppresse;

2. al terzo comma, le parole «neppure in tale udienza» sono sostituite dalle seguenti: «entro il termine di cui all’articolo 166»;

i. dopo l’articolo 171 sono inseriti i seguenti:

 

«Art. 171-bis

(Verifiche preliminari)

Scaduto il termine di cui all’articolo 166, il giudice istruttore, entro i successivi quindici giorni, verificata d’ufficio la regolarità del contraddittorio, pronuncia, quando occorre, i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma, 107, 164, secondo, terzo, quinto e sesto comma, 167, secondo e terzo comma, 171, terzo comma, 182, 269, secondo comma, 291 e 292, e indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato. Tali questioni sono trattate dalle parti nelle memorie integrative di cui all’articolo 171-ter.

Quando pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma, il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall’articolo 171-ter.

Se non provvede ai sensi del secondo comma, conferma o differisce, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza rispetto alla quale decorrono i termini indicati dall’articolo 171-ter.

Il decreto è comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria.

Art. 171-ter

(Memorie integrative)

Le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono:

  1. almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’articolo 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta;
  2. almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali;
  3. almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova ».

13. Al Libro II, Titolo I, Capo II, Sezione II, del codice di procedura civile, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. all’articolo 182, al secondo comma, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Quando rileva la mancanza della procura al difensore oppure un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione che ne determina la nullità, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della »;
  2. l’articolo 183 è sostituito dal seguente:

«Art. 183

(Prima comparizione delle parti e trattazione della causa)

All’udienza fissata per la prima comparizione e la trattazione le parti devono comparire personalmente. La mancata comparizione delle parti senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’articolo 116, secondo comma.

Salva l’applicazione dell’articolo 187, il giudice, se autorizza l’attore a chiamare in causa un terzo, fissa una nuova udienza a norma dell’articolo 269, terzo comma.

Il giudice interroga liberamente le parti, richiedendo, sulla base dei fatti allegati, i chiarimenti necessari e tenta la conciliazione a norma dell’articolo 185.

Se non provvede ai sensi del secondo comma il giudice provvede sulle richieste istruttorie e, tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, predispone, con ordinanza, il calendario delle udienze successive sino a quella di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse. L’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi è fissata entro novanta giorni. Se l’ordinanza di cui al primo periodo è emanata fuori udienza, deve essere pronunciata entro trenta giorni.

Se con l’ordinanza di cui al quarto comma vengono disposti d’ufficio mezzi di prova, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell’ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del quarto comma ultimo periodo.»;

c. l’articolo 183-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 183-bis

(Passaggio dal rito ordinario al rito semplificato di cognizione)

All’udienza di trattazione il giudice, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria e sentite le parti, se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato e si applica il comma quinto dell’articolo 281-duodecies.»;

d. dopo l’articolo 183-bis sono inseriti i seguenti:

«Art. 183-ter

(Ordinanza di accoglimento della domanda)

Nelle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado può pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda quando i fatti costitutivi sono provati e le difese della controparte appaiono manifestamente infondate.

In caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte.

L’ordinanza di accoglimento è provvisoriamente esecutiva, è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite.

L’ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile.

In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata.

Art. 183-quater

(Ordinanza di rigetto della domanda)

Nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, nel corso del giudizio di primo grado, all’esito dell’udienza di cui all’articolo 183, può pronunciare ordinanza di rigetto della domanda quando questa è manifestamente infondata, ovvero se è omesso o risulta assolutamente incerto il requisito di cui all’articolo 163, terzo comma, n. 3), e la nullità non è stata sanata o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4), terzo comma del predetto articolo 163. In caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrano per tutte.

L’ordinanza che accoglie l’istanza di cui al primo comma è reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies e non acquista efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, né la sua autorità può essere invocata in altri processi. Con la stessa ordinanza il giudice liquida le spese di lite.

L’ordinanza di cui al secondo comma, se non è reclamata o se il reclamo è respinto, definisce il giudizio e non è ulteriormente impugnabile.

In caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegue davanti a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata.»;

e. l’articolo 184 è abrogato;

f. all’articolo 185, al secondo comma, dopo le parole «il tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell’istruzione» sono inserite le seguenti: «, nel rispetto del calendario del processo»;

g. all’articolo 185-bis, al primo comma, le parole «alla prima udienza, ovvero sino a quando è esaurita l’istruzione» sono sostituite dalle seguenti: «fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione»;

h. all’articolo 187, al quarto comma, la parola «ottavo» è sostituita dalla seguente: «quarto»;

i. l’articolo 188 è sostituito dal seguente:

«Art. 188

(Attività istruttoria del giudice)

Il giudice istruttore, nel rispetto del calendario del processo, provvede all’assunzione dei mezzi di prova e, esaurita l’istruzione, rimette le parti al collegio per la decisione a norma dell’articolo 189 o dell’articolo 275-bis.»;

l. l’articolo 189 è sostituito dal seguente:

«Art. 189

(Rimessione al collegio)

Il giudice istruttore, quando procede a norma dei primi tre commi dell’articolo 187 o dell’articolo 188, fissa davanti a sé l’udienza per la rimessione della causa al collegio per la decisione e assegna alle parti, salvo che queste vi rinuncino, i seguenti termini perentori:

  1. un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni che le parti intendono sottoporre al collegio, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell’articolo 171- ter. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dell’articolo 187, secondo e terzo
  2. un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali;
  3. un termine non superiore a quindici giorni prima dell’udienza per il deposito delle memorie di replica.

La rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell’articolo 187, secondo e terzo comma.

All’udienza fissata ai sensi del primo comma la causa è rimessa al collegio per la decisione.»;

m. l’articolo 190 è abrogato;

n. all’articolo 191, le parole «dell’articolo 183, settimo comma» sono sostituite dalle seguenti: «dell’articolo 183, quarto comma».

 

  1. Al Libro II, Titolo I, Capo II, Sezione III, Paragrafo 1, del codice di procedura civile, all’articolo 193, dopo il primo comma è aggiunto il seguente: «In luogo della fissazione dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio il giudice può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma. Con il medesimo provvedimento il giudice fissa i termini previsti dall’articolo 195, terzo ».
  2. Al Libro II, Titolo I, Capo II, Sezione III, Paragrafo 3, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. all’articolo 210, dopo il terzo comma, sono aggiunti, in fine, i seguenti:

«Se la parte non adempie senza giustificato motivo all’ordine di esibizione, il giudice la condanna a una pena pecuniaria da euro 500 a euro 3.000 e può da questo comportamento desumere argomenti di prova a norma dell’articolo 116, secondo comma.

Se non adempie il terzo, il giudice lo condanna a una pena pecuniaria da euro 250 a euro 1.500.»;

b. all’articolo 213, dopo il primo comma è aggiunto, in fine, il seguente: «L’amministrazione entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di cui al primo comma trasmette le informazioni richieste o comunica le ragioni del ».

  1. Al Libro II, Titolo I, Capo II, Sezione III, Paragrafo 5, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 225:
      1. al primo comma, le parole «sempre il collegio» sono sostituite dalle seguenti: «il tribunale in composizione monocratica»;
      2. il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il giudice può trattenere la causa in decisione sulla querela indipendentemente dal merito. In tal caso, su istanza di parte, può disporre che la trattazione della causa continui relativamente a quelle domande che possono essere decise indipendentemente dal documento »;
    2. all’articolo 226:
      1. al primo, la parola «collegio» è sostituita dalla seguente: «tribunale»;
      2. al secondo comma, la parola «collegio» è sostituita dalla seguente: «tribunale» e le parole «di cui all’articolo 480» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all’articolo 537».
  2. Al Libro II, Titolo I, Capo II, Sezione IV, Paragrafo 1, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 267:
      1. al primo comma, sono soppresse le parole: «presentando in udienza o», le parole «in cancelleria» e le parole «le copie per le altre parti,»;
      2. al secondo comma, le parole «, se la costituzione del terzo non è avvenuta in udienza» sono
    2. all’articolo 268, le parole «a che non vengano precisate le conclusioni» sono sostituite dalle seguenti: «al momento in cui il giudice fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione»;
    3. all’articolo 269:
      1. al secondo comma, secondo periodo, le parole «entro cinque giorni dalla richiesta» sono sostituite dalle seguenti: «nel termine previsto dall’articolo 171-bis»;
      2. al terzo comma, primo periodo, le parole «nella prima udienza» sono sostituite dalle seguenti: «nella memoria di cui all’articolo 171 ter, primo comma, numero 1»;
      3. al quinto comma, le parole «ricollegate alla prima udienza di trattazione, ma i termini eventuali di cui al sesto comma dell’articolo 183 sono fissati dal giudice istruttore nella udienza di comparizione del terzo» sono sostituite dalle seguenti: «maturate anteriormente alla chiamata in causa del terzo e i termini indicati dall’articolo 171-ter decorrono nuovamente rispetto all’udienza fissata per la citazione del terzo»;
    4. all’articolo 271, il primo periodo del primo comma è sostituito dal seguente: «Al terzo si applicano, con riferimento all’udienza per la quale è citato, le disposizioni degli articoli 166, 167, primo comma e 171-ter.».
  1. Al Libro II, Titolo I, Capo III, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 275 è sostituito dal seguente:

«Art. 275

(Decisione del collegio)

Rimessa la causa al collegio, la sentenza è depositata entro sessanta giorni dall’udienza di cui all’articolo 189.

Ciascuna delle parti, con la nota di precisazione delle conclusioni, può chiedere al presidente del tribunale che la causa sia discussa oralmente dinanzi al collegio. In tal caso, resta fermo il rispetto dei termini indicati nell’articolo 189 per il deposito delle sole comparse conclusionali.

Il presidente provvede sulla richiesta revocando l’udienza di cui all’articolo 189 e fissando con decreto la data dell’udienza di discussione davanti al collegio, da tenersi entro sessanta giorni.

Nell’udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa. Dopo la relazione, il presidente ammette le parti alla discussione e la sentenza è depositata in cancelleria entro i sessanta giorni successivi.»

b. dopo l’articolo 275, è inserito il seguente:

«Art. 275-bis

(Decisione a seguito di discussione orale davanti al collegio)

Il giudice istruttore, quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di discussione orale, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine, anteriore all’udienza, non superiore a trenta giorni per il deposito di note limitate alla precisazione delle conclusioni e un ulteriore termine non superiore a quindici giorni per note conclusionali.

All’udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa e il presidente ammette le parti alla discussione. All’esito della discussione il collegio pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

In tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del presidente del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria.

 

Se non provvede ai sensi del secondo comma, il collegio deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni.».

  1. Al Libro II, Titolo I, Capo III-bis, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 281-quinquies è sostituito dal seguente:

«Art. 281-quinquies

(Decisione a seguito di trattazione scritta o mista)

Quando la causa è matura per la decisione il giudice fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione assegnando alle parti i termini di cui all’articolo 189. All’udienza trattiene la causa in decisione e la sentenza è depositata entro i trenta giorni successivi.

Se una delle parti lo richiede, il giudice, disposto lo scambio dei soli scritti difensivi a norma dell’articolo 189 numeri 1) e 2), fissa l’udienza di discussione orale non oltre trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle comparse conclusionali e la sentenza è depositata entro trenta giorni.»;

b. all’articolo 281-sexies, dopo il secondo comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «Al termine della discussione orale il giudice, se non provvede ai sensi del primo comma, deposita la sentenza nei successivi trenta ».

  1. Al Libro II, Titolo I, Capo III-ter, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 281-septies è sostituito dal seguente:

«Art. 281-septies

(Rimessione della causa al giudice monocratico)

Il collegio, quando rileva che una causa, rimessa davanti a lui per la decisione, deve essere decisa dal tribunale in composizione monocratica, pronuncia ordinanza non impugnabile con cui rimette la causa davanti al giudice istruttore perché decida la causa quale giudice monocratico. La sentenza è depositata entro i successivi trenta giorni.»;

b. all’articolo 281-octies:

1. al primo comma, le parole «provvede a norma degli articoli 187, 188 e 189» sono sostituite dalle seguenti: «rimette la causa al collegio per la decisione, con ordinanza comunicata alle parti»

2. dopo il primo comma è aggiunto, infine, il seguente: «Entro dieci giorni dalla comunicazione, ciascuna parte può chiedere la fissazione dell’udienza di discussione davanti al collegio, e in questo caso il giudice istruttore procede ai sensi dell’articolo 275-bis.»;

c. all’articolo 281-novies, dopo il primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «Alle cause riunite si applica il rito previsto per la causa in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e restano ferme le decadenze e le preclusioni già maturate in ciascun procedimento prima della ».

  1. Al Libro II, Titolo I, del codice di procedura civile, dopo il Capo III-ter, è inserito il seguente:

«CAPO III-quater

Del procedimento semplificato di cognizione

Art. 281-decies

(Ambito di applicazione)

Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa, il giudizio è introdotto nelle forme del procedimento semplificato.

Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica la domanda può sempre essere proposta nelle forme del procedimento semplificato.

Art. 281-undecies

(Forma della domanda e costituzione delle parti)

La domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, che deve contenere le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163.

Il giudice, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell’attore. Tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell’udienza di comparizione debbono intercorrere termini liberi non minori di quaranta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all’estero.

Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio.

Se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell’udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma.

Art. 281-duodecies

(Procedimento)

Alla prima udienza il giudice se rileva che per la domanda principale o per la domanda riconvenzionale non ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281- decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario fissando l’udienza di cui all’articolo 183, rispetto alla quale decorrono i termini previsti dall’articolo 171-ter. Nello stesso modo procede quando, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario.

Entro la stessa udienza l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Il giudice, se lo autorizza, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. Se procede ai sensi del primo comma il giudice provvede altresì sulla autorizzazione alla chiamata del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma dell’articolo 281-undecies.

Alla stessa udienza, a pena di decadenza, le parti possono proporre le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti.

Se richiesto e sussiste giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni, per indicare i mezzi di prova e produrre documenti, e un ulteriore termine non superiore a dieci giorni per replicare e dedurre prova contraria.

Se non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma e non ritiene la causa matura per la decisione il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione.

Art. 281-terdecies

(Decisione)

Il giudice quando rimette la causa in decisione procede a norma dell’articolo 281-sexies. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, procede a norma dell’articolo 275-bis.

La sentenza è impugnabile nei modi ordinari.».

  1. Al Libro II, Titolo I, Capo IV, articolo 283, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. il primo comma è sostituito dal seguente: «Il giudice d’appello, su istanza di parte proposta con l’impugnazione principale o con quella incidentale, sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione della sentenza impugnata, con o senza cauzione, se l’impugnazione appare manifestamente fondata o se dall’esecuzione della sentenza può derivare un pregiudizio grave e irreparabile, pur quando la condanna ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle »;
    2. dopo il primo comma è inserito il seguente: «L’istanza di cui al primo comma può essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello se si verificano mutamenti nelle circostanze, che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità.»;
    3. al terzo comma, le parole «dal comma che precede» sono sostituite dalle seguenti: «dal primo e dal secondo comma», dopo le parole «può condannare la parte che l’ha proposta» sono inserite le seguenti: «al pagamento in favore della cassa delle ammende» e le parole «ad una pena» sono sostituite dalle seguenti: «di una pena».
  1. Al Libro II, Titolo I, Capo VI, articolo 291, secondo comma, del codice di procedura civile, le parole «all’udienza fissata a norma del comma precedente» sono sostituite dalle seguenti: «anteriormente alla pronuncia del decreto di cui all’articolo 171-bis, secondo comma».
  1. Al Libro II, Titolo II, Capo III del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 316:
      1. al primo comma, le parole «mediante citazione a comparire a udienza fissa» sono sostituite dalle parole «nelle forme del procedimento semplificato di cognizione, in quanto compatibili»;
      2. al secondo comma, secondo periodo, le parole «con citazione a comparire a udienza fissa» sono sostituite dalle parole «unitamente al decreto di cui all’articolo 318»;
    2. all’articolo 317, primo comma, le parole «, scritto il calce alla citazione o in atto separato,» sono soppresse;
    3. l’articolo 318 è sostituito dal seguente:

«Art. 318

(Contenuto della domanda)

La domanda si propone con ricorso, sottoscritto a norma dell’articolo 125, che deve contenere, oltre all’indicazione del giudice e delle parti, l’esposizione dei fatti e l’indicazione del suo oggetto.

Il giudice di pace, entro cinque giorni dalla designazione, fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti a norma del comma secondo dell’articolo 281-undecies.»;

d. all’articolo 319, il primo comma è sostituito dal seguente: «L’attore si costituisce depositando il ricorso notificato o il processo verbale di cui all’articolo 316 unitamente al decreto di cui all’articolo 318 e con la relazione della notificazione e, quando occorre, la Il convenuto si costituisce a norma dei commi terzo e quarto dell’articolo 281- undecies mediante deposito della comparsa di risposta e, quando occorre, la procura.»;

e. all’articolo 320:

1. il terzo comma è sostituito dal seguente: «Se la conciliazione non riesce, il giudice di pace procede ai sensi dell’articolo 281-duodecies, commi secondo, terzo e quarto, e se non ritiene la causa matura per la decisione, procede agli atti di istruzione rilevanti per la »;

2. il quarto comma è soppresso;

f. all’articolo 321, le parole «invita le parti a precisare le conclusioni e a discutere la causa.» sono sostituite dalle parole «procede ai sensi dell’articolo 281-».

  1. Al Libro II, Titolo III, Capo I, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 326, al primo comma, le parole «nell’articolo precedente» sono sostituite dalle seguenti: «nell’articolo 325» e dopo le parole «dalla notificazione della sentenza» sono aggiunte le seguenti: «, sia per il soggetto notificante che per il destinatario della notificazione, dal momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per il destinatario»;
    2. all’articolo 334, al secondo comma, dopo le parole «è dichiarata inammissibile» sono inserite le seguenti: «o improcedibile».
  2. Al Libro II, Titolo III, Capo II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 342 è sostituito dal seguente:

«Art. 342

 

(Forma dell’appello)

L’appello si propone con citazione contenente le indicazioni prescritte nell’articolo 163. L’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico:

  1. il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;
  2. le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
  3. le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione

Tra il giorno della citazione e quello della prima udienza di trattazione devono intercorrere termini liberi non minori di novanta giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia e di centocinquanta giorni se si trova all’estero.»;

b. all’articolo 343, al primo comma, le parole «, all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’articolo 166» sono sostituite dalle seguenti: «depositata almeno venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione o dell’udienza fissata a norma dell’articolo 349-bis, secondo comma»;

c. all’articolo 348, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «L’improcedibilità dell’appello è dichiarata con sentenza. Davanti alla corte di appello l’istruttore, se nominato, provvede con ordinanza reclamabile nelle forme e nei termini previsti dal terzo, quarto e quinto comma dell’articolo 178, e il collegio procede ai sensi dell’articolo 308, secondo »;

d. l’articolo 348-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 348-bis

(Inammissibilità e manifesta infondatezza dell’appello)

Quando ravvisa che l’impugnazione è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice dispone la discussione orale della causa secondo quanto previsto dall’articolo 350- bis.

Se è proposta impugnazione incidentale, si provvede ai sensi del primo comma solo quando i presupposti ivi indicati ricorrono sia per l’impugnazione principale che per quella incidentale. In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza.»;

e. l’articolo 348-ter è abrogato;

f. dopo l’articolo 349, abrogato dall’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 17 ottobre 1950, 857, è inserito il seguente:

«Art. 349-bis

(Nomina dell’istruttore)

Quando l’appello è proposto davanti alla corte di appello, il presidente, se non ritiene di nominare il relatore e disporre la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale, designa un componente di questo per la trattazione e l’istruzione della causa.

Il presidente o il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino a un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza.»;

g. l’articolo 350 è sostituito dal seguente:

«Art. 350

(Trattazione)

Davanti alla corte di appello la trattazione dell’appello è affidata all’istruttore, se nominato, e la decisione è collegiale; davanti al tribunale l’appello è trattato e deciso dal giudice monocratico.

Nella prima udienza di trattazione il giudice verifica la regolare costituzione del giudizio e, quando occorre, ordina l’integrazione di esso o la notificazione prevista dall’articolo 332, dichiara la contumacia dell’appellato oppure dispone che si rinnovi la notificazione dell’atto di appello, e provvede alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza.

Quando rileva che ricorre l’ipotesi di cui all’articolo 348-bis il giudice, sentite le parti, dispone la discussione orale della causa ai sensi dell’articolo 350-bis. Allo stesso modo può provvedere quando l’impugnazione appare manifestamente fondata, o comunque quando lo ritenga opportuno in ragione della ridotta complessità o dell’urgenza della causa.

Quando non provvede ai sensi del terzo comma, nella stessa udienza il giudice procede al tentativo di conciliazione ordinando, quando occorre, la comparizione personale delle parti; provvede inoltre sulle eventuali richieste istruttorie, dando le disposizioni per l’assunzione davanti a sé delle prove ammesse.»;

h. dopo l’articolo 350 è inserito il seguente:

«Art. 350-bis

(Decisione a seguito di discussione orale)

Nei casi di cui agli articoli 348-bis e 350, terzo comma, il giudice procede ai sensi dell’articolo 281-sexies.

Dinanzi alla corte di appello l’istruttore, fatte precisare le conclusioni, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine per note conclusionali antecedente alla data dell’udienza. All’udienza l’istruttore svolge la relazione orale della causa.

La sentenza è motivata in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.»;

i. all’articolo 351:

1. al primo comma, le parole «dall’articolo 283» sono sostituite dalle seguenti: «dal primo e dal secondo comma dell’articolo 283» e sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: «Davanti alla corte di appello, i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria sono adottati con ordinanza Se nominato, l’istruttore, sentite le parti, riferisce al collegio.»;

2. al terzo comma, primo periodo, le parole «al collegio» sono sostituite dalle seguenti: «all’istruttore» e, al secondo periodo, le parole «all’udienza» sono sostituite dalle seguenti: «con l’ordinanza non impugnabile pronunciata all’esito dell’udienza»;

3. al quarto comma, dopo le parole «ai sensi dell’articolo 281-sexies» sono aggiunte le seguenti: «Davanti alla corte di appello, se l’udienza è stata tenuta dall’istruttore il collegio, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, fissa udienza davanti a sé per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale e assegna alle parti un termine per note conclusionali.»;

l. l’articolo 352 è sostituito dal seguente:

«Art. 352

(Decisione)

Esaurita l’attività prevista negli articoli 350 e 351, l’istruttore, quando non ritiene di procedere ai sensi dell’articolo 350-bis, fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione e assegna alle parti, salvo che queste non vi rinuncino, i seguenti termini perentori:

  1. un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte contenenti la sola precisazione delle conclusioni;
  2. un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali;
  3. un termine non superiore a quindici giorni prima per il deposito delle note di replica;

All’udienza la causa è trattenuta in decisione. Davanti alla corte di appello, l’istruttore riserva la decisione al collegio. La sentenza è depositata entro sessanta giorni.»;

m. l’articolo 353 è abrogato;

n. l’articolo 354 è sostituito dal seguente:

«Art. 354

(Rimessione al primo giudice)

Il giudice d’appello, se dichiara la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, riconosce che nel giudizio di primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa una parte, oppure dichiara la nullità della sentenza di primo grado a norma dell’articolo 161 secondo comma, pronuncia sentenza con cui rimette la causa al primo giudice.

Nei casi di rimessione al primo giudice, le parti devono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza. Se contro la sentenza d’appello è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto.

Se il giudice d’appello riconosce sussistente la giurisdizione negata dal primo giudice o dichiara la nullità di altri atti compiuti in primo grado, ammette le parti a compiere le attività che sarebbero precluse e ordina, in quanto possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell’articolo 356.»;

o. all’articolo 356, al primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Davanti alla corte di appello il collegio delega l’assunzione delle prove all’istruttore, se nominato, o al relatore e, quando ne ravvisa la necessità, può anche d’ufficio disporre la rinnovazione davanti a sé di uno o più mezzi di prova assunti dall’istruttore ai sensi dell’articolo 350, quarto comma».

27. Al Libro II, Titolo III, Capo III, Sezione I, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. all’articolo 360:
    1. dopo il terzo comma è inserito il seguente: «Quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4). Tale disposizione non si applica relativamente alle cause di cui all’articolo 70, primo »;
    2. all’ultimo comma, le parole «Le disposizioni di cui al primo comma e terzo comma» sono sostituite dalle seguenti: «Le disposizioni di cui al primo, al terzo e al quarto comma»;
  2. all’articolo 362:
    1. al primo comma, dopo le parole «o in unico grado» sono aggiunte le seguenti: «del giudice amministrativo o»;
    2. al secondo comma, dopo le parole «tra giudici speciali,» sono aggiunte le parole «o tra giudice amministrativo e giudice speciale,»;
    3. dopo il secondo comma è aggiunto il seguente: «Le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato possono altresì essere impugnate per revocazione ai sensi dell’articolo 391-quater quando il loro contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi »;
  3. dopo l’articolo 363 è inserito il seguente:

«Art. 363-bis

(Rinvio pregiudiziale)

Il giudice di merito può disporre con ordinanza, sentite le parti costituite, il rinvio pregiudiziale degli atti alla Corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni:

  1. la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla Corte di cassazione;
  2. la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
  3. la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

L’ordinanza che dispone il rinvio pregiudiziale è motivata, e con riferimento alla condizione di cui al numero 2) del primo comma reca specifica indicazione delle diverse interpretazioni possibili. Essa è immediatamente trasmessa alla Corte di cassazione ed è comunicata alle parti. Il procedimento è sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e delle attività istruttorie non dipendenti dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale.

Il primo presidente, ricevuta l’ordinanza di rinvio pregiudiziale, entro novanta giorni assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice per l’enunciazione del principio di diritto, o dichiara con decreto l’inammissibilità della questione per la mancanza di una o più delle condizioni di cui al primo comma.

La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza, con la requisitoria scritta del pubblico ministero e con facoltà per le parti costituite di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’articolo 378.

 

Con il provvedimento che definisce la questione è disposta la restituzione degli atti al giudice.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte è vincolante nel procedimento nell’ambito del quale è stata rimessa la questione e, se questo si estingue, anche nel nuovo processo in cui è proposta la medesima domanda tra le stesse parti.»;

d. all’articolo 366:

1. al primo comma, il numero 3 è sostituito dal seguente: «3) la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso;», il numero 4 è sostituito dal seguente: «4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano;» e il numero 6 è sostituito dal seguente: «6) la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi»;

2. il secondo e il quarto comma sono abrogati;

e. all’articolo 369:

1. al primo comma le parole «deve essere» sono sostituite dalla seguente: «è» e le parole «nella cancelleria della corte» sono soppresse;

2. il terzo comma è abrogato;

f. all’articolo 370:

1. al primo comma, al primo periodo, le parole «da notificarsi al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso» sono sostituite dalle seguenti: «da depositare entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso» e, al secondo periodo, le parole «di tale notificazione» sono soppresse;

2. al terzo comma, le parole «nella cancelleria della Corte entro venti giorni dalla notificazione,» sono soppresse

g. all’articolo 371:

1. al secondo comma, dopo le parole «ricorso incidentale» sono inserite le seguenti: «con atto depositato» e le parole: «, con atto notificato al ricorrente principale e alle altre parti nello stesso modo del ricorso principale» sono soppresse;

2. al quarto comma la parola «notificato» è sostituita dalla seguente: «depositato»;

h. all’articolo 372, secondo comma, le parole «ma deve essere notificato, mediante elenco, alle altre parti» sono sostituite dalle seguenti: «fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio».

  1. Al Libro II, Titolo III, Capo III, Sezione II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 375:
      1. al primo comma è anteposto il seguente: «La Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronuncia in pubblica udienza quando la questione di diritto è di particolare rilevanza, nonché nei casi di cui all’articolo 391-quater.»;
      2. al primo comma:

a. dopo il numero 1, è inserito il seguente: «1-bis) dichiarare l’improcedibilità del ricorso;»;

b. al numero 4, dopo le parole «regolamento di competenza e di giurisdizione» sono inserite le seguenti «, salva l’applicazione del primo comma»;

c. dopo il numero 4, sono inseriti i seguenti: «4-bis) pronunciare nei casi di correzione di errore materiale; 4-ter) pronunciare sui ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo, salva l’applicazione del primo comma; 4-quater) in ogni altro caso in cui non pronuncia in pubblica »;

d. il numero 5) è soppresso;

e. l’ultimo comma è abrogato;

f. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Pronuncia in udienza pubblica o in camera di consiglio»;

b. all’articolo 376:

1. il primo comma è sostituito dal seguente: «Il primo presidente assegna i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione »;

2. al secondo comma, la parola «dieci» è sostituita dalla seguente: «quindici» e le parole «di discussione del ricorso» sono sostituite dalle seguenti: «o dell’adunanza»;

3. al terzo comma, dopo le parole «All’udienza» sono inserite le seguenti: «o all’adunanza», dopo le parole «può essere disposta» sono inserite le seguenti: «con ordinanza» e le parole «, con ordinanza inserita nel processo verbale» sono soppresse;

c. all’articolo 377:

1. al secondo comma, dopo le parole «dal cancelliere» sono inserite le seguenti: «al pubblico ministero e» e la parola «venti» è sostituita dalla seguente: «sessanta»;

2. al terzo comma, le parole «Il primo presidente, il presidente della sezione semplice o il presidente della sezione di cui all’articolo 376, primo comma» sono sostituite dalle seguenti: «Il primo presidente o il presidente della sezione»;

d. all’articolo 378:

1. alla rubrica, le parole «di parte» sono soppresse;

2. al primo comma è anteposto il seguente: «Il pubblico ministero può depositare una memoria non oltre venti giorni prima dell’udienza.»;

3. al primo comma le parole «presentare le loro» sono sostituite dalle seguenti: «depositare sintetiche», le parole «in cancelleria» sono sostituite dalla seguente: «illustrative» e la parola «cinque» è sostituita dalla seguente: «dieci»;

e. all’articolo 379:

1. prima del primo comma, è inserito il seguente: «L’udienza si svolge sempre in presenza»;

2. al primo comma, le parole «riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso» sono sostituite dalle seguenti: «espone in sintesi le questioni della causa»;

3. al secondo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il presidente dirige la discussione, indicandone ove necessario i punti e i »:

f. all’articolo 380, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «La sentenza è depositata nei novanta giorni »;

g. l’articolo 380-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 380-bis

(Procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati)

Se non è stata ancora fissata la data della decisione, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato può formulare una sintetica proposta di definizione del giudizio, quando ravvisa la inammissibilità, improcedibilità o manifesta infondatezza del ricorso principale e di quello incidentale eventualmente proposto. La proposta è comunicata ai difensori delle parti.

Entro quaranta giorni dalla comunicazione la parte ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, può chiedere la decisione. In mancanza, il ricorso si intende rinunciato e la Corte provvede ai sensi dell’articolo 391.

Se entro il termine indicato al secondo comma la parte chiede la decisione, la Corte procede ai sensi dell’articolo 380-bis.1 e quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96.»;

h. l’articolo 380-bis.1 è sostituito dal seguente:

«Art. 380-bis.1

(Procedimento per la decisione in camera di consiglio)

Della fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alle sezioni unite o alla sezione semplice è data comunicazione agli avvocati delle parti e al pubblico ministero almeno sessanta giorni prima dell’adunanza. Il pubblico ministero può depositare le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell’adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro sintetiche memorie illustrative non oltre dieci giorni prima dell’adunanza. La Corte giudica senza l’intervento del pubblico ministero e delle parti.

L’ordinanza, sinteticamente motivata, è depositata al termine della camera di consiglio, ma il collegio può riservarsi il deposito nei successivi sessanta giorni.»;

i. all’articolo 380-ter:

  1. il primo comma è sostituito dal seguente: «Nei casi previsti dall’articolo 375, secondo comma, numero 4, si applica l’articolo 380-bis.1; il pubblico ministero deposita le sue conclusioni scritte nel termine ivi »;
  2. il secondo ed il terzo comma sono abrogati;

l. all’articolo 383, il quarto comma è abrogato;

m. all’articolo 390:

  1. al comma 1, le parole «, o finché non siano notificate le conclusioni scritte del pubblico ministero nei casi di cui all’articolo 380-ter» sono soppresse;
  2. il terzo comma è sostituito dal seguente: «Del deposito dell’atto di rinuncia è data comunicazione alle parti costituite a cura della »;

 n. all’articolo 391-bis:

  1. al primo comma, le parole «Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale» sono sostituite dalle seguenti: «Se la sentenza, l’ordinanza o il decreto di cui all’articolo 380-bis pronunciati dalla Corte di cassazione sono affetti da errore materiale»;
  2. il secondo, terzo e quarto comma sono abrogati;

o. dopo l’articolo 391-ter è inserito il seguente:

«Art. 391-quater

(Revocazione per contrarietà alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo)

Le decisioni passate in giudicato il cui contenuto è stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali ovvero ad uno dei suoi Protocolli, possono essere impugnate per revocazione se concorrono le seguenti condizioni:

  1. la violazione accertata dalla Corte europea ha pregiudicato un diritto di stato della persona;
  2. l’equa indennità eventualmente accordata dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione non è idonea a compensare le conseguenze della

Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa. Si applica l’articolo 391-ter, secondo comma.

L’accoglimento della revocazione non pregiudica i diritti acquisiti dai terzi di buona fede che non hanno partecipato al giudizio svoltosi innanzi alla Corte europea.».

  1. Al Libro II, Titolo III, Capo IV, articolo 397, del codice di procedura civile, dopo il primo comma è aggiunto il seguente: «Nei casi di cui all’articolo 391-quater, la revocazione può essere promossa anche dal procuratore generale presso la Corte di cassazione».
  2. Al Libro II, Titolo IV, Capo I, Sezione II, paragrafo 1, l’articolo 430, del codice di procedura civile è sostituito dal seguente: «Quando la sentenza è depositata fuori udienza, il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle ».
  3. Al Libro II, Titolo IV, Capo I, Sezione II, paragrafo 2, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. all’articolo 434, il primo comma è sostituito dal seguente:

«Il ricorso deve contenere le indicazioni prescritte dall’articolo 414. L’appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico:

  1. il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;
  2. le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
  3. le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione »;

b. l’articolo 436-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 436-bis

(Inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell’appello)

 Nei casi previsti dagli articoli 348, 348-bis e 350, terzo comma, all’udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.»;

c. all’articolo 437, al primo comma, secondo periodo, le parole «Il collegio» sono sostituite dalle seguenti: «Quando non provvede ai sensi dell’articolo 436-bis, il collegio»;

d. all’articolo 438, il primo comma è sostituito dal seguente: «Fuori dei casi di cui all’articolo 436-bis, la sentenza deve essere depositata entro sessanta giorni dalla Il cancelliere ne dà immediata comunicazione alle parti.».

  1. Al Libro II, Titolo IV, del codice di procedura civile dopo il Capo I è introdotto il seguente:

«Capo I-bis

Delle controversie relative ai licenziamenti

Art. 441-bis

(Controversie in materia di licenziamento)

La trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto.

Salvo quanto stabilito nel presente articolo, le controversie di cui al primo comma sono assoggettate alle norme del capo primo.

Tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso il giudice può ridurre i termini del procedimento fino alla metà, fermo restando che tra la data di notificazione al convenuto o al terzo chiamato e quella della udienza di discussione deve intercorrere un termine non minore di venti giorni e che, in tal caso, il termine per la costituzione del convenuto o del terzo chiamato è ridotto della metà.

All’udienza di discussione il giudice dispone, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. A tal fine il giudice riserva particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.

I giudizi di appello e di cassazione sono decisi tenendo conto delle medesime esigenze di celerità e di concentrazione.

Art. 441-ter

(Licenziamento del socio della cooperativa)

Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative sono assoggettate alle norme di cui agli articoli 409 e seguenti e, in tali casi, il giudice decide anche sulle questioni relative al rapporto associativo eventualmente proposte. Il giudice del lavoro decide sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro deriva dalla cessazione del rapporto associativo.

 

 

Art. 441-quater

(Licenziamento discriminatorio)

Le azioni di nullità dei licenziamenti discriminatori, ove non siano proposte con ricorso ai sensi dell’articolo 414, possono essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i riti speciali. La proposizione della domanda relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, preclude la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.».

  1. Al Libro II del codice di procedura civile, dopo il Titolo IV è inserito il seguente:

«Titolo IV-bis

Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie

CAPO I

Disposizioni generali

Art. 473-bis (Ambito di applicazione)

Le disposizioni del presente titolo si applicano ai procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie attribuiti alla competenza del tribunale ordinario, del giudice tutelare e del tribunale per i minorenni, salvo che la legge disponga diversamente e con esclusione dei procedimenti volti alla dichiarazione di adottabilità, dei procedimenti di adozione di minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.

Per quanto non disciplinato dal presente titolo, i procedimenti di cui al primo comma sono regolati dalle norme previste dai titoli I e III del libro secondo.

Art. 473-bis.1

(Composizione dell’organo giudicante)

Salvo che la legge disponga diversamente, il tribunale giudica in composizione collegiale e la trattazione e l’istruzione possono essere delegate a uno dei componenti del collegio.

Davanti al tribunale per i minorenni, nei procedimenti aventi ad oggetto la responsabilità genitoriale possono essere delegati ai giudici onorari specifici adempimenti ad eccezione dell’ascolto del minore, dell’assunzione delle testimonianze e degli altri atti riservati al giudice. La prima udienza, l’udienza di rimessione della causa in decisione e le udienze all’esito delle quali sono assunti provvedimenti temporanei sono tenute davanti al collegio o al giudice relatore.

Art. 473-bis.2

(Poteri del giudice)

A tutela dei minori il giudice può d’ufficio nominare il curatore speciale nei casi previsti dalla legge, adottare i provvedimenti opportuni in deroga all’articolo 112 e disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.

Con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria.

Art. 473-bis.3

(Poteri del pubblico ministero)

Nell’esercizio dell’azione civile e al fine di adottare le relative determinazioni, il pubblico ministero può assumere informazioni, acquisire atti e svolgere accertamenti, anche avvalendosi della polizia giudiziaria e dei servizi sociali, sanitari e assistenziali.

Art. 473-bis.4

(Ascolto del minore)

Il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Le opinioni del minore devono essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità.

Il giudice non procede all’ascolto, dandone atto con provvedimento motivato, se esso è in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo, in caso di impossibilità fisica o psichica del minore o se quest’ultimo manifesta la volontà di non essere ascoltato.

Nei procedimenti in cui si prende atto di un accordo dei genitori relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice procede all’ascolto soltanto se necessario.

Art. 473-bis.5

(Modalità dell’ascolto)

L’ascolto del minore è condotto dal giudice, il quale può farsi assistere da esperti e altri ausiliari. Se il procedimento riguarda più minori, di regola il giudice li ascolta separatamente.

L’udienza è fissata in orari compatibili con gli impegni scolastici del minore, ove possibile in locali idonei e adeguati alla sua età, anche in luoghi diversi dal tribunale.

Prima di procedere all’ascolto, il giudice indica i temi oggetto dell’adempimento ai genitori, agli esercenti la responsabilità genitoriale, ai rispettivi difensori e al curatore speciale, i quali possono proporre argomenti e temi di approfondimento e, su autorizzazione del giudice, partecipare all’ascolto.

Il giudice, tenuto conto dell’età e del grado di maturità del minore, lo informa della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto, e procede all’adempimento con modalità che ne garantiscono la serenità e la riservatezza. Il minore che ha compiuto quattordici anni è informato altresì della possibilità di chiedere la nomina di un curatore speciale ai sensi dell’articolo 473-bis.8.

Dell’ascolto del minore è effettuata registrazione audiovisiva. Se per motivi tecnici non è possibile procedere alla registrazione, il processo verbale descrive dettagliatamente il contegno del minore.

Art. 473-bis.6

(Rifiuto del minore a incontrare il genitore)

Quando il minore rifiuta di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice procede all’ascolto senza ritardo, assume sommarie informazioni sulle cause del rifiuto e può disporre l’abbreviazione dei termini processuali.

Allo stesso modo il giudice procede quando sono allegate o segnalate condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l’altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Art. 473-bis.7

(Nomina del tutore e del curatore del minore)

Il giudice nomina il tutore del minore quando dispone, anche con provvedimento temporaneo, la sospensione o la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Copia del provvedimento è trasmessa al giudice tutelare per le prescritte annotazioni sul registro delle tutele. Sino alla definizione del procedimento, le funzioni del giudice tutelare sono esercitate dal giudice che procede.

Il giudice può nominare il curatore del minore quando dispone, all’esito del procedimento, limitazioni della responsabilità genitoriale. Il provvedimento di nomina del curatore deve contenere l’indicazione:

  1. della persona presso cui il minore ha la residenza abituale;
  2. degli atti che il curatore ha il potere di compiere nell’interesse del minore, e di quelli per i quali è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare;
  3. degli atti che possono compiere i genitori, congiuntamente o disgiuntamente;
  4. degli atti che può compiere la persona presso cui il minore ha la residenza abituale;
  5. della periodicità con cui il curatore riferisce al giudice tutelare circa l’andamento degli interventi, i rapporti mantenuti dal minore con i genitori, l’attuazione del progetto eventualmente predisposto dal tribunale.

Nei casi previsti dal presente articolo, all’esito del procedimento il giudice trasmette gli atti al giudice tutelare competente.

Art. 473-bis.8

(Curatore speciale del minore)

Il giudice provvede alla nomina del curatore speciale del minore, anche d’ufficio e a pena di nullità degli atti del procedimento:

  1. nei casi in cui il pubblico ministero abbia chiesto la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori, o in cui uno dei genitori abbia chiesto la decadenza dell’altro;
  2. in caso di adozione di provvedimenti ai sensi dell’articolo 403 del codice civile o di affidamento del minore ai sensi degli articoli 2 e seguenti della legge 4 maggio 1983, 184;
  3. nel caso in cui dai fatti emersi nel procedimento venga alla luce una situazione di pregiudizio per il minore tale da precluderne l’adeguata rappresentanza processuale da parte di entrambi i genitori;
  4. quando ne faccia richiesta il minore che abbia compiuto quattordici anni.

In ogni caso il giudice può nominare un curatore speciale quando i genitori appaiono per gravi ragioni temporaneamente inadeguati a rappresentare gli interessi del minore. Il provvedimento di nomina del curatore deve essere succintamente motivato. Si applicano gli articoli 78, 79 e 80.

Al curatore speciale del minore il giudice può attribuire, con il provvedimento di nomina o con provvedimento non impugnabile adottato nel corso del giudizio, specifici poteri di rappresentanza sostanziale. Il curatore speciale del minore procede al suo ascolto ai sensi dell’articolo 315-bis, terzo comma, del codice civile, nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 473-bis.4.

Il minore che abbia compiuto quattordici anni, i genitori che esercitano la responsabilità genitoriale, il tutore o il pubblico ministero possono chiedere con istanza motivata al presidente del tribunale o al giudice che procede, che decide con decreto non impugnabile, la revoca del curatore per gravi inadempienze o perché mancano o sono venuti meno i presupposti per la sua nomina.

Art. 473-bis.9

(Disposizioni in favore dei figli maggiorenni portatori di handicap grave)

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano le disposizioni in favore dei figli minori previste nel presente titolo, in quanto compatibili.

Art. 473-bis.10

(Mediazione familiare)

Il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell’elenco formato a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo.

Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.22 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.

CAPO II

Del procedimento

Sezione I

Disposizioni comuni al giudizio di primo grado

Art. 473-bis.11

(Competenza per territorio)

Per tutti i procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che riguardano un minore, è competente il tribunale del luogo in cui il minore ha la residenza abituale. Se vi è stato trasferimento del minore non autorizzato e non è decorso un anno, è competente il tribunale del luogo dell’ultima residenza abituale del minore prima del trasferimento.

In tutti gli altri casi si applicano le disposizioni generali, ove non derogate da quanto previsto alla sezione II del capo III del presente titolo.

Art. 473-bis.12

(Forma della domanda)

La domanda si propone con ricorso che contiene:

  1. l’indicazione dell’ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta;
  2. il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la residenza o il domicilio o la dimora e il codice fiscale dell’attore e del convenuto, nonché dei figli comuni delle parti se minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, e degli altri soggetti ai quali le domande o il procedimento si riferiscono;
  3. il nome, il cognome e il codice fiscale del procuratore, unitamente all’indicazione della procura;
  4. la determinazione dell’oggetto della domanda;
  5. la chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda, con le relative conclusioni;
  6. l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione;

Il ricorso deve altresì indicare l’esistenza di altri procedimenti aventi a oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse. Ad esso è allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti.

In caso di domande di contributo economico o in presenza di figli minori, al ricorso sono allegati:

  1. le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni;
  2. la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali;
  3. gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni;

Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute.

Art. 473-bis.13

(Ricorso del pubblico ministero)

Il ricorso del pubblico ministero contiene:

  1. l’indicazione dell’ufficio giudiziario davanti al quale il ricorso è presentato;
  2. il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la residenza o il domicilio o la dimora e il codice fiscale del minore, dei genitori e, ove nominati, del tutore, del curatore, del curatore speciale e dell’affidatario del minore, nonché, nei giudizi relativi allo stato delle persone, di coloro che possono avere un interesse qualificato all’esito del giudizio;
  3. la determinazione dell’oggetto della domanda;
  4. la chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda con le relative conclusioni, anche istruttorie.

Nei casi in cui il minore sia stato collocato in una struttura comunitaria, il ricorso indica altresì il nome, il cognome, il codice fiscale e la residenza del legale rappresentante, salvo che sia necessario mantenere riservate tali indicazioni.

Al ricorso sono allegati i documenti relativi agli accertamenti svolti e alle informazioni assunte, nonché i provvedimenti relativi al minore emessi dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità.

In presenza di richiesta di allontanamento del minore, il ricorso reca l’indicazione di eventuali parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con lo stesso.

In caso di domande di contributo economico, al ricorso è allegata la documentazione attestante la situazione economica e reddituale dei genitori e del minore.

Le disposizioni che precedono si applicano, in quanto compatibili, anche al ricorso presentato dal parente, dal tutore, dal curatore e dal curatore speciale.

Art. 473-bis.14

(Deposito del ricorso e decreto di fissazione dell’udienza)

Il ricorso è depositato al giudice competente insieme con i documenti in esso indicati.

Il presidente, entro tre giorni dal deposito del ricorso, designa il relatore, al quale può delegare la trattazione del procedimento, e fissa l’udienza di prima comparizione delle parti assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire almeno trenta giorni prima dell’udienza. Il presidente nomina un curatore speciale quando il convenuto è malato di mente o legalmente incapace.

Tra il giorno del deposito del ricorso e l’udienza non devono intercorrere più di novanta giorni.

Con lo stesso decreto il presidente informa il convenuto che la costituzione oltre il suddetto termine implica le decadenze di cui agli articoli 38 e 167, che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Informa inoltre le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.

Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono notificati al convenuto a cura dell’attore. Tra la notifica del ricorso e la data dell’udienza deve intercorrere un termine non inferiore a sessanta giorni liberi. Il decreto è inoltre comunicato al pubblico ministero, a cura della cancelleria.

Il termine di cui al terzo comma è elevato a centoventi giorni e quello di cui al quinto comma è elevato a novanta giorni nel caso in cui la notificazione debba essere effettuata all’estero.

Art. 473-bis.15

(Provvedimenti indifferibili)

In caso di pregiudizio imminente e irreparabile o quando la convocazione delle parti potrebbe pregiudicare l’attuazione dei provvedimenti, il presidente o il giudice da lui delegato, assunte ove occorre sommarie informazioni, adotta con decreto provvisoriamente esecutivo i provvedimenti necessari nell’interesse dei figli e, nei limiti delle domande da queste proposte, delle parti. Con il medesimo decreto fissa entro i successivi quindici giorni l’udienza per la conferma, modifica o revoca dei provvedimenti adottati con il decreto, assegnando all’istante un termine perentorio per la notifica.

Art. 473-bis.16

 (Costituzione del convenuto)

Il convenuto si costituisce nel termine assegnato dal giudice, depositando comparsa di risposta che contiene le indicazioni previste, anche a pena di decadenza, dagli articoli 167 e 473-bis.12, secondo, terzo e quarto comma.

Art. 473-bis.17

(Ulteriori difese)

Entro venti giorni prima della data dell’udienza, l’attore può depositare memoria con cui prendere posizione in maniera chiara e specifica sui fatti allegati dal convenuto, nonché, a pena di decadenza, modificare o precisare le domande e le conclusioni già formulate, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza delle difese del convenuto, indicare mezzi di prova e produrre documenti. Nel caso in cui il convenuto abbia formulato domande di contributo economico, nello stesso termine l’attore deve depositare la documentazione prevista nell’articolo 473-bis.12, terzo comma.

Entro dieci giorni prima della data dell’udienza, il convenuto può depositare un’ulteriore memoria con cui, a pena di decadenza, precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già proposte, proporre le eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle difese svolte dall’attore con la memoria di cui al primo comma, indicare mezzi di prova e produrre documenti, anche a prova contraria.

Entro cinque giorni prima della data dell’udienza, l’attore può depositare ulteriore memoria per le sole indicazioni di prova contraria rispetto ai mezzi istruttori dedotti nella memoria di cui al secondo comma.

Art. 473-bis.18

(Dovere di leale collaborazione)

Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete è valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116, nonché ai sensi del primo comma dell’articolo 92 e dell’articolo 96.

Art. 473-bis.19

(Nuove domande e nuovi mezzi di prova)

Le decadenze previste dagli articoli 473-bis.14 e 473-bis.17 operano solo in riferimento alle domande aventi a oggetto diritti disponibili.

Le parti possono sempre introdurre nuove domande e nuovi mezzi di prova relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli minori. Possono altresì proporre, nella prima difesa utile successiva e fino al momento della precisazione delle conclusioni, nuove domande di contributo economico in favore proprio e dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente e i relativi nuovi mezzi di prova, se si verificano mutamenti nelle circostanze o a seguito di nuovi accertamenti istruttori.

Art. 473-bis.20

(Intervento volontario)

L’intervento del terzo avviene con le modalità previste dall’articolo 473-bis.16.

Il terzo non può intervenire oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto, salvo che compaia volontariamente per l’integrazione necessaria del contraddittorio.

Art. 473-bis.21

(Udienza di comparizione delle parti)

All’udienza fissata per la comparizione delle parti, il collegio o il giudice delegato verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti opportuni. Salvo che il processo sia introdotto con ricorso del pubblico ministero, se l’attore non compare o rinuncia e il convenuto costituito non chiede che si proceda in sua assenza, il procedimento si estingue.

Le parti devono comparire personalmente, salvo gravi e comprovati motivi. La mancata comparizione senza giustificato motivo costituisce comportamento valutabile ai sensi del secondo comma dell’articolo 116 e nella liquidazione delle spese.

All’udienza il giudice sente le parti, congiuntamente o separatamente, alla presenza dei rispettivi difensori, e ne tenta la conciliazione. Può inoltre formulare una motivata proposta conciliativa della controversia. Se le parti si conciliano, il giudice assume i provvedimenti temporanei e urgenti che si rendono necessari e rimette la causa in decisione.

Art. 473-bis.22

(Provvedimenti del giudice)

Se la conciliazione non riesce, il giudice, sentite le parti e i rispettivi difensori e assunte ove occorra sommarie informazioni, dà con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interesse delle parti, nei limiti delle domande da queste proposte, e dei figli. Quando pone a carico delle parti l’obbligo di versare un contributo economico il giudice determina la data di decorrenza del provvedimento, con facoltà di farla retroagire fino alla data della domanda. Allo stesso modo provvede se una delle parti non compare senza giustificato motivo.

L’ordinanza costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale, e conserva la sua efficacia anche dopo l’estinzione del processo, finché non sia sostituita con altro provvedimento.

Con l’ordinanza di cui al primo comma, il giudice provvede sulle richieste istruttorie e predispone il calendario del processo, fissando entro i successivi novanta giorni l’udienza per l’assunzione dei mezzi di prova ammessi.

Quando la causa è matura per la decisione senza bisogno di assunzione dei mezzi di prova, il giudice, fatte precisare le conclusioni, pronuncia i provvedimenti di cui al primo comma e ordina la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e, all’esito, trattiene la causa in decisione. Il giudice delegato si riserva di riferire al collegio per la decisione. Allo stesso modo si procede quando può essere decisa la domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento deve continuare per la definizione delle ulteriori domande. Contro la sentenza che decide sullo stato delle persone è ammesso solo appello immediato.

Art. 473-bis.23

(Modifica dei provvedimenti temporanei e urgenti)

 I provvedimenti temporanei e urgenti possono essere modificati o revocati dal collegio o dal giudice delegato in presenza di fatti sopravvenuti o nuovi accertamenti istruttori.

Art. 473-bis.24

(Reclamo dei provvedimenti temporanei e urgenti)

Contro i provvedimenti temporanei e urgenti di cui al primo comma dell’articolo 473-

bis.22 si può proporre reclamo con ricorso alla corte di appello.

È altresì ammesso reclamo contro i provvedimenti temporanei emessi in corso di causa che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Il reclamo deve essere proposto entro il termine perentorio di dieci giorni dalla pronuncia del provvedimento in udienza ovvero dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore. Eventuali circostanze sopravvenute sono dedotte davanti al giudice di merito.

Il collegio, assicurato il contraddittorio tra le parti, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso pronuncia ordinanza con la quale conferma, modifica o revoca il provvedimento reclamato e provvede sulle spese. Ove indispensabile ai fini della decisione, può assumere sommarie informazioni. L’ordinanza è immediatamente esecutiva.

Avverso i provvedimenti di reclamo pronunciati nei casi di cui al secondo comma è ammesso ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione.

Art. 473-bis.25

(Consulenza tecnica d’ufficio)

Quando dispone consulenza tecnica d’ufficio, il giudice precisa l’oggetto dell’incarico e sceglie il consulente tra quelli dotati di specifica competenza in relazione all’accertamento e alle valutazioni da compiere.

Nella consulenza psicologica le indagini e le valutazioni su caratteristiche e profili di personalità delle parti sono consentite nei limiti in cui hanno ad oggetto aspetti tali da incidere direttamente sulle capacità genitoriali, e sono fondate su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica.

Il consulente svolge le indagini che coinvolgono direttamente il minore in orari compatibili con gli impegni scolastici, e con durata e modalità che garantiscono la serenità del minore e sono adeguate alla sua età.

Nella relazione il consulente tiene distinti i fatti osservati direttamente, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le valutazioni da lui formulate. La relazione indica altresì le metodologie e i protocolli seguiti, nonché eventuali specifiche proposte di intervento a sostegno del nucleo familiare e del minore.

Art. 473-bis.26

(Nomina di un esperto su richiesta delle parti)

Il giudice, su istanza congiunta delle parti, può nominare ai sensi dell’articolo 68 uno o più ausiliari, scelti tra gli iscritti all’albo dei consulenti tecnici d’ufficio, o al di fuori dell’albo se vi è accordo delle parti, per intervenire sul nucleo familiare al fine di superare i conflitti tra le parti, fornire ausilio per i minori e agevolare la ripresa o il miglioramento delle relazioni tra genitori e figli.

Il giudice individua gli obiettivi dell’attività demandata all’ausiliario tra quelli indicati nel primo comma, e fissa i termini, anche periodici, entro cui l’ausiliario deposita una relazione sull’attività svolta e quelli entro cui le parti possono depositare note scritte.

Se sorgono questioni sui poteri o sui limiti dell’incarico conferito, l’ausiliario o le parti informano il giudice il quale, sentite le parti, dà i provvedimenti opportuni.

Art. 473-bis.27

(Intervento dei servizi sociali o sanitari nei procedimenti a tutela dei minori)

Quando dispone l’intervento dei servizi sociali o sanitari, il giudice indica in modo specifico l’attività ad essi demandata e fissa i termini entro cui i servizi sociali o sanitari devono depositare una relazione periodica sull’attività svolta, nonché quelli entro cui le parti possono depositare memorie.

Nelle relazioni sono tenuti distinti i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che, ove aventi oggetto profili di personalità delle parti, devono essere fondate su dati oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione.

Le parti possono prendere visione ed estrarre copia delle relazioni e di ogni accertamento compiuto dai responsabili del servizio sociale o sanitario incaricati, trasmessi all’autorità giudiziaria, salvo che la legge non disponga diversamente.

Art. 473-bis.28

(Decisione della causa)

Il giudice, esaurita l’istruzione, fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione e assegna alle parti:

  1. un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni;
  2. un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali;
  3. un termine non superiore a quindici giorni prima della stessa udienza per il deposito delle memorie di replica.

All’udienza la causa è rimessa in decisione e il giudice delegato si riserva di riferire al collegio. La sentenza è depositata nei successivi sessanta giorni.

Art. 473-bis.29

(Modificabilità dei provvedimenti)

Qualora sopravvengano giustificati motivi, le parti possono in ogni tempo chiedere, con le forme previste nella presente sezione, la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici.

Sezione II

Dell’appello

Art. 473-bis.30

(Forma dell’appello)

 L’appello si propone con ricorso, che deve contenere le indicazioni previste dall’articolo 342.

Art. 473-bis.31

(Decreto del presidente)

Il presidente della corte di appello, entro cinque giorni dal deposito del ricorso, nomina il relatore e fissa l’udienza di comparizione e trattazione e il termine entro il quale l’appellante deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto all’appellato.

Tra la data di notificazione all’appellato e quella dell’udienza deve intercorrere un termine non minore di novanta giorni.

Nel caso in cui la notificazione prevista dal primo comma debba effettuarsi all’estero, il termine di cui al secondo comma è elevato a centocinquanta giorni.

Il presidente acquisisce d’ufficio le relazioni aggiornate dei servizi sociali o sanitari eventualmente incaricati e ordina alle parti di depositare la documentazione aggiornata di cui all’articolo 473-bis.12, terzo comma.

Art. 473-bis.32

(Costituzione dell’appellato e appello incidentale)

L’appellato deve costituirsi almeno trenta giorni prima dell’udienza, mediante deposito della comparsa di costituzione, nella quale deve esporre le sue difese in modo chiaro e specifico. Nella stessa comparsa l’appellato può, a pena di decadenza, proporre appello incidentale.

L’appellante può depositare una memoria di replica entro il termine perentorio di venti giorni prima dell’udienza, e l’appellato può a sua volta replicare con memoria da depositare entro il termine perentorio di dieci giorni prima.

Art. 473-bis.33

(Intervento del pubblico ministero)

Il pubblico ministero interviene in giudizio depositando le proprie conclusioni almeno dieci giorni prima dell’udienza.

Art. 473-bis.34

(Udienza di discussione)

La trattazione dell’appello è collegiale.

All’udienza il giudice incaricato fa la relazione orale della causa, e all’esito della discussione il collegio trattiene la causa in decisione. Su richiesta delle parti, può assegnare loro un termine per note difensive e rinviare la causa ad altra udienza.

La sentenza è depositata nei sessanta giorni successivi all’udienza.

Il giudice dell’appello può adottare i provvedimenti di cui agli articoli 473-bis.15 e 473- bis.22. Se ammette nuove prove, dà con ordinanza i provvedimenti per la loro assunzione, per la quale può delegare il relatore.

Art. 473-bis.35

(Domande ed eccezioni nuove)

 Il divieto di nuove domande ed eccezioni e di nuovi mezzi di prova previsto dall’articolo 345 si applica limitatamente alle domande aventi ad oggetto diritti disponibili.

Sezione III

Dell’attuazione dei provvedimenti

Art. 473-bis.36

(Garanzie a tutela del credito)

I provvedimenti, anche se temporanei, in materia di contributo economico in favore della prole o delle parti sono immediatamente esecutivi e costituiscono titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Se il valore dei beni ipotecati eccede la cautela da somministrare, si applica il secondo comma dell’articolo 96.

Il giudice può imporre al soggetto obbligato di prestare idonea garanzia personale o reale, se esiste il pericolo che possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi di contributo economico.

Il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all’adempimento, può chiedere al giudice di autorizzare il sequestro dei beni mobili, immobili o crediti del debitore.

Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti.

I provvedimenti di cui al secondo, terzo e quarto comma sono richiesti al giudice del procedimento in corso o, in mancanza, ai sensi dell’articolo 473-bis.29.

Art. 473-bis.37

(Pagamento diretto del terzo)

Il creditore cui spetta la corresponsione periodica del contributo in favore suo o della prole, dopo la costituzione in mora del debitore, inadempiente per un periodo di almeno trenta giorni, può notificare il provvedimento o l’accordo di negoziazione assistita in cui è stabilita la misura dell’assegno ai terzi tenuti a corrispondere periodicamente somme di denaro al soggetto obbligato, con la richiesta di versargli direttamente le somme dovute, dandone comunicazione al debitore inadempiente.

Il terzo è tenuto al pagamento dell’assegno dal mese successivo a quello in cui è stata effettuata la notificazione. Ove il terzo non adempia, il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti per il pagamento delle somme dovute.

Qualora il credito dell’obbligato nei confronti dei suddetti terzi sia stato già pignorato al momento della notificazione, all’assegnazione e alla ripartizione delle somme tra l’avente diritto al contributo e gli altri creditori provvede il giudice dell’esecuzione, il quale tiene conto anche della natura e delle finalità dell’assegno.

Art. 473-bis.38

(Attuazione dei provvedimenti sull’affidamento)

Per l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento del minore e per la soluzione delle controversie in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale è competente il giudice del procedimento in corso, che provvede in composizione monocratica.

Se non pende un procedimento è competente, in composizione monocratica, il giudice che ha emesso il provvedimento da attuare o, in caso di trasferimento del minore, quello individuato ai sensi dell’articolo 473-bis.11, primo comma. Quando è instaurato successivamente tra le stesse parti un giudizio che ha ad oggetto la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice dell’attuazione, anche d’ufficio, senza indugio e comunque entro quindici giorni adotta i provvedimenti urgenti che ritiene necessari nell’interesse del minore e trasmette gli atti al giudice di merito. I provvedimenti adottati conservano la loro efficacia fino a quando sono confermati, modificati o revocati con provvedimento emesso dal giudice del merito.

A seguito del ricorso il giudice, sentiti i genitori, coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, il curatore e il curatore speciale, se nominati, e il pubblico ministero, tenta la conciliazione delle parti e in difetto pronuncia ordinanza con cui determina le modalità dell’attuazione e adotta i provvedimenti opportuni, avendo riguardo all’interesse superiore del minore.

Se nel corso dell’attuazione sorgono difficoltà che non ammettono dilazione, ciascuna parte e gli ausiliari incaricati possono chiedere al giudice, anche verbalmente, che adotti i necessari provvedimenti temporanei.

Il giudice può autorizzare l’uso della forza pubblica, con provvedimento motivato, soltanto se assolutamente indispensabile e avendo riguardo alla preminente tutela della salute psicofisica del minore. L’intervento è posto in essere sotto la vigilanza del giudice e con l’ausilio di personale specializzato, anche sociale e sanitario, il quale adotta ogni cautela richiesta dalle circostanze.

Nel caso in cui sussista pericolo attuale e concreto, desunto da circostanze specifiche e oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, il giudice determina le modalità di attuazione con decreto motivato, senza la preventiva convocazione delle parti. Con lo stesso decreto dispone la comparizione delle parti davanti a sé nei quindici giorni successivi, e all’udienza provvede con ordinanza.

Avverso l’ordinanza pronunciata dal giudice ai sensi del presente articolo è possibile proporre opposizione nelle forme dell’articolo 473-bis.12.

Art. 473-bis.39

(Provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni)

In caso di gravi inadempienze, anche di natura economica, o di atti che arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento e dell’esercizio della responsabilità genitoriale, il giudice può d’ufficio modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente:

  1. ammonire il genitore inadempiente;
  2. individuare ai sensi dell’articolo 614-bis la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento;
  3. condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.

Nei casi di cui al primo comma, il giudice può inoltre condannare il genitore inadempiente al risarcimento dei danni a favore dell’altro genitore o, anche d’ufficio, del minore.

I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari.

 

CAPO III

Disposizioni speciali

Sezione I

Della violenza domestica o di genere

Art. 473-bis.40

(Ambito di applicazione)

Le disposizioni previste dalla presente sezione si applicano nei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori.

Art. 473-bis.41

(Forma della domanda)

Il ricorso indica, oltre a quanto previsto dagli articoli 473-bis.12 e 473-bis.13, gli eventuali procedimenti, definiti o pendenti, relativi agli abusi o alle violenze.

Al ricorso è allegata copia degli accertamenti svolti e dei verbali relativi all’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali, nonché dei provvedimenti relativi alle parti e al minore emessi dall’autorità giudiziaria o da altra pubblica autorità.

Art. 473-bis.42

(Procedimento)

Il giudice può abbreviare i termini fino alla metà, e compie tutte le attività previste dalla presente sezione anche d’ufficio e senza alcun ritardo. Al fine di accertare le condotte allegate, può disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria.

Il giudice e i suoi ausiliari tutelano la sfera personale, la dignità e la personalità della vittima e ne garantiscono la sicurezza, anche evitando, se opportuno, la contemporanea presenza delle parti.

Quando nei confronti di una delle parti è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche non definitiva, o provvedimento cautelare civile o penale ovvero penda procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’articolo 415-bis del codice di procedura penale per abusi o violenze, il decreto di fissazione dell’udienza non contiene l’invito a rivolgersi ad un mediatore familiare.

Quando la vittima degli abusi o delle violenze allegate è inserita in collocazione protetta, il giudice, ove opportuno per la sua sicurezza, dispone la secretazione dell’indirizzo ove essa dimora.

Con il decreto di fissazione dell’udienza, il giudice chiede al pubblico ministero e alle altre autorità competenti informazioni circa l’esistenza di eventuali procedimenti relativi agli abusi e alle violenze allegate, definiti o pendenti, e la trasmissione dei relativi atti non coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale. Il pubblico ministero e le altre autorità competenti provvedono entro quindici giorni a quanto richiesto.

Le parti non sono tenute a comparire personalmente all’udienza di cui all’articolo 473- bis.21. Se compaiono, il giudice si astiene dal procedere al tentativo di conciliazione e dall’invitarle a rivolgersi ad un mediatore familiare. Può comunque invitare le parti a rivolgersi a un mediatore o tentare la conciliazione, se nel corso del giudizio ravvisa l’insussistenza delle condotte allegate.

Art. 473-bis.43

(Mediazione familiare)

È fatto divieto di iniziare il percorso di mediazione familiare quando è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche in primo grado, ovvero è pendente un procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’articolo 415- bis del codice di procedura penale per le condotte di cui all’articolo 473-bis.40, nonché quando tali condotte sono allegate o comunque emergono in corso di causa.

Il mediatore interrompe immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso, se nel corso di esso emerge notizia di abusi o violenze.

Art. 473-bis.44

(Attività istruttoria)

Il giudice procede all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti o di altri ausiliari dotati di competenze specifiche in materia. Assume inoltre sommarie informazioni da persone informate dei fatti, può disporre d’ufficio la prova testimoniale formulandone i capitoli, e acquisisce atti e documenti presso gli uffici pubblici. Può anche acquisire rapporti d’intervento e relazioni di servizio redatti dalle forze dell’ordine, se non sono relativi ad attività d’indagine coperta da segreto.

Quando nomina un consulente tecnico d’ufficio, scelto tra quelli dotati di competenza in materia di violenza domestica e di genere, ovvero dispone indagini a cura dei servizi sociali, il giudice indica nel provvedimento la presenza di allegazioni di abusi o violenze, gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari a tutelare la vittima e i minori, anche evitando la contemporanea presenza delle parti.

Art. 473-bis.45

(Ascolto del minore)

Il giudice procede personalmente e senza ritardo all’ascolto del minore secondo quanto previsto dagli articoli 473-bis.4 e 473-bis.5, evitando ogni contatto con la persona indicata come autore degli abusi o delle violenze.

Non si procede all’ascolto quando il minore è stato già ascoltato nell’ambito di altro procedimento, anche penale, e le risultanze dell’adempimento acquisite agli atti sono ritenute sufficienti ed esaustive.

Art. 473-bis.46

(Provvedimenti del giudice)

Quando all’esito dell’istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore, tra cui quelli previsti dall’articolo 473-bis.70, e disciplina il diritto di visita individuando modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza.

A tutela della vittima e del minore, il giudice può altresì disporre, con provvedimento motivato, l’intervento dei servizi sociali e del servizio sanitario.

Quando la vittima è inserita in collocazione protetta, il giudice può incaricare i servizi sociali del territorio per l’elaborazione di progetti finalizzati al suo reinserimento sociale e lavorativo.

Sezione II

Dei procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni

Art. 473-bis.47

(Competenza)

Per le domande di separazione personale dei coniugi, scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, scioglimento dell’unione civile e regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, nonché per quelle di modifica delle relative condizioni, è competente il tribunale individuato ai sensi dell’articolo 473-bis.11, primo comma. In mancanza di figli minori, è competente il tribunale del luogo di residenza del convenuto. In caso di irreperibilità o residenza all’estero del convenuto, è competente il tribunale del luogo di residenza dell’attore o, nel caso in cui l’attore sia residente all’estero, qualunque tribunale della Repubblica.

Art. 473-bis.48

(Produzioni documentali)

Nei procedimenti di cui alla presente sezione, al ricorso e alla comparsa di costituzione e risposta è sempre allegata la documentazione prevista dall’articolo 473-bis.12, terzo comma.

Art. 473-bis.49

(Cumulo di domande di separazione e scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio)

Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale.

Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’articolo

  1. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 473-bis.11, primo comma.

Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274.

La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti.

Art. 473-bis.50

(Provvedimenti temporanei e urgenti)

Il giudice, quando adotta i provvedimenti temporanei e urgenti di cui all’articolo 473- bis.22, primo comma, indica le informazioni che ciascun genitore è tenuto a comunicare all’altro e può formulare una proposta di piano genitoriale tenendo conto di quelli allegati dalle parti. Se queste accettano la proposta, il mancato rispetto delle condizioni previste nel piano genitoriale costituisce comportamento sanzionabile ai sensi dell’articolo 473- bis.39.

Art. 473-bis.51

(Procedimento su domanda congiunta)

La domanda congiunta relativa ai procedimenti di cui all’articolo 473-bis.47 si propone con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte.

Il ricorso è sottoscritto anche dalle parti e contiene le indicazioni di cui all’articolo 473- bis.12, primo comma, numeri 1), 2), 3) e 5), e secondo comma, e quelle relative alle disponibilità reddituali e patrimoniali dell’ultimo triennio e degli oneri a carico delle parti, nonché le condizioni inerenti alla prole e ai rapporti economici. Con il ricorso le parti possono anche regolamentare, in tutto o in parte, i loro rapporti patrimoniali. Se intendono avvalersi della facoltà di sostituire l’udienza con il deposito di note scritte, devono farne richiesta nel ricorso, dichiarando di non volersi riconciliare e depositando i documenti di cui all’articolo 473-bis.13, terzo comma.

A seguito del deposito, il presidente fissa l’udienza per la comparizione delle parti davanti al giudice relatore e dispone la trasmissione degli atti al pubblico ministero, il quale esprime il proprio parere entro tre giorni prima della data dell’udienza. All’udienza il giudice, sentite le parti e preso atto della loro volontà di non riconciliarsi, rimette la causa in decisione. Il giudice può sempre chiedere i chiarimenti necessari e invitare le parti a depositare la documentazione di cui all’articolo 473-bis.12, terzo comma.

Il collegio provvede con sentenza con la quale omologa o prende atto degli accordi intervenuti tra le parti. Se gli accordi sono in contrasto con gli interessi dei figli, convoca le parti indicando loro le modificazioni da adottare, e, in caso di inidonea soluzione, rigetta allo stato la domanda.

In caso di domanda congiunta di modifica delle condizioni inerenti all’esercizio della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli e ai contributi economici in favore di questi o delle parti, il presidente designa il relatore che, acquisito il parere del pubblico ministero, riferisce in camera di consiglio. Il giudice dispone la comparizione personale delle parti quando queste ne fanno richiesta congiunta o sono necessari chiarimenti in merito alle nuove condizioni proposte.

Sezione III

(Dei procedimenti di interdizione, di inabilitazione e di nomina di amministratore di sostegno)

Art. 473-bis.52

(Forma della domanda)

La domanda per interdizione o inabilitazione si propone con ricorso diretto al tribunale del luogo in cui la persona nei confronti della quale è proposta ha residenza o domicilio.

Il ricorso contiene le indicazioni di cui all’articolo 473-bis.12 o all’articolo 473-bis.13, nonché il nome e il cognome e la residenza del coniuge o del convivente di fatto, dei parenti entro il quarto grado, degli affini entro il secondo grado e, se vi sono, del tutore o curatore dell’interdicendo o dell’inabilitando.

Art. 473-bis.53

(Provvedimenti del presidente)

Il presidente nomina il giudice relatore e fissa l’udienza di comparizione davanti a questo del ricorrente, dell’interdicendo o dell’inabilitando e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili.

Il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel primo comma. Il decreto è comunicato al pubblico ministero.

Art. 473-bis.54

(Udienza di comparizione)

All’udienza il giudice relatore, con l’intervento del pubblico ministero, procede all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando, sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione, e può disporre anche d’ufficio l’assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell’articolo 419 del codice civile.

L’udienza per l’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando si svolge in presenza.

Se l’interdicendo o l’inabilitando non può comparire per legittimo impedimento o la comparizione personale può arrecargli grave pregiudizio, il giudice, con l’intervento del pubblico ministero, si reca per sentirlo nel luogo in cui si trova. Valutata ogni circostanza, può disporre che l’udienza si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza, individuando le modalità idonee ad assicurare l’assenza di condizionamenti.

Art. 473-bis.55

(Capacità processuale dell’interdicendo e dell’inabilitando e nomina del tutore e del curatore provvisorio)

L’interdicendo e l’inabilitando possono stare in giudizio e compiere da soli tutti gli atti del procedimento, comprese le impugnazioni, anche quando è stato nominato il tutore o il curatore provvisorio previsto negli articoli 419 e 420 del codice civile.

Il tutore o il curatore provvisorio è nominato, anche d’ufficio, con decreto del giudice relatore. Finché non sia pronunciata la sentenza sulla domanda d’interdizione o d’inabilitazione, lo stesso giudice relatore può revocare la nomina, anche d’ufficio.

Art. 473-bis.56

(Impugnazione)

La sentenza che provvede sulla domanda d’interdizione o d’inabilitazione può essere impugnata da tutti coloro che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda, anche se non hanno partecipato al giudizio, e dal tutore o curatore nominato con la stessa sentenza.

Il termine per l’impugnazione decorre, per tutte le persone indicate al primo comma, dalla notificazione della sentenza fatta nelle forme ordinarie a tutti coloro che hanno partecipato al giudizio.

Se è stato nominato un tutore o curatore provvisorio, l’atto di impugnazione deve essere notificato anche a lui.

 

Art. 473-bis.57

(Revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione)

Per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione si osservano le norme stabilite nella presente sezione.

Coloro che avevano diritto di promuovere l’interdizione e l’inabilitazione possono intervenire nel giudizio di revoca per opporsi alla domanda, e possono altresì impugnare la sentenza pronunciata nel giudizio di revoca, anche se non hanno partecipato al giudizio.

Art. 473-bis.58

(Procedimenti in materia di amministrazione di sostegno)

Ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni della presente sezione.

Contro i decreti del giudice tutelare è ammesso reclamo al tribunale ai sensi dell’articolo 739.

Contro il decreto del tribunale in composizione collegiale è ammesso ricorso per cassazione.

Sezione IV

Assenza e morte presunta

Art. 473-bis.59

(Provvedimenti conservativi nell’interesse dello scomparso)

I provvedimenti indicati nell’articolo 48 del codice civile sono pronunciati dal tribunale in camera di consiglio su ricorso degli interessati, sentito il pubblico ministero.

Art. 473-bis.60

(Procedimento per la dichiarazione d’assenza)

La domanda per dichiarazione d’assenza si propone con ricorso, nel quale debbono essere indicati il nome e cognome e la residenza dei presunti successori legittimi dello scomparso e, se esistono, del suo procuratore o rappresentante legale.

Il presidente del tribunale fissa con decreto l’udienza per la comparizione davanti a sé o ad un giudice da lui designato del ricorrente e di tutte le persone indicate nel ricorso a norma del primo comma, e stabilisce il termine entro il quale la notificazione deve essere fatta a cura del ricorrente. Può anche ordinare che il decreto sia pubblicato in uno o più giornali. Il decreto è comunicato al pubblico ministero.

Il giudice interroga le persone comparse sulle circostanze che ritiene rilevanti, assume, quando occorre, ulteriori informazioni e quindi riferisce in camera di consiglio per i provvedimenti del tribunale, che questo pronuncia con sentenza.

Art. 473-bis.61

(Immissione nel possesso temporaneo dei beni)

Il tribunale provvede in camera di consiglio sulle domande per apertura di atti di ultima volontà e per immissione nel possesso temporaneo dei beni dell’assente, quando sono proposte da coloro che sarebbero eredi legittimi.

Se la domanda è proposta da altri interessati, il giudizio si svolge nelle forme ordinarie in contradittorio di coloro che sarebbero eredi legittimi.

Con lo stesso provvedimento col quale viene ordinata l’immissione nel possesso temporaneo, sono determinate la cauzione o le altre cautele previste nell’articolo 50, quinto comma del codice civile, e sono date le disposizioni opportune per la conservazione delle rendite riservate all’assente a norma dell’articolo 53 dello stesso codice.

Art. 473-bis.62

(Procedimento per la dichiarazione di morte presunta)

La domanda per dichiarazione di morte presunta si propone con ricorso, nel quale debbono essere indicati il nome, cognome e domicilio dei presunti successori legittimi dello scomparso e, se esistono, del suo procuratore o rappresentante legale e di tutte le altre persone, che a notizia del ricorrente, perderebbero diritti o sarebbero gravate da obbligazioni, per effetto della morte dello scomparso.

Il presidente del tribunale nomina un giudice a norma dell’articolo 473-bis.60, secondo comma, e ordina che a cura del ricorrente la domanda, entro il termine che egli stesso fissa, sia inserita per estratto, due volte consecutive a distanza di dieci giorni, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e in due giornali, con invito a chiunque abbia notizie dello scomparso di farle pervenire al tribunale entro sei mesi dall’ultima pubblicazione.

Se tutte le inserzioni non vengono eseguite entro il termine fissato, la domanda s’intende abbandonata.

Il presidente del tribunale può anche disporre altri mezzi di pubblicità.

Decorsi sei mesi dalla data dell’ultima pubblicazione, il giudice, su istanza del ricorrente, fissa con decreto l’udienza di comparizione davanti a sé del ricorrente e delle persone indicate nel ricorso a norma del primo comma, nonché il termine per la notificazione del ricorso e del decreto a cura del ricorrente.

Il decreto è comunicato al pubblico ministero.

Il giudice interroga le persone comparse sulle circostanze che ritiene rilevanti; può disporre che siano assunte ulteriori informazioni e quindi riferisce in camera di consiglio al collegio, che pronuncia sentenza.

Art. 473-bis.63

(Pubblicazione della sentenza e sua esecuzione)

La sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta deve essere inserita per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e pubblicata nel sito internet del Ministero della giustizia. Il tribunale può anche disporre altri mezzi di pubblicità.

Le inserzioni possono essere eseguite a cura di qualsiasi interessato e valgono come notificazione. Copia della sentenza e dei giornali nei quali è stato pubblicato l’estratto deve essere depositata nella cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza, per l’annotazione sull’originale.

La sentenza che dichiara l’assenza o la morte presunta non può essere eseguita prima che sia passata in giudicato e che sia compiuta l’annotazione di cui al secondo comma.

Il cancelliere dà notizia, a norma dell’articolo 133, secondo comma, all’ufficio dello stato civile competente della sentenza di dichiarazione di morte presunta.

Sezione V

Disposizioni relative a minori interdetti e inabilitati

Art. 473-bis.64

(Provvedimenti su parere del giudice tutelare)

I provvedimenti relativi ai minori, agli interdetti e agli inabilitati sono pronunciati dal tribunale in camera di consiglio, salvo che la legge disponga altrimenti.

Quando il tribunale deve pronunciare un provvedimento nell’interesse di minori, interdetti o inabilitati sentito il parere del giudice tutelare, il parere stesso deve essere prodotto dal ricorrente insieme col ricorso.

Qualora il parere non sia prodotto, il presidente provvede a richiederlo d’ufficio.

Art. 473-bis.65

(Vendita di beni)

Se, nell’autorizzare la vendita di beni di minori, interdetti o inabilitati, il tribunale stabilisce che essa deve farsi ai pubblici incanti, designa per procedervi un ufficiale giudiziario del tribunale del luogo in cui si trovano i beni mobili, oppure un cancelliere della stessa pretura o un notaio del luogo in cui si trovano i beni immobili.

L’ufficiale designato per la vendita procede all’incanto con l’osservanza delle norme degli articoli 534 e seguenti, in quanto applicabili, e premesse le forme di pubblicità ordinate dal tribunale.

Art. 473-bis.66

(Esito negativo dell’incanto)

Se al primo incanto non è fatta offerta superiore o uguale al prezzo fissato dal tribunale a norma dell’articolo 376, primo comma, del codice civile, l’ufficiale designato ne dà atto nel processo verbale e trasmette copia di questo al tribunale che ha autorizzato la vendita.

Il tribunale, se non crede di revocare l’autorizzazione o disporre una nuova vendita su prezzo base inferiore, autorizza la vendita a trattative private.

Sezione VI

Rapporti patrimoniali tra coniugi

Art. 473-bis.67

(Sostituzione dell’amministratore del patrimonio familiare)

La sostituzione dell’amministratore del patrimonio familiare può essere chiesta, nel caso previsto nell’articolo 174 del codice civile, dall’altro coniuge o da uno dei prossimi congiunti, o dal pubblico ministero, e, nel caso previsto nell’articolo 176 del codice civile, da uno dei figli maggiorenni o emancipati, da un prossimo congiunto o dal pubblico ministero.

Art. 473-bis.68

(Procedimento)

 La domanda per i provvedimenti previsti nell’articolo 473-bis.67 si propone con ricorso.

Il presidente del tribunale fissa con decreto un giorno per la comparizione degli interessati davanti a sé o a un giudice da lui designato e stabilisce il termine per la notificazione del ricorso e del decreto.

Dopo l’audizione delle parti, il presidente o il giudice designato assume le informazioni che crede opportune e quindi riferisce sulla domanda al tribunale, che decide in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile.

Sezione VII

Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari

Art. 473-bis.69

(Ordini di protezione contro gli abusi familiari)

Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.70. I medesimi provvedimenti possono essere adottati, ricorrendone i presupposti, anche quando la convivenza è cessata.

Quando la condotta può arrecare pregiudizio ai minori, i medesimi provvedimenti possono essere adottati, anche su istanza del pubblico ministero, dal tribunale per i minorenni.

Art. 473-bis.70

(Contenuto degli ordini di protezione)

Con il decreto di cui all’articolo 473-bis.69 il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dal beneficiario dell’ordine di protezione, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro o di salute.

Il giudice può altresì disporre, ove occorra, l’intervento dei servizi sociali del territorio, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati, nonché il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui al primo e al secondo comma, stabilisce la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte o, in presenza di minori, del pubblico ministero, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.

Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.

Art. 473-bis.71

(Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari)

L’istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.

Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo.

Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione.

Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, ai sensi del secondo comma, ovvero conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione precedentemente adottato nel caso di cui al terzo comma, è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 739. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

Per quanto non previsto dal presente articolo, si applicano al procedimento, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti.

CAPO IV

Dei procedimenti in camera di consiglio

Art. 473-ter

(Rinvio)

I provvedimenti di cui agli articoli 102, 171, 262, 316 e 371 del codice civile, agli articoli

25 e seguenti del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, agli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, agli articoli 18, 19 e 19-bis della legge 18 agosto 2015, 142, nonché i decreti del giudice tutelare, ove non sia diversamente stabilito, sono pronunciati in camera di consiglio e sono immediatamente esecutivi.».

34. Al Libro III, Titolo I del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. all’articolo 474, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Il titolo è messo in esecuzione da tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e da chiunque spetti, con l’assistenza del pubblico ministero e il concorso di tutti gli ufficiali della forza pubblica, quando ne siano legalmente richiesti»;

b. l’articolo 475 è sostituito dal seguente:

«Art. 475

(Forma del titolo esecutivo giudiziale e del titolo ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale)

Le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti dell’autorità giudiziaria, nonché gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale, per valere come titolo per l’esecuzione forzata, ai sensi dell’articolo 474, per la parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione, o per i suoi successori, devono essere rilasciati in copia attestata conforme all’originale, salvo che la legge disponga altrimenti.»;

c. l’articolo 476 è abrogato;

d. all’articolo 478, le parole «spedito in forma esecutiva» sono sostituite dalle seguenti:

«rilasciato ai sensi dell’articolo 475»;

e. all’articolo 479, al primo comma, le parole «in forma esecutiva» sono sostituite dalle seguenti: «in copia attestata conforme all’originale».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo I, Sezione I, del codice di procedura civile, l’articolo 488 è sostituito dal seguente:

«Art. 488

(Fascicolo dell’esecuzione)

Il cancelliere forma per ogni procedimento d’espropriazione un fascicolo telematico, nel quale sono inseriti tutti gli atti compiuti dal giudice, dal cancelliere e dall’ufficiale giudiziario, e gli atti e documenti depositati dalle parti e dagli eventuali interessati.

Il creditore è obbligato a presentare l’originale del titolo esecutivo nella sua disponibilità o la copia autenticata dal cancelliere o dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a ogni richiesta del giudice.».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo I, Sezione II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 492, l’ottavo comma è sostituito dal seguente: «Nell’ipotesi di sospensione ai sensi dell’articolo 492-bis, terzo comma, il pignoramento deve contenere l’indicazione della data di deposito dell’istanza di ricerca telematica dei beni, l’autorizzazione del presidente del tribunale quando è prevista, l’indicazione della data di comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma dell’articolo 492-bis, ovvero della data di comunicazione dell’ufficiale giudiziario di cui al terzo comma dello stesso articolo, o del provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza»;
    2. l’articolo 492-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 492-bis

(Ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare)

Su istanza del creditore munito del titolo esecutivo e del precetto, l’ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, procede alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. L’istanza deve contenere l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ordinaria del difensore e, ai fini dell’articolo 547, dell’indirizzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato. L’istanza non può essere proposta prima che sia decorso il termine di cui all’articolo 482.

Prima della notificazione del precetto ovvero prima che sia decorso il termine di cui all’articolo 482, se vi è pericolo nel ritardo, il presidente del tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, su istanza del creditore, autorizza la ricerca telematica dei beni da pignorare.

Dalla proposizione dell’istanza di cui al primo e al secondo comma, il termine di cui all’articolo 481, primo comma, è sospeso fino alla comunicazione dell’ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti o al rigetto da parte del presidente del tribunale dell’istanza ovvero fino alla comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma.

Fermo quanto previsto dalle disposizioni in materia di accesso ai dati e alle informazioni degli archivi automatizzati del Centro elaborazione dati istituito presso il Ministero dell’interno ai sensi dell’articolo 8 della legge 1° aprile 1981, n. 121, l’ufficiale giudiziario accede mediante collegamento telematico diretto ai dati contenuti nelle banche dati delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, nell’anagrafe tributaria, compreso l’archivio dei rapporti finanziari, e in quelle degli enti previdenziali, per l’acquisizione di tutte le informazioni rilevanti per l’individuazione di cose e crediti da sottoporre ad esecuzione, comprese quelle relative ai rapporti intrattenuti dal debitore con istituti di credito e datori di lavoro o committenti. Terminate le operazioni l’ufficiale giudiziario redige un unico processo verbale nel quale indica tutte le banche dati interrogate e le relative risultanze e ne dà comunicazione al creditore istante. L’ufficiale giudiziario procede a pignoramento munito del titolo esecutivo e del precetto, anche acquisendone copia dal fascicolo informatico. Nel caso di cui al secondo comma, il precetto è consegnato o trasmesso all’ufficiale giudiziario prima che si proceda al pignoramento.

Se l’accesso ha consentito di individuare cose che si trovano in luoghi appartenenti al debitore compresi nel territorio di competenza dell’ufficiale giudiziario, quest’ultimo accede agli stessi per provvedere d’ufficio agli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520. Se i luoghi non sono compresi nel territorio di competenza di cui al primo periodo, copia autentica del verbale è rilasciata al creditore che, entro quindici giorni dal rilascio a pena d’inefficacia della richiesta, la presenta, unitamente all’istanza per gli adempimenti di cui agli articoli 517, 518 e 520, all’ufficiale giudiziario territorialmente competente.

L’ufficiale giudiziario, quando non rinviene una cosa individuata mediante l’accesso nelle banche dati di cui al quarto comma, intima al debitore di indicare entro quindici giorni il luogo in cui si trova, avvertendolo che l’omessa o la falsa comunicazione è punita a norma dell’articolo 388, sesto comma, del codice penale.

Se l’accesso ha consentito di individuare crediti del debitore o cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi, l’ufficiale giudiziario notifica d’ufficio, ove possibile a norma dell’articolo 149-bis, al debitore e al terzo il verbale, che dovrà anche contenere l’indicazione del credito per cui si procede, del titolo esecutivo e del precetto, dell’indirizzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato di cui al primo comma, del luogo in cui il creditore ha eletto domicilio o ha dichiarato di essere residente, dell’ingiunzione, dell’invito e dell’avvertimento al debitore di cui all’articolo 492, primo, secondo e terzo comma, nonché l’intimazione al terzo di non disporre delle cose o delle somme dovute, nei limiti di cui all’articolo 546. Il verbale di cui al presente comma è notificato al terzo per estratto, contenente esclusivamente i dati a quest’ultimo riferibili.

Quando l’accesso ha consentito di individuare più crediti del debitore o più cose di quest’ultimo che sono nella disponibilità di terzi l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.

Quando l’accesso ha consentito di individuare sia cose di cui al quinto comma che crediti o cose di cui al settimo comma, l’ufficiale giudiziario sottopone ad esecuzione i beni scelti dal creditore.

Nel caso di sospensione del termine di cui al terzo comma, con la nota d’iscrizione a ruolo, al fine della verifica del rispetto dei termini di cui all’articolo 481, primo comma, a pena di inefficacia del pignoramento, il creditore deposita con le modalità e nei termini previsti dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma, 557, secondo comma, l’istanza, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, nonché la comunicazione del verbale di cui al quarto comma, ovvero la comunicazione dell’ufficiale giudiziario di cui al terzo comma o il provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo II, Sezione III, del codice di procedura civile, l’articolo 534-ter è sostituito dal seguente:

«Art. 534 ter

(Ricorso al giudice dell’esecuzione)

Quando, nel corso delle operazioni di vendita, insorgono difficoltà il professionista delegato o il commissionario possono rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto.

Avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario è ammesso reclamo delle parti e degli interessati, da proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza. Il ricorso non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione.

Sul reclamo di cui al secondo comma, il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza, avverso la quale è ammessa l’opposizione ai sensi dell’articolo 617.».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo IV, Sezione I, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 559 è sostituito dal seguente:

«Art. 559

(Custodia dei beni pignorati)

Col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di tutti gli accessori, compresi le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso.

Salvo che la sostituzione nella custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o della amministrazione del bene o per la vendita, il giudice dell’esecuzione, con provvedimento non impugnabile emesso entro quindici giorni dal deposito della documentazione di cui all’articolo 567, secondo comma, contestualmente alla nomina dell’esperto di cui all’articolo 569, nomina custode giudiziario dei beni pignorati una persona inserita nell’elenco di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del presente codice o l’istituto di cui al primo comma dell’articolo 534.

Il custode nominato ai sensi del secondo comma collabora con l’esperto nominato ai sensi dell’articolo 569 al controllo della completezza della documentazione di cui all’articolo 567, secondo comma, redigendo apposita relazione informativa nel termine fissato dal giudice dell’esecuzione.

Il giudice provvede alla sostituzione del custode in caso di inosservanza degli obblighi su di lui incombenti»;

b. l’articolo 560 è sostituito dal seguente:

«Art. 560

(Modo della custodia)

Il debitore e il terzo nominato custode debbono rendere il conto a norma dell’articolo 593.

Ad essi è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato se non autorizzati dal giudice dell’esecuzione.

Il debitore e i familiari che con lui convivono non perdono il possesso dell’immobile e delle sue pertinenze sino alla pronuncia del decreto di trasferimento, salvo quanto previsto dal nono comma.

Nell’ipotesi di cui al terzo comma, il custode giudiziario ha il dovere di vigilare affinché il debitore e il nucleo familiare conservino il bene pignorato con la diligenza del buon padre di famiglia e ne mantengano e tutelino l’integrità.

Il custode giudiziario provvede altresì, previa autorizzazione del giudice dell’esecuzione, alla amministrazione e alla gestione dell’immobile pignorato ed esercita le azioni previste dalla legge e occorrenti per conseguirne la disponibilità.

Il debitore deve consentire, in accordo con il custode, che l’immobile sia visitato da potenziali acquirenti, secondo le modalità stabilite con ordinanza del giudice dell’esecuzione.

Il giudice dell’esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell’articolo 617, ordina la liberazione dell’immobile non abitato dall’esecutato e dal suo nucleo familiare oppure occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura non oltre la pronuncia dell’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni.

Salvo quanto previsto dal nono comma, il giudice dell’esecuzione ordina la liberazione dell’immobile occupato dal debitore e dal suo nucleo familiare con provvedimento emesso contestualmente al decreto di trasferimento.

Il giudice dell’esecuzione, sentite le parti ed il custode, ordina la liberazione dell’immobile pignorato quando è ostacolato il diritto di visita di potenziali acquirenti o comunque impedito lo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice, quando l’immobile non è adeguatamente tutelato o mantenuto in uno stato di buona conservazione, quando l’esecutato viola gli altri obblighi che la legge pone a suo carico.

L’ordine di liberazione è attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione, senza l’osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti, anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento, nell’interesse e senza spese a carico dell’aggiudicatario o dell’assegnatario, salvo espresso esonero del custode ad opera di questi ultimi. Per l’attuazione dell’ordine di liberazione il giudice può autorizzare il custode ad avvalersi della forza pubblica e nominare ausiliari ai sensi dell’articolo 68. Quando nell’immobile si trovano beni mobili che non debbono essere consegnati, il custode intima al soggetto tenuto al rilascio di asportarli, assegnandogli un termine non inferiore a trenta giorni, salvi i casi di urgenza. Dell’intimazione si dà atto a verbale ovvero, se il soggetto intimato non è presente, mediante atto notificato a cura del custode. Se l’asporto non è eseguito entro il termine assegnato, i beni mobili sono considerati abbandonati e il custode, salva diversa disposizione del giudice dell’esecuzione, ne cura lo smaltimento o la distruzione».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo IV, Sezione III, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 567:
      1. al secondo comma, le parole «, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, ad allegare allo stesso» sono sostituite dalle seguenti: «a depositare, entro il termine previsto dall’articolo 497,»;
      2. al terzo comma, la parola «sessanta», ovunque ricorra è sostituita dalla seguente: «quarantacinque»;
    2. dopo l’articolo 568 è inserito il seguente:

«Art. 568-bis

(Vendita diretta)

Il debitore, con istanza depositata non oltre dieci giorni prima della udienza prevista dall’articolo 569, primo comma, può chiedere al giudice dell’esecuzione di disporre la vendita diretta dell’immobile pignorato o di uno degli immobili pignorati per un prezzo non inferiore al valore indicato nella relazione di stima di cui all’articolo 173-bis, terzo comma, delle disposizioni d’attuazione del presente codice.

A pena di inammissibilità, unitamente all’istanza di cui al primo comma deve essere depositata in cancelleria l’offerta di acquisto, nonché una cauzione non inferiore al decimo del prezzo offerto. L’istanza e l’offerta sono notificate a cura dell’offerente o del debitore almeno cinque giorni prima dell’udienza prevista dall’articolo 569 al creditore procedente, ai creditori di cui all’articolo 498 e a quelli intervenuti prima del deposito dell’offerta medesima.

L’offerta è irrevocabile, salvo che siano decorsi centoventi giorni dalla data del provvedimento di cui al secondo comma dell’articolo 569-bis ed essa non sia stata accolta.

A pena di inammissibilità, l’istanza di cui al primo comma non può essere formulata più di una volta.»;

c. dopo l’articolo 569 è inserito il seguente:

«Art. 569-bis

(Modalità della vendita diretta)

Nel caso di deposito dell’istanza ai sensi dell’articolo 568-bis, il giudice dell’esecuzione, all’udienza di cui all’articolo 569, se il prezzo base determinato ai sensi dell’articolo 568 non è maggiore del prezzo offerto, valutata l’ammissibilità della medesima, provvede ai sensi del quarto e quinto comma.

Se il prezzo base determinato ai sensi dell’articolo 568 è maggiore del prezzo offerto, il giudice fissa un termine di dieci giorni per integrare l’offerta e la cauzione, adeguandole al prezzo base. Se l’offerta e la cauzione sono integrate entro tale termine, il giudice entro i successivi cinque giorni, valutata l’ammissibilità dell’offerta, provvede ai sensi del quarto e quinto comma.

Se l’offerta e la cauzione non sono integrate, il giudice dell’esecuzione, entro cinque giorni, dichiara inammissibile l’offerta e dispone la vendita nei modi e nei termini di cui al terzo comma dell’articolo 569. Nello stesso modo dispone nei casi in cui dichiara con decreto inammissibile l’istanza ai sensi dell’articolo 568-bis.

Il giudice dell’esecuzione, quando dichiara ammissibile l’offerta di cui all’articolo 568- bis, in assenza di opposizione dei creditori titolati e di quelli intervenuti di cui all’articolo 498 da proporsi in ogni caso entro l’udienza di cui all’articolo 569, aggiudica l’immobile all’offerente. Si applicano il sesto, settimo, ottavo, nono e decimo comma.

Se un creditore titolato o uno di quelli intervenuti di cui dall’articolo 498 si oppone all’aggiudicazione a norma del quarto comma, il giudice con ordinanza:

  1. fissa un termine non superiore a quarantacinque giorni per l’effettuazione della pubblicità, ai sensi dell’articolo 490, dell’offerta pervenuta e della vendita;
  2. fissa il termine di novanta giorni per la formulazione di ulteriori offerte di acquisto ad un prezzo non inferiore a quello dell’offerta già presentata, garantite da cauzione in misura non inferiore a un decimo del prezzo proposto;
  3. convoca il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti a un’udienza che fissa entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui al numero 2) per la deliberazione sull’offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti;
  4. prevede, salvo che sia pregiudizievole per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura, che il versamento della cauzione, la presentazione delle offerte, lo svolgimento della gara tra gli offerenti nonché il pagamento del prezzo siano effettuati con modalità telematiche, nel rispetto della normativa regolamentare di cui all’articolo 161-ter delle disposizioni per l’attuazione del presente codice.

Il giudice dell’esecuzione, con il provvedimento con il quale aggiudica l’immobile al migliore offerente, stabilisce le modalità di pagamento del prezzo da versare entro novanta giorni, a pena di decadenza, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 587.

Si applica l’articolo 585.

Se il prezzo non è depositato nel termine di cui al sesto comma, o in ogni altra ipotesi in cui il bene immobile non è aggiudicato, il giudice dell’esecuzione con decreto dispone la vendita nei modi e nei termini già fissati ai sensi dell’articolo 569, terzo comma.

Avvenuto il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione pronuncia il decreto con il quale trasferisce il bene all’aggiudicatario.

Su istanza dell’aggiudicatario, il giudice autorizza il trasferimento dell’immobile mediante atto negoziale e ordina, contestualmente alla trascrizione di quest’ultimo, la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie ai sensi dell’articolo 586. Il notaio stipulante trasmette copia dell’atto al cancelliere o al professionista delegato, che provvedono al deposito nel fascicolo della procedura.».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo IV, Sezione III, Paragrafo 2, del codice di procedura civile, all’articolo 570 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «L’avviso è redatto in conformità a modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione.».
  2. Al Libro III, Titolo II, Capo IV, Sezione III, Paragrafo 3, del codice di procedura civile, sono apportate le seguenti modificazioni:

 a. all’articolo 585 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel termine fissato per il versamento del prezzo, l’aggiudicatario, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza della responsabilità civile e penale prevista per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell’esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall’articolo 22 del decreto legislativo 21 novembre 2007, 231.»;

b. all’articolo 586, primo comma, dopo le parole: «Avvenuto il versamento del prezzo» sono aggiunte le seguenti: «e verificato l’assolvimento dell’obbligo posto a carico dell’aggiudicatario dall’articolo 585, quarto comma».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo IV, Sezione III, Paragrafo 3-bis, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 591-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 591-bis

(Delega delle operazioni di vendita)

Il giudice dell’esecuzione, salvo quanto previsto dal secondo comma, con l’ordinanza con la quale provvede sull’istanza di vendita ai sensi dell’articolo 569, terzo comma, delega ad un notaio avente preferibilmente sede nel circondario o a un avvocato ovvero a un commercialista, iscritti nei relativi elenchi di cui all’articolo 179-ter delle disposizioni di attuazione del presente codice, il compimento delle operazioni di vendita secondo le modalità indicate al terzo comma del medesimo articolo 569. Con la medesima ordinanza il giudice fissa il termine finale per il completamento delle operazioni delegate; dispone lo svolgimento, entro il termine di un anno dall’emissione dell’ordinanza, di un numero di esperimenti di vendita non inferiore a tre, secondo i criteri stabiliti dall’articolo 591, secondo comma; stabilisce le modalità di effettuazione della pubblicità, il luogo di presentazione delle offerte d’acquisto e il luogo ove si procede all’esame delle stesse, alla gara tra gli offerenti ed alle operazioni dell’eventuale incanto. Si applica l’articolo 569, quarto comma.

Il giudice non dispone la delega ove, sentiti i creditori, ravvisi l’esigenza di procedere direttamente alle operazioni di vendita a tutela degli interessi delle parti.

Il professionista delegato provvede:

  1. alla determinazione del valore dell’immobile a norma dell’articolo 568, primo comma, tenendo anche conto della relazione redatta dall’esperto nominato dal giudice ai sensi dell’articolo 569, primo comma, e delle eventuali note depositate dalle parti ai sensi dell’articolo 173-bis, quarto comma, delle disposizioni di attuazione del presente codice;
  2. agli adempimenti previsti dall’articolo 570 e, ove occorrenti, dall’articolo 576, secondo comma;
  3. alla deliberazione sull’offerta a norma dell’articolo 572 e agli ulteriori adempimenti di cui agli articoli 573 e 574;
  4. alle operazioni dell’incanto e all’aggiudicazione dell’immobile a norma dell’articolo 581;
  5. a ricevere o autenticare la dichiarazione di nomina di cui all’articolo 583;
  6. sulle offerte dopo l’incanto a norma dell’articolo 584 e sul versamento del prezzo nella ipotesi di cui all’articolo 585, secondo comma;
  7. sulla istanza di assegnazione di cui agli articoli 590 e 591, terzo comma;
  8. alla fissazione del nuovo esperimento di vendita e del termine per la presentazione di nuove offerte d’acquisto ai sensi dell’articolo 591;
  9. alla fissazione dell’ulteriore esperimento di vendita nel caso previsto dall’articolo 587;
  10. ad autorizzare l’assunzione dei debiti da parte dell’aggiudicatario o dell’assegnatario a norma dell’articolo 508;
  11. alla esecuzione delle formalità di registrazione, trascrizione e voltura catastale del decreto di trasferimento, alla comunicazione dello stesso a pubbliche amministrazioni negli stessi casi previsti per le comunicazioni di atti volontari di trasferimento nonché all’espletamento delle formalità di cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle iscrizioni ipotecarie conseguenti al decreto di trasferimento pronunciato dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’articolo 586;
  12. alla formazione del progetto di distribuzione ed alla sua trasmissione al giudice dell’esecuzione, nei modi e termini stabiliti dall’articolo 596;
  13. ad ordinare alla banca o all’ufficio postale la restituzione delle cauzioni e di ogni altra somma direttamente versata mediante bonifico o deposito intestato alla procedura dagli offerenti non risultati aggiudicatari. La restituzione ha luogo nelle mani del depositante o mediante bonifico a favore degli stessi conti da cui sono pervenute le somme accreditate.

Nell’avviso di cui all’articolo 570 è specificato che tutte le attività che a norma degli articoli 571 e seguenti devono essere compiute in cancelleria o davanti al giudice dell’esecuzione, o dal cancelliere o dal giudice dell’esecuzione, sono eseguite dal professionista delegato presso il suo studio ovvero nel luogo indicato nell’ordinanza di cui al primo comma. All’avviso si applica l’articolo 173-quater delle disposizioni di attuazione del presente codice.

Il professionista delegato provvede altresì alla redazione del verbale delle operazioni di vendita, che deve contenere le circostanze di luogo e di tempo nelle quali le stesse si svolgono, le generalità delle persone presenti, la descrizione delle attività svolte, la dichiarazione dell’aggiudicazione provvisoria con l’identificazione dell’aggiudicatario.

Il verbale è sottoscritto esclusivamente dal professionista delegato e allo stesso non deve essere allegata la procura speciale di cui all’articolo 579, secondo comma.

Se il prezzo non è stato versato nel termine, il professionista delegato ne dà tempestivo avviso al giudice, trasmettendogli il fascicolo.

Avvenuto il versamento del prezzo con le modalità stabilite ai sensi degli articoli 574, 585 e 590, secondo comma, e verificato l’assolvimento dell’obbligo posto a carico dell’aggiudicatario dall’articolo 585, quarto comma, il professionista delegato predispone il decreto di trasferimento e trasmette senza indugio al giudice dell’esecuzione il fascicolo. Al decreto, se previsto dalla legge, deve essere allegato il certificato di destinazione urbanistica dell’immobile quale risultante dal fascicolo processuale. Il professionista delegato provvede alla trasmissione del fascicolo al giudice dell’esecuzione nel caso in cui non faccia luogo all’assegnazione o ad ulteriori incanti ai sensi dell’articolo 591. Contro il decreto previsto nel presente comma è proponibile l’opposizione di cui all’articolo 617.

Le somme versate dall’aggiudicatario sono depositate presso una banca o su un conto postale indicati dal giudice.

I provvedimenti di cui all’articolo 586 restano riservati al giudice dell’esecuzione in ogni caso di delega al professionista delle operazioni di vendita.

Il giudice dell’esecuzione vigila sul regolare e tempestivo svolgimento delle attività delegate e sull’operato del professionista delegato, al quale può in ogni momento richiedere informazioni sulle operazioni di vendita. Sentito l’interessato, il giudice dell’esecuzione provvede alla sostituzione del delegato qualora non siano rispettati i termini e le direttive per lo svolgimento delle operazioni di vendita, salvo che il professionista delegato dimostri che il mancato rispetto della delega sia dipeso da causa a lui non imputabile.

Quando il giudice dell’esecuzione provvede a norma dell’articolo 569-bis¸ quarto comma, al professionista sono delegate la riscossione del prezzo e le operazioni di distribuzione del ricavato, nonché le operazioni indicate ai numeri 10), 11) e 12) del terzo comma. Si applicano, in quanto compatibili, i commi dal settimo all’undicesimo.

Quando il giudice dell’esecuzione provvede a norma dell’articolo 569-bis, quinto comma, al professionista sono delegate le operazioni di cui alla medesima disposizione, nonché la deliberazione sulle offerte e lo svolgimento della gara, la riscossione del prezzo e le operazioni di distribuzione del ricavato. Al professionista sono, altresì, delegate le operazioni indicate ai numeri 2), 5), 10), 11), 12) e 13) del terzo comma. Si applicano, in quanto compatibili, i commi dal quarto all’undicesimo.

Entro trenta giorni dalla notifica dell’ordinanza di vendita il professionista delegato deposita un rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte. A decorrere dal deposito del rapporto riepilogativo iniziale, il professionista deposita, dopo ciascun esperimento di vendita, un rapporto riepilogativo periodico delle attività svolte. Entro dieci giorni dalla comunicazione dell’approvazione del progetto di distribuzione, il professionista delegato deposita un rapporto riepilogativo finale delle attività svolte successivamente al deposito dell’ultimo rapporto riepilogativo periodico. I rapporti riepilogativi sono redatti in conformità a modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione e contengono i dati identificativi dell’esperto che ha effettuato la stima.»;

b. l’articolo 591-ter è sostituito dal seguente:

«Art. 591-ter

(Ricorso al giudice dell’esecuzione)

Quando nel corso delle operazioni di vendita insorgono difficoltà, il professionista delegato può rivolgersi al giudice dell’esecuzione, il quale provvede con decreto.

Avverso gli atti del professionista delegato è ammesso reclamo delle parti e degli interessati, da proporre con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza. Il ricorso non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione.

Sul reclamo di cui al secondo comma, il giudice dell’esecuzione provvede con ordinanza, avverso la quale è ammessa l’opposizione ai sensi dell’articolo 617.».

  1. Al Libro III, Titolo II, Capo IV, Sezione V, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

 a. l’articolo 596 è sostituito dal seguente:

«Art. 596

(Formazione del progetto di distribuzione)

Se non si può provvedere a norma dell’articolo 510, primo comma, il professionista delegato a norma dell’articolo 591-bis, entro trenta giorni dal versamento del prezzo, provvede, secondo le direttive impartite dal giudice dell’esecuzione, alla formazione di un progetto di distribuzione, anche parziale, contenente la graduazione dei creditori che vi partecipano, e alla sua trasmissione al giudice dell’esecuzione. Il progetto di distribuzione parziale non può superare il novanta per cento delle somme da ripartire.

Entro dieci giorni dal deposito del progetto, il giudice dell’esecuzione esamina il progetto di distribuzione e, apportate le eventuali variazioni, lo deposita nel fascicolo della procedura perché possa essere consultato dai creditori e dal debitore e ne dispone la comunicazione al professionista delegato. Il professionista delegato fissa innanzi a sé entro trenta giorni l’audizione delle parti per la discussione sul progetto di distribuzione. Tra la comunicazione dell’invito e la data della comparizione innanzi al delegato debbono intercorrere almeno dieci giorni.

Il giudice dell’esecuzione può disporre la distribuzione, anche parziale, delle somme ricavate, in favore di creditori aventi diritto all’accantonamento a norma dell’articolo 510, terzo comma, ovvero di creditori i cui crediti costituiscano oggetto di controversia a norma dell’articolo 512, qualora sia presentata una fideiussione autonoma, irrevocabile e a prima richiesta, rilasciata da uno dei soggetti di cui all’articolo 574, primo comma, secondo periodo, idonea a garantire la restituzione alla procedura delle somme che risultino ripartite in eccesso, anche in forza di provvedimenti provvisoriamente esecutivi sopravvenuti, oltre agli interessi, al tasso applicato dalla Banca centrale europea alle sue più recenti operazioni di rifinanziamento principali, a decorrere dal pagamento e sino all’effettiva restituzione. La fideiussione è escussa dal custode o dal professionista delegato su autorizzazione del giudice. Le disposizioni del presente comma si applicano anche ai creditori che avrebbero diritto alla distribuzione delle somme ricavate nel caso in cui risulti insussistente, in tutto o in parte, il credito del soggetto avente diritto all’accantonamento ovvero oggetto di controversia a norma del primo periodo del presente comma.

Nell’ipotesi di cui all’articolo 591-bis, secondo comma, il giudice dell’esecuzione provvede alla formazione del progetto di distribuzione, al suo deposito in cancelleria e alla fissazione dell’udienza di audizione delle parti nel rispetto del termine di cui al secondo comma.»;

b. l’articolo 597 è sostituito dal seguente:

«Art. 597

(Mancata comparizione)

La mancata comparizione per la discussione sul progetto di distribuzione innanzi al professionista delegato o all’udienza innanzi al giudice dell’esecuzione nell’ipotesi di cui all’articolo 596, quarto comma, importa approvazione del progetto per gli effetti di cui all’articolo 598.»;

c. l’articolo 598 è sostituito dal seguente:

«Art. 598

 (Approvazione del progetto)

Se il progetto è approvato o si raggiunge l’accordo tra tutte le parti, se ne dà atto nel processo verbale e il professionista delegato a norma dell’articolo 591-bis o il giudice dell’esecuzione nell’ipotesi di cui all’articolo 596, quarto comma, ordina il pagamento agli aventi diritto delle singole quote entro sette giorni.

Se vengono sollevate contestazioni innanzi al professionista delegato, questi ne dà conto nel processo verbale e rimette gli atti al giudice dell’esecuzione, il quale provvede ai sensi dell’articolo 512.».

  1. Al Libro III, Titolo IV-bis, del codice di procedura civile l’articolo 614-bis è sostituito dal seguente:

«Art. 614-bis

(Misure di coercizione indiretta)

Con il provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro il giudice, salvo che ciò sia manifestamente iniquo, fissa, su richiesta di parte, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, determinandone la decorrenza. Il giudice può fissare un termine di durata della misura, tenendo conto della finalità della stessa e di ogni circostanza utile.

Se non è stata richiesta nel processo di cognizione, ovvero il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna, la somma di denaro dovuta dall’obbligato per ogni violazione o inosservanza o ritardo nell’esecuzione del provvedimento è determinata dal giudice dell’esecuzione, su ricorso dell’avente diritto, dopo la notificazione del precetto. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui all’articolo 612.

Il giudice determina l’ammontare della somma tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione dovuta, del vantaggio per l’obbligato derivante dall’inadempimento, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile.

Il provvedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione, inosservanza o ritardo.

Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano alle controversie di lavoro subordinato pubblico o privato e ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’articolo 409.».

  1. Al Libro IV, Titolo I, Capo I, del codice di procedura civile, all’articolo 654, al secondo comma, le parole «e dell’apposizione della formula» sono
  2. Al Libro IV, Titolo I, Capo II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 657, primo comma, dopo le parole «può intimare al conduttore,» sono inserite le parole «al comodatario di beni immobili, all’affittuario di azienda,»;
    2. l’articolo 663 è sostituito dal seguente:

«Art. 663

(Mancata comparizione o mancata opposizione dell’intimato)

Se l’intimato non compare o comparendo non si oppone, il giudice convalida con ordinanza esecutiva la licenza o lo sfratto. Il giudice ordina che sia rinnovata la citazione, se risulta o appare probabile che l’intimato non abbia avuto conoscenza della citazione stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore.

Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone, la convalida è subordinata all’attestazione in giudizio del locatore o del suo procuratore che la morosità persiste. In tale caso il giudice può ordinare al locatore di prestare una cauzione.».

  1. Al Libro IV, Titolo I, Capo III, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 669-quinquies, al primo comma, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma»;
    2. all’articolo 669-octies:
      1. al sesto comma, dopo le parole «ai sensi dell’articolo 688» sono inserite le seguenti: «e ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma, del codice civile»;
      2. all’ottavo comma, dopo le parole «di cui al sesto comma,» sono inserite le seguenti: «né dei provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società,»;
    3. all’articolo 669-novies, secondo comma:
      1. sono soppresse le parole «, se non c’è contestazione,»;
      2. sono soppresse le parole «In caso di contestazione l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, salva la possibilità di emanare in corso di causa i provvedimenti di cui all’articolo 669-decies.»;
    4. all’articolo 669-decies, al terzo comma, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, salvo quanto disposto dall’articolo 818, primo comma».
  1. Il Capo III-bis del Titolo I, Libro IV del codice di procedura civile è
  2. Al Libro IV, Titolo II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. i Capi I, II, III, IV, V e V-bis sono abrogati;
    2. la rubrica del Titolo II è sostituita dalla seguente: «Dei procedimenti in camera di consiglio».
  3. Al Libro IV, Titolo II, Capo VI, del codice di procedura civile, all’articolo 739, il primo comma è sostituito dal seguente: «Contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio in composizione monocratica quando il provvedimento ha contenuto patrimoniale o gestorio, e in composizione collegiale in tutti gli altri Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato. Contro i decreti pronunciati dal tribunale in camera di consiglio in primo grado si può proporre reclamo con ricorso alla corte di appello, che pronuncia anch’essa in camera di consiglio.».
  4. Al Libro IV, Titolo VIII, Capo II, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 810, al terzo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «La nomina avviene nel rispetto di criteri che assicurano trasparenza, rotazione ed efficienza e, a tal fine, della nomina viene data notizia sul sito dell’ufficio »;
    2. all’articolo 813, il primo comma è sostituito dal seguente: «L’accettazione degli arbitri è data per iscritto, anche mediante sottoscrizione del compromesso o del verbale della prima riunione, ed è accompagnata, a pena di nullità, da una dichiarazione nella quale è indicata ogni circostanza rilevante ai sensi dell’articolo 815, primo comma, ovvero la relativa L’arbitro deve rinnovare la dichiarazione in presenza di circostanze sopravvenute. In caso di omessa dichiarazione o di omessa indicazione di circostanze che legittimano la ricusazione, la parte può richiedere, entro dieci giorni dalla accettazione o dalla scoperta delle circostanze, la decadenza dell’arbitro nei modi e con le forme di cui all’articolo 813-bis.»;
    3. all’articolo 815, primo comma, al numero 6) il segno di interpunzione «.» è sostituito dal seguente: «;» ed è aggiunto, in fine, il seguente numero: «6-bis) se sussistono altre gravi ragioni di convenienza, tali da incidere sull’indipendenza o sull’imparzialità dell’arbitro.».
  1. Al Libro IV, Titolo VIII, Capo III, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:

a. dopo l’articolo 816-bis è inserito il seguente:

«Art. 816-bis.1

(Domanda di arbitrato)

La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall’articolo 819-quater.»;

b. l’articolo 818 è sostituito dal seguente:

«Art. 818

(Provvedimenti cautelari)

Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di concedere misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva.

Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669- quinquies.»;

c. dopo l’articolo 818, sono inseriti i seguenti:

«Art. 818-bis

(Reclamo)

Contro il provvedimento degli arbitri che concede o nega una misura cautelare è ammesso reclamo a norma dell’articolo 669-terdecies davanti alla corte di appello, nel cui distretto è la sede dell’arbitrato, per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, in quanto compatibili, e per contrarietà all’ordine pubblico.

Art. 818-ter

(Attuazione)

L’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669- duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata.

Resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma.»;

d. all’articolo 819-ter, primo comma, al secondo periodo, dopo le parole «La sentenza» sono inserite le seguenti: «o l’ordinanza»;

e. dopo l’articolo 819-ter è aggiunto il seguente:

«Art. 819-quater

(Riassunzione della causa)

Il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell’articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento.

Il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell’ordinanza che definisce la sua impugnazione.

Le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all’arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo.

L’inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l’estinzione del processo. Si applicano gli articoli 307, quarto comma, e 310.».

  1. Al Libro IV, Titolo VIII, Capo IV, del codice di procedura civile, all’articolo 822, dopo il primo comma, è aggiunto il seguente: «Quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti, nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale, possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti ».
  2. Al Libro IV, Titolo VIII, Capo V, del codice di procedura civile, all’articolo 828, secondo comma, le parole «decorso un anno» sono sostituite dalle seguenti: «decorsi sei mesi».
  3. Al Libro IV, Titolo VIII, del codice di procedura civile, dopo il Capo VI, è inserito il seguente:

«Capo VI-bis

Dell’arbitrato societario Art. 838-bis

(Oggetto ed effetti di clausole compromissorie statutarie)

Gli atti costitutivi delle società, ad eccezione di quelle che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio a norma dell’articolo 2325-bis del codice civile, possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

La clausola deve prevedere il numero e le modalità di nomina degli arbitri, conferendo in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Se il soggetto designato non provvede, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.

La clausola è vincolante per la società e per tutti i soci, inclusi coloro la cui qualità di socio è oggetto della controversia.

Gli atti costitutivi possono prevedere che la clausola abbia ad oggetto controversie promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti e, in tal caso, essa, a seguito dell’accettazione dell’incarico, è vincolante per costoro.

Non possono essere oggetto di clausola compromissoria le controversie nelle quali la legge prevede l’intervento obbligatorio del pubblico ministero.

Le modifiche dell’atto costitutivo, introduttive o soppressive di clausole compromissorie, devono essere approvate dai soci che rappresentino almeno i due terzi del capitale sociale. I soci assenti o dissenzienti possono, entro i successivi novanta giorni, esercitare il diritto di recesso.

Art. 838-ter

(Disciplina inderogabile del procedimento arbitrale)

La domanda di arbitrato proposta dalla società o in suo confronto è depositata presso il registro delle imprese ed è accessibile ai soci.

Nel procedimento arbitrale promosso a seguito della clausola compromissoria di cui all’articolo 838-bis, l’intervento di terzi a norma dell’articolo 105 nonché l’intervento di altri soci a norma degli articoli 106 e 107 è ammesso fino alla prima udienza di trattazione. Si applica l’articolo 820, quarto comma.

Le statuizioni del lodo sono vincolanti per la società.

Salvo quanto previsto dall’articolo 818, in caso di devoluzione in arbitrato di controversie aventi ad oggetto la validità di delibere assembleari, agli arbitri compete il potere di disporre, con ordinanza reclamabile ai sensi dell’articolo 818-bis, la sospensione dell’efficacia della delibera.

I dispositivi dell’ordinanza di sospensione e del lodo che decide sull’impugnazione devono essere iscritti, a cura degli amministratori, nel registro delle imprese.

Art. 838-quater

Decisione secondo diritto

Anche se la clausola compromissoria autorizza gli arbitri a decidere secondo equità ovvero con lodo non impugnabile, gli arbitri debbono decidere secondo diritto, con lodo impugnabile anche a norma dell’articolo 829, terzo comma, quando per decidere abbiano conosciuto di questioni non compromettibili ovvero quando l’oggetto del giudizio sia costituito dalla validità di delibere assembleari.

Art. 838-quinquies

(Risoluzione di contrasti sulla gestione di società)

Gli atti costitutivi delle società a responsabilità limitata e delle società di persone possono anche contenere clausole con le quali si deferiscono ad uno o più terzi i contrasti tra coloro che hanno il potere di amministrazione in ordine alle decisioni da adottare nella gestione della società.

Gli atti costitutivi possono prevedere che la decisione sia reclamabile davanti ad un collegio, nei termini e con le modalità dagli stessi stabilite.

Gli atti costitutivi possono altresì prevedere che il soggetto o il collegio chiamato a dirimere i contrasti di cui ai commi 1 e 2 possa dare indicazioni vincolanti anche sulle questioni collegate con quelle espressamente deferitegli.

La decisione resa ai sensi del presente articolo è impugnabile a norma dell’articolo 1349, secondo comma, del codice civile.».

  1. Al Libro IV, Titolo VIII, Capo VII, del codice di procedura civile sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 839, al quarto comma, dopo le parole «dichiara con decreto l’efficacia» sono inserite le seguenti: «immediatamente esecutiva»;
    2. all’articolo 840, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al secondo comma, tra il primo e il secondo periodo, è inserito il seguente: «Il consigliere istruttore, su istanza dell’opponente, quando ricorrono gravi motivi, può con ordinanza non impugnabile sospendere l’efficacia esecutiva o l’esecuzione del lodo»;
      2. al quarto comma, le parole «che ha richiesto l’esecuzione» sono sostituite dalle seguenti: «interessata».
    3. Agli oneri derivanti dall’attuazione delle disposizioni di cui al comma 28, lettera g), valutati in euro 1.173.788 annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione della delega per l’efficienza del processo civile di cui all’articolo 1, comma 40, della legge 26 novembre 2021, 206.

 

ART. 4

(Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie)

  1. Dopo il Titolo II, Capo I, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie è inserito il seguente:

«Capo I-bis

Dei mediatori familiari

Art. 12-bis

(Dei mediatori familiari)

Presso ogni tribunale è istituito un elenco di mediatori familiari.

Art. 12-ter (Formazione e revisione dell’elenco)

L’elenco è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica e da un mediatore familiare, designato dalle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, che esercita la propria attività nel circondario del tribunale.

Le funzioni di segretario del comitato sono esercitate dal cancelliere del tribunale.

L’elenco è permanente. Ogni quattro anni il comitato provvede alla sua revisione per eliminare coloro per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti nell’articolo 12- quater o è sorto un impedimento a esercitare l’ufficio.

Si applicano gli articoli 19, 20 e 21, in quanto compatibili.

Art. 12-quater

(Iscrizione nell’elenco)

Possono chiedere l’iscrizione nell’elenco coloro che sono iscritti da almeno cinque anni a una delle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, sono forniti di adeguata formazione e di specifica competenza nella disciplina giuridica della famiglia nonché in materia di tutela dei minori e di violenza domestica e di genere e sono di condotta morale specchiata.

Sulle domande di iscrizione decide il comitato previsto dall’articolo 12-ter. Contro il provvedimento del comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione, al comitato previsto nell’articolo 5.

Art. 12-quinquies

(Domande di iscrizione)

Coloro che aspirano all’iscrizione nell’elenco devono presentare domanda al presidente del tribunale, corredata dai seguenti documenti:

  1. estratto dell’atto di nascita;
  2. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione;
  3. certificato di residenza nella circoscrizione del tribunale;
  4. attestazione rilasciata dall’associazione professionale ai sensi dell’articolo 7 della legge 14 gennaio 2013, 4;
  5. i titoli e i documenti che l’aspirante intende allegare per dimostrare la sua formazione e specifica competenza.

Il presidente procede ai sensi dell’articolo 17.

Art. 12-sexies

(Disciplina dell’attività di mediatore)

L’attività professionale del mediatore familiare, la sua formazione, le regole deontologiche e le tariffe applicabili sono regolate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4.».

  1. Al Titolo II, Capo II, Sezione I, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 13, dopo il terzo comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dello sviluppo economico, sono stabilite le ulteriori categorie dell’albo e i settori di specializzazione di ciascuna categoria. Con lo stesso decreto sono indicati i requisiti per l’iscrizione all’albo nonché i contenuti e le modalità della comunicazione ai fini della formazione, della tenuta e dell’aggiornamento dell’elenco nazionale di cui all’articolo 24-bis.»
    2. all’articolo 15:
      1. al primo comma, le parole «sono forniti di speciale competenza tecnica in una determinata materia» sono sostituite dalle seguenti: «rispettano i requisiti determinati con il decreto di cui all’articolo 13, quarto comma»;
      2. la rubrica è sostituita dalle seguenti parole: «Iscrizione e permanenza nell’albo»;
      3. dopo il quinto comma sono aggiunti, in fine, i seguenti:

«Con il decreto di cui all’articolo 13, quarto comma, sono stabiliti, per ciascuna categoria, i requisiti per l’iscrizione, gli obblighi di formazione continua e gli altri obblighi da assolvere per il mantenimento dell’iscrizione, nonché le modalità per la verifica del loro assolvimento.

Con lo stesso decreto sono stabiliti altresì i casi di sospensione volontaria dall’albo.»;

c. all’articolo 16:

  1. al secondo comma, al numero 5, il segno di interpunzione «.» è sostituito dal seguente: « ; » e dopo il numero 5, è inserito il seguente: «5-bis. gli ulteriori documenti richiesti ai sensi del decreto ministeriale di cui all’articolo 13, quarto comma.»;
  2. dopo il secondo comma è aggiunto, in fine, il seguente: «La domanda contiene altresì il consenso dell’interessato al trattamento dei dati comunicati al momento della presentazione dell’istanza di iscrizione, prestato in conformità alla normativa dettata in materia di protezione dei dati personali, anche ai fini della pubblicazione di cui agli articoli 23, secondo comma, e 24-bis.»;

d. all’articolo 18:

  1. al primo comma, le parole «quattro anni» sono sostituite dalle seguenti: «due anni»;
  2. dopo il primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Contro il provvedimento di esclusione adottato dal comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione, al comitato previsto dall’articolo »;

e. all’articolo 22:

  1. al primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «I giudici presso le sezioni specializzate dei tribunali con competenza distrettuale possono conferire l’incarico ai consulenti iscritti negli albi dei tribunali del distretto»;
  2. il secondo comma è sostituito dal seguente: «Il giudice può conferire, con provvedimento motivato, un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo. Il provvedimento è comunicato al presidente del tribunale»;
  3. al terzo comma, il secondo periodo è sostituito dal seguente: «L’incarico ad iscritti in altri albi o a persone non iscritte in alcun albo è conferito con provvedimento motivato da comunicare al presidente della corte di appello»

f. l’articolo 23 è sostituito dal seguente:

«Art. 23

(Vigilanza sulla distribuzione degli incarichi)

Il presidente del tribunale e il presidente della corte di appello vigilano affinché, senza danno per l’amministrazione della giustizia, gli incarichi siano equamente distribuiti tra gli iscritti nell’albo in modo tale che a nessuno dei consulenti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dal rispettivo ufficio, e garantiscono che sia assicurata l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti informatici.

Per l’attuazione di tale vigilanza gli incarichi affidati e i compensi liquidati dal giudice agli iscritti nell’albo sono annotati nei sistemi informatici regolamentati secondo le regole tecniche per l’adozione nel processo civile delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Gli incarichi e i compensi sono altresì pubblicati sul sito dell’ufficio giudiziario.»

g. dopo l’articolo 24 è inserito il seguente:

«Art. 24-bis

(Elenco nazionale dei consulenti tecnici)

Presso il Ministero della giustizia è istituito un elenco nazionale dei consulenti tecnici, suddiviso per categorie e contenente l’indicazione dei settori di specializzazione di ciascuna categoria, nel quale, tramite i sistemi informatici di cui all’articolo 23, secondo comma, confluiscono le annotazioni dei provvedimenti di nomina.

L’elenco è tenuto con modalità informatiche ed è accessibile al pubblico attraverso il portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.»

  1. Al Titolo II, Capo III, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 36:
      1. il terzo comma è sostituito dal seguente: «Ogni fascicolo contiene l’indicazione dell’ufficio, della sezione alla quale appartiene il giudice incaricato dell’affare e del giudice stesso, delle parti, dei rispettivi difensori muniti di procura e dell’oggetto e l’indice degli atti inseriti nel fascicolo con l’indicazione della natura e della data di ciascuno di Gli atti sono inseriti nel fascicolo in ordine cronologico.»;
      2. il quarto e il quinto comma sono abrogati;
      3. in fine, è aggiunto il seguente comma: «La tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d’ufficio su supporto cartaceo, fermi restando gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo previsti dal codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, 82, e dalla disciplina processuale vigente.»;
    2. all’articolo 46 sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al primo comma le parole «, in continuazione, senza spazi in bianco e senza alterazioni o abrasioni» sono soppresse;
      2. il secondo comma è abrogato;
      3. dopo il secondo comma sono aggiunti i seguenti:

«Quando sono redatti in forma di documento informatico, rispettano la normativa, anche regolamentare, concernente la redazione, la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Negli altri casi debbono essere scritti in continuazione, senza spazi in bianco e senza alterazioni o abrasioni. Le aggiunte, soppressioni o modificazioni eventuali debbono essere fatte in calce all’atto, con nota di richiamo senza cancellare la parte soppressa o modificata.

Il Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, definisce con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari con la strutturazione dei campi necessari per l’inserimento delle informazioni nei registri del processo. Con il medesimo decreto sono stabiliti i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. Nella determinazione dei limiti non si tiene conto dell’intestazione e delle altre indicazioni formali dell’atto, fra le quali si intendono compresi un indice e una breve sintesi del contenuto dell’atto stesso. Il decreto è aggiornato con cadenza almeno biennale.

Il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.

Il giudice redige gli atti e i provvedimenti nel rispetto dei criteri di cui al presente articolo.»;

4. alla rubrica, dopo la parola «forma» sono inserite le seguenti «e criteri di redazione».

  1. Al Titolo III, Capo II, Sezione II delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 81-bis:
      1. al primo comma, il primo periodo è soppresso;
      2. al secondo comma le parole «di cui al comma precedente» sono soppresse ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il rispetto del termine di cui all’articolo 473- bis.14, terzo comma, del codice è tenuto in considerazione nella formulazione dei rapporti per le valutazioni di professionalità.»;
    2. l’articolo 87 è sostituito dal seguente:

«Art. 87

(Produzione dei documenti)

I documenti offerti in comunicazione dalle parti dopo la costituzione sono prodotti mediante deposito ai sensi dell’articolo 196-quater e il relativo elenco deve essere comunicato alle altre parti nelle forme stabilite dall’articolo 170, quarto comma, del codice. Se nel corso dell’udienza emerge la necessità di produrre documenti, il giudice, su istanza di parte, può assegnare termine per il deposito degli stessi nel fascicolo informatico.».

  1. Al Titolo III, Capo II, Sezione III delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, all’articolo 123-bis, primo comma, le parole «degli articoli» sono sostituite dalle seguenti: «dell’articolo», le parole «e 369 ultimo comma» sono soppresse e, dopo le parole «del codice» sono inserite le seguenti: «e dell’articolo 137-bis».
  2. Al Titolo III, Capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. gli articoli 134, 134-bis, 135 e 137 sono abrogati;
    2. dopo l’articolo 137 sono inseriti i seguenti:

«Art. 137-bis

(Fascicolo d’ufficio)

Il cancelliere della corte, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso, acquisisce il fascicolo d’ufficio dalla cancelleria del giudice che ha pronunciato il provvedimento impugnato.

Nello stesso modo procede nei casi previsti dagli articoli 41, 47, 362 e 363-bis del codice.

Art. 137-ter

(Pubblicità degli atti dei procedimenti pendenti)

Fermo quanto previsto dall’articolo 51 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, sono pubblicati nel sito istituzionale della Corte, a cura del centro elettronico di documentazione:

  1. i provvedimenti che dispongono il rinvio pregiudiziale di cui all’articolo 363-bis del codice e i decreti del primo presidente ad esso relativi;
  2. i ricorsi proposti dal procuratore generale della Corte di cassazione nell’interesse della legge e le sue conclusioni scritte, quando »;

c. all’articolo 139, al secondo comma, le parole «in cancelleria» e le parole «ed è inserito nel fascicolo d’ufficio» sono soppresse;

d. l’articolo 140 è abrogato;

e. dopo l’articolo 140, è inserito il seguente:

«Art. 140-bis

(Svolgimento della camera di consiglio)

La camera di consiglio si svolge in presenza. Il presidente del collegio, con proprio decreto, può disporre lo svolgimento della camera di consiglio mediante collegamento audiovisivo a distanza, per esigenze di tipo organizzativo.»;

f. all’articolo 143, le parole «La corte enuncia specificamente nella sentenza di accoglimento, pronunciata a norma» sono sostituite dalle seguenti: «La Corte enuncia specificamente, a norma»;

g. dopo l’articolo 144-bis, è inserito il seguente:

«Art. 144-bis.1

(Restituzione del fascicolo d’ufficio e dei fascicoli di parte)

Dopo la definizione del giudizio, il fascicolo d’ufficio trasmesso ai sensi dell’articolo 137- bis e gli atti e i documenti depositati dalle parti e già prodotti nei precedenti gradi del processo sono restituiti, decorsi novanta giorni dal deposito della decisione, alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata.».

  1. Al Titolo III, Capo V delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 144-quater è abrogato;
    2. dopo l’articolo 144-quater è inserito il seguente:

 «Art. 144-quinquies

(Controversie in materia di licenziamento)

Il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al capo I-bis del titolo IV del libro secondo del codice. In ciascun ufficio giudiziario sono effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentono di valutare la durata media dei processi di cui all’articolo 441-bis del codice, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro.».

  1. Alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, dopo il Capo V, è inserito il seguente:

«Capo V-bis

Disposizioni relative al procedimento in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie

Art. 152-ter

(Procedimenti in camera di consiglio)

I provvedimenti previsti negli articoli 145 e 316 del codice sono di competenza del tribunale del circondario del luogo in cui è stabilita la residenza familiare o, se questa manchi, del tribunale del luogo del domicilio di uno dei coniugi. Il tribunale provvede in camera di consiglio in composizione monocratica con decreto immediatamente esecutivo.

Art. 152-quater

(Ascolto del minore)

Quando la salvaguardia del minore è assicurata con idonei mezzi tecnici, quali l’uso di un vetro specchio unitamente ad impianto citofonico, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero possono seguire l’ascolto del minore, in luogo diverso da quello in cui egli si trova, senza chiedere l’autorizzazione del giudice prevista dall’articolo 473-bis.5, terzo comma, del codice.

Art. 152-quinquies

(Registrazione audiovisiva dell’ascolto)

Con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia sono stabilite le regole tecniche per la registrazione audiovisiva, la sua conservazione e il suo inserimento nel fascicolo informatico.

Art. 152-sexies

(Indagini del consulente)

Fermo quanto previsto dall’articolo 90, il consulente tecnico nominato ai sensi degli articoli 473-bis.25 e 473-bis.44 del codice fissa il calendario delle operazioni peritali e lo comunica ai difensori e ai consulenti tecnici di parte se nominati.

Il consulente può chiedere al giudice la proroga del termine per il deposito della relazione, con istanza motivata, su concorde richiesta delle parti o in caso di particolare complessità delle indagini.

Unitamente alla relazione di cui all’articolo 195 del codice, il consulente deposita la documentazione utilizzata e i supporti contenenti le registrazioni audiovisive delle operazioni relative al minore.

Art. 152-septies

 

(Scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio)

Del ricorso per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio il cancelliere dà comunicazione all’ufficiale dello stato civile del luogo dove il matrimonio fu trascritto per l’annotazione in calce all’atto.

La sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, quando sia passata in giudicato, deve essere trasmessa in copia autentica, a cura del cancelliere del tribunale o della Corte che l’ha emessa, all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il matrimonio fu trascritto, per le annotazioni e le ulteriori incombenze di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396.

Art. 152-octies

(Esame da remoto dell’interdicendo o inabilitando)

Le modalità del collegamento da remoto previsto dall’articolo 473-bis.54, terzo comma, del codice sono individuate e regolate con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia.».

  1. Al Titolo IV, Capo I delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 153 è sostituito dal seguente:

«Art. 153

(Copia degli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale)

La copia degli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale deve essere munita del sigillo del notaio o dell’ufficio al quale appartiene l’ufficiale pubblico.»;

b. l’articolo 154 è abrogato;

c. all’articolo 155-bis la parola «secondo» è sostituita dalla seguente: «quarto»;

d. all’articolo 155-ter le parole «sesto e settimo» sono sostituite dalle seguenti: «ottavo e nono»;

e. l’articolo 155-quinquies è sostituito dal seguente:

«Art. 155-quinquies

(Accesso alle banche dati tramite i gestori)

Se è proposta istanza ai sensi dell’articolo 492-bis del codice, quando le strutture tecnologiche, necessarie a consentire l’accesso diretto da parte dell’ufficiale giudiziario alle banche dati di cui al quarto comma del medesimo articolo e a quelle individuate con il decreto di cui all’articolo 155-quater, primo comma, non sono funzionanti, l’ufficiale giudiziario attesta che l’accesso diretto alle suddette banche dati non è attuabile.

L’istante con l’attestazione di cui al primo comma o con l’autorizzazione del presidente del tribunale ai sensi dell’articolo 492-bis, secondo comma, del codice, ove necessaria, può ottenere dai gestori delle banche dati previste dal predetto articolo e dall’articolo 155- quater le informazioni nelle stesse contenute.

Dal rilascio dell’attestazione di cui al primo comma, o dal provvedimento di autorizzazione del presidente del tribunale, se il precetto è notificato anteriormente, il termine di cui all’articolo 481, primo comma, del codice rimane sospeso per ulteriori novanta giorni. Se il precetto è notificato dopo il provvedimento di autorizzazione del presidente del tribunale, tale termine rimane sospeso sino al decorso di novanta giorni da tale provvedimento.

Si applicano per quanto compatibili l’ottavo comma dell’articolo 492 e il decimo comma dell’articolo 492-bis del codice.

La disposizione di cui al primo comma si applica, limitatamente a ciascuna delle banche dati comprese nell’anagrafe tributaria, ivi incluso l’archivio dei rapporti finanziari, nonché a quelle degli enti previdenziali, sino all’inserimento di ognuna di esse nell’elenco di cui all’articolo 155-quater, primo comma.».

  1. Al Titolo IV, Capo II delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie:

a. l’articolo 168 è sostituito dal seguente:

«Art. 168

(Reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita)

I reclami contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita sono proposti dalle parti e dagli interessati con ricorso al giudice dell’esecuzione nel termine perentorio di venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza.

Il ricorso non sospende le operazioni di vendita, salvo che il giudice dell’esecuzione, concorrendo gravi motivi, disponga la sospensione.

Sul ricorso il giudice dell’esecuzione, previa applicazione dell’articolo 485 del codice, provvede con ordinanza opponibile ai sensi dell’articolo 617 del codice.»;

b. all’articolo 169-quinquies, al primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il prospetto riepilogativo contiene i dati identificativi dello stimatore e dell’ufficiale giudiziario che ha attribuito il valore ai beni pignorati a norma dell’articolo 518 del ».

 11. Al Titolo IV, Capo III delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. all’articolo 173-bis:
    1. al terzo comma, le parole «a mezzo telefax o» sono soppresse;
    2. dopo il quarto comma, è aggiunto, in fine, il seguente: «La relazione di stima è redatta in conformità a modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione.»;
  2. all’articolo 173-quater, le parole «terzo comma dell’articolo 591-bis del codice» sono sostituite con le seguenti: «quarto comma dell’articolo 591-bis del codice» ed è aggiunto, in fine, il seguente comma: «L’avviso è redatto in conformità a modelli predisposti dal giudice dell’esecuzione.»;
  3. l’articolo 179-ter è sostituito dal seguente:

«Art. 179-ter

(Elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita)

Presso ogni tribunale è istituito l’elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita ai sensi degli articoli 534-bis e 591-bis del codice.

L’elenco è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato presieduto da questi o da un suo delegato e composto da un giudice addetto alle esecuzioni immobiliari e da un professionista iscritto nell’albo professionale, designato dal consiglio dell’ordine, a cui appartiene il richiedente l’iscrizione nell’elenco. Le funzioni di segretario del comitato sono esercitate dal cancelliere del tribunale.

Possono ottenere l’iscrizione nell’elenco gli avvocati, i commercialisti e i notai che hanno una specifica competenza tecnica nella materia dell’esecuzione forzata, sono di condotta morale specchiata e sono iscritti ai rispettivi ordini professionali.

Coloro che aspirano all’iscrizione nell’elenco debbono farne domanda al presidente del tribunale. La domanda deve essere corredata dai seguenti documenti:

  1. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione;
  2. certificato o dichiarazione sostitutiva di certificazione di nascita;
  3. certificato o dichiarazione sostitutiva di certificazione di residenza nel circondario del tribunale;
  4. certificato o dichiarazione sostitutiva di certificazione di iscrizione all’ordine professionale;
  5. titoli e documenti idonei a dimostrare la specifica competenza tecnica del richiedente ai sensi del quinto comma.

I requisiti per la dimostrazione della specifica competenza tecnica ai fini della prima iscrizione nell’elenco sono, anche alternativamente, i seguenti:

  1. avere svolto nel quinquennio precedente non meno di dieci incarichi di professionista delegato alle operazioni di vendita, senza che alcuna delega sia stata revocata in conseguenza del mancato rispetto dei termini o delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione;
  2. essere in possesso del titolo di avvocato specialista in diritto dell’esecuzione forzata ai sensi del decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, 144;
  3. avere partecipato in modo proficuo e continuativo a scuole o corsi di alta formazione, organizzati, anche delegando gli Ordini locali, dal Consiglio nazionale forense o dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o dal Consiglio nazionale del notariato ovvero organizzati dalle associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative di cui all’articolo 35, comma 1, lettera s), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nello specifico settore della delega delle operazioni di vendita nelle esecuzioni forzate e aver superato con profitto la prova finale di esame al termine della scuola o del corso. La specifica formazione di cui alla presente lettera può essere acquisita anche mediante la partecipazione ad analoghi corsi per i quali sia previsto il superamento con profitto di una prova finale di esame, organizzati da università pubbliche o private.

I professionisti che aspirano alla conferma dell’iscrizione nell’elenco debbono farne domanda al presidente del tribunale ogni tre anni; la domanda deve essere corredata dai seguenti documenti:

  1. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione;
  2. certificato o dichiarazione sostitutiva di certificazione di iscrizione all’ordine professionale;
  3. titoli e documenti idonei a dimostrare il mantenimento della specifica competenza tecnica del professionista ai sensi del settimo comma.

Ai fini della conferma dell’iscrizione nell’elenco, devono ricorrere, anche alternativamente, i seguenti requisiti:

  1. essere in possesso del titolo di avvocato specialista in diritto dell’esecuzione forzata ai sensi del decreto del Ministro della giustizia 12 agosto 2015, 144;
  2. avere partecipato in modo proficuo e continuativo a scuole o corsi di alta formazione, organizzati, anche delegando gli Ordini locali, dal Consiglio nazionale forense o dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili o dal Consiglio nazionale del notariato ovvero organizzati dalle associazioni forensi specialistiche maggiormente rappresentative di cui all’articolo 35, comma 1, lettera s), della legge 31 dicembre 2012, n. 247, nello specifico settore della delega delle operazioni di vendita nelle esecuzioni forzate conseguendo un numero di crediti non inferiore a 60 nel triennio di riferimento e, comunque, a 15 per ciascun anno. La specifica formazione di cui alla presente lettera può essere acquisita anche mediante la partecipazione ad analoghi corsi da università pubbliche o private.

La Scuola superiore della magistratura elabora con cadenza triennale le linee guida generali per la definizione dei programmi dei corsi di formazione e di aggiornamento, sentiti il Consiglio nazionale forense, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili e il Consiglio nazionale notarile.

Sulle domande di iscrizione e di conferma della stessa decide il comitato di cui al secondo comma. Ogni tre anni il comitato deve provvedere alla revisione dell’elenco per eliminare i professionisti per i quali è venuto meno o non è stato dimostrato uno dei requisiti previsti per il mantenimento dell’iscrizione o è sorto un impedimento a esercitare l’ufficio.

Al termine di ciascun semestre, previa audizione dell’interessato, il comitato dispone la sospensione fino a un anno e, in caso di gravi o reiterati inadempimenti, la cancellazione dall’elenco dei professionisti ai quali in una o più procedure esecutive sia stata revocata la delega in conseguenza del mancato rispetto dei termini per le attività delegate, delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione o degli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. I professionisti cancellati dall’elenco a seguito di revoca della delega non possono essere reinseriti nel triennio in corso e nel triennio successivo.

Nessuno può essere iscritto in più di un elenco.

Il giudice dell’esecuzione che conferisce la delega delle operazioni di vendita ad un professionista iscritto nell’elenco di un altro circondario deve indicare analiticamente nel provvedimento i motivi della scelta.

Il giudice dell’esecuzione sostituisce senza ritardo il professionista delegato che sia stato sospeso o cancellato dall’elenco.»;

d. all’articolo 179-quater, il primo comma è sostituito dal seguente: «Il presidente del tribunale vigila affinché, senza danno per l’amministrazione della giustizia, le deleghe siano assegnate tra gli iscritti nell’elenco di cui all’articolo 179-ter in modo tale che a nessuno dei professionisti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall’ufficio e dal singolo giudice e garantisce che sia assicurata l’adeguata trasparenza del conferimento degli incarichi anche a mezzo di strumenti ».

  1. Alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, dopo il Titolo V-bis, è inserito il seguente:

«Titolo V-ter

Disposizioni relative alla giustizia digitale

Capo I

Degli atti e dei provvedimenti

Art. 196-quater

(Obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti)

Nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione il deposito degli atti processuali e dei documenti, ivi compresa la nota di iscrizione a ruolo, da parte dei difensori e dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. Con le stesse modalità le parti depositano gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche.

Nel procedimento di cui al libro IV, titolo I, capo I, del codice, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti del giudice ha luogo con modalità telematiche.

Il deposito con modalità telematiche è effettuato nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

Il capo dell’ufficio autorizza il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una situazione di urgenza, dandone comunicazione attraverso il sito istituzionale dell’ufficio. Con la medesima forma di pubblicità provvede a comunicare l’avvenuta riattivazione del sistema.

Art. 196-quinquies

(Dell’atto del processo redatto in formato elettronico)

L’atto del processo redatto in formato elettronico dal magistrato o dal personale degli uffici giudiziari e degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti è depositato telematicamente nel fascicolo informatico.

In caso di atto formato da organo collegiale l’originale del provvedimento è sottoscritto con firma digitale anche dal presidente.

Quando l’atto è redatto dal cancelliere o dal segretario dell’ufficio giudiziario questi vi appone la propria firma digitale e ne effettua il deposito nel fascicolo informatico.

Se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico.

Se il provvedimento di correzione di cui all’articolo 288 del codice è redatto in formato elettronico, il cancelliere forma un documento informatico contenente la copia del provvedimento corretto e del provvedimento di correzione, lo sottoscrive digitalmente e lo inserisce nel fascicolo informatico.

Art. 196-sexies

(Perfezionamento del deposito con modalità telematiche)

 Il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto nel momento in cui è generata la conferma del completamento della trasmissione secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ed è tempestivamente eseguito quando la conferma è generata entro la fine del giorno di scadenza. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, quarto e quinto comma, del codice. Se gli atti o i documenti da depositarsi eccedono la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia, il deposito può essere eseguito mediante più trasmissioni.

Art. 196-septies

(Copia cartacea di atti depositati telematicamente)

Con decreto del Ministro della giustizia sono stabilite misure organizzative per l’acquisizione di copia cartacea e per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con modalità telematiche nonché per la gestione e la conservazione delle copie cartacee.

Con il decreto di cui al primo comma sono altresì stabilite le misure organizzative per la gestione e la conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo a norma dell’articolo 196-quater, primo comma, terzo periodo, e quarto comma.

Capo II

Della conformità delle copie agli originali

Art. 196-octies

(Potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria)

Le copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest’ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche, equivalgono all’originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale.

Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al primo comma e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico ovvero allegati alle comunicazioni telematiche. Le copie analogiche e informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico o dall’allegato alla comunicazione telematica e munite dell’attestazione di conformità hanno la stessa efficacia probatoria dell’atto che riproducono. Il duplicato informatico di un documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine.

Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all’ordine del giudice.

Art. 196-novies

(Potere di certificazione di conformità di copie di atti e di provvedimenti)

 

Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale, quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia al predetto atto. La copia munita dell’attestazione di conformità equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto o del provvedimento.

Il difensore, quando deposita nei procedimenti di espropriazione forzata la nota di iscrizione a ruolo e le copie informatiche degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma, e 557, secondo comma, del codice, attesta la conformità delle copie agli originali.

Art. 196-decies

(Potere di certificazione di conformità delle copie trasmesse con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario)

Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale, quando trasmettono all’ufficiale giudiziario con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto, di un provvedimento o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia all’atto detenuto. La copia munita dell’attestazione di conformità equivale all’originale o alla copia conforme dell’atto, del provvedimento o del documento.

Art. 196-undecies

(Modalità dell’attestazione di conformità)

L’attestazione di conformità della copia analogica, prevista dalle disposizioni del presente capo, dal codice e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, è apposta in calce o a margine della copia o su foglio separato, congiunto materialmente alla medesima.

L’attestazione di conformità di una copia informatica è apposta nel medesimo documento informatico.

Nel caso previsto dal secondo comma, l’attestazione di conformità può alternativamente essere apposta su un documento informatico separato e l’individuazione della copia cui si riferisce ha luogo esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. Se la copia informatica è destinata alla notifica, l’attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione.

I soggetti che compiono le attestazioni di conformità previste dagli articoli 196-octies, 196-novies e 196-decies, dal codice e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, sono considerati pubblici ufficiali ad ogni effetto.

Capo III

Dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza

Art. 196-duodecies

(Udienza con collegamenti audiovisivi a distanza)

 

L’udienza di cui all’articolo 127-bis del codice è tenuta con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e ad assicurare l’effettiva partecipazione delle parti e, se l’udienza non è pubblica, la sua riservatezza. Si applica l’articolo 84.

Nel verbale si dà atto della dichiarazione di identità dei presenti, i quali assicurano che non sono in atto collegamenti con soggetti non legittimati e che non sono presenti soggetti non legittimati nei luoghi da cui sono in collegamento.

I presenti mantengono attiva la funzione video per tutta la durata dell’udienza. Agli stessi è vietata la registrazione dell’udienza.

Il luogo dal quale il giudice si collega è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti e l’udienza si considera tenuta nell’ufficio giudiziario davanti al quale è pendente il procedimento.

Con provvedimenti del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia sono individuati e regolati i collegamenti audiovisivi a distanza per lo svolgimento dell’udienza e le modalità attraverso le quali è garantita la pubblicità dell’udienza in cui si discute la causa.».

CAPO III

Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale

ART. 5

(Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale)

  1. Al codice penale, articolo 371-ter, sono aggiunti, in fine, i seguenti commi:

«Nelle ipotesi previste dall’articolo 4-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 10 novembre 2014, n. 162, chiunque, non essendosi avvalso della facoltà di cui al comma 2, lettere b) e c), del medesimo articolo, rende dichiarazioni false è punito con la pena prevista dal primo comma.

Il procedimento penale resta sospeso fino alla conclusione della procedura di negoziazione assistita nel corso della quale sono state acquisite le dichiarazioni ovvero fino a quando sia stata pronunciata sentenza di primo grado nel giudizio successivamente instaurato, nel quale una delle parti si sia avvalsa della facoltà di cui all’articolo 4-bis, comma 6, del decreto-legge n. 132 del 2014, convertito con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 162 del 2014, ovvero fino a quando tale giudizio sia dichiarato estinto.».

  1. Al codice di procedura penale, all’articolo 282-bis, comma 4, le parole «l’ordinanza prevista dall’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro» sono sostituite dalla seguente: «un».

ART. 6

(Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)

  1. All’articolo 64-bis delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «Quando procede per reati commessi in danno del coniuge, del convivente o di persona legata da una relazione affettiva, anche ove cessata, e risulta la pendenza di procedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi, allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, allo scioglimento dell’unione civile o alla responsabilità genitoriale, il pubblico ministero ne dà notizia senza ritardo al giudice che procede, salvo che gli atti siano coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale. Allo stesso modo provvede quando procede per reati commessi in danno di minori dai genitori, da altri familiari o da persone comunque con loro conviventi, nonché dalla persona legata al genitore da una relazione affettiva, anche ove cessata, ed è pendente procedimento relativo alla responsabilità genitoriale, al suo esercizio e al mantenimento del minore.»;
    2. dopo il comma 1, è aggiunto il seguente: «1-bis. Nei casi di cui al comma 1, il pubblico ministero trasmette al giudice civile o al tribunale per i minorenni che procede copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, nonché copia dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari e degli atti di indagine non coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice. Allo stesso giudice è altresì trasmessa copia della sentenza che definisce il processo o del decreto di archiviazione, a cura della »;
    3. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Comunicazioni e trasmissione di atti al giudice civile».

CAPO IV

Ulteriori interventi e modifiche alle leggi speciali Sezione I

Modifiche in materia di Mediazione, Negoziazione assistita e Arbitrato

ART. 7

(Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28)

  1. Al decreto legislativo 4 marzo 2010, 28, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 2, comma 2, dopo le parole «procedure di reclamo» sono inserite le seguenti: «e di conciliazione»;
    2. all’articolo 3:
      1. al comma 1, in fine, sono aggiunte le seguenti parole: «, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 8»;
      2. al comma 2, dopo le parole «ne assicurano l’imparzialità» sono inserite le seguenti: «, l’indipendenza»;
      3. al comma 4, in fine, sono aggiunte le seguenti parole: «, nel rispetto dell’articolo 8- bis»;
    3. all’articolo 4:
      1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. La domanda di mediazione relativa alle controversie di cui all’articolo 2 è depositata da una delle parti presso un organismo nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In caso di più domande relative alla stessa controversia, la mediazione si svolge davanti all’organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima La competenza dell’organismo è derogabile su accordo delle parti. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito.»;
      2. al comma 2, le parole «L’istanza» sono sostituite dalle seguenti: «La domanda di mediazione»;
      3. al comma 3 le parole «articolo 5, comma 1-bis» sono sostituite dalle seguenti: «articolo 5, comma 2»;
    4. l’articolo 5 è sostituito dal seguente:

«Art. 5

(Condizione di procedibilità e rapporti con il processo)

  1. Chi intende esercitare in giudizio un’azione relativa a una controversia in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari, associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura, è tenuto preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente
  2. Nelle controversie di cui al comma 1 l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. L’improcedibilità è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d’ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Il giudice, quando rileva che la mediazione non è stata esperita o è già iniziata, ma non si è conclusa, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo A tale udienza, il giudice accerta se la condizione di procedibilità è stata soddisfatta e, in mancanza, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale.
  3. Per assolvere alla condizione di procedibilità le parti possono anche esperire, per le materie e nei limiti ivi regolamentati, le procedure previste:
    1. dall’articolo 128-bis del decreto legislativo 1° settembre 1993, 385;
    2. dall’articolo 32-ter del decreto legislativo 24 febbraio 1998, 58;
    3. dall’articolo 187.1 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209;
    4. dall’articolo 2, comma 24, lettera b), della legge 14 novembre 1995, 481.
  4. Quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione
  5. Lo svolgimento della mediazione non preclude in ogni caso la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.
  6. Il comma 1 e l’articolo 5-quater non si applicano:
    1. nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l’opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis;
    2. nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all’articolo 667 del codice di procedura civile;
    3. nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all’articolo 696-bis del codice di procedura civile;
    4. nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all’articolo 703, terzo comma, del codice di procedura civile;
    5. nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all’esecuzione forzata;
    6. nei procedimenti in camera di consiglio;
    7. nell’azione civile esercitata nel processo penale;
    8. nell’azione inibitoria di cui all’articolo 37 del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, 206.»;

  e. dopo l’articolo 5 sono inseriti i seguenti:

«Art. 5-bis

(Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo)

  1. Quando l’azione di cui all’articolo 5, comma 1, è stata introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. Il giudice alla prima udienza provvede sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione se formulate e, accertato il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. A tale udienza, se la mediazione non è stata esperita, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese.

Art. 5-ter

(Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio)

  1. L’amministratore del condominio è legittimato ad attivare un procedimento di mediazione, ad aderirvi e a parteciparvi. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione o la proposta conciliativa del mediatore sono sottoposti all’approvazione dell’assemblea condominiale, la quale delibera entro il termine fissato nell’accordo o nella proposta con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile. In caso di mancata approvazione entro tale termine la conciliazione si intende non conclusa.

Art. 5-quater

(Mediazione demandata dal giudice)

  1. Il giudice, anche in sede di giudizio di appello, fino al momento della precisazione delle conclusioni, valutata la natura della causa, lo stato dell’istruzione, il comportamento delle parti e ogni altra circostanza, può disporre, con ordinanza motivata, l’esperimento di un procedimento di mediazione. Con la stessa ordinanza fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6.
  2. La mediazione demandata dal giudice è condizione di procedibilità della domanda Si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6.
  3. All’udienza di cui al comma 1, quando la mediazione non risulta esperita, il giudice dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale.

Art. 5-quinquies

(Formazione del magistrato, valutazione del contenzioso definito con mediazione demandata e collaborazione)

 

  1. Il magistrato cura la propria formazione e il proprio aggiornamento in materia di mediazione con la frequentazione di seminari e corsi, organizzati dalla Scuola superiore della magistratura, anche attraverso le strutture didattiche di formazione decentrata.
  2. Ai fini della valutazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, la frequentazione di seminari e corsi di cui al comma 1, il numero e la qualità degli affari definiti con ordinanza di mediazione o mediante accordi conciliativi costituiscono, rispettivamente, indicatori di impegno, capacità e laboriosità del magistrato.
  3. Le ordinanze con cui il magistrato demanda le parti in mediazione e le controversie definite a seguito della loro adozione sono oggetto di specifica rilevazione statistica.
  4. Il capo dell’ufficio giudiziario può promuovere, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, progetti di collaborazione con università, ordini degli avvocati, organismi di mediazione, enti di formazione e altri enti e associazioni professionali e di categoria, nel rispetto della reciproca autonomia, per favorire il ricorso alla mediazione demandata e la formazione in materia di mediazione.

Art. 5-sexies

(Mediazione su clausola contrattuale o statutaria)

  1. Quando il contratto, lo statuto o l’atto costitutivo dell’ente pubblico o privato prevedono una clausola di mediazione, l’esperimento della mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Se il tentativo di conciliazione non risulta esperito, il giudice o l’arbitro, su eccezione di parte entro la prima udienza, provvede ai sensi dell’articolo 5, comma Si applica l’articolo 5, commi 4, 5 e 6.
  2. La domanda di mediazione è presentata all’organismo indicato dalla clausola se iscritto nel registro ovvero, in mancanza, all’organismo individuato ai sensi dell’articolo 4, comma »;
  3. l’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«Art. 6

(Durata)

  1. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle
  2. Il termine di cui al comma 1 decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione o dalla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della stessa e, anche nei casi in cui il giudice dispone il rinvio della causa ai sensi dell’articolo 5, comma 2, ovvero ai sensi dell’articolo 5-quater, comma 1, non è soggetto a sospensione
  3. Se pende il giudizio, le parti comunicano al giudice la proroga del termine di cui al comma »;

  g. all’articolo 7, le parole «commi 1-bis e 2» sono sostituite dalle seguenti: «comma 2 e dell’articolo 5-quater, comma 1»;

  h. l’articolo 8 è sostituito dal seguente:

«Art. 8

(Procedimento)

 

  1. All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l’orario dell’incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell’organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione. Nelle controversie che richiedono specifiche competenze tecniche, l’organismo può nominare uno o più mediatori ausiliari.
  2. Dal momento in cui la comunicazione di cui al comma 1 perviene a conoscenza delle parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. La parte può a tal fine comunicare all’altra parte la domanda di mediazione già presentata all’organismo di mediazione, fermo l’obbligo dell’organismo di procedere ai sensi del comma
  3. Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.
  4. Le parti partecipano personalmente alla procedura di In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale.
  5. Nei casi previsti dall’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti sono assistite dai rispettivi
  6. Al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di Le parti e gli avvocati che le assistono cooperano in buona fede e lealmente al fine di realizzare un effettivo confronto sulle questioni controverse. Del primo incontro è redatto, a cura del mediatore, verbale sottoscritto da tutti i partecipanti.
  7. Il mediatore può avvalersi di esperti iscritti negli albi dei consulenti presso i Il regolamento di procedura dell’organismo deve prevedere le modalità di calcolo e liquidazione dei compensi spettanti agli esperti. Al momento della nomina dell’esperto, le parti possono convenire la producibilità in giudizio della sua relazione, anche in deroga all’articolo 9. In tal caso, la relazione è valutata ai sensi dell’articolo 116, comma primo, del codice di procedura civile.»;

  i. dopo l’articolo 8 è inserito il seguente:

«Art.  8-bis

(Mediazione in modalità telematica)

  1. Quando la mediazione si svolge in modalità telematica, ciascun atto del procedimento è formato e sottoscritto nel rispetto delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e può essere trasmesso a mezzo posta elettronica certificata o con altro servizio di recapito certificato
  2. Gli incontri si possono svolgere con collegamento audiovisivo da remoto. I sistemi di collegamento audiovisivo utilizzati per gli incontri del procedimento di mediazione assicurano la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate. Ciascuna parte può chiedere al responsabile dell’organismo di mediazione di partecipare da remoto o in presenza.
  1. A conclusione della mediazione il mediatore forma un unico documento informatico, in formato nativo digitale, contenente il verbale e l’eventuale accordo e lo invia alle parti per la sottoscrizione mediante firma digitale o altro tipo di firma elettronica Nei casi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, il documento elettronico è inviato anche agli avvocati che lo sottoscrivono con le stesse modalità.
  2. Il documento informatico, sottoscritto ai sensi del comma 3, è inviato al mediatore che lo firma digitalmente e lo trasmette alle parti, agli avvocati, ove nominati, e alla segreteria dell’organismo.
  3. La conservazione e l’esibizione dei documenti del procedimento di mediazione svolto con modalità telematiche avvengono, a cura dell’organismo di mediazione, in conformità all’articolo 43 del decreto legislativo 82 del 2005.»;

  l. all’articolo 9, comma 1, le parole «comunque nell’ambito del» sono sostituite dalle seguenti: «partecipa al»;

  m. l’articolo 11 è sostituito dal seguente:

«Art. 11

(Conclusione del procedimento)

  1. Se è raggiunto un accordo di conciliazione, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell’accordo medesimo. Quando l’accordo non è raggiunto, il mediatore ne dà atto nel verbale e può formulare una proposta di conciliazione da allegare al verbale. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento. Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze di cui all’articolo 13.
  2. La proposta di conciliazione è formulata e comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni dalla comunicazione o nel maggior termine indicato dal mediatore, l’accettazione o il rifiuto della In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Salvo diverso accordo delle parti, la proposta non può contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.
  3. L’accordo di conciliazione contiene l’indicazione del relativo valore.
  4. Il verbale conclusivo della mediazione, contenente l’eventuale accordo, è sottoscritto dalle parti, dai loro avvocati e dagli altri partecipanti alla procedura nonché dal mediatore, il quale certifica l’autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere e, senza indugio, ne cura il deposito presso la segreteria dell’organismo. Nel verbale il mediatore dà atto della presenza di coloro che hanno partecipato agli incontri e delle parti che, pur regolarmente invitate, sono rimaste assenti.
  5. Il verbale contenente l’eventuale accordo di conciliazione è redatto in formato digitale o, se in formato analogico, in tanti originali quante sono le parti che partecipano alla mediazione, oltre ad un originale per il deposito presso l’organismo.
  6. Del verbale contenente l’eventuale accordo depositato presso la segreteria dell’organismo è rilasciata copia alle parti che lo richiedono. È fatto obbligo all’organismo di conservare copia degli atti dei procedimenti trattati per almeno un triennio dalla data della loro conclusione.
  7. Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione dell’accordo di conciliazione deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.»;

  n. dopo l’articolo 11 è inserito il seguente:

«Art. 11-bis

(Accordo di conciliazione sottoscritto dalle amministrazioni pubbliche)

  1. Ai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, 165, che sottoscrivono un accordo di conciliazione si applica l’articolo 1, comma 01.bis della legge 14 gennaio 1994, n. 20.»;

  o. all’articolo 12:

  1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite dagli avvocati, l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati, anche con le modalità di cui all’articolo 8-bis, costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna e rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l’iscrizione di ipoteca Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. L’accordo di cui al periodo precedente deve essere integralmente trascritto nel precetto ai sensi dell’articolo 480, secondo comma, del codice di procedura civile.»;
  2. dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1-bis. In tutti gli altri casi l’accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell’ordine Nelle controversie transfrontaliere di cui all’articolo 2 della direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, il verbale è omologato dal presidente del tribunale nel cui circondario l’accordo deve avere esecuzione.»;
  3. al comma 2, le parole «Il verbale di cui al comma 1» sono sostituite dalle seguenti: «Con l’omologazione l’accordo»;

  p. dopo l’articolo 12 è inserito il seguente:

«Art. 12-bis

(Conseguenze processuali della mancata partecipazione al procedimento di mediazione)

  1. Dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo al primo incontro del procedimento di mediazione, il giudice può desumere argomenti di prova nel successivo giudizio ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, del codice di procedura civile.
  2. Quando la mediazione costituisce condizione di procedibilità, il giudice condanna la parte costituita che non ha partecipato al primo incontro senza giustificato motivo al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio.
  1. Nei casi di cui al comma 2, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice, se richiesto, può altresì condannare la parte soccombente che non ha partecipato alla mediazione al pagamento in favore della controparte di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese del giudizio maturate dopo la conclusione del procedimento di mediazione.
  2. Quando provvede ai sensi del comma 2, il giudice trasmette copia del provvedimento adottato nei confronti di una delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, al pubblico ministero presso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti, e copia del provvedimento adottato nei confronti di uno dei soggetti vigilati all’autorità di vigilanza »;

  q. all’articolo 13:

  1. al comma 1, dopo le parole «articoli 92 e 96» sono inserite le seguenti: «, commi primo, secondo e terzo,»;
  2. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Spese processuali in caso di rifiuto della proposta di conciliazione»;

  r. all’articolo 14 il comma 2 è sostituito dal seguente:

«2. Al mediatore è fatto, altresì, obbligo di:

  1. sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di indipendenza e di imparzialità secondo le formule previste dal regolamento di procedura applicabile, nonché gli ulteriori impegni eventualmente previsti dal medesimo regolamento;
  2. comunicare immediatamente al responsabile dell’organismo e alle parti tutte le circostanze, emerse durante la procedura, idonee ad incidere sulla sua indipendenza e imparzialità;
  3. formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative;
  4. corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.»;

  s. all’articolo 15 le parole «140-bis del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, e successive modificazioni» sono sostituite dalle seguenti: «840- bis del codice di procedura civile»;

  t. dopo l’articolo 15 è inserito il seguente capo:

«CAPO II-bis

(Disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nella mediazione civile e commerciale)

Art. 15-bis

(Istituzione del patrocinio e ambito di applicabilità)

  1. È assicurato, alle condizioni stabilite nel presente capo, il patrocinio a spese dello Stato alla parte non abbiente per l’assistenza dell’avvocato nel procedimento di mediazione nei casi di cui all’articolo 5, comma 1, se è raggiunto l’accordo di
  2. L’ammissione al patrocinio è esclusa nelle controversie per cessione di crediti e ragioni altrui, ad eccezione del caso in cui la cessione appare indubbiamente fatta in pagamento di crediti o ragioni

Art. 15-ter

(Condizioni reddituali per l’ammissione)

  1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore all’importo indicato dagli articoli 76 e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

Art. 15-quater

(Istanza per l’ammissione anticipata)

  1. L’interessato che si trova nelle condizioni indicate nell’articolo 15-ter può chiedere di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato al fine di proporre domanda di mediazione o di partecipare al relativo procedimento, nei casi di cui all’articolo 5, comma 1.
  2. L’istanza per l’ammissione, a pena di inammissibilità, è redatta e sottoscritta in conformità agli articoli 78, comma 2, e 79, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, e contiene le enunciazioni in fatto e in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere.
  3. Per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea o l’apolide, a pena di inammissibilità, correda l’istanza per l’ammissione con una certificazione dell’autorità consolare competente che attesta la veridicità di quanto in essa In caso di impossibilità di presentare tale certificazione, l’istanza è corredata da una dichiarazione sostitutiva di certificazione, redatta ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 15-quinquies

(Organo competente a ricevere l’istanza per l’ammissione anticipata e nomina dell’avvocato)

  1. L’istanza per l’ammissione anticipata è presentata, o personalmente o a mezzo raccomandata o a mezzo posta elettronica certificata o con altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, dall’interessato o dall’avvocato che ne ha autenticato la firma, al consiglio dell’ordine degli avvocati del luogo dove ha sede l’organismo di mediazione competente individuato in conformità all’articolo 4, comma 1.
  2. Entro venti giorni dalla presentazione dell’istanza per l’ammissione, il consiglio dell’ordine degli avvocati, verificatane l’ammissibilità, ammette l’interessato al patrocinio, in via anticipata e provvisoria, e gliene dà immediata comuicazione.
  3. Chi è ammesso al patrocinio può nominare un avvocato scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso i consigli dell’ordine del luogo dove ha sede l’organismo di mediazione competente individuato in conformità all’articolo 4, comma 1.

Art. 15-sexies

(Ricorso avverso il rigetto dell’istanza per l’ammissione anticipata)

 

  1. Contro il rigetto dell’istanza per l’ammissione anticipata, l’interessato può proporre ricorso, entro venti giorni dalla comunicazione, avanti al presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine che ha adottato il provvedimento. Si applica l’articolo 99, commi 2, 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.

Art. 15-septies

(Effetti dell’ammissione anticipata e sua conferma)

  1. L’ammissione anticipata al patrocinio è valida per l’intero procedimento di mediazione.
  2. Le indennità di cui all’articolo 17, commi 3 e 4, non sono dovute dalla parte ammessa in via anticipata al patrocinio.
  3. Quando è raggiunto l’accordo di conciliazione, l’ammissione è confermata, su istanza dell’avvocato, dal consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione anticipata, mediante apposizione del visto di congruità sulla parcella.
  4. L’istanza di conferma indica l’ammontare del compenso richiesto dall’avvocato ed è corredata dall’accordo di conciliazione. Il consiglio dell’ordine, verificata la completezza della documentazione e la congruità del compenso in base al valore dell’accordo indicato ai sensi dell’articolo 11, comma 3, conferma l’ammissione e trasmette copia della parcella vistata all’ufficio competente del Ministero della giustizia perché proceda alle verifiche ritenute necessarie e all’organismo di mediazione.
  5. L’avvocato non può chiedere né percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dal presente Ogni patto contrario è nullo e si applica l’articolo 85, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.

Art. 15-octies

(Determinazione, liquidazione e pagamento dell’onorario e delle spese dell’avvocato)

  1. Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative della legge 26 novembre 2021, n. 206, sono stabiliti gli importi spettanti all’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a titolo di onorario e spese. Con il medesimo decreto sono stabilite le modalità di liquidazione e di pagamento, anche mediante riconoscimento di credito di imposta o di compensazione, delle somme determinate ai sensi del presente articolo, nonché le modalità e i contenuti della relativa richiesta e i controlli applicabili, anche di autenticità.

Art. 15-novies

(Revoca del provvedimento di ammissione e ricorso avverso il relativo decreto)

  1. L’insussistenza dei presupposti per l’ammissione di cui all’articolo 15-ter, da chiunque accertata, anche a seguito dei controlli di cui all’articolo 15-decies, comma 2, è comunicata al consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione.
  2. Le sopravvenute modifiche delle condizioni reddituali che escludono l’ammissione al patrocinio sono immediatamente comunicate dalla parte ammessa o dal suo avvocato al consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione in via anticipata.
  3. Ricevute le comunicazioni previste dai commi 1 e 2, il consiglio dell’ordine, effettuate le verifiche ritenute necessarie, revoca l’ammissione e ne dà comunicazione all’interessato, all’avvocato e all’organismo di mediazione.
  4. Contro il provvedimento di revoca l’interessato può proporre ricorso, entro venti giorni dalla comunicazione, avanti al presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il consiglio dell’ordine che lo ha adottato. Si applica l’articolo 99, commi 2, 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 115 del 2002.

Art. 15-decies

(Sanzioni e controlli da parte della Guardia di finanza)

  1. Chiunque, al fine di ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, formula l’istanza per l’ammissione corredata dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione, attestante falsamente la sussistenza delle condizioni di reddito previste, è punito ai sensi dell’articolo 125, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.
  2. Si applica l’articolo 88 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n.115.

Art. 15-undecies

(Disposizioni finanziarie)

  1. All’onere derivante dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente capo, valutato in 2.082.780 annui euro a decorrere dall’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione della delega per l’efficienza del processo civile di cui all’articolo 1, comma 39, della legge 26 novembre 2021, n. 206.»;

  u. alla rubrica del Capo III dopo le parole «Organismi di mediazione» sono inserite le seguenti: «ed enti di formazione»;

  v. all’articolo 16:

  1. dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti: «1-bis. Ai fini dell’abilitazione di cui al comma 1 e del suo mantenimento, costituiscono requisiti di serietà:
  1. l’onorabilità dei soci, degli amministratori, dei responsabili e dei mediatori degli organismi;
  2. la previsione, nell’oggetto sociale o nello scopo associativo, dello svolgimento in via esclusiva di servizi di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie e di formazione nei medesimi ambiti;
  3. l’impegno dell’organismo a non prestare i servizi di mediazione, conciliazione e risoluzione alternativa delle controversie quando ha un interesse nella lite. 1-ter. Ai fini di cui al comma 1 costituiscono requisiti di efficienza dell’organismo l’adeguatezza dell’organizzazione, la capacità finanziaria, la qualità del servizio, la trasparenza organizzativa, amministrativa e contabile, nonché la qualificazione professionale del responsabile dell’organismo e quella dei mediatori.»;

  2. al comma 3, terzo periodo, dopo le parole «da enti privati» sono inserite le seguenti: «e dei relativi criteri di calcolo»;

  3. al comma 4-bis, le parole «articolo 55-bis» sono sostituite dalle seguenti: «articolo 62»;

  4. al comma 5, secondo periodo, dopo le parole «Il decreto» sono inserite le seguenti: «, in conformità all’articolo 16-bis,»;

  z. dopo l’articolo 16 è inserito il seguente:

«Art. 16-bis

(Enti di formazione)

  1. Sono abilitati a iscriversi nell’elenco degli enti di formazione in materia di mediazione gli enti pubblici o privati che danno garanzie di serietà ed efficienza, come definiti dall’articolo 16, commi 1-bis e 1-ter.
  2. Ai fini di cui al comma 1, l’ente di formazione è altresì tenuto a nominare un responsabile scientifico di chiara fama ed esperienza in materia di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie, il quale assicura la qualità della formazione erogata dall’ente, la completezza, l’adeguatezza e l’aggiornamento del percorso formativo offerto e la competenza ed esperienza dei formatori, maturate anche all’estero. Il responsabile comunica periodicamente il programma formativo e i nominativi dei formatori scelti al Ministero della giustizia, secondo le previsioni del decreto di cui all’articolo 16, comma 2.
  3. Il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, stabilisce altresì i requisiti di qualificazione dei mediatori e dei formatori necessari per l’iscrizione, e il mantenimento dell’iscrizione, nei rispettivi elenchi.»;

  aa) l’articolo 17 è sostituito dal seguente:

«Art. 17

(Risorse, regime tributario e indennità)

  1. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e
  2. Il verbale contenente l’accordo di conciliazione è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di centomila euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte
  3. Ciascuna parte, al momento della presentazione della domanda di mediazione o al momento dell’adesione, corrisponde all’organismo, oltre alle spese documentate, un importo a titolo di indennità comprendente le spese di avvio e le spese di mediazione per lo svolgimento del primo incontro. Quando la mediazione si conclude senza l’accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi
  4. Il regolamento dell’organismo di mediazione indica le ulteriori spese di mediazione dovute dalle parti per la conclusione dell’accordo di conciliazione e per gli incontri successivi al primo.
  5. Con il decreto di cui all’articolo 16, comma 2, sono determinati:
    1. l’ammontare minimo e massimo delle indennità spettanti agli organismi pubblici, il criterio di calcolo e le modalità di ripartizione tra le parti;
    2. i criteri per l’approvazione delle tabelle delle indennità proposte dagli organismi costituiti da enti privati;
    3. gli importi a titolo di indennità per le spese di avvio e per le spese di mediazione per il primo incontro;
    4. le maggiorazioni massime dell’indennità dovute, non superiori al 25 per cento, nell’ipotesi di successo della mediazione;
    5. le riduzioni minime delle indennità dovute nelle ipotesi in cui la mediazione è condizione di procedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1, ovvero è demandata dal giudice;
    6. i criteri per la determinazione del valore dell’accordo di conciliazione ai sensi dell’articolo 11, comma 3.
  6. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale ai sensi dell’articolo 5, comma 1, ovvero dell’articolo 5-quater, comma 2, all’organismo non è dovuta alcuna indennità dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.
  7. Il Ministero della giustizia provvede, nell’ambito delle proprie attività istituzionali, al monitoraggio delle mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione.
  8. L’ammontare dell’indennità può essere rideterminato ogni tre anni in relazione alla variazione, accertata dall’Istituto nazionale di statistica, dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, verificatasi nel triennio precedente.
  9. Agli oneri per l’attuazione delle disposizioni di cui ai commi 1 e 2, valutati in 5,9 milioni di euro per l’anno 2010, in 7,018 milioni di euro per gli anni dal 2011 al 2022 e in 13,098 milioni di euro a decorrere dall’anno 2023, si provvede:
  1. quanto a 5,9 milioni di euro per l’anno 2010 e 7,018 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011 mediante corrispondente riduzione della quota delle risorse del «Fondo unico giustizia» di cui all’articolo 2, comma 7, lettera b) del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 novembre 2008, n. 181, che, a tale fine, resta acquisita all’entrata del bilancio dello Stato;
  2. quanto a 6,08 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2023, mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione della delega per l’efficienza del processo civile di cui all’articolo 1, comma 39, della legge 26 novembre 2021, 206.»;

  bb) l’articolo 20 è sostituito dal seguente:

«Art. 20

(Credito d’imposta in favore delle parti e degli organismi di mediazione)

  1. Alle parti è riconosciuto, quando è raggiunto l’accordo di conciliazione, un credito d’imposta commisurato all’indennità corrisposta ai sensi dell’articolo 17, commi 3 e 4, fino a concorrenza di euro seicento. Nei casi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, alle parti è altresì riconosciuto un credito d’imposta commisurato al compenso corrisposto al proprio avvocato per l’assistenza nella procedura di mediazione, nei limiti previsti dai parametri forensi e fino a concorrenza di euro seicento.
  2. I crediti d’imposta previsti dal comma 1 sono utilizzabili dalla parte nel limite complessivo di euro seicento per procedura e fino ad un importo massimo annuale di euro duemilaquattrocento per le persone fisiche e di euro ventiquattromila per le persone In caso di insuccesso della mediazione i crediti d’imposta sono ridotti della metà.
  3. È riconosciuto un ulteriore credito d’imposta commisurato al contributo unificato versato dalla parte del giudizio estinto a seguito della conclusione di un accordo di conciliazione, nel limite dell’importo versato e fino a concorrenza di euro cinquecentodiciotto.
  4. Agli organismi di mediazione è riconosciuto un credito d’imposta commisurato all’indennità non esigibile dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato ai sensi dell’articolo 15-septies, comma 2, fino a un importo massimo annuale di euro ventimila.
  5. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata, sono stabilite le modalità di riconoscimento dei crediti d’imposta di cui al presente articolo, la documentazione da esibire a corredo della richiesta e i controlli sull’autenticità della stessa, nonché le modalità di trasmissione in via telematica all’Agenzia delle entrate dell’elenco dei beneficiari e dei relativi importi a ciascuno comunicati.
  6. All’onere derivante dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente articolo, valutato in euro 51.821.400 annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione della delega per l’efficienza del processo civile di cui all’articolo 1, comma 39, della legge 26 novembre 2021, 206.
  7. Il Ministero della giustizia provvede annualmente al versamento dell’importo corrispondente all’ammontare delle risorse destinate ai crediti d’imposta sulla contabilità speciale 1778 “Agenzia delle entrate - Fondi di bilancio”.».

ART. 8

(Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20)

  1. All’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, dopo il comma 1 è inserito il seguente: «1.1. In caso di conclusione di un accordo di conciliazione nel procedimento di mediazione o in sede giudiziale da parte dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, la responsabilità contabile è limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.».

ART. 9

(Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162)

  1. Al decreto-legge 12 settembre 2014, 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. alla rubrica del Capo II, le parole «uno o più» sono soppresse;
    2. dopo il Capo II, è inserita la seguente Sezione:

«Sezione I

Della procedura di negoziazione assistita»;

c. all’articolo 2, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. al comma 1, le parole «uno o più» sono soppresse;
  2. al comma 2, lettera b) le parole «o vertere in materia di lavoro» sono soppresse;
  3. dopo il comma 2 è inserito il seguente:

«2-bis. La convenzione di negoziazione può inoltre precisare, nei limiti previsti dal presente capo:

  1. la possibilità di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia;
  2. la possibilità di acquisire dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste;
  3. la possibilità di svolgere la negoziazione con modalità telematiche;
  4. la possibilità di svolgere gli incontri con collegamenti audiovisivi a distanza»

4. dopo il comma 7 è inserito il seguente:

«7-bis. Salvo diverso accordo, la convenzione di negoziazione assistita è conclusa mediante utilizzo del modello elaborato dal Consiglio nazionale forense in conformità alle disposizioni del presente capo.»;

5. alla rubrica, le parole «uno o più» sono soppresse;

d. dopo l’articolo 2 sono inseriti i seguenti:

«Art. 2-bis

(Negoziazione assistita in modalità telematica)

  1. Quando la negoziazione si svolge in modalità telematica, ciascun atto del procedimento, ivi compreso l’accordo conclusivo, è formato e sottoscritto nel rispetto delle disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ed è trasmesso a mezzo posta elettronica certificata o con altro servizio elettronico di recapito certificato qualificato, secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti iformatici.
  2. Gli incontri si possono svolgere con collegamento audiovisivo da remoto. I sistemi di collegamento audiovisivo utilizzati per gli incontri del procedimento di negoziazione assicurano la contestuale, effettiva e reciproca udibilità e visibilità delle persone collegate. Ciascuna parte può chiedere di partecipare da remoto o in presenza.
  3. Non può essere svolta con modalità telematiche né con collegamenti audiovisivi da remoto l’acquisizione delle dichiarazioni del terzo di cui all’articolo 4-bis.
  4. Quando l’accordo di negoziazione è contenuto in un documento sottoscritto dalle parti con modalità analogica, tale sottoscrizione è certificata dagli avvocati con firma digitale, o altro tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto delle regole tecniche di cui all’articolo 20, comma 1-bis, del decreto legislativo 82 del 2005.

Art. 2-ter

(Negoziazione assistita nelle controversie di lavoro)

  1. Per le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto disposto dall’articolo 412-ter del medesimo codice, le parti possono ricorrere alla negoziazione assistita senza che ciò costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Ciascuna parte è assistita da almeno un avvocato e può essere anche assistita da un consulente del lavoro. All’accordo raggiunto all’esito della procedura di negoziazione assistita si applica l’articolo 2113, quarto comma, del codice civile.

L’accordo è trasmesso a cura di una delle due parti, entro dieci giorni, ad uno degli organismi di cui all’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.»

e. all’articolo 3, il comma 6 è abrogato;

f. all’articolo 4, al comma 1, dopo le parole «ai fini delle spese del giudizio e di quanto previsto dagli articoli 96» sono inserite le seguenti: «, primo, secondo e terzo comma,»;

g. dopo l’articolo 4 sono inseriti i seguenti:

«Art. 4-bis

(Acquisizione di dichiarazioni)

  1. Quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare un terzo a rendere dichiarazioni su fatti specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, presso il suo studio professionale o presso il Consiglio dell’ordine degli avvocati, in presenza degli avvocati che assistono le altre parti.
  2. L’informatore, previa identificazione, è invitato a dichiarare se ha rapporti di parentela o di natura personale e professionale con alcuna delle parti o se ha un interesse nella causa, ed è altresì preliminarmente avvisato:
    1. della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione;
    2. della facoltà di non rendere dichiarazioni;
    3. della facoltà di astenersi ai sensi dell’articolo 249 del codice di procedura civile;
    4. delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni;
    5. del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date;
    6. delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni;
  3. Non può rendere dichiarazioni chi non ha compiuto il quattordicesimo anno di età e chi si trova nella condizione prevista dall’articolo 246 del codice di procedura civile.
  4. Le domande rivolte all’informatore e le dichiarazioni da lui rese sono verbalizzate in un documento, redatto dagli avvocati, che contiene l’indicazione del luogo e della data in cui sono acquisite le dichiarazioni, le generalità dell’informatore e degli avvocati e l’attestazione che sono stati rivolti gli avvertimenti di cui al comma 2.
  5. Il documento di cui al comma 4, previa integrale lettura, è sottoscritto dall’informatore e dagli All’informatore e a ciascuna delle parti ne è consegnato un originale.
  6. Il documento di cui al comma 4, sottoscritto ai sensi del comma 5, fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza. Può essere prodotto nel giudizio tra le parti della convenzione di negoziazione assistita ed è valutato dal giudice ai sensi dell’articolo 116, primo comma, del codice di procedura civile. Il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone.
  7. Quando l’informatore non si presenta o si rifiuta di rendere dichiarazioni, e la negoziazione si è conclusa senza accordo, la parte che ritiene necessaria la sua deposizione può chiedere che ne sia ordinata l’audizione davanti al giudice. Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 693, 694, 695, 697, 698 e 699 del codice di proceduracivile.

Art. 4-ter

(Dichiarazioni confessorie)

  1. Quando la convenzione di negoziazione assistita lo prevede, ciascun avvocato può invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti, specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia, ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste. La dichiarazione è resa e sottoscritta dalla parte e dall’avvocato che la assiste anche ai fini della certificazione dell’autografia.
  2. Il documento contenente la dichiarazione di cui al comma 1 fa piena prova di quanto l’avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto nel giudizio iniziato dalle parti della convenzione di negoziazione assistita. Tale documento ha l’efficacia ed è soggetto ai limiti previsti dall’articolo 2735 del codice
  3. Il rifiuto ingiustificato di rendere dichiarazioni sui fatti di cui al comma 1 è valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio, anche ai sensi dell’articolo 96, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura »;

h. all’articolo 5, dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. L’accordo che compone la controversia contiene l’indicazione del relativo valore»;

i. all’articolo 6, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. al comma 2, primo periodo dopo le parole «comunica agli avvocati» sono inserite le seguenti: «di tutte le parti»;
  2. al comma 2, secondo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e lo comunica a tutte le parti»;
  3. dopo il comma 2 è aggiunto il seguente: «2-bis. L’accordo è trasmesso con modalità telematiche, a cura degli avvocati che assistono le parti, al procuratore della Repubblica per il rilascio del nullaosta o per l’autorizzazione. Il procuratore della Repubblica, quando appone il nullaosta o rilascia l’autorizzazione, trasmette l’accordo sottoscritto digitalmente agli avvocati delle parti»;
  4. al comma 3, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «Gli eventuali patti di trasferimento immobiliari contenuti nell’accordo hanno effetti obbligatori»;
  5. dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:

«3-bis. Quando la negoziazione assistita ha ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell’unione civile, le parti possono stabilire, nell’accordo, la corresponsione di un assegno in unica soluzione. In tal caso la valutazione di equità è effettuata dagli avvocati, mediante certificazione di tale pattuizione, ai sensi dell’articolo 5, ottavo comma, della legge 1° dicembre 1970, n. 898.

3-ter. L’accordo, munito di nullaosta o di autorizzazione, è trasmesso senza indugio a mezzo posta elettronica certificata o con altro sistema elettronico di recapito certificato qualificato, a cura degli avvocati che lo hanno sottoscritto, al Consiglio dell’ordine presso cui è iscritto uno degli avvocati, che ne cura la conservazione in apposito archivio. Il Consiglio dell’ordine, se richiesto, rilascia copia autentica dell’accordo alle parti e ai difensori che lo hanno sottoscritto. La conservazione ed esibizione dell’accordo è disciplinata dall’articolo 43 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.»;

6. alla rubrica, le parole «uno o più» sono soppresse;

  1. dopo l’articolo 11, è inserita la seguente Sezione:

 

«Sezione II

Disposizioni sul patrocinio a spese dello Stato nella negoziazione assistita

Art. 11-bis

(Istituzione del patrocinio e ambito di applicabilità)

  1. È assicurato, alle condizioni stabilite nella presente sezione, il patrocinio a spese dello Stato alla parte non abbiente per l’assistenza dell’avvocato nel procedimento di negoziazione assistita nei casi di cui all’articolo 3, comma 1, se è raggiunto l’accordo.
  2. L’ammissione al patrocinio è esclusa nelle controversie per cessione di crediti e ragioni altrui, ad eccezione del caso in cui la cessione appare indubbiamente fatta in pagamento di crediti o ragioni preesistenti.

Art. 11-ter

(Condizioni per l’ammissione)

  1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore all’importo indicato dagli articoli 76 e 77 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

Art. 11-quater

(Istanza per l’ammissione anticipata)

  1. L’interessato che si trova nelle condizioni indicate nell’articolo 11-ter può chiedere di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato al fine di stipulare una convenzione di negoziazione assistita e partecipare alla relativa procedura.
  2. L’istanza per l’ammissione, a pena di inammissibilità, è redatta e sottoscritta in conformità agli articoli 78, comma 2, e 79, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, e contiene le enunciazioni in fatto e in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere
  3. Per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stato non appartenente all’Unione europea o l’apolide, a pena di inammissibilità, correda l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente che attesta la veridicità di quanto in essa In caso di impossibilità di presentare tale certificazione, l’istanza è corredata da una dichiarazione sostitutiva di certificazione, redatta ai sensi dell’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.

Art. 11-quinquies

(Organo competente a ricevere l’istanza di ammissione anticipata e nomina dell’avvocato)

  1. L’istanza per l’ammissione anticipata è presentata, personalmente o a mezzo raccomandata o a mezzo posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato, dall’interessato o dall’avvocato che ne ha autenticato la firma, al Consiglio dell’ordine degli avvocati del luogo in cui ha sede il tribunale che sarebbe competente a conoscere della controversia.
  2. Entro venti giorni dalla presentazione dell’istanza per l’ammissione, il Consiglio dell’ordine degli avvocati, verificatane l’ammissibilità, ammette l’interessato al patrocinio, in via anticipata e provvisoria, e gliene dà immediata comunicazione.
  3. Chi è ammesso al patrocinio può nominare un avvocato scelto tra gli iscritti negli elenchi degli avvocati per il patrocinio a spese dello Stato, istituiti presso il Consiglio individuato in conformità al comma 1.

Art. 11-sexies

(Ricorso avverso il rigetto dell’istanza per l’ammissione anticipata)

  1. Contro il rigetto dell’istanza per l’ammissione anticipata, l’interessato può proporre ricorso, entro venti giorni dalla comunicazione, avanti al presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il Consiglio dell’ordine che ha adottato il provvedimento. Si applica l’articolo 99, commi 2, 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.

Art. 11-septies

(Effetti dell’ammissione anticipata e sua conferma)

  1. L’ammissione anticipata al patrocinio è valida per l’intera procedura di negoziazione assistita e la parte ammessa è tenuta, nel corso del procedimento, a comunicare al proprio avvocato le modifiche reddituali idonee a incidere sulle condizioni di ammissione di cui all’articolo 11-ter.
  2. Quando è raggiunto l’accordo di negoziazione, l’ammissione è confermata, su istanza dell’avvocato, dal Consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione anticipata, mediante apposizione del visto di congruità sulla parcella.
  3. L’istanza di conferma indica l’ammontare del compenso richiesto dall’avvocato ed è corredata dall’accordo. Il Consiglio dell’ordine, verificata la completezza della documentazione e la congruità del compenso in base al valore dell’accordo indicato ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, conferma l’ammissione e trasmette copia della parcella vistata all’ufficio competente del Ministero della giustizia perché proceda alle verifiche ritenute necessarie.
  4. L’avvocato non può chiedere e percepire dal proprio assistito compensi o rimborsi a qualunque titolo, diversi da quelli previsti dal presente Ogni patto contrario è nullo e si applica l’articolo 85, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002.

Art. 11-octies

(Determinazione, liquidazione e pagamento dell’onorario e delle spese dell’avvocato)

  1. Con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative della legge 26 novembre 2021, n. 206, sono stabiliti gli importi spettanti all’avvocato della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato a titolo di onorario e spese. Con il medesimo decreto sono individuate le modalità di liquidazione e di pagamento, anche mediante riconoscimento di credito di imposta o di compensazione, delle somme determinate ai sensi del presente articolo, nonché le modalità e i contenuti della relativa richiesta e i controlli applicabili, anche di autenticità.

Art. 11-novies

(Revoca del provvedimento di ammissione e ricorso avverso il relativo decreto)

  1. L’insussistenza dei presupposti per l’ammissione, da chiunque accertata, anche a seguito dei controlli di cui all’articolo 11-decies, è comunicata al Consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione.
  2. Le sopravvenute modifiche delle condizioni reddituali che escludono l’ammissione al patrocinio sono immediatamente comunicate dalla parte ammessa o dal suo avvocato al Consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione in via anticipata.
  3. Ricevute le comunicazioni previste dai commi 1 e 2, il Consiglio dell’ordine, effettuate le verifiche ritenute necessarie, revoca l’ammissione e ne dà comunicazione all’interessato e all’avvocato.
  4. Contro il provvedimento di revoca l’interessato può proporre ricorso, entro venti giorni dalla comunicazione, avanti al presidente del tribunale del luogo in cui ha sede il Consiglio dell’ordine che lo ha adottato. Si applica l’articolo 99, commi 2, 3 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, 115.

Art. 11-decies

(Sanzioni e controlli da parte della Guardia di finanza)

  1. Chiunque, al fine di ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, formula l’istanza per l’ammissione corredata dalla dichiarazione sostitutiva di certificazione, attestante falsamente la sussistenza delle condizioni di reddito previste, è punito ai sensi dell’articolo 125, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, 115.
  2. Si applica l’articolo 88 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

Art. 11-undecies

(Disposizioni finanziarie)

  1. All’onere derivante dall’attuazione delle disposizioni di cui alla sezione II del presente capo, valutato in euro 549.360 annui a decorrere dall’anno 2023, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per l’attuazione della delega per l’efficienza del processo civile di cui all’articolo 1, comma 39, legge 26 novembre 2021, n. 206.».

ART. 10

(Abrogazioni in materia di affiliazione commerciale e arbitrato societario)

  1. Alla legge 6 maggio 2004, 129, l’articolo 7 è abrogato.
  2. Al decreto legislativo 17 gennaio 2003, 5, gli articoli da 34 a 37 sono abrogati.

Sezione II

Modifiche in materia di processo civile telematico

ART. 11

(Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221)

  1. Al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, gli articoli 16-bis, 16-septies, 16-decies e 16-undecies sono abrogati.

ART. 12

 

(Modifiche alla legge 21 gennaio 1994, n. 53)

  1. Alla legge 21 gennaio 1994, 53, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 3-bis:
      1. dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. Fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata presso l’indirizzo individuato ai sensi dell’articolo 16-ter, comma 1-ter, del decreto- legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221.»;
      2. al comma 2, le parole «16-undecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221» sono sostituite dalle seguenti: «196-undecies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie»;
      3. al comma 3 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, fermo quanto previsto dall’articolo 147, secondo e terzo comma, del codice di procedura civile»;
    2. dopo l’articolo 3-bis è inserito il seguente:

«Art. 3-ter

  1. L’avvocato esegue la notificazione degli atti giudiziali in materia civile e degli atti stragiudiziali a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato quando il destinatario:
    1. è un soggetto per il quale la legge prevede l’obbligo di munirsi di un domicilio digitale risultante dai pubblici elenchi;
    2. ha eletto domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell’articolo 6-quater del medesimo decreto;
  2. Nei casi previsti dal comma 1, quando per causa imputabile al destinatario la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito certificato qualificato non è possibile o non ha esito positivo:
    1. se il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice INI-PEC di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, 82, l’avvocato esegue la notificazione mediante inserimento a spese del richiedente nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento; la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento;
    2. se il destinatario è una persona fisica o un ente di diritto privato non tenuto all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese e ha eletto il domicilio digitale di cui all’articolo 6-quater del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, l’avvocato esegue la notificazione con le modalità ordinarie;
  3. Quando per causa non imputabile al destinatario la notificazione di cui al comma 1 non è possibile o non ha esito positivo, si esegue con le modalità ordinarie»;

c. all’articolo 4, al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per le notificazioni in materia civile e degli atti stragiudiziali, la facoltà prevista dal primo periodo può essere esercitata fuori dei casi di cui all’articolo 3-ter, commi 1 e 2».

ART. 13

(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

  1. Al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 18-bis, le parole «Il pagamento deve essere effettuato con le modalità previste dall’articolo 4, comma 9, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24» sono sostituite dalle seguenti: «Il contributo è corrisposto tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, 82»;
    2. all’articolo 30, dopo le parole «La parte che per prima si costituisce in giudizio, che deposita il ricorso introduttivo, ovvero che, nei processi esecutivi di espropriazione forzata, fa istanza per l’assegnazione o la vendita di beni pignorati, anticipa,» sono inserite le seguenti «con le modalità di cui all’articolo 197, comma 1-bis»;
    3. all’articolo 32, dopo le parole «Le parti devono anticipare agli ufficiali giudiziari» sono inserite le seguenti «, con le modalità di cui articolo 197, comma 1-bis»;
    4. l’articolo 191 è abrogato;
    5. all’articolo 192:
      1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Il contributo unificato per i procedimenti dinanzi al giudice ordinario e al giudice tributario è corrisposto tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, 82.»;
      2. dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti:

«1-bis. Il pagamento del contributo unificato non effettuato in conformità alla disposizione di cui al comma 1 non libera la parte dagli obblighi di cui all’articolo 14 e la relativa istanza di rimborso deve essere proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dal predetto pagamento.

1-ter. Per i procedimenti dinnanzi al giudice tributario, le disposizioni di cui ai commi 1 e 1-bis acquistano efficacia sessanta giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del provvedimento con cui il direttore della direzione sistema informativo della fiscalità del Ministero dell’economia e delle finanze attesta la funzionalità del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

1-quater. Della pubblicazione del provvedimento di cui al comma 1-ter nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana è data immediatamente notizia sul sito istituzionale dell’amministrazione interessata.

1-quinquies. Per i procedimenti innanzi al giudice ordinario, le disposizioni di cui ai commi 1 e 1-bis acquistano efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2023.

1-sexies. Se è attestato, con provvedimento pubblicato sul sito istituzionale del Ministero della giustizia o del Ministero dell’economia e delle finanze, il mancato funzionamento del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, non si applicano i commi 1 e 1-bis e il contributo unificato è corrisposto mediante bonifico bancario o postale, ai sensi del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 9 ottobre 2006, n. 293; la prova del versamento è costituita esclusivamente dall’originale della ricevuta, regolarmente sottoscritta.»;

f. all’articolo 196, il comma 1 è sostituito dal seguente: «Il diritto di copia, il diritto di certificato e le spese per le notificazioni a richiesta d’ufficio nel processo civile sono corrisposti tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, 82.»;

g. all’articolo 197:

  1. dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. A decorrere dal 1° giugno 2023 le spettanze di cui al comma 1 sono corrisposte tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, 82.»;
  2. al comma 3, dopo le parole «Per le spese degli atti esecutivi e quando non sia possibile la preventiva determinazione delle somme dovute, o questa risulti difficoltosa per il rilevante numero delle richieste, la parte versa,» sono inserite le seguenti: «con le modalità previste dal comma 1-bis,».

ART. 14

(Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267)

  1. Al regio decreto 16 marzo 1942, 267, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 33, quinto comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Il rapporto contiene i dati identificativi dello stimatore»;
    2. all’articolo 119, primo comma, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Unitamente all’istanza di cui al primo periodo il curatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall’articolo 33, quinto comma»;
    3. all’articolo 182, il sesto comma è sostituito dal seguente: «Si applica l’articolo 33, quinto comma, primo, secondo e terzo periodo, sostituendo al curatore il liquidatore, che provvede con periodicità semestrale dalla nomina. Conclusa l’esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, il liquidatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall’articolo 33, quinto comma. Il liquidatore comunica a mezzo di posta elettronica certificata altra copia dei rapporti al commissario giudiziale, che a sua volta li comunica ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo comma»;
    4. all’articolo 186-bis, è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui all’articolo 172, primo comma, il commissario giudiziale redige un rapporto riepilogativo secondo quanto previsto dall’articolo 33, quinto comma, e lo trasmette ai creditori a norma dell’articolo 171, secondo comma. Conclusa l’esecuzione del concordato, deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall’articolo 33, quinto comma».

 

Sezione III

Modifiche in materia di processo di primo grado e consulenti tecnici d’ufficio

ART. 15

(Modifiche alle leggi speciali conseguenti all’introduzione del rito semplificato e alla riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale)

  1. Alla legge 24 marzo 2001, 89, articolo 1-ter, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Ai fini della presente legge, nei processi civili costituisce rimedio preventivo a norma dell’articolo 1-bis, comma 1, l’introduzione del giudizio nelle forme del procedimento semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile. Costituisce altresì rimedio preventivo formulare richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito semplificato a norma dell’articolo 183-bis del codice di procedura civile, entro l’udienza di trattazione e comunque almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis. Nelle cause in cui non si applica il rito semplificato di cognizione, ivi comprese quelle in grado di appello, costituisce rimedio preventivo proporre istanza di decisione a seguito di trattazione orale a norma degli articoli 275, commi secondo, terzo e quarto, 281-sexies e 350-bis del codice di procedura civile, almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2, comma 2-bis. Nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice istruttore quando ritiene che la causa può essere decisa a seguito di trattazione orale, rimette la causa al collegio a norma dell’articolo 275-bis del codice di procedura civile.».
  2. Alla legge 8 marzo 2017, 24, articolo 8, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. al comma 2, secondo periodo, le parole «ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis» sono sostituite dalle seguenti: «ai sensi dell’articolo 5, comma 1»;
    2. al comma 3, le parole «di cui all’articolo 702-bis» sono sostituite dalle seguenti: «di cui all’articolo 281-undecies» e le parole «; si applicano gli articoli 702-bis e seguenti» sono sostituite dalle seguenti: «e procede con le forme del rito semplificato di cognizione a norma degli articoli 281-decies e seguenti».
  3. Al decreto legislativo 1° settembre 2011, 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 1, comma 1, la lettera c) è sostituita dalla seguente: «c) Rito semplificato di cognizione: il procedimento regolato dalle norme del capo III-quater del titolo I del libro secondo del codice di procedura civile»;
    2. all’articolo 3, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, le parole «non si applicano i commi secondo e terzo dell’articolo 702-ter del codice di procedura civile» sono sostituite dalle seguenti: «non si applica il comma primo dell’articolo 281-duodecies del codice di procedura civile.»;
      2. al comma 2, le parole «con il decreto di cui all’articolo 702-bis, terzo comma, del codice di procedura civile» sono soppresse;
      3. il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Fermo quanto previsto dal comma 1, quando è competente la corte di appello in primo grado il presidente nomina l’istruttore a norma dell’articolo 349-bis del codice di procedura civile e il procedimento è regolato dagli articoli 281-undecies e 281-duodecies del codice di procedura civile»;
      4. alla rubrica, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente «semplificato»;
    3. all’articolo 4, al secondo comma, le parole «non oltre la prima udienza di comparizione delle parti» sono sostituite dalle seguenti: «entro il termine di cui all’articolo 171-bis del codice di procedura civile»;
    4. alla rubrica del Capo III, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    5. all’articolo 14 sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 2, la parola «collegiale» è sostituita dalla seguente: «monocratica»;
      3. al comma 4, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
    6. all’articolo 15, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 6, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
    7. all’articolo 16, al comma 1, la  parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    8. all’articolo 17, al comma 1, la  parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    9. all’articolo 18, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 9, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
    10. all’articolo 19-bis, al primo comma, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    11. all’articolo 19-ter, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 6, primo periodo, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
    12. all’articolo 20, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 3, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
    13. all’articolo 21, al comma 1, la  parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    14. all’articolo 22, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 6, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
      3. al comma 7, le parole «l’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «la sentenza»;
      4. al comma 8, le parole «dell’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «della sentenza»;
      5. al comma 9, le parole «di cui all’articolo 702-quater» sono sostituite dalle seguenti: «per l’appello» e le parole «dell’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «della sentenza»;
      6. al comma 11, le parole «steso in calce al ricorso medesimo» sono soppresse;
    15. all’articolo 23, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 5, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
      3. al comma 7, le parole «steso in calce al ricorso medesimo» sono soppresse;
    16. all’articolo 24, al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    17. all’articolo 25, al comma 1, la  parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    18. all’articolo 26, al comma 1, la  parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
    19. all’articolo 27, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 5, le parole «L’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «La sentenza»;
    20. all’articolo 28, sono apportate le seguenti modificazioni:
      1. al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato»;
      2. al comma 5, le parole «l’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «la sentenza»;
      3. al comma 7, secondo periodo, le parole «Dell’ordinanza» sono sostituite dalle seguenti: «Della sentenza»;
    21. all’articolo 29, al comma 1, la parola «sommario» è sostituita dalla seguente: «semplificato».
  1. Al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132, articolo 15, dopo il comma 0.1, è aggiunto il seguente: «0.1-bis L’agente del Governo comunica a tutte le parti del processo che ha dato luogo alla sentenza del giudice italiano sottoposta all’esame della Corte europea, nonché al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, la pendenza del procedimento promosso innanzi alla Corte europea stessa.».

ART. 16

(Modifiche alle leggi speciali in materia di albi dei consulenti tecnici d’ufficio esercenti le professioni sanitarie)

  1. Al decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 novembre 2012, n. 189, articolo 3, comma 5, la parola «quinquennale» è sostituita con la seguente: «biennale».
  2. Al decreto-legge 18 ottobre 2012, 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, articolo 16-novies, al quarto comma è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Resta fermo quanto previsto dagli articoli 23, secondo comma, secondo periodo, e 24-bis, secondo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile.».

Sezione IV

Modifiche in materia di impugnazioni

 

ART. 17

(Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

  1. Al regio decreto 30 gennaio 1941, 12, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. l’articolo 67-bis è abrogato;
    2. all’articolo 76:
      1. al comma 1, lettera b), le parole «dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all’articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile» sono sostituite dalla seguente: «civili»;
      2. dopo il comma 1 è aggiunto il seguente: «1- Nei procedimenti trattati in camera di consiglio il pubblico ministero formula conclusioni scritte nei casi previsti dalla legge.».

ART. 18

(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

  1. All’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, dopo il comma 1-quater, è inserito il seguente: «1-quater.1. Le disposizioni di cui al comma 1-quater non si applicano quando il ricorso per cassazione viene dichiarato estinto ai sensi dell’articolo 380-bis, secondo comma, ultimo periodo, del codice di procedura civile.».

ART. 19

(Modifiche al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104)

  1. All’articolo 1, comma 1, secondo periodo, delle norme di attuazione, di cui all’allegato 2 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, le parole «dell’articolo 369, comma 3, del codice di procedura civile, o ai sensi dell’articolo 123» sono sostituite dalle seguenti: «degli articoli 123 e 137-bis».

ART. 20

(Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221)

  1. All’articolo 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, le parole «Salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando» sono sostituite dalla seguente: «Quando».

Sezione V

Ulteriori interventi in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo

ART. 21

(Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione).

  1. Le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante.
  2. Il notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto. Nell’ipotesi di cui all’articolo 747, quarto comma, del codice di procedura civile deve essere sentito il legatario.
  3. Ove per effetto della stipula dell’atto debba essere riscosso un corrispettivo nell’interesse del minore o di un soggetto sottoposto a misura di protezione, il notaio, nell’atto di autorizzazione, determina le cautele necessarie per il reimpiego del medesimo.
  4. L’autorizzazione è comunicata, a cura del notaio, anche ai fini dell’assolvimento delle formalità pubblicitarie, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale e al pubblico ministero presso il medesimo tribunale.
  5. L’autorizzazione può essere impugnata innanzi all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento 
  6. Le autorizzazioni acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dai commi precedenti senza che sia stato proposto reclamo. Esse possono essere in ogni tempo modificate o revocate dal giudice tutelare, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.
  7. Restano riservate in via esclusiva all’autorità giudiziaria le autorizzazioni per promuovere, rinunciare, transigere o compromettere in arbitri giudizi, nonché per la continuazione dell’impresa commerciale.

ART. 22

(Modifiche alla legge 16 febbraio 1913, n. 89)

  1. All’articolo 56, comma 2, della legge 16 febbraio 1913, n. 89, dopo le parole «che sarà nominato dal presidente del tribunale» sono inserite le seguenti: «o dal notaio individuato per la stipula dell’atto».

ART. 23

(Modifiche alla legge 7 marzo 1996, n. 108)

  1. All’articolo 17 della legge 7 marzo 1996, 108, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. al comma 2, dopo le parole «La riabilitazione è accordata con decreto del presidente del tribunale» sono inserite le seguenti: «o con atto notarile»;
    2. al comma 4, dopo le parole «Il decreto» sono inserite le seguenti: «o l’atto»;
    3. al comma 6-bis, le parole «del provvedimento» sono sostituite dalle seguenti: «del decreto o dell’atto».

ART. 24

(Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150)

  1. Al decreto legislativo 1° settembre 2011, 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 13:
      1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Le controversie aventi ad oggetto l’opposizione al diniego di riabilitazione di cui all’articolo 17, comma 3, della legge 7 marzo 1996, n. 108, ovvero al decreto o all’atto di riabilitazione ai sensi del comma 4 del medesimo articolo sono regolate dal rito del lavoro, ove non diversamente disposto dal presente articolo.»;
      2. il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro trenta giorni dalla comunicazione del diniego di riabilitazione o dalla pubblicazione del decreto o dell’atto di riabilitazione effettuata ai sensi dell’articolo 17, comma 4, della legge n. 108 del 1996, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero.»;
    2. all’articolo 30, al comma 1, le parole «dal rito sommario di cognizione» sono sostituite dalle seguenti: «dal rito semplificato di cognizione»;
    3. dopo l’articolo 30 è aggiunto il seguente:

«Art. 30-bis

(Dei procedimenti in materia di efficacia di decisioni straniere previsti dal diritto dell’Unione europea e dalle convenzioni internazionali)

  1. Si svolgono in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività e in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di decisioni emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri dell’Unione europea in conformità al diritto In particolare, sono introdotti con tale rito i procedimenti previsti dagli atti indicati di seguito:
    1. regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) 1347/2000;
    2. regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari;
    3. regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi;
    4. regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate;
    5. regolamento (UE) 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo.
  2. Nei casi di cui al comma 1 si applicano gli articoli 737 e 738 del codice di procedura Contro il decreto pronunciato in camera di consiglio può essere promosso ricorso nelle forme del rito semplificato entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del decreto.
  3. Le domande di diniego del riconoscimento delle decisioni che rientrano nel campo di applicazione degli atti indicati nel comma 1, sono introdotte con il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile.
  4. Si svolgono con il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile i procedimenti di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione e di accertamento dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento di decisioni immediatamente esecutive emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri in conformità al diritto dell’Unione. In particolare, sono introdotti con tale rito i procedimenti previsti dagli atti di seguito indicati:
    1. regolamento (UE) 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale;
    2. regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile;
    3. regolamento (UE) n. 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione);
    4. regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori.
  5. Si svolgono con il rito semplificato di cognizione di cui agli articoli 281-decies e seguenti del codice di procedura civile i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di decisioni straniere o in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, o il diniego di tale riconoscimento, allorché l’efficacia delle medesime decisioni si fondi su una convenzione internazionale, fatte salve diverse disposizioni previste dalla convenzione applicabile.
  6. I procedimenti previsti dagli atti di cui ai commi 1, 3 e 5 sono promossi innanzi alla corte di appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti dai medesimi atti o, in mancanza, ai sensi dell’articolo 30. Le decisioni della corte di appello sono impugnabili innanzi alla Corte di cassazione per i motivi previsti dall’articolo 360 del codice di procedura civile.
  7. Ai procedimenti disciplinati dal presente articolo ed aventi ad oggetto gli atti pubblici, le transazioni giudiziarie e gli accordi stragiudiziali stranieri si applicano le disposizioni del presente articolo nei limiti e alle condizioni previste dal diritto dell’Unione e dalle convenzioni internazionali.».

ART. 25

(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396)

  1. Al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, 396, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 95, al comma 1, dopo le parole «Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito» sono inserite le seguenti: «al di fuori dei casi di cui all’articolo 98, comma 2-bis,»;
    2. all’articolo 98:
      1. al comma 1, è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Con le medesime modalità, l’ufficiale dello stato civile procede, inoltre, su istanza di chiunque ne abbia interesse, alla correzione degli atti formati, quando emerge la discordanza tra le indicazioni in essi riportate e quelle risultanti da altri documenti rilasciati dalle autorità »;
      2. dopo il comma 2, è inserito il seguente: «2-bis. L’ufficiale dello stato civile provvede, altresì, su istanza di chiunque ne abbia interesse o del procuratore della Repubblica, alla ricostituzione di un atto distrutto o smarrito, dandone contestuale avviso al procuratore della Repubblica del luogo dove è stato registrato l’atto nonché agli Il primo periodo si applica nelle sole ipotesi in cui l’ufficiale dello stato civile dispone di prove documentali della formazione e dei contenuti essenziali dell’atto.»;
      3. al comma 3, le parole «la correzione» sono sostituite dalle seguenti: «i provvedimenti di cui al presente articolo»;
      4. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Correzione e ricostituzione di atti dello stato civile»;
    3. all’articolo 99:
      1. il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Le disposizioni di cui all’articolo 98 si applicano, altresì, per gli atti di competenza dell’autorità diplomatica o In tal caso il ricorso in opposizione si propone al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile in cui è stato registrato o avrebbe dovuto essere registrato l’atto.»;
      2. il comma 2 è abrogato;
      3. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Correzione e ricostituzione degli atti dell’autorità diplomatica o consolare»;
    4. alla rubrica del Titolo XI, la parola «giudiziali» è soppressa.

 

ART. 26

(Ulteriori disposizioni in materia di esecuzione forzata)

  1. Al decreto legislativo 26 agosto 2016, 174, l’articolo 212 è sostituito dal seguente:

«Art. 212

(Titolo esecutivo)

  1. Le decisioni definitive di condanna, l’ordinanza esecutiva emessa ai sensi dell’articolo 132, comma 3, e i provvedimenti emessi ai sensi dell’articolo 134, comma 4, formati in copia attestata conforme all’originale, valgono come titolo per l’esecuzione forzata per la parte a favore della quale è stato pronunciato il provvedimento o per i suoi successori.
  2. Il rilascio della copia attestata conforme all’originale alle amministrazioni interessate avviene d’ufficio, da parte della segreteria della sezione ».
  1. All’allegato 1 del decreto legislativo 2 luglio 2010, 104, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 115:
      1. i commi 1 e 3 sono abrogati;
      2. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Iscrizione di ipoteca»;
    2. all’articolo 136, comma 2-ter, il terzo periodo è soppresso.

3. All’articolo 29, comma 1, lettera o) della legge 31 dicembre 2012, n. 247, le parole «con l’apposizione della prescritta formula» sono soppresse.

4. All’articolo 23 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, 176, il comma 9-bis è soppresso.

5. Ai fini dell’esecuzione forzata degli atti e dei provvedimenti, anche di autorità di altri Paesi, aventi efficacia di titolo esecutivo, non è necessaria l’apposizione della formula esecutiva né la spedizione in forma esecutiva. Sono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con il principio affermato dal periodo precedente nella parte in cui prevedono l’apposizione della formula esecutiva o la spedizione in forma esecutiva.

6. È istituita presso il Ministero della giustizia una banca dati relativa alle aste giudiziarie, contenente i dati identificativi degli offerenti, i dati identificativi del conto bancario o postale utilizzato per versare la cauzione e il prezzo di aggiudicazione, nonché le relazioni di La banca dati è articolata nelle seguenti sezioni: 1) esecuzioni immobiliari; 2) esecuzioni mobiliari; 3) vendite in sede fallimentare. I dati identificativi degli offerenti, del conto e dell’intestatario devono essere messi a disposizione, su richiesta, dell’autorità giudiziaria, civile e penale. Con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, sono stabilite le modalità di acquisizione dei dati di cui al comma 1, le modalità di inserimento dei medesimi nella banca dati, nonché le modalità di esercizio del potere di vigilanza da parte del Ministero della giustizia.

Sezione VI

Modifiche relative al procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie

ART. 27

(Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898)

  1. Alla legge 1° dicembre 1970, 898, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 3, primo comma, numero 2, il periodo «In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dall’avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato » è sostituito dai seguenti: «In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell’udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile. Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la domanda di separazione personale e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati.»;
    2. l’articolo 4 è abrogato;
    3. all’articolo 5, il nono comma è abrogato;
    4. l’articolo 8 è abrogato;
    5. all’articolo 9, il primo comma è abrogato;
    6. all’articolo 10, il primo comma è abrogato.

 

ART. 28

(Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184)

  1. Alla legge 4 maggio 1983, 184, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 2:
      1. dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1.1. Il minore non può essere affidato a parenti o affini entro il quarto grado di chi ha composto il collegio che ha adottato il provvedimento, del consulente tecnico d’ufficio e di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo »;
      2. dopo il comma 2, è inserito il seguente: «2-bis. Il minore non può essere inserito presso strutture o comunità pubbliche o private nelle quali rivestono cariche rappresentative, o partecipano alla gestione delle medesime strutture, o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o fanno parte degli organi di società che le gestiscono, persone che sono parenti o affini entro il quarto grado, convivente, parte dell’unione civile o coniuge di chi ha composto il collegio che ha adottato il provvedimento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo »;
    2. all’articolo 4:
      1. al comma 1, dopo le parole «L’affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente» sono inserite le seguenti: «in via esclusiva»;
      2. al comma 2, secondo periodo, dopo le parole «Si applicano» sono inserite le seguenti: «l’articolo 5-bis e»;
      3. il comma 4 è sostituito dal seguente: «4. Nel provvedimento di cui al comma 3, deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, su richiesta del pubblico ministero e nel contraddittorio delle parti, qualora la sospensione dell’affidamento rechi grave pregiudizio al minore. A tal fine, prima del decorso del termine di durata dell’affidamento il servizio sociale segnala al pubblico ministero l’opportunità di richiederne la proroga»;
      4. al comma 5, dopo le parole «L’affidamento familiare cessa» sono inserite le seguenti: «con il decorso del termine di cui al comma 4 o»;
      5. al comma 5-quater, le parole «ai commi 5-bis e 5-ter» sono sostituite dalle seguenti: «ai commi 4, 5-bis e 5-ter»;
      6. al comma 7, dopo le parole «un istituto di assistenza pubblico o privato» sono inserite le seguenti: «, ma decorsi dodici mesi il giudice verifica nel contraddittorio delle parti l’andamento del programma di assistenza, l’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza e l’opportunità della prosecuzione dell’inserimento»;
    3. all’articolo 5, comma 1, primo periodo le parole «o del tutore» sono sostituite dalle seguenti: «ovvero del tutore o curatore»;
    4. dopo l’articolo 5, è inserito il seguente:

«Art. 5-bis

  1. Il minore può essere affidato al servizio sociale del luogo di residenza abituale, quando si trova nella condizione prevista dall’articolo 333 del codice civile e gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3, si sono rivelati inefficaci o i genitori non hanno collaborato alla loro attuazione, fatto salvo quanto previsto all’articolo 2, comma 3
  2. Con il provvedimento con cui dispone la limitazione della responsabilità genitoriale e affida il minore al servizio sociale, il tribunale indica:
    1. il soggetto presso il quale il minore è collocato;
    2. gli atti che devono essere compiuti direttamente dal servizio sociale dell’ente locale, anche in collaborazione con il servizio sanitario, in base agli interventi previsti dall’articolo 4, comma 3;
    3. gli atti che possono essere compiuti dal soggetto collocatario del minore;
    4. gli atti che possono essere compiuti dai genitori;
    5. gli atti che possono essere compiuti dal curatore nominato ai sensi dell’articolo 333, secondo comma, del codice civile;
    6. i compiti affidati al servizio sociale ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
    7. la durata dell’affidamento, non superiore a ventiquattro mesi;
    8. la periodicità, non superiore a sei mesi, con la quale il servizio sociale riferisce all’autorità giudiziaria che procede ovvero, in mancanza, al giudice tutelare sull’andamento degli interventi, sui rapporti mantenuti dal minore con i genitori, sull’attuazione del progetto predisposto dal tribunale;
  3. Il servizio sociale, nello svolgimento dei compiti a lui affidati e nell’adozione delle scelte a lui demandate, tiene conto delle indicazioni dei genitori che non siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale e del minore nonché, ove vi siano, del curatore e del curatore speciale.
  4. Entro quindici giorni dalla notifica del provvedimento il servizio sociale comunica il nominativo del responsabile dell’affidamento al tribunale, ai genitori, agli esercenti la responsabilità genitoriale, al curatore se nominato e al soggetto collocatario.
  5. Se l’affidamento al servizio sociale è disposto con il provvedimento che definisce il giudizio, la decisione è comunicata al giudice tutelare del luogo di residenza abituale del minore, per la vigilanza sulla sua attuazione.
  6. Il giudice competente per l’attuazione, su istanza del servizio sociale, adotta i provvedimenti opportuni nell’interesse del minore.
  7. Si applicano le disposizioni in materia di inefficacia e di proroga dell’affidamento di cui all’articolo 4, commi 4, 5 e 5-quater.»

 

ART. 29

(Altre modifiche alle leggi speciali in materia di persone, minorenni e famiglie)

  1. Al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, 835, articolo 6-bis, comma 1, dopo le parole «che rivestono cariche rappresentative in strutture» sono inserite le seguenti: «o comunità pubbliche o private».
  2. Alla legge 31 maggio 1995, 218, l’articolo 31 è sostituito dal seguente:

«Art. 31

(Scelta della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale)

  1. La separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge designata dal regolamento n. 2010/1259/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e successive modificazioni.
  2. Le parti possono designare di comune accordo la legge applicabile, ai sensi dell’articolo 5 del regolamento, mediante scrittura privata. La designazione può avvenire anche nel corso del procedimento, sino alla conclusione dell’udienza di prima comparizione delle parti, anche con dichiarazione resa a verbale dai coniugi, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale.».
  3. Alla legge 4 aprile 2001, 154, l’articolo 8 è abrogato.
  4. Alla legge 10 dicembre 2012, 219, articolo 3, il comma 2 è abrogato.
  5. Al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, articolo 6, comma 2, al secondo periodo, dopo le parole «Quando ritiene che l’accordo non risponde all’interesse dei figli» sono inserite le seguenti: «o che è opportuno procedere al loro ascolto».
  6. Alla legge 20 maggio 2016, n. 76, articolo 1, il comma 25 è sostituito dal seguente: « Si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 5, primo, quinto, sesto, settimo, ottavo, decimo e undicesimo comma, 9 secondo comma, 9-bis, 10 secondo comma, 12-bis, 12-ter, 12-quater e 12-quinquies della legge 1° dicembre 1970, n. 898, nonché le disposizioni di cui al Titolo IV- bis del libro secondo del codice di procedura civile ed agli articoli 6 e 12 del decreto-legge 12 settembre 2014, 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162.».

Sezione VII

Modifiche in materia di tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie

ART. 30

(Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

  1. Al regio decreto 30 gennaio 1941, 12, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 43, primo comma, la lettera c) è soppressa;
    2. l’articolo 49 è sostituito dal seguente:

«Art. 49

(Costituzione e giurisdizione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

In ogni sede di corte di appello o di sezione distaccata di corte di appello è costituito un tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, il quale si articola in una sezione distrettuale e in una o più sezioni circondariali.

La sezione distrettuale ha sede nel capoluogo di distretto di corte di appello o di sezione di corte di appello e ha giurisdizione su tutto il territorio della corte di appello o della sezione di corte di appello, nei limiti di competenza determinati dalla legge.

La sezione circondariale è costituita in ogni sede di tribunale ordinario del distretto di corte di appello o di sezione distaccata di corte di appello in cui ha sede il tribunale e ha giurisdizione su tutto il territorio del circondario.»;

c. l’articolo 50 è sostituito dal seguente:

«Art. 50

(Composizione dell’ufficio del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

Il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie è diretto dal presidente e ad esso sono addetti più giudici, dotati di specifiche competenze nelle materie attribuite al tribunale.

Nei tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie ai quali sono addetti più di dieci giudici possono essere istituiti posti di presidente di sezione, in numero non superiore a quello determinato dalla proporzione di uno a dieci.

I giudici addetti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie esercitano le relative funzioni in via esclusiva e ad essi non si applica il limite di permanenza nell’incarico presso lo stesso ufficio previsto dall’articolo 19 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160. Essi possono svolgere funzioni presso la sezione distrettuale e presso una o più sezioni circondariali del medesimo tribunale, anche per singoli procedimenti, secondo criteri determinati dalle tabelle previste dall’articolo 7-bis. Quando il magistrato è tabellarmente assegnato a più sezioni, le sue sedi di servizio corrispondono a quelle di svolgimento delle funzioni.

Nella formazione delle tabelle a ciascuna sezione sono destinati giudici nel numero richiesto dalle esigenze di servizio.

Al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono inoltre addetti giudici onorari esperti.»;

  1. dopo l’articolo 50 sono inseriti i seguenti:

«Art. 50.1

(Funzioni e attribuzioni del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

Il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, nell’ambito delle competenze ad esso attribuite dalla legge:

  1. esercita la giurisdizione in primo e in secondo grado, in materia civile nei procedimenti aventi ad oggetto lo stato e la capacità delle persone, la famiglia, l’unione civile, le convivenze, i minori;
  2. esercita la giurisdizione in primo grado in materia penale e nella materia della sorveglianza;
  3. esercita le funzioni di giudice tutelare;
  4. esercita nei modi stabiliti dalla legge le altre funzioni ad esso deferite;

Non rientrano nella competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie i procedimenti aventi ad oggetto la cittadinanza, l’immigrazione e il riconoscimento della protezione internazionale.

Art. 50.2

(Attribuzioni del presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

Il presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie dirige l’ufficio e lo rappresenta ed esercita le funzioni previste dall’articolo 47 sentiti i presidenti delle sezioni circondariali.

Art. 50.3

(Attribuzioni del presidente della sezione distrettuale e delle sezioni circondariali)

La sezione distrettuale è diretta dal presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

Le sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nelle quali sono istituiti posti di presidente di sezione sono dirette da un presidente di sezione. Con le tabelle formate ai sensi dell’articolo 7-bis, al presidente di sezione è attribuito l’incarico di dirigere una o più sezioni circondariali.

Nelle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie in cui non sono istituiti posti di presidente di sezione, dell’organizzazione del lavoro è incaricato il magistrato designato nelle tabelle formate ai sensi dell’articolo 7-bis. Le tabelle indicano specificamente gli incarichi di coordinamento conferiti, consistenti nella direzione delle sezioni circondariali, nel coordinamento di uno o più settori dei servizi o di gestione del personale, in ogni altra attività collaborativa in tutti i settori nei quali essa è ritenuta opportuna.

Il presidente di sezione esercita, con riguardo alle sezioni da lui dirette, le funzioni di cui all’articolo 47-quater e in particolare cura e dà impulso allo scambio di informazioni sui procedimenti e sulle esperienze giurisdizionali all’interno della sezione e tra le sezioni, anche mediante l’uso degli strumenti telematici.

I presidenti delle sezioni circondariali collaborano con il presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nell’attività di direzione dell’ufficio.

Art. 50.4

(Composizione dell’organo giudicante)

La sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie giudica in composizione monocratica.

La sezione distrettuale giudica, in materia civile, in composizione collegiale con il numero di tre componenti. Nei procedimenti previsti dai titoli II, III e IV della legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia penale e nelle altre materie attribuite alla sua competenza, la sezione distrettuale giudica in composizione collegiale con collegio composto da due magistrati e due giudici onorari esperti.

Art. 50.5

(Ripartizione degli affari tra la sezione distrettuale e le sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

Presso la sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono trattati i procedimenti previsti dagli articoli 84, 90, 250, quinto comma, 251, 317-bis, secondo comma, 330, 332, 333, 334, 335, 371, secondo comma, e 403 del codice civile, dai titoli I e I-bis della legge 4 maggio 1983, n. 184, e dall’articolo 31 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché tutti i procedimenti civili riguardanti lo stato e la capacità delle persone, la famiglia, l’unione civile, le convivenze e i minori, unitamente alle domande di risarcimento del danno connesse per l’oggetto o per il titolo, e i procedimenti di competenza del giudice tutelare.

Presso la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono trattati, nella materia civile, i procedimenti di primo grado attribuiti alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie diversi da quelli indicati al primo comma, nonché i giudizi di reclamo e di impugnazione avverso i provvedimenti pronunciati dalla sezione circondariale. Sono inoltre trattati presso la sezione distrettuale tutti i procedimenti attribuiti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nella materia penale e nelle altre materie previste dalla legge.

La ripartizione degli affari tra la sezione distrettuale e la sezione circondariale o tra diverse sezioni circondariali dello stesso tribunale non dà luogo a questioni di competenza.»;

e. all’articolo 50-bis:

  1. al primo comma, le parole «In ogni tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «In ogni sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;
  2. il secondo comma è sostituito dal seguente: «Nell’udienza preliminare e nel giudizio abbreviato richiesto dall’imputato in seguito a un decreto di giudizio immediato, la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie giudica composta da un magistrato e da due giudici onorari esperti della stessa »;

f. all’articolo 51:

  • al primo comma, le parole «al tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti:

«alla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

  1. il secondo comma è abrogato;
  2. alla rubrica, le parole «per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  3. all’articolo 54, al terzo comma, le parole «per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

h. all’articolo 58:

  1. al primo comma, primo periodo, le parole «del tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «pronunciati in primo grado dalla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Alla presidenza e alla composizione della sezione sono destinati, consentendolo le esigenze di servizio, magistrati che già esercitano o hanno esercitato funzioni nelle materie ad essa attribuite»;
  2. al secondo comma, dopo le parole «La sezione giudica con l’intervento di due» sono inserite le seguenti: «consiglieri onorari»;
  3. il terzo comma è abrogato;
  4. al quarto comma, le parole «corte di appello per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «corte di appello per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;
  5. la rubrica è sostituita dalla seguente: «Sezione per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

i. all’articolo 70, al primo comma, primo periodo, le parole «presso i tribunali per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «presso i tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

l. dopo l’articolo 70-bis, è inserito il seguente:

«Art. 70-ter

(Ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

Presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie è istituito un ufficio autonomo del pubblico ministero, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello o di sezione distaccata di corte di appello.

Al procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie spetta di promuovere ed esercitare l’azione penale per tutti i reati commessi dai minori degli anni 18 nel territorio della corte di appello o della sezione di corte di appello  in cui è istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, e perciò a lui sono trasmessi tutti i rapporti, i referti, le denunce, le querele, le istanze e le richieste concernenti reati commessi dai minori degli anni 18.

Allo stesso procuratore della Repubblica sono attribuiti, nelle materie di competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, tutti i poteri che le leggi conferiscono al pubblico ministero presso il tribunale.».

 

ART. 31

(Modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835)

  1. Al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, 835, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 1, quarto comma, le parole «il tribunale per i minorenni e la sezione di corte di appello per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la sezione di corte di appello per le persone, per i minorenni e per le famiglie», e le parole «procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «procura della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;
    2. gli articoli 2, 3, 4 e 5 sono abrogati;
    3. l’articolo 6 è sostituito dal seguente:

«Art. 6

(Nomina dei giudici onorari esperti e dei consiglieri onorari esperti)

I componenti privati del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e della sezione di corte di appello per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono scelti fra i cultori di biologia, di psichiatria, di antropologia criminale, di pedagogia, di psicologia, che abbiano compiuto il trentesimo anno di età.

I componenti privati sono nominati con decreto del Ministro della giustizia su proposta del Consiglio superiore della magistratura, ed è loro rispettivamente conferito il titolo di giudice onorario esperto, o di consigliere onorario esperto.

Prima di assumere l’esercizio delle loro funzioni, prestano giuramento innanzi al presidente della corte di appello a norma dell’articolo 9, secondo comma, dell’ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

I componenti privati durano in carica tre anni e possono essere confermati, senza limitazioni nel numero di mandati.

Quando è necessario, sono nominati uno o più supplenti.»;

d. all’articolo 6-bis:

  1. al comma 1, le parole «del tribunale per i minorenni» sono sostituite dalla seguente: «esperto» e le parole «della sezione di corte di appello per i minorenni» sono sostituite dalla seguente: «esperto»;
  2. al comma 3, le parole «del tribunale per i minorenni» sono sostituite dalla seguente: «esperto» e le parole «della sezione di corte di appello per i minorenni» sono sostituite dalla seguente: «esperto»;

e. l’articolo 7 è abrogato;

f. all’articolo 25, al primo comma le parole «Tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

g. all’articolo 25-bis:

  1. il primo comma è sostituito dal seguente: «Il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, qualora abbia notizia che un minore degli anni diciotto esercita la prostituzione, ne dà immediata notizia alla procura della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, che promuove i procedimenti per la tutela del minore e può proporre al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie la nomina di un Il tribunale adotta i provvedimenti utili all’assistenza, anche di carattere psicologico, al recupero e al reinserimento del minore. Nei casi di urgenza il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie procede d’ufficio.»;
  2. al secondo comma, le parole «tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

h. all’articolo 28, al secondo comma, le parole «Tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

i. l’articolo 32 è abrogato

ART. 32

(Modifiche al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160)

  1. Al decreto legislativo 5 aprile 2006, 160, articolo 10, sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. Le funzioni giudicanti di primo grado sono quelle di giudice presso il tribunale ordinario, presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, presso l’ufficio di sorveglianza nonché di magistrato addetto all’ufficio del massimario e del ruolo della Corte di cassazione; le funzioni requirenti di primo grado sono quelle di sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale ordinario e presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.»;
    2. al comma 7, dopo le parole «e di presidente aggiunto della sezione dei giudici unici per le indagini preliminari» sono inserite le seguenti: «, di presidente di sezione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;
    3. al comma 10 le parole «e di presidente del tribunale per i minorenni» e le parole «e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni» sono soppresse;
    4. al comma 11, al primo periodo, dopo le parole «di cui all’articolo 1 del decreto-legge 25 settembre 1989, 327, convertito dalla legge 24 novembre 1989, n. 380,» sono inserite le seguenti: «di presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie» e, al secondo periodo, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.».

ART. 33

(Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)

  1. Al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, 448, sono apportate le seguenti modificazioni:

a. all’articolo 2, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Nel procedimento a carico di minorenni esercitano le funzioni rispettivamente loro attribuite, secondo le leggi di ordinamento giudiziario:

  1. il procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  2. il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  3. la sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  4. il procuratore generale presso la corte di appello;
  5. la sezione di corte di appello per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  6. il magistrato di sorveglianza per i minorenni »;

b. all’articolo 3, commi 1 e 2, le parole «Il tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «La sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

c. all’articolo 4, il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. Al fine dell’eventuale esercizio del potere di iniziativa per i provvedimenti civili di competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l’autorità giudiziaria informa il procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie nella cui circoscrizione il minorenne abitualmente dimora dell’inizio e dell’esito del procedimento penale promosso in altra circoscrizione territoriale »;

d. all’articolo 5, comma 1, le parole «tribunali per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie»;

e. le parole «tribunale per i minorenni», ovunque ricorrano, sono sostituite dalle seguenti: «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».

ART. 34

(Modifiche al decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121)

  1. Al decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, articolo 23, comma 2, dopo le parole «magistrati onorari» è inserita la parola «esperti», e le parole «tribunale per i minorenni» sono sostituite dalle seguenti: «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».

 

CAPO V

(Diposizioni transitorie, finanziarie e finali)

Sezione I

Disposizioni in materia di processo civile

ART. 35

(Disciplina transitoria)

  1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 30 giugno 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.
  2. Salvo quanto previsto dal secondo periodo, le disposizioni di cui agli articoli 127, terzo comma, 127-bis e 127-ter del codice di procedura civile, quelle previste dal Capo I del Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, 1368, nonché l’articolo 196-duodecies delle medesime disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotte dal presente decreto hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 e da tale data si applicano ai procedimenti civili pendenti davanti al tribunale, alla corte di appello e alla Corte di cassazione. Gli articoli 196-quater e 196-sexies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si applicano ai dipendenti di cui si avvalgono le pubbliche amministrazioni per stare in giudizio personalmente dal 30 giugno 2023.
  3. Davanti al giudice di pace e al tribunale superiore delle acque pubbliche le disposizioni di cui al comma 2, primo periodo, si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023, anche ai procedimenti pendenti a tale data, fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 127, terzo comma, 127-bis e 127-ter che hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023 anche per i procedimenti civili pendenti a tale Con uno o più decreti non aventi natura regolamentare il Ministro della giustizia, accertata la funzionalità dei relativi servizi di comunicazione, può individuare gli uffici nei quali viene anticipato, anche limitatamente a specifiche categorie di procedimenti, il termine di cui al primo periodo.
  4. Ai procedimenti civili pendenti davanti agli uffici giudiziari diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 le disposizioni di cui al comma 2, primo periodo, si applicano a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana dei decreti, non aventi natura regolamentare, con i quali il Ministro della giustizia accerta la funzionalità dei relativi servizi.
  5. Le norme di cui ai capi I e II del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile, come modificate dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte avverso le sentenze depositate successivamente al 30 giugno 2023.
  6. Salvo quanto disposto dal comma 7, le norme di cui al capo III del titolo III del libro secondo del codice di procedura civile e di cui al capo IV delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, come modificate dal presente decreto, si applicano ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere dal 1° gennaio 2023.
  7. Gli articoli 372, 375, 376, 377, 378, 379, 380, 380-bis, 380-bis.1, 380-ter, 390 e 391-bis del codice di procedura civile, come modificati o abrogati dal presente decreto, si applicano anche ai giudizi introdotti con ricorso già notificato alla data del 1° gennaio 2023 per i quali non è stata ancora fissata udienza o adunanza in camera di consiglio.
  1. Le disposizioni di cui all’articolo 363-bis del codice di procedura civile si applicano ai procedimenti di merito pendenti alla data del 30 giugno 2023
  2. Le disposizioni di cui all’articolo 3, commi 52, 53, 54, 55, 56 e 57 si applicano ai procedimenti arbitrali instaurati dopo il 30 giugno 2023.
  3. Fino all’adozione dei provvedimenti previsti dall’articolo 196-duodecies, comma quinto, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto n. 1368 del 1941, introdotto dal presente decreto, i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continuano ad essere regolati dal decreto del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia del 20 marzo 2020, previsto dall’articolo 83, comma 7, lettera f), del decreto-legge 17 marzo 2020, 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

 

ART. 36

(Disposizioni transitorie delle modifiche al codice penale e alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale)

  1. Le disposizioni di cui all’articolo 5 si applicano a decorrere dal 30 giugno
  2. Le disposizioni di cui all’articolo 6 si applicano ai procedimenti iscritti successivamente al 30 giugno

ART. 37

(Abrogazioni)

  1. Sono abrogati, in particolare:
    1. l’articolo 67-bis del regio decreto 30 gennaio 1941, 12;
    2. l’articolo 99, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, 396;
    3. gli articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, 5;
    4. l’articolo 7, della legge 6 maggio 2006, 129;
    5. l’articolo 1, commi da 47 a 69, della legge 28 giugno 2012, 92;
    6. l’articolo 32, comma 5, del decreto legislativo 13 luglio 2017, 116.

 

ART. 38

(Modifiche al decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 152)

  1. All’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 152, le parole “secondo comma” sono sostituite con le seguenti “quarto comma”.

ART. 39

(Elenco nazionale dei consulenti tecnici)

  1. La formazione, la tenuta e l’aggiornamento dell’elenco di cui all’articolo 24-bis delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, introdotto dal presente decreto, sono disciplinate con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia.

ART. 40

(Monitoraggio dei dati contenuti nei rapporti riepilogativi)

  1. I rapporti riepilogativi periodici e finali previsti per le procedure concorsuali e i rapporti riepilogativi previsti per i procedimenti di esecuzione forzata devono essere depositati con modalità telematiche nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, nonché delle apposite specifiche tecniche del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia. I relativi dati sono estratti ed elaborati, a cura del Ministero della giustizia, anche nell’ambito di rilevazioni statistiche nazionali.

Sezione II

(Disposizioni in materia di mediazione e negoziazione assistita)

ART. 41

(Disposizioni transitorie delle modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28)

  1. Le disposizioni di cui all’articolo 7 si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023;
  2. Gli organismi di mediazione iscritti nel registro di cui all’articolo 3 del decreto ministeriale 18 ottobre 2010, n.180, se intendono mantenere l’iscrizione, sono tenuti, entro il 30 aprile 2023, a presentare la relativa istanza al Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia, corredata dalla documentazione attestante l’adeguamento ai requisiti previsti dall’ articolo 16, come modificato dall’articolo 7 del presente decreto. Fino al 30 giugno 2023 gli organismi iscritti non possono essere sospesi o cancellati dal registro per mancanza di tali Il mancato adeguamento entro il 30 giugno 2023 comporta la sospensione degli organismi dal registro.
  3. Gli enti di formazione iscritti nell’elenco di cui all’articolo 17 del decreto ministeriale n. 180 del 2010 se intendono mantenere l’iscrizione, sono tenuti, entro il 30 aprile 2023, a presentare istanza al Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia, corredata dalla documentazione attestante l’adeguamento ai requisiti previsti dall’articolo 16-bis, introdotto dall’articolo 7 del presente decreto. Il mancato adeguamento entro il 30 giugno 2023 comporta la sospensione degli enti dall’elenco.
  4. Le disposizioni di cui all’articolo 9 si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023.

 

ART. 42

(Monitoraggio dei casi di tentativo obbligatorio di mediazione ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28)

  1. Decorsi cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministero della giustizia, alla luce delle risultanze statistiche, verifica l’opportunità della permanenza della procedura di mediazione come condizione di procedibilità nei casi previsti dall’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

ART. 43

(Monitoraggio del rispetto dei limiti di spesa)

  1. Il Ministero della giustizia provvede annualmente al monitoraggio del rispetto delle previsioni di spesa relative alle disposizioni di cui agli articoli 7, comma 1, lettera t), lettera aa) e lettera bb) e 9, comma 1, lettera l). Al verificarsi di eventuali scostamenti rispetto alle predette previsioni si provvede a compensare lo scostamento con il corrispondente aumento del contributo unificato.

ART. 44

(Norma di coordinamento)

  1. Le parole «articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite, dal 30 giugno 2023, dalle parole «articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28».

 

Sezione III

(Disposizioni in materia di istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

ART. 45

(Organico del tribunale e della procura per le persone, per i minorenni e per le famiglie)

  1. Con decreto del Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura, sono determinate le piante organiche del personale di magistratura dei tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie e delle procure della Repubblica presso i relativi tribunali, anche avendo riguardo alle maggiori competenze attribuite al nuovo ufficio.
  2. Con decreto del Ministro della giustizia sono inoltre determinate le piante organiche del personale amministrativo assegnato ai tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie e delle relative procure della Repubblica.
  3. La rideterminazione delle piante organiche di cui ai commi 1 e 2 avviene nell’ambito delle attuali dotazioni organiche del personale di magistratura e del personale amministrativo, dirigenziale e non dirigenziale, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

ART. 46

(Magistrati e personale amministrativo in servizio)

  1. Una volta istituite le piante organiche del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e della relativa procura, i magistrati assegnati ai tribunali per i minorenni e alle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni entrano di diritto a far parte dell’organico del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e delle procure della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie istituiti presso le medesime sedi, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze.
  2. I magistrati assegnati alle corti di appello che svolgono, anche in via non esclusiva, funzioni nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sono assegnati, a loro domanda, al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le funzioni da loro svolte, entro i limiti della pianta organica dell’ufficio medesimo.
  3. I magistrati assegnati ai tribunali ordinari e che svolgono, anche in via non esclusiva, funzioni giudicanti nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, sono assegnati, a loro domanda, all’ufficio cui sono trasferite le funzioni da loro svolte, entro i limiti della pianta organica dell’ufficio medesimo.
  4. Con riferimento alle disposizioni di cui ai commi 2 e 3, il criterio prioritario per la selezione, per il caso in cui gli aspiranti siano in numero superiore ai posti previsti nella pianta organica, è rappresentato dalla maggiore esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale.
  5. L’assegnazione prevista dai commi 1, 2 e 3 non costituisce trasferimento ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede ai sensi dell’articolo 2, terzo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, né costituisce trasferimento ad altri effetti e, in particolare, agli effetti previsti dall’articolo 194 del regio decreto 30 gennaio 1941, 12, e dall’articolo 13 della legge 2 aprile 1979, n. 97, come sostituito dall’articolo 6 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. Sono tuttavia fatti salvi i diritti attribuiti dalla legge 18 dicembre 1973, n. 836, e dalla legge 26 luglio 1978, n. 417, alle condizioni ivi stabilite, nel caso di fissazione della residenza in una sede di servizio diversa da quella precedente determinata dall’applicazione delle disposizioni del presente decreto.
  6. I giudici onorari addetti ai tribunali per i minorenni sono addetti di diritto al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le
  7. Il personale amministrativo assegnato ai tribunali per i minorenni e alle procure presso i tribunali per i minorenni può, previo interpello e a domanda, essere assegnato alle sezioni distrettuali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in sovrannumero e con diritto di priorità su altri candidati.
  8. Nelle sezioni circondariali presterà servizio il personale che risponderà ad appositi interpelli pubblicati dal Ministero della giustizia. Il personale che nel corso della carriera abbia prestato servizio presso sezioni incaricate della trattazione di affari ora attribuiti alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie ha diritto di priorità sui restanti candidati.
  9. Il Ministero della giustizia provvede senza ritardo alla pubblicazione del relativo interpello e alla predisposizione della dotazione materiale e dei locali idonei.

 

ART. 47

(Magistrati titolari di funzioni dirigenziali)

  1. I magistrati che alla data del 31 dicembre 2024 sono titolari delle funzioni di presidente del tribunale per i minorenni e di procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni sono assegnati, rispettivamente, quali presidenti dei tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferire le funzioni e procuratori della Repubblica presso gli stessi tribunali.
  2. A far data dal 1° gennaio 2030, i presidenti di sezione dei tribunali ordinari, assegnati a sezioni che svolgono funzioni nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in via non esclusiva, sono destinati, a loro domanda, alle funzioni di presidente di sezione circondariale presso il corrispondente tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. In caso di pluralità di aspiranti, si applica il comma 4 dell’articolo 46.
  3. Ai fini di cui agli articoli 45 e 46 del decreto legislativo 5 aprile 2006, 160, l’assegnazione ai sensi dei commi 1 e 2 al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e alla relativa procura della Repubblica non costituisce conferimento di nuove funzioni direttive o semidirettive. Il periodo di svolgimento delle funzioni presso il tribunale per i minorenni, il tribunale ordinario e le relative procure si cumula con quello presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la relativa procura della Repubblica.

 

ART. 48

(Personale di polizia giudiziaria)

  1. Il personale delle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni è di diritto assegnato o applicato alle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso i tribunali per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le relative funzioni.
  2. L’assegnazione e l’applicazione previste dal comma 1 non costituiscono nuove assegnazioni o applicazioni ovvero trasferimenti.

ART. 49

(Disposizioni per la definizione dei procedimenti pendenti)

  1. Le disposizioni previste dalla sezione settima del capo IV hanno effetto decorsi due anni dalla data della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale e si applicano ai procedimenti introdotti successivamente a tale data.
  2. I procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di cui al comma 1 proseguono davanti alla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti.
  3. I procedimenti civili pendenti davanti al tribunale ordinario alla data di efficacia del presente decreto sono definiti da questo sulla base delle disposizioni anteriormente L’impugnazione dei provvedimenti, anche temporanei, è regolata dalle disposizioni introdotte dal presente decreto. I procedimenti civili pendenti alla data del 1° gennaio 2030 proseguono davanti alla sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.
  4. Sino al 31 dicembre 2029 al fine di assicurare la completa definizione delle misure organizzative relative al personale e ai locali, il funzionamento delle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie può essere assicurato anche avvalendosi, mediante istituti di flessibilità, del personale amministrativo di altri uffici del distretto individuato con provvedimenti del direttore generale del personale e della formazione, sentiti gli uffici interessati, e per il personale di magistratura ordinaria e onoraria, mediante applicazione di istituti di flessibilità individuati dal Consiglio superiore della magistratura.
  5. L’udienza fissata davanti al tribunale per i minorenni e al tribunale ordinario per una data successiva, rispettivamente, a quella di cui al comma 1 e al 1° gennaio 2030 si intende fissata davanti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie per i medesimi I procedimenti sono trattati dagli stessi magistrati ai quali erano in precedenza assegnati, salva l’applicazione dell’articolo 174, secondo comma, del codice di procedura civile.

Sezione IV

(Diposizioni di coordinamento, finanziarie e finali)

 

ART. 50

(Norma di coordinamento)

  1. A decorrere dalla data di efficacia delle disposizioni di cui alla sezione VII del capo IV, le parole «tribunale per i minorenni», ovunque presenti, in tutta la legislazione vigente, sono sostituite dalle parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».

ART. 51

(Disposizioni finanziarie)

  1. Dall’attuazione del presente decreto, salvo quanto previsto dalle disposizioni di cui agli articoli 3, comma 57, 7, comma 1, lettera t), lettera aa) e lettera bb) e 9, comma 1, lettera l), non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza Le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.
  2. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.

ART. 52

(Entrata in vigore)

  1. Il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

  

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.

Relazione illustrativa

Introduzione

Il presente schema di decreto legislativo è emanato in attuazione alla legge 26 novembre 2021, n. 206, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”.

A tal fine, come previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge delega, il testo legislativo elaborato dal Governo si propone di realizzare il riassetto “formale e sostanziale” della disciplina del processo civile di cognizione, del processo di esecuzione, dei procedimenti speciali e degli strumenti alternativi di composizione delle controversie, mediante interventi sul codice di procedura civile, sul codice civile, sul codice penale, sul codice di procedura penale e su numerose leggi speciali, in funzione degli obiettivi di “semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile”, nel rispetto della garanzia del contraddittorio e attenendosi ai princìpi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge.

La complessità dell’intervento rispetto al sistema delle fonti si giustifica in ragione del fatto che una organica revisione del processo civile di cognizione e degli ulteriori modelli giudiziali e stragiudiziali interessati dalla riforma presuppone, come del resto la stessa legge delega prevede e autorizza (articolo 1, comma lett. a)), un’attenta opera di “coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai princìpi e criteri direttivi di delega” “operando le necessarie abrogazioni e adottando le opportune disposizioni transitorie”. Proprio il metodo della “novella” che, pur di ampio respiro, non è integralmente sostitutiva del codice e delle altre fonti che contribuiscono a determinare l’ordinamento processuale civile, ha reso dunque necessaria un’attenta e capillare opera di riordino e coordinamento tra le nuove norme e quelle non investite dalla riforma.

Dal punto di vista temporale, il presente schema di decreto legislativo viene presentato nel rispetto delle tempistiche imposte dal comma 2 della legge delega, e in conformità a quanto stabilito nel PNRR, al quale la presente riforma, come le ulteriori poste in essere nel generale settore della giustizia, è strettamente correlata.

Dal punto di vista delle finalità, l’intero impianto del decreto legislativo tende a perseguire i tre obiettivi sopra descritti, posti dalla delega quale sovraordinata e complessiva linea direttrice di riferimento.

Per raggiungere tali obiettivi, il decreto legislativo si sviluppa attraverso molteplici aree tematiche, che nel loro complesso sono rivolte a tenere conto delle necessità di intervento sul processo ordinario di cognizione, nei differenti gradi nei quali lo stesso si articola, e negli ulteriori riti e modelli speciali propri del sistema processuale civile nei quali maggiormente la delega ha individuato la necessità di un cambiamento, anche attraverso le correlate misure ordinamentali e organizzative e ulteriori interventi normativi finalizzati a operare al di fuori del contesto processuale stricto sensu considerato, rafforzando il settore della giustizia alternativa o complementare.

In questa prospettiva, i tre obiettivi della semplificazione, della speditezza e della razionalizzazione enunciati nell’incipit della delega, pur mantenendo ciascuno una loro specificità, operano sovente, all’interno delle singole innovazioni proposte, in forma congiunta, contribuendo nel loro insieme a perseguire il valore dell’effettività della tutela giurisdizionale, che rappresenta una sorta di unitaria “stella polare” di riferimento nel sistema della giustizia civile.

Si avrà modo di dettagliare in seguito, in relazione alle singole disposizioni innovate, le ragioni che giustificano i diversi interventi posti in essere.

In via di sintesi, per quanto riguarda i molteplici settori interessati dalla riforma, in attuazione dei principi stabiliti dalla legge delega (in particolare comma 4 e comma 15), lo schema di decreto legislativo interviene innanzitutto proprio sul rapporto tra la giurisdizione ordinaria e le forme di giustizia alternativa e complementare, mediante importanti innovazioni nella disciplina dei metodi ADR, valorizzando e rafforzando attraverso molteplici e significative disposizioni gli istituti della mediazione e della negoziazione assistita, e rivisitando la disciplina codicistica dell’arbitrato.

Per la mediazione sono stati individuati e precisati gli incentivi fiscali indicati dalla legge delega (comma 4, lett. a), l. n. 206/2021), rideterminata l’area del tentativo obbligatorio di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda, estendendola, secondo la scelta ponderata tracciata dalla delega, alle controversie che investono rapporti di durata (comma 4, lett. b), l. n. 206/2021) e data attuazione agli ulteriori principi contenuti nel comma 4 l. n. 206/2021 relativi al procedimento di mediazione nel suo complesso, a specifiche aree nelle quali la mediazione può intervenire, alla mediazione demandata dal giudice, nonché alla disciplina sulla formazione e l’aggiornamento dei mediatori, sugli organismi e sui responsabili di questi ultimi.

Per quanto riguarda la negoziazione assistita, la stessa è stata valorizzata riconoscendone l’esperibilità in aree prima precluse o mediante contenuti prima non consentiti (in particolare nell’ambito della regolamentazione delle controversie di lavoro, o attraverso la possibilità di riconoscere un assegno di divorzio in unica soluzione, alle quali va aggiunta l’ulteriore fondamentale modifica, già direttamente introdotta dal comma 35 l. n. 206/2021 con norma immediatamente precettiva, relativa alla possibilità di ricorrere a tale procedimento al fine di raggiungere una soluzione consensuale tra i genitori per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica della condizioni già determinate, oltre che per la determinazione dell’assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e per la determinazione degli alimenti). Sempre nell’ambito della negoziazione assistita è stata poi introdotta l’importante previsione di una istruttoria stragiudiziale, mediante acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente, con finalità ed effetti propri della confessione stragiudiziale (comma 4, lett. s), l. n. 206/2021). Si tratta di una innovazione importante, che apre a nuovi scenari nella fissazione dei fatti anche ai fini dell’eventuale futuro giudizio introdotto in caso di insuccesso della negoziazione assistita e contribuisce a realizzare, se non già una vera e propria “giurisdizione forense” (giacché il sintagma è per sua natura ossimorico), quanto meno una forma di giustizia complementare realizzata attraverso il costruttivo apporto degli avvocati.

Infine, per quanto riguarda l’arbitrato, che, costituendo a pieno titolo un processo al quale viene oltre tutto ormai riconosciuta valenza giurisdizionale, può considerarsi alternativo unicamente al processo ordinario di cognizione, oltre alle ulteriori innovazioni di cui si darà conto, in attuazione dei principi della delega, viene rafforzato il principio di imparzialità e indipendenza degli arbitri e attribuito agli stessi, laddove vi sia una sottostante volontà delle parti in tal senso, il potere di emanare provvedimenti cautelari, così colmando una lacuna che differenziava il nostro sistema da quello degli ordinamenti a noi geograficamente e culturalmente più vicini.

Gli interventi sopra tratteggiati e gli ulteriori indicati nello schema di decreto legislativo permetteranno quindi di ricorrere con maggiore effettività alle forme di giustizia complementare, dando così un vantaggio diretto e immediato ai consociati e l’ulteriore indiretto apprezzabile effetto di alleggerimento del ricorso alla giurisdizione ordinaria.

Sempre in relazione all’obiettivo di semplificazione sono contenuti molteplici interventi relativi all’assetto del giudizio di primo grado, che spaziano dalla ripartizione delle competenze alla struttura degli organi giudiziari, con una rideterminazione in aumento della competenza del giudice di pace (in attuazione del principio indicato nel comma 7, lett. b), l. n. 206/2021) e con una riduzione dei casi in cui il tribunale opera in composizione collegiale (in attuazione del principio indicato nel comma 6, lett. a), l. n. 206/2021).

Le nuove disposizioni relative al processo ordinario di primo grado mirano a perseguire gli obiettivi generali, dal legislatore delegante ulteriormente specificati nell’intento di “assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo” (comma 5, lett. a), l. n. 206/2021). Si è a tal fine intervenuto sulla disciplina della fase introduttiva, con lo scopo di perseguire una maggiore concentrazione e pervenire alla prima udienza con la già avvenuta completa definizione del thema decidendum e del thema probandum, consentendo al giudice, attraverso le necessarie verifiche preliminari anticipate, un più esteso case management volto, tra le altre possibilità, anche a favorire il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato.

La complessiva scansione dell’iter giudiziale è stata a sua volta semplificata, sopprimendo alcune udienze, come quella per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio (comma 17, lett. n), l. n. 206/2021) e quella di precisazione delle conclusioni, sostituita dallo scambio di note scritte, e cadenzata attraverso l’obbligo del giudice di predisporre il calendario del processo alla prima udienza (comma 5, lett. i), l. n. 206/2021) e la previsione di un termine non superiore a novanta giorni dalla prima udienza per l’udienza per l’assunzione delle prove (comma 5, lett. i), l. n. 206/2021).

Anche la fase decisoria del giudizio di primo grado è stata interamente novellata, con la previsione di termini difensivi finali ridotti e a ritroso dalla finale rimessione della causa in decisione (comma 5, lett. l), l. n. 206/2021).

Il decreto legislativo ha poi inteso realizzare la semplificazione dei procedimenti attraverso il rafforzamento di un modello processuale già esistente, il procedimento sommario di cognizione (articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile) denominato ora procedimento semplificato di cognizione e reso obbligatorio per ogni controversia, anche di competenza del tribunale in composizione collegiale, quando i fatti di causa non siano controversi oppure quando la domanda sia fondata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque richieda un’attività istruttoria non complessa (comma 5, lettera n), l. n. 206/2021; artt. 281-decies e seguenti c.p.c.). E ancora, sono stati introdotti provvedimenti estremamente semplificati di accoglimento o di rigetto, rispettivamente per i casi in cui i fatti costitutivi sono provati e le difese del convenuto appaiono manifestamente infondate, oppure quando la domanda è manifestamente infondata o è omesso o risulta assolutamente incerto la determinazione della cosa oggetto della domanda o l’esposizione dei fatti e degli elementi che costituiscono le ragioni della domanda ex articolo 163, terzo comma, numero 3) del codice di procedura civile (comma 5, lettera o), l. n. 206/2021; art. 183-ter c.p.c. e art. 183-quater c.p.c.).

La riforma contiene numerosi interventi semplificatori e acceleratori anche con riferimento alle impugnazioni. In relazione al giudizio di appello è stata prevista, inter alia, una rivalutazione della figura del consigliere istruttore in grado di appello e la devoluzione in capo allo stesso di ampi poteri di direzione del procedimento, la revisione dell’attuale disciplina dei “filtri” nelle impugnazioni, prevedendo per l’appello che l’impugnazione che non ha una ragionevole probabilità di essere accolta sia dichiarata manifestamente infondata e che la decisione di manifesta infondatezza sia assunta a seguito di trattazione orale con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi, modificando conseguentemente gli articoli 348-bis e 348-ter del codice di procedura civile (comma 8, l. n. 206/2021).

Per il giudizio in Cassazione sono state previste modifiche volte a rendere più celere, rispetto all’ordinaria sede camerale, la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati (comma 9, lettera e), l. n. 206/2021) e a introdurre un nuovo istituto, il rinvio pregiudiziale in Cassazione, consistente nella possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto(comma 9, lett. g), l. n. 206/2021).

Sempre nell’ambito del sistema delle impugnazioni, e in attuazione del principio contenuto nel comma 10 l. n. 206/2021, è stata introdotta una nuova ipotesi di revocazione delle sentenze il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli, a condizione che si tratti di specifiche violazioni, riferibili segnatamente ai diritti personali o di stato (nuovo art. 391-quater c.p.c.). 

Ed è sempre l’obiettivo della semplificazione, e con essa di una più incisiva effettività, ad avere ispirato gli interventi effettuati sul processo del lavoro (comma 11 l. n. 206/2021), sul processo esecutivo (comma 12 l. n. 206/2021), nonché alcuni interventi sui procedimenti speciali, in particolare nell’ambito della giurisdizione volontaria, riconoscendo la possibilità di delegare determinate funzioni, oggi necessariamente attribuite al giudice, anche a professionisti (in primis, i notai, comma 13, lett. b), l. n. 206/2021) ).

Infine, rilevanti innovazioni sono state introdotte nel settore del diritto processuale della famiglia, che si caratterizzava per la molteplicità e proliferazione dei modelli processuali, in assenza di un disegno organico e unitario. Tale realtà si è rivelata nel tempo come un fattore di criticità sotto molteplici profili, dalla individuazione per la parte delle forme necessarie per dare avvio al procedimento, alla stessa organizzazione dei carichi per gli uffici giudiziari, per tacere infine dei diversi gradi di tutela talvolta anche incongruamente attribuiti a fattispecie analoghe quando non del tutto omologhe. In attuazione ai principi assegnati dal legislatore delegante e nel concreto esercizio della delega si è quindi inteso realizzare, secondo un’inversione di tendenza rispetto al passato, un modello generale e organico, il procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie (art. 473-bis e seguenti c.p.c.), valevole per la generalità dei procedimenti contenziosi che hanno ad oggetto i diritti della persona, dei minori e delle famiglie (con alcune specifiche eccezioni) (comma 23, l. n. 206/2021).

Accanto alla riforma processuale della famiglia si è realizzata anche la riforma ordinamentale, in risposta alle esigenze evidenziate da decenni di individuare un giudice unitario dotato di competenza per tutte le controversie familiari e minorili, così da evitare i non indifferenti problemi determinati dall’attuale sistema di ripartizione delle competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni. Da questo punto di vista, l’unificazione delle competenze rappresenta un obiettivo particolarmente apprezzabile non soltanto dal punto di vista sistematico, e con esso in relazione all’aspetto etico-valoriale di individuazione di un’unica autorità giudiziaria dotata della potestas decidendi su tutti i profili che riguardano in particolare i minori, ma si dimostra anche del tutto congruente con gli obiettivi di semplificazione e alleggerimento del contenzioso propri della riforma. Invero, la moltiplicazione delle controversie ingenerata dalla duplicità dei tribunali rappresenta un dato anche di appesantimento del contenzioso, considerato che una larga fetta del contenzioso civile è da ascrivere proprio alla materia delle persone e della famiglia e su questo aspetto, pertanto, la riforma potrà sicuramente contribuire a una riduzione del complessivo contenzioso.

Ma la riforma non si limita a intervenire sui diversi settori del processo civile.

La stessa introduce norme che potrebbero essere definite come “trasversali”, occupandosi di molteplici modelli processuali, sino a interessare pressoché tutti i settori della giustizia. A tal fine, e in primo luogo, in ossequio a un’esigenza sempre più avvertita che risponde del resto anche alle mutate modalità di ogni forma di relazione e di comunicazione, nella generale finalità di aumentare la digitalizzazione nell’amministrazione della giustizia, la riforma ha inteso rafforzare gli strumenti informatici e le modalità di svolgimento delle udienze da remoto, prevedendo l’estensione e il rafforzamento del processo civile telematico nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d’appello e alla Corte di cassazione (comma 17, lettere a) – c) e h), l. n. 206/2021), la semplificazione delle modalità di versamento del contributo unificato (comma 17, lettera f), l. n. 206/2021), e la possibilità per il giudice, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, di disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice si svolgano con collegamenti audiovisivi a distanza o siano sostituite dalla modalità cd. a trattazione scritta, dallo scambio di note (comma 17 lett. l), l. n. 206/2021).

Anche i profili strettamente organizzativi, fondamentali nel quadro di una compiuta riforma della giustizia, devono essere tenuti in debita considerazione. In questa prospettiva la valorizzazione della figura e della composizione dell’ufficio per il processo che la legge delega ha sottolineato, incaricato del necessario supporto al giudice che dovrà decidere la controversia a svolgere in modo più efficiente tutto il lavoro preparatorio alla decisione stessa e diversamente articolato avanti al tribunale, alla corte d’appello e alla Corte di cassazione (in relazione alle specificità proprie dei giudizi che si svolgono avanti ai singoli organi giudiziari), è stata demandata, per le sue specificità, ad altro decreto legislativo.

Infine, lo schema di decreto legislativo che viene presentato si caratterizza anche per aver posto l’accento, attraverso molteplici disposizioni che seguono gli snodi fondamentali del processo ordinario e dei procedimenti speciali, sulla dimensione valoriale del processo, sottolineando il ruolo fondamentale di alcuni principi, quali quelli della chiarezza e sinteticità degli atti e dei provvedimenti del giudice (comma 17, lettere d) ed e), l. n. 206/2021) e quello della collaborazione tra le parti e il giudice. In questa prospettiva, anche attraverso una rimeditata e più puntuale applicazione degli strumenti sanzionatori a disposizione del giudice (in primis, nella definitiva liquidazione delle spese di lite, nell’applicazione delle diverse forme di condanna di cui all’art. 96 c.p.c.), ma anche nella stessa valutazione del comportamento processuale ai fini della decisione, si è inteso rafforzare i principi di lealtà, trasparenza che devono improntare il giusto processo.

 

Capo I Modifiche al codice civile ed alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

Art. 1 – (Modifiche al codice civile)

L’articolo 1 dello schema di decreto legislativo contiene modifiche al codice civile.

 

 Comma 1

Il primo comma apporta modifiche all’articolo 145 c.c., in attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lettera ii), l. n. 206/2021 che prevede di “procedere al riordino della disciplina di cui agli articoli 145 e 316 del codice civile, attribuendo la relativa competenza al giudice anche su richiesta di una sola parte e prevedendo la possibilità di ordinare al coniuge inadempiente al dovere di contribuire ai bisogni della famiglia previsto dall'articolo 143 del codice civile di versare una quota dei propri redditi in favore dell'altro; prevedere altresì che il relativo provvedimento possa valere in via esecutiva diretta contro il terzo, in analogia a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898”. L’attuale primo comma dell’articolo 145 del codice civile prevede che, in caso di disaccordo sull’indirizzo della vita familiare o sulla fissazione della residenza, ciascuno dei coniugi possa rivolgersi al giudice che tenta di raggiungere una soluzione concordata. La modifica precisa, in armonia con tutta la disciplina dell’ascolto del minore e con il disposto dell’articolo 315 bis del codice civile, che il minore che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore, se capace di discernimento, debba essere ascoltato dal giudice. Le modifiche apportate al secondo comma prevedono che il giudice, quando gliene viene fatta richiesta anche da uno solo delle parti, possa assumere con provvedimento non impugnabile la soluzione più adeguata all’interesse dei figli e alle esigenze della famiglia. Il terzo comma, in attuazione del principio di delega prevede che in caso di inadempimento agli obblighi di mantenimento di cui all’articolo 143 si applichi quanto previsto dall’articolo 316 bis del codice civile. L’ulteriore principio della delega (“prevedere altresì che il relativo provvedimento possa valere in via esecutiva diretta contro il terzo, in analogia a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898”) è stato attuato mediante la previsione dell’articolo 473 bis. 37 c.p.c. che si estende anche al contributo fissato prima dell’introduzione del giudizio di separazione.

 

Comma 2

Il secondo comma, alla lettera a) in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1 comma 23, lett. ll), abroga i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 156 c.c., essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa alle garanzie patrimoniali, contenuta negli articoli 473-bis.36 c.p.c. e 473-bis.37 c.p.c.; la lett. b), in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1 comma 23, lett. hh), abroga il secondo comma dell’articolo 158 c.c., essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa ai procedimenti su istanza congiunta all’articolo 473-bis.51 c.p.c.

 

Comma 3

Il terzo comma, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1 comma 22, lett. a) modifica il quarto comma dell’articolo 250 c.c., armonizzandolo con i principi che reggono il nuovo rito unitario in materia di procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie. A fronte del rifiuto del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio al riconoscimento da parte dell’altro, quest’ultimo può rivolgersi al tribunale del luogo di residenza abituale del minore. Il procedimento segue le norme delineate dal nuovo rito unitario; il giudice, in linea con quanto previsto dall’articolo 250 del codice civile nella sua attuale formulazione, può adottare, in ogni momento e dunque anche prima della decisione sullo status i provvedimenti ritenuti opportuni per instaurare la relazione tra il figlio colui che ha richiesto il riconoscimento.

 

Comma 4

Il quarto comma alla lettera a) apporta modifiche all’articolo 316 c.c. in attuazione dei principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lettere d), seconda parte, e ii), della legge delega. Con le modifiche inserite al primo comma, è specificato che le scelte della residenza abitazione e dell’istituto scolastico per il figlio minore rientrano tra le questioni di particolare importanza che devono essere assunte concordemente dai genitori ovvero, in caso di dissenso e su richiesta di uno di essi, dal giudice. Le modifiche apportate al terzo comma precisano, in analogia con quelle apportate all’articolo 145 e in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 23, lett. ii) della l. n. 206/2021 che il giudice, sentite le parti e ascoltato il figlio, secondo le regole generali dell’ascolto del minore, ove i genitori non raggiungano un accordo, assume, anche su richiesta di uno solo dei genitori, le determinazioni che ritiene utili a realizzare l’interesse del minore. Il tribunale provvede in camera di consiglio in composizione monocratica, giusta la previsione dell’articolo 151-ter disp. att. c.c.

La lettera b) del quarto comma in attuazione del criterio di delega di cui all’art. 1 comma 22, lett. a) contiene alcune modifiche necessarie ad armonizzare l’articolo 316-bis c.c. con i principi del rito unitario. In particolare, è previsto: a) che la trattazione del procedimento sia delegata a un giudice del tribunale; b) che sia al procedimento di opposizione (attualmente regolato dalle norme in materia di opposizione al decreto ingiuntivo) sia a quello di successiva modifica (attualmente regolato dalle norme del processo unitario) si applichino le norme che disciplinano il nuovo rito unitario.

La lettera c) contiene modifiche all’articolo 320 c.c., di coordinamento con la soppressione della competenza del tribunale in composizione collegiale nella materia relativa alle autorizzazioni relative al compimento di atti da parte di soggetti incapaci (minori o soggetti sottoposti a misure di protezione) e l’attribuzione della competenza al solo giudice tutelare (che nell’attuale sistema rende un mero parere non vincolante).

La lettera d), contenente modifica dell’articolo 336 c.c., attua i principi di delega contenuti nell’articolo 1, comma 22 (Il decreto o i decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 sono adottati altresì nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega) e comma 26 (Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: modificare l'articolo 336 del codice civile, prevedendo che la legittimazione a richiedere i relativi provvedimenti competa, oltre che ai soggetti già previsti dalla norma, anche al curatore speciale del minore, qualora già nominato; che il tribunale sin dall'avvio del procedimento nomini il curatore speciale del minore, nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento; che con il provvedimento con cui adotta provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, il tribunale fissi l'udienza di comparizione delle parti, del curatore del minore se nominato e del pubblico ministero entro un termine perentorio, proceda all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto, e all'esito dell'udienza confermi, modifichi o revochi i provvedimenti emanati). Viene in primo luogo modificata la rubrica della norma, che non fa più riferimento all’intero procedimento, ormai retto dalle regole del nuovo rito unitario, con il solo richiamo alla legittimazione ad agire. A tal fine, sono modificati i criteri attributivi della legittimazione ad agire, in linea con l’impianto generale della riforma. I provvedimenti già de potestate potranno essere richiesti al giudice competente (tribunale ordinario o tribunale per i minorenni, a seconda dai casi) non solo dal pubblico ministero o dai genitori ma anche dal curatore speciale del minore, se nominato. Si è data così attuazione agli altri principi espressi all’articolo 1, comma 26, l. n. 206/2021, negli articoli 473-bis.8 c.p.c., 473-bis.9 c.p.c. per quanto attiene alla nomina del curatore del minore; nell’articolo 473 bis.15 c.p.c. per quanto attiene l’udienza di conferma, revoca o modifica dei provvedimenti inaudita altera parte; negli articoli 473-bis.4 c.p.c. e 473-bis.5 c.p.c. per quanto attiene all’ascolto del minore. Rispetto alla formulazione attuale, l’articolo 336 c.c. come modificato non deve più dettare indicazioni di natura processuale, giacché anche i procedimenti già de potestate e oggi de responsabilitate sono regolati dalle norme generali di cui agli articoli 473-bis ss. c.p.c., in attuazione del principio di delega sull’unicità del rito contenuto nell’art. 1, comma 23, lett a). In particolare, gli altri criteri direttivi richiamati dalla norma di legge delega devono intendersi rispettati per effetto del richiamo al Titolo IV bis. In particolare: a) “che il tribunale sin dall'avvio del procedimento nomini il curatore speciale del minore, nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento” è già previsto dall’art. 473-bis.8 c.p.c.; b) “che con il provvedimento con cui adotta provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, il tribunale fissi l'udienza di comparizione delle parti, del curatore del minore se nominato e del pubblico ministero entro un termine perentorio proceda all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto, e all'esito dell'udienza confermi, modifichi o revochi i provvedimenti emanati”. Tale indicazione, nel caso di provvedimenti indifferibili di cui all’art. 473 bis. 15 c.p.c., è già individuata nella previsione dell’udienza di comparizione entro quindici giorni. Più complesso il caso dei provvedimenti provvisori di cui all’art. 473-bis.22 c.p.c. Da un lato, per questi provvedimenti è comunque già rispettato il diritto al contraddittorio nella fase precedente l’emanazione del provvedimento (e il pubblico ministero è interveniente); dall’altro ritenere obbligatoria la comparizione delle parti a un’udienza successiva sarebbe un “non senso” processuale. In ogni caso il criterio delle delega, anche per la previsione della parte successiva (“all’esito dell’udienza conferma modifica o revoca i provvedimenti emanati”) non può che riferirsi ai provvedimenti indifferibili di cui all’art. 473-bis.15 c.p.c.; c) “proceda all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto”. L’ascolto del minore è già previsto come regola generale per tutti i procedimenti (artt. 473-bis.4 ss. c.p.c.).

La norma mantiene infine l’ultimo comma relativo alla assistenza del difensore per i genitori e per il minore.

La lettera e) abroga l’articolo 336-bis c.c. in quanto le norme sull’ascolto del minore sono state organicamente accorpate negli artt. 473-bis.4 ss. c.p.c. e negli articoli 152-quater e 152-quinquies disp. att. c.p.c.

 

Comma 5

Il quinto comma alla lettera a), in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 22, lett. a) introduce modifiche al secondo comma dell’articolo 337-ter c.c., così da armonizzarlo con le nuove disposizioni.

In primo luogo, e per quanto riguarda la disciplina in materia di provvedimenti relativi ai figli in caso di separazione dei genitori e in particolare gli accordi raggiunti in tale ambito dei quali le parti chiedono al giudice la ricezione, si è introdotto un coordinamento con il profilo per il quale l’eventuale accordo sia frutto di un percorso di mediazione familiare

Non sembra ragionevole, infatti, che un accordo formato dopo un percorso di mediazione sia tenuto nel medesimo conto di uno che non sia frutto di tale percorso; si è di conseguenza emendato l’art. 337-ter c.c., prevedendo che il giudice, nel prendere atto degli accordi intervenuti tra i genitori (beninteso quando non li ritenga contrari all’interesse dei figli), debba considerare in modo particolare gli accordi cui i genitori sono pervenuti tramite il percorso di mediazione familiare.

In secondo luogo, viene poi inserito il richiamo alle leggi speciali con riferimento ai presupposti e ai limiti dell’affidamento del minore terzi secondo la nuova formulazione adottata in forza dei principi di delega di cui al comma 23, lett. ff) e gg), degli articoli 4 e seguenti della l. n. 184/1983.

A tal fine si prevede che all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio ovvero “su richiesta del pubblico ministero”; e si abroga infine l’inciso finale “A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare”, essendo ormai l’iniziativa per l’attuazione dei provvedimenti direttamente riconosciuta in capo allo stesso pubblico ministero.

La lettera b), in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1 comma 22, lett. a) abroga l’articolo 337-octies c.c., in quanto contenente disposizioni di natura processuale che trovano, oggi, la loro collocazione nel Titolo IV bis del Libro II del codice di procedura civile.

 

Comma 6

Il comma 6 contiene una modifica dell’articolo 350 c.c. necessaria per esigenze di coordinamento con il nuovo articolo 38ter disp. att. c.c. (cfr. infra), che si è preferito mantenere unitario sia perché relativo a un ambito di applicazione definito, sia perché valevole per una serie di figure diversificate.

 

Commi 7-10

Gli interventi di cui al comma 4, lett. c), nonché di cui ai commi da 7 a 10, attuano la disposizione di cui al comma 13, lett. a), della legge delega che prescrive di “ridurre i casi in cui il tribunale provvede in composizione collegiale, limitandoli alle ipotesi in cui è previsto l'intervento del pubblico ministero ovvero ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni, operando i conseguenti adattamenti delle disposizioni di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile e consentendo il rimedio del reclamo di cui all'articolo 739 del codice di procedura civile ai decreti emessi dal tribunale in composizione monocratica, individuando per tale rimedio la competenza del tribunale in composizione collegiale”.

Si è dunque soppressa la competenza del tribunale in composizione collegiale nella materia relativa alle autorizzazioni relative al compimento di atti da parte di soggetti incapaci (minori o soggetti sottoposti a misure di protezione), attribuendo dunque la competenza al solo giudice tutelare (che nell’attuale sistema rende un mero parere non vincolante).

In tal senso sono stati novellati, oltre all’articolo 320, comma 5, c.c. con riguardo alla continuazione dell’impresa commerciale, l’articolo 374 c.c., che ingloba nella competenza del giudice tutelare tutte le ipotesi di autorizzazione nell’interesse dell’interdetto, ivi incluse quelle oggi contemplate dall’articolo 375 c.c. di competenza del collegio. Si è conseguentemente provveduto a sopprimere l’articolo 375 c.c. e a novellare 376 c.c.

Analoghi interventi sono stati operati con riguardo agli articoli 394, comma 3, 395 e 397 c.c. relativamente all’emancipato e all’articolo 425 c.c. con riguardo all’inabilitato.

Ai fini del necessario coordinamento conseguente alla modifica degli articoli 374, 375 e 376 è stato inoltre soppresso il secondo periodo dell’articolo 411, primo comma, c.c. in materia di amministrazione di sostegno, nonché il richiamo all’articolo 376, comma 2, contenuto nell’articolo 45 delle disposizioni di attuazione al codice civile, regolante la competenza a decidere i reclami [cfr. art. 2, comma 1, lettera e) del presente schema di decreto legislativo].

 

Comma 11

Le disposizioni di cui ai commi 11-14 contengono infine mere disposizioni di coordinamento.

Il comma 11 modifica l’articolo 1137 c.c. per allineare il testo alle modifiche apportate all’articolo 668 octies del codice di procedura civile: non è più necessario prevedere l’esclusione dell’applicazione di tale disposizione processuale. Infatti, in attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q) sono state apportate modifiche all’articolo 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, al comma settimo, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previso dall’articolo 669-octies c.p.c. e dal primo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma del codice civile, fermo restando anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito.

 

Commi 12 e 13

Nella versione dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in sede di esame preliminare si prevedeva che l’articolo 2113 c.c. fosse modificato per conferire agli accordi di negoziazione la stabilità protetta di cui al relativo ultimo comma, integrando tale norma anche con l’espresso richiamo alla conciliazione conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita. La modifica è stata però espunta, al fine di conformarsi a quanto richiesto dalle competenti Commissioni del Senato e della Camera nei pareri resi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge n. 206/2021.

Quanto ai commi 12 e 13 (già 13 e 14), si osserva che il legislatore delegante, mediante la previsione del comma 10, lettera b) ha compiuto lo sforzo di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi i diritti dei terzi di buona fede sorti all’esito del giudicato nazionale civile, allorché siano rimasti estranei al processo convenzionale: in attuazione di tale previsione, anche in forza della previsione della legge delega di cui al comma 10, lettera f) si è estesa a loro tutela la disciplina degli articoli 2652, primo comma, e 2690, primo comma, c.c. sugli effetti prenotativi della trascrizione già previsti per gli altri casi di revocazione con effetto automatico senza l’attesa del decorso del tempo previsto per le altre ipotesi. Preme chiarire che l’inciso “terzi di buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi a tale Corte” è riferibile ai soli terzi di buona fede dovendosi per costoro prevedere, in analogia a quanto già previsto per gli altri motivi di revocazione straordinaria dall’art. 391 quater c.p.c., la medesima deroga al principio resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis. In tali ipotesi, dunque, se la domanda di revocazione è trascritta prima della trascrizione della sentenza impugnata, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Tale esegesi è in linea con la nuova previsione dell’onere informativo posto a carico dell’Agente del governo che renderà di fatto tutte le parti del processo nazionale in grado di partecipare o fornire elementi informativi alla Corte europea, con ciò assolvendo il proprio onere legato alla buona fede, potendo peraltro le stesse poi eventualmente far valere le proprie doglianze e, con esse, il proprio diritto di difesa, nella fase rescissoria del giudizio di revocazione.

Da ultimo il comma 12, lett. b) modifica l’articolo 2658 c.c. (che disciplina gli atti da presentare al conservatore) per renderlo compatibile con il nuovo rito semplificato di cognizione e disciplinare la modalità di richiesta di trascrizione nei casi in cui la domanda giudiziale si introduce con ricorso, circostanza che appunto avviene nel rito semplificato. È stato previsto che quando la domanda giudiziale si propone con ricorso, la parte che chiede la trascrizione presenta copia conforme dell’atto che la contiene munita di attestazione della data del suo deposito presso l’ufficio giudiziario.

 

Art. 2 – (Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie)

 

L’articolo 2 dello schema di decreto legislativo contiene modifiche alle disposizioni di attuazione del codice civile e disposizioni transitorie.

 

Comma 1

Il comma 1, alla lettera a), in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è proceduto ad alcune modifiche dell’articolo 38 disp. att. c.c., per coordinarlo con le innovazioni disciplinate dalle nuove norme sul rito unitario. Così, in primo luogo, si è dovuto sostituire il richiamo agli articoli 710 c.p.c. e 9 l. divorzio (ora abrogati), con l’inciso più generico relativo alla pendenza di “procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore”. Analogamente, nel secondo comma, si è sostituito il richiamo all’articolo 709-ter c.p.c., mediante l’indicazione di ricorso (e di procedimento) per l’irrogazione delle sanzioni in caso di inadempienze o violazioni. Il meccanismo della translatio previsto dalla norma è ora previsto dall’articolo 473-bis.39 c.p.c., ma non già anche per i procedimenti con i quali si chiede (unicamente) l’irrogazione delle sanzioni, e per tale ragione la disposizione merita di essere mantenuta, coordinandola con il nuovo testo. Si è poi abrogato l’inciso per il quale “Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile”, tenuto conto che detti procedimenti seguono ormai la struttura e le regole del nuovo rito unitario. Analogamente si è abrogato il periodo iniziale dell’ultimo comma, per il quale “Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente”, e si è adeguata la chiusa della norma specificando che “Quando il tribunale per i minorenni procede ai sensi dell’articolo 737 del codice di procedura civile, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni”.

La lettera b) abroga l’articolo 38-bis disp. att. c.c., in quanto le norme sull’ascolto del minore state organicamente accorpate negli artt. 473-bis.4 e seguenti c.p.c. e negli artt. 152-quater e 152-quinquies disp. att. c.p.c.

La lettera c), in attuazione del principio di cui al comma 23, lett. gg), n. 1, della legge delega (che prevede l’individuazione di cause di incompatibilità “con l’assunzione dell’incarico di consulente tecnico d’ufficio nonché con lo svolgimento delle funzioni di assistente sociale nei procedimenti che riguardano l’affidamento di minori, per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o che fanno parte degli organi sociali di società che gestiscono, nonché per coloro il cui coniuge, parte dell’unione civile, convivente, parente o affine entro il quarto grado svolge le medesime funzioni presso le citate strutture o comunità”), ha introdotto l’articolo 38-ter disp. att. c.c. che, nei procedimenti riguardanti l’affidamento dei minori e l’esercizio della responsabilità genitoriale, sancisce il divieto di svolgimento delle funzioni di tutore, curatore, curatore speciale, consulente tecnico d’ufficio o di assistente sociale per coloro che rivestono, o hanno rivestito nei due anni antecedenti, cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, o partecipano alla gestione delle medesime strutture, o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o fanno parte degli organi di società che le gestiscono.

Il secondo comma della norma in commento vieta, altresì, l’assunzione dell’incarico di consulente tecnico e lo svolgimento delle funzioni di assistente sociale a coloro il cui coniuge, parte dell’unione civile, convivente o parente entro il quarto grado svolge, o ha svolto nei due anni antecedenti, le funzioni di cui al primo comma. Si deve porre in luce che le precisazioni temporali, anche non formalmente ricomprese nella delega, sono state indicate al fine di dare un significato effettivo alla norma, poiché diversamente risulterebbe agevole eludere il divieto. Il legislatore delegato ha poi individuato ulteriori destinatari delle cause di incompatibilità rispetto a quelli indicati nella delega, menzionando in particolare anche il curatore, il curatore speciale e il tutore del minore in quanto persone che, per il ruolo rivestito, sono portatori dell’interesse del minore nel procedimento. Il fondamento del divieto sancito dalla disposizione in oggetto è da ravvisare nell’esigenza di assicurare maggiore trasparenza nei procedimenti relativi all’affidamento di minori garantendo così la terzietà-imparzialità di coloro i quali sono chiamati a svolgere delicate funzioni nel processo, evitando così il rischioso conflitto di interesse tra strutture di accoglienza e soggetti che ricoprono il ruolo di consulente tecnico, assistente sociale, tutore, curatore e curatore speciale del minore.

La lettera d) abroga l’articolo 41 disp. att. c.c., essendo il suo contenuto di fatto trasposto ed assorbito nel nuovo articolo 152-ter disp. att. c.p.c.

Le lettere f), g) e h) contengono modifiche agli articoli 47, 49 e 51 disp. att. c.c. e costituiscono il completamento dell’attuazione di uno dei principi di delega contenuti nell’articolo 1, comma 23, lett. dd), l. n. 206/2021 nella parte in cui è stato disposto che sia prevista: “la possibilità di nomina di un tutore del minore, anche d’ufficio, nel corso ed all’esito dei procedimenti di cui alla lettera a), ed in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile.”. Con le modifiche apportate all’articolo 330 c.c. è stata prevista espressamente la possibilità di nomina di un tutore provvisorio, nel corso, di procedimento avente ad oggetto domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale dei genitori, e la necessità di disporre la nomina di tutore qualora all’esito del procedimento sia pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Con le modifiche all’articolo 333 c.c. è stata prevista la possibilità per il giudice di nominare, con il provvedimento conclusivo che adotti misure limitative della responsabilità genitoriale, un curatore per il minore al quale potranno essere attribuiti specifici poteri di esercizio della responsabilità genitoriale (si richiama la relativa relazione illustrativa). L’articolo 473-bis.7 c.p.c., introducendo precise disposizioni nel codice di procedura civile, ha dettato le regole procedurali per la nomina del tutore, nel corso e all’esito di procedimenti ex articolo 330 c.c. e del curatore del minore, all’esito di procedimenti ex articolo 333 c.c. (si richiama la relativa relazione illustrativa dell’art. 473-bis.7). Le norme in esame hanno il fine di allineare alle nuove disposizioni i contenuti degli articoli 47, 49 e 51 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che disciplinano i registri delle tutele e delle curatele tenuti presso l’ufficio del giudice tutelare. In particolare, è prevista la modifica dell’articolo 47, che disciplina la tenuta presso l’ufficio del giudice tutelare del registro delle tutele e delle curatele, prevedendo espressamente che nel registro delle curatele, allo stato destinato a registrare le sole curatele dei minori emancipati, vengano inserite anche le curatele dei minori, pronunciate ai sensi del novellato secondo comma dell’articolo 333, c.c., inserendo nel registro i provvedimenti con i quali, all’esito di procedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale, sia stato nominato un curatore del minore; la modifica dell’articolo 49, che disciplina il registro delle curatele, prevedendo l’annotazione tra i provvedimenti che dispongono le curatele anche del provvedimento che dispone la curatela ai sensi dell’articolo 333 c.c., dunque all’esito di adozione di misura limitativa della responsabilità genitoriale che tale nomina abbia previsto, con ulteriori allineamenti destinati a prevedere l’annotazione degli elementi rilevanti per questa nuova figura di curatore; ed infine la modifica dell’articolo 51, che disciplina il registro delle tutele del minore, prevedendo che in tale registro vengano inserite anche le curatele, precisando che i relativi provvedimenti che dispongono le tutele e le curatele possono essere emessi non solo dal tribunale per i minorenni ma anche dal tribunale ordinario, adeguando la norma alle modifiche dell’articolo 38 disp. att c.c. che tale competenza ha attributo al suddetto organo giudicante nei limiti previsti e dando atto in particolare che nei registri delle tutele e delle curatele devono essere annotati, in capitoli speciali per ciascun minore, i provvedimenti emanati dal tribunale per i minorenni e dal tribunale ordinario ai sensi degli articoli 252, 262, 279, 316, 317-bis, 330, 332, 333, 334 e 335 del codice, e delle altre disposizioni della legge speciale che prevedono la nomina del tutore.

Comma 2

Il secondo comma dell’articolo 2 contiene modifiche all’articolo 71 quater disp. att. c.c. per ragioni di incompatibilità con la nuova disciplina di cui all’articolo 5-ter del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

 

Capo II Modifiche al codice di procedura civile ed alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie

 

Art. 3 – (Modifiche al codice di procedura civile)

 

Comma 1

I primi due commi dell’articolo 7 c.p.c. sono stati modificati per prevedere, in conformità alla delega (comma 7, lettera b), l’aumento di competenza del giudice di pace, secondo un criterio di valore.

La competenza è elevata, anche a seguito dei pareri formulati dalle Camere ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge delega, per le cause relative a beni mobili, a diecimila euro, e fino a venticinquemila per le cause indicate nel secondo comma.

 

Comma 2

Lettera a)

Come già evidenziato nella relazione della Commissione ministeriale di studio durante i lavori preparatori del disegno di legge delega, l’articolo 37 c.p.c. ha assunto, per effetto degli interventi della Corte regolatrice della giurisdizione, un significato nuovo, improntato ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo. Da un lato, la possibilità di sollevare l’eccezione di difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo è stata interpretata dalle Sezioni Unite nel senso che il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, con la conseguenza che, nei giudizi di impugnazione, il difetto di giurisdizione è rilevabile se dedotto con specifico motivo di gravame avverso il capo della pronuncia che, anche in modo implicito, ha statuito sulla giurisdizione. Dall’altro, il diritto vivente esclude che l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi al giudice ordinario e sia rimasto soccombente nel merito, possa esercitare uno ius poenitendi sulla giurisdizione, sollevando con l’impugnazione l’auto-eccezione di difetto di giurisdizione. Dando attuazione al principio indicato nella lettera c) del comma 22 della legge delega, l’intervento di modifica intende adeguare la lettera della disposizione del codice alla sua reale portata. Per un verso, la riscrittura della disposizione modifica il primo comma dell’articolo 37, espungendo le parole «o dei giudici speciali». Si è così inteso restringere ai casi di difetto assoluto di giurisdizione la rilevabilità anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo del difetto di giurisdizione. Per altro verso, alle questioni di riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e i giudici speciali è dedicato il secondo comma. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo e dei giudici speciali è rilevato in primo grado anche d’ufficio. In sede di impugnazione, la discussione sulla giurisdizione è lasciata aperta quando vi sia un’eccezione in tal senso proposta con l’appello principale o con quello incidentale, con la conseguenza che il dibattito sulla relativa questione non può riaprirsi quando, dopo due gradi di giudizio, l’eccezione sia sollevata per la prima volta in sede di legittimità. Allo stesso tempo, si prevede espressamente che il difetto di giurisdizione non è proponibile dall’attore per contestare la giurisdizione del giudice che ha adito: valendo il principio di autoresponsabilità, l’attore non ha il potere di sollevare, con l’atto di appello, il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto.

 

Lettera b)

Al terzo comma dell’articolo 40 c.p.c. è inserita la disciplina che dispone la prevalenza del rito semplificato di cognizione nei casi in cui si determina connessione (ai sensi degli articoli 31, 32, 34, 35 e 36) tra una causa sottoposta a tale rito e una causa invece da trattarsi con rito speciale diverso da quelli di cui agli articoli 409 e 422 del codice di procedura civile. L’intervento risponde alla finalità di operare un coordinamento fra l’eventuale coesistenza del nuovo rito semplificato di cognizione e altri riti speciali diversi da quelli in materia lavoristica e di locazione (art.1, comma 22 della legge delega).

 

Comma 3

Lettera a)

L’obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e la previsione (disciplinata in via regolamentare: articolo 27 d.m. n. 44/2011) della piena disponibilità per la controparte processuale degli atti depositati telematicamente hanno consentito di operare importanti modifiche, nel segno della semplificazione, speditezza e razionalizzazione del giudizio di legittimità, pur sempre nel rispetto della garanzia del contraddittorio (art. 1, comma 1, della legge delega):

L’articolo 47 c.p.c. terzo comma è stato modificato, quindi, al fine di semplificare la procedura di rimessione dei fascicoli alla cancelleria della Corte di cassazione nell’ambito del procedimento di regolamento di competenza. Non è più previsto l’onere della parte, nei cinque giorni successivi all’ultima notificazione del ricorso, di chiedere ai cancellieri degli uffici avanti ai quali pendono i processi interessati dal procedimento di regolamento di competenza la rimessione dei fascicoli alla cancelleria della Corte. Correlativamente è stato eliminato l’onere del giudice di disporre tale trasmissione, La parte è tenuta, con la nuova formulazione del comma, a depositare il ricorso e i relativi documenti, nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione.

Al quarto comma sono apportate modifiche di coordinamento con l’intervento operato al terzo comma.

Al quinto comma è stato eliminati il riferimento, non più pertinente per i depositi, alla cancelleria della Corte.

 

Lettera b)

Conseguentemente all’intervento operato sull’articolo 47 c.p.c., è stato modificato l’articolo 48 c.p.c., nel senso di prevedere che il giudizio di merito è sospeso dal giorno in cui viene depositata presso il giudice a quo copia del ricorso notificato o dell’ordinanza con cui è sollevato il regolamento di competenza.

 

Lettera c)

Si è novellato il primo comma dell’articolo 49 c.p.c., che in tema di regolamento di competenza continuava a prevedere – con una disposizione da sempre disattesa – che la Corte di cassazione dovesse pronunciare sulle relative istanze, addirittura entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito di memorie e scritti difensivi assegnato alle parti.

 

Comma 4

L’articolo 50 bis c.p.c., che elenca le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale, è stato modificato per attuare la previsione della lettera a) del comma 6 dell’articolo 1 della legge delega, la quale impone la riduzione dei casi in cui il tribunale decide in composizione collegiale, limitando a tale organo i casi di “oggettiva complessità giuridica” e tenendo conto della “rilevanza economico-sociale delle controversie”: si è proceduto all’abrogazione dei numeri 5 e 6 del primo comma, devolvendo quindi al giudice monocratico le cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché quelle di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi e le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima.

 

Comma 5

In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche le disposizioni relative al curatore speciale del minore, introdotte dalla l. n. 206/2021 ai commi 30 e 31. In particolare, dunque, l’abrogazione dell’articolo 78, terzo e quarto comma, c.p.c., e dell’articolo 80, terzo comma, c.p.c. è correlata alla trasposizione dei relativi contenuti nell’articolo 473-bis.8 c.p.c.

 

Comma 6

All’articolo 96 c.p.c. è stato aggiunto un quarto comma per dare attuazione al comma 21, lettera a), della legge delega: esso contiene la previsione che nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dal primo, secondo e terzo comma di tale disposizione, sia possibile comminare alla parte soccombente la sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000, da versarsi a favore della cassa delle ammende, a compensazione del danno arrecato all’Amministrazione della giustizia per l’inutile impiego di risorse speso nella gestione del processo.

 

Comma 7

L’articolo 101 c.p.c. è stato modificato, in virtù della necessità di operare il dovuto coordinamento, come disposto dal comma 22 della legge delega, fra le disposizioni vigenti anche non direttamente oggetto di specifico intervento delegato, per rafforzare le garanzie processuali delle parti nel nuovo “modulo” del rito ordinario (a trattazione scritta anticipata rispetto alla prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice), così come – laddove occorra – se vi sia necessità di ripristinare “la parità delle armi” nel nuovo rito semplificato. È stato quindi inserito un nuovo periodo nel secondo comma che ribadisce il dovere del giudice di assicurare il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adottare i provvedimenti opportuni.

 

Comma 8

In attuazione al comma 21, lettera b), della legge delega, avente come obiettivo quello di promuovere la leale collaborazione fra parti e giudice, al comma secondo dell’articolo 118 c.p.c. nei casi nei quali una parte si rifiuti di eseguire un ordine di ispezione a persone o cose comminato dal giudice nel corso dell’istruttoria, è stata prevista una sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 3.000, da versarsi a favore della cassa delle ammende.

 

Comma 9

L’intervento normativo introduce in modo concreto nel processo civile il principio di sinteticità degli atti e trae origine da uno specifico criterio di delega contenuto nell’articolo 1, comma 17, lettera d), della legge delega. Detto intervento risulta ormai improcrastinabile non solo in un’ottica acceleratoria, ma anche tenuto conto dello sviluppo e del consolidamento del processo civile telematico che impone nuove e più agili modalità di consultazione e gestione degli atti processuali da leggere tramite video, tanto per le parti quanto per i giudici.

L’articolo 121 c.p.c. viene modificato con la codificazione dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti del giudice e delle parti. Detti principi sono ormai immanenti nel processo civile, come risulta dalla giurisprudenza consolidata della Cassazione, anche a sezioni unite, a partire dal 2014, la quale in più occasioni ha avuto modo di osservare come il principio di sinteticità degli atti processuali è stato introdotto nell'ordinamento processuale con l'articolo 3, secondo comma, del codice del processo amministrativo, che esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, in quanto funzionale a garantire il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato con la modifica dell'articolo 111 della Costituzione, e il principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste ed il giudice (si vedano, fra le tante: Cassazione civile, Sezione 5, sentenza del 30 aprile 2020, n. 8425; Cassazione civile, Sezione 5, ordinanza del 21 marzo 2019, n. 8009; Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 17 gennaio 2017, n. 964; Cassazione civile, Sezione 2, sentenza del 20 ottobre 2016, n. 21297; Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza del 6 agosto 2014, n. 17698).

 

Comma 10

Le disposizioni introdotte al terzo comma dell’articolo 127 c.p.c., nonché nei nuovi articoli 127-bis e 127-ter c.p.c. attuano i criteri di delega dettati dall’articolo 1, comma 17, lettere l) ed m), della legge n. 206 del 2021. A tali disposizioni si aggiunge, pure in attuazione dei medesimi criteri di delega, il nuovo 196-duodecies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie.

Alla lettera a) è stato introdotto un nuovo terzo comma nell’articolo 127 c.p.c., rubricato “Direzione dell’udienza”), al fine di dettare una disposizione di principio ai sensi della quale il giudice può disporre che l’udienza si svolge mediante collegamenti audiovisivi a distanza o è sostituita dal deposito di note scritte, secondo le disposizioni di cui ai successivi articoli 127-bis e 127-ter, che regolamentano nel dettaglio tali modalità alternative rispetto all’udienza in presenza. Il terzo comma dell’articolo 127 subordina la possibilità di svolgimento dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza e della sostituzione dell’udienza con il deposito telematico di note scritte ad una decisione del giudice, in coerenza con il potere di direzione dell’udienza a quest’ultimo attribuito dal medesimo articolo 127.

L’articolo 127-bis c.p.c., inserito dalla lettera b) e rubricato “Udienza mediante collegamenti audiovisivi”, prevede al primo comma che lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto dal giudice quando non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice, come disposto dal criterio di delega. È pertanto esclusa la possibilità di tenere udienza in videoconferenza nel caso di escussione di testimoni, sommari informatori e, in generale, nel caso si renda necessaria la presenza all’udienza di soggetti ulteriori rispetto a quelli elencati dalla norma. Al fine di prevenire dubbi interpretativi, la disposizione precisa che l’udienza mediante collegamenti audiovisivi è consentita anche per l’udienza pubblica (in riferimento a quest’ultima, l’articolo 196-duodecies delle disposizioni di attuazione rinvia a provvedimenti del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia affinché ne sia garantita la pubblicità).

Il secondo comma regolamenta i termini di comunicazione del provvedimento del giudice e l’esercizio della facoltà di opposizione attribuita alle parti dal criterio di delega. Si prevede infatti che il provvedimento con il quale il giudice dispone lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza (di cui al primo comma) è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell’udienza; che ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l’udienza si svolga in presenza e che il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l’udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. Si è prevista espressamente la non impugnabilità del decreto con il quale il giudice decide in ordine all’istanza proposta dalle parti, al fine di evitare che il procedimento possa essere rallentato. Su sollecitazione delle Camere, poi, si è specificato che nel decidere sulla richiesta della parte di celebrare l’udienza in presenza il giudice debba tenere conto «dell’utilità e dell’importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza», al fine di garantire che gli adempimenti più rilevanti quali ad esempio la discussione orale della causa avvengano preferibilmente in presenza, quando le parti lo chiedano. È inoltre prevista la possibilità che sia disposta udienza mista, ovvero in presenza per le parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. Da ultimo, si è chiarito che resta ferma, nel caso in cui venga disposta l’udienza mista, la possibilità di partecipare in presenza anche per le parti che non avevano avanzato la relativa richiesta.

È infine previsto, dal terzo comma, che se ricorrono particolari ragioni di urgenza i termini di cui al secondo comma possano essere abbreviati dal giudice, che deve dare atto nel provvedimento delle ragioni alla base dell’abbreviazione.

La disciplina dell’udienza con collegamento audiovisivo è poi completata attraverso l’introduzione, nelle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, del nuovo articolo 196-duodecies.

L’articolo 127-ter c.p.c., rubricato “Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza”, disciplina la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte, in attuazione del criterio di delega dettato dall’articolo 1, comma 17, lettera m) della legge n. 206 del 2021. La norma prevede al primo comma, in conformità al criterio di delega, che l’udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice, aggiungendo che, negli stessi casi, l’udienza è sostituita dal deposito di note scritte quando ne fanno richiesta tutte le parti costituite.

I commi successivi regolano il procedimento attraverso il quale il giudice assegna termine per il deposito delle note, le modalità attraverso le quali le parti possono proporre opposizione e le conseguenze della proposizione di quest’ultima. In particolare, è disposto che con il provvedimento con cui sostituisce l’udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note; che ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; che il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile (analogamente a quanto disposto dall’articolo 127- bis c.p.c.) e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Pure analogamente a quanto disposto dall’articolo 127-bis c.p.c., è prevista la possibilità per il giudice di abbreviare i termini se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali deve darsi atto nel provvedimento.

È altresì previsto che il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note e che se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza; se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all’udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo, con meccanismo analogo a quello previsto, in caso di mancata comparizione di tutte le parti a due udienze successive, dall’articolo 181 c.p.c..

L’ultimo comma della disposizione in esame chiarisce che il giorno di scadenza del termine assegnato dal giudice per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti, al fine di ricollegare a tale termine tutti gli effetti conseguenti alla data di udienza (quali, ad esempio, il calcolo di termini stabiliti a ritroso a decorrere dall’udienza).

 

Comma 11

Lettera a)

L’intervento normativo, in ottica di riordino secondo quanto previsto dal comma 17, lettera h) dell’articolo unico, si limita ad adeguare la disposizione di cui all’articolo 136 c.p.c. alla tecnologia in uso.

Al terzo comma si è ritenuto di sopprimere la possibilità di trasmettere il biglietto di cancelleria a mezzo telefax, trattandosi di modalità ormai desueta, e di lasciare soltanto la possibilità di chiedere all’ufficiale giudiziario di procedere alla notifica.

 

Lettera b)

Nell’attuare i criteri di delega relativi alle notifiche telematiche e, in tale ambito, al riordino e implementazione del processo civile telematico, si è ritenuto di mantenere la disciplina delle notifiche eseguite dagli avvocati in materia civile e stragiudiziale nella legge n. 53 del 1994, ove formano un corpo normativo unico applicabile anche alle notifiche di atti in materia amministrativa, intervenendo nel codice di procedura civile per il necessario coordinamento nonché per dare attuazione ai criteri di portata generale o indirizzati all’ufficiale giudiziario.

Più in particolare, è stato modificato il secondo comma dell’articolo 137 c.p.c. per introdurre espressamente le notifiche effettuate dall’avvocato, in coordinamento con le altre modifiche di seguito descritte.

Sono stati introdotti due nuovi commi sesto e settimo all’articolo 137 c.p.c., per dare atto, da un lato, dalla disciplina in materia di notifiche eseguite dall’avvocato (oggi contenuta nella legge n. 53 del 1994) e, dall’altro, per coordinare l’obbligo di notifica telematica da parte dell’avvocato con il divieto all’ufficiale giudiziario, in tali casi, di eseguire la notifica.

Sotto quest’ultimo profilo, si è quindi previsto che l’ufficiale giudiziario possa eseguire la notificazione su richiesta dell’avvocato soltanto se quest’ultimo non è obbligato, in base alla legge, a procedere personalmente mediante posta elettronica certificata o altra modalità prevista dalla legge (quale l’inserimento nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, di cui al nuovo articolo 3-ter della legge n. 53 del 1994). Tale limitazione non opera, tuttavia, quando vengono meno i presupposti per l’operare del predetto obbligo in capo all’avvocato: ossia, nei casi in cui non è possibile eseguire la notificazione secondo le modalità previste dalla legge, o quest’ultima non ha avuto esito positivo, per cause non imputabili al destinatario. Si prevede, in tale ipotesi, che l’avvocato debba formulare una dichiarazione formale, di cui l’ufficiale giudiziario dà atto nella relata di notifica; ciò, anche in ottica di maggior controllo circa la sussistenza dei requisiti per notificare mediante l’ufficiale giudiziario e quindi di controllo della validità della notifica eseguita mediane inserimento nell’area web.

 

Lettera c)

Le modifiche proposte all’articolo 139, quarto comma, c.p.c. attuano il criterio di delega del comma 20, lettera d), dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021. Sopprimendo la firma del portiere o del vicino del destinatario, si dematerializza il flusso di ritorno al richiedente della copia dell’atto notificato e si semplifica l’attività notificatoria dell’ufficiale giudiziario, riducendo la quantità di carta che deve produrre e trasportare con sé quando si reca sui luoghi di notifica e consentendogli di redigere una relata di notifica in via esclusivamente telematica. A norma vigente, infatti, poiché non si può prevedere se il ricevente sia munito di firma digitale, né si può imporre che se la procuri, l’ufficiale giudiziario, che debba procedere a consegna a mani di copia cartacea, deve sempre portare con sé anche una ulteriore copia cartacea sulla quale il ricevente, eventualmente diverso dal destinatario, possa apporre firma autografa. La copia cartacea firmata deve essere poi materialmente restituita al richiedente, che la deve conservare.

La soppressione della firma da parte del ricevente, quando la consegna venga fatta da soggetto che, come l’ufficiale giudiziario, riveste la qualità di pubblico ufficiale e restituisce relazione scritta dell’attività svolta, con valore probatorio dell’atto pubblico, estende a casi analoghi, senza modificarne la natura, la potestà certificatoria che l’ufficiale già ha con riferimento al caso in cui il ricevente rifiuti la firma o non possa firmare e agevola il flusso telematico degli atti processuali.

 

Lettera d)

L’intervento aggiunge due commi all’articolo 147 c.p.c., al fine di disciplinare il tempo della notificazione eseguita con la posta elettronica certificata, per dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 75 del 2019 che, con riferimento alla notifica di un atto in materia civile, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 147 c.p.c. nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il destinatario alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. Si è previsto che le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata possono essere eseguite senza limiti orari e che si perfezionano in momenti diversi per il notificante (al momento in cui è generata la ricevuta di accettazione) e per il destinatario (nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna e, se quest’ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, alle ore 7).

 

Lettera e)

L’articolo 149-bis c.p.c. è stato modificato in attuazione del criterio di delega del comma 20, lettera d), che richiede di “adottare misure di semplificazione del procedimento di notificazione nei casi in cui la stessa è effettuata dall'ufficiale giudiziario, al fine di agevolare l'uso di strumenti informatici e telematici”. La disposizione inoltre attua la delega sull'implementazione del processo civile telematico disponendo la notifica via posta elettronica certificata anche per gli atti notificatori tipicamente propri dell’ufficiale giudiziario (come il pignoramento presso terzi) con norma che semplifica anche l'introduzione del processo esecutivo.

Non si è ritenuto necessario modificare il comma terzo, in materia di tempo delle notificazioni, considerata l’esistenza, all’articolo 3-bis, comma 3, della legge n. 53 del 1994, di una specifica disposizione sul perfezionamento della notifica a mezzo posta elettronica certificata eseguita dall’avvocato. La disciplina dettata in quest’ultima norma, che prevede un diverso tempo della notificazione per il notificante e per il destinatario, appare dettata da esigenze legate ai termini e alle conseguenti decadenze in cui incorre la parte e, pertanto, è stata ritenuta compatibile con quanto previsto per le notifiche eseguite dall’ufficiale giudiziario.

 

Comma 12

Lettera a)

L’articolo 163 c.p.c. è stato modificato per dare attuazione alle previsioni contenute nelle lettere b) e d) del comma 5 della legge delega: si è a tal fine disposto nel n. 4) del terzo comma che i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni siano esposti in modo chiaro e specifico; il n. 7) del terzo comma è stato modificato per aggiungere la necessità di inserire un nuovo avvertimento (“che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato”).

Inoltre, sempre in forza della necessità di operare il dovuto coordinamento fra le disposizioni vigenti anche non direttamente oggetto di specifico intervento delegato, come disposto dal comma 22 della legge delega, il termine per la costituzione del convenuto (che deve essere oggetto di avvertimento contenuto nell’atto di citazione) è stato posto a settanta giorni prima dell'udienza, dovendosi consentire lo svolgimento della trattazione scritta antecedentemente all’udienza di prima comparizione per ivi consentire la piena definizione del thema decidendum ac probandum. Per la medesima finalità di coordinamento è stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per tale costituzione, non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’articolo 183.

Per analogo intento di coordinamento e con l’obiettivo di assicurare la concentrazione e la ragionevole durata del processo (comma 5, lettera a) della legge delega) è stato infine inserito un nuovo n. 3-bis nel terzo comma, per agevolare il rilievo di criticità relative alla procedibilità della domanda sin dalle prime verifiche del giudice previste fuori udienza dal nuovo articolo 171-bis c.p.c.

 

Lettera b)

L’articolo 163-bis c.p.c. reca al primo comma una modifica che estende il termine a comparire a centoventi giorni prima dell’udienza di trattazione: tale intervento, in ossequio ai criteri di cui alla lettera g) del comma 5 della legge delega, ha l’obiettivo di consentire lo svolgimento della trattazione scritta antecedentemente all’udienza di prima comparizione, assicurando tempi congrui per l’elaborazione delle memorie integrative di cui al nuovo articolo 171-ter, e così ivi consentire la piena definizione del thema decidendum ac probandum prima dell’udienza di cui all’articolo 183. È stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore (simmetricamente a quanto operato negli articoli 163 e 165), non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’articolo 183.

 

Lettera c)

L’articolo 164 c.p.c. è stato modificato solo all’ultimo comma, sempre in forza della necessità di operare il dovuto coordinamento fra le disposizioni vigenti anche non direttamente oggetto di specifico intervento delegato, come disposto dal comma 22 dell’unico articolo della legge delega: poiché è stato introdotto un momento, antecedente all’udienza, nell’ambito del quale il giudice opera le verifiche sulla corretta instaurazione del contraddittorio (nuovo articolo 171-bis c.p.c.), precedentemente svolte in apertura di udienza nel primo comma dell’articolo 183 con possibile rinvio dell’udienza ai sensi del relativo secondo comma, quest’ultimo è stato sostituito con il nuovo riferimento al secondo comma dell’articolo 171-bis.

 

Lettera d)

Dal primo comma dell’articolo 165 c.p.c. è stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore (simmetricamente a quanto operato negli articoli 163 e 163-bis), non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’articolo 183. In chiusura dell’articolo è stato previsto che, anche in caso di costituzione personale dell’attore, costui debba indicare l’indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica (attuazione della lettera h) del comma 17 della legge delega).

 

Lettera e)

L’articolo 166 c.p.c. contiene alcune modifiche rispetto all’attuale formulazione. A tal fine, è stato in primo luogo previsto che il convenuto debba costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta (e non più venti) giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, e ciò tenuto conto del nuovo termine a comparire e della nuova struttura della fase introduttiva, che prevede che dopo la costituzione del convenuto, ma sempre anteriormente all’udienza, debba avvenire anche lo scambio delle memorie integrative tra le parti.

È poi stato espunto che la costituzione possa avvenire almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell'art. 163-bis, nonché almeno venti giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’articolo 168-bis, quinto comma, perché quest’ultima norma è stata abrogata, essendo stato il relativo contenuto trasferito nel nuovo articolo 171-bis, terzo comma, c.p.c., che prevede che il giudice possa comunque differire l’udienza sino a quarantacinque giorni e, come precisato nella stessa norma, i termini per le memorie di cui all’articolo 171-ter decorrono in tal caso a ritroso dalla nuova udienza che viene fissata dal giudice.

 

Lettera f)

L’articolo 167 c.p.c. disciplina il contenuto della comparsa di risposta, e contiene unicamente una modifica, nel senso che il convenuto deve, “in modo chiaro e specifico”, proporre tutte le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. La modifica costituisce una esemplificazione applicativa del principio di chiarezza e specificità degli atti processuali che la riforma ha inteso rafforzare e rendere generale (cfr. modifiche all’articolo 121 c.p.c.).

 

Lettera g)

L’articolo 168-bis c.p.c. contiene la disciplina della designazione del giudice istruttore, adattandola alla complessiva digitalizzazione del disegno riformatore della legge delega, prevedendo che, formato un fascicolo d’ufficio, il cancelliere lo presenta senza indugio al presidente del tribunale, il quale designa il giudice istruttore davanti al quale le parti debbono comparire, se non creda di procedere egli stesso all'istruzione. Nei tribunali divisi in più sezioni il presidente assegna la causa ad una di esse, e il presidente di questa provvede nelle stesse forme alla designazione del giudice istruttore. È stato soppresso l’inciso per cui la designazione del giudice istruttore debba avvenire “con decreto scritto in calce della nota d'iscrizione a ruolo”, e l’ulteriore inciso per cui subito dopo la designazione del giudice istruttore il cancelliere iscrive la causa sul ruolo della sezione, e su quello del giudice istruttore “e gli trasmette il fascicolo”, per necessario adeguamento alle disposizioni del processo civile telematico. È stato infine soppresso l’ultimo comma, per il quale “Il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza”, in quanto la disposizione è stata trasfusa nell’articolo 171-bis c.p.c.

 

Lettera h)

L’articolo 171 c.p.c., che disciplina la ritardata costituzione delle parti, è stato oggetto di interventi di mero coordinamento. Nel secondo comma si è infatti eliminato l’inciso che consente, nel caso in cui una parte si sia costituita nei termini per essa stabiliti dalla legge, alla controparte di costituirsi successivamente “fino alla prima udienza”, in quanto per consentire le verifiche preliminari del giudice anteriormente all’udienza e alla fissazione dei termini per le memorie di cui all’art. 171-ter, il termine per la costituzione del convenuto deve essere necessariamente fissato in quello tempestivo di cui all’art. 166 c.p.c.; il tutto tenendo peraltro conto anche della previsione di cui all’articolo 291 c.p.c. Nulla vieta, in ogni caso, al convenuto di costituirsi anche successivamente, ma nella consapevolezza di dover accettare il processo in statu et terminis, ferme restando le decadenze ormai maturate, e salve naturalmente le ipotesi di possibile rimessione in termini.

Per analoghe ragioni il terzo comma contiene a sua volta una modifica formale, con la soppressione dell’inciso “neppure entro tale termine” e la sostituzione dell’inciso “entro il termine di cui all’art. 166”, a precisare che dopo tale termine la parte è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore (la verifica è tra quelle preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c.).

 

Lettera i)

L’articolo 171-bis c.p.c. rappresenta una norma quadro nel quadro della nuova fase introduttiva, e disciplina le verifiche preliminari che il giudice è chiamato a fare prima dell’udienza. Invero, in un sistema che aspira a realizzare il canone della concentrazione, e per il quale dunque, salvi i rari casi di chiamata del terzo da parte dell’attore, all’udienza la causa deve tendenzialmente sempre giungere con il perimetro del thema decidendum e del thema probandum già definito, così da consentire al giudice di poter valutare al meglio quale direzione imprimere al processo (effettuare il tentativo di conciliazione, disporre il mutamento nel rito semplificato, ammettere le prove e procedere alla relativa assunzione), non era possibile immaginare che il giudice fosse chiamato a compiere tutte le verifiche preliminari di sua competenza all’udienza stessa. Nel rispetto della finalità perseguita dalla delega si è pertanto ritenuto che, scaduto il termine di cui all’art. 166 per la costituzione del convenuto, il giudice istruttore abbia comunque a procedere entro un termine ravvicinato (i successivi quindici giorni) a tutte le verifiche d'ufficio che, nel loro insieme, sono funzionali ad assicurare la regolarità del contraddittorio.

Per quanto concerne in particolare la tipologia dei controlli richiesti al giudice, gli stessi riguardano i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma (ordine di integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorte necessario pretermesso), 107 (chiamata del terzo per ordine del giudice), 164, secondo, terzo e quinto comma (nullità dell’atto di citazione e relative sanatorie), 167, secondo e terzo comma (nullità della comparsa di risposta), 171, terzo comma (dichiarazione di contumacia), 182 (difetti di rappresentanza, assistenza, autorizzazione), 269, secondo comma (chiamate in causa del terzo), 291 e 292 (ancora contumacia), e indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda (e in specie dunque all’avvenuto esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione) e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato. Nel caso in cui il giudice abbia a effettuare rilievi e ad assumere provvedimenti in ordine a tali profili, gli stessi sono poi trattati dalle parti nelle memorie integrative di cui all’articolo 171-ter c.p.c.

È poi stabilito che quando pronuncia i provvedimenti sopra indicati il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’art. 171-ter c.p.c. per le memorie integrative e di completamento della trattazione.

È in ogni caso previsto che il giudice, anche se non provvede ai sensi del secondo comma, possa confermare o anche differire, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza (con previsione, dunque, non dissimile a quella dell’attuale articolo 168-bis, quinto comma, c.p.c., e per consentire di meglio organizzare il proprio ruolo). Naturalmente, in tal caso i termini indicati per le memorie di cui all’articolo 171-ter c.p.c. decorrono dalla data della nuova udienza.

È infine previsto che il decreto del giudice debba essere comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria.

Sempre al fine di consentire di realizzare l’obiettivo principale legato alla fase introduttiva, l’articolo 171-ter c.p.c. disciplina le memorie integrative che le parti possono depositare una volta avvenute le verifiche preventive del giudice e sempre prima dell’udienza. È stato così stabilito che le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono:

1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’art. 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta;

2) almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali.

3) almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria.

In sostanza, si tratta delle stesse tre memorie oggi contemplate dall’art. 183, 6° comma, c.p.c., ma dopo la prima udienza, che vengono invece anticipate a un termine anteriore, per consentire come già precisato che all’udienza il tema di causa sia perfettamente delineato e possano essere assunte le determinazioni più opportune circa la direzione da imprimere al giudizio.

Rispetto alla lettera della legge delega (comma 5, lett. f) si è attuata consapevolmente la scelta di parificare i termini per tutte le parti, rispettando dunque la delega nella necessità di assicurare le prerogative in essa contenute per le parti indicate (attore, convenuto, e infine entrambi), ma estendendola di fatto per meglio consentire il rispetto delle finalità dalla stessa perseguite, in particolare nelle ipotesi di giudizi plurisoggettivi, sia ab origine (caso delle domande trasversali) sia ad esito della chiamata del terzo da parte del convenuto, sulla quale il giudice pronuncia ad esito delle verifiche preliminari fissando una nuova udienza dalla quale dunque devono decorrere i termini di cui all’articolo 171-ter c.p.c. per tutte le parti. Non si è invece ritenuto di attuare la delega nella parte della lett. f che prevede la anticipata facoltà anche per l’attore di chiamare in causa un terzo (se l’esigenza sorge dalle difese del convenuto), in quanto tale facoltà, che peraltro corrisponde a una situazione nella prassi e statisticamente assai rara, avrebbe comportato indistintamente per tutti i giudizi un allungamento dei tempi incongruo rispetto ai benefici perseguiti e soprattutto incompatibile con le finalità di semplificazione e celerità poste dalla delega quali obiettivi generali di tutta la riforma.

 

Comma 13

Lettera a)

L’articolo 182 c.p.c. reca una modifica dettata da esigenze di coordinamento, come disposto dal comma 22 della legge delega, fra tale norma e l’articolo 171-bis: si include fra le verifiche preliminari anche l’eventuale mancanza della procura al difensore.

 

Lettera b)

L’articolo 183 c.p.c. è stato modificato per dare attuazione alle previsioni contenute nella lettera i) del comma 5 della legge delega, dove si prevede che nella prima udienza le parti debbano comparire personalmente e la mancata comparizione, senza giustificato motivo, sia valutabile ai sensi dell’art. 116, secondo comma.

Il secondo comma prevede che, salvo che non trovi applicazione l’articolo 187, il giudice provveda, quando formulata, sull’istanza dell’attore di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo.

L’accoglimento di tale richiesta comporta a fissazione di una nuova udienza ex articolo 183, i controlli preliminari di cui all’articolo 171-bis e la decorrenza dei termini per le memorie integrative di cui all’articolo 171-ter.

Il terzo comma prevede che il giudice interroghi liberamente le parti e chieda i chiarimenti necessari sulla base dei fatti allegati e proceda così al tentativo obbligatorio di conciliazione a norma dell’art. 185. Il richiamo espresso di tale disposizione è finalizzato a consentire alle parti, ove lo ritengano, di farsi rappresentare per tale adempimento.

Il quarto comma prevede che, alla stessa udienza, il giudice provveda sulle istanze istruttorie predisponendo il calendario del processo e fissando l’udienza di assunzione delle prove entro novanta giorni. Tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, si prevede che il calendario delle udienze successive contenga una precisa programmazione, sino alla data dell’udienza di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse.

È prevista la facoltà di riservare la decisione sui mezzi di prova, ma l’ordinanza emanata fuori udienza deve essere pronunciata entro i successivi trenta giorni. Si prevede infine che, quando vengano disposti d'ufficio mezzi di prova, come nella disciplina attuale, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del quarto comma.

 

Lettera c)

L’articolo 183-bis c.p.c. ha subito modifiche dovute alla nuova configurazione del rito semplificato di cognizione, come conformato dalla lettera n) del comma 5 della legge delega. Si prevede che all’udienza di trattazione il giudice, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria e sentite le parti, se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato e si applica il comma quinto dell’art. 281-duodecies.

 

Lettera d)

Finalità acceleratorie e di semplificazione della decisione ha anche la delega contenuta nel comma 5, lettere o), p) e q), finalizzata ad introdurre un nuovo strumento definitorio della lite nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili, ovverosia un provvedimento provvisorio ma con efficacia esecutiva, ispirato ad alcuni esempi della legislazione di altri ordinamenti (come, ad esempio, il référé provision di cui all’art. 809 del code de procédure civile francese o il summary judgment di cui all’art. 24 delle civil procedure rules anglosassoni) e modellato sulle fattispecie di c.d. condanna con riserva delle difese del convenuto, già prevista nel nostro ordinamento (articolo 1462 c.c. e articoli 35, 648 e 665 c.p.c.).

Il nuovo articolo 183-ter c.p.c. (attuativo della lettera o)) disciplina l’“ordinanza di accoglimento della domanda” e prevede che, limitatamente alle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, nel corso del solo giudizio di primo grado e su istanza di parte, possa pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda e così definire il giudizio in tale udienza. Il presupposto per la pronuncia di questo provvedimento provvisorio è configurato dal raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e dalla valutazione giudiziale di manifesta infondatezza delle difese del convenuto. È specificato inoltre che in caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte, avendo l’ordinanza natura e scopo completamente definitorio del giudizio. La disposizione prevede, poi, che il provvedimento in questione sia provvisoriamente esecutivo e sia reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies c.p.c., e non sia comunque idoneo ad acquisire efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 c.c. né la sua autorità sia invocabile in altri processi. La norma è strutturata in modo tale da escludere che, dopo la pronuncia dell’ordinanza, il giudizio abbia a proseguire, essendo deputata a soddisfare l’eventuale interesse della parte istante di munirsi celermente di un titolo immediatamente spendibile in via esecutiva, nella consapevolezza che la pronuncia non sia idonea ad acquisire autorità di cosa giudicata. In questo senso, tra l’altro, deve leggersi il carattere di provvisorietà che, in base alla delega, è riconosciuto all’ordinanza in oggetto.

Il secondo comma descrive l’efficacia e il regime di stabilità dell’ordinanza. Sotto il primo profilo la formula della norma esplicitamente attribuisce all’ordinanza la natura di titolo esecutivo, escludendo peraltro che la stessa possa acquistare l’autorità di cosa giudicata ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, o che la sua autorità possa essere invocata in altri processi.

La norma è poi tale da chiarire che unicamente l’ordinanza di accoglimento è reclamabile, non essendovi ragioni perché un controllo sia esercitato nei casi in cui l’istanza sia stata rigettata. Solo l’ordinanza di accoglimento, dunque, tanto laddove non impugnata quanto nei casi in cui il reclamo venga respinto, come subito si dirà, è quindi potenzialmente idonea a definire il giudizio. Ed è per tale ragione che è stato poi previsto che con la stessa ordinanza il giudice liquidi le spese di lite, essendo il giudizio concluso proprio con tale ordinanza.

Il terzo comma disciplina le sorti del processo quando l’ordinanza non sia stata reclamata o quando il reclamo sia stato respinto, prevedendo appunto che in queste ipotesi l’ordinanza di accoglimento di cui al secondo comma sia idonea a definire il giudizio e non sia ulteriormente impugnabile.

L’ultimo comma, conformemente alla delega, specifica poi che, in caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegua innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata, essendo quest’ultima una manifestazione di convincimento del giudice nel merito del giudizio.

Inoltre, proprio per contrastare ab origine richieste pretestuose e strumentali ed evitare il prosieguo del giudizio, con inutile dispendio dell’attività giudiziaria e dell’impiego di risorse umane e organizzative, e con risparmio di tempi e di adempimenti processuali, il nuovo articolo 183-quater c.p.c. (attuativo delle lettere p) e q)), prevede che, già all’esito dell’udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, possa pronunciare ordinanza provvisoria di rigetto della domanda proposta dall’attore quando la stessa sia manifestatamente infondata o sia priva dei requisiti essenziali dell’atto di citazione previsti al comma 3, nn. 3) e 4) dell’articolo 163 c.p.c. e la nullità non è stata sanata, o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4) del predetto terzo comma. Con riferimento alla lettera q) si è ritenuto di non modificare l’articolo 164, mantenendo in prima battuta la sanabilità dei vizi dell’atto di citazione sopra indicati, ritenendo che il legislatore non si sia espressamente spinto sino ad abrogare tale possibilità di sanatoria. È specificato inoltre che in caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte, avendo l’ordinanza natura e scopo completamente definitorio del giudizio. Come per l’ordinanza di accoglimento, anche nel caso di specie si prevede che soltanto l’ordinanza che accolga l’istanza (e dunque rigetti la domanda) possa essere reclamata ai sensi dell’articolo 669 terdecies c.p.c. e non abbia valore di giudicato né possa essere fatta valere in altri procedimenti. Anche in questo caso, dunque, la non idoneità ad acquisire autorità di cosa giudicata dà conto del carattere di provvisorietà che, in base alla delega, è riconosciuto all’ordinanza in oggetto.

È poi previsto che con la stessa ordinanza il giudice liquidi le spese di lite, essendo il giudizio concluso proprio con tale ordinanza. L’ultimo comma specifica inoltre che, in caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegua innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata, essendo quest’ultima una manifestazione di convincimento del giudice nel merito del giudizio.

Anche per l’ordinanza di rigetto si prevede che quando l’ordinanza non sia stata reclamata o quando il reclamo sia stato respinto, la stessa sia idonea a definire il giudizio e non sia ulteriormente impugnabile.

 

Lettera e)

L’articolo 184 c.p.c. è stato abrogato in quanto non più compatibile con le nuove previsioni dell’articolo 183 che dispone che il giudice provveda in udienza sulle richieste istruttorie con facoltà di riservare ad un momento successivo fuori udienza la decisione sui mezzi di prova, ma l’ordinanza deve essere pronunciata entro i successivi trenta giorni.

 

Lettera f)

L’articolo 185 c.p.c. reca una lieve modifica per esigenze di coordinamento rispetto al criterio di cui al n. 2 della lettera i) del comma 5: è stato ribadito che tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione, ma deve rispettare, nel suo complesso il calendario del processo.

 

Lettera g)

L’articolo 185-bis c.p.c. ha subito un intervento di modifica per attuare quanto previsto dal criterio contenuto nella lettera m) del comma 5: la proposta transattiva o conciliativa può essere ora formulata dal giudice fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione.

 

Lettera h)

All’articolo 187 c.p.c. è stato solamente effettuata una modifica per allineare il rinvio alla opportuna previsione dell’articolo 183, ora confluita nel nuovo quarto comma e non più contenuta nel precedente ottavo comma (mezzi di prova disposti d’ufficio).

 

Lettera i)

L’articolo 188 c.p.c. reca modifiche dettate da esigenze di coordinamento sia rispetto al criterio di cui al n. 2 della lettera i) del comma 5, in ossequio al quale è stato ribadito che anche le modalità di assunzione dei mezzi di prova devono rispettare il calendario del processo, sia rispetto al generale obiettivo di operare il dovuto coordinamento fra le norme imposto dal comma 22 della legge delega, inserendo quindi gli opportuni riferimenti all’articolo 189 (scambio di scritti conclusivi) e all’articolo 275 bis (discussione orale davanti al collegio).

 

Lettere l) e m)

L’articolo 189 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere, per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, che sia fissata un’udienza, detta di rimessione della causa al collegio per la decisione rispetto alla quale decorrono, a ritroso tre termini, rispettivamente per la precisazione delle conclusioni, per il deposito delle conclusionali e delle memorie di replica. Tali termini possono essere oggetto di rinuncia ad opera delle parti. In tal caso il giudice può immediatamente trattenere la causa in decisione. Tale modello di fase decisoria, in attuazione del medesimo principio di delega, è stato attuato anche per l’appello.

L’inserimento, nell’articolo 189 dei termini di deposito degli scritti difensivi finali ha comportato poi l’abrogazione dell’articolo 190 c.p.c.

La modifica dell’articolo 183 c.p.c. ha imposto, infine, una modifica di mero coordinamento all’articolo 191 c.p.c.

 

Comma 14

Il criterio di delega di cui al comma 17, lettera n), (“prevedere che il giudice, in luogo dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio, può disporre il deposito telematico di una dichiarazione sottoscritta con firma digitale recante il giuramento di cui all’articolo 193 del codice di procedura civile”) è attuato attraverso l’aggiunta di un secondo comma all’articolo 193 c.p.c., rubricato “Giuramento del consulente”, con il quale si prevede che in luogo della fissazione dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio il giudice può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma dello stesso articolo. È altresì specificato che con il medesimo provvedimento il giudice fissa i termini previsti dall’articolo 195, terzo comma, del codice (ovvero i termini per la trasmissione della relazione dal consulente alle parti costituite, per la trasmissione al consulente delle osservazioni delle parti e per il deposito in cancelleria della relazione).

 

Comma 15

Lettera a)

In conformità al principio di delega di cui all’articolo 1, comma 21, lettera b), si è ritenuto di inserire nell’articolo 210 c.p.c. due ultimi commi per rafforzare l’efficacia dell’ordine di esibizione del giudice, con disposizioni volte a sanzionare la mancanza di collaborazione all’attività giudiziale della parte e del terzo.

Al nuovo comma quarto si prevede che l’inottemperanza della parte all’ordine di esibizione venga sanzionato con una pena pecuniaria di importo compreso tra euro 500 ed euro 3000. Il giudice potrà altresì desumere da tale inadempimento argomenti di prova ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c. Il comma quinto riguarda invece l’inadempimento del terzo, la cui inottemperanza è sanzionata con una pena pecuniaria di importo compreso tra euro 250 ed euro 1500. La sanzione non è tuttavia automatica, consentendo sempre alla parte e al giudice di valutare la consistenza del motivo che ha portato a non ottemperare all’ordine.

 

Lettera b)

Il principio di cui al comma 21, lettera c) è stato attuato prevedendo nell’articolo 213 c.p.c. che, in caso di richiesta d’ufficio di informazioni alla pubblica amministrazione, questa sia tenuta a trasmetterle o a comunicare le ragioni del diniego entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di richiesta del giudice.

 

Comma 16

Lettera a)

Conformemente al criterio di delega di cui al comma 6, lettera a), della legge n. 206 del 2021, si è ritenuto di modificare l’articolo 225 c.p.c., prevedendo al primo comma che la decisione sulla querela di falso non sia assunta dal collegio, ma dal tribunale in composizione monocratica. Al secondo e al terzo comma sono quindi stati inseriti gli adattamenti necessari di coordinamento.

 

Lettera b)

Le modifiche all’articolo 226 c.p.c. sono dettate da esigenze di coordinamento con la nuova competenza sulla querela di falso del tribunale in composizione monocratica (e non più del collegio), prevista dal precedente articolo 225. Inoltre, al secondo comma, si è previsto che il giudice che accerta la falsità debba dare le disposizioni di cui all’articolo 537 c.p.p. (sulla pronuncia sulla falsità di documenti), aggiornando il precedente richiamo all’articolo 480 c.p.p. (sul verbale di udienza).

 

Comma 17

Lettera a)

L’adeguamento della disciplina della chiamata in causa del terzo, prevista dall’articolo 1, comma 5, lettera h) della legge delega, è stato attuato anche con la modifica alle modalità di costituzione del terzo interveniente previste dall’articolo 267 c.p.c. Al primo comma, si è quindi soppressa la possibilità per il terzo di costituirsi in udienza; la costituzione del terzo interveniente potrà, quindi, soltanto avvenire con il deposito di una comparsa, formata a norma dell’articolo 167. Per ragioni di coordinamento si è altresì modificato il secondo comma, sopprimendo l’inciso sulla costituzione del terzo interveniente in udienza.

 

Lettera b)

L’articolo 268 c.p.c., nella disciplina del termine per l’intervento, contiene una modifica di mero adeguamento alla nuova disciplina della fase decisoria, prevedendo che l'intervento possa avere luogo sino al momento in cui il giudice fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione (essendo ormai la precisazione delle conclusioni collocata in un mero scambio tra le parti).

 

Lettera c)

L’articolo 269 c.p.c. è stato modificato per conformarlo alle nuove disposizioni dell’articolo 171 bis ove è stato individuato e disciplinato un momento in cui, fuori udienza entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 166, il giudice possa verificare d'ufficio la regolare instaurazione del contraddittorio e pronunciare, quando occorre, i provvedimenti opportuni e tipizzati, fra i quali rientra anche la fissazione di nuova udienza al fine di consentire al convenuto di effettuare la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163-bis. L’attore potrà chiedere l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto il relativo interesse: tale adempimento deve essere effettuato nella memoria di cui all’articolo 171 ter, comma primo, n. 1.

 

Lettera d)

All’articolo 271 c.p.c. è stato inserito un richiamo alla norma che disciplina le memorie integrative (art. 171 ter c.p.c.) i cui termini si estendono anche al terzo chiamato.

 

Comma 18

Lettera a)

All’articolo 275 c.p.c. sono state apportate modifiche al fine di prevedere, innanzitutto, al comma 1 che, nei casi in cui non si ricorra a modelli misti o semplificati, dopo gli scritti difensivi finali, la causa sia trattenuta in decisione e il collegio depositi la sentenza nei sessanta giorni successivi all’udienza di cui all’articolo 189.

I commi secondo e terzo sono stati modificati al fine di disciplinare la fase decisoria con trattazione mista davanti al collegio. In particolare, il comma secondo prevede che le parti possano chiedere, con la nota di precisazione delle conclusioni, al presidente del tribunale, che la causa sia discussa oralmente davanti al collegio.

In tal caso il presidente revoca l’udienza fissata dal giudice istruttore per la rimessione della causa in decisione e fissa un’udienza davanti al collegio nella quale le parti discutono oralmente, senza deposito delle note di replica. La sentenza è depositata nei successivi sessanta giorni.

 

Lettera b)

L’articolo 275-bis c.p.c. disciplina la decisione a seguito di discussione orale davanti al collegio, prevedendo che il giudice istruttore, quando ritiene che la causa possa essere decisa a seguito di discussione orale, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine, anteriore all’udienza, non superiore a trenta giorni per il deposito di note limitate alla precisazione delle conclusioni e un ulteriore termine non superiore a quindici giorni per note conclusionali.

Il secondo comma prevede poi che all’udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa e il presidente ammette le parti alla discussione e che all’esito della discussione il collegio pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Il terzo comma prevede poi che in tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del presidente del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria.

Infine, la norma prevede che se non provvede ai sensi del secondo comma, il collegio deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni.

 

Comma 19

Lettera a)

L’articolo 281-quinquies c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere: al primo comma che, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice istruttore fissa l’udienza in cui la causa è trattenuta in decisione, rispetto alla quale decorrono i termini a ritroso, per il deposito degli scritti difensivi finali previsti dall’articolo 189; al secondo comma viene disciplinata la trattazione mista della fase decisoria, con facoltà della parte di farne istanza e con assegnazione dei soli termini per le conclusionali e discussione orale davanti al giudice, senza deposito di memorie di replica. Il termine per il deposito della sentenza è di trenta giorni.

 

Lettera b)

In conformità al principio di delega (comma 5, lettera l), n.2 è stato inserito un terzo comma all’articolo 281-sexies c.p.c. al fine di prevedere che il giudice, in alternativa alla lettura contestuale della sentenza e del dispositivo ai sensi dei primi due commi, possa riservare il deposito della sentenza nei successivi trenta giorni.

 

Comma 20

Lettera a)

In conformità alla delega, quanto ai rapporti tra giudice collegiale e monocratico, l’articolo 281-septies c.p.c. è stato modificato al fine di consentire un passaggio diretto dal collegio al giudice monocratico per la decisione, senza necessità di fissare ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni.

 

Lettera b)

L’articolo 281-octies c.p.c., che regola la rimessione della causa al tribunale in composizione collegiale, è stato modificato, prevedendo che il giudice, quando rileva che una causa, riservata per la decisione davanti a sé in funzione di giudice monocratico, deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, rimette la causa al collegio per la decisione, con ordinanza comunicata alle parti. Entro dieci giorni dalla comunicazione, ciascuna parte può chiedere la fissazione dell’udienza di discussione davanti al collegio, e in questo caso il giudice istruttore procede ai sensi dell’articolo 275 bis.

 

Lettera c)

In attuazione della delega (comma 5, lettera s), quanto ai rapporti tra giudice collegiale e monocratico, l’articolo 281-novies c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere, nel secondo comma appositamente introdotto, che, se sono riunite cause per le quali il tribunale deve giudicare in composizione collegiale e cause nelle quali deve giudicare in composizione monocratica,  prevalga il rito collegiale, ferme restando le preclusioni e le decadenze maturate in ciascun procedimento, per la parte che si è svolta prima della riunione.

 

Comma 21

In attuazione del criterio di delega di cui al n.1 del comma 5, lettera n) è stato inserito un apposito capo del Libro II del codice di procedura civile, contenente la disciplina del procedimento semplificato di cognizione destinato a sostituire il vigente rito sommario di cognizione che, invece, è collocato nel capo III bis del Titolo primo, ed è disciplinato dagli articoli 702 bis e seguenti.

L’intero capo, coerentemente con il medesimo principio di delega, viene quindi abrogato.

Tuttavia, nel delineare la struttura del rito semplificato, come del resto si ricava dal principio di delega, sono state mantenute le principali caratteristiche di concentrazione e snellezza proprie del rito sommario, in quanto compatibili con la sua natura di giudizio a cognizione piena.

Nel capo III quater del Libro Secondo sono stati inseriti gli articoli da 281-decies a 281-terdecies.

Tale collocazione è coerente con l’alternatività di tale rito rispetto al rito ordinario.

In attuazione del criterio di cui al n. 2 del citato comma 5, lettera a) il rito è stato denominato “semplificato di cognizione”.

All’articolo 281-decies c.p.c. viene definito l’ambito di applicazione del rito semplificato. Il primo comma indica quali caratteristiche devono avere le cause per essere obbligatoriamente trattate con il rito semplificato. In sostanza, nella quadruplice possibile formulazione prevista dalla norma (“Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa”) si prevede che si tratti di cause, anche riservate alla decisione del tribunale collegiale, per le quali è prevedibile un’istruttoria non articolata e complessa. Il secondo comma prevede che il rito semplificato possa essere adottato, a scelta della parte, in tutte le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica.

L’articolo 281-undecies c.p.c. è dedicato alla forma della domanda e costituzione delle parti. Il comma primo prevede che la domanda debba essere introdotta con ricorso contenente le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 3 bis), 4), 5), 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163. Il secondo comma disciplina, secondo criteri acceleratori, le modalità di fissazione dell’udienza con decreto del giudice che assegna anche il termine di costituzione del convenuto, e si prevede, a garanzia del diritto di difesa, che il termine minimo a comparire per il convenuto sia di quaranta giorni liberi se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all’estero. Il terzo e il quarto comma disciplina le modalità di costituzione del convenuto, le decadenze e preclusioni e le modalità con cui chiedere la chiamata di un terzo in causa, prevedendo a tal fine che il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio. Infine, ai sensi del quarto comma, se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma.

L’articolo 281-duodecies c.p.c. disciplina il procedimento dopo la costituzione del contraddittorio e la fissazione dell’udienza. Il primo comma prevede che all’udienza il giudice proceda alla verifica della ricorrenza delle ipotesi di cui all’articolo 281-decies primo comma e proceda, quando necessario, al mutamento del rito nelle forme ordinarie. Tale facoltà di mutamento del rito, con valutazione caso per caso, è esercitabile anche nelle ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 281-decies, in quanto la scelta del ricorrente di procedere con il rito semplificato potrebbe non risultare opportuna in relazione alle caratteristiche della controversia. Inoltre, l’omessa previsione della possibilità di mutare il rito anche nelle ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 281-decies comprimerebbe eccessivamente la possibilità di scelta della parte convenuta e favorirebbe in modo sproporzionato l’attore. In caso di mutamento del rito da semplificato a ordinario il giudice è tenuto a fissare l’udienza ex art. 183 rispetto alla quale decorrono, ex lege, i termini per le memorie integrative di cui all’art. 171-ter.

Il secondo comma disciplina la possibilità per l’attore di chiedere di essere a sua volta autorizzato a chiamare in causa un terzo, con i medesimi limiti previsti per il giudizio ordinario.

Il terzo comma disciplina le facoltà che le parti possono esercitare a pena di decadenza all’udienza. In tal modo si è inteso attuare il principio di delega secondo cui l’attuazione del rito semplificato deve coniugarsi con la necessità di prevedere una scansione processuale in cui maturano in modo chiaro e prevedibile le preclusioni e consenta di prevedere i tempi di trattazione del procedimento con questo rito, fermo restando il necessario rispetto del principio del contraddittorio.

Il quarto comma prevede che le parti possano chiedere l’assegnazione di termini per memorie integrative e istruttorie, di cui il giudice è tenuto a valutare la necessità, potendo modulare l’assegnazione di termini anche più brevi rispetto a quelli massimi previsti dalla norma, e comunque ridotti rispetto a quelli ordinari.

Il quinto comma prevede che, quando non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma, e non ritiene la causa matura per la decisione, il giudice ammette i mezzi di prova a tal fine rilevanti, e procede alla loro assunzione.

L’articolo 281-terdecies c.p.c. disciplina la fase decisoria del procedimento semplificato di cognizione che in conformità alla delega deve concludersi con sentenza. Si prevede l’applicazione dell’art.281-sexies per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica e dell’articolo 275-bis per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale.

La disciplina maggiormente formalizzata dell’esercizio dei diritti di difesa delle parti, ivi compresa l’espressa previsione per l’attore di chiamare in causa un terzo (ferma restando la valutazione del giudice sulla opportunità di proseguire nelle forme del rito semplificato) non comporta la necessaria adozione di una norma specifica sull’appello, come attualmente previsto dall’articolo 702-quater per il rito sommario di cognizione, essendo sufficiente a tal fine la precisazione contenuta nel secondo comma per cui la sentenza è impugnabile nei modi ordinari.

 

Comma 22

Le modifiche apportate all’articolo 283 c.p.c. consistono nella trasposizione in forma precettiva del principio di delega previsto dalla lettera f) del comma 8, a mente del quale occorre prevedere: 1) «che la sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata sia disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell'impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti quando la sentenza contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro»; 2) che l’istanza di sospensione «possa essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, anche con ricorso autonomo, a condizione che il ricorrente indichi, a pena di inammissibilità, gli specifici elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell'impugnazione»; 3) «che, qualora l'istanza sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio». Si è inteso precisare che il pregiudizio grave e irreparabile, tale da fondare l’accoglimento dell’inibitoria, può derivare “anche” dall’esecuzione di pronunce di condanna al pagamento di somme di denaro, in particolare in relazione alla possibilità di insolvenza, ma che al tempo stesso la tutela può riferirsi altresì a sentenze di condanna ad un facere o a un pati, “anche” in relazione alle quali può venire in rilievo la possibilità di insolvenza di una delle parti (si pensi, ad es., all’ipotesi in cui sia stata ordinata la demolizione di un’opera, e il creditore non dia garanzie di essere poi in grado di ripristinarla, nel caso in cui la decisione venga riformata). Nel dare attuazione alla delega si è quindi voluto prevenire possibili interpretazioni restrittive che avrebbero potuto limitare la rilevanza della possibilità di insolvenza alle sole condanne aventi ad oggetto una somma di denaro.

In relazione al procedimento di correzione di errore materiale previsto dagli articoli 287 e seguenti c.p.c., si è ritenuto di non attuare il principio di delega previsto dalla lettera h) («introdurre modifiche all'articolo 288 del codice di procedura civile, prevedendo la possibilità di ricorrere al procedimento di correzione nei casi in cui si voglia contestare l'attribuzione o la quantificazione delle spese di lite liquidate con un provvedimento già passato in giudicato, prevedendo altresì che tale procedimento non sia più esperibile decorso un anno dalla pubblicazione del provvedimento»), in quanto la sua pratica attuazione – a fronte di un impatto verosimilmente assai limitato sul numero di impugnazioni proposte - avrebbe comportato un vulnus al principio dell’intangibilità del giudicato, consentendo di rimettere in discussione la statuizione sulle spese di lite contenuta in sentenze non più sottoposte ad impugnazione (per il decorso dei termini a tale fine previsti, o perché confermate nei successivi gradi di giudizio). L’attuazione della delega pone inoltre seri problemi di coordinamento per il caso in cui l’impugnazione venga proposta successivamente all’istanza di correzione, e il suo effetto deflattivo appare sostanzialmente irrilevante, se solo si considera che il provvedimento così corretto potrebbe nuovamente essere impugnato relativamente alle parti oggetto di correzione. L’attuazione della delega, pertanto, più che in uno strumento deflattivo si risolverebbe in una sorta di rimessione in termini per chiedere (non una mera correzione, bensì) la revisione di un capo del provvedimento pur una volta scaduti i termini per la sua impugnazione. In ordine a quanto previsto dal principio di cui alla lettera g), volta a prevedere la possibilità di trattazione scritta del procedimento per la correzione dell’errore materiale, si è preferito non inserire specifiche previsioni al riguardo, essendo pacificamente applicabile anche al procedimento di correzione di errore materiale la norma generale sulla trattazione scritta, ed essendo inopportuno introdurre delle specifiche disposizioni destinate a trovare applicazione per questo solo modello di procedimento.

 

Comma 23

L’articolo 291 c.p.c., che disciplina la dichiarazione di contumacia del convenuto, contiene una modifica necessaria per l’adeguamento alla disciplina della nuova fase introduttiva, disponendo ora nel secondo comma che se il convenuto non si costituisce neppure anteriormente alla pronuncia del decreto di cui all’articolo 171-bis, secondo comma, il giudice provvede a norma dell'articolo 171, ultimo comma. 

 

Comma 24

Lettera a)

L’articolo 316 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere, in via generale, che davanti al giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. Il secondo comma è stato modificato al fine di apportare i necessari adattamenti alle modalità di presentazione della domanda in forma verbale, per renderla compatibile con l’adozione, in via generale, del ricorso anziché dell’atto di citazione, con comparizione a udienza fissa.

 

Lettera b)

L’articolo 317 c.p.c. è stato modificato al fine di rendere compatibile il conferimento del mandato per farsi rappresentare davanti al giudice di pace, con l’introduzione del procedimento con ricorso anziché con citazione.

 

Lettera c)

L’articolo 318 c.p.c. è stato sostituito per prevedere che la domanda davanti al giudice di pace si proponga con ricorso e non più con atto di citazione. Il secondo comma disciplina le modalità di fissazione dell’udienza a seguito della presentazione del ricorso.

 

Lettera d)

Il primo comma dell’articolo 319 c.p.c. è stato modificato, mantenendo per la costituzione delle parti una forma semplificata, ma adattandola alle esigenze del processo telematico che dovrà assistere anche il processo davanti al giudice di pace. Si prevede, dunque, che l’attore si costituisca depositando il ricorso notificato o il processo verbale di cui all’articolo 316 c.p.c., unitamente al decreto di cui all’articolo 318 c.p.c. unitamente alla relazione di notificazione e alla procura, ove occorra. Il convenuto potrà quindi costituirsi depositando la comparsa di risposta e la procura, ove occorra.

 

Lettera e)

Il terzo comma dell’articolo 320 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere che il giudice di pace, alla prima udienza, fermo restando l’obbligo di procedere al tentativo di conciliazione, procede nelle forme previste dal rito semplificato, in particolare dall’art. 281-duodecies, con applicazione dei commi che prevedono che si proceda all’istruttoria necessaria o si mandi la causa in decisione.

Il quarto comma è stato soppresso in considerazione dell’obbligo delle parti di dedurre le prove negli scritti difensivi ed eventualmente di formulare alla prima udienza un breve termine per l’integrazione delle istanze istruttorie e delle difese.

 

Lettera f)

L’articolo 321 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere che davanti al giudice di pace il modello processuale per la fase decisoria è identico a quello previsto per la decisione a seguito di discussione orale davanti al tribunale in composizione monocratica.

 

Comma 25

Lettera a)

All’articolo 326 c.p.c., al primo comma sono state apportate due modificazioni; la prima si limita a sostituire la parola «precedente» (riferito all’articolo) con il riferimento all’articolo 325; mentre dopo le parole “dalla notificazione della sentenza” è stata aggiunta la precisazione che la notifica avvenga “sia per il soggetto notificante che per il destinatario della notificazione, dal momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per il destinatario”.

 

Lettera b)

L’aggiunta operata al secondo comma dell’articolo 334 c.p.c. attua il chiaro disposto del principio di delega di cui alla lettera b), del comma 8 dell’unico articolo della legge delega, la quale richiede di «prevedere che l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia anche quando l'impugnazione principale è dichiarata improcedibile».

 

Comma 26

Lettere a) e b)

La riformulazione dell’articolo 342 c.p.c. (e quella, negli stessi termini, dell’articolo 434 relativo alla forma dell’appello nel processo del lavoro) dà attuazione al criterio di delega previsto dalla lettera c), del comma 8 dell’unico articolo della legge delega, che richiede di «prevedere che, negli atti introduttivi dell'appello disciplinati dagli articoli 342 e 434 del codice di procedura civile, le indicazioni previste a pena di inammissibilità siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico». La soluzione prescelta cerca di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze di efficienza e quelle di tutela effettiva, nel rispetto della premessa per cui la chiarezza e sinteticità non debbono mai portare a una indebita compressione dell’esercizio del diritto di azione e del diritto di difesa delle parti, e d’altro lato le regole non devono essere intese in modo formalistico, impedendo il raggiungimento dello scopo del processo, che è quello di una sentenza che riconosca o neghi il bene della vita oggetto di controversia. Anche sulla scorta dei lavori della Commissione che presso il Ministero della giustizia aveva elaborato proposte normative per dare concreta attuazione ai principi di chiarezza e sinteticità degli atti anche nei gradi di impugnazione, e al quale avevano partecipato anche magistrati delle Corti d’appello che avevano portato la propria esperienza, si è cercato di proporre un’attuazione della legge delega volta ad evitare interpretazioni eccessivamente rigide della norma, le quali, andando al di là dell’obiettivo di richiedere che l’appello sia costruito come una critica che indichi le specifiche ragioni del dissenso rispetto alle statuizioni della sentenza che vengono impugnate, finiscano per appesantire inutilmente l’esposizione o portino a redigere dei veri e propri progetti alternativi di sentenza, nel timore di pregiudizievoli pronunce di inammissibilità. Analoga ragione ha indotto a riformulare, nell’ottica della sinteticità, la previsione relativa alla indicazione, in relazione a ciascun motivo di appello, del capo della decisione che viene impugnato (in luogo della indicazione, richiesta dalla norma vigente, «delle parti del provvedimento che si intende appellare»), per evitare inutili trascrizioni nell’atto delle pagine delle pronunce appellate. Si è inoltre prevista la specifica indicazione del termine a comparire, in luogo del vigente richiamo all’articolo 163-bis, in quanto si è dovuto tenere conto del fatto che nell’ambito del giudizio di primo grado tale termine è destinato ad essere aumentato per lasciare spazio alle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza; la stessa esigenza ha comportato analogo intervento nell’articolo 343 c.p.c., con l’indicazione esplicita del termine per il deposito della comparsa di costituzione in luogo dell’attuale rinvio all’articolo 166.

 

Lettera c)

La lettera d) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega assegnava al legislatore delegato il compito di «individuare la forma con cui, nei casi previsti dall'articolo 348 del codice di procedura civile, l'appello è dichiarato improcedibile e il relativo regime di controllo». A tal fine è stato necessario tenere conto del fatto che negli appelli proposti davanti al tribunale questo giudica in composizione monocratica, mentre davanti alla corte d'appello la trattazione è (tendenzialmente, secondo quanto si dirà in seguito) curata dall’istruttore, mentre la decisione è collegiale. Nel modificare l’articolo 348 c.p.c., quindi, posto che si è ritenuto opportuno conservare la forma della sentenza per il provvedimento che comunque di questa avrebbe la sostanza (sentenza che sarà quindi impugnabile nei modi ordinari, cosa che è apparso superfluo specificare), per il giudizio davanti alla corte d'appello si è ritenuto opportuno prevedere, al fine di semplificare le forme e rendere immediata la pronuncia, che quando l’udienza è fissata davanti all’istruttore l’improcedibilità venga da questo dichiarata con ordinanza, avverso la quale sarà possibile proporre reclamo al collegio il quale deciderà con sentenza, se respinge il reclamo, ovvero con ordinanza non impugnabile se lo accoglie e dà le disposizioni per l’ulteriore corso del giudizio di appello, secondo il medesimo schema già previsto per l’analoga ipotesi dell’estinzione del processo nel giudizio di primo grado davanti al tribunale, nelle cause in cui questo giudica in composizione monocratica.

 

Lettere d) ed e)

La delega assegnava, alla lettera e), del comma 8 dell’unico articolo,  il compito di abolire l’attuale filtro di inammissibilità per le impugnazioni che non hanno una ragionevole probabilità di essere accolte e introdurre un modulo decisorio semplificato per le ipotesi di manifesta infondatezza dell’appello, prevedendo in particolare che «l'impugnazione che non ha una ragionevole probabilità di essere accolta sia dichiarata manifestamente infondata», e che «la decisione di manifesta infondatezza sia assunta a seguito di trattazione orale con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi». Ciò sul presupposto che, visto che per il giudice il tempo necessario per lo studio del fascicolo e la redazione del provvedimento, nell’uno e nell’altro caso, è sostanzialmente lo stesso, piuttosto che una dichiarazione di inammissibilità sia preferibile una decisione sul merito di un appello manifestamente infondato, nelle forme semplificate previste dall’art. 281-sexies.

L’articolo 348-bis c.p.c. è stato quindi riscritto di conseguenza (mantenendolo perché comunque si è ritenuta opportuna la conservazione di una previsione che renda manifesta l’esistenza di un “filtro” o comunque di una forma di decisione accelerata e semplificata), estendendone l’applicazione, stante l’identità di ratio, agli appelli manifestamente infondati e a quelli inammissibili; in entrambi i casi, infatti, l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta” ed è possibile e opportuno pervenire alla definizione del processo già nella fase iniziale, con la necessità di consentire alle parti di esporre oralmente al collegio le ragioni favorevoli o contrarie a un tale esito.

È stato invece abrogato l’articolo 348-ter c.p.c., perché farraginoso e ormai inutile, avendo il legislatore delegante optato per la decisione nel merito dell’impugnazione. Si è però ritenuto opportuno conservare le disposizioni previste dagli ultimi due commi della norma in esame volte ad escludere la possibilità di proporre ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5), nei casi di c.d. “doppia conforme”; disposizioni che tuttavia, per ragioni di coerenza sistematica, sono state spostate in calce all’articolo 360. Ovviamente, in caso di appello incidentale, il modulo decisorio semplificato potrà essere utilizzato soltanto quando entrambe le impugnazioni siano manifestamente infondate.

 

Lettere f) e g)

La lettera l) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega richiedeva di «prevedere che la trattazione davanti alla corte d'appello si svolge davanti al consigliere istruttore, designato dal presidente, al quale sono attribuiti i poteri di dichiarare la contumacia dell'appellato, di procedere alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, di procedere al tentativo di conciliazione, di ammettere i mezzi di prova, di procedere all'assunzione dei mezzi istruttori e di fissare udienza di discussione della causa davanti al collegio anche ai sensi dell'articolo 281-sexies del codice di procedura civile, fermo restando il potere del collegio di impartire provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa e di disporre, anche d'ufficio, la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova», delineando così un nuovo (ma al tempo stesso antico) modello di fase istruttoria nei giudizi di appello, in parte ripresi dal sistema vigente nei processi davanti al tribunale quando questo giudica in composizione collegiale, ove la fase decisoria rimane riservata al collegio ma tutta la gestione della fase istruttoria permane in capo all’istruttore. Si è di conseguenza reintrodotto un nuovo articolo 349-bis c.p.c. (subito dopo il preesistente articolo 349, dalla medesima rubrica ma abrogato dall’articolo 5 del D.P.R. 17/10/1950). prevedendo la nomina dell’istruttore da parte del presidente. Tale previsione è stata però temperata, anche alla luce del “filtro” introdotto per le impugnazioni inammissibili o manifestamente infondate, prevedendo che comunque il presidente possa, all’esito di un vaglio preliminare, fissare direttamente udienza davanti al collegio per la discussione orale della causa, in questo caso nominando un relatore. Si è inteso così assicurare la possibilità di adattare le forme del rito alle effettive esigenze dello specifico procedimento, in modo da privilegiare la snellezza e la celerità della decisione quando ciò sia opportuno, riservando modelli processuali più articolati alle cause il cui grado di complessità lo richieda. È parso superfluo specificare, al fine di evitare appesantimenti della norma, che il presidente provvederà con decreto (forma tipica del provvedimento con cui viene nominato l’istruttore o il relatore e viene fissata l’udienza di comparizione delle parti), e che nel caso in cui il presidente abbia ritenuto di disporre la discussione orale della causa troverà applicazione l’articolo 281 sexies, richiamato anche dall’articolo 350 bis, che costituisce la norma generale che regola la decisione a seguito di discussione orale nel giudizio ordinario di cognizione. In conseguenza della modifica apportata all’articolo 168 bis, quinto comma, il tenore di tale disposizione è stato riprodotto come secondo comma dell’articolo 349 bis, di modo che tanto il presidente nel fissare l’udienza di discussione orale, quanto l’istruttore quando nominato, potranno differire l’udienza indicata in atto di citazione; la norma prevede espressamente, a fugare eventuali dubbi, che del decreto debba essere data comunicazione alle parti.

Si è poi modificato l’articolo 350 c.p.c., con l’indicazione delle funzioni svolte in udienza dall’istruttore, quando nominato: verifiche preliminari sull’integrità del contraddittorio, dichiarazione della contumacia, riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, tentativo di conciliazione, eventuale ammissione e conseguente assunzione delle prove, nei limiti in cui ciò è consentito nel giudizio di appello. Nella medesima ottica di case management, poi, si è previsto che l’istruttore possa disporre la discussione orale della causa davanti al collegio per la decisione in forma semplificata non solo nei casi di cui all’articolo 348-bis, ma anche, a prescindere dal “filtro” ivi previsto, quando l’appello appaia manifestamente fondato (ipotesi cui il legislatore delegante ha conferito particolare rilievo, contemplandola espressamente nell’articolo 283) o quando lo ritenga comunque opportuno in ragione della ridotta complessità della causa o dell’urgenza della sua definizione.

 

Lettera h)

L’articolo 350-bis c.p.c., di nuova introduzione, reca la disciplina del procedimento per la decisione semplificata a seguito di discussione orale nelle ipotesi di inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza, per la quale si è richiamato il modulo decisorio previsto dall’articolo 281-sexies. In particolare, nell’ipotesi in cui il presidente abbia fissato direttamente la discussione orale davanti al collegio questo inviterà le parti a precisare le conclusioni e all’esito della discussione orale pronuncerà la sentenza o si riserverà di depositarla nel termine di legge, ferma restando la possibilità, su richiesta di parte, di differire la discussione ad altra data, eventualmente anche concedendo alle parti termine per note (prassi abitualmente impiegata nell’applicazione dell’articolo 281-sexies, pur in assenza di una esplicita previsione in proposito. Per l’eventualità che la trattazione dell’appello si sia svolta davanti all’istruttore, si è previsto che questo, fatte precisare le conclusioni, debba fissare l’udienza davanti al collegio assegnando alle parti un termine anteriore all’udienza per il deposito di note conclusionali. In attuazione di quanto previsto dalla lettera e) del comma 8, si è inoltre prevista una forma semplificata di sentenza, motivata in forma sintetica anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.

 

Lettera i)

La lettera i) attua il principio di delega contenuto nella lettera i) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega, volto a «prevedere che per la trattazione del procedimento sull'esecuzione provvisoria il presidente del collegio, fermi i poteri di sospensione immediata previsti dall'articolo 351, terzo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile, designa il consigliere istruttore e ordina la comparizione delle parti davanti al predetto consigliere e prevedere che, sentite le parti, il consigliere istruttore riferisce al collegio per l'adozione dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria». Ad esso è stata data puntuale attuazione apportando le relative modifiche all’articolo 351 c.p.c. In particolare, al primo comma dell’articolo, relativo all’ipotesi in cui la pronuncia sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza avvenga alla prima udienza, si è coordinato il testo con la nuova previsione secondo cui l’istanza può essere riproposta in un secondo momento, e si è previsto che nei casi in cui il presidente non si sia avvalso della facoltà di fissare udienza davanti al collegio (il quale, secondo quanto previsto al primo periodo, provvederebbe in udienza) e l’udienza si svolga davanti all’istruttore questo debba riferire al collegio per l’adozione del provvedimento. Per l’ipotesi, invece, in cui la parte abbia chiesto la fissazione di apposita udienza per la decisione sulla sospensione (disciplinata dal secondo e terzo comma dell’articolo 351), si è data puntuale attuazione alla delega, prevedendo in ogni caso la comparizione delle parti davanti all’istruttore, al fine di non appesantire ulteriormente l’attività del collegio e assicurare agilità e celerità del subprocedimento che si viene così ad instaurare. Si sono apportate all’ultimo comma, infine, mere modifiche di coordinamento, in quanto la norma già prevedeva che nel decidere sull’istanza di sospensione il giudice potesse disporre la discussione orale dell’impugnazione; in particolare, si è mantenuto fermo quanto previsto dal testo vigente, e per il caso in cui davanti alla corte d'appello l’udienza di comparizione delle parti si sia tenuta davanti all’istruttore si è previsto che il collegio, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, se ritiene che la causa sia matura per la decisione nelle forme della discussione orale fissa a tal fine udienza davanti a sé, assegnando alle parti un termine per il deposito di note conclusionali per consentire loro di esplicare a pieno il diritto di difesa.

 

Lettera l)

La fase decisoria, disciplinata dall’articolo 352 c.p.c., è stata modificata secondo quanto puntualmente previsto dalla lettera n), prevedendo quindi che quando la causa è matura per la decisione, e non sussistono i presupposti per disporre la discussione orale e la decisione in forma semplificata, l’istruttore debba fissare altra udienza davanti a sé per la rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti un triplice termine perentorio calcolato a ritroso rispetto alla data dell’udienza di rinvio per il deposito (i) di una nota di precisazione delle conclusioni, (ii) della comparsa conclusionale e (iii) delle note di replica. All’udienza, l’istruttore rimetterà la causa al collegio per la decisione (ovvero, negli appelli davanti al tribunale, che decide in composizione monocratica, tratterrà la causa in decisione), fermo restando il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza. Per mero coordinamento è stata soppressa la previsione, contenuta nell’attuale ultimo comma dell’articolo 352, secondo la quale il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281 sexies, in quanto la relativa disposizione è stata inserita, come si è detto, nella disciplina relativa all’udienza di trattazione e richiamata nel primo periodo del primo comma.

 

Lettere m) e n)

La lettera o) della delega incaricava il legislatore delegato di «riformulare gli articoli 353 e 354 del codice di procedura civile, riducendo le fattispecie di rimessione della causa in primo grado ai casi di violazione del contraddittorio». Si è quindi abrogato l’articolo 353 c.p.c. e con esso l’ipotesi di rimessione al primo giudice per motivi di giurisdizione, e considerati i ritardi nella decisione che la rimessione in primo grado comporta, si è scelto di limitarla alle ipotesi più gravi di violazione del contraddittorio, confermando quelle oggi previste dal primo comma dell’articolo 354 c.p.c. (nullità della notificazione della citazione introduttiva, mancata integrazione del contraddittorio, erronea estromissione di una parte, nullità della sentenza di primo grado a norma dell’articolo 161 secondo comma) e sopprimendo l’attuale secondo comma dell’articolo 354 per l’ipotesi di riforma della sentenza di primo grado che ha dichiarato l’estinzione del processo. A seguito della soppressione dell’articolo 353, il giudice di appello che riconosca la giurisdizione negata dal primo giudice non potrà più rimettere a questo gli atti ma dovrà decidere la causa nel merito, se del caso svolgendo le attività che non si siano svolte in primo grado. Si è perciò modificato l’ultimo periodo dell’articolo 354, prevedendo che tanto in questo caso, quanto nel caso in cui dichiari la nullità di altri atti (e cioè atti diversi da quelli contemplati nei commi precedenti, la cui nullità determina la rimessione al primo giudice), il giudice di appello ammetta le parti al compimento di attività che sarebbero loro precluse, quando questa esigenza discenda dalla necessità di ripristinare il contraddittorio (ad esempio, a seguito della mancata concessione di termini nel giudizio di primo grado) e proceda alla rinnovazione degli atti nulli. Dalle disposizioni di cui all’articolo 356, non modificato in questa parte, si ricava poi che il giudice di appello procederà all’assunzione delle prove che non siano state assunte nel giudizio di primo grado. Sono state poi riprodotte le disposizioni degli ultimi due commi ultimo comma dell’abrogato art. 353, al quale l’articolo 354 rimandava.

 

Lettera o)

All’articolo 356 c.p.c. si è inoltre specificato che quando dispone l’assunzione o la rinnovazione di una prova il collegio della corte d’appello delega l’incombente all’istruttore o al relatore, e si aggiunta la previsione, in attuazione di quanto richiesto dalla lettera l) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega e in armonia con la disciplina di cui all’articolo 281 per le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale, che negli appelli proposti davanti alla corte d'appello il collegio, quando ne ravvisa la necessità, può - anche d’ufficio - disporre la rinnovazione davanti a sé di uno o più mezzi di prova assunti dall’istruttore.

 

Comma 27

Lettera a)

Come si è detto nell’illustrazione del comma 26, nel sopprimere l’articolo 348-ter (in conseguenza del venir meno del “filtro di inammissibilità” in appello come era sinora conosciuto), si è ritenuto opportuno conservare le disposizioni previste dagli ultimi due commi di tale norma volte ad escludere la possibilità di proporre ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5), nei casi di c.d. “doppia conforme”; disposizioni che tuttavia, per ragioni di coerenza sistematica, sono state spostate in calce all’articolo 360.

È stato, pertanto, inserito nell’articolo 360 c.p.c. un comma tra il terzo e il quarto, al fine di prevedere che quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado, per le medesime ragioni inerenti i medesimi fatti che sono posti alla base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), ad eccezione delle cause per le quali è prevista la partecipazione obbligatoria del pubblico ministero. Si è volutamente aggiunta la specificazione relativa alle «medesime ragioni inerenti i medesimi fatti», al fine di meglio individuare il concetto di “doppia conforme” e restringere i casi di inammissibilità del ricorso proposto ai sensi del n. 5) alle sole ipotesi in cui effettivamente la sentenza di secondo grado abbia integralmente confermato quella del primo giudice, in quanto nella precedente formulazione la limitazione delle possibilità di tutela delle parti non trovava una ragionevole giustificazione in un reale e sensibile effetto deflattivo.

 

Lettera b)

Come si è accennato, parallelamente alla modifica lessicale apportata all’articolo 37, con l’introduzione della specifica considerazione del giudice amministrativo accanto al giudice ordinario e ai «giudici speciali» si sono apportate le conseguenti modifiche all’articolo 362 c.p.c. Tale norma ha subito un’ulteriore modifica per includere fra le ragioni di ricorso innanzi alla Corte di Cassazione anche il rimedio della revocazione (come disciplinato dal nuovo articolo 391-quater) avverso le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli.

 

Lettera c)

Una innovazione particolarmente significativa della legge delega è quella introdotta dalla lettera g), del comma 9 dell’unico articolo della legge delega, che demanda al legislatore delegato di «introdurre la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto». In attuazione della delega è stato introdotto l’articolo 363-bis c.p.c., con la rubrica «Rinvio pregiudiziale», prevedendo – secondo le direttive di cui ai numeri da 1) a 6) della stessa lettera g) – che il giudice di merito possa disporre, con ordinanza e dopo aver sentito le parti, il rinvio pregiudiziale degli atti alla corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni:

1) la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla corte di cassazione;

2) la questione presenta gravi difficoltà interpretative;

3) la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Al fine di circoscrivere i motivi di rinvio pregiudiziale, si è previsto (analogamente a quanto richiesto per le ordinanze con cui vengono sollevate le questioni di legittimità costituzionale) che l’ordinanza di rinvio debba essere motivata, e nella motivazione il giudice debba dare conto delle diverse possibili opzioni interpretative. Il rinvio pregiudiziale comporta ovviamente che il procedimento di merito resti sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e di quell’attività istruttoria che non dipenda dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale, come può avvenire in caso di pluralità di domande connesse solo soggettivamente.

Si è poi previsto che il primo presidente, entro novanta giorni, valuti la sussistenza dei presupposti di cui si si è detto. In caso positivo, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari tra l’una e le altre) per l’enunciazione del principio di diritto; in caso negativo, pronuncia decreto con cui dichiara l’inammissibilità della questione. Stante il presupposto della rilevanza della questione, poi, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero, e con facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’articolo 378. Con la sentenza che enuncia il principio di diritto o con il decreto che dichiara inammissibile la questione, infine, la Corte dispone la restituzione degli atti al giudice a quo.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte, per espressa previsione della legge delega, è vincolante tanto nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione quanto, nel caso in cui questo si estingua, nel nuovo processo in cui venga proposta la medesima domanda tra le stesse parti.

 

Lettera d)

L’articolo 1, comma 9, lett. a) della delega chiedeva di «prevedere che il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». Il riferimento testuale è dunque ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., che indica il «contenuto del ricorso» per cassazione.

Dai precetti contenuti nella legge delega, inoltre, il legislatore delegato ha tratto fondamento per una migliore esplicitazione del n. 6, che possa servire anche di ausilio alla corretta redazione del ricorso.

Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito: il motivo del ricorso per cassazione richiede una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’articolo 360. Il precetto generale posto dall’articolo 366 indica dunque il “modello” del ricorso per cassazione: il codice di rito vuole che il ricorso contenga tutto quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame. Ciò, allo scopo di permettere al giudizio di cassazione di pervenire alla decisione effettiva dei motivi, assicurando la piena ed effettiva tutela del diritto di difesa delle parti. A tale intento servono le prescrizioni redazionali, previste dall’articolo 366, quali requisiti di forma-contenuto di ammissibilità del ricorso e dei motivi; donde le esigenze di chiarezza espositiva e di completezza, che la legge delega ha voluto accentuare, ai detti fini.

La vigente disposizione di cui all’articolo 366 c.p.c., al primo comma, n. 3), prevede «l’esposizione sommaria dei fatti della causa». La legge delega indicava di precisare il requisito della «chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa». Il decreto, pertanto, richiede «la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso». Fermo restando che l’esposizione dei fatti sostanziali e processuali della vicenda va operata dal ricorrente in quanto funzionale alla stessa comprensione dei motivi e valutazione della loro ammissibilità e fondatezza, si è voluto in tal modo porre l’accento, in maniera esplicita, sui due requisiti: la chiarezza, riferita al modus della narrazione dei fatti, che devono risultare intellegibili ed univoci; la essenzialità, riferita al quid e al quantum dei fatti, affinché il motivo esponga tutti e solo i fatti ancora rilevanti per il giudizio di cassazione, in quanto indispensabili alla comprensione dei motivi contenenti le censure al provvedimento impugnato, ritenendosi in ciò ribadito anche il concetto di sommarietà (ossia, per riassunto e sintesi). Non si è ritenuto di precisare che si tratta dei fatti sostanziali e dei fatti processuali rilevanti in giudizio, in quanto implicito già nella precedente formulazione.

La disposizione di cui al n. 4) dell’articolo 366, primo comma attualmente in vigore onera il ricorrente di enunciare «i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis». La legge delega chiede di prevedere «la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». Il decreto così dispone: «4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano». Il giudizio di cassazione è a critica rigidamente vincolata e delimitata, in cui i motivi hanno la funzione di porre questioni (da quaerere), che costituiscono l’unico oggetto del giudizio, in quanto sostitutive delle domande e delle eccezioni. Il ricorrente ha dunque l’onere di individuazione del motivo – nel novero di quelli elencati nella disposizione – che deve essere in modo chiaro riconducibile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360 c.p.c.: il vizio denunciato deve rientrare in una delle categorie logiche ivi previste, quali ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. La corte di cassazione deve poter agevolmente individuare il vizio denunciato, sulla base delle chiare enunciazioni in fatto ed argomentazioni giuridiche svolte dal ricorrente. A questo fine, il legislatore delegato ha richiamato i requisiti della chiarezza e della sintesi, fra di loro indubbiamente collegati, ma autonomi: un testo chiaro si rende univocamente intellegibile, laddove la sinteticità evita ripetizioni e prolissità, esse stesse foriere del rischio di confusione. Si è colta, altresì, l’occasione per sopprimere l’inciso «secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis», non più attuale.

Il n. 6 è stato introdotto, come è noto, dall’articolo 5 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006, in quanto il precedente testo dell’articolo 366 c.p.c. conteneva solo i primi cinque numeri. La previsione, che la delega ha inteso ulteriormente specificare, è espressione del principio di idoneità dell’atto processuale al raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156, comma 2. Il testo attuale richiede da parte del ricorrente «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda». Quale ausilio alla migliore redazione e chiarezza, il testo viene così modificato: «la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi». A questa disposizione va correlato l’articolo 369, n. 4, non modificato, secondo cui in sede di deposito del ricorso devono essere prodotti gli atti e i documenti su cui esso si fonda. Il legislatore delegato ha mirato così a chiarire che ciascun motivo deve fare riferimento al documento ad esso inerente e che il contenuto di detto documento deve essere richiamato nel motivo, ai fini della sua comprensibilità. In tal modo, il ricorrente è messo in condizione di cogliere l’onere di evidenziare il contenuto dell’atto rilevante, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini.

La legge delega n. 201 del 2021, all’articolo 1, comma 16, lett. a), prevede, anche nei procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione, che «il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, o anche mediante altri mezzi tecnologici». Il legislatore delegato è, quindi, chiamato a porre, anzitutto, la regola del deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte anche nel giudizio di legittimità, quale innovazione che richiede, però, in un’ottica di razionalizzazione del processo civile (articolo 1, comma 1, della legge delega), di rendere massimamente coerente la disciplina del giudizio di legittimità a quella del processo civile telematico.

In quest’ottica, sono stati eliminati i commi secondo (elezione di domicilio fisico in Roma) e quarto (comunicazioni di cancelleria e notificazioni tra avvocati) dell’articolo 366 c.p.c. Ora il ricorso introduttivo (come il controricorso) non deve più contenere l’elezione del domicilio presso un luogo fisico, essendo previsto soltanto quello digitale risultante dai pubblici elenchi di cui all’articolo 16-sexies del d.l. 179 del 2012. Non ha, poi, ragione di essere mantenuta una disciplina specifica per il giudizio di legittimità delle comunicazioni a cura della cancelleria e delle notificazioni effettuate tra gli avvocati ai sensi della legge n. 53 del 1994 – oggi sostanzialmente equiparate sotto il profilo del loro contenuto e delle modalità di trasmissione –, dovendo essere effettuate esclusivamente a mezzo della posta elettronica certificata, sempre nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

 

Lettera e)

L’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (articolo 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato l’articolo 369 c.p.c. (deposito del ricorso).

Inoltre, la obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e la previsione (disciplinata in via regolamentare: articolo 27 d.m. n. 44/2011) della piena disponibilità per la controparte processuale degli atti depositati telematicamente hanno consentito di operare importanti modifiche, nel segno della semplificazione, speditezza e razionalizzazione del giudizio di legittimità, pur sempre nel rispetto della garanzia del contraddittorio (articolo 1, comma 1, della legge delega). È stato soppresso l’ultimo comma dell’articolo 369, facendo, quindi, venir meno l’onere del ricorrente di chiedere, con apposita istanza, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della corte di cassazione.

 

Lettere f), g) e h)

È stato eliminato l’obbligo della notifica del controricorso (articolo 370 c.p.c.), della notifica dello stesso ricorso incidentale nel caso di notifica di ricorso per integrazione del contraddittorio ex articoli 331 e 332 (articolo 371 c.p.c.) e della notifica del controricorso al ricorso incidentale (articolo 371): incombenti che non si rendono più necessari una volta che tali atti, depositati telematicamente e quindi inseriti nel fascicolo informatico, si rendono, per l’appunto, consultabili dalle altre parti. Il termine per il deposito del controricorso, del ricorso incidentale e del controricorso al ricorso incidentale è fissato in quaranta giorni dalla notificazione del ricorso, quale termine che somma i due termini di 20 giorni, rispettivamente previsti per la notifica e, quindi, per il deposito del controricorso dall’originaria formulazione dell’articolo 370; quaranta giorni ribaditi anche dall’originaria formulazione dell’articolo 371.

Nella medesima logica, è stato eliminato l’obbligo di notificare alla controparte l’elenco dei documenti depositati ai fini dell’ammissibilità del ricorso o del controricorso, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c. Tuttavia, per meglio garantire il contraddittorio e consentire al collegio di prendere previa e adeguata conoscenza dei documenti è stato previsto un termine per l’effettuazione di detto deposito di 15 giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.

 

Comma 28

Lettera a)

Con riguardo alla disciplina della trattazione del ricorso per cassazione, il riordino viene disciplinato in primo luogo attraverso la previsione dei casi in cui la Corte procede in udienza pubblica. Dando attuazione al principio direttivo di cui alla lettera f), si prevede che la Corte vi potrà ricorrere quando la questione di diritto è di particolare rilevanza. La decisione con sentenza secondo il rito della pubblica udienza rimane, dunque, residuale. L’udienza pubblica resta per un’area di cause quantitativamente ristretta, ma di alto livello qualitativo: cause nelle quali la Corte esercita la sua funzione fondamentale di unificazione dell’interpretazione delle norme di diritto. Nella tessitura del nuovo testo dell’articolo 375 c.p.c., l’individuazione dei casi in cui la Corte pronuncia in pubblica udienza compare nell’apertura della disposizione, al primo comma. Nel testo attuale l’apertura della disposizione è dedicata ai casi in cui la Corte pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, essendo il ricorso alla udienza pubblica affidato, nell’ultimo comma, ad una norma di chiusura. Diversamente, nella bozza che si propone l’incipit è dedicato alla udienza pubblica. Con ciò non si è inteso modificare il rapporto tra regola (la camera di consiglio) ed eccezione (l’udienza pubblica). L’udienza pubblica rimarrà quantitativamente residuale. Piuttosto, l’intervento di restyling nella collocazione topografica risponde all’esigenza di individuare in positivo quando il ricorso viene trattato in udienza e quando in camera di consiglio. Esigenze di razionalizzazione hanno indotto a prevedere che, se la questione di diritto è di particolare importanza, anche i ricorsi per regolamento di competenza e di giurisdizione potranno essere decisi in udienza pubblica: si pensi alle grandi questioni di riparto sollevate con regolamento preventivo o, ancora, alle, talvolta complesse, questioni di diritto internazionale privato quando si discute dell’ambito della giurisdizione italiana. Lo stesso regime – per espressa previsione – si applica ai ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo delle pronunce della cassazione: vale la regola della camera di consiglio, ma se la questione di diritto implicata è di particolare rilevanza, la decisione avverrà in pubblica udienza. Più in particolare, la prevista trattazione dei regolamenti di competenza e di giurisdizione, in alcune occasioni, in udienza pubblica, è giustificata dalla possibile particolare rilevanza della questione di diritto con essi veicolata. Quella stessa particolare rilevanza che, per i ricorsi ordinari, determina la fissazione in udienza pubblica, vale per i regolamenti di competenza e di giurisdizione.

Già oggi, per i regolamenti di competenza, se su una questione di competenza si forma un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni ordinarie della Corte, il relativo regolamento viene deciso in sezioni unite e in pubblica udienza, con sentenza, non con il rito della camera di consiglio, con ordinanza.

La novità è, semmai, per i regolamenti preventivi di giurisdizione. Ma anche i regolamenti preventivi possono presentare, e talora presentano, una questione di massima di particolare importanza: si pensi al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in tema di lesione del legittimo affidamento del privato, dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria. Anche in questi casi, quindi, appare opportuno consentire la trattazione del procedimento in pubblica udienza; cosa che peraltro a livello organizzativo non comporterebbe difficoltà di sorta, considerato il ristrettissimo numero di casi che meritano questo particolare canale.

Dando attuazione al criterio direttivo di cui alla lettera b) del comma 9, dell’unico articolo della legge delega, e recependo una prassi in questo senso, il nuovo articolo 375 estende la pronuncia in camera di consiglio all’ipotesi in cui la Corte riconosce di dover dichiarare l’improcedibilità del ricorso. La semplificazione del modulo camerale risponde a puntuali principi e criteri direttivi della delega. Essi si compendiano nella unificazione dei riti camerali, attualmente disciplinati dall’art. 380-bis e dall’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., cioè dei due procedimenti che sono utilizzati per la trattazione delle adunanze, rispettivamente, innanzi alla sesta sezione e alle sezioni semplici, e nella soppressione della «apposita sezione» di cui all’art. 376 cod. proc. civ., introdotta a decorrere dal 4 luglio 2009 ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69. Tale norma ha subito un’ulteriore modifica per la necessità di allineare il nuovo istituto della revocazione previsto dall’articolo 391-quater alla disciplina generale relativa al procedimento dinanzi alla Corte di cassazione con le dovute previsioni caratterizzanti. Si è previsto che il procedimento in questione si svolga in pubblica udienza. Tale scelta si giustifica, pur in assenza di indicazioni specifiche del legislatore delegante, in ragione della particolare rilevanza del nuovo istituto, che quindi merita tale forma di trattazione.

 

Lettera b)

L’intervento sull’articolo 376 c.p.c. è di carattere minimale. Essendo stata soppressa l’apposita sezione (la sesta civile), si è stabilito che il primo presidente assegna i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice. Mentre la parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a quindici giorni prima dell'udienza o dell’adunanza, per il P.M. rimane ferma la possibilità di sollecitare la rimessione alle sezioni unite, anche durante la discussione nel corso dell’udienza pubblica, ovvero – per i soli procedimenti avviati alla trattazione camerale – di norma con le conclusioni depositate nel termine previsto dall’articolo 380-bis.1.

 

Lettera c)

Per quanto attiene alla fissazione dell’udienza pubblica, si è ritenuto opportuno, muovendosi nell’ambito dei criteri dettati dalla lettera f) della delega, modificare il secondo comma dell’articolo 377 c.p.c. attraverso l’aumento da venti a sessanta giorni del termine che deve intercorrere tra la comunicazione ai difensori delle parti e al pubblico ministero della data fissata e l’udienza medesima; anche se il testo originario dell’articolo 377 non prevedeva espressamente l’onere di comunicazione al PM, era chiaro che quest’ultimo dovesse avere piena conoscenza della data fissata per l’udienza o per l’adunanza, al fine di intervenire o formulare le sue conclusioni scritte. La legge delega prevede, al riguardo, un anticipo fino a quaranta giorni prima dell’udienza. È parso opportuno allungare detto termine a sessanta giorni, per una esigenza di armonizzazione con i termini previsti per le memorie. L’allungamento del termine è, dunque, in funzione della realizzazione di un contradditorio più esteso. Si tratta di una previsione che recepisce una prassi organizzativa frutto di un protocollo condiviso tra la Prima Presidenza della Corte, la Procura Generale, il Consiglio nazionale forense e l’Avvocatura generale dello Stato, e che comunque non determina un aggravio per le parti, né per la durata del processo. L’anticipazione del termine per la comunicazione è parsa utile, anche per consentire di spostare indietro, come si dirà infra, il contraddittorio “cartolare” in vista dell’udienza o dell’adunanza, palesandosi sufficientemente agevole per il P.G., alla luce dell’obbligatorietà del deposito telematico, prendere immediata visione di tutti gli atti processuali in precedenza depositati dalle parti, una volta ricevuta la detta comunicazione, non essendo del resto più prevista (con la novella dell’articolo 137 disp att. c.p.c.), la trasmissione a cura della cancelleria di una copia del ricorso o del controricorso e della sentenza impugnata al pubblico ministero (il c.d. “fascicoletto”).

 

Lettera d)

Recepisce una prassi interpretativa già invalsa la norma che nell’articolo 378 c.p.c. introduce la facoltà per il pubblico ministero di depositare una memoria prima dell’udienza. Il termine di almeno venti giorni prima dell’udienza è in linea con l’analoga previsione contenuta nel rito camerale. Viene elevato a dieci giorni prima il termine, previsto dall’art. 378 c.p.c., per il deposito delle memorie dei difensori delle parti, con un allineamento, anche questa volta, al termine di dieci giorni previsto nel rito camerale dall’art. 380-bis.1 c.p.c. Si è ritenuto opportuno unificare i termini per il deposito delle memorie, sia in vista dell’udienza pubblica che di quella camerale, la quale già oggi prevede un termine di venti giorni per il deposito delle conclusioni del P.M. e di dieci per il deposito delle memorie di parte (articolo 380-bis.1), palesandosi, da un lato, chiare le esigenze di semplificazione ed unificazione dei riti – pure espressamente imposte dalla delega (art. 1, comma 9, lett. b) – e, dall’altro, non ravvisandosi necessità alcuna di mantenere una differenziazione dei detti termini, a seconda che la trattazione del ricorso sia destinata a sfociare in udienza pubblica o in adunanza camerale. Anche per le memorie delle parti in prossimità dell’udienza si prescrive che debbano essere sintetiche e avere carattere illustrativo. Il principio generale di sinteticità degli atti di parte esplica così la sua portata irradiante non solo con riguardo agli atti introduttivi del giudizio di cassazione, ma anche in relazione agli atti difensivi in prossimità della udienza. Quanto alla funzione meramente illustrativa delle memorie, si tratta di una acquisizione giurisprudenziale coerente con l’idea che con esse il ricorrente, ad esempio, non può dedurre nuovi motivi di ricorso o sanare carenze dell’atto introduttivo. Per la memoria del pubblico ministero non si specifica che debba essere sintetica. La ragione di ciò è da rinvenire nel fatto che non c’è necessità di introdurre una regola quando non v’è una esigenza avvertita: e l’esperienza è nel senso che non vi sono memorie del pubblico ministero caratterizzate da eccessiva lunghezza. Ma vi è anche un’altra ragione. Mentre le parti hanno già depositato ricorso e controricorso, il pubblico ministero interloquisce per la prima volta proprio con la memoria.

Inoltre, l’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (articolo 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato, tra l’altro, l’articolo 378 c.p.c.

 

Lettera e)

Il rito dell’udienza pubblica riceve alcuni ritocchi in un’ottica di semplificazione, speditezza e razionalizzazione. Attualmente l’articolo 379 c.p.c. prevede che nell’udienza pubblica il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso. Il testo proposto si apre invece con una relazione conformata dal principio di sinteticità e funzionalmente orientata a far emergere i temi della discussione orale. Si prevede infatti che il relatore all’udienza espone in sintesi le questioni della causa. La disposizione è mutuata dalla analoga previsione delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale. Rimane fermo l’ordine della discussione, con il pubblico ministero che interviene per primo esponendo oralmente le sue conclusioni motivate e i difensori delle parti che svolgono poi le loro difese, come pure l’esclusione della possibilità di repliche. Si introduce la previsione che affida al presidente il compito di dirigere la discussione, indicandone ove necessario i punti e i tempi. Si è poi ritenuto opportuno inserire nella norma, quale primo comma, l’espressa previsione secondo cui l’udienza si svolge sempre in presenza, al fine di escludere la possibilità di trattazione dell’udienza pubblica in forma cartolare, in considerazione della sua particolare importanza e solennità e alla luce del fatto che essa è ormai destinata a trovare applicazione solo quando la questione di diritto sottoposta all’attenzione della Corte è «di particolare rilevanza» e quindi in un ristretto novero di ipotesi. Parallelamente, si è ritenuto opportuno prevedere, con l’introduzione dell’articolo 140 bis disp. att. c.p.c., che la camera di consiglio si svolge in presenza, consentendo però al presidente del collegio – in considerazione delle specificità che caratterizzano la Corte di cassazione – di disporne lo svolgimento mediante collegamento audiovisivo a distanza, per esigenze di tipo organizzativo (si pensi, ad esempio, a casi di riconvocazione della camera di consiglio quando il collegio è composto da consiglieri che potrebbero essere impossibilitati a recarsi a Roma).

 

Lettera f)

Si è infine ritenuto opportuno introdurre nell’articolo 380 c.p.c. la previsione secondo cui la sentenza è depositata nel termine di novanta giorni: quella in esame era l’unica ipotesi in cui non fosse previsto un termine per il deposito del provvedimento; termine che è stato fissato nella misura indicata in considerazione del fatto che il termine per il deposito delle sentenze di appello è di sessanta giorni, e che all’udienza pubblica sono riservate questioni di diritto di particolare rilevanza, il che necessariamente richiede un maggiore lasso di tempo per la redazione della sentenza, anche alla luce delle ricadute che questa ha nell’applicazione del diritto da parte dei giudici di merito.

 

Lettere g), h) e i)

Si prevede la riscrittura dell’articolo 380-bis c.p.c., con l’abrogazione del procedimento camerale in atto utilizzato davanti alla sesta sezione, come disciplinato, appunto, dall’articolo 380-bis c.p.c.

Parallelamente, si prevede un unico rito camerale, quello attualmente dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. L’unificazione dei riti camerali avviene, dunque, nel segno della prevalenza del procedimento dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. Nel progetto che si propone con riguardo al rito della camera di consiglio, muta però la rubrica dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.: il procedimento per la decisione in camera di consiglio non si riferisce soltanto alla sezione semplice, ma anche alle sezioni unite. Al riguardo, nessuna novità sostanziale di rilievo, solo una razionalizzazione dell’esistente.

Il procedimento ex articolo 380-bis.1 è destinato, per la sua vocazione unificante, ad assorbire il rito per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza: in funzione del raggiungimento di obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione, l’articolo 380-ter c.p.c. – nel testo elaborato – prevede, ora, che nei casi di ricorso per regolamento di competenza e giurisdizione, si applica l’articolo 380 bis.1. L’unica particolarità è che nei regolamenti di competenza e di giurisdizione il pubblico ministero deposita sempre le sue conclusioni scritte (nel termine stabilito dall’articolo 380-bis.1 c.p.c.), laddove, negli altri casi in cui si ricorre al procedimento camerale, il pubblico ministero ha la facoltà di depositare le sue conclusioni scritte.

Il procedimento ex articolo 380-bis.1 c.p.c. rimane regolato secondo la disciplina attualmente in vigore, ma sono state previste alcune modifiche per renderlo maggiormente rispondente alle finalità della legge delega. Esso diventa più disteso, giacché le parti verranno notiziate dell’adunanza sessanta giorni prima (anziché quaranta giorni prima). L’ampliamento del termine appare più confacente ad un procedimento destinato ad applicarsi in una indefinita varietà di casi, diversi tra di loro e da quello in cui ricorre la particolare rilevanza della questione di diritto. Coerente con il principio di sinteticità degli atti è, poi, la previsione secondo cui le memorie – che le parti hanno facoltà di depositare non oltre dieci giorni prima dell’adunanza – devono essere sintetiche e avere carattere illustrativo. Ottempera ad un criterio direttivo della delega la previsione della semplificazione della fase decisoria del procedimento camerale, con l’introduzione del modello processuale della deliberazione, motivazione contestuale e deposito del provvedimento. Al termine della camera di consiglio, l’ordinanza, succintamente motivata, può essere immediatamente depositata in cancelleria; rimane ferma la possibilità per il collegio di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, in attuazione di quanto previsto dalla lettera d).

Per quanto riguarda, in particolare, i termini del rito camerale, la proposta normativa è volta a soddisfare l’esigenza di agevolare, nei casi che lo meritano, l’intervento con le conclusioni scritte del pubblico ministero, e di favorire, quindi, il contraddittorio scritto tra le parti. Per la Corte di cassazione questo non costituisce un aggravio, in quanto già oggi le camere di consiglio vengono fissate con almeno due mesi di anticipo. Del resto, il rito della camera di consiglio rappresenta il rito ordinario: una sorta di contenitore neutro destinato ad ospitare tutti i ricorsi nei quali non si pone una questione nomofilattica. Ma escludere la particolare importanza della questione di diritto non significa che il ricorso sia bagatellare: molti ricorsi complessi, con parecchi motivi di impugnazione, vengono decisi in camera di consiglio.

Sotto questo profilo, l’allungamento del termine solo apparentemente sembra porsi in controtendenza rispetto all’obiettivo della semplificazione.

Più in generale, ed anche con riguardo all’udienza pubblica, dove il termine fisso di quaranta giorni prima, previsto dalla legge delega, è stato elevato a sessanta, l’idea sottostante la proposta di modifica è stata quella di semplificare nel segno dell’uniformità, consentendo un contraddittorio più disteso in preparazione dell’udienza, in questo senso ratificando una prassi già invalsa. È chiaro che quando si tratti di un termine che deve essere osservato dalle parti, la previsione della legge delega non può essere ristretta dal legislatore delegato, perché ciò significherebbe un aggravio per il diritto di difesa. Diversamente deve però ritenersi quando il termine riguardi un adempimento dell’ufficio: quanto tempo prima il presidente deve fissare l’udienza e la camera di consiglio. In questo caso l’ampliamento del termine previsto dalla legge delega va a tutto vantaggio dell’esercizio del diritto di difesa, che gode di termini più ampi, e senza detrimento per la durata complessiva del processo, considerando gli ordinari tempi di trattazione dei ricorsi; basti pensare, al riguardo, che davanti alle sezioni unite civili i ricorsi – sia in udienza pubblica che in camera di consiglio – sono già stati fissati fino a tutto il 6 dicembre 2022, con adempimenti di cancelleria già espletati. In questo caso ben pare possibile una deroga alla previsione della legge delega, in nome di una sua attuazione non meramente formale ma, piuttosto, teleologica, ossia improntata alla migliore realizzazione dello scopo perseguito dal legislatore: semplificazione, effettività, tutela del contraddittorio.

Nessun allungamento dei tempi della decisione, quindi, ma solo la conferma di una anticipazione negli adempimenti di cancelleria, oggi resa possibile dal sistema telematico.

Scompare la sesta sezione con il suo rito, ma non viene meno la funzione di filtro finora assicurata da quella apposita sezione. Per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili e manifestamente infondati, il testo elaborato introduce, in attuazione di una precisa indicazione della legge delega contenuta nella lettera e), un procedimento accelerato rispetto a quello ordinario.

Nella sede finora destinata ad accogliere, con l’articolo 380-bis, il rito di sesta, nasce un nuovo virgulto. Quando non è stata ancora fissata la data della decisione in udienza o in camera di consiglio, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato formula una sintetica proposta di definizione del giudizio ove ravvisi l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza. La proposta di definizione del ricorso dovrà essere comunicata agli avvocati delle parti. Le parti sono chiamate a valutare la proposta di definizione del ricorso. Se entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta la parte non chiede la decisione, il ricorso si intende rinunciato. In proposito si è ritenuto opportuno concedere alle parti uno spatium deliberandi più ampio di quello di venti giorni previsto dalla legge delega, in quanto questo non si traduce in un grave allungamento dei tempi di definizione del procedimento (anche considerato il lasso di tempo usualmente decorrente tra il provvedimento di fissazione dell’adunanza e la data in cui questa si tiene) e il breve termine indicato dal legislatore delegante potrebbe rivelarsi insufficiente per una compiuta disamina delle questioni poste e una scelta meditata e consapevole, anche in considerazione di quanto si dirà in seguito in ordine alla necessità che l’istanza sia sottoscritta dalla parte personalmente, alla luce delle gravi conseguenze derivanti da una decisione in senso conforme alla proposta di definizione. Il presidente o il consigliere della sezione pronuncia quindi decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero, in favore della parte soccombente che non presenta la richiesta di fissazione della camera di consiglio, dal pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione previsto dall’articolo 13, comma 1-quater, del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (disposizione, quest’ultima, inserita nel testo unico per ragioni di coerenza sistematica).

Non si tratta di una sorta di parziale ultrattività del rito camerale di sesta all’estinzione dell’ambiente in cui era stato previsto. La novità è, infatti, nel meccanismo di rinuncia al ricorso, che consente alla parte di essere sollevata dall’onere di pagamento di una somma pari all’importo del contributo unificato.

Il testo elaborato assegna un ruolo centrale nella definizione del ricorso al presidente della sezione o al consigliere da questo delegato attraverso la redazione di una proposta che, se accettata dal ricorrente, non dovrà più essere sottoposta al vaglio della camera di consiglio. Infatti, preso atto della rinuncia manifestata per comportamenti concludenti attraverso la mancata richiesta della fissazione della camera di consiglio entro il termine di quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, il presidente o il consigliere delegato pronuncia il decreto di estinzione, liquidando le spese secondo i criteri generali, ma con il vantaggio, per la parte soccombente che si ritira, dell’esonero dal pagamento del raddoppio del contributo unificato.

Il testo sul modello accelerato predisposto sviluppa e completa il disegno prefigurato dalla legge delega, tenendo presenti gli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione avuti di mira dal legislatore delegante.

Ne è espressione la previsione secondo cui, a fronte della proposta di definizione proveniente dal giudice della Corte, la richiesta di decisione da parte del Collegio deve essere sottoscritta dalla parte e dal suo difensore. La proposta di inammissibilità, di improcedibilità o di manifesta infondatezza formulata dal presidente della sezione o da un consigliere da lui delegato prefigura, infatti, un esito negativo per il ricorso, con un’uscita anticipata dalla Corte. Per chiedere una ulteriore valutazione, da parte di un Collegio della Corte in camera di consiglio, occorre un atto di impulso processuale che coinvolga personalmente la parte ricorrente.

Ne è espressione, altresì, la previsione di conseguenze disincentivanti il seguito camerale a fronte di un filtro negativo effettuato da un giudice della Corte. Nel caso in cui la Corte definisca il giudizio in conformità alla proposta, infatti, si è ritenuto opportuno inserire un espresso richiamo all’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 96, terzo e quarto comma, così come modificate in attuazione della delega: nel caso di decisione conforme alla proposta di definizione, quindi, la parte ricorrente sarà condannata al pagamento di una somma di denaro tanto in favore della controparte, quanto della cassa ammende. La previsione non risponde ad un intento punitivo o sanzionatorio, ma è la realistica presa d’atto del fatto che la giurisdizione è una risorsa limitata. Sicché appare conforme al sistema che il costo dell’aggravio per il servizio giustizia sia sostenuto da colui che, nonostante una prima delibazione negativa, abbia chiesto comunque una valutazione supplementare collegiale senza che ne sussistessero fondate ragioni.

 

Lettera l)

All’articolo 383 c.p.c. sono state portate mere modifiche di coordinamento: è stato abrogato l’ultimo comma, relativo alle ipotesi in origine previste dall’articolo 348-ter, in conseguenza dell’abrogazione di quest’ultimo.

 

Lettera m)

Si è ritenuto opportuno prevedere che la rinuncia al ricorso (articolo 390 c.p.c.) sia comunicata a cura della cancelleria alle parti costituite, così da agevolarne la conoscenza, potendo essa intervenire in qualsiasi momento fino alla data dell’adunanza in camera di consiglio o dell’inizio della relazione all’udienza.

 

Lettera n)

A proposito dei procedimenti camerali, poi, all’articolo 391-bis c.p.c. (correzione degli errori materiali e revocazione) sono state apportate modifiche di mero coordinamento.

 

Lettera o)

L’intervento si pone in linea con i solleciti da tempo impartiti al legislatore dalla Corte Costituzionale in tema di possibile riapertura dei processi civili, al fine di assicurare una effettiva restitutio in integrum, ove ancora materialmente o giuridicamente possibile, se il contenuto del relativo giudicato integri una violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, accertata dalla Corte europea di Strasburgo non suscettibile di essere ristorata tramite tutela risarcitoria (per equivalente), in linea con le statuizioni della Corte Costituzionale su questo tema (sentenza n. 93/2018 e sentenza n. 123 del 2017, riprese anche dalla sentenza della CEDU, BEG S.P.A. c. Italia del 20 maggio 2021, caso n. 5312/11). Si osserva, inoltre, che l’intervento rappresenta un ulteriore adempimento della Raccomandazione R. 2000-2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei ministri, che, pur non essendo vincolante, è particolarmente importante per la ricostruzione della portata della giurisprudenza convenzionale e per la sua funzione orientativa, la quale afferma che l’obbligo conformativo può «in certe circostanze» ricomprendere misure individuali diverse dall’equo indennizzo e che «in circostanze eccezionali» il riesame del caso o la riapertura dei processi si è dimostrata la misura più adeguata, se non l’unica, per raggiungere la restitutio in integrum.

Non esistendo allo stato un meccanismo processuale che consenta la riapertura del processo civile, la legge delega, al comma 10, lettera a) ha previsto l’introduzione di un nuovo caso di revocazione, limitato alle sentenze emesse all’esito del processo civile (tale essendo il campo di intervento riformatore della legge delega stessa) che, in fase attuativa, è stato declinato in un’ipotesi speciale di revocazione con proprie caratteristiche processuali che tengono conto della particolarità del rimedio. In tale prospettiva la competenza è stata concentrata sulla Corte di Cassazione, conformemente alle scelte compiute da altri ordinamenti europei che contemplano analogo istituto ed atteso il rilievo che i provvedimenti destinati ad essere interessati dal rimedio saranno tendenzialmente decisioni della Corte di Cassazione (in ragione del condizionamento della ricevibilità del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo al previo esaurimento delle vie di ricorso interne). Inoltre, la delicatezza del nuovo istituto, destinato ad incidere sulla tenuta processuale del giudicato nell’ordinamento interno, richiederà sin dai suoi esordi una costante uniformità interpretativa.

È stato pertanto introdotto l’articolo 391-quater c.p.c., il quale contiene i tratti salienti del nuovo istituto della revocazione del giudicato civile in presenza di violazioni alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo accertate dalla Corte europea che hanno provocato un pregiudizio a un diritto di stato della persona. Tale disposizione, in ossequio alle previsioni della legge delega (comma 10, lettera a)), introduce la possibilità di impugnare per revocazione le decisioni del giudice civile passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli. L’azionabilità di tale rimedio è stata circoscritta e limitata alla ricorrenza di due condizioni che traducono in dato normativo attuativo la previsione della delega relativa alla necessità che, nel caso di specie, risulti “impossibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente”. In particolare, i casi in cui il rimedio risarcitorio è tendenzialmente inidoneo a rimuovere le conseguenze della violazione convenzionale sono stati individuati attraverso il riferimento alle violazioni di un diritto di stato della persona. Per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un’utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo. La seconda condizione corrisponde all’esigenza di attuare il precetto contenuto nella delega e relativo all’insufficienza della tutela per equivalente ed al “divieto di duplicità dei ristori” attraverso il riferimento all’ipotesi in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia eventualmente riconosciuto al ricorrente l’equa soddisfazione, ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, e questa sia ritenuta in concreto inidonea a compensare del tutto le conseguenze della violazione riscontrata.

In attuazione del principio di delega contenuto nella lettera d) del comma 10 dell’unico articolo della legge delega è stato poi previsto che il ricorso per revocazione sia proponibile nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa, per ragioni di coerenza con il termine generale previsto dall’art. 325.

Ulteriore previsione contenuta nell’articolo 391-quater riguarda l’esito del giudizio in caso di accoglimento della domanda di revocazione e consiste nel richiamo dell’articolo 391-ter, secondo comma, giustificato dalla necessità di limitare la fase rescissoria dinanzi la Corte di Cassazione alle sole ipotesi in cui la nuova decisione sia possibile senza ulteriori accertamenti di fatto.

Con riferimento alle conseguenze dell’accoglimento della nuova forma di revocazione, in attuazione del principio di delega contenuto nella lettera b) del comma 10 dell’unico articolo della legge delega, è stata inserita nell’articolo 391-quater una previsione generale di salvezza dei diritti dei terzi, che, in buona fede, abbiano acquistato diritto sulla base della decisione giurisdizionale poi oggetto di impugnazione per revocazione. Conformemente al principio di delega è stato previsto che questa salvezza sia riconosciuta solo ai terzi che non abbiano partecipato al giudizio dinanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo. La buona fede dovrà valutarsi anche con riferimento al comportamento dei terzi rispetto al processo convenzionale, dovendosi escludere in presenza di indici che facciano presumere negligenza o deliberata intenzione di sottrarsi alle conseguenze dell’eventuale successiva fase di revocazione del giudicato nazionale.

 

Comma 29

Come previsto dal comma 10, lettera c) dell’unico articolo della legge delega. è stata operata una modifica all’articolo 397 c.p.c. per chiarire che la legittimazione a proporre l’azione di revocazione è stata assegnata anche al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. In particolare, la previsione della legittimazione generale di quest’ultimo si giustifica in ragione dell’ampia formulazione del principio di delega sul punto e dell’interesse superiore dell’ordinamento alla rimozione in ogni caso delle conseguenze di una violazione della Convenzione da parte di una decisione del giudice ordinario, accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

Commi 30 e 31

Per quanto concerne il processo del lavoro, si è ritenuto opportuno, con intervento di riassetto e razionalizzazione ispirato a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1 della legge n. 206 del 2021, risolvere la contraddizione attualmente esistente – frutto di un difetto di coordinamento – tra l’articolo 429, primo comma, che consente il deposito delle motivazioni unitamente al dispositivo o entro un termine fissato dal giudice e non superiore a sessanta giorni, e l’articolo 430 c.p.c., a mente del quale la sentenza «deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia». Si è quindi prevista la soppressione di tale ultima disposizione, prevedendo al tempo stesso che il cancelliere dia comunicazione alle parti della sentenza quando questa è depositata fuori udienza (e non anche, quindi, nei casi in cui le motivazioni sono lette in udienza, in quanto in questo caso esse sono immediatamente note alle parti). L’articolo 434 c.p.c. è stato modificato, come si è detto, analogamente a quanto fatto con riferimento all’articolo 342, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera c). Del pari, è stato modificato l’articolo 436-bis c.p.c., relativo all’attuale “filtro” di inammissibilità per gli appelli che non hanno una ragionevole probabilità di essere accolti; in particolare, sulla scia delle scelte operate con riferimento al rito ordinario si è deciso di assimilare alle ipotesi di manifesta infondatezza quelle della manifesta fondatezza, dell’inammissibilità e dell’improcedibilità, prevedendo in questi casi una decisione mediante lettura del dispositivo e contestuali motivazioni redatte anche in questo caso in forma sintetica, fermo restando l’ordinario regime decisorio (lettura del dispositivo in udienza e deposito della sentenza nei successivi sessanta giorni) nei casi in cui non ricorrano i presupposti per la decisione in forma accelerata. Conseguentemente, all’articolo 437 c.p.c., relativo all’udienza di discussione in grado di appello, è stata apportata una modifica di mero raccordo tra i due modi di definizione del processo, quello “semplificato” previsto dall’articolo 436 bis e quello “ordinario” disciplinato, appunto, dall’articolo 437. L’articolo 438 c.p.c., infine, è stato coordinato con la modifica apportata all’articolo 430, prevedendo che al di fuori delle ipotesi di decisione semplificata le motivazioni della sentenza debbano essere depositate entro il termine di sessanta giorni ordinariamente previsto per i giudizi di appello.

 

Comma 32

In attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 11 della legge 26 novembre 2021, n. 206, si è inserito nel corpo del codice di procedura civile un nuovo capo I-bis, rubricato “Delle controversie relative ai licenziamenti”.

Detto capo introduce tre nuove disposizioni, gli articoli 441-bis, ter e quater.

L’articolo 441-bis c.p.c., rubricato “Controversie in materia di licenziamento” disciplina la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

In particolare i primi due commi dettano il principio generale in base al quale “La trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”, specificando altresì che ferme le peculiarità indicate nei commi successivi tutte le controversie in materia di licenziamento siano assoggettate alla disciplina di cui agli articoli 409 e ss., con conseguente abrogazione per le controversie instaurate successivamente all’entrata in vigore della novella dello speciale procedimento di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. rito Fornero).

Ferma l’applicazione delle norme del rito lavoristico, si è prevista al terzo comma la possibilità per il giudice di ridurre i termini del procedimento fino alla metà, tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso, garantendo, a tutela del convenuto e del terzo chiamato in giudizio, un temine congruo (non minore di 20 giorni) tra la data di notificazione del ricorso e quella dell’udienza di discussione e per la loro costituzione in giudizio.

Inoltre, si è previsto al quarto comma che nel corso dell’udienza di discussione il giudice disponga, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. In particolare, la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria è attuata attraverso la riserva di particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.

L’introduzione di questi nuovi strumenti dovrebbe scongiurare la proliferazione di domande cautelari ante causam, anche in considerazione del fatto che la particolare celerità garantita dalle nuove disposizioni potrà essere valutata dal giudice in relazione al presupposto del periculum in mora.

Il quinto coma da ultimo precisa che i principi di celerità e concentrazione dovranno caratterizzare anche la trattazione delle controversie in materia di licenziamento con tutela reale in grado d’appello e in cassazione.

L’articolo 441-ter c.p.c., rubricato “Licenziamento del socio della cooperativa”, disciplina le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anch’esse assoggettate alle norme di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile. In particolare, si è previsto che il giudice del lavoro, investito della domanda avente ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti in esame, decida anche sulle questioni relative al rapporto associativo, eventualmente proposte, e che lo stesso giudice decida sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro derivi dalla cessazione del rapporto associativo, pur mancando un formale provvedimento di licenziamento.

L’attrazione della decisione sul rapporto associativo alla competenza del giudice del lavoro si giustifica tutte le volte in cui quella decisione abbia ricadute o comunque produca effetti sul rapporto di lavoro comunque in essere tra il socio e la cooperativa.

L’articolo 441-quater c.p.c., rubricato “Licenziamento discriminatorio”, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto la nullità di detti licenziamenti dispone che le relative azioni, ove non siano proposte con ricorso ex art. 414 c.p.c., possano essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i rispettivi riti speciali previsti dagli articoli 38 del D.lgs. n. 198/2006 e 28 del D.lgs. n. 150/2011. Al fine di evitare la duplicazione dei giudizi, si è previsto che la proposizione della domanda, relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, precluda la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.

Infine, sotto il profilo organizzativo, si introduce nel corpo delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie il nuovo articolo 144 quinquies, rubricato “Controversie in materia di licenziamento”, a tenore del quale il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al Capo I-bis del titolo IV del libro secondo del codice, prevedendosi altresì che in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentano di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis del codice, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro.

 

Comma 33

Il comma 33 dà attuazione all’art. 1, comma 23, lett. a) della l. n. 206/2021, che ha previsto che il legislatore delegato introduca, attraverso il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 del medesimo articolo, “modifiche alla disciplina processuale per la realizzazione di un rito unificato”, denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, introducendo nel libro II del codice di procedura civile un apposito titolo (il titolo IV-bis), rubricato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”. Ha aggiunto il legislatore delegante nella medesima lett. a) che in tale nuovo titolo del libro II del codice sia contenuta “la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare”, ad esclusione, tuttavia, di alcuni specifici procedimenti, quali quelli volti alla dichiarazione di adottabilità e di adozione dei minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, di protezione internazionale e di libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46.

In attuazione di questi principi e criteri direttivi il Governo ha proceduto, insieme all’introduzione del nuovo titolo IV-bis nel libro II del codice di procedura civile, a cui è stata attribuita la rubrica “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, alla suddivisione di tale titolo in due distinti capi, l’uno intitolato “Disposizioni generali”, e l’altro “Del procedimento” (quest’ultimo, a sua volta, suddiviso in sette sezioni).

Il primo articolo del capo I dedicato alle “Disposizioni generali” introduce l’articolo 473-bis c.p.c. e ha ad oggetto la determinazione dell’ambito di applicazione del nuovo rito unificato.

Esso, perciò, si limita a prevedere che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito e salve le esclusioni espressamente indicate dallo stesso articolo.

Queste riguardano, in particolare, sia i procedimenti che in questa materia siano espressamente sottoposti dal legislatore ad altra disciplina processuale, sia i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità, dei procedimenti di adozione dei minori, sia, infine, i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.

Ovviamente restano fuori dall’ambito applicativo del nuovo rito unificato a cognizione piena tutti i procedimenti di giurisdizione volontaria, che continuano ad essere retti dalle forme processuali camerali.

L’ampia previsione normativa circa l’ambito applicativo del nuovo rito unificato ha l’obiettivo non soltanto di individuare tutti i procedimenti ai quali, dal momento della sua entrata in vigore, si applicherà la nuova disciplina processuale, ma anche di determinare il perimetro nel quale questo nuovo rito troverà applicazione quando, nel prossimo futuro, sarà istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

L’articolo 473-bis.1 c.p.c. dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. c), prima parte, che invita a “prevedere la competenza del tribunale in composizione collegiale, con facoltà di delega per la trattazione l'istruzione al giudice relatore…”.

Nel vigente quadro normativo si registrano differenze nelle disposizioni quanto alla trattazione dei procedimenti di competenza collegiale. Nei procedimenti di separazione e divorzio, per esempio, è normativamente attribuita al giudice istruttore la possibilità di emettere in corso di causa provvedimenti provvisori, con ampia delega per la trattazione e l’istruzione; al contrario nei procedimenti per i quali è prevista l’applicazione del rito camerale (per esempio procedimenti de responsabilitate di cui agli art. 330 ss. del codice civile, ovvero per la disciplina dell’affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, ovvero per la modifica delle condizioni di separazione e divorzio), l’art. 738 del codice di procedura civile prevede la possibilità che il presiedente possa designare un giudice relatore, al quale possono essere delegati solo specifici adempimenti, con esclusione della possibilità che il giudice relatore possa adottare provvedimenti decisori anche se provvisori, ovvero procedere all’ammissione di istanze istruttorie.

L’attuale quadro normativo, oltre a prevedere l’applicazione di riti diversificati per materie analoghe, con correlate possibili non solo disarmonie ma anche “discriminazioni processuali”, comporta inevitabili rallentamenti nell’istruttoria e nella trattazione in tutti i procedimenti per i quali è previsto che sia il collegio ad assumere decisioni anche soltanto temporanee e provvisorie, o addirittura di natura istruttoria.

Con il principio sopra richiamato la legge delega ha voluto superare tutte queste difficoltà.

La norma in esame, oltre ad essere il precipitato dell’unificazione dei riti di cui all’art. 473-bis c.p.c., con superamento delle differenze processuali oggi esistenti, ha finalità acceleratorie perché conferisce al giudice, che verrà individuato dal collegio, il potere di condurre l’istruzione e la trattazione del procedimento, con intuibile maggiore velocità e agilità per le decisioni. Essendo stata prevista la delega al singolo componente del collegio per l’istruzione e per la trattazione, nei diversi articoli che regoleranno il futuro procedimento uniforme, in materia di persone, minorenni e famiglie, occorre fare riferimento anche al singolo giudice delegato dal collegio, ovvero secondo il riferimento contenuto nella legge delega il giudice relatore, il quale dunque potrà anche adottare autonomamente atti di istruzione o decisioni provvisorie, con individuazione in modo puntuale dei poteri allo stesso attribuiti. Solo a titolo esemplificativo, e rinviando all’intero capo I in esame per la disciplina di dettaglio, il giudice relatore potrà: nominare il curatore speciale del minore, ovvero il tutore provvisorio nei casi previsti; esercitare gli ampi poteri d’ufficio riconosciuti nel caso in cui debbano essere adottati provvedimenti in materia di minori (sia quanto alla possibilità di adottare provvedimenti a tutela dei minori al di fuori dei limiti della domanda sia per l’ammissione d’ufficio di mezzi di prova, nei casi normativamente previsti); condurre l’ascolto del minore; adottare i provvedimenti indifferibili; tenere l’udienza di comparizione personale delle parti, all’esito della quale adottare i provvedimenti provvisori; ammettere istanze istruttorie, CTU, delegare indagini ai Servizi socio assistenziali; tenere le ulteriori udienze istruttorie necessarie per giungere alla decisione; modificare i provvedimenti provvisori ricorrendone i presupposti.

Il giudice relatore condurrà, quindi, l’intera trattazione e istruzione del procedimento essendo la sola decisione rimessa al collegio, al quale egli dovrà riferire gli esiti del procedimento nella camera di consiglio che precede l’adozione della decisione finale.

Questa scelta, dettata dalla necessità di assicurare maggiore celerità e speditezza nella trattazione dei procedimenti in esame, comunque non comporterà una riduzione delle tutele delle parti, in quanto a differenza di quanto previsto nella normativa vigente, ai sensi della quale né i provvedimenti provvisori emessi dal giudice istruttore nei procedimenti di separazione e divorzio, né i provvedimenti provvisori emessi nell’ambito dei procedimenti camerali (tranne limitate eccezioni) sono reclamabili, sarà prevista la possibilità di proporre reclamo avverso tutti i provvedimenti provvisori adottati dal giudice all’esito della prima udienza di comparizione delle parti, nonché avverso tutti quelli emessi in corso di causa, in forza del potere di modificare e revocare i provvedimenti provvisori già emessi, qualora abbiano contenuti decisori particolarmente incidenti sui diritti dei minori; per esempio, in caso di sospensione o di sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, ovvero di sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione del minore (si pensi al mutamento di collocamento prevalente per il minore dall’abitazione di un genitore a quella dell’altro, ovvero all’autorizzazione alla modifica della residenza abituale da un comune all’altro) o ancora nel caso di affidamento a terzi del minore.

Al beneficio della maggiore celerità nella trattazione del procedimento, con superamento della collegialità per l’adozione dei provvedimenti istruttori o provvisori, si accompagna pertanto anche un ampliamento delle tutele derivante dal riconoscimento della possibilità di proporre reclamo anche avverso determinati provvedimenti provvisori sino a oggi non suscettibili di alcuna forma di controllo immediato da parte di altro giudice.

L’art. 473-bis.2 c.p.c. dà attuazione all’art. 1 comma 23, lett. t) della legge delega, che disciplina nel dettaglio i poteri ufficiosi del giudice, anche nella veste di giudice monocratico nominato fin dal deposito del ricorso, che gestisce tutta la fase di trattazione e di istruzione, a tutela degli interessi del minore, attribuendogli, oltre al potere di “nominare il curatore speciale” (in tutti i casi previsti dalla legge ma anche ogni qualvolta emergano i presupposti previsti dall’articolo 78 del codice di procedura civile e, più nello specifico, dalla nuova norma di cui all’art. 473 bis.8 c.p.c.) il potere decisorio di “adottare i provvedimenti opportuni in deroga all’articolo 112”, nonché poteri di natura squisitamente istruttoria, consistenti nel “disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile”, purché venga rispettata la generale clausola di salvaguardia costituita da quella particolare applicazione del principio del contraddittorio (che deve potersi pienamente esplicare anche in materia istruttoria) rappresentata dal diritto alla prova contraria.

In particolare, infatti, sebbene anche nel sistema previgente (come la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo in molteplici occasioni di sottolineare) già si potesse ricavare da tutto l’impianto codicistico costruito dalla legge di riforma del diritto di famiglia, l’attribuzione di poteri officiosi all’organo giudicante per la tutela della prole, tuttavia la norma concepita dal legislatore delegato non solo ne esplicita l’attribuzione, ma intende altresì delinearne i contorni, superando le incertezze e le disarmonie talvolta emerse nella prassi applicativa della giurisprudenza di merito sulla competenza ad adottare provvedimenti ad opera del giudice monocratico, quali, appunto la nomina del curatore, spesso demandata al collegio.

La norma non individua poi quali tipi di provvedimenti il giudice possa adottare, utilizzando un’espressione ampia e volutamente “elastica”, che consente esclusivamente di enuclearne la finalità che è quella, appunto, di apprestare massima tutela al minore.

Significativi sono inoltre i poteri istruttori che, sempre nell’ottica della tutela, consentono al giudice di individuare i mezzi di prova che possono essere assunti ai predetti fini e ciò, sia a prescindere dalle deduzioni delle parti, sia anche “al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile”, con riferimento pertanto alle limitazioni di cui agli articoli 2721 e seguenti del predetto codice.

Resta naturalmente inteso (e a tal fine è deputata la clausola di salvaguardia inserita nella norma) che qualora il giudice eserciti poteri istruttori d’ufficio egli è in ogni caso tenuto a garantire il contraddittorio con le parti ed attribuire loro la facoltà di dedurre mezzi di prova contraria.

Il secondo comma della norma specificamente prevede poi che con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria.

La norma deve ritenersi applicabile a tutti i provvedimenti che dispongono contributi periodici di somme di denaro, e in particolare tutte le diverse forme di assegno previste nell’ordinamento.

In tale ambito, i poteri istruttori officiosi del giudice si declinano consentendogli di acquisire, dalle parti stesse ovvero anche da terzi, tutte le informazioni e la documentazione patrimoniale e reddituale necessaria, in ossequio a quanto indicato nel comma 23, lett. t) della legge delega, che riconosce all’organo giudicante “poteri officiosi di indagine patrimoniale”. A tal fine, in particolare, “il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria”.

Il legislatore delegato ha così inteso generalizzare un potere già riconosciuto nella materia della separazione, del divorzio e nell’articolo 337 ter del codice civile, attribuendo al giudice istruttore, in tutti i procedimenti ai quali si applica il nuovo rito, di ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti, disporre ordini di esibizione, si badi bene, anche d’ufficio, e ciò in deroga all’articolo 210 del codice di procedura civile, che ne subordina l’emissione alla richiesta delle parti, indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi valendosi, se del caso, della polizia tributaria.

L’articolo 473-bis.3 c.p.c. disciplina i poteri del pubblico ministero. A seguito dell’unificazione dei riti e in un prossimo futuro - con l’istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie - anche degli uffici giudiziari, la figura del pubblico ministero appare centrale, non soltanto come soggetto che interviene nei procedimenti riguardanti i minori, ma soprattutto come parte processuale autonoma.

La legge delega ha preso in considerazione la figura del pubblico ministero nell’art. 1, comma 23, lett. e), invitando il legislatore delegato a introdurre le necessarie previsioni volte a “disporre l’intervento necessario del pubblico ministero, ai sensi dell’articolo 70 del codice di procedura civile, fermo restando il potere del pubblico ministero nei procedimenti di cui agli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile e in quelli di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, di proporre la relativa azione”.

La rilevanza del ruolo del pubblico ministero ha quindi reso sistematicamente necessaria la previsione di una norma autonoma all’interno del nuovo titolo IV bis.

In tal senso, ferme restando le norme generali (articoli 69 ss. del codice di procedura civile) che danno conto della possibilità per il pubblico ministero di esercitare l’azione civile nei casi previsti dalla legge, e delle ipotesi in cui lo stesso è interventore necessario nel processo, si recepiscono e si introducono nel codice di procedura civile, nei principi generali del titolo IV bis, dettati normativi dapprima presenti in altre disposizioni di legge (in particolare nell’art. 9 della legge 4 maggio 1983, n. 184 sull’adozione, che prevede che il ricorso sia inoltrato dal pubblico ministero “assunte le necessarie informazioni”) e di recente nel codice civile con la riformulazione dell’art 403, laddove si prevede che il pubblico ministero, prima di inoltrare il ricorso, “può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti”.

Con la disposizione in esame si puntualizzano inoltre i soggetti istituzionali, la polizia giudiziaria e i servizi sociali, deputati a fornire le informazioni necessarie per verificare la necessità del ricorso. Tali organi e tali indagini preliminari hanno infatti consentito alle Procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni di limitare l’intervento giudiziario, in ossequio al principio di necessità, non tanto in un’ottica deflattiva di riduzione della domanda, quanto al fine di limitare un intervento dell’autorità giudiziaria spesso vissuto dai soggetti coinvolti come ingiustificatamente o eccessivamente invasivo.

Le statistiche degli uffici dei Pubblici Ministeri minorili dimostrano che lo svolgimento di tali accertamenti preliminari ha spesso consentito ai Pubblici Ministeri di non inoltrare ricorsi ex artt. 330 e 333 c.c., prendendo atto dell’avvio di una positiva collaborazione da parte dei genitori una volta venuti a conoscenza dell’interessamento della procura minorile.

Gli articoli 473-bis.4, 473-bis.5 e 473-bis.6 c.p.c. disciplinano l’istituto dell’ascolto del minore, al quale nell’ordinamento viene attribuita una rilevanza sempre crescente, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento, e per il quale l’art. 23, lett. dd) prevede il riordino delle relative disposizioni.

In attuazione di tale disposizione programmatica l’art. 473-bis.4 c.p.c., al primo comma, prevede che il minore che ha compiuto gli anni dodici ed anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano, se necessario con l’assistenza di un esperto o altro ausiliario. In tal caso è il magistrato a condurre l’ascolto (c.d. ascolto diretto) o ad ascoltare il minore con l’assistenza di un ausiliario o esperto in psicologia o psichiatria infantile (c.d. ascolto assistito). Il legislatore ha qui escluso espressamente la delega, da parte del giudice, dell’ascolto del minore, stante la delicatezza dei temi sui quali il minore è chiamato ad esprimersi.

La norma dispone che le opinioni del minore debbano essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità.

È attribuita una generale portata all’ascolto del minore, il quale vanta un vero e proprio diritto di esprimere il proprio pensiero in tutte le questioni e le procedure finalizzate a incidere nella propria sfera individuale.

Un’importante innovazione riguarda la previsione che stabilisce di tener conto di quanto espresso dal minore, avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità e ciò in attuazione di quanto sancito a livello sovranazionale. A questo proposito va ricordato che la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui Diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176, all’art. 12 impone agli Stati parti della Convenzione di garantire al minore capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa. La norma in discorso attribuisce rilevanza alle opinioni espresse dal minore, dovendo essere le stesse debitamente prese in considerazione avuto riguardo alla sua età ed al suo grado di maturità.

Così anche la Convenzione sulla Protezione dei Minori e sulla Cooperazione in materia di adozione internazionale fatta a all’Aja il 29 maggio 1993, all’art. 4 dispone che l’adozione possa aver luogo soltanto se i desideri e le opinioni del minore siano state prese in considerazione e se il consenso del minore all’adozione, quando richiesto, è stato prestato liberamente e spontaneamente.

Il dovere di tener conto di quanto espresso dal minore in sede di ascolto è poi contemplato dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea firmata il 18 dicembre del 2000 a Nizza, rubricato “Diritti del bambino”, che al primo comma riconosce al minore il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, dovendo poi questa essere presa in considerazione sulle questioni che lo riguardano in funzione dell’età e della maturità dello stesso.

Inoltre il Regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori, all’art. 21, rubricato “Diritto del minore ad esprimere la propria opinione”, prevede che nell’esercitare la competenza in materia di responsabilità genitoriale, le autorità giurisdizionali degli Stati membri danno al minore capace di discernimento, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, la possibilità concreta ed effettiva di esprimere la propria opinione, direttamente o tramite un rappresentante o un organismo appropriato. Il secondo comma della citata disposizione prevede che qualora decida, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, di dare al minore la possibilità di esprimere la propria opinione ai sensi del presente articolo, l’autorità giurisdizionale tiene debito conto dell’opinione del minore in funzione della sua età e del suo grado di maturità.

Il legislatore ha inteso qui tutelare l’autodeterminazione e la personalità del minore, che designa il patrimonio individuale del singolo da individuarsi non solo nelle capacità e inclinazioni naturali ma anche nelle aspettative del minore.

Quanto alla valutazione delle dichiarazioni rese dal minore capace di discernimento e quindi dotato di sufficiente maturità, si deve comunque riconoscere al giudice la possibilità di discostarsi dalle indicazioni dello stesso minore, nel suo superiore interesse: in questo caso è ineludibile una puntuale giustificazione della decisione assunta in contrasto con le dichiarazioni del minore.

Il secondo comma dell’articolo 473 bis.4 c.p.c. dispone che il giudice non procede all’ascolto, dandone atto con provvedimento motivato, se esso è in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo, in caso di impossibilità fisica o psichica del minore o se il minore manifesta la volontà di non essere ascoltato.

Per tale ragione l’ascolto non può aver luogo, previa motivazione, in tutti i casi in cui risulti pregiudizievole per il minore, anche tenuto conto delle condizioni psichiche o fisiche dello stesso (così come previsto dall’art. 23, lett. s) della delega che fa salvi i casi di “impossibilità del minore”), o appaia del tutto privo di utilità. Il fondamento di siffatta esclusione è da ravvisare in ulteriori esigenze alle quali il legislatore attribuisce rilevanza: l’ascolto, seppur finalizzato alla ricerca dell’interesse di quest’ultimo e alla individuazione della soluzione migliore per lo stesso, non è tuttavia privo di conseguenze potendo talvolta essere dannoso per il minore.

In determinate ipotesi l’ascolto può difatti risultare contrario all’interesse del minore tenuto conto delle condizioni dello stesso e dei disagi che a quest’ultimo possano derivarne.

L’esclusione dell’ascolto può altresì aver luogo qualora sia il minore a non voler essere ascoltato, dovendo in questa ipotesi essere rispettata la scelta del minore a non essere coinvolto nella vicenda giudiziaria.

Il terzo comma dell’articolo 473-bis.4 c.p.c. prevede che nei procedimenti in cui si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice procede all’ascolto soltanto se necessario: siffatta norma mira a tutelare l’interesse del minore a non essere ulteriormente esposto a possibili pregiudizi derivanti dal rinnovato coinvolgimento emotivo nelle questioni relative alla rottura del nucleo familiare, qualora il giudice prenda atto dell’accordo tra i genitori e ritenga non indispensabile procedere all’ascolto. Tale disposizione abroga quanto previsto dall’articolo 337 octies del codice civile, secondo cui nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo all’affidamento dei figli, il giudice deve sempre procedere all’ascolto, salvo che ciò appaio in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.

L’articolo 473-bis.5 c.p.c. dà poi attuazione a quanto previsto a livello sovranazionale in ordine all’introduzione di una serie di garanzie e di accorgimenti che il giudice dovrà adottare ai fini dell’ascolto, durante il quale potrà farsi assistere da esperti e altri ausiliari: è difatti stabilito che il giudice debba fissare l’udienza tenuto conto degli impegni scolastici del minore, rendendolo edotto della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto tenuto conto della maturità e dell’età del minore e procedendo all’adempimento con modalità che garantiscano la serenità e la riservatezza del minore.

A questo proposito l’articolo 25 della “Convenzione di Lanzarote” del 25 ottobre 2007, adottata dal Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia il 10 ottobre 2012, rubricato “Audizione del minore”, prevede il dovere degli Stati parti di assicurare che le audizioni del minore si svolgano, ove necessario, in locali concepiti o adattati a tal fine e siano condotte da professionisti.

La chiusa del quarto comma dell’articolo 473-bis.5 c.p.c. attribuisce al giudice il dovere di informare il minore che abbia compiuto i quattordici anni, della possibilità di chiedere la nomina di un curatore speciale. Tale disposizione mira a dare concreta attuazione a quanto previsto dall’articolo 473-bis.8 c.p.c. che prevede la nomina da parte del giudice del curatore speciale qualora sia il minore quattordicenne a richiederlo.

L’articolo 473-bis.5 c.p.c., al terzo comma, contempla il dovere del giudice, prima di procedere all’ascolto, di indicare i temi oggetto dell’adempimento alle parti e ai difensori. Ai genitori, a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, ai difensori delle parti, al curatore speciale del minore, se nominato, e al pubblico ministero è riconosciuta la facoltà di proporre argomenti e temi di approfondimento e, se autorizzati dal giudice, di partecipare all’ascolto.

Per assicurare il più corretto svolgimento dell’ascolto, e per evitare successivi possibili fraintendimenti o dubbi interpretativi circa quanto concretamente avvenuto in tale sede, l’articolo 23 lett. s) della delega ha previsto che il giudice debba procedere “in ogni caso” alla videoregistrazione dell’ascolto del minore.

A tal fine, dunque, l’ultimo comma dell’articolo 473-bis.5 c.p.c. prevede in ogni caso che dell’ascolto del minore sia effettuata registrazione audiovisiva. Qualora per motivi tecnici non è possibile procedere alla registrazione, il processo verbale dell’ascolto deve descrivere dettagliatamente il contegno del minore.

La disposizione di cui sopra entrerà in vigore una volta che il Ministero abbia adottato un decreto ministeriale che doti gli uffici degli strumenti tecnologici necessari alla videoregistrazione, da redigere a cura dello stesso organo ministeriale.

In assenza di videoregistrazione, come detto, il giudice dovrà procedere a una verbalizzazione quanto più analitica dell’ascolto, anche dando conto del contegno del minore.

In considerazione della portata generale delle nuove norme, deve altresì prevedersi l’abrogazione dell’articolo 336-bis c.c. e dell’articolo 38 disp. att. c.c., con inserimento del contenuto di quest’ultimo in una nuova disposizione di attuazione del codice di procedura civile (l’articolo 152-quater). Viene inoltre inserita una nuova disposizione di attuazione del codice di procedura civile (l’articolo 152-quinquies), che prevede che “con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia sono stabilite le regole tecniche per la registrazione audiovisiva, la sua conservazione e il suo inserimento nel fascicolo telematico”.

Ancora, l’articolo 23, lett. b) della delega, nel disciplinare i casi di rifiuto del minore di aver contatti con uno o entrambi i genitori, ha previsto il dovere del giudice di accertare con urgenza le cause del rifiuto, procedendo personalmente all’ascolto del minore e assumendo ogni informazione ritenuta necessaria.

In attuazione di siffatto principio, il legislatore delegato ha introdotto l’articolo 473-bis.6 c.p.c. che prevede che qualora il minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice procede all’ascolto senza ritardo.

In ogni caso, il giudice assume sommarie informazioni sulle cause del rifiuto ai sensi dell’articolo e può disporre l’abbreviazione dei termini processuali, stante l’urgenza di provvedere quanto prima al ripristino del legame familiare.

L’ultimo comma dell’articolo 473-bis.6 c.p.c. dispone l’applicazione di tali disposizioni anche nei procedimenti in cui siano allegate o segnalate condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l’altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Il fondamento della norma deve essere ravvisato nell’esigenza di garantire una pronta tutela in tutti i casi in cui vi sia il rischio di compromissione del mantenimento della relazione affettiva tra il minore e il genitore o tra il minore e gli ascendenti o altri parenti di ciascun ramo genitoriale: al riguardo, il legislatore ha reputato necessario prevedere che il giudice debba procedere prontamente e personalmente all’ascolto, fatta salva la possibilità di farsi assistere da un esperto o altro ausiliario.

Il giudice potrà poi assumere sommarie informazioni da soggetti che possano riferire su circostanze utili ai fini della decisione, sulle cause del rifiuto del minore ad avere contatti o ad incontrare il genitore, gli ascendenti o altri familiari.

L’articolo 473-bis.7 c.p.c. dà attuazione ad uno dei principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lett. dd), l. n. 206/2021 nella parte in cui è stato disposto che sia prevista “la possibilità di nomina di un tutore del minore, anche d’ufficio, nel corso ed all’esito dei procedimenti di cui alla lettera a), ed in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile”.

La necessità di una espressa previsione normativa è discesa dalla rilevazione di prassi non uniformi, nel territorio nazionale, quanto alla nomina del tutore o di soggetto chiamato a esercitare la responsabilità genitoriale, nell’ambito ed all’esito dei procedimenti aventi ad oggetto domande di decadenza dalla responsabilità genitoriale (ex articolo 330 c.c.) o di adozione di misure limitative della responsabilità genitoriale, in presenza di condotte dei genitori pregiudizievoli per la prole (ex articolo 333 c.c.). Come noto all’esito della riforma dell’art. 38 disp. att. c.c., attuata con la l. n. 219/2012, tali domande, c.d. de responsabilitate, possono essere proposte anche nell’ambito di altri procedimenti, aventi usualmente ad oggetto la disciplina dell’affidamento dei figli minori (per es.: procedimenti di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e loro modifiche), per questo la norma in esame sarà applicabile a tutti procedimenti indicati nell’art. 473 bis c.p.c., nei quali siano proposte domande ex articolo 330 c.c. o articolo 333 c.c., restando ovviamente possibile applicare la disposizione a procedimenti che abbiano per oggetto esclusivamente queste domande.

Nell’attuale applicazione delle norme indicate si rilevano diverse scelte interpretative potendo, per esempio, essere rinvenuti provvedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale privi di espressa nomina del tutore, ovvero provvedimenti che tale nomina contengano con diverse statuizioni in merito alla trasmissione degli atti al giudice tutelare territorialmente competente. Ancora più evidente è la divergenza di applicazione delle norme vigenti, certamente lacunose sul punto, nel caso di nomina del tutore nel corso del procedimento, poiché in alcune di queste ipotesi il tribunale procedente provvede, nell’immediatezza, a trasmettere gli atti al giudice tutelare per l’apertura della tutela ex articolo 343 ss. c.c., con conseguente attribuzione a tale giudice dei poteri di vigilanza allo stesso attribuiti; in altri casi, la trasmissione non avviene e i poteri di vigilanza sono assunti dal giudice procedente. L’intervento normativo in esame ha il fine di dettare principi uniformi.

Il principio di delega, oltre a prevedere la possibilità di nominare un tutore nel corso e all’esito dei procedimenti ex articolo 330 c.c., ha espressamente riconosciuto la possibilità di nomina del tutore anche nel corso ed all’esito di procedimenti finalizzati all’adozione di misure limitative della responsabilità genitoriale, emesse ex articolo 333 c.c. Nell’applicazione concreta del principio di delega, al fine di rendere le norme processuali maggiormente omogene rispetto alle disposizioni sostanziali che disciplinano i presupposti per la nomina del tutore, si è preferito differenziare tra le ipotesi di procedimenti aventi ad oggetto domande di decadenza dalla responsabilità genitoriale, e domande di cui all’articolo 333 c.c.

L’articolo 343 c.c. prevede, infatti, l’apertura della tutela qualora entrambi genitori siano morti ovvero se “per altre cause non possono esercitare la responsabilità genitoriale”; tradizionalmente tale locuzione è stata interpretata con riferimento alle ipotesi in cui i genitori per impedimento oggettivo (quale ad esempio irreperibilità, malattia fisica o mentale che impedisca totalmente al genitore di assumere decisioni per il figlio), non possano esercitare i compiti genitoriali. Pertanto, nel caso di limitazioni della responsabilità genitoriale, adottate ai sensi dell’articolo 333 c.c., è apparso preferibile non prevedere la possibilità di nomina di un tutore ma prevedere la nomina di un curatore del minore. La nuova disposizione appare coerente con i principi di delega perché prevedere la nomina di un curatore, al quale all’esito di procedimento ex articolo 333 c.c., verranno attribuiti specifici poteri, rientra nella previsione di cui all’articolo 1, comma 23, lett. dd), l. n. 206/2021. Volendo rappresentare il rapporto tra le disposizioni si potrebbe immaginare la nomina del tutore come l’insieme più grande, all’interno del quale è compreso l’insieme più limitato della nomina del curatore; come nel più sta il meno, si ritiene pertanto che il principio di delega sia pienamente rispettato, anche in una prospettiva teleologica e tenuto conto della complessiva finalità di tale principio (diversamente operando permarrebbe un vulnus nella posizione del minore nei casi di pronuncia di limitazione della responsabilità genitoriale), prevedendo la nomina di un curatore quando all’esito del procedimento di cui all’articolo 333 c.c. verranno adottate misure limitative della responsabilità genitoriali, avendo il curatore poteri più limitati di quelli del tutore.

L’intervento normativo in esame ha quindi l’obiettivo di fornire nuovi strumenti normativi che permettano al giudice della famiglia e dei minori di avere a disposizione una vasta gamma di possibili interventi, per adottare provvedimenti sempre meno standardizzati e sempre più “disegnati” sulle esigenze del caso concreto, superando in tal modo la ricorrente critica mossa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo allo Stato italiano, proprio per l’adozione di “provvedimenti stereotipati”, formalmente conformi al dettato normativo, ma sostanzialmente inidonei a risolvere le difficoltà e a garantire l’equilibrata crescita dei minori, proteggendoli dal conflitto genitoriale.

Il primo comma della disposizione in esame prevede che il giudice, anche relatore, possa procedere all’apertura della tutela ed alla nomina del tutore del minore sia nel corso del procedimento (quando sono adottati provvedimenti provvisori di sospensione della responsabilità genitoriale propedeutici alla successiva pronuncia della decadenza) nominando, in tal caso, un tutore provvisorio; sia all’esito del procedimento ex articolo 330 c.c., qualora la misura della decadenza sia pronunciata nei confronti di entrambi i genitori (in quanto nel caso in cui la sospensione provvisoria e la successiva decadenza siano pronunciate nei confronti di un solo genitore, non vi è necessità di nomina del tutore o del curatore concentrandosi la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale sull’unico genitore ritenuto idoneo). La norma comprende tali poteri tra quelli che il giudice può esercitare d’ufficio, quale specificazione dei poteri officiosi riconosciuti al giudice, anche al solo relatore, in via generale dall’articolo 473-bis.2 c.p.c., prevedendo che nel rispetto del principio del giusto processo qualora tale opzione sia esercitata il giudice che procede alla nomina del tutore debba rispettare il principio del contraddittorio, in applicazione dei principi generali più puntualmente declinati nell’articolo 473-bis.2 c.p.c. L’ultimo periodo del comma in esame al fine di scongiurare il rischio di sovrapposizione di competenze e di adozione di provvedimenti potenzialmente in contrasto, precisa che nel caso in cui la nomina del tutore avvenga nel corso del procedimento ex articolo 330 c.c., le funzioni di vigilanza e controllo di cui all’articolo 344 c.c., usualmente attribuite al giudice tutelare, sono esercitate dal giudice che procede. Quando invece (terzo comma) l’apertura della tutela e la nomina del tutore sono effettuate all’esito del procedimento (e comunque anche qualora all’esito del procedimento venga disposta la nomina del tutore, quando nel corso del procedimento era stato nominato tutore provvisorio) viene chiarito che il giudice che procede deve disporre la trasmissione del provvedimento al giudice tutelare del luogo di residenza abituale del minore, affinché possa essere aperta la tutela, con le conseguenze normativamente previste, in merito al controllo ed alla vigilanza del tutore, che viene attribuita al giudice tutelare.

Il secondo comma disciplina la nomina del curatore del minore. In primo luogo, occorre delimitare gli esatti confini della nomina del curatore del minore adottata ai sensi dell’articolo in esame rispetto alla nomina del curatore speciale del minore di cui all’articolo successivo. Il curatore speciale del minore di cui all’articolo 473-bis.8 c.p.c. è figura processuale, è soggetto (nella maggior parte dei casi individuato tra avvocati altamente specializzati) chiamato a rappresentare il minore nei casi di conflitto di interessi con i genitori (specificamente indicati nella norma, per esempio nei casi di procedimenti di decadenza, di procedimenti ex articolo 403 c.c., di affidamento etero familiare del minore etc.) ovvero nei casi in cui vi sia espressa richiesta del minore che abbia compiuto i quattordici anni di età. Il curatore speciale del minore esaurisce i suoi compiti (anche laddove gli siano stati assegnati specifici poteri sostanziali) con la definizione del procedimento nel cui ambito è avvenuta la nomina.

Il curatore del minore la cui nomina è prevista dall’articolo in esame è invece figura che appartiene all’ambito “sostanziale” (analoga al tutore, ma con compiti più limitati e specificamente individuati nel provvedimento giudiziale di nomina), in quanto è chiamato a esercitare specifici compiti, attribuitigli nel provvedimento che ha definito un procedimento ex articolo 333 c.c., nel caso in cui siano state adottate misure limitative della responsabilità genitoriale. È stato così recepito un orientamento ermeneutico, fatto proprio da alcune corti di merito, per il quale, in caso di elevatissima conflittualità genitoriale, non risolta neppure con l’adozione di misure, quali il monitoraggio del nucleo familiare o l’affidamento del minore al servizio sociale, è stata disposta la sospensione dalla responsabilità genitoriale (misura da ricondurre nell’alveo dell’articolo 333 c.c.) dei genitori, mantenendo in capo agli stessi la gestione delle questioni di ordinaria amministrazione relative ai minori, e attribuendo a soggetto terzo il compimento degli atti di straordinaria amministrazione e comunque le decisioni di maggiore rilevanza per i figli di minore età (quali ad esempio la decisione sulla iscrizione scolastica, sulle cure mediche, su trattamenti sanitari etc.). Proprio per questi limitati compiti attribuiti, al contrario di quanto accade con la nomina del tutore che può essere effettuata anche in corso di causa, il curatore di cui al comma 2 dell’art. 473-bis.7 c.p.c., potrà essere nominato solo all’esito del procedimento, poiché nel corso dello stesso, già sarà presente il curatore speciale del minore nominato ai sensi dell’articolo 473-bis.8 c.p.c., comma 1, lett. c).

La nuova figura va distinta altresì dall’esperto nominato su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 473-bis.26 c.p.c., riconducibile nell’alveo degli ausiliari del giudice nominati ai sensi dell’articolo 68 c.p.c., soggetto destinato ad esercitare le funzioni attribuite solo nel corso del processo, e che cessa (al pari del curatore speciale) i compiti assegnati con la conclusione del procedimento giudiziale nel quale è avvenuta la nomina.

Il curatore del minore, di cui all’articolo in esame, è chiamato a esercitare i poteri genitoriali attribuiti dal provvedimento del giudice, al fine di garantire che, terminato il giudizio, la conflittualità o le difficoltà comunque presenti in capo ai genitori, che avranno determinato l’adozione, ex articolo 333 c.c., di provvedimenti limitativi dell’esercizio della responsabilità genitoriale, non pregiudichino la crescita e lo sviluppo della prole.

Con l’introduzione di questa figura si amplia, compatibilmente a quanto previsto nella legge delega, lo strumentario a disposizione del giudice della famiglia e dei minori, offrendo un ulteriore mezzo in grado di consentire il superamento delle situazioni in cui i genitori, pur essendo idonei a garantire l’accudimento quotidiano della prole, a causa del conflitto imputabile alla condotta di entrambi (con conseguente impossibilità di disporre l’affidamento esclusivo ad uno dei due), o a causa di altre difficoltà (comunque non tali da comportare la decadenza) non riescano ad assumere alcuna decisione di maggiore rilevanza per i figli, e la conflittualità sia così elevata da paralizzare, nella sostanza, diversi interventi quali l’affidamento al servizio sociale qualora disposto, con continui ricorsi all’autorità giudiziaria per “stallo” della capacità decisionale relativa ai minori. In presenza di queste situazioni, il giudice all’esito del procedimento potrà decidere se ricorrere all’affidamento al servizio sociale ovvero alla nomina del curatore del minore, ai sensi dell’articolo in esame, scelta da operare in relazione al caso concreto.

Nella prassi, infatti, nelle ipotesi di elevatissima conflittualità genitoriale, in alcuni territori, anche a causa delle croniche carenze di organico, i responsabili del servizio sociale affidatario, non sono in grado di compiere le scelte relative al minore anche quando espressamente attribuite nel provvedimento giudiziale di nomina, con rimessione delle stesse all’autorità giudiziaria attraverso l’invito al genitore interessato alla decisione ad investire della stessa il tribunale, con realizzazione di situazioni di stallo che possono creare pregiudizio per il minore. I precedenti di merito adottati hanno dato prova di ottima riuscita, e in molti casi non sono stati neppure oggetto di impugnazione, in quanto il soggetto autorizzato a compiere scelte, con la garanzia che tali scelte vengono comunque compiute sotto la vigilanza del giudice tutelare, ma con procedimenti molto più immediati, senza imporre l’istaurazione di veri e propri giudizi per superare continui conflitti tra i genitori, ha permesso agli stessi di raggiungere un sostanziale equilibrio nella gestione della prole.

Nel disciplinare la nomina del nuovo curatore, il comma 2 prevede che lo stesso (analogamente a quanto accade per la nomina del tutore) possa essere nominato dal giudice, anche d’ufficio sempre nel rispetto del principio del contraddittorio, solo all’esito (e non nel corso del procedimento, poiché come detto nel corso del procedimento è già presente il curatore speciale del minore nominato ai sensi dell’articolo 473-bis.8 c.p.c. del procedimento in cui è adottato un provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale ai sensi dell’articolo 333 c.c. Il medesimo comma precisa i contenuti del provvedimento di nomina che deve indicare: sia la persona presso la quale il minore è collocato (genitori, parenti, ma anche struttura); sia la precisa individuazione dei compiti riservati al curatore e di quelli che possono essere compiuti dal soggetto presso il quale il minore ha residenza abituale (nella maggior parte dei casi uno dei genitori, ma anche terzi, o responsabili di strutture residenziali); i termini entro i quali il curatore deve periodicamente inviare relazioni al giudice tutelare al quale è attribuita la vigilanza ai sensi dell’articolo 337 c.c. sull’andamento degli interventi, sui rapporti tra il minore e i genitori, sull’attuazione dei progetti previsti nel provvedimento di nomina del curatore predisposto al giudice che ha adottato la misura.

Il giudice sarà chiamato a disegnare un dettagliato provvedimento con la finalità di recuperare le difficoltà dei genitori che hanno portato all’adozione della misura limitativa della responsabilità genitoriale, garantendo pieno sostegno e tutela al minore, con l’ausilio del curatore, che potrà operare nei limiti indicati nel provvedimento e la cui attività sarà sottoposta alla vigilanza del giudice tutelare.

L’articolo 473-bis.8 c.p.c. è rubricato “Curatore speciale del minore” e dà attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”, nonché nell’articolo 1, comma 23, lett. dd), prima parte, l. n. 206/2021, che prevede “la nomina, anche d’ufficio, del curatore speciale del minore”. La norma in esame costituisce di fatto la trasposizione, dovuta a un’esigenza di riordino della materia e di più corretta collocazione sistematica, delle disposizioni contenute negli articoli 78 e 80 del codice di procedura civile, introdotte con due disposizioni immediatamente precettive dalla stessa legge 26 novembre 2021, n. 206, all’articolo 1, commi 30 e 31.

Nell’effettuare il dovuto riordino, si è ritenuta opportuna qualche integrazione e precisazione, sempre nel rispetto della portata delle norme. Così, ad esempio si è ritenuto di specificare che “Il curatore speciale del minore procede al suo ascolto ai sensi dell’articolo 315 bis, terzo comma, del codice civile, nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 473-bis.4 c.p.c.”. La precisazione è stata inserita per fugare possibili dubbi circa la natura e le modalità dell’ascolto da parte del curatore speciale, che non è già assimilabile all’istituto dell’ascolto in sede processuale, ai sensi delle nuove disposizioni di cui agli articoli 473-bis.4 c.p.c. e seguenti, ma una differente forma di partecipazione, rispondente al principio generale contemplato dall’articolo 315-bis, terzo comma, del codice civile, per il quale “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.

Per quanto attiene all’articolo 473-bis.9 c.p.c., si è già avuto modo di sottolineare come i procedimenti in materia di minori e famiglia debbano essere assistiti da una serie di rilevanti deroghe a principi anche fondamentali del processo ordinario, quali ad esempio i principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con correlata attribuzione al giudice di un ampio ventaglio di poteri officiosi.

Queste deroghe rispondono precipuamente alla finalità di protezione dei soggetti vulnerabili, tra i quali in primis i minori. In questa prospettiva, evidenti analoghe esigenze di protezione hanno portato a ritenere necessario introdurre una norma che chiarisca che anche “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano le disposizioni in favore dei figli minori previste nel presente titolo, in quanto compatibili”. La norma costituisce la trasposizione della regola prevista dall’articolo 337-septies, secondo comma, del codice civile, per il quale “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”, così venendo a rappresentare il doveroso raccordo tra l’ambito sostanziale e quello processuale, che nella finalità di tutela dei diritti che gli è propria al primo fa costantemente riferimento.

Quanto all’articolo 473-bis.10 c.p.c. si osserva quanto segue. La mediazione familiare, valorizzata dalla legge delega, non costituisce propriamente un istituto di risoluzione alternativa della controversia, perché la mediazione, anche quando produce un accordo, non risolve di per sé la lite, essendo sempre necessario un ulteriore momento più specificamente giuridico-formale.

In particolare, con riferimento alle ipotesi in cui si tratta di provvedimenti riguardanti i figli, essa si propone come un percorso di ristrutturazione e rigenerazione della relazione tra le parti, nella difficile transizione tra la relazione affettiva e il mantenimento di quella genitoriale. È in questo quadro psicologico e comunicativo che interviene l’assistenza di un terzo professionista, il mediatore, che svolge la sua opera con strumenti che non sono puramente giuridici, in un contesto qualificato, o setting, che non faccia percepire alle parti la tensione agonistica e avversariale del processo, ma semmai rafforzi in loro la capacità comunicativa e di confronto e con essa il proposito di mettersi d’accordo. Di qui una serie di peculiarità che deve rispettare la disciplina giuridica di questo istituto, che presenta caratteristiche al contempo endoprocessuali ma anche extraprocessuali.

Sotto il profilo dell’accesso alla mediazione, la stessa è configurata come una possibilità alla quale le parti devono poter ricorrere su base volontaria. A tal fine, si è preso spunto dall’esperienza di ordinamenti in cui questa pratica si è particolarmente sviluppata, prevedendo la possibilità per le parti di ricevere direttamente informazione da un mediatore circa le caratteristiche e le modalità di questo percorso.

Il secondo comma della norma prevede poi che, qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.22 c.p.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli. La norma riproduce il contenuto dell’attuale art. 337-octies, secondo comma, c.c. e risponde all’idea che laddove le parti, motivate a percorrere la strada della mediazione, esprimano il loro accordo in tal senso, il giudice possa anche rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti che pure sarebbe tenuto a emanare. La disposizione mira a consentire alle parti interessate alla mediazione di verificare la possibilità di una soluzione bonaria del conflitto, evitando che il nuovo assetto che diversamente sarebbe stato determinato dal giudice possa compromettere la prosecuzione della via del dialogo.

L’articolo 473-bis.11 c.p.c. e l’articolo 473-bis.47 c.p.c. danno attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. d), prima parte, l. n. 206/2021 (“procedere al riordino dei criteri di competenza territoriale, prevedendo quale criterio di competenza prevalente quello della residenza abituale del minore che corrisponde al luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento”).

Il primo comma dell’articolo 473-bis.11 c.p.c. prevede, come criterio generale assorbente, che tutti i procedimenti in cui debbano essere assunti provvedimenti a tutela del minore spettino alla competenza del tribunale nel cui circondario il minore abbia la residenza abituale, come definita al novellato articolo 316 del codice civile. La norma costituisce espressione dei principi sovranazionali in materia (Reg. UE 1111/19; Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori conclusa all’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101) e di quelli espressi dalla Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass., ord. 7 giugno 2021, n. 15835).

Per non frustrare lo spirito della norma e per disincentivare trasferimenti attuativi di forme di “forum shopping”, è previsto che, in caso di trasferimento non autorizzato della residenza del minore, permanga la competenza del tribunale del precedente luogo di residenza, qualora il ricorso sia depositato entro l’anno. La fissazione di un termine, decorso il quale la competenza spetta al giudice del nuovo luogo di residenza del minore pure in presenza di trasferimenti non autorizzati, risponde alla necessità di superare alcune incertezze interpretative (Cass., ord. 20 ottobre 2015 n. 21285) ed è espressione dei principi generali della normativa sovranazionale (art. 9 Reg. UE 1111/19 e art. 7 conclusa all’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101).

Il secondo comma dell’art. 473-bis.11 c.p.c. prevede che, in assenza di figli minori, il tribunale territorialmente competente sia individuato in base ai criteri generali degli articoli 18 e seguenti.

La norma di cui all’articolo 473-bis.12 c.p.c. descrive i requisiti di contenuto-forma dell’atto introduttivo del giudizio e delle attività allo stesso correlate, dando attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. f).

La scelta della forma dell’atto introduttivo (ricorso), con tutto quanto ne deriva, si ispira a molti dei procedimenti tradizionali della giustizia familiare (su tutti, separazione e divorzio), nonché al processo del lavoro dal quale il rito unitario pure attinge alcune caratteristiche. Il ricorso deve contenere, oltre all’indicazione del giudice (“l’indicazione dell’ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta”) e ai riferimenti soggettivi della lite, oltre alle indicazioni relative ai minori o ai figli maggiorenni ma bisognosi di protezione (“il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la residenza o il domicilio o la dimora e il codice fiscale dell’attore e del convenuto, nonché dei figli comuni delle parti se minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, e degli altri soggetti ai quali le domande o il procedimento si riferiscono”; “il nome, il cognome e il codice fiscale del procuratore, unitamente all’indicazione della procura”), gli ulteriori elementi identificativi dell’azione (“la determinazione dell’oggetto della domanda” e “la chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda, con le relative conclusioni”), nonché, non a pena di decadenza, “l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione”.

Importante caratteristica che la riforma ha messo in evidenza è quella di un doveroso collegamento tra il giudizio ed eventuali ulteriori procedimenti già pendenti. Si prevede quindi che il ricorso debba altresì indicare l’esistenza di altri procedimenti aventi a oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse e che allo stesso sia allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti.

Una particolare attenzione viene poi riservata ai casi di domande di contributo economico (intendendosi con tale espressione tutte le possibili ipotesi di assegno) o comunque in presenza di figli minori, per i quali è previsto che al ricorso debbano essere allegati una serie di documenti significativi, per consentire al giudice di avere evidenza e cognizione quanto più completa della situazione economico-patrimoniale delle parti, tra i quali le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali, nonché gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni.

Infine, sempre in attuazione di un’indicazione contenuta nell’articolo 1, comma 23, lett. f) l. n. 206/2021 (laddove si prevede che “con gli atti introduttivi le parti depositino altresì un piano genitoriale che illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute”) la chiusa della norma stabilisce che nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso (ma analogo onere è previsto per il convenuto in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 473-bis.16 c.p.c.) è allegato un piano genitoriale, che consiste nell’illustrazione, secondo la reciproca prospettazione dei genitori, degli elementi principali, che la norma espressamente individua, del progetto educativo e di accudimento del minore. Si tratta di utili informazioni che permettono al giudice, investito del procedimento, di individuare e dettagliare all’interno dei provvedimenti che egli è chiamato ad assumere, le indicazioni più opportune nell’interesse del minore, costruite “su misura” rispetto alla situazione di vita pregressa e alle sue abitudini consolidate.

Con l’articolo 473-bis.13 c.p.c., che costituisce una doverosa integrazione dell’attuazione dell’articolo 1, comma 23, lett. e) della legge delega, nella parte in cui mantiene fermo “il potere del pubblico ministero nei procedimenti di cui agli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile e in quelli di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, di proporre la relativa azione” si è ritenuto necessario descrivere i requisiti di contenuto-forma del ricorso del pubblico ministero, partendo dagli elementi tipici e necessari generalmente previsti per l’atto introduttivo della parte privata, ma con le dovute necessarie differenze, avendo l’iniziativa della parte requirente sempre ad oggetto esclusivamente diritti indisponibili e in particolare situazioni di pregiudizio che riguardano il minore, cui corrispondono i poteri ufficiosi del giudice, e non potendosi pertanto estendere il regime delle preclusioni previste per le parti private anche in considerazione dell’urgenza dell’intervento del giudice, con impossibilità per il pubblico ministero di acquisire preventivamente tutti gli elementi necessari (come ad esempio le generalità complete del genitore non convivente del minore, irreperibile o irregolarmente soggiornante sul territorio nazionale).

In particolare, per quanto riguarda l’indicazione all’interno del ricorso “di coloro che possono avere un interesse qualificato all’esito del giudizio”, la disposizione intende fare riferimento a tutte le ipotesi in cui, anche in virtù del tradizionale effetto erga omnes che si riconosce ai giudicati in materia di status, vi siano ulteriori soggetti che potrebbero essere interessati all’esito della pronuncia. Si pensi, esemplificativamente, ai casi dei ricorsi presentati ai sensi degli attuali articoli 48 e 50 c.c. (per effetto della riforma 473-bis.60 c.p.c. e 473-bis.62 c.p.c.), in cui devono essere indicati il nome e il cognome dei presunti successori legittimi dello scomparso e se esistono del suo procuratore o rappresentante legale; e nel caso di istanza per la dichiarazione di morte presunta devono altresì essere indicati il nome e il cognome di tutte le altre persone che, a notizia del pubblico ministero, perderebbero diritti o sarebbero gravate da obbligazioni, per effetto della morte dello scomparso.

Per altro verso, proprio per la maggiore facilità per il pubblico ministero rispetto alle parti private di avere accesso ad informazioni riservate (la comunità ove è collocato il minore, la pendenza di procedimenti penali, l’accesso all’anagrafe tributaria) si sono previsti alcuni oneri specifici di allegazione.

Con l’ultimo comma la disciplina è stata estesa, fatto salvo il principio di compatibilità, agli altri soggetti, diversi dai genitori, titolari di un potere di iniziativa autonomo nell’interesse del minore esposto a una situazione di pregiudizio.

Gli articoli da 473-bis.14 c.p.c. a 473-bis.19 c.p.c. disciplinano la fase introduttiva del procedimento, in particolare le forme e i contenuti della comparsa di costituzione del convenuto, le preclusioni alle difese anteriori all’udienza e le riaperture consentite nel corso del procedimento. Sono inoltre previste le misure cautelari che possono essere adottate in via urgente, senza immediato contraddittorio.

I principi direttivi che hanno avuto applicazione sono quelli previsti dal comma 23, lett. f), h), i).

In particolare, l’articolo 473-bis.14 c.p.c. disciplina le fasi del procedimento successive al deposito del ricorso.

Il presidente con decreto nomina il giudice relatore e fissa l’udienza, avvisa e rende edotto il convenuto dei termini decadenziali che sono fissati alle sue difese, della necessità di munirsi di un difensore tecnico, potendo godere del patrocinio a spese dello Stato, della necessità di costituirsi entro trenta giorni anteriori l’udienza.

Si tratta degli avvisi sui termini decadenziali che l’attore, per i processi che si introducono con citazione, deve precisare nell’atto ai sensi dell’articolo 163, 3° comma, n. 7, c.p.c.

Su iniziativa dell’attore, entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto, copia del ricorso e decreto vengono notificati al convenuto, in modo di garantire dalla notifica all’udienza un termine a difesa non inferiore a sessanta giorni, con dilazione ulteriore per i casi in cui la notifica debba essere effettuata all’estero e salvo sanatoria, mediante rinvio della prima udienza, in caso di termine inferiore.

Ad ampiamento della disciplina dei contenuti del decreto presidenziale, all’articolo 473-bis.15 c.p.c. è stata ammessa, su istanza della ricorrente, in caso di pregiudizio imminente e irreparabile al diritto o di pregiudizio all’attuazione della misura, la possibilità che il presidente adotti provvedimenti opportuni, assunte quando occorre sommarie informazioni, prima ancora che sia suscitato il contraddittorio, salvo poi fissare, come la legge delega espressamente imponeva, udienza entro quindici giorni nella quale riesaminare la situazione e confermare, modificare o revocare le misure adottate. La misura inaudita altera parte risponde alla necessità di assicurare protezione contro situazioni di grave e urgente pregiudizio che possono verificarsi anche in corso di causa; non si vedono dunque ragioni per non consentire l’adozione di tale misura anche nel prosieguo del giudizio, imponendosi comunque sempre anche in tal caso la fissazione di un’udienza ravvicinata per la “convalida” o meno della misura. Trattandosi di misure urgenti, aventi natura cautelare, è così mutuata la disciplina dell’art. 669 sexies, 2° comma, c.p.c.

L’articolo 473-bis.16 c.p.c. regola le modalità di costituzione del convenuto, mediante deposito di comparsa entro il termine assegnato dal presidente.

In coerenza con l’articolo 473-bis.12 c.p.c., che disciplina i contenuti del ricorso, imponendo all’attore la formulazione della domanda, la disposizione regola altresì gli oneri difensivi del convenuto, imponendo nella comparsa, a pena di decadenza, la formulazione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e le domande riconvenzionali.

L’articolo 473-bis.17 c.p.c. regola le ulteriori difese delle parti che si rendano necessarie all’esito degli atti introduttivi, ovviamente ancora riferite ai procedimenti aventi ad oggetto diritti disponibili, e ciò sia per esigenze di contraddittorio e sia per esigenze di ius poenitendi.

A questo riguardo, va in particolare segnalato che, rispetto alla formula desumibile dalla legge delega, si è ritenuto indispensabile nell’articolo 473-bis.17 c.p.c. assegnare un termine più ampio e quindi spostare più in avanti le decadenze, per garantire il più efficace esercizio del diritto di difesa e senza pregiudizio per la celerità del procedimento, oltre che in armonia con quanto previsto per il giudizio ordinario.

Si è così previsto in particolare che l’attore potrà versare in atti memoria entro venti giorni prima dell’udienza per proporre, a pena di decadenza, le domande ed eccezioni non rilevabili d’ufficio conseguenti alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e potrà nella stessa memoria modificare e precisare le domande e conclusioni. Di conseguenza il convenuto, mediante memoria da versare in atti entro dieci giorni prima dell’udienza, potrà precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni e, a pena di decadenza, formulare eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenze della domanda riconvenzionale o delle difese dell’attore contenute nella memoria.

In tal modo si conclude il contraddittorio tra le parti in ordine a domande ed eccezioni e si esaurisce lo ius poenitendi consentito.

In relazione alle prove, a fronte del principio direttivo che impone la loro formulazione a pena di decadenza con gli atti introduttivi, ovviamente quando il processo ha ad oggetto diritti disponibili, si è ritenuto di rendere coerente il rito per le persone, per i minorenni e per le relazioni familiari, al modello graduale e differenziato caratterizzante il rito ordinario, consentendo la formulazione di prove nuove per l’attore nella memoria venti giorni prima dell’udienza e per il convenuto nella memoria dieci giorni prima dell’udienza, con un’ultima facoltà di replica dell’attore, alle prove dedotte dal convenuto, in una memoria da versare in atti cinque giorni prima dell’udienza, in modo da concludere definitivamente, prima dell’udienza, il contraddittorio tra le parti sulle prove dedotte.

All’udienza, salvo verifica di regolarità del contraddittorio e della regolarità del rapporto processuale, il giudice potrà così subito trattare le difese delle parti, senza ulteriori rinvii.

L’esigenza della gradualità delle decadenze in ordine alle prove si impone non solo per una coerenza con il sistema, alla luce delle regole che ispirano il rito ordinario, ma anche per la particolarità dei diritti solo relativamente disponibili che caratterizzano le controversie familiari e minorili.

All’articolo 473-bis.18 c.p.c. si è inteso sottolineare il dovere di leale collaborazione che le parti sono tenute a rispettare, in una prospettiva di correttezza e trasparenza che deve informare l’intero svolgimento del giudizio. In particolare, si prevede che “Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete” possa essere valutato sia ai fini della decisione (come argomento di prova ai sensi del secondo comma dell’articolo 116 c.p.c.), sia in relazione alla finale attribuzione delle spese di lite, secondo quanto disposto dal primo comma dell’articolo 92 e dall’articolo 96 c.p.c.

Per doverosa coerenza sistematica l’articolo 473-bis.19 c.p.c., al primo comma, evidenzia poi che le preclusioni in ordine a domande ed eccezioni riservate alla parte, sia per la comparsa che per le memorie integrative, sono poste solo in relazione ai diritti disponibili tra le parti, non essendo soggetti a decadenze le difese relative a diritti indisponibili, in particolare i diritti del minore, ove tra l’altro vige una generale deroga ai principi del processo dispositivo, come quello della domanda o dell’onere di allegazione dei fatti ad iniziativa delle parti (in coerenza con i principi direttivi del comma 23, lett. f) e lett. h).

Possibilità di riaperture si impongono nel corso del processo, in coerenza con il principio direttivo di cui al comma 23, lett. i), anche in caso di sopravvenienze fattuali o di nuovi accertamenti istruttori.

Per quanto riguarda l’articolo 473-bis.20 c.p.c., si osserva quanto segue. Dal punto di vista soggettivo, i processi familiari hanno tendenzialmente una dimensione bilaterale, con due parti soltanto. Non è tuttavia esclusa, in alcuni casi, la presenza di più parti, a volte qualificate anche dalla legge come litisconsorti necessari (si pensi ad esempio alle azioni di disconoscimento di paternità ovvero di dichiarazione giudiziale di paternità). Vi sono poi ulteriori ipotesi in cui un intervento volontario è ammissibile: ad esempio, come la giurisprudenza di merito tende sempre più sovente a riconoscere, e come del resto ha stabilito espressamente la Suprema Corte (Cass. 19 marzo 2012, n. 4296), nei giudizi di separazione e divorzio deve ritenersi ammissibile l’intervento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e che abbia pertanto diritto al mantenimento, legittimato in tale veste in via prioritaria a ottenere il versamento diretto del contributo; intervento che secondo la Cassazione può avvenire in tutte le forme previste dall’articolo 105 c.p.c. (per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo della controversia, o eventualmente in via adesiva) e assolve una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento del contributo al mantenimento sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati.

La disposizione in esame tende dunque a dare conto di tali possibilità, ma mentre nell’ipotesi del litisconsorzio necessario non può esservi preclusione temporale all’intervento spontaneo del litisconsorte necessario eventualmente pretermesso (poiché in difetto di una sua partecipazione al processo la sentenza resa inter pauciores non sarebbe neppure in grado di esplicare i suoi effetti e resterebbe dunque sostanzialmente inutiliter data), nelle ipotesi di intervento volontario per semplice connessione è opportuno fissare un termine massimo per l’intervento, che in un processo concepito con rigorose barriere preclusive sin dagli atti introduttivi si è dunque immaginato dover coincidere con il momento della costituzione del convenuto, per consentire alle parti di esplicitare le necessarie difese anche a seguito della costituzione del terzo e delle domande dallo stesso proposte, nelle memorie anteriori alla prima udienza finalizzate alla definitiva fissazione del thema decidendum e del thema probandum.

L’articolo 1 comma 23 lett. l), della legge delega è particolarmente articolato perché disciplina le principali attività della prima udienza di comparizione delle parti, che si svolge davanti al giudice relatore nominato dal presidente al momento del deposito del ricorso.

Un primo segmento della nuova disciplina delineata all’articolo 473-bis.21 c.p.c. attiene alla fase iniziale, in cui è richiesta la comparizione personale delle parti non solo per prendere atto delle loro volontà di non volersi riconciliare ma anche per sentirle direttamente e formulare loro una motivata proposta conciliativa involgente l’intera controversia, valutando tutto il materiale probatorio già acquisito agli atti del processo.

In considerazione del necessario impulso di parte che deve essere mantenuto per tutto il corso del processo è al tal fine in primo luogo previsto che se il ricorrente non compare o rinuncia e il convenuto costituito non chiede che si proceda in sua assenza, il procedimento si estingue, facendo salvi ovviamente i casi in cui il procedimento sia stato instaurato su ricorso del pubblico ministero, giacché in tali ipotesi l’impulso delle parti diviene irrilevante.

Ma non solo. L’importanza della comparizione personale è inoltre contrassegnata dagli effetti riconnessi da legislatore delegato alla mancata comparizione, senza giustificato motivo, che è valutata ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c. e per la regolamentazione delle spese di lite.

All’udienza il giudice deve sentire le parti, e può optare al riguardo, in considerazione della natura della causa e delle particolarità di ogni fattispecie, se scegliere di sentirle congiuntamente ovvero separatamente, alla presenza dei rispettivi difensori. In tale sede deve tentare, per quanto possibile, la conciliazione.

Il giudice può inoltre, come già accennato, formulare una motivata proposta conciliativa della controversia.

Se le parti aderiscono alla proposta conciliativa formulata dal giudice, il giudice assume i provvedimenti temporanei e urgenti che si rendono necessari e rimette la causa in decisione, per la pronuncia di sentenza che prenda atto ovvero omologhi gli accordi raggiunti dalle parti, in modo analogo alla disciplina prevista per i procedimenti su domanda congiunta.

L’articolo 473-bis.22 c.p.c., nel solco della precedente norma, sempre attuando i principi di delega esposti al comma 23, lettere q) e r), disciplina i nuovi poteri del giudice, da esercitarsi fin dalla prima udienza di comparizione delle parti.

In primo luogo, innovando integralmente la precedente disciplina, si registra una concentrazione di poteri in capo al giudice relatore, sia di natura tipicamente decisoria, attraverso l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti, prima della riforma attribuiti alla competenza del presidente ai sensi dell’articolo 708, terzo comma, c.p.c., sia quelli istruttori di valutazione e ammissione dei mezzi di prova, le cui richieste devono essere state definitivamente formulate dalle parti negli atti introduttivi e nelle successive memorie difensive, depositate nei termini indicati dall’articolo 473-bis.17 c.p.c.

Nell’adozione dei provvedimenti provvisori riguardanti le parti e la prole, il giudice istruttore indica la decorrenza degli effetti per le statuizioni aventi contenuto economico con facoltà di retrodatarli al momento della proposizione della domanda, previsione particolarmente importante e volta, per un verso, a prevenire il cospicuo contenzioso di carattere esecutivo innescato dall’incertezza circa l’insorgenza temporale degli obblighi contributivi discendenti dall’adozione dei provvedimenti presidenziali e, per altro verso, a garantire che, anche nel tempo trascorso tra il deposito del ricorso e la celebrazione della prima udienza – oggi particolarmente contenuto nelle previsioni del legislatore delegante – gli oneri di mantenimento siano comunque assolti dal genitore/coniuge gravato.

Tali provvedimenti possono essere adottati anche quando uno dei coniugi non compare all’udienza (fermo naturalmente quanto già esaminato in merito all’ipotesi che sia il ricorrente a non presentarsi e il convenuto non chieda che si proceda in sua assenza). L’ordinanza, suscettibile di reclamo, secondo la previsione dell’articolo 473-bis.24 c.p.c., costituisce titolo esecutivo e altresì titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ed è dotata di ultrattività, conservando la sua efficacia anche dopo l’eventuale estinzione del processo, finché non sia sostituita con altro provvedimento. È necessario chiarire che a essere reclamabile sarà solo l’ordinanza nella parte che contiene le statuizioni di merito temporanee e urgenti (concernenti l’affidamento e il mantenimento dei figli e del coniuge, i provvedimenti aventi contenuto economico e tutti i c.d. provvedimenti consequenziali), non ovviamente la parte dell’ordinanza che pronuncia su aspetti meramente organizzativi dell’iter iudicii ovvero istruttori.

In secondo luogo, sempre alla prima udienza, con lo stesso provvedimento, il giudice istruttore ammette i mezzi di prova e fissa l’udienza per la relativa assunzione, da tenersi entro novanta giorni, predisponendo, al contempo il calendario del processo. In questa parte l’ordinanza non è reclamabile ma, secondo il regime generale sancito dall’articolo 177 c.p.c., sarà sempre revocabile o modificabile e lo sarà comunque nel caso di ricorrenza di fatti sopravvenuti.

Infine, in terzo luogo, la prima udienza di comparizione potrebbe avere un esito anche definitorio in tutti i casi in cui la causa si presenti matura per la decisione senza necessità di ulteriore istruttoria. In questo caso, il giudice invita le parti a precisare le conclusioni e dispone la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e, all’esito, si riserva di riferire al collegio per la decisione; modulo decisorio da utilizzare anche per il caso in cui debba essere decisa la domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento debba continuare per la definizione delle ulteriori domande (art. 1, comma 23, lett. q) l. n. 206/2021).

Il testo della norma deve poi coordinarsi con tutte quelle norme collocate nella parte generale del presente titolo che attribuiscono al giudice l’esercizio di poteri officiosi a tutela dei minori, e altresì alle disposizioni speciali dettate a tutela delle presunte vittime di abuso e violenza. Si fa così riferimento, a titolo esemplificativo, alla nomina del curatore speciale, all’assunzione di mezzi di prova, anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria, alla richiesta di integrazione della documentazione quando deve provvedere su domande di carattere alimentare, all’ascolto del minore, alla informativa sulla possibilità delle parti di avvalersi della mediazione familiare.

La norma contenuta nell’articolo 473-bis.23 c.p.c. rappresenta l’attuazione del principio espresso nella legge delega (art. 1, comma 23, lett. u) l. n. 206/2021) volto a stabilire che i provvedimenti temporanei e urgenti “…possano essere modificati o revocati dal giudice, anche relatore, nel corso del giudizio in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori…”.

In ossequio al puntuale e analitico disposto della delega si è quindi previsto che la modificabilità e revocabilità dei provvedimenti temporanei e urgenti (naturale riflesso del loro atteggiarsi rebus sic stantibus, non diversamente peraltro anche dai provvedimenti definitivi) possa unicamente essere disposta in dipendenza di ragioni giustificatrici nuove, di natura sostanziale (nuovi fatti sopravvenuti) ovvero processuale (nuovi accertamenti istruttori), senza quindi introdurre un regime di libera modificabilità o revocabilità unicamente in considerazione di una diversa valutazione effettuata dal giudice in un successivo momento.

Con riferimento all’articolo 473-bis.24 c.p.c., quale necessaria garanzia nei confronti dei provvedimenti temporanei assunti in prima udienza è previsto il reclamo. Per quanto riguarda il relativo regime, la delega si limita a prevedere che il giudice decide in composizione collegiale (art. 1, comma 23, lett. r) l. n. 206/2021). Al riguardo, l’originaria intenzione, quale risultante anche dai lavori della Commissione Luiso, avrebbe verosimilmente dovuto essere nel senso di una generale reclamabilità sempre di fronte al tribunale, del cui collegio ovviamente non avrebbe dovuto far parte il giudice che aveva emanato il provvedimento impugnato. Ragioni di prudenza hanno invece consigliato di confermare (ed estendere in via generale) l’attuale regime proprio dei provvedimenti presidenziali emanati nella separazione e del divorzio, che prevede ex art. 708, quarto comma, c.p.c. il reclamo alla Corte d’Appello, e ciò per non introdurre una modifica eccessiva per il sistema ed esorbitante rispetto ai numeri dei processi e ai ruoli giudiziari.

Inoltre, rispetto all’auspicata reclamabilità anche di tutti i provvedimenti provvisori emessi in corso di causa, la stessa non potrà verosimilmente attuarsi per ragioni di insufficienza di ruoli, ma si è prevista comunque una forma di controllo per i provvedimenti più invasivi, id est quelli dotati di maggiore portata, come quelli che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Questo, almeno sino alla futura realizzazione della riforma ordinamentale e quando avrà luogo l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, quando la elevata specializzazione dei magistrati assegnati al costituendo tribunale potrà permettere l’assegnazione dell’intero giudizio alle sezioni circondariali (in composizione monocratica), e le impugnazioni dei provvedimenti sia provvisori che definitivi davanti alla sezione distrettuale.

Sempre a questo proposito, l’ulteriore principio di delega di cui al comma 23, lett. v) “modificare l’articolo 178 del codice di procedura civile introducendo una disposizione in cui si preveda che, una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio, che il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica e che il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo” sarà attuato con le norme di coordinamento successive all’introduzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

Per quanto riguarda l’articolo 473-bis.25 c.p.c., si osserva quanto segue. Il comma 23 lett. dd) ha demandato al legislatore delegato di definire una autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica, prevedendo, al contempo, che nell’albo dei consulenti tecnici siano indicate le specifiche competenze dai medesimi posseduti. Quanto alla disciplina di dettaglio relativa alla tenuta degli albi, la legge delega, con il comma 33, ha apportato modifiche significative agli artt. 13 e 15 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 (disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie), prevedendo l’inserimento, tra le categorie da ricomprendere nell’albo, quella della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’età evolutiva e della psicologia, disciplinando dettagliatamente i titoli richiesti per le relative specializzazioni.

La norma di cui si discute, per converso, disciplina l’oggetto della consulenza precisandone gli ambiti di applicazione e delineando la cornice entro cui le indagini del consulente devono essere condotte. È così previsto che il giudice, con il provvedimento con cui dispone la consulenza, indichi l’oggetto dell’incarico e che il consulente, nell’elaborazione della relazione, tenga distinto ogni segmento dell’indagine precisando: i fatti osservati direttamente e le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi, per giungere alle valutazioni supportandole con evidenze scientifiche o comunque con indicazione dei parametri sui quali si fondano. La relazione deve poi concludersi con proposte concrete di intervento a sostegno del nucleo familiare e dei minori.

Uno spazio specifico è dedicato dalla norma agli accertamenti sulle competenze genitoriali che, alla stregua dei rilievi critici evidenziate dalla recente giurisprudenza di legittimità (si leggano a riguardo, i rilievi formulati nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9691/2022), devono essere sempre demandati al c.t.u. con provvedimento motivato, il quale esprimerà una valutazione sulla personalità dei genitori solo se ciò assuma incidenza ai fini della verifica della loro capacità genitoriale, e supporterà i giudizi tecnici espressi con l’indicazione precisa sia delle metodologie seguite sia dei parametri riconosciuti dalla comunità scientifica. Lo scopo perseguito dal legislatore delegato, in aderenza allo spirito della legge delega sul punto, è quello di definire il perimetro e le finalità del mezzo istruttorio, volto esclusivamente a fornire al giudice strumenti ed informazioni tecnico-scientifiche che gli consentano, unitamente ad ulteriori elementi istruttori, di formulare valutazioni e adottare soluzioni il più possibili adeguate a soddisfare e tutelare i diritti delle parti e dei minori (cfr. Cass. 23804/2021).

L’articolo di cui all’articolo 473-bis.26 c.p.c. costituisce attuazione del criterio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. ee), l. n. 206/2021 nel quale è prevista: “la facoltà per il giudice, anche relatore, su richiesta concorde di entrambe le parti, di nominare un professionista, scelto tra quelli iscritti nell'albo dei consulenti tecnici d'ufficio, ovvero anche al di fuori dell'albo in presenza di concorde richiesta delle parti, dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare i conflitti tra le parti, per fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni tra genitori e figli”.

Ispirato da buone prassi presenti in taluni tribunali, che si sono sviluppate dalla constatazione della necessità che il giudice della famiglia e dei minori sia coadiuvato da professionisti esperti in altri saperi, non solo a fini di valutazione ma anche al fine di attuare specifici interventi, la norma in esame prevede la possibilità che il giudice (il potere deve essere riconosciuto anche in corso di causa) possa nominare ai sensi dell’articolo 68 c.p.c. quale suo ausiliario un professionista, scelto tra quelli iscritti all’albo dei CTU (ovvero anche al di fuori dell’albo in presenza di concorde richieste delle parti) per compiere specifiche attività, espressamente demandate dal giudice, qualora necessarie alla risoluzione del conflitto familiare o a fini di ausilio o sostegno alla relazione genitori-figli. Si pensi, ad esempio, ai numerosi casi in cui, pur in assenza di condotte gravemente pregiudizievoli del genitore, siano diradati o interrotti i rapporti genitori-figlio ovvero il figlio sia in tenera età ed emergano resistenze da parte del genitore convivente a consentire a libere frequentazioni da parte dell’altro, giudicato inidoneo all’accudimento, ovvero anche alle ipotesi, non infrequenti, in cui minori adolescenti abbiano difficoltà di relazione con l’esterno anche a causa della vicenda separativa che ha coinvolto il nucleo familiare. In queste ipotesi il ricorso a professionisti (psicologi, assistenti sociali, pedagogisti ecc.) può essere un valido e spesso risolutivo aiuto. Al fine di controllare l’operato del professionista è tuttavia necessario inserirlo in una cornice processuale, che viene individuata nell’articolo 68 c.p.c. Nell’ambito del singolo procedimento il professionista verrà nominato ausiliario del giudice ai sensi del richiamato articolo 68 c.p.c., nella qualità di “esperto in una determinata professione” incaricato di assistere il giudice ai sensi dell’articolo 337-ter c.c., norma che prevede che il giudice adotti “i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” per “assicurare che il figlio mantenga un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”; solo il ricorso ad un professionista esperto può consentire di assistere l’autorità giudicante nel compimento di queste attività.

La norma prevede che a queste figure possa farsi ricorso solo previo assenso di entrambe le parti del processo, in primo luogo per i costi che saranno a carico delle parti nel caso di nomina dell’ausiliario (salva la possibilità di ricorrere al patrocinio a spese dello Stato per le parti ammesse al beneficio) e, inoltre, in considerazione della particolarità degli interventi che con questo strumento verranno attuati e che necessitano della collaborazione e non dell’opposizione delle parti. In caso di opposizione il giudice potrà ricorrente agli ordinari strumenti di ausilio (quali, ad esempio, incarichi al servizio socio-assistenziale).

Il primo comma della norma in esame indica i presupposti per procedere alla nomina (concorde richiesta delle parti), precisa che gli esperti nominati saranno qualificati quali ausiliari del giudice, e che gli stessi potranno essere scelti o attingendo agli albi dei CTU ovvero anche al di fuori di tale ambito in presenza di accordo delle parti. La norma non indica gli esatti contenuti dell’incarico demandato a tali ausiliari, descrivendone soltanto i fini; si tratterà infatti di interventi non codificati, ma da adattare alle singole fattispecie per superare i conflitti tra le parti, ovvero fornire ausilio ai minori, in particolare (ma non solo) per favorire la ripresa o il miglioramento delle relazioni genitori-figli dove incrinate o interrotte.

Il secondo comma precisa che il giudice individua esclusivamente gli obiettivi dell’intervento, assegnando termini, anche periodici qualora si tratti di interventi che necessitino di un consistente lasso di tempo per essere realizzati, alla scadenza dei quali l’ausiliario dovrà depositare una relazione sull’attività svolta con concessione di termini anche alle parti per il deposito di note scritte. Tale intervento è diverso da quelli valutativi propri della CTU, avvicinandosi agli interventi di sostegno perché finalizzato a risolvere situazioni in cui le relazioni genitori figli risultino compromesse, ovvero emergano specifiche difficoltà dei minori. Il giudice procedente conserva per tutta la durata dell’intervento un ruolo di controllo e di guida dello stesso, in quanto il comma terzo precisa che in caso di questioni sui poteri e sui limiti dell’incarico conferito sia l’ausiliario sia le parti potranno rivolgersi al giudice, che adotterà i provvedimenti opportuni.

La norma di cui all’articolo 473-bis.27 c.p.c. dà attuazione ad alcuni dei principi contenuti nell’art. 1, comma 23, lett. ff) della legge delega, che invita il legislatore delegato ad adottare puntuali disposizioni per regolamentare l’intervento dei servizi socio-assistenziali o sanitari, in funzione di monitoraggio, controllo e accertamento. A questo scopo, la disposizione è finalizzata a dettare alcune necessarie indicazioni di raccordo tra l’organo giudicante e i servizi sociali o sanitari che lo stesso abbia ritenuto di fare intervenire nel conflitto familiare e il cui compito è destinato a durare lungo un arco temporale spesso non definibile a priori e comunque ulteriore rispetto al momento finale di definizione del giudizio. A tal fine, e dal punto di vista organizzativo, si prevede in primo luogo che ogni volta in cui il giudice dispone l’intervento dei servizi sociali o sanitari, egli debba indicare “in modo specifico” l’attività ad essi demandata (ovvero il perimetro di compiti assegnati ai servizi, ad evitare indebiti interessamenti e più ancora mancanze rispetto ai compiti loro attribuiti) e fissare i termini entro cui i servizi sociali devono depositare una relazione periodica sull’attività svolta, e quelli entro cui le parti possono depositare memorie.

Dal punto di vista del contenuto delle relazioni, sempre in attuazione del principio della delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. ff) è stato poi considerato fondamentale che nelle relazioni dei servizi siano concretamente distinguibili i diversi aspetti relativi all’intervento, ovvero i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che, ove aventi oggetto profili di personalità delle parti, devono essere sempre fondate su dati oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione.

E’ poi assicurato il dovuto regime di pubblicità, o meglio di informativa, sempre tenuto conto che la situazione familiare è in costante evoluzione e quindi appare necessario poter verificare come le eventuali criticità riscontrate all’interno del nucleo o i disagi espressi dai minori trovino nel tempo lo sperato ristoro, e a tal fine si è previsto che le relazioni dei servizi devono essere ostensibili alle parti, che possono quindi prendere visione ed estrarre copia delle relazioni e di ogni accertamento compiuto dai responsabili del servizio sociale o sanitario incaricati, trasmessi all’autorità giudiziaria, salvo che sussistano particolari ragioni di segretezza per cui la legge disponga diversamente.

La norma di cui all’articolo 473-bis.28 c.p.c. dà attuazione dell’art. 1, comma 23, lett. z), l. n. 206/2021, che invita il legislatore delegato a “prevedere che per la fase decisoria il giudice relatore, esaurita l’istruzione, fissi davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione con assegnazione dei termini per gli scritti difensivi finali, che all’udienza la causa sia posta in decisione dal giudice relatore che si riserva di riferire al collegio e che la sentenza venga depositata nel termine di sessanta giorni”.

In ossequio a tali indicazioni è stato concepito un regime semplificato, per il quale, una volta esaurita l’istruzione, il giudice relatore fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti termini comuni per le attività difensive finali e precisamente:

- un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni;

- un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali;

- un termine non superiore a quindici giorni prima della stessa udienza per il deposito delle memorie di replica.

All’udienza la causa viene quindi rimessa in decisione e il giudice delegato si riserva di riferire al collegio. La sentenza è infine depositata nei successivi sessanta giorni.

La norma di cui all’articolo 473-bis.29 c.p.c. corrisponde a un principio generalmente riconosciuto nell’ordinamento (pur se sino a oggi, nella complessiva differenziazione dei riti, evidenziato soprattutto per i giudizi di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili e i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) per il quale i provvedimenti, anche definitivi, che dettano una regolamentazione giuridica al flusso di rapporti personali e patrimoniali intercorrenti tra le parti o tra le stesse e la prole (si pensi, tra i molti esempi, alle decisioni relative all’assegno di mantenimento o divorzile, a quelle relative all’assegnazione della casa familiare, alle modalità di affidamento dei figli minori e di mantenimento degli stessi e di quelli anche maggiorenni non economicamente indipendenti) vengono sempre emanati rebus sic stantibus, e pertanto in relazione a un preciso quadro fattuale e istruttorio delineatosi in seno al processo e cristallizzatosi, da un punto di vista temporale, al momento della rimessione della causa in decisione.

Il successivo fisiologico modificarsi di tale quadro di riferimento e la sopravvenienza di nuove circostanze può dunque alterare in modo anche significativo la prospettiva in base alla quale i provvedimenti sono stati in origine assunti, e conseguentemente determinare la necessità di modificarle per adattarle alla nuova situazione venutasi a creare.

La norma in esame si pone quindi nel solco del generale necessario raccordo e coordinamento delle disposizioni che devono regolamentare il nuovo rito unitario, e trova una giustificazione anche formale (pur se implicita) nella stessa legge delega, all’articolo 1, comma 23, lett. hh) (“introdurre un unico rito per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell’articolo 711 del codice di procedura civile, alla revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati…”) che nel prevedere la necessità di introdurre un rito unitario anche per i giudizi di modifica e revisione di fatto riconosce la possibilità che le statuizioni finali possano essere oggetto di tale modifica e revisione.

In questa prospettiva, si è ritenuto opportuno introdurre una disposizione fondamentalmente di principio (relativa ai presupposti e alle condizioni perché il giudizio di revisione e modifica possa essere instaurato), in quanto, per quanto concerne l’individuazione del rito applicabile a tali forme di giudizi, valgono le norme generali relative al procedimento unitario.

Per quanto riguarda l’articolo 473-bis.30 c.p.c. si osserva quanto segue. L’articolo 1, comma 23, lett. nn) della legge delega ha genericamente previsto la predisposizione, ad opera del legislatore delegato, di un’autonoma regolamentazione “per il giudizio di appello, per tutti i procedimenti di cui alla lett. a)” del medesimo comma, con l’intento di procedere ad una definizione del rito dell’impugnazione che ne delinei le regole da valere rispetto a tutte le materie per le quali si applichi il rito uniforme, senza, tuttavia, fornire indicazioni vincolanti sulle forme processuali da applicare. Fino all’entrata in vigore del nuovo giudizio di cognizione per il contenzioso familiare, l’impugnazione avverso le sentenze di separazione e divorzio è promossa e trattata con le forme del procedimento in camera di consiglio, in virtù del richiamo operato dall’art. 4 comma 15 della Legge 1° dicembre 1970 n. 898. L’assenza di precise regole processuali ha indotto il gruppo di lavoro a deliberare un modello processuale che, seppur strutturato secondo regole di tipo “contenzioso” con richiami espressi alle norme dell’appello ordinario, mantenendo la collegialità della trattazione e della decisione, tuttavia, mutui, per un verso, dall’esperienza del rito camerale la snellezza ed elasticità e, per altro verso, dal processo di primo grado i poteri “officiosi” del giudice in tutti i casi in cui si debbano tutelare gli interessi dei minori.

L’articolo 473-bis.30 c.p.c. contiene, attraverso il richiamo all’articolo 342 c.p.c., la prima scelta di modulare gli oneri di forma del ricorso ai requisiti di ammissibilità prescritti per l’appello ordinario, nell’attuale formulazione ma anche, nel testo che verrà modificato in attuazione della legge delega, ai sensi del comma 8 dell’articolo 1.

L’articolo 473-bis.31 c.p.c., in conformità alle regole prescritte per il giudizio di primo grado, dispone che il presidente, a seguito del deposito del ricorso in cancelleria, nei cinque giorni successivi, nomini il relatore, fissi l’udienza di comparizione e trattazione e il termine entro il quale l’appellante debba provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto all’appellato, con la precisazione che tra la data della notificazione e quella dell’udienza intercorra un termine non inferiore a novanta giorni, da elevarsi a centocinquanta nel caso di notifica da eseguirsi all’estero.

Significativa è la previsione del quarto comma dell’articolo 473-bis.31 che, attraverso l’attivazione dei poteri officiosi e di impulso, consente al presidente, fin dal momento nel quale nomina il giudice relatore e fissa l’udienza, di disporre l’acquisizione d’ufficio delle relazioni aggiornate dei servizi socio-assistenziali e sanitari e di ordinare alle parti di depositare tutta la documentazione indicata dall’art. 473-bis.12, terzo comma, c.p.c. vale a dire quella reddituale e patrimoniale. Il richiamo espresso alla norma prevista per gli oneri probatori gravanti sulle parti nel giudizio di primo grado consente, nel caso di deposito incompleto della documentazione richiesta, ovvero per il caso in cui siano fornite informazioni che, all’esito del giudizio, si rivelino inesatte, di applicare, anche in appello, gli articoli 92, primo comma, 96, terzo comma, e 116, secondo comma.

L’articolo 473-bis.32 c.p.c. fissa regole processuali per la costituzione dell’appellato e per l’articolazione delle controdeduzioni difensive dell’appellante, nel caso di proposizione di appello incidentale. È prescritto che l’appellato debba costituirsi entro trenta giorni prima dell’udienza, depositando comparsa di costituzione contenente l’esposizione delle proprie difese e le precise contestazioni, in modo chiaro e specifico, al pari degli oneri formali prescritti per il ricorso in appello, e, a pena di decadenza, proporre appello incidentale. Il secondo comma, difformemente da quanto previsto per l’appello nel rito ordinario, salvaguardando l’esigenza di uno stringato contraddittorio tra le parti, prevede che l’appellante possa depositare una memoria di replica, sino a venti giorni prima dell’udienza, e che l’appellato possa replicare depositando ulteriore memoria difensiva fino a dieci giorni prima dell’udienza. L’obiettivo di questa disposizione è di consentire che si arrivi alla prima udienza dell’appello con l’attività difensiva delle parti già esaurita.

L’articolo 473-bis.33 c.p.c. disciplina le modalità dell’intervento del pubblico ministero, il quale deposita le proprie conclusioni scritte almeno dieci giorni prima dell’udienza.

L’articolo 473-bis.34 c.p.c. disciplina l’attività che si svolge alla prima udienza davanti al collegio, che potrebbe anche essere l’unica udienza nel caso in cui non sia necessaria ulteriore attività istruttoria e la causa possa essere immediatamente rimessa per la decisione.

La norma del decreto delegato precisa che non solo la decisione ma anche la trattazione si svolgerà davanti al collegio. Tale scelta motiva l’indicazione, contenuta nel testo dell’articolo, del giudice relatore piuttosto che “istruttore”, il quale, nominato al momento del deposito dell’atto di appello, all’udienza fa la relazione orale della causa e può procedere all’assunzione delle prove ammesse dal collegio quando questi ritenga necessario procedere all’istruzione della causa. All’esito della discussione o dopo l’esaurimento dell’istruzione, il collegio trattiene la causa in decisione assegnando, previa richiesta delle parti, un termine per note difensive, e deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni.

Particolarmente significativa è la disposizione contenuta nel quarto comma della norma che attribuisce al giudice d’appello la facoltà di adottare i provvedimenti indifferibili e urgenti, previsti dall’art. 473-bis.15 c.p.c., in tutti i casi in cui ricorrono situazioni di pregiudizio imminente ed irreparabile, con le forme e le regole processuali ivi previste, con possibilità anche di intervenire inaudita altera parte e di fissare udienza per la conferma, modifica e revoca dei provvedimenti adottati, nonché quelli provvisori delineati dall’art. 473-bis.22 c.p.c.. Ciò, evidentemente, perché anche in appello potrebbero emergere le medesime esigenze che queste disposizioni prendono in considerazione con riferimento al giudizio di primo grado.

Infine, l’articolo 473-bis.35 c.p.c. indica una specifica deroga alle preclusioni prescritte dall’art. 345, terzo comma, c.p.c. per nuove prove e nuove documenti, come riscritto dalla legge n. 134/2012, la cui produzione o articolazione è sempre consentita, anche nel secondo grado di giudizio, quando questo ha per oggetto domande relative a diritti indisponibili, rimanendo operanti, di contro, le preclusioni istruttorie di cui al terzo comma dell’art. 345 c.p.c. per l’appello che riguardi domande aventi ad oggetto diritti disponibili, con riferimento al quale, a parte il giuramento decisorio, le nuove prove e i nuovi documenti sono proponibili in grado di appello solo se la parte dimostri di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile.

Per quanto riguardo l’articolo 473-bis.36 c.p.c. si osserva quanto segue. I principi direttivi del comma 23 lett ii) e ll) impongono un coordinamento delle disposizioni attuative dei provvedimenti sul mantenimento.

Il primo comma prevede che tutti i provvedimenti, anche temporanei che prevedono un contributo economico, sono immediatamente esecutivi, secondo la previsione di vari articoli già presenti, ora unificati in una unica norma del codice di rito. Il medesimo comma prevede che i suddetti provvedimenti siano anche titolo per l’iscrizione dell’ipoteca. Quanto ai provvedimenti definitivi la norma non introduce novità sostanziali ma unifica varie disposizioni di legge (art. 156, comma 5, c.c., articolo 8, comma 2, L. 898/70; articolo 3, comma 2, l.n. 219/2012). La previsione che anche i provvedimenti temporanei siano titolo per l’iscrizione ipotecaria viene invece introdotta in attuazione del principio di delega contenuto nell’articolo 1, comma 23 lett. r); il richiamo espresso al secondo comma dell’art. 96 è stato inserito al fine di bilanciare, con riferimento alle iscrizioni ipotecarie effettuate in forza di un provvedimento temporaneo, le esigenze di tutela del creditore con quelle di libera disponibilità del patrimonio del debitore, anche al fine di scongiurare ipotesi di abuso del diritto.

Il secondo comma riproduce, in un’unica norma e dunque nell’ottica di unificazione, quanto già previsto dall’articolo 156, comma 4 codice civile per la separazione personale, dall’articolo 8, comma 1 l.n. 898/70 per il divorzio e dall’articolo 3, comma 2, l.n. 219/2012 per i provvedimenti economici a tutela della prole.

Il terzo comma prevede riprende la formulazione dell’attuale articolo 8, comma 7, della l.n. 898/70 e dell’articolo 3, comma 2 della l. n. 219/2012. Il creditore può chiedere al giudice di essere autorizzato a procedere al sequestro dei beni mobili, immobili o dei crediti del debitore, affinché siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all’adempimento. Il sequestro a garanzia del pagamento degli assegni mantiene il suo carattere speciale di strumento di coazione anche psicologica nei confronti dell’obbligato in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza con riferimento all’art. 156 codice civile (Cass., 19 febbraio 2003, n. 2479; Cass., 28 maggio 2004, n. 10273).

Il quarto e il quinto comma, anche in linea con il principio generale della modificabilità dei provvedimenti, prevedono il diritto delle parti di chiedere la modifica dei provvedimenti emessi a tutela delle ragioni creditorie, in presenza di mutamenti delle circostanze; la domanda dovrà essere proposta al giudice del procedimento in corso o, in mancanza, al giudice territorialmente competente in base ai principi che regolano la materia.

L’articolo 473-bis.37 c.p.c. dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lettera ll), l.n. 206/2021 che prevede di “procedere al riordino della disciplina di cui all’articolo 156 del codice civile, all'articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, all’articolo 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, e all’articolo 316-bis del codice civile, introducendo un unico modello processuale strutturato in analogia a quanto previsto dall’articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e che tenga conto dell’assenza di limiti prevista dall’articolo 156 del codice civile per adottare le garanzie a tutela dell’adempimento delle obbligazioni a carico dell’onerato e per il sequestro”.

L’attuale cornice normativa, in materia di garanzie a tutela dell’effettivo pagamento degli assegni, è composita e frammentata: l’art. 156 del codice civile prevede l’ordine di pagamento impartito dal giudice per la separazione; l’art. 8 l. n 898/1970 prevede la richiesta di pagamento diretto al terzo, svincolata dall’intervento del giudice; l’art. 3 l. n. 219/2012, disciplina le forme di garanzia per l’assegno di mantenimento in favore della prole con una formulazione che ha dato luogo a molteplici e contrastanti applicazioni (v. ex plurimis, le differenti soluzioni adottate da Trib. Milano, 24 aprile 2013 e da Trib. Roma, 7 gennaio 2015).

L’articolo in esame introduce un unico strumento a garanzia di tutti gli obblighi di mantenimento in senso lato modellato, in forza di quanto indicato dai principi di delega, sull’attuale articolo 8 l. n. 898/1970.

Il creditore dell’assegno (stabilito in favore suo ovvero della prole), decorsi trenta giorni dalla costituzione in mora del debitore inadempiente, può notificare il provvedimento che fissa an e quantum dell’assegno, ovvero l’accordo di negoziazione assistita (che, ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014, produce gli stessi effetti del corrispondente provvedimento dell’autorità giudiziaria) al terzo tenuto a versare periodicamente somme di denaro al debitore principale. Il creditore dovrà dare comunicazione dell’avvenuta notificazione all’obbligato.

Ricevuto il provvedimento, il terzo, dal mese successivo a quello di avvenuta notificazione, è tenuto al pagamento dell’assegno sino alla concorrenza delle somme da lui dovute al debitore principale. Ove il terzo non adempia il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti.

La norma, in attuazione del principio di delega, non richiama il comma 6 dell’art. 8, l. n. 898/1970, che è abrogato: il debitor debitoris, a seguito della notificazione del provvedimento, è tenuto a versare al creditore l’ammontare dell’assegno di mantenimento indicato nel provvedimento sino alla concorrenza delle somme dovute al debitore principale e non più sino alla concorrenza della metà.

Il comma 3 prevede che, qualora il credito dell’obbligato verso il terzo sia stato già pignorato al momento della notificazione, all’assegnazione e alla ripartizione delle somme provvede il giudice dell’esecuzione, avuto riguardo alla natura e alla finalità delle somme dell’assegno.

La norma di cui all’articolo 473-bis.38 c.p.c. riguardante l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento costituisce estrinsecazione di una regola che traspare nell’intera legge delega e che viene specificamente considerata anche per il momento attuativo e di esecuzione dei provvedimenti. Al comma 23 lett. ff) ultimo inciso, la legge delega testualmente prevede di “dettare disposizioni per individuare modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, prevedendo che queste siano determinate dal giudice in apposita udienza in contraddittorio con le parti, salvo che sussista il concreto e attuale pericolo, desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, che in caso di mancato accordo l’esecuzione avvenga sotto il controllo del giudice, anche con provvedimenti assunti nell’immediatezza, che nell’esecuzione sia sempre salvaguardato il preminente interesse alla salute psicofisica del minorenne e che l’uso della forza pubblica, sostenuto da adeguata e specifica motivazione, sia limitato ai soli casi in cui sia assolutamente indispensabile e sia posto in essere per il tramite di personale specializzato.

Ferma dunque restando la considerazione che l’attuazione dei provvedimenti a carattere personale nei processi della famiglia presenta connotati che impediscono di considerare applicabili le norme ordinarie del libro terzo del codice di rito, e di mantenere uno stretto controllo da parte del giudice della cognizione, il tema di fondo affrontato dal legislatore con simile previsione riguarda, in primo luogo, la necessità di agire tempestivamente per evitare che il provvedimento sull’affidamento della prole già emesso, o quello emesso durante il procedimento in corso, non venga concretamente attuato. La scelta normativa recepisce, in tutta evidenza, le sollecitazioni sovranazionali sul tema considerato che una legislazione conforme alla Convenzione Edu deve garantire l’effettività dei rimedi esistenti a tutela dei diritti fondamentali riconosciuti.

Infatti, la tempestività nell’attuazione dei provvedimenti in tema di affidamento è da tempo al centro delle valutazioni di adeguatezza degli strumenti messi in campo dall’ordinamento per la tutela dei legami familiari significativi in caso di separazione e divorzio.

La Corte Edu ha più volte ritenuto che i giudici nazionali non abbiano adottato le misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita in quanto il relativo provvedimento, a fronte di difficoltà esecutive o comportamenti oppositivi dell’altro genitore, spesso è rimasto privo di concreta esecuzione.

La Corte, in diversi casi, ha ritenuto “che i giudici interni non hanno adottato delle misure concrete e utili volte all'instaurazione di contatti effettivi, e hanno poi in altri casi tollerato che attraverso il comportamento di uno dei genitori venisse di fatto impedita l'instaurazione di una vera relazione tra genitore non affidatario e minore”.

Per cogliere, quindi, l’occasione e la necessità di un intervento regolatore della disciplina del controllo del giudice sull’effettività degli strumenti del processo a tutela della bigenitorialità in generale ed in particolare del singolo provvedimento adottato in tema di affidamento si è costruita una disciplina che declina la fase attuativa dei provvedimenti in questione.

 Sono state selezionate le ipotesi di intervento giurisdizionale fino all’uso della forza pubblica, da considerarsi però quest’ultima come scelta residuale e non altrimenti evitabile nei casi di assoluta necessità.

Andando al dettaglio delle previsioni, il primo e il secondo comma individuano il giudice al quale rivolgersi nei casi in cui siano sorti contrasti tra le parti in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o comunque sorgano impedimenti o difficoltà, anche oggettive, che non consentano l’attuazione del provvedimento di affidamento del minore.

La declinazione della competenza, secondo un criterio logico ed ispirato a scelte di ragionevolezza sostanziale, riguarda le ipotesi di pendenza o meno del procedimento e i casi nei quali venga instaurato un nuovo procedimento tra le parti. In pendenza del procedimento sarà il giudice titolare ad essere competente per l’attuazione del provvedimento in questione. Qualora non penda alcun procedimento, la risoluzione di ogni difficoltà esecutiva va richiesta al giudice che ha emesso il provvedimento. A tale criterio si deroga nel caso in cui il minore abbia trasferito la sua residenza altrove, nel qual caso si applica il criterio di cui all’articolo 473 bis.11 c.p.c.

Il legislatore ha previsto, sempre nel secondo comma, l’ulteriore concreta ipotesi che venga instaurato un nuovo e diverso procedimento tra le parti avente ad oggetto la responsabilità genitoriale, privilegiando la necessità, in questo caso, di una concentrazione di “competenze” in capo al giudice del merito in capo al quale verrà trasferita la causa avente ad oggetto l’attuazione del provvedimento in precedenza adottato.

In quest’ultimo caso, ferma la competenza del “giudice dell’attuazione” di assumere i provvedimenti urgenti e necessari nell’interesse del minore, si prevede la trasmissione dinanzi al giudice del procedimento di nuova instaurazione con possibilità di conferma, modifica o revoca di quanto disposto.

La disciplina così costruita risponde all’esigenza di individuare un unico giudice competente ad intervenire, favorendo, al contempo, la tempestività dell’intervento attuativo e la conservazione degli effetti dei provvedimenti emessi.

La scelta compiuta dal legislatore, del tutto assimilabile a quanto già previsto dall’articolo 38 disp. att. del c.c., affonda la sua ratio nell’esigenza di prevedere un reticolato di disposizioni in grado di evitare spazi di inerzia e difficoltà nell’individuazione del giudice competente a pronunciarsi sull’esecuzione di provvedimenti già emessi a fronte dell’introduzione di successivi procedimenti giurisdizionali connessi con l’accertamento già compiuto.

Il terzo comma disciplina il procedimento, prevedendo che in seguito alla presentazione del ricorso, il giudice deve instaurare il contraddittorio con i genitori, gli esercenti la responsabilità genitoriale, il pubblico ministero, il tutore il curatore e curatore speciale se nominati. Qualora le parti non riescano ad accordarsi sulle modalità di attuazione del provvedimento, il giudice potrà provvedere d’ufficio all’emissione dei provvedimenti per l’attuazione ritenuti opportuni. Anche nella fase esecutiva le parti possono, ancora una volta, avere la possibilità di collaborare spontaneamente all’attuazione del provvedimento. Una volta però naufragata tale possibilità, il giudice esercita il suo potere regolativo fino all’ultima scelta, assolutamente residuale, di autorizzare l’utilizzo della forza pubblica secondo quanto previsto dal successivo quinto comma.

La scelta di giovarsi dell’ausilio della forza pubblica viene, infatti, rigidamente ancorata dal legislatore alla coesistenza di due elementi di valutazione: 1) l’assoluta indispensabilità del ricorso ad essa; 2) la salvaguardia della tutela psicofisica del minore.

I richiamati elementi devono essere trasfusi nella motivazione del provvedimento che dispone per l’intervento della forza pubblica. Il legislatore ha posto l’accento sia sull’an che sul quomodo di tale intervento prevedendo che esso venga posto in essere sotto la vigilanza del giudice e nella considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto, anche con il sostegno di personale socio-sanitario, questa assoluta novità dell’intervento, qualora ritenuto necessario.

Il legislatore individua questa scelta come extrema ratio a fronte della impossibilità di eseguire il provvedimento, tanto da richiedere contestualmente una motivazione specifica riguardante il bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti, l’utilizzo delle cautele richieste dalle circostanze, l’impossibilità di procedere altrimenti.

Per chiudere il cerchio sulle possibili categorie di comportamenti idonei a richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria a garanzia del disposto affidamento il legislatore, al sesto comma dell’articolo in commento, prevede una specifica ipotesi di intervento incisivo e ufficioso del giudice nel caso sussista il pericolo desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore ovvero di altre condotte in grado di minare l’attuazione del richiamato provvedimento. In questi casi è previsto che il giudice, con decreto e senza convocare preventivamente le parti, possa dettare le regole per l’attuazione del provvedimento, fissando al contempo l’udienza, da tenersi nei successivi quindici giorni, all’esito della quale potrà, con ordinanza, confermare, modificare o revocare il decreto precedentemente emesso. Avverso l’ordinanza è poi ammessa opposizione, da proporsi con le forme di cui all’articolo 473-bis.12 c.p.c.

La tempestività in funzione della sicurezza del minore è il fulcro della descritta disciplina. A confermarlo è la modalità prescelta per procedimentalizzare l’ipotesi attuativa nei casi descritti. Si pone l’accento sulla possibilità di un intervento senza convocare le parti perché, in tutta evidenza, dalla preventiva comunicazione del procedimento di attuazione, potrebbe derivare l’impossibilità di eseguire il provvedimento. Così come congegnata la disciplina in questione risponde all’esigenza funzionale di provvedere in via prioritaria alla tutela immediata del minore, ma garantendo parallelamente le esigenze del diritto di difesa attraverso l’efficace e immediato ripristino del contraddittorio a richiesta di parte per incidere sul contenuto del decreto.

Con riferimento all’articolo 473-bis.39 c.p.c., si osserva quanto segue. Il legislatore della delega ha compiuto una scelta di razionalizzazione della disciplina esistente sul tema dell’attuazione dei provvedimenti di affidamento della prole, che comprende il contestuale restyling delle regole processuali dell’art. 709 ter c.p.c. con il potenziamento dei poteri ufficiosi del giudice.

Infatti, accanto alla nuova disciplina concernente l’esercizio da parte del giudice di un potere di vigilanza ed intervento sul provvedimento emesso e rimasto inattuato, si interviene a riscrivere la disciplina di cui all’art. 709-ter c.p.c. con alcuni correttivi rivolti a potenziare l’efficacia concreta del rimedio già previsto dal legislatore.

Viene, infatti, introdotta la possibilità di adottare d’ufficio le “astreintes” ex articolo 614-bis c.p.c., previsione già contemplata nel dettaglio dal comma 33 della legge delega, entrato in vigore il 22 giugno 2022, incrementando i poteri di intervento e il ruolo di impulso del giudice in relazione ai comportamenti che possono pregiudicare il corretto svolgimento delle modalità di affidamento o creino comunque pregiudizio al minore, anche nei casi di gravi, perché ad esempio reiterate, sistematiche o strumentali inadempienze a provvedimenti di natura economica, soprattutto in ipotesi come quelle del mancato pagamento delle spese straordinarie in cui gli ulteriori strumenti messi a disposizione (ordine di pagamento diretto al terzo) non possono venire in soccorso.

Il legislatore, in questo modo, opta per una scelta di completezza ed unitarietà della disciplina dettata in tema di esecuzione dei provvedimenti sull’affidamento dei minori, rafforzando la doverosità degli stessi e altresì dei provvedimenti di natura economica in favore della prole, ritenendo opportuna la declinazione completa del novero delle tipologie di interventi di natura esecutiva, sanzionatoria e risarcitoria costituenti la risposta giurisdizionale a quei comportamenti che sono posti in essere dai genitori volontariamente e che possono minare l’obiettivo di rendere operativo il contenuto dei provvedimenti in questione.

Lo fa introducendo, peraltro, maggiori poteri officiosi nelle ipotesi in cui emergano comportamenti che integrino le gravi inadempienze e il pregiudizio al minore descritto dalla norma.

A differenza di quanto previsto nell’art. 473-bis.38, che disciplina i casi di verosimile inerzia derivante dalle contestazioni insorte tra le parti relativamente al modus nel quale attuare il provvedimento o di difficoltà oggettive o soggettive che impediscano la concreta operatività di esso, l’articolo in commento descrive condotte volontariamente pregiudizievoli in una duplice direzione.

In particolare, alle gravi inadempienze che minano il corretto svolgimento delle modalità di affidamento e agli atti volti a danneggiare il minore corrisponde la possibilità di disporre d’ufficio, alternativamente o cumulativamente, una serie di interventi che vanno dall’ammonimento alla condanna ad una sanzione pecuniaria o alla fissazione di una somma di denaro da doversi corrispondere ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento o per le violazioni successive nei casi più gravi di inerzia volontaria.

Per la sanzione amministrativa pecuniaria il legislatore ha confermato il range entro il quale si può disporre da un minimo di euro 75 a un massimo di euro 5.000 da versarsi in favore della cassa delle Ammende.

Il giudice, quindi, una volta verificata la sussistenza dei descritti comportamenti incidenti negativamente sul corretto svolgimento del programma di affidamento, ovvero anche per gravi inadempienze di ordine economico, può intervenire a modificare il provvedimento vigente e, anche in assenza di istanze di parte, procedere a condannare le parti al pagamento delle sanzioni descritte dalla norma. La natura di queste ultime, tipicamente sanzionatoria, può essere ricondotta, a quei “punitive damages”, molto diffusi nei paesi di Common law, previsti in relazione a comportamenti denotati dalla cd. “malice” (assimilabile al dolo del nostro ordinamento) relativi alla possibile lesione di diritti fondamentali. La natura sanzionatoria assimilabile tipicamente a quella di natura penale di tali provvedimenti ne consente la cumulabilità con il risarcimento del danno previsto dal successivo quarto comma dell’articolo in esame. Risarcimento al quale il giudice può procedere anche d’ufficio nel caso venga disposto in favore del minore.

L’ultimo comma della norma stabilisce infine che “I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”. La norma riproduce il disposto dell’art. 709-ter c.p.c. e deve essere interpretata come riferita ai mezzi tradizionali e comuni di impugnazione previsti per il modello formale di provvedimento nel cui ambito le misure vengono in concreto in emanate, intendendosi dunque che le misure previste dalla norma in esame sono sempre impugnabili nelle forme previste per il provvedimento che fa ad essi da cornice. Ciò significa, a mero titolo esemplificativo, che dovrà considerarsi esperibile l’appello avverso le sentenze e il reclamo ex art. 473 bis.24 avverso i provvedimenti temporanei e urgenti di cui all’art. 473 bis.22.

L’articolo 473-bis.40 c.p.c., rubricato “Ambito di applicazione”, introduce nel Capo III, che disciplina le Disposizioni particolari, una Sezione interamente dedicata alle violenze domestiche o di genere.

L’allarmante diffusione della violenza di genere e domestica ha indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi di delega finalizzati a evitare il verificarsi, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto la disciplina delle relazioni familiari, ed in particolare l’affidamento dei figli minori, di fenomeni di vittimizzazione secondaria. La vittimizzazione secondaria si realizza quando “le stesse autorità chiamate e reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni della violenza” (cfr. relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica, Doc. XXII bis n.10). La mancata attenzione al tema della vittimizzazione secondaria è stata oggetto di specifici rilievi mossi alle istituzioni italiane nel rapporto GREVIO (Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence, consultabile in https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/italy), redatto nel 2019 all’esito dell’attività del Gruppo di esperti chiamato a verificare l’applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77. Il legislatore delegato nella consapevolezza che il contrasto alla violenza domestica non si realizza soltanto con le norme penali, ma anche, e forse soprattutto, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, ha dettato specifici criteri di delega indicati nelle lettere b), f), l), m), n), t), ff), del comma 23, della legge n. 206/2021 per garantire piena tutela alle vittime.

Per dare attuazione ai principi di delega richiamati è stata introdotta, nel Capo III, dedicato alle “Disposizioni particolari”, una intera Sezione, intitolata “Della violenza domestica o di genere”, per disciplinare i procedimenti nei quali una delle parti alleghi di essere vittima di violenza agita dal partner o dall’ex partner, o alleghi che vittima di violenza – anche nella forma della violenza assistita- o di abuso sia il figlio minore delle parti stesse. La scelta normativa intende sottolineare l’importanza che deve essere rivolta al contrasto a questa forma di violenza nell’ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie, creando una sorta di “corsia preferenziale” per tali giudizi, che dovranno avere una trattazione più rapida e connotata da specifiche modalità procedurali. In particolare, in attuazione del principio di delega contenuto nella lett. b), del comma 23 , l. n. 201/2021, sarà sufficiente che anche solo in uno degli atti introduttivi (nel ricorso, sia quando proposto dalla parte, sia quando proposto dal pubblico ministero, ovvero nella comparsa di costituzione) siano presenti allegazioni di violenza di genere o domestica, o di abuso, per garantire una trattazione più rapida del procedimento, con attenzione anche nelle fasi preliminari del giudizio a compiere un rapido accertamento sulla fondatezza dell’allegazione. La scelta di applicare le disposizioni in esame in presenza di mere allegazioni di violenza o di abuso, intese come mera affermazione della parte di essere stata vittima di episodi di violenza domestica, di genere o di abuso, ovvero la mera allegazione che tali condotte siano state poste in essere in danno del figlio minore delle parti, ha la sua ragion d’essere sulla necessità di intercettare al suo primo manifestarsi la volontà della possibile vittima di violenza di superare quello che è noto come il ciclo della violenza. È infatti noto che le vittime di violenza hanno difficoltà a denunciare e a uscire dalla situazione di violenza, a causa delle promesse di chi agisce violenza, tese a relegare l’agito violento ad un episodio momentaneo, non destinato a replicarsi, situazione che induce la vittima a non manifestare all’esterno la situazione di violenza vissuta tra le mura domestiche. Per questo, l’ordinamento, e in particolare i giudici civili e minorili, devono essere in grado di intercettare la richiesta di aiuto della vittima, non appena la stessa si manifesti, per scongiurare il rischio, che la mancata attenzione alla violenza e all’abuso, o peggio la sua sottovalutazione o negazione da parte delle istituzioni, possano indurre la vittima a ricadere nel ciclo della violenza, al quale aveva cercato di sottrarsi. I giudizi in materia di famiglia e di minori sono infatti il luogo privilegiato per l’emersione della violenza domestica, e le norme in esame hanno il fine di permettere al giudice di riconoscere ed intercettare la violenza, compiendo già dalle prime battute del giudizio accertamenti preliminare sulla sussistenza dei fatti di violenza o di abuso.

Le norme in esame prevedono, pertanto, che in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento venga trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità con il fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, la fondatezza o meno delle allegazioni, affinché l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, non avvenga con formule stereotipate, ma solo dopo aver accertato, anche solo a livello di fumus, se l’allegazione di violenza sia fondata o meno. Per conseguire tale risultato è stato previsto un ampio coordinamento tra le diverse autorità giudiziarie civili, penali e minorili, dinanzi alle quali possono essere pendenti procedimenti relativi alle stesse parti. Fondamentale è il ruolo del pubblico ministero, che è parte nei procedimenti aventi ad oggetto la disciplina della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, ed è interveniente necessario nei giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e nei procedimenti di modifica che in ragione del ruolo può veicolare all’interno dei giudizi civili e minorili le risultanze degli accertamenti compiuti nell’ambito dei procedimenti penali. Le norme in esame prevedono, pertanto, che sia la stessa parte, sia quando ricorrente, sia quando convenuta, ad indicare negli atti introduttivi l’eventuale pendenza di procedimenti relativi alle condotte violente o di abuso, con onere di allegare oltre ai documenti che riterrà rilevanti tutte le risultanze degli altri procedimenti qualora pendenti (per esempio i verbali delle sommarie informazioni), ma è parimenti previsto che sia il giudice d’ufficio ad acquisire tali documenti, ovvero ad assumere, anche d’ufficio, ogni mezzo di prova (con piena garanzia del contraddittorio) per accertare la fondatezza o meno delle allegazioni. Le disposizioni in esame che onerano le parti e dispongono che il pubblico ministero e il giudice, comunichino con le altre autorità procedenti, e partecipino attivamente alla verifica della fondatezza delle allegazioni di violenza o di abuso ha il fine di garantire che l’adozione dei provvedimenti, già nelle fasi preliminare del giudizio, non avvenga se non prima di aver compiuto il necessario accertamento per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni, poiché qualora emerga, anche a livello di fumus, che condotte violente sono state poste in essere il giudice dovrà adottare provvedimenti idonei a tutelare la vittima, dando piena applicazione all’art. 31 della Convenzione di Istanbul nel quale è previsto che il giudice tenga conto degli episodi di violenza “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”.

Particolare attenzione è dedicata allo svolgimento dell’udienza per evitare che si realizzino forme di vittimizzazione secondaria, per esempio costringendo la vittima di violenza ad essere presente in udienza con il presunto autore della violenza senza l’adozione di particolare cautele, prevedendo espressamente che non possa essere compiuto tentativo di conciliazione (che per essere congruo ed efficace presuppone che le parti siano in posizione di parità, e non si subordinazione l’una rispetto all’altra come accade nelle relazioni contraddistinte da violenza), inibendo il ricorso alla mediazione, vietata in presenza di violenza domestica, e che il giudice non potrà sollecitare in presenza di allegazioni di violenza o di abuso (salva la possibilità di disporre l’invito alla mediazione e la conciliazione nel caso in cui nel corso del giudizio si ravvisi l’insussistenza dei fatti di violenza). Specifiche norme sono dettate per garantire che forme di vittimizzazione secondaria non si realizzino nel corso degli accertamenti demandati ai Servizi socio-assistenziali o sanitari, ovvero delle valutazioni rimesse ai consulenti tecnici d’ufficio. Quanto all’ascolto del minore, in presenza di allegazioni di violenza è richiesto che il giudice proceda a tale adempimento senza ritardo e personalmente, poiché, ferma la particolare natura dell’ascolto del minore, non riconducibile nell’alveo delle prove, nondimeno anche dalle dichiarazioni del minore possono emergere elementi a sostegno o meno dell’allegazione di violenza o di abuso, con attenzione a garantire il massimo coordinamento tra le diverse autorità giurisdizionali che possono essere chiamate a verificare i medesimi fatti (seppure nei diversi ambiti di competenza) per evitare che reiterati ascolti del minore, tra loro non coordinati, possano a loro volta rivelarsi forme di vittimizzazione secondaria.

Venendo all’esame delle singole norme, l’articolo 473-bis.40 c.p.c. delinea l’ambito di applicazione della Sezione I del Capo III, stabilendo che le disposizioni previste dalla stessa si applichino nei procedimenti in cui siano allegate condotte di violenza di genere o domestica poste in essere da una parte nei confronti dell’altra ovvero nei confronti dei figli minori delle parti, ovvero in presenza di condotte di abuso, che costituiscono una specifica categoria delle condotte di violenza che merita espressa menzione, data la ricorrenza delle stesse nei procedimenti relativi ai minori. La scelta del legislatore delegato di non inserire nella norma un elenco di fattispecie nelle quali le disposizioni, della Sezione I, del Capo III, debbano applicarsi discende dalla necessità di evitare che inserendo un’elencazione, sia pure esemplificativa, alcune fattispecie possano non essere ricomprese nell’abito di applicazione delle nuove norme, che deve avere l’applicazione più ampia possibile. Per esempio, l’elencazione contenuta nel vigente art. 64-bis disp. att. c.p.p. che disciplina la trasmissione dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria penale a quella civile (che indica i delitti previsti dall’art. 575 c.p., nella forma tentata, o i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., nonché dagli articoli 582 e 583 quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p.), potrebbe non comprendere alcune condotte, quali ad esempio le percosse (sanzionate dall’art. 581 c.p.), ovvero tutte le forme di violenza c.d. economica, forma di violenza compresa nell’ambito applicativo della Convenzione di Istanbul, che si realizza quando il coniuge ovvero il genitore, pur avendo disponibilità di mezzi si sottrae agli obblighi di assistenza o mantenimento (condotte sanzionate penalmente sia dall’art. 570 c.p., sia dall’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970). L’ampia nozione richiamata dall’art. 473-bis.40 permetterà di consentire una più diffusa applicazione delle disposizioni in esame, in presenza di tutte le forma di violenza, fisica, economica, psicologica, in aderenza a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul. Inoltre, permetterà al giudice di attivare la “corsia preferenziale” riconosciuta per i procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso, anche a prescindere dalla necessità di ricondurre le condotte allegate a specifiche ipotesi di reato, poiché il diverso ambito di accertamento proprio dei giudizi civili e minorili, rispetto a quelli penali, potrà far ritenere sussistenti ipotesi di violenza o di abuso rilevanti per la disciplina dell’affidamento dei minori o per l’accertamento dell’addebito della separazione, anche in presenza di cause di estinzione del reato (per esempio in presenza di prescrizioni) o in mancanza di condizioni di procedibilità (per esempio qualora si tratti di fatti perseguibili a querela di parte e i termini per la presentazione della querela siano spirati). È, infatti, di immediata evidenza come condotte violente, anche se non perseguibili penalmente, abbiano incidenza nei rapporti tra le parti, e debbano essere considerate per la valutazione delle domande di contenuto civilistico (addebito della separazione), ma soprattutto per la valutazione delle domande di affidamento dei minori, che presuppongono la valutazione della capacità genitoriale, in quanto un genitore violento con l’altro, non può essere considerato un buon genitore, avendo esposto i figli alla violenza assistita, e avendo veicolato un modello educativo distorto e che l’ordinamento ha il dovere di censurare.

L’articolo 473-bis.41 c.p.c., nel richiamare le norme generali quanto ai requisiti degli atti introduttivi prodotti dalle parti o dal pubblico ministero, contiene una precisazione: gli atti introduttivi devono contenere specifico riferimento a eventuali procedimenti, anche pendenti, relativi alle condotte violente o di abuso. L’onere non è posto a carico della sola parte che lamenti di essere vittima di violenza, ma è diretto ad ogni parte processuale, e al pubblico ministero. Pertanto, anche il presunto autore della violenza qualora proponga ricorso ovvero si costituisca come resistente, in uno dei procedimenti di cui all’art. 473-bis dovrà segnalare se risultino procedimenti relativi a condotte violente o di abuso. Il secondo comma dell’articolo in esame stabilisce che al ricorso o alla comparsa di costituzione devono essere allegati sia i provvedimenti relativi alle parti o al minore emessi dall’autorità giudiziaria (penale, civile o minorile) ovvero da altre pubbliche autorità (si pensi all’ammonimento emesso dal Questore in presenza di violenza domestica), sia atti dai quali possano desumersi elementi per verificare la fondatezza delle allegazioni di violenza (quali i verbali delle sommarie informazioni rese nel corso delle indagini, ovvero i verbali delle deposizioni rese dai testimoni durante il dibattimento penale). L’elencazione è meramente esemplificativa in quanto la norma, nella prima parte si riferisce genericamente agli “accertamenti svolti”, lasciando alle parti libertà di allegare ogni elemento ritenuto utile a sostegno dell’allegazione di violenza, o teso alla sua negazione.

L’articolo 473-bis.42 c.p.c. disciplina il procedimento in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, prevedendo, al comma 1, la possibilità per il giudice di disporre l’abbreviazione di tutti i termini fino alla metà e di disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile (beninteso, salvaguardando il contraddittorio e il diritto alla prova contraria, al fine di assicurare il giusto processo), al fine di garantire una rapida trattazione del giudizio ed una immediata risposta di giustizia, in attuazione del principio di delega contenuto nell’art.1, comma 23, lett. t), l. n. 206/2021. Il secondo comma prevede disposizioni volte a prevenire la vittimizzazione secondaria, prevedendo che debbano sempre essere tutelate la sfera personale, la dignità, la personalità e la sicurezza della vittima. Quanto alla necessità di evitare contatti diretti, il giudice potrà ricorrere all’udienza da remoto, ovvero a scansioni orarie della comparizione delle parti che, ferma la presenza dei difensori per assicurare la pienezza del contraddittorio, potranno evitare contatti diretti tra presunta vittima e presunto autore della condotta. Al medesimo scopo, il quarto comma prevede la possibilità di disporre, a tutela della vittima la secretazione dell’indirizzo di residenza, quando la stessa sia collocata in struttura protetta e in presenza di esigenze di sicurezza. Il comma terzo, aderendo ad una specifica indicazione della legge delega e sulla scorta delle previsioni della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, prevede che il decreto di fissazione dell’udienza non debba contenere l’invito alle parti a rivolgersi ad un mediatore familiare, quando nei confronti di una delle parti è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche non definitiva, o provvedimento cautelare civile o penale ovvero penda procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’art. 415-bis codice di procedura penale per abusi o violenze. Tale disposizione è stata riformulata, rispetto alla sua versione originale, in adesione a quanto richiesto dalle Commissioni giustizia del Senato e della Camera nei pareri espressi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge delega. La disposizione precisa, tuttavia, che qualora il giudice, nel corso del procedimento, ravvisi l’insussistenza dei fatti di violenza, anche all’esito degli accertamenti preliminari cui è tenuto già dalle prime fasi del procedimento, potrà invitare alla mediazione o tentare la conciliazione. La scelta sottesa a questo netto divieto nasce dalla necessità di scongiurare il rischio di vittimizzazione secondaria che si realizza quando una parte vittima di violenza o di abuso sia indotta, per invito del giudice o per sollecitazione normativa, a sedersi al tavolo di mediazione o di conciliazione con l’autore della violenza, con il rischio che la dinamica di sopraffazione violenta si riproduca anche in questo contesto. Il quinto comma prevede che al fine di garantire il massimo coordinamento tra le autorità che nei diversi ambiti di competenza possono essere chiamate ad accertare i medesimi fatti di violenza o di abuso, prevede che sia il giudice a richiedere, anche d’ufficio e senza ritardo, al pubblico ministero ovvero alle altre autorità competenti (giudice penale, giudice minorile, autorità amministrativa) informazioni in merito ai diversi procedimenti pendenti, con trasmissione degli atti (ove ostensibili, perché non coperti da segreto istruttorio) entro il termine di quindici giorni. È espressamente previsto che il pubblico ministero presenti memorie e produca atti, la disposizione - al contrario di quella generale che disciplina i poteri del pubblico ministero, prevedendo la facoltà di produrre memorie e documenti (cfr. articolo 72 c.p.c.) - dispone che il pubblico ministero rivesta necessariamente un ruolo attivo nei giudizi in esame, onerandolo di partecipare non con un contributo meramente formale ma assumendo un ruolo effettivo, che può pienamente assicurare in ragione del bagaglio conoscitivo al quale tale organo accede e del ruolo che lo stesso riveste nel procedimento penale e in quello civile e minorile. Fino alla costituzione del nuovo tribunale per le persone, per le famiglie e per i minorenni sarà necessario un ampio coordinamento tra il pubblico ministero operante presso la Procura della Repubblica dinanzi al tribunale ordinario e il pubblico ministero minorile, per permettere che le informazioni nella disponibilità delle diverse autorità inquirenti possano essere trasfuse nei giudizi civili o minorili. Il sesto comma prevede espressamente che non si applicano le disposizioni relative alla necessaria presenza delle parti e al tentativo di conciliazione, per quanto sopra evidenziato con riguardo alle previsioni inserite nel terzo comma.

L’articolo 473-bis.43 c.p.c. dispone il divieto di mediazione e conciliazione familiare, in attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. f), n), m). Il legislatore delegato ha espressamente previsto che in presenza di allegazioni di violenza domestica, di genere o di abuso sarà omesso il tentativo di conciliazione, e sarà vietata la mediazione. Tali principi sono stati attuati nella norma in esame che dispone il divieto da parte dei giudice di invitare alla mediazione o di procedere alla conciliazione e il divieto da parte del mediatore di procedere alla mediazione in presenza di condanne o di pendenza di procedimenti penali, per fatti commessi da una parte in danno dell’altra o dei figli minori delle parti (comma 1 , lett. a); anche in questo caso, come da sollecitazione della Commissione giustizia della Camera dei Deputati, si è specificato che il procedimento deve trovarsi in una fase successiva a quella di cui all’articolo 415-bis del codice di procedura penale). Le medesime misure scattano, altresì, anche solo in presenza di allegazioni di violenza o di emersione di tali condotte nel corso del procedimento (comma 1, lett. b)).

L’articolo 473-bis.44 c.p.c. disciplina l’attività istruttoria in presenza di allegazioni di violenza domestica o di abuso. Ratio delle disposizioni in esame è anticipare l’accertamento sulla fondatezza o meno delle allegazioni di violenza alle fasi preliminari del giudizio, al fine di garantire che l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, avvenga sulla base di riscontri, seppure sommari. La norma al primo comma prevede che il giudice proceda, senza ritardo, e anche d’ufficio all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti per tutelare la presunta vittima, e adottando le idonee modalità di tenuta dell’udienza a garanzia della vittima, ovvero su richiesta della stessa. Il libero interrogatorio delle parti può essere di grande ausilio per il giudice perché permette di mettere a confronto le diverse narrazioni in relazione ai medesimi fatti, confronto che può fornite elementi a sostegno o a contrasto delle contrapposte ricostruzioni degli eventi; inoltre permette di acquisire ulteriori elementi per procedere alla istruttoria (per esempio per accertare al di là di quanto indicato negli scritti introduttivi se qualcuno tra parenti, amici o vicini di casa, sia in grado di riferire in merito alle condotte di violenza o abuso, persona che potrà poi essere escussa direttamente dal giudice con attivazione dei poteri d’ufficio allo stesso riconosciuti). Quanto alla necessità di evitare contatti diretti il giudice potrà ricorrere all’udienza da remoto, ovvero a scansioni orarie della comparizione delle parti che ferma la presenza dei difensori, per assicurare la pienezza del contraddittorio, potranno evitare contatti diretti tra presunta vittima e presunto autore della condotta. Il giudice, per accertare le condotte violente o di abuso, e quindi per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni di parte, dovrà disporre senza ritardo e pure d’ufficio, “anche di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile” mezzi di prova, e ciò in attuazione del principio di delega contenuto nell’art.1, comma 23, lett. t), l. n. 206/2021. Al fine di garantire il rispetto del giusto processo, il giudice dovrà comunque avere cura di garantire il contraddittorio e il diritto alla prova contraria. A titolo esemplificativo è previsto che possano essere escussi soggetti che potrebbero aver assistito a fatti di violenza o abuso, ovvero acquisiti documenti presso uffici pubblici (si pensi ai Pronto soccorso) o uffici delle Forze dell’Ordine (si pensi ai verbali di accesso degli operatori chiamati per interventi sui luoghi), sempre previo rispetto dell’eventuale segreto istruttorio quando siano in corso indagini penali.

Il secondo comma della norma detta poi specifiche norme nel caso di nomina di CTU ovvero di incarico ai servizi socio-assistenziali o sanitari in procedimenti che presentino allegazioni di violenza o di abuso, disponendo espressamente che il giudice quando provvede alla nomina del CTU (da scegliere tra quelli dotati di specifica competenza in materia) o all’incarico ai Servizi, deve indicare nel provvedimento la presenza di allegazioni di violenza o di abuso. La precisazione è necessaria per la natura degli accertamenti che possono essere demandati al consulente tecnico ovvero ai responsabili del Servizio, che non potendo accertare i fatti, compito riservato in via esclusiva al giudice, devono essere posti a conoscenza delle eventuali allegazioni di violenza, per evitare che questi procedimenti, connotati di elementi di specialità, vengano trattati al pari di quelli connotati da mera conflittualità, con conseguente elevato rischio di porre in essere condotte di vittimizzazione secondaria, proprio per il mancato riconoscimento della possibile violenza domestica o della presenza di possibili abusi. Sempre a tal fine dovranno dal giudice essere specificati gli accertamenti da compiere e le misure da adottare (per esempio avendo cura di prevedere che le parti non siano convocate contemporaneamente ovvero che non si trovino a sedere intorno allo stesso tavolo di consulenza, ma invitando il CTU o i responsabili del Servizio ad adottare opportune cautele quali ad esempio collegamenti da remoto per i colloqui congiunti). In adesione al consolidato orientamento della Corte di Cassazione per il quale non possono essere poste a fondamento delle valutazioni del CTU metodologie che non siano approvate dalla comunità scientifica internazionale (in particolare la sindrome di alienazione parentale cfr. sul punto Cass., sent. n. 7041, del 20 marzo 2013; Cass., ord. N. 13217, del 17 maggio 2021) il CTU dovrà indicare espressamente a quali di queste intende riferirsi, con la precisazione che le valutazioni su caratteristiche e profili di personalità dovranno essere fondate sui parametri assunti a riferimento. È espressamente prevista, come si è detto, la possibilità per il giudice di disporre la secretazione nelle relazioni del servizio e nella CTU dell’indirizzo della vittima di violenza quando sussistano esigenze di tutela.

L’articolo 473-bis.45 c.p.c. disciplina l’ascolto del minore prevedendo espressamente che in presenza di procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso il giudice debba procedere all’adempimento personalmente e senza ritardo, assicurando il coordinamento con l’autorità penale (per esempio acquisendo i verbali e le videoregistrazioni dell’ascolto avvenuto in ambito penale nel corso dell’incidente probatorio), ed avendo cura di evitare ogni contatto diretto tra il minore e il presunto autore della violenza e dell’abuso. Ratio della disposizione è assicurare che in presenza di questi procedimenti sia il giudice, preferibilmente nell’ambito di quegli accertamenti preliminari che devono precedere l’adozione dei provvedimenti anche provvisori, ad avere percezione diretta di quanto riferisce il minore, per cogliere personalmente tutti gli elementi che il linguaggio non verbale, particolarmente significativo per i minori, può fornire. Sono espressamente richiamate le norme generali in materia di ascolto del minore, in particolare la disposizione che ne prevede la videoregistrazione, ed è previsto al fine di scongiurare il rischio che la reiterazione degli ascolti nei diversi procedimenti che possono vedere coinvolto il minore possa tradursi in una forma di vittimizzazione secondaria, che non si proceda all’ascolto diretto quando il minore sia stato già ascoltato e le risultanze dell’ascolto, acquisite agli atti, siano ritenute dal giudice procedente con provvedimento motivato sufficienti ed esaustive.

L’articolo 473-bis.46 c.p.c. chiarisce espressamente che i provvedimenti provvisori in presenza di allegazioni di violenza o abuso potranno essere adottati solo dopo che il giudice abbia realizzato l’istruttoria anche sommaria, che è obbligato a compiere in presenza di queste allegazioni. L’istruttoria potrà essere fondata anche solo sull’acquisizione di documenti quando esaustivi per far emergere, quanto meno a livello di fumus, la presenza di agiti violenti o abusanti posti in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori delle parti stesse, ovvero potrà richiedere specifici accertamenti come l’escussione di testimoni o l’ascolto del minore. Il fine è quello di assicurare tutela alla vittima, già dall’emissione dei primi provvedimenti, in particolare fare in modo che la disciplina dell’affidamento dei figli minori o la regolamentazione del regime di frequentazione dei minori, rispetti quanto previsto dal richiamato art. 31 della Convenzione di Istanbul. La norma precisa che ogni provvedimento dovrà assicurare piena tutela alle vittime anche con l’intervento dei servizi socio assistenziali e sanitari, e con adeguata disciplina del diritto di visita tale da non compromettere la sicurezza delle vittime stesse (per esempio prevedendo visite protette, ovvero nei casi meno gravi evitando contatti diretti tra vittima e autore della violenza prevedendo che i minori vengano prelevati e ricondotti nell’abitazione della vittima della violenza non dal presunto autore della stessa ma da altri soggetti -parenti, operatori dei servizi- ovvero prevedendo che il prelievo dei minori e il loro accompagnamento avvenga presso l’istituto scolastico). È fatto espresso riferimento alla possibilità di adottare le misure previse dell’art. 342 bis c.c. che disciplina gli ordini di protezione. È inoltre espressamente previsto che nel caso di collocazione della vittima di violenza presso struttura protetta il giudice, quando opportuno, conferisca incarico ai servizi sociali e/o sanitari anche al fine di adottare adeguati progetti per il reinserimento sociale e lavorativo della vittima.

La Sezione II contiene le norme speciali destinate a trovare applicazione nei soli procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni.

L’articolo 473-bis.47 c.p.c. individua il tribunale territorialmente competente per i procedimenti di cui si è detto.

Il criterio principale, in caso di presenza di figli minori, è sempre quello della residenza abituale degli stessi. In mancanza, è competente il tribunale del luogo di residenza del convenuto. Nel caso di irreperibilità o residenza all’estero del convenuto, è competente il tribunale di residenza dell’attore; qualora, poi, anche l’attore risieda all’estero è competente qualunque tribunale della repubblica. I criteri residuali sono quelli già attualmente previsti dagli articoli 706 del codice di procedura civile e art. 4, comma 1, l. n. 898/1970, applicabili anche ai procedimenti di scioglimento dell’unione civile, in forza dell’art. 1, comma 25, l. n. 76/2016.

Nell’articolo 473-bis.12 c.p.c., che disciplina per tutte le ipotesi ricomprese nell’ambito di applicazione del rito unitario la forma dell’atto introduttivo e le connesse necessarie allegazioni, si è previsto al terzo comma che nei casi di domande di contributo economico o in presenza di figli minori, debbano essere allegati al ricorso le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali, gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni. La norma di cui all’articolo 473-bis.48 c.p.c. intende estendere tale portata precettiva nell’ambito dei procedimenti della crisi familiare (procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni) in via generale, tenuto conto che, anche in assenza di prole ovvero di richieste di contributo economico, l’assetto da stabilirsi comunque dipende da una valutazione del quadro economico sottostante, per la quale risulta necessario disporre della necessaria documentazione di riferimento. Ciò anche al fine di avere contezza dei presupposti fattuali in forza dei quali sono stati assunti determinati provvedimenti, e conoscere quindi i necessari dati per una eventuale futura modifica o variazione dell’assetto così determinato.

La norma di cui all’articolo 473-bis.49 c.p.c. dà attuazione a uno dei principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lett. bb), l. n. 206/2021, nella parte in cui si invita il legislatore delegato a “prevedere che nel processo di separazione tanto il ricorrente quanto il convenuto abbiano facoltà di proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo che quest’ultima sia procedibile solo all’esito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine previsto dall'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto queste domande qualora pendenti tra le stesse parti dinanzi al medesimo tribunale, assicurando in entrambi i casi l'autonomia dei diversi capi della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti”.

A seguito dell’entrata in vigore della l. 6 maggio 2015, n. 55, che ha previsto la riduzione dei termini per proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla data della comparizione dei coniugi nell’udienza presidenziale del procedimento di separazione, è emersa con sempre maggiore urgenza la necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione.

Per dare risposta a questa esigenza, la norma in esame prevede, al primo comma, la possibilità di contemporanea proposizione di giudizio di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso, in quanto come di recente affermato dalla Suprema Corte la contemporanea proposizione di domande di stato, tra le quali sussista rapporto di pregiudizialità, essendo necessario il passaggio in giudicato dell’una domanda perché ricorra la condizione per proporre l’altra, non è ostacolata dall’esistenza di un rapporto di pregiudizialità, potendo la seconda domanda essere decisa solo all’esito del passaggio in giudicato della prima (cfr. ex plurimis, le decisioni in merito alla contemporanea proposizione di domanda di disconoscimento di paternità e di accertamento giudiziale di paternità, tra le quali Cass. Civ., ord. 3 luglio 2018, n. 17392). La possibilità, sia per il ricorrente sia per il convenuto, di proporre contemporaneamente domanda di separazione e di divorzio nel medesimo giudizio, garantirà economie processuali, considerata la perfetta sovrapponibilità di molte delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole) e, pur nella diversità della domanda, la analogia degli accertamenti istruttori da compiere ad altri fini (si pensi alle domande di contributo economico in favore del coniuge e di assegno divorzile per l’ex coniuge), con considerevole risparmio di tempo e di energie processuali. La possibilità prevista nel comma quarto della norma di definire il giudizio con la decisione su ciascuna domanda, nei diversi capi dell’unica sentenza (per esempio specifici capi su: addebito della separazione; determinazione di assegno di mantenimento per il coniuge debole con decorrenza dalla data della domanda della separazione fino alla data di passaggio in giudicato della pronuncia sulla status del divorzio - ovvero dalla data di proposizione della domanda di divorzio; determinazione di assegno divorzile con decorrenza dalla data di passaggio in giudicato della pronuncia sullo status di divorzio- ovvero dalla data di proposizione della domanda di divorzio; unica pronuncia per le domande sull’affidamento dei figli, sul loro mantenimento e sull’assegnazione della casa familiare) non priverà nessuna delle parti della pronuncia sulle domande formulate, pur garantendo il sopra richiamato risparmio di energie processuali e di procedimenti nei gradi successivi, in caso di impugnazione dei provvedimenti pronunciati.

Nel dettaglio, il primo comma della norma in esame prevede quindi la possibilità di proporre contemporanea domanda di separazione e di divorzio, precisando che il divorzio potrà essere pronunciato solo previa verifica dei presupposti richiesti dalla normativa vigente (“Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale”).

Mantenendo dunque ferma l’applicazione delle disposizioni in vigore che regolano dal punto di vista sostanziale il rapporto intercorrente tra l’istituto del divorzio e quello, allo stesso pregiudiziale (salvi ovviamente i casi di divorzio diretto) della separazione giudiziale, il divorzio potrà essere pronunciato, e le domande allo stesso accessorie (per es. domanda di assegno divorzile, di mantenimento del cognome del marito, o di liquidazione della quota di trattamento di fine rapporto) potranno essere decise, soltanto dopo che già sia stata pronunciata, nel medesimo giudizio, la sentenza parziale di separazione, previo accertamento che tale decisione sia passata in giudicato e che sia trascorso il tempo richiesto (allo stato, dopo le modifiche introdotte dalla l. 6 maggio 2015, n. 55, un anno) dalla comparizione delle parti dinanzi al giudice nel procedimento in esame (nel quale sono state proposte contemporaneamente le domande di separazione e divorzio). Qualora tali presupposti non dovessero essere sussistenti, la domanda di divorzio e le domande accessorie dovranno essere dichiarate improcedibili.

Il secondo e il terzo comma della norma in esame introducono un altro strumento di accelerazione finalizzato a concentrare l’istruttoria e a ridurre considerevolmente il numero dei procedimenti pendenti prevedendo la possibilità di procedere alla riunione di procedimenti tra le stesse parti di separazione e di scioglimento o cessazione del vincolo matrimoniale quando contemporaneamente pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi (secondo comma) ovvero davanti al medesimo ufficio (terzo comma). Accade, infatti, sempre più di frequente che, pendente un processo di separazione giudiziale, nel corso del quale viene pronunciata sentenza parziale di separazione, venga proposta domanda di divorzio dopo che sia intervenuto il passaggio in giudicato della decisione sulla separazione (ma prima che il processo si sia interamente concluso). La norma prevede dunque la possibilità di riunire tali procedimenti (“Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’articolo 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 12, primo comma (competenza per territorio)”), soggettivamente ed oggettivamente connessi, con considerevole risparmio di energie processuali, potendo con la riunione essere trasfusa l’intera istruttoria già realizzata nel procedimento separativo all’interno del procedimento divorzile. Oltre a tale economia processuale, la riunione consente di ridurre il numero dei procedimenti pendenti dinanzi alle Corti superiori, in quanto, qualora impugnata la sentenza emessa all’esito della definizione del giudizio di primo grado sui procedimenti riuniti genererà un unico procedimento pendente in Corte da Appello ed in Cassazione, in luogo di due (impugnazione della separazione e successivamente del divorzio). La norma introduce poi nel terzo comma anche un espresso richiamo all’art. 274 c.p.c. (“Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274”), che disciplina la riunione tra procedimenti connessi, disposizione che sarà applicabile nel caso di specie, rimettendo pertanto al giudice procedente la valutazione della opportunità della riunione, anche in considerazione delle fasi processuali dei due distinti giudizi.

L’ultimo comma (“La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”) precisa che la sentenza emessa nei procedimenti nei quali o per scelta di una delle parti (comma primo), o per successiva riunione operata dal giudice (comma secondo e comma terzo) siano decise domande di separazione e di divorzio, nonché le domande accessorie all’una o all’altra domanda, che la decisione dovrà contenere specifici capi, al fine di stabilire l’esatta applicazione delle diverse statuizioni, in particolare anche dal punto di vista della loro dimensione temporale. Viene quindi specificamente indicata la necessità di puntualizzare la diversa decorrenza dell’assegno di mantenimento o di divorzio in favore del coniuge o dell’ex coniuge debole, stante la rilevanza statistica di tali domande, e al fine di evitare possibili sovrapposizioni di pronunce, con potenziali problemi di contraddittorietà di giudicati e di controversie nella fase esecutiva.

L’articolo 473-bis.50 c.p.c. attua i principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lettere g) e r), l. n. 206/2021, nella parte in cui è disposto che “in assenza di limitazioni o provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale, nell'assumere i provvedimenti circa l'affido dei figli minori il giudice indichi quali sono le informazioni che ciascun genitore deve obbligatoriamente comunicare all'altro” (lett. g) e che “nell'adottare i provvedimenti temporanei e urgenti il giudice possa formulare una proposta di piano genitoriale nella quale illustrare la complessiva situazione di vita del minore e le sue esigenze dal punto di vista dell'affidamento e dei tempi di frequentazione dei genitori, nonché del mantenimento, dell'istruzione, dell'educazione e dell'assistenza morale del minore, nel rispetto dei principi previsti dall'articolo 337-ter del codice civile;… all'interno del piano genitoriale siano individuati i punti sui quali vi sia l'accordo dei genitori e che il mancato rispetto delle condizioni previste nel piano genitoriale costituisce comportamento sanzionabile ai sensi dell'articolo 709-ter del codice di procedura civile” (lett. r)

La norma, da leggersi in collegamento con quella di cui all’articolo 473 bis.12 c.p.c. (che al quarto comma precisa che “Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute”) prevede che, con i provvedimenti, anche temporanei, che statuiscono sull’affidamento della prole, il giudice indichi le informazioni che ciascun genitore deve comunicare all’altro e costituisce piana applicazione dei principi dell’affidamento, anche per le ipotesi di affidamento esclusivo o esclusivo rafforzato. Invero, anche in queste ultime due ipotesi il genitore non affidatario mantiene il generale potere/dovere di vigilanza (art. 337 quater, ultimo comma, c.c.), che può essere esercitato solo ove il genitore sia in possesso delle informazioni sulla vita del figlio. La previsione che sia il giudice a indicare specificatamente le informazioni che un genitore deve comunicare all’altro avrà un effetto deflattivo del contenzioso “satellitare”, così impedendo il sorgere di controversie aventi ad oggetto l’individuazione delle notizie sulla vita del figlio che ciascun genitore ha il diritto di avere dall’altro.

La seconda parte dell’articolo prevede che, nel formulare la propria proposta di piano genitoriale, il giudice tenga conto di quelli allegati dalle parti, pur potendosene discostare, in ragione degli ampi poteri officiosi di cui dispone. La violazione del piano genitoriale proposto dal giudice e accettato dai genitori, costituisce autonomo comportamento sanzionabile ai sensi dell’art. 473 bis.39 c.p.c.

L’articolo 473-bis.51 c.p.c. attua i principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 17 lett. o), nella parte in cui è disposto di “prevedere che nei procedimenti di separazione consensuale, di istanza congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio le parti possono formulare rinuncia alla partecipazione all'udienza, confermando nelle conclusioni del ricorso la volontà di non volersi riconciliare con l'altra parte purché offrano una descrizione riassuntiva delle disponibilità reddituali e patrimoniali relative al triennio antecedente e depositino la relativa documentazione” nonché quelli di cui all’art. 1, comma 23 lett. hh) laddove è richiesto di “introdurre un unico rito per i procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, modellato sul procedimento previsto dall'articolo 711 del codice di procedura civile, disponendo che nel ricorso debba essere contenuta l'indicazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e degli oneri a carico delle parti, prevedendo la possibilità che l'udienza per il tentativo di conciliazione delle parti si svolga con modalità di scambio di note scritte e che le parti possano a tal fine rilasciare dichiarazione contenente la volontà di non volersi riconciliare” e di “introdurre un unico rito per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell'articolo 711 del codice di procedura civile, alla revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati, strutturato mediante presentazione di istanza congiunta e successiva decisione da parte del tribunale, prevedendo la fissazione dell'udienza di comparizione personale delle parti nei soli casi di richiesta congiunta delle parti ovvero nelle ipotesi in cui il tribunale ravvisi la necessità di approfondimenti in merito alle condizioni proposte dalle parti”.

In attualità i procedimenti su domanda congiunta prevedono tre modelli differenti:

- quello di cui al combinato disposto di cui agli articoli 158 del codice civile e 711 del codice di procedura civile, che si conclude con il decreto collegiale di omologazione delle condizioni della separazione consensuale. Ove il tribunale ritenga che le condizioni volute dai coniugi siano in contrasto con l’interesse dei figli, può suggerire ai coniugi le modifiche da apportare; in caso di rifiuto dei coniugi il tribunale può rifiutare l’omologazione della separazione che, pertanto, rimane improduttiva di effetti;

- quello di cui all’art. 4, comma 16 L. 898/70, applicabile, ex art 1, comma 25 l. n. 76/2016 allo scioglimento dell’unione civile, che si conclude con sentenza; ove il tribunale ritenga che le condizioni proposte dai coniugi siano in contrasto con l’interesse dei figli, dispone automaticamente, l’apertura del procedimento contenzioso secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 8, l. n. 898/70;

- quello, frutto di elaborazione giurisprudenziale, per le domande congiunte riguardanti le modalità di affidamento e mantenimento dei minori i cui genitori non sono legati da vincolo di coniugio. In questi casi la domanda si propone con ricorso e il tribunale, se non ravvisa contrasto tra le condizioni proposte dai genitori e l’interesse dei figli, provvede con decreto emesso in camera di consiglio in conformità con le domande delle parti; in alcuni casi la prassi prevede la preventiva convocazione delle parti, in altri casi no.

L’articolo in esame introduce, in ossequio con i principi di delega, un rito unitario anche per i procedimenti su domanda congiunta.

Il primo comma fissa come criterio di competenza territoriale quello della residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte, ponendosi in consonanza anche con il criterio generale dell’art. 473 bis.11 c.p.c. in ragione del fatto che i figli minori della coppia risiederanno o avranno domicilio presso l’una o l’altra parte. In presenza di minori collocati fuori dalla famiglia di origine il procedimento congiunto non potrà riguardare i provvedimenti a tutela dei figli, che dovranno essere richiesti al tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni con altro e diverso procedimento.

Il secondo comma disciplina i requisiti del ricorso, mediante il richiamo all’articolo 473 bis.12 c.p.c. Al ricorso non dovrà essere allegata la documentazione economica, prevista per il procedimento contenzioso, che viene sostituita dalle indicazioni delle parti circa le rispettive disponibilità reddituali e patrimoniali degli ultimi tre anni e degli oneri a loro carico. Si tratta di indicazione indispensabile sia per permettere al giudice di effettuare le doverose verifiche, sia per valutare l’eventuale fondatezza di successive richieste di modifica delle condizioni in precedenza concordate. Il comma precisa altresì, in ossequio a quanto previsto dalla giurisprudenza dominante, che le parti con il ricorso possono regolamentare in tutto in parte i loro rapporti patrimoniali, nel rispetto dell’autonomia negoziale (ex multis Cass. 5 maggio 2021, n. 11795; Cass. SS.UU. 29 luglio 2021, n. 21761). Viene infine prevista la possibilità per le parti di rinunziare all’udienza di comparizione personale delle parti in ottemperanza al principio di delega di cui all’articolo 1, comma 17 lett. o); in questo caso però i coniugi, secondo quanto indicato nel richiamato principio di delega, dovranno depositare la documentazione economica richiesta nel caso di procedimento contenzioso.

Il terzo comma disciplina il procedimento, sul modello previsto dall’attuale articolo 711 del codice di procedura civile, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 23, lett. hh).

Il quarto comma regola la fase decisoria, precisando che il collegio si pronunzia con sentenza. Rispetto al modello processuale attuale di cui all’articolo 711 c.p.c. (che si conclude con il decreto di omologa) si è preferito optare, per ragioni di coerenza sistematica, per l’adozione della forma della sentenza. La delega, del resto, si limita a prevedere che il rito unico per i procedimenti su domanda congiunta sia “modellato” sull’attuale “procedimento” per separazione consensuale, ma non impone che lo stesso debba necessariamente anche essere definito con provvedimento avente la medesima forma prevista per tale fattispecie giudiziale (decreto di omologazione) e non con sentenza. D’altra parte, la natura costitutiva della pronunzia di divorzio (v. da ultimo Cass. SS.UU. 6 luglio 2022, n. 21425) non rendeva possibile prevedere che il procedimento si potesse concludere con un decreto di omologazione delle condizioni concordate dalle parti. Il comma in esame prevede altresì che, in linea con il modello della separazione consensuale, ove il tribunale ritenga gli accordi dei genitori in contrasto con l’interesse dei figli, possa convocare le parti indicando le modificazioni da adottare e, in caso di inidonea soluzione, rigetti la domanda che potrà essere successivamente riproposta.

Il quinto comma disciplina, anche in questo caso in linea con quanto previsto con il principio di delega di cui all’art. 1, comma 23 lett. hh) il procedimento per le domande congiunte di modifica delle precedenti condizioni che diverge da quello disciplinato nei commi precedenti giacché prevede l’udienza di comparizione delle parti solo su loro richiesta congiunta o qualora il tribunale ritenga necessario ottenere chiarimenti in merito alle condizioni proposte. Occorre precisare che il procedimento di cui al quinto comma si applica anche alle domande congiunte di modifica delle condizioni della separazione giudiziale e non solo della separazione consensuale, come potrebbe desumersi dal richiamo letterale contenuto nel principio di delega che, ove attuato pedissequamente, si sarebbe risolto in una norma priva di ragionevolezza e comunque sia in contrasto con le esigenze di unitarietà del rito che sono chiaramente espresse nell’intera legge delega.

In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”, si è ritenuto opportuno, per esigenze sistematiche oltre che per consentire agli operatori del diritto una migliore individuazione e fruizione delle fonti di riferimento, provvedere a una complessiva risistemazione delle disposizioni processuali relative ai diversi procedimenti che con la riforma confluiranno nell’alveo del rito unitario per le persone, per i minorenni e per le famiglie. A tal fine si rende necessario anche il trasferimento “materiale”, all’interno delle nuove disposizioni e in particolare di una apposita Sezione III, delle norme processuali oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile.

Gli articoli da 473-bis.52 a 473-bis.58 c.p.c. operano quindi una sostanziale trasposizione all’interno del nuovo modello processuale delle disposizioni di cui agli articoli da 712 a 720-bis c.p.c., che vengono conseguentemente abrogati.

In particolare, l’articolo 473-bis.52 c.p.c. riproduce tendenzialmente il contenuto dell’articolo 712 c.p.c., ovviamente con la sostituzione delle previsioni relative ai requisiti di forma-contenuto della domanda, per i quali deve oggi farsi riferimento alle norme generali sul nuovo rito unitario a tal fine previste.

L’articolo 473-bis.53 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 713 c.p.c., prevedendo tuttavia espressamente, in ossequio alla struttura del nuovo rito, che il presidente abbia dapprima a nominare il giudice relatore, e quindi a fissare l’udienza di comparizione davanti a questo del ricorrente, dell’interdicendo o dell’inabilitando e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili (secondo quanto già prevede l’articolo 713 c.p.c.).

Sempre seguendo quanto già l’attuale norma di riferimento dispone, il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel comma precedente; e il decreto è infine anche comunicato al pubblico ministero.

L’articolo 473-bis.54 c.p.c. sostituisce gli articoli 714 e 715 c.p.c., prevedendo che all’udienza il giudice relatore, con l’intervento del pubblico ministero, procede all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando, sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione, e può disporre anche d’ufficio l’assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell’articolo 419 c.c.

L’udienza per l’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando si svolge di regola in presenza. Nei casi in cui specifiche esigenze di protezione lo richiedano, e in cui l’interdicendo o l’inabilitando non può quindi comparire per legittimo impedimento o la comparizione personale può arrecargli grave pregiudizio, è peraltro stabilito che il giudice, con l’intervento del pubblico ministero, possa non soltanto recarsi per sentirlo nel luogo in cui si trova, ma altresì, valutata ogni circostanza, disporre che l’udienza si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza, individuando le modalità idonee ad assicurare l’assenza di condizionamenti.

L’articolo 473-bis.55 c.p.c. sostanzialmente riproduce il contenuto degli articoli 716 e 717 c.p.c., con sostituzione della formula “giudice istruttore” con “giudice relatore”, in ossequio alla struttura del nuovo rito unitario per le persone, i minorenni e le famiglie.

L’articolo 473-bis.56 c.p.c. (Impugnazione) riproduce il contenuto degli articoli 718 e 719 c.p.c.

L’articolo 473-bis.57 c.p.c. (Revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione) riproduce il contenuto dell’articolo 720 c.p.c.

L’articolo 473-bis.58 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 720 bis c.p.c., prevedendo che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni della presente sezione. Il giudizio di compatibilità dovrà poi tenere conto del fatto che la trama procedimentale relativa all’amministrazione di sostegno è disciplinata anche da alcune disposizioni contenute nel codice civile, negli articoli 404 e seguenti, e in particolare nell’articolo 407 c.c.

Sempre in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche delle norme processuali dedicate ai procedimenti di assenza e per la dichiarazione della morte presunta, oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile (articoli 721-729 c.p.c.).

Per esigenze di semplificazione, chiarezza e sistematicità, nel raccordo così operato alcune disposizioni, che disciplinavano segmenti analoghi del procedimento, sono state tra loro accorpate.

In questo senso l’articolo 473-bis.59 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 721 c.p.c.

L’articolo 473-bis.60 c.p.c. riproduce il contenuto degli articoli. 722, 723 e 724 c.p.c.

L’articolo 473-bis.61 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 725 c.p.c.

L’articolo 473-bis.62 c.p.c. riproduce il contenuto degli articoli 726, 727 e 728 c.p.c.

L’articolo 473-bis.63 c.p.c. riproduce il contenuto degli articoli 729, 730 e 731 c.p.c.

Sempre in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche delle disposizioni relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati, oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile (articoli 732-734 c.p.c.).

In questo senso l’articolo 473-bis.64 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 732 c.p.c.

L’articolo 473-bis.65 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 733 c.p.c.

L’articolo 473-bis.66 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 734 c.p.c.

Infine, sempre in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche delle disposizioni relative ai rapporti patrimoniali tra coniugi, oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile (articoli 735-736 c.p.c.).

In questo senso l’articolo 473-bis.67 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 735 c.p.c.

L’articolo 473-bis.68 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 736 c.p.c.

Con riferimento all’articolo 473-bis.69 c.p.c. si osserva quanto segue. In occasione della sua introduzione, la normativa concernente gli ordini di protezione contro gli abusi familiari è stata inserita in parte nel codice civile (articoli 342 bis e 342 ter, per i profili sostanziali, in ordine ai presupposti e ai contenuti della tutela) e per altra parte nel codice di procedura civile (articolo 736-bis, per i profili processuali in senso stretto).

Essendo il titolo IV bis del Libro secondo dedicato alle norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, seguendo le indicazioni di un generale coordinamento e raccordo delle disposizioni vigenti, attraverso gli articoli 473-bis.69 c.p.c., 473-bis.70 c.p.c. e 473-bis.71 c.p.c., si è ritenuto di trasferire le disposizioni, con alcune lievi modifiche, all’interno del codice di procedura civile, nel titolo relativo, attraverso la introduzione di una quinta sezione, dal titolo “Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari”.

L’articolo 473-bis.69 c.p.c. costituisce la riproduzione dell’articolo 342-bis c.c. La norma, nell’inciso finale del comma primo, risolve un profilo applicativo della disposizione del codice civile, ammettendo l’adozione dei provvedimenti anche quando la convivenza tra autore dell’illecito e vittima è cessata.

Al secondo comma, è stato introdotto un coordinamento con la competenza attribuita al tribunale per i minorenni, ai sensi degli articoli 333 c.c. e 38 disp. att. (“Quando la condotta può arrecare pregiudizio ai minori, i medesimi provvedimenti possono essere adottati, anche su istanza del pubblico ministero, dal tribunale per i minorenni”).

L’articolo 473-bis.70 c.p.c. riproduce, con lievi variazioni letterali, l’articolo 342-ter c.c.

In coerenza con l’articolo 48 della Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa in data 11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con legge del 27 giugno 2013, n. 77, è stata eliminata la possibilità per il giudice di disporre l’intervento di un centro di mediazione familiare, secondo la previsione originaria dell’art. 342-ter c.c., essendo in tali ipotesi escluso ogni tentativo di accordo o mediazione che implichi la comparizione personale delle parti.

Essendo la misura il risultato di un intervento cautelare del giudice, si è preferito che l’effetto del versamento diretto all’avente diritto della somma che il datore di lavoro deve a titolo retributivo all’obbligato, sia il risultato dell’ordine di protezione e non di un’attività stragiudiziale.

All’articolo 473-bis.71 c.p.c. viene trasferita, con alcune lievi modifiche, la disciplina del procedimento degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, già contenuta nell’articolo 736-bis c.p.c.

L’istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.

Viene quindi adottato un rito monocratico deformalizzato, che presenta analogie con il procedimento cautelare, con eventuale istruttoria e indagini sui redditi nelle forme più opportune, e in caso di urgenza con provvedimento senza immediato contraddittorio, salvo convalida all’udienza fissata, senza un richiamo espresso agli articoli 337 e ss. c.p.c., essendo adottata una regolamentazione autonoma (“Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo.

Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione”).

Il ricorso può essere dunque proposto sia in pendenza del procedimento di merito, innanzi al giudice che lo conduce, oppure ante causam. Questa la novità più significativa, in applicazione del principio direttivo del comma 23 lett. b) l. n. 206/2021.

Il provvedimento è reclamabile, secondo le forme del reclamo camerale (“Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, ai sensi del secondo comma, ovvero conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione precedentemente adottato nel caso di cui al terzo comma, è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 739. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato”).

Si prevede infine che per tutto quanto non previsto dalla norma, al procedimento si applicano gli articoli 737 e seguenti c.p.c. in quanto compatibili.

Quanto all’articolo 473-ter c.p.c., tenuto conto dell’applicazione del rito unitario ai procedimenti contenziosi, e in ossequio alle esigenze di riordino e coordinamento evidenziate dal principio contenuto nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, si è ritenuto opportuno introdurre una norma ricognitiva da applicare a tutti i procedimenti privi di una disciplina ad hoc e sino ad oggi tendenzialmente retti dalle norme relative al rito camerale.

 

Commi 34 e 35

La disposizione di cui al comma 34, lettera a), mantiene, benché modificata, una parte delle disposizioni contenute nell’articolo 475 c.p.c. (abrogato dalla successiva lettera b), in quanto essenziali sotto due profili: a) per la parte in cui si fa riferimento ai successori della parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione; b) per la previsione – non più contenuta nella formula – per la quale il titolo è messo in esecuzione da tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e da chiunque spetti, con l’assistenza del pubblico ministero e il concorso di tutti gli ufficiali della forza pubblica, quando ne siano legalmente richiesti. Venuta meno la formula, e considerando altresì che la disposizione contenuta nell’articolo 513, comma 2, c.p.c. è limitata all’espropriazione mobiliare, si è mantenuta la previsione dell’(attuale) articolo 475, comma 3 c.p.c., inserendola nell’articolo 474 c.p.c., norma d’esordio del libro dedicato all’esecuzione forzata [cfr. lett. a) del comma in esame].

Per quanto riguarda il comma 35, lettere da b) a e), e comma 36, si osserva quanto segue. L’articolo 1, comma 12, lettera a) della legge delega che prescrive al legislatore delegato di “prevedere che, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale devono essere formati in copia attestata conforme all'originale, abrogando le disposizioni del codice di procedura civile e le altre disposizioni legislative che si riferiscono alla formula esecutiva e alla spedizione in forma esecutiva”.

Le disposizioni interessate da tale prescrizione sono principalmente gli articoli 475 e 476 c.p.c. Sennonché il riferimento a “formula esecutiva” e a “spedizione in forma esecutiva” è contenuto anche in altre norme del libro III, in alcune disposizione del libro IV, nonché in innumerevoli leggi speciali, soprattutto di ratifica e esecuzione di accordi e trattati internazionali

In tale contesto, si è mantenuta, benché modificata, una parte delle disposizioni contenute nell’articolo 475 c.p.c. [cfr. lett. b) del comma in esame], in quanto essenziali sotto due profili: a) per la parte in cui si fa riferimento ai successori della parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione; b) per la previsione – non più contenuta nella formula – per la quale il titolo è messo in esecuzione da tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e da chiunque spetti, con l’assistenza del pubblico ministero e il concorso di tutti gli ufficiali della forza pubblica, quando ne siano legalmente richiesti. Venuta meno la formula, e considerando altresì che la disposizione contenuta nell’articolo 513, comma 2, c.p.c. è limitata all’espropriazione mobiliare, si è mantenuta la previsione dell’(attuale) articolo 475, comma 3 c.p.c., inserendola nell’art. 474 c.p.c., norma d’esordio del libro dedicato all’esecuzione forzata [cfr. lett. a) del comma in esame].

La nuova disciplina dettata dalla legge delega implica, oltre alla modifica dell’articolo 475 c.p.c.: i) l’abrogazione dell’articolo 476 (lett. c), anche in considerazione della forma telematica delle copie del titolo (per titolo giudiziale e notarile), ii) la modifica degli articoli 478 c.p.c. e 479 c.p.c. [lett. d) ed e)]; iii) la modifica dell’ultimo comma dell’articolo 488 c.p.c., mantenendo comunque in capo al giudice la possibilità di richiedere al creditore l’esibizione dell’originale del titolo o della copia autenticata dal cancelliere o dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a ogni richiesta del giudice, anche in considerazione del fatto che vi sono in circolazione ancora molti titoli non in copia digitale; iv) l’abrogazione dell’ultimo comma dell’articolo 492 c.p.c., sostituito in virtù della modifica dell’articolo 492 bis c.p.c.

 

Comma 36

Un gruppo di norme dà attuazione ai criteri di cui alla lettera b) del comma 12, che prevede la sospensione del termine di efficacia del precetto durante l’espletamento delle attività disposte dall’art. 492 bis c.p.c., nonché alla lettera b) del comma 13 che autorizza interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai o ad altri professionisti dotati di specifiche competenze delle funzioni amministrative nella volontaria giurisdizione attualmente assegnate al giudice civile (oltre che al giudice minorile).

In virtù di dette previsioni si sono riformati l’articolo 492 c.p.c., inserendo un nuovo testo nell’ultimo comma, l’art. 492 bis, nonché gli articoli 155 bis, ter e quinques delle disp. att. c.p.c.

Quanto alle modifiche da apportare all’articolo 492-bis si è diversificata la disciplina dell’istituto secondo che l’istanza per le ricerche telematiche venga inoltrata dopo la notifica del precetto e dopo il decorso del termine dilatorio previsto dall’art. 482 c.p.c. ovvero prima.

Nella prima ipotesi, [in attuazione della lettera b) dell’art. 13 della legge delega] è stata soppressa la necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale, in quanto tale attività implica lo svolgimento di meri controlli formali, non diversi da quelli che l’ufficiale giudiziario già svolge prima di procedere al pignoramento. Peraltro, l’ufficiale giudiziario ha già il potere di ricercare i beni del debitore, come prescrive l’art. 492, quarto, quinto e settimo comma, c.p.c., nonché l’art. 513 c.p.c. Tale soppressione, quando il sistema delineato dall’art. 492 bis c.p.c. sarà effettivamente praticabile, avrà senza dubbio un notevole impatto positivo sul carico degli uffici giudiziari e in particolare sui presidenti di tribunale, dato che il numero delle richieste di autorizzazione (attualmente inoltrate ai sensi dell’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c.) è molto elevato (circa 90.000 nel 2021) e in costante crescita.

La disciplina delineata in tal caso prevede che, su istanza del creditore, l’ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificata la regolarità dell’istanza, munito del titolo esecutivo e del precetto, proceda alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.

Diversamente, per l’ipotesi in cui la richiesta preceda la notifica del precetto, o quando ancora non è spirato il termine dilatorio dell’articolo 482, è mantenuta la previsione relativa alla necessità dell’autorizzazione da parte del presidente del tribunale, posto che in tali casi occorre valutare anche il presupposto dell’urgenza.

In ogni caso, il termine di cui all’art. 481, primo comma, rimane sospeso dalla proposizione dell’istanza, vuoi se formulata all’ufficiale giudiziario, ai sensi del primo comma, vuoi se formulata al presidente del tribunale (secondo comma).

La sospensione del termine opera per tutta la durata del subprocedimento di cui all’articolo 492-bis c.p.c., fino alla comunicazione dell’ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti dell’istanza o al rigetto dell’istanza inoltrata al presidente del tribunale, ovvero fino alla comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma, nel caso in cui si sia proceduto con le ricerche.

La comunicazione da parte dell’ufficiale giudiziario – di nuova introduzione nel quarto comma- è necessaria per poter determinare con certezza il momento nel quale il termine dell’articolo 481, primo comma, inizia o riprende a decorrere. Inoltre, per evitare possibili contestazioni in sede di opposizione riguardo alla perenzione del precetto, è stato introdotto un ultimo comma all’articolo 492-bis c.p.c, in virtù del quale si prevede che, al fine della verifica del rispetto dei termini di cui all’articolo 481, primo comma, c.p.c., a pena di inefficacia del pignoramento, il creditore, nel caso di sospensione del termine di cui al terzo comma, con la nota d’iscrizione a ruolo depositi, con le modalità e nei termini previsti dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma, 557, secondo comma, l’istanza, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, nonché la comunicazione del verbale di cui al precedente quarto comma, ovvero la comunicazione dell’ufficiale giudiziario di cui al terzo comma o il provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza.

In conseguenza delle modifiche apportate alle succitate disposizioni, è altresì stato introdotto un nuovo ultimo comma all’articolo 492 c.p.c. (in sostituzione del precedente abrogato in seguito agli interventi operati in relazione alla formula esecutiva), nel quale si prevede che nell’ipotesi dell’articolo 492-bis c.p.c. l’atto o il verbale di pignoramento debba contenere l’indicazione della data di deposito dell’istanza di ricerca telematica dei beni, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, e la data della comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma dello stesso articolo, ovvero la data della comunicazione dell’ufficiale giudiziario di cui all’art. 492, terzo comma, c.p.c. o del provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza. Tale previsione, al pari di quella introdotta nell’ultimo comma dell’art. 492-bis, è volta ad evitare che il debitore, ignaro della sospensione del termine ex art. 481, proponga opposizione sostenendo l’intervenuta perenzione del precetto.

 

Comma 37

Ragioni di coerenza sistematica rispetto all’intervento di cui all’articolo 591ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare, hanno imposto di novellare gli istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (articolo 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (articolo 168 disp. att. c.p.c.).

 

Comma 38

Con i seguenti interventi normativi si è data attuazione alle disposizioni di cui alle lettere d) ed e) del comma 12 della legge delega, concernenti nomina e compiti del custode giudiziario nell’espropriazione forzata immobiliare; esse si muovono nel solco, già in passato praticato dal legislatore, della trasposizione in diritto positivo di prassi c.d. virtuose diffuse negli uffici giudiziari.

Con la delibera adottata all’esito della seduta del 7 dicembre 2021, nell’aggiornare “le linee guida funzionali alla diffusione di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari” già approvate con delibera del giorno 11 ottobre 2017, il Consiglio Superiore della Magistratura aveva favorevolmente apprezzato la prassi della nomina anticipata del custode giudiziario al momento (e contestualmente) alla nomina dell’esperto stimatore. Al proposito, l’organo di autogoverno dei magistrati aveva sottolineato l’opportunità di un supporto convergente e di un operato sinergico di professionalità distinte: l’una - quello dello stimatore – portatore di conoscenze e competenze specialistiche in ordine agli aspetti catastali, planimetrici, urbanistico-edilizi e di estimo; l’altra – quello del custode -, espressione di una formazione in discipline giuridiche, più idonea a cogliere le implicazioni legali salienti della connotazione urbanistica e dello stato di occupazione del cespite, soprattutto nella prospettiva di individuare eventuali situazioni opponibili alla procedura e, pertanto, da considerarsi (dall’esperto stimatore) quali fattori decrementativi del valore di collocazione del bene sul mercato. Aveva poi evidenziato che la coordinata attività dei due professionisti si concretava, nella sua migliore espressione, nell’esame della documentazione ipocatastale, indicando, quale concreta strada operativa, la compilazione di una check-list riepilogativa delle verifiche effettuate (concernenti anche profili di regolarità della procedura esecutiva), dalla quale far emergere, in uno stadio ancora iniziale dell’espropriazione, eventuali criticità inficianti l’ulteriore corso del procedimento.

Ulteriori ragioni, al fondo ispirate alla ricerca di una maggiore efficienza dell’espropriazione, erano state da più parti prospettate in favore dell’anticipazione della nomina del custode rispetto al momento (l’emissione della ordinanza di messa in vendita del bene) previsto dall’articolo 559 c.p.c.: la sostituzione del debitore nelle mansioni di custode (che egli ricopre ex lege dall’epoca di notifica dell’atto di pignoramento: art. 559, primo comma, c.p.c.) consente, per un verso, di assicurare alla procedura la riscossione di frutti e rendite cui il pignoramento dell’immobile si estende (articolo 2912 c.c.) e, dall’altro, permette al custode giudiziario di assolvere una funzione informativa – transattiva (assai diffusa nella prassi) nei confronti del debitore, cioè a dire un’attività informativa sulle possibili definizioni della procedura ancora praticabili senza addivenire alla liquidazione del compendio staggito (conversione del pignoramento, accesso al sovraindebitamento, chiusura con c.d. saldo e stralcio).

Le puntuali e specifiche disposizioni delle lettere d) ed e) del comma 12 non hanno ingenerato particolari difficoltà nell’elaborazione dell’articolato in parte qua attuativo: si è semplicemente trattato di riportare il contenuto già precettivo della legge delega all’interno del pertinente articolo 559 c.p.c.

Di quest’ultima norma, tuttavia, è parso opportuno un riordino che, senza minimamente incidere sulla sua portata dispositiva, superasse dubbi ermeneutici indotti dal difetto di coordinamento con il successivo articolo 560 c.p.c., come modificato dal legislatore nel 2019 e nel 2020.

Si è pertanto proceduto a modificare il secondo comma dell’articolo 559 c.p.c. con la previsione della nomina anticipata del custode (contestuale alla nomina dell’esperto), ribadendo (con l’effetto di assorbire il precedente disposto del quarto e del quinto comma) la ristretta cerchia dei soggetti abilitati all’incarico (da individuarsi nell’istituto vendite giudiziarie o in uno dei professionisti delegabili per le operazioni di vendita inseriti nell’elenco di cui all’articolo 179-ter disp. att. c.p.c.); è stata poi in incipit inserita la clausola di salvezza in forza della quale, in situazioni eccezionali e dall’àmbito applicativo limitatissimo («Salvo che la sostituzione nella custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o della amministrazione del bene o per la vendita») al giudice dell’esecuzione è data facoltà di non provvedere alla sostituzione del debitore con un custode giudiziario.

Il successivo terzo comma recepisce i nuovi compiti del custode giudiziario (che si sommano a quelli analiticamente indicati nel D.M. n. 80/2009), ovvero il controllo, in ausilio all’esperto stimatore, della completezza della documentazione ex articolo 567 c.p.c., con l’aggiunta (apparsa necessaria) di un tempestivo report sull’esito di tale attività mediante relazione informativa in un termine che il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio dei poteri di direzione della procedura, avrà cura di fissare.

Un ulteriore gruppo di norme riguarda l’ordine di liberazione, con riferimento al quale la legge delega [lettere f) ed h), del comma 12] interviene in una duplice direzione: a) sui presupposti e sui tempi dell’emissione del provvedimento; b) sulle modalità della sua attuazione.

È doveroso segnalare come la giurisprudenza di legittimità intenda, in maniera oramai pacifica, il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato regola generale nelle espropriazioni immobiliari, stante l’esplicita disciplina dei casi e dei tempi in cui è esclusa la sua emissione nei confronti del debitore e del suo nucleo familiare abitanti nel cespite staggito; ritenga pertanto l'ordine di liberazione strumento funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all'esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse allo stato di immediata, piena e incondizionata disponibilità dell'immobile.

Quanto ai presupposti ed ai tempi di adozione dell’ordine di liberazione, la legge delega, confermando in sostanza l’impianto risultante dalle modifiche del 2019 e del 2020, distingue due fattispecie, correlate allo stato di occupazione dell’immobile pignorato, a seconda che quest’ultimo (al momento del pignoramento) sia occupato dal debitore a fini diversi dall’abitazione oppure da un terzo privo di titolo opponibile alla procedura (primo caso) ovvero sia abitato dal debitore (secondo caso).

Nel primo caso, l’intento del legislatore delegante è stato visto nell’affermazione della doverosità del provvedimento di liberazione, sottratto alla discrezionalità dell’organo giudicante, e nel chiaro contingentamento dei tempi di adozione dello stesso, con la previsione di un termine ne ultra quem.

Si è così introdotto il settimo comma dell’art. 560 c.p.c. (così formulato: «Il giudice dell’esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell’articolo 617, ordina la liberazione dell’immobile non abitato dall’esecutato e dal suo nucleo familiare oppure occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura non oltre la pronuncia dell’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni»): ricalca, quasi pedissequamente, la formula della legge delega, con l’uso di un presente deontico («ordina») e l’opportuna integrazione di una espressa specificazione regime di impugnazione (opposizione agli atti esecutivi) dell’ordine di liberazione, anche qui senza valenza innovativa, ma meramente ricognitiva di quanto già statuito dall’art. 560 c.p.c. prima delle riforme del 2019 e di quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di nomofilachia.

Nel secondo caso, le modifiche volute dal legislatore delegante sono assai circoscritte.

E’ stato infatti mantenuto l’ordito risultante dalle riforme del 2019/2020: il debitore che, al momento del pignoramento, occupi l’immobile staggito “non perde il possesso” dello stesso sino al decreto di trasferimento; la permanenza nell’occupazione del cespite è ope legis, non abbisogna cioè (come nel sistema anteriore) di una autorizzazione del giudice dell’esecuzione; a fronte di tale rilevante beneficio, sono posti a carico del debitore precisi doveri di collaborazione miranti al buon esito della procedura espropriativa, doveri estesi anche ai familiari conviventi, e l’adempimento continuo di tali obblighi rappresenta la condizione legittimante del permanere del debitore nel godimento dell’abitazione pignorata. Sono tipizzati i presupposti per l’adozione dell’ordine di liberazione, corrispondenti, in un quadro generale e d’insieme delle singole ipotesi, alla violazione di obblighi inerenti all’immobile (cioè a dire obblighi propter rem, non personali del debitore, seppur occasionati dall’immobile) e pregiudizievoli (idonei cioè a ledere l’interesse della procedura a realizzare il miglior risultato economico, diminuendo il valore dell’immobile o determinando una minore appetibilità di esso, o a recare danno alla posizione giuridica dell’aggiudicatario, provocando il sorgere di costi destinati a gravare a suo carico). In questa configurazione, l’ordine di liberazione non assume natura o veste sanzionatoria di qualsivoglia condotta non gradita del debitore, ma mira a garantire un corretto equilibrio tra gli interessi in gioco: da un lato, l’interesse pubblicistico, a liberare l’immobile per “vendere prima e vendere meglio”, realizzare cioè l’ottimale soddisfazione dei crediti azionati e, quindi, in ultima analisi, tutelare il credito; dall’altro l’interesse privatistico del debitore all’abitazione, avente natura di vero e proprio diritto fondamentale, come tale idoneo (secondo quanto affermato da Corte Cost. n. 128/2021) a comprimere (seppur in maniera temporanea) il pieno esercizio della tutela esecutiva.

Proprio l’individuazione della salvaguardia del diritto all’abitazione (secondo la citata pronuncia della Consulta, avente valenza di «diritto sociale», rientrante «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione») come ratio della permanenza ex lege del debitore nell’immobile occupato a fini abitativi ha consentito di sciogliere il nodo sulla possibilità di attribuire il beneficio anche al debitore single: la natura individuale del diritto all’abitazione e l’esigenza di evitare ingiustificate differenziazioni di trattamento, difficilmente compatibili con il principio di eguaglianza, hanno indotto a non recepire stricto sensu la locuzione «convivente» adoperata dal legislatore delegante, in guisa da riconoscere la permanenza sino al trasferimento al debitore che occupi da solo l’immobile.

L’unico ritocco apportato dalla legge delega (e tradotto in una corrispondente interpolazione dell’attuale nono comma, previgente sesto comma) è consistito nella individuazione di una nuova situazione legittimante l’emissione dell’ordine di liberazione anticipata rispetto al trasferimento: il comportamento del debitore che rechi impedimento allo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice dell’esecuzione.

Quanto all’attuazione, la legge delega, con la lettera h) del comma 12, scioglie l’inestricabile groviglio di criticità applicative sollevate dalla formulazione, per vari versi atecnica, del sesto comma dell’articolo 560 c.p.c., come frutto delle plurime e mal coordinate interpolazioni delle leggi n. 12 del 2009 e n. 8 del 2020.

Si opera un ritorno al passato, cioè a dire un ripristino in parte qua della disposizione dell’articolo 560 c.p.c. introdotta dal d.l. n. 59 del 2016 (convertito dalla legge n. 119 del 2016) e poi travolta dalla legge n. 12 del 2019: con il nuovo decimo comma, il custode attua il provvedimento di liberazione dell’immobile pignorato secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l’osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti c.p.c., successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell’interesse dell’aggiudicatario o dell’assegnatario se questi non lo esentano.

Nell’ipotesi di immobile abitato dal debitore, con il nuovo ottavo comma si è precisato, dissipando plurime letture ermeneutiche dell’attuale vigente disposto, che l’ordine di liberazione costituisce provvedimento autonomo e separato, emesso (salvi i casi di ordine anticipato per comportamenti violativi del debitore) contestualmente alla pronuncia del decreto di trasferimento.

Il regime del nuovo ordine di liberazione è dunque perfettamente coerente con il suo disegno (condiviso unanimemente da dottrina e giurisprudenza) di provvedimento selfexecuting, cioè a dire autoesecutivo, con effetti diversi dal decreto di trasferimento (che, comunque, è e resta titolo esecutivo in favore dell’aggiudicatario da azionare nelle forme della procedura per rilascio ex articolo 605 e ss. c.p.c.), attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. del codice, con l’attribuzione al custode – in favore di una maggiore efficienza della procedura - di una ultrattività della funzione, limitata alla materiale liberazione di un immobile divenuto di proprietà di altri e, quindi, non più soggetto al munus custodiale.

 

Comma 39

Lettera a)

Ulteriore disposizione modificata è l’articolo 567 c.p.c. in virtù dell’articolo 1, comma 12, lettera c), della legge delega che detta il seguente criterio: « prevedere che il termine prescritto dal secondo comma dell'articolo 567 del codice di procedura civile per il deposito dell'estratto del catasto e dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni ovvero del certificato notarile sostitutivo coincide con quello previsto dal combinato disposto degli articoli 497 e 501 del medesimo codice per il deposito dell'istanza di vendita, prevedendo che il predetto termine può essere prorogato di ulteriori quarantacinque giorni, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 567 del codice di procedura civile».

La modifica dell’art. 567 c.p.c., dunque, è destinata ad incidere sul “fattore tempo” del processo di espropriazione forzata. In virtù del richiamato criterio di delega si sono pertanto ridotti i termini per il deposito della documentazione di cui all’articolo 567, 2° comma, c.p.c. e per l’eventuale proroga. Benché il termine per il deposito dell’istanza di vendita e quello per il deposito della documentazione ipocatastale coincidano, deve escludersi che, in virtù la nuova formulazione della norma, da un lato, debba necessariamente depositarsi la documentazione unitamente all’istanza di vendita e dall’altro che il deposito della suddetta documentazione possa precedere l’istanza di vendita.

 

Lettere b) e c)

Particolare rilievo assume poi l’introduzione dell’istituto della c.d. vendita diretta, con l’inserimento degli articoli 568 bis e 569 bis c.p.c., in attuazione del criterio di cui alla lettera n) del comma 12 della legge delega.

La previsione, contenuta nella lett. n) del comma 12 del procedimento di vendita c.d. diretta promossa dal debitore, ha lo scopo di favorire una “liquidazione ‘virtuosa’ e rapida attraverso la collaborazione del debitore”, facendo attenzione a non allungare “infruttuosamente i tempi processuali” e ad evitare che siano perpetrate “frodi in danno dei creditori”.

L’idea, contenuta nella legge delega è quella di rendere interessante per l’acquirente l’acquisto del bene, in ragione della verifica giudiziale dei presupposti e, soprattutto, dell’assunzione dei costi del trasferimento e della cancellazione dei gravami a carico della procedura (come già avviene col provvedimento ex articolo 586 c.p.c.).

La legge delega stabiliva:

a) la previsione di una offerta minima legata all’esito del procedimento di stima;

b) una proposta di acquisto irrevocabile per un congruo periodo e garantita da
cauzione per dimostrare la serietà dell’offerta;

c) la possibilità che l’offerta fosse posta in competizione con eventuali altre;

d) la predeterminazione legislativa dei tempi di durata del procedimento di vendita;

e) la previsione che, nell’interesse del debitore e dell’acquirente, il trasferimento fosse compiuto dal giudice dell’esecuzione col provvedimento ex articolo 586 c.p.c., con la cancellazione dei gravami a spese della procedura ovvero che il trasferimento fosse operato con atto privato lasciando al giudice solo l’autorizzazione alla cancellazione dei gravami;

f) la facoltà di delegare a un professionista le operazioni garantendo il rispetto della tempistica
individuata;

g) l’immediata liberazione del bene oggetto di pignoramento da parte del debitore esecutato dopo la presentazione dell’offerta.

La delega poneva, però, una serie di criticità ed introduceva un meccanismo di nessun interesse per la parte debitrice, che non avrebbe mai avuto alcun interesse ad utilizzare l’istituto così come delineato nella legge delega.

Veniano, in primo luogo a due criticità, per così dire, sistematiche.

La prima è quella del rapporto tra questa nuova “vendita immobiliare” e l’udienza disciplinata dall’art. 569 c.p.c., che costituisce sostanzialmente l’unica udienza dell’espropriazione immobiliare. La proposizione dell’istanza non può certamente determinare il venire meno di tale udienza, giacché in questa il giudice dell’esecuzione, oltre a fissare i termini per la vendita ordinaria (articolo 569, 3° comma, c.p.c.), alla quale la vendita c.d. diretta sarebbe alternativa, nel contraddittorio delle parti, (a) svolge i necessari accertamenti prodromici alla vendita, tra cui quello di verificare che il creditore procedente abbia effettuato le notificazioni previste dall’articolo 498, 3° comma, c.p.c., (b) provvede sulle opposizioni agli atti, (c) determina, ai sensi dell’articolo 568 c.p.c., il prezzo base all’esito dell’iter dettato dall’articolo 173-bis, 3° e 4° comma, disp. att. c.p.c. ovvero delega il professionista a tale incombenza sempre all’esito del predetto iter, ai sensi dell’art. 591-bis, 3° comma, n. 1), c.p.c. (disposizione quest’ultima pressoché inutilizzata), (d) fissa l’udienza prevista dall’art. 499, 5° comma, c.p.c. Inoltre, l’udienza ex articolo 569 c.p.c. è “spartiacque” per l’intervento tempestivo dei creditori ai sensi degli articoli 499, 2° comma, 564 e 565 c.p.c., nonché per proporre l’opposizione all’esecuzione fondata su fatti antecedenti, ai sensi dell’articolo 615, 2° comma, seconda parte, c.p.c., quando nel corso della medesima viene disposta la vendita.

La seconda criticità è costituita dal “prezzo base” al di sotto del quale l’offerta della vendita c.d. diretta è inammissibile. Infatti, considerato che il prezzo base, come detto, è determinato dal giudice dell’esecuzione all’udienza ex art. 569 c.p.c., all’esito dell’iter scandito dall’articolo 173 bis, 3° e 4° comma, disp. att. c.p.c., nel termine ultimo per la proposizione dell’istanza per la vendita c.d. diretta (dieci giorni prima della udienza), il medesimo non è stato ancora determinato. Né l’ipotesi di sdoppiare l’udienza, fissando la prima solo per la determinazione del prezzo base, avrebbe pregio, considerato che ciò implicherebbe un’inutile e irrazionale perdita di tempo in ogni procedura solo in funzione della remota eventualità che il debitore proponga la predetta istanza. Del resto, nella prassi, i tempi di fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. sono scanditi dai tempi necessari all’esperto per la valutazione del compendio immobiliare oggetto dell’espropriazione forzata. Nemmeno è ipotizzabile prevedere che in caso di istanza per la vendita c.d. diretta (dieci giorni prima dell’udienza), in pieno iter per la determinazione del prezzo base (ai sensi dell’articolo 173 bis, 4° comma, le parti possono depositare all’udienza note purché queste siano state trasmesse all’esperto almeno 15 giorni prima, per consentire al medesimo di replicare in udienza), il “prezzo base” diventi quello determinato dall’esperto nella relazione di stima.

Di qui l’esigenza di prevedere che, da un lato, dopo la proposizione dell’istanza di vendita diretta da parte del debitore l’udienza di cui all’articolo 569 c.p.c. si tenga comunque, dall’altro, che l’offerta di acquisto depositata unitamente all’istanza del debitore non più tardi di 10 gg. prima dell’udienza debba essere integrata (unitamente alla cauzione) nel caso in cui, all’udienza, il prezzo base determinato dal giudice ai sensi dell’articolo 568 c.p.c. sia superiore al valore determinato nella perizia di stima e, conseguentemente, all’offerta.

Questa soluzione ha il pregio di superare entrambe le criticità in precedenza indicate, ma la vendita c.d. diretta, nella quale è prevista la pubblicità dell’offerta ai sensi dell’articolo 490 c.p.c. e la procedura competitiva tra più offerenti, non sarebbe molto diversa dalla vendita ordinaria di cui all’articolo 569, 3° comma, c.p.c., anche con riferimento ai tempi di attuazione, considerando, tra l’altro, che con la riforma il professionista delegato è tenuto in un anno ad esperire almeno tre tentativi di vendita.

Il procedimento avrebbe, quindi, una scarsissima appetibilità per il debitore in alternativa alla vendita ordinaria. Se poi si considera che la legge delega prevede la liberazione dell’immobile, ancorché abitato dal debitore con la sua famiglia, in termini ristrettissimi, a pena di decadenza dall’istanza, allora è evidente che le prospettive di impiego dell’istituto sarebbero del tutto nulle. Nel caso probabilissimo di accordo tra l’offerente e il debitore affinché quest’ultimo possa continuare ad abitare l’immobile con la sua famiglia, si verificherebbe l’assurdo che il medesimo sarebbe tenuto a lasciare l’immobile libero da persone e da cose, per poi rientrare dopo pochi mesi con le persone e le cose. Non si comprende per quale ragione il debitore dovrebbe preferire la vendita diretta, con offerta formulata al prezzo base e assoggettata alla procedura competitiva, in cui è tenuto entro trenta giorni a liberare l’immobile abitato con la sua famiglia, anziché la vendita ordinaria con offerta dell’interessato “non ostile” a prezzo minimo (ossia ridotto del 25% rispetto al prezzo base), che, a differenza della vendita diretta, meglio gli garantirebbe la permanenza nell’immobile, dal medesimo abitato con la sua famiglia, sino al decreto di trasferimento e, quindi, senza soluzione di continuità. Peraltro, l’obbligo del debitore istante, a pena di decadenza, di liberare entro trenta giorni l’immobile anche se abitato con la sua famiglia, in deroga a quanto stabilito dall’art. 560, 8° comma, c.p.c. pone seri dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina.

La soluzione adottata è quella di un procedimento di vendita diretta a prezzo base senza la procedura competitiva in caso di accordo dei creditori titolati e di quelli indicati dall’articolo 498 c.p.c., manifestato anche tacitamente mediante mancata opposizione; questa soluzione offre al debitore un istituto appetibile, alternativo alla vendita ordinaria, senza alterare gli equilibri e senza pregiudicare gli interessi delle parti nel processo esecutivo.

È pur vero che con l’offerente “non ostile” e l’accordo con i creditori, il debitore può sempre sottrarre il bene alla vendita forzata, previa rinuncia agli atti dei soli creditori titolati (contestuale alla vendita e al pagamento nelle loro mani), senza necessità di ricorrere alla vendita diretta; è anche vero, però, che tale iter è spesso complesso, lungo ed articolato e in alcuni casi il debitore, soprattutto quando i creditori sono istituti bancari o soggetti similari, incontra con questi serie difficoltà finanche alla interlocuzione. La procedura della vendita diretta senza opposizione dei creditori ha il pregio di smussare tali asperità: il creditore troverebbe la sua convenienza non soltanto nella vendita a prezzo base senza ribassi, nemmeno il primo ribasso costituito dal prezzo minimo, ma soprattutto, nella drastica riduzione dei tempi del processo. D’altro canto, però, si è ben consapevoli che l’accordo extraprocessuale con i creditori, “a saldo e stralcio”, avrebbe, al pari della procedura di sovraindebitamento, il pregio di esdebitare il debitore, mentre la vendita diretta con l’accordo dei creditori, manifestato mediante la mancata opposizione, raggiungerebbe tale obiettivo sole se il prezzo offerto sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori.

Ad ogni modo, la vendita diretta con l’accordo dei creditori avrebbe il pregio di depotenziare anche l’iniziativa dilatoria del debitore, con la perdita del 10% della cauzione, considerando che in caso, appunto, di mancata opposizione dei creditori, l’espletamento della vendita, seguìto dal mancato versamento del saldo-prezzo, comporterebbe un rallentamento della procedura di non più di quattro o cinque mesi, a fronte dei 10/12 mesi della vendita diretta con procedura competitiva nel caso di opposizione dei creditori. Il che giustifica ulteriormente la mancata previsione della deroga alla disciplina prevista dall’articolo 560, 8° comma.

Lo scostamento dalla legge delega della vendita senza la procedura competitiva si ha solo con l’accordo dei creditori manifestato mediante la mancata opposizione.

Del resto, tale istituto è già previsto nell’ordinamento per la vendita esattoriale dall’articolo 52, comma 2 bis, d.p.r. 29 settembre 1972, n. 602, come modificato d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. Decreto del fare), convertito in l. 9 agosto 2013, n. 98, ancorché con l’adesione espressa dell’Agente di Riscossione che, considerando l’art. 54, è l’unico creditore agente della procedura.

Se invece il creditore titolato o quello indicato dall’art. 498 c.p.c. si oppone alla vendita senza procedura competitiva, si ripristina il sistema previsto nella legge delega.

In tale ultima ipotesi, la disciplina della vendita con la procedura competitiva prevede termini che complessivamente non si discostano da quelli indicati nella legge delega, ancorché con una diversa distribuzione interna dovuta alla impossibilità materiale di effettuare la pubblicità entro quindici giorni dal provvedimento del giudice dell’esecuzione, come previsto dalla legge delega. Peraltro, il termine di trenta giorni successivo al termine per la presentazione delle offerte, previsto nella legge delega per convocare il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti per la deliberazione sull'offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti, può essere ridotto, anche in considerazione delle modalità telematiche delle vendite, senza pregiudizio alcuno per le parti.

Al fine di accelerare la chiusura della procedura di vendita si è altresì previsto che, su istanza dell’aggiudicatario, il giudice dell’esecuzione possa autorizzare il trasferimento del diritto mediante atto notarile da trasmettere ad opera del notaio rogante nel fascicolo della procedura esecutiva. In tal caso spetta comunque al giudice il compito relativo alla cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli.

 

Comma 40

Gli interventi hanno riguardato anche il subprocedimento di vendita; le plurime modifiche apportate riaffermano e consolidano il ruolo centrale svolto dal professionista delegato in tale segmento della espropriazione forzata.

Concerne anche (ma non solo) il professionista delegato la previsione della lettera g) del comma 12, ovvero l’introduzione di schemi standardizzati per la redazione degli avvisi di vendita (nonché della relazione di stima dell’esperto stimatore), tradotta nell’articolato attuativo nella interpolazione dell’articolo 570 c.p.c. e dell’articolo 173 quater disp. att. c.p.c. (nonché, per la relazione di stima dell’esperto, dell’articolo 173 bis disp. att. c.p.c.). La funzione della modifica è rivolta tanto al giudice dell’esecuzione, onde facilitare la necessaria interlocuzione con i propri ausiliari, tanto alla platea dei potenziali interessati all’acquisto dell’immobile staggito, dacché l’uniformità dei modelli adoperati senza dubbio agevola la lettura e la comprensione di due atti fondamentali per determinarsi all’offerta.

 

Comma 41

L’estensione alle procedure espropriative delle disposizioni in materia di antiriciclaggio di cui al d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, predicata dalla lettera p) del comma 12, è stata realizzata (apportando le opportune modifiche agli articoli 585, 586 e 591 bis c.p.c., introducendo commi ad hoc oppure modificando i preesistenti) rispettando rigorosamente la previsione della legge delega, limitata esclusivamente all’applicazione agli aggiudicatari di beni immobili, oggetto di espropriazione forzata, degli obblighi previsti dal d.lgs. n. 231 del 2007 a carico del cliente.

Più in dettaglio, con le modifiche agli articoli 585 e 586 c.p.c., si è previsto che nel termine fissato per il versamento del saldo prezzo, l’aggiudicatario, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza delle responsabilità, civili e penali, previste per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell’esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall’art. 22 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231. Non si è ritenuto di porre a carico del professionista compiti di controllo o verifica delle informazioni così acquisite, sia perché in tal senso non disponeva la legge delega, sia perché il d.lgs n. 231 del 2007 prevede una serie variegata di modalità di controllo delle dichiarazioni ad opera del professionista e di strumenti di indagine (alcuni assai incisivi) a disposizione di quest’ultimo, per cui (si ripete: in mancanza di indicazioni della legge delega) la scelta dell’uno o dell’altro metodo di controllo sarebbe stato esercizio di discrezionalità istituzionalmente non conferita al legislatore delegato.

 

Comma 42

Lettera a)

In forza delle disposizioni in materia di c.d. vendita diretta si è reso necessario integrare la disciplina della delega ex articolo 591 bis c.p.c. per adattarla al nuovo istituto, aggiungendo differenti previsioni secondo che la vendita avvenga senza opposizione dei creditori e conseguente procedura competitiva, o con l’opposizione dei medesimi.

È stato poi introdotto, sempre all’articolo 591 bis c.p.c., un nuovo comma quattordicesimo, allo scopo di collocare nella sede ritenuta più appropriata la disposizione attualmente contenuta al comma 9-sexies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Tale norma prevede che il professionista delegato a norma dell'articolo 591-bis del codice di procedura civile, entro trenta giorni dalla notifica dell'ordinanza di vendita, deposita un rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte; che a decorrere dal deposito del rapporto riepilogativo iniziale, il professionista deposita, dopo ciascun esperimento di vendita, un rapporto riepilogativo periodico delle attività svolte; che entro dieci giorni dalla comunicazione dell'approvazione del progetto di distribuzione, il professionista delegato deposita un rapporto riepilogativo finale delle attività svolte successivamente al deposito del rapporto di cui al periodo precedente. Tale disposizione è stata quindi spostata nell’articolo 591-bis c.p.c., con modifiche di mero drafting. L’ultimo periodo del nuovo quattordicesimo comma dell’articolo 591-bis c.p.c. precisa che i rapporti riepilogativi contengono i dati identificativi dell'esperto che ha effettuato la stima, con disposizione che ricalca quella attualmente contenuta al comma 9-septies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012.

 

Lettera b)

Assai importante è la previsione della lettera l) del comma 12 circa i rimedi avverso gli atti del professionista delegato. Quanto alle ragioni giustificatrici della novella, pare opportuno riportare per stralcio la relazione prodromica alla legge delega: «La proposta modifica è volta a rafforzare la stabilità del decreto di trasferimento. Infatti, in base al vigente articolo 591-ter c.p.c. (così come interpretato da Cass., sent. n. 12238/2019), il reclamo avverso l’atto del delegato (i cui atti non sono suscettibili di opposizione ex articolo 617 c.p.c.) non costituisce un mezzo di impugnazione da esperire entro un certo lasso di tempo, decorso il quale l’atto si stabilizza; al contrario, eventuali vizi nell’attività del delegato possono essere fatti valere proponendo opposizione avverso l’atto esecutivo conclusivo della fase liquidativa e, cioè, avverso il decreto di trasferimento. Ciò determina una nociva instabilità del provvedimento traslativo della proprietà del cespite staggito, la quale può essere eliminata stabilendo un termine entro il quale dolersi degli atti del delegato (e decorso il quale eventuali vizi antecedenti non potrebbero più essere denunciati) innanzi al giudice dell’esecuzione, la cui ordinanza potrebbe essere impugnata entro il termine decadenziale ex articolo 617 c.p.c., evitando qualsivoglia ripercussione dei vizi sul decreto ex articolo 586 c.p.c.». Le modifiche suggerite dalla legge delega appaiono senza dubbio funzionali allo scopo: esse eliminano i due principali problemi posti dalla disciplina del reclamo avverso gli atti del professionista delegato, ovvero la mancata indicazione del termine per la presentazione del reclamo e la previsione del reclamo al collegio come strumento di impugnazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione. Il nuovo sistema prefigura un meccanismo di progressiva stabilizzazione degli atti del delegato alla vendita (e di sanatoria dei vizi del relativo subprocedimento) che si forma prima dell’emissione del decreto di trasferimento: l’atto si stabilizza se non è impugnato nei venti giorni successivi alla sua conoscenza e, in caso di impugnazione, il meccanismo di stabilizzazione è quello generale dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. (ripristinando il rimedio analogo a quello previsto dalla disciplina anteriore alla riforma del 2015) e, quindi, al successivo controllo della Corte di Cassazione. Nella traduzione in articolato, per dissipare eventuali dubbi interpretativi, si è precisato che le modifiche interessano -seguendo pedissequamente la legge delega- il reclamo proposto da parti ed interessati avverso l’atto del professionista (e non già il reclamo motu proprio da questi sollevato al giudice dell’esecuzione, in quanto originato non da questioni di diritto bensì da mere difficoltà materiali), che il termine per il reclamo (venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza) ha natura perentoria. Oltre all’art. 591-ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare (cui testualmente era riferita la legge delega), ragioni di coerenza sistematica hanno imposto di novellare nello stesso senso anche i corrispondenti e speculari istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (articolo 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (articolo 168 disp. att. c.p.c.).

Finalizzata ad un più celere svolgimento delle operazioni di vendita è poi la previsione della lettera i), dal duplice contenuto (durata annuale della delega, compimento in tale periodo di tempo di tre esperimenti di vendita). La disposizione della legge delega ha sollevato criticità operative: intesa alla lettera, cioè a dire come riferita all’intero corpus delle attività oggetto di delega analiticamente descritte dal num.1) al num. 13) dell’art. 591 bis, terzo comma, c.p.c., essa dava luogo ad una concreta irrealizzabilità, in quanto, pur ammettendo il felice esito del primo esperimento di vendita, i tempi occorrenti per il compimento delle varie attività (il versamento del saldo prezzo, l’emissione del decreto di trasferimento, la redazione e l’approvazione del progetto di distribuzione) sforavano di certo l’anno; d’altro canto, forti perplessità sono state sollevate dagli operatori circa la possibilità di tentare tre esperimenti di vendita in un anno, in ragione degli obbligatori tempi da accordare per la formulazione delle offerte di acquisto e per le tempistiche di prassi degli adempimenti pubblicitari. Nella consapevolezza di questi problemi, si è dato egualmente corso alla delega, intendendo la durata annuale, al di là del tenore letterale, nell’unico senso plausibile, cioè a dire come riferito alle operazioni di vendita in senso stretto: con il modificato primo comma dell’art. 591 bis c.p.c., si è pertanto statuito che con l’ordinanza che dispone la vendita il giudice dell’esecuzione fissi un termine finale per il completamento delle operazioni delegate, nella loro globalità intese, e disponga altresì lo svolgimento, entro il termine di un anno dall’emissione dell’ordinanza, di un numero di esperimenti di vendita non inferiore a tre, secondo i criteri stabiliti dall’articolo 591, secondo comma;, stabilendo le modalità di effettuazione della pubblicità, il luogo di presentazione delle offerte d’acquisto e il luogo ove si procede all’esame delle stesse, alla gara tra gli offerenti ed alle operazioni dell'eventuale incanto. Il concreto pericolo di non riuscire ad effettuare nell’anno i tre tentativi di vendita è salvaguardato dalla possibilità per il delegato di richiedere tempestiva proroga al giudice della esecuzione, fermo restando che non sono inficiati da nullità gli atti del subprocedimento compiuti oltre il termine accordato per gli stessi. Lo sforamento del termine ha infatti ripercussioni solo e soltanto sull’incarico al professionista, che può essere revocato (come nell’ipotesi di inosservanza delle direttive impartite) dal giudice dell’esecuzione, previo contraddittorio con l’interessato, secondo la regola posta dal novellato undicesimo comma dell’art. 591-bis c.p.c., che recepisce anche la previsione (più che altro un monito o raccomandazione per i giudici dell’esecuzione) della vigilanza del giudice dell’esecuzione sul regolare e tempestivo svolgimento delle attività delegate e sull’operato del professionista delegato, da realizzarsi mediante richiesta (in ogni momento) di informazioni sulle operazioni di vendita.

 

Comma 43

Un ampliamento delle funzioni del professionista delegato consegue all’attuazione della lettera m) del comma 12. Trasposizione positiva di prassi diffuse in molti uffici giudiziari (ed avallate come virtuose dal Consiglio Superiore della Magistratura nella delibera del 7 dicembre 2021 recante l’approvazione delle “linee guida funzionali alla diffusione di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari”), viene affidato al professionista delegato il potenziale svolgimento di tutta la fase della distribuzione del ricavato: non soltanto la predisposizione del piano di riparto (sulla scorta delle preventive istruzioni del giudice dell’esecuzione), ma anche la convocazione delle parti innanzi a sé per l’audizione e la discussione sul progetto, la cui approvazione, in caso di mancata comparizione o mancata contestazione, compete al professionista delegato, il quale avrà altresì cura di provvedere al materiale pagamento delle singole quote agli assegnatari. Sono stati così ridisegnati gli articoli 596, 597 e 598 c.p.c. nonché l’art. 591-bis, facendo salva in ogni caso la preventiva verifica del giudice dell’esecuzione sul progetto di distribuzione elaborato dall’ausiliario (onde apportare le opportune correzioni e integrazioni) e la competenza esclusiva del medesimo giudice in caso di insorgenza di controversie in fase distributiva; una serie di stringenti termini sono stati fissati, onde accelerare il momento conclusivo dell’espropriazione, per il compimento della verifica del giudice sul progetto, della fissazione della data per l’audizione delle parti innanzi il professionista delegato, per l’emissione dei bonifici o mandati di pagamento dopo l’approvazione del piano.

 

Comma 44

Il criterio di delega di cui alla lettera o) del comma 12 della legge delega, che prescrive al legislatore delegato di “prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'articolo 614-bis del codice di procedura civile; prevedere altresì l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento”, impone diversi ordini di interventi sull’articolo 614-bis c.p.c..

Il primo concerne l’ammontare della somma che diviene dovuta – a seguito del provvedimento che la prevede – quando si verifichi l’inadempimento all’obbligo previsto nel titolo esecutivo.

A tal riguardo la previsione di cui al secondo comma del testo attualmente vigente è stata integrata con il richiamo al vantaggio che l’obbligato trae dall’inadempimento. È infatti pacifico che l’esecuzione indiretta ha la finalità di indurre l’obbligato all’adempimento volontario, in quanto l’inadempimento produce nella sua sfera giuridica conseguenze negative superiori ai vantaggi che egli trae dall’inadempimento. Pertanto, la misura coercitiva, per poter essere effettiva, deve essere commisurata principalmente a questo parametro. Il danno che l’inadempimento produce nella sfera giuridica dell’avente diritto assume invece un ruolo secondario, posto che l’esecuzione indiretta si aggiunge al – e non sostituisce il – risarcimento del danno prodotto dall’inadempimento.

Non è stato possibile determinare l’entità massima della sanzione pecuniaria, in quanto tale quantificazione esorbita da valutazioni di natura giuridica, investendo essenzialmente profili di politica legislativa. Se il governo riterrà opportuno, potrà valutare se inserire una determinazione quantitativa dei minimi / massimi della sanzione pecuniaria.

Un ulteriore intervento concerne la durata massima della misura coercitiva; in particolare si è integrato il primo comma della norma con un ultimo periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura. Sembra evidente che una tale previsione ha rilevanza nei casi di inadempimento di un obbligo avente come contenuto una prestazione, mentre non ha rilevanza ove si tratti di un obbligo di astensione. In quest’ultimo caso, poiché la sanzione diviene operativa solo ove sia tenuto un comportamento contrario all’obbligo di astensione, non vi è necessità di assicurare che l’entità della somma da corrispondere non divenga esorbitante. Esemplificando: se ad un soggetto è fatto divieto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria, di chiudere a chiave un cancello o di suonare la tromba dopo le 23, non ha senso prevede un termine massimo di durata della misura esecutiva. In caso, invece, di obblighi positivi, può essere opportuno porre un limite massimo alla durata della misura coercitiva, e così alla somma complessiva che divenga dovuta. Non è infatti possibile che essa divenga perpetua. Esemplificando: se ad un soggetto è prescritto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria pari a X euro per ogni giorno di ritardo, di consegnare un certo bene, non è concepibile che la sanzione pecuniaria assuma entità stratosferiche.

La seconda previsione della legge delega è volta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice, che pronuncia la condanna, il potere di concedere la misura coercitiva: ciò che produce l’inconveniente di penalizzare i titoli esecutivi diversi dalle sentenze di condanna, che pure la recente legislazione ha equiparato ai titoli esecutivi giudiziali – si pensi solo alla disciplina della mediazione e della negoziazione assistita – onde rendere appetibili gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Lo stesso deve dirsi per il lodo arbitrale.

In ossequio alla legge delega, che imponeva di attribuire tale potere al giudice dell’esecuzione, la norma richiama le disposizioni di cui all’esecuzione per obblighi di fare. Dopo la notificazione del precetto, l’avente diritto presenta il ricorso al giudice dell’esecuzione competente, il quale – sentite le parti – provvede a determinare la misura esecutiva.

Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l’opposizione agli atti esecutivi, mentre l’opposizione all’esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all’art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell’opposizione a precetto.

 

Comma 45

Il comma 45 contiene una mera disposizione di coordinamento, volta a coordinare la disposizione di cui all’articolo 654 c.p.c. con l’abolizione della formula esecutiva.

 

Comma 46

Lettera a)

In attuazione del principio contenuto nel comma 5, lett. R) si è estesa la applicabilità del procedimento di convalida, di licenza per scadenza del contratto e di sfratto per morosità, anche ai contratti di comodato di beni immobili e di affitto di azienda, entro tali limiti modificando dunque l’articolo 657 c.p.c.

 

Lettera b)

Il comma 46, lettera b, contiene una mera disposizione di coordinamento, volta a coordinare la disposizione di cui all’articolo 663 c.p.c. con l’abolizione della formula esecutiva.

 

Comma 47

Lettera a)

L’attribuzione di poteri cautelari in capo agli arbitri ha reso necessario un intervento di coordinamento anche in relazione alle norme che sino ad oggi erano integralmente deputate alla disciplina dei provvedimenti cautelari nell’ipotesi di devoluzione della causa in arbitrato. Si è dunque imposta una modifica dell’articolo 669-quinquies c.p.c., deputato a disciplinare la competenza cautelare in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale. Sino ad oggi la norma prevede che nell’ipotesi di controversie oggetto di clausola compromissoria, compromesso in arbitri, anche non rituali, ovvero di pendenza del giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Rispetto a tale generale previsione si è quindi reso necessario l’inserimento di un inciso per cui la stessa opera “salvo quanto disposto dall’articolo 818” del codice di procedura civile.

 

Lettera b)

In attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q) sono state apportate modifiche all’articolo 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, al comma settimo, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previso dall’articolo 669-octies e dal primo comma dell’articolo 669-novies si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma del codice civile, fermo restando anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito. Attualmente, infatti, ai provvedimenti cautelari con i quali il giudice sospende l’esecuzione delle deliberazioni assunte dagli organi di società (articolo 2378, quarto comma, c.c.) o di associazioni (articolo 23, ultimo comma, c.c.) non è riconosciuta natura anticipatoria della sentenza di merito con la conseguenza che essi perdono efficacia ove il giudizio di merito – nell’ambito del quale essi sono necessariamente proposti - si estingua. L’intervento ha, dunque, uno scopo deflattivo del contenzioso. Infatti, molto spesso, l’attore, dopo avere ottenuto, nell’ambito del giudizio di merito, il provvedimento cautelare con il quale è stata disposta la sospensione dell’esecuzione della deliberazione non ha un reale interesse alla decisione di merito diverso da quello costituito dalla necessità di “stabilizzare” gli effetti della decisione cautelare.

Pertanto, si rende opportuno coordinare il regime della efficacia di questi provvedimenti cautelari equiparandolo a quello previsto dall’art. 669-octies c.p.c. In questo modo, infatti, le parti saranno spinte ad abbandonare il giudizio di merito, senza che ciò incida sul provvedimento cautelare di sospensione dell’esecuzione della deliberazione. Conseguentemente sono state apportate modifiche all’ultimo comma dello stesso articolo, al fine di prevedere che l’estinzione del giudizio di merito non determina neppure l’inefficacia dei provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assembleari assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società”.

 

Lettera c)

In attuazione del principio di delega (comma 7, lettera r) è stato modificato il secondo comma dell’articolo 669-novies a fine di sopprimerne il periodo che stabilisce che, in caso di contestazione sulla intervenuta inefficacia di un provvedimento cautelare, la relativa questione sia definita con ordinanza anziché con sentenza.

Quanto al provvedimento che il giudice deve emettere, infatti, la disposizione vigente distingue tra l’ipotesi in cui non vi sia stata contestazione da parte del resistente da quella in cui questi intenda opporsi alla dichiarazione di inefficacia. Nel primo caso è previsto che il giudice emetta una ordinanza avente efficacia esecutiva con la quale dichiara che il provvedimento cautelare è divenuto inefficace (dando, anche, le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente). In caso di contestazione, invece, l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare provvede sull’istanza con sentenza provvisoriamente esecutiva.

La differenziazione operata dal vigente secondo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. non appare sistematicamente corretta, in quanto tutti i provvedimenti che disciplinano situazioni giuridiche in via cautelare hanno forma di ordinanza, ed è fonte di notevole aggravio per l’attività giurisdizionale, obbligando il giudice alla concessione dei termini per la definizione del thema decidendum e del thema probandum e, infine, dei termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di repliche.

In attuazione della delega, dunque, si prevede che in entrambi i casi indicati dal primo comma il giudice, dopo avere convocato le parti e garantito il contraddittorio sull’istanza, provvede con ordinanza avente efficacia esecutiva.

 

Lettera d)

Per ragioni di coordinamento con gli interventi in materia di arbitrato, per l’ipotesi di revoca e modifica del provvedimento cautelare prevista dall’articolo 669-decies c.p.c. si è imposta una modifica del secondo comma, per il quale “Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare” con l’aggiunta dell’ulteriore inciso “ovvero agli arbitri nel caso previsto dall’articolo 818”. Si è dunque inteso riconoscere agli arbitri che hanno emanato un provvedimento cautelare - in ragione del potere loro attribuito dalle parti - del corrispondente potere anche di disporre l’eventuale revoca o modifica della misura cautelare in precedenza disposta, in presenza di mutamenti nelle circostanze o di allegazione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, secondo quanto disposto dall’articolo 669-decies, primo comma, del codice di procedura civile.

 

Commi 48 e 49

La necessità di provvedere a un organico riordino della materia ha indotto ad abrogare le disposizioni processuali che il codice prevedeva per singoli procedimenti e a reintrodurle, siccome derogatorie delle norme speciali sul procedimento unitario, nelle nuove sezioni da II a VII del Capo II del Titolo IV bis del Secondo libro del codice di procedura civile, secondo quanto già esaminato. Sono stati, pertanto, abrogati il Capo III bis del Titolo I, Libro IV c.p.c. e i Capi I, II, III, IV, V e V bis del Libro IV, Titolo II, c.p.c.

 

Comma 50

In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. oo), che invita a “prevedere che i provvedimenti adottati dal giudice tutelare, inclusi quelli emessi ai sensi dell’articolo 720-bis del codice di procedura civile in materia di amministrazione di sostegno, siano reclamabili al tribunale che decide in composizione monocratica per quelli aventi contenuto patrimoniale gestorio e in composizione collegiale in tutti gli altri casi; prevedere che del collegio non possa far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato” si è inserito nell’articolo 739 c.p.c. un inciso per il quale il tribunale investito del reclamo pronuncia in camera di consiglio “in composizione monocratica quando il provvedimento ha contenuto patrimoniale o gestorio, e in composizione collegiale in tutti gli altri casi. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato”.

 

Comma 51

Lettera a)

L’attuazione del principio di delega di cui alla lettera h) del quindicesimo comma dell’articolo unico è stata realizzata inserendo un ultimo periodo al terzo comma dell’articolo 810 c.p.c.

Il periodo si sviluppa in due parti. In primo luogo, impone alle autorità di nomina il rispetto di criteri che assicurino trasparenza, rotazione ed efficienza: saranno le singole autorità giudiziarie a concretizzare questi criteri, anche, se lo riterranno, con la predisposizione di elenchi. In ogni caso, nella sua seconda parte, il periodo impone una precisa modalità informativa, che consiste nella pubblicazione delle nomine sul sito dell’ufficio giudiziario, il che darà a tutti gli operatori la possibilità di verificare il rispetto dei criteri positivi indicati dalla norma.

Si è esclusa l’imposizione alle autorità di nomina di elenchi prefissati, nel rispetto della loro autonomia e per consentire un’opportuna flessibilità, in rapporto alle esigenze dei singoli giudizi arbitrali.

 

Lettera b)

Il principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. a, della l. 26 novembre 2021, n. 206, punta al rafforzamento delle garanzie di indipendenza e imparzialità degli arbitri, essenziali per lo sviluppo di questo istituto, attraverso alcuni strumenti concorrenti, che vengono quindi disciplinati dalla normazione delegata.

A tal fine, viene in primo luogo operato un significativo intervento sull’articolo 813 c.p.c., primo comma. Viene resa obbligatoria, a pena di nullità, la dichiarazione, da parte di ogni arbitro, delle eventuali circostanze che potrebbero essere suscettibili di valutazioni problematiche sul piano dell’indipendenza e dell’imparzialità. La mancanza della disclosure, peraltro richiesta già oggi da molti regolamenti di istituzioni di arbitrato amministrato e doverosa sul piano deontologico forense, impedisce il perfezionamento dell’accettazione e quindi l’assunzione dell’incarico. L’arbitro potrà dichiarare che non sussistono situazioni di incompatibilità e comunque segnalare fatti che, pur non apparendogli tali da impedire l’accettazione, devono essere sottoposti all’attenzione delle parti, in un quadro di piena trasparenza. Si prevede ovviamente che la dichiarazione debba essere ripetuta in caso di circostanze sopravvenute in pendenza del giudizio arbitrale.

L’eventuale omessa dichiarazione, che non fosse stata fatta oggetto di un immediato rilievo e anche l’eventuale omissione di circostanze rilevanti, è passibile di una forte sanzione: la parte interessata potrà chiedere la decadenza dell’arbitro all’autorità giudiziaria, nelle forme dell’articolo 813 bis, entro dieci giorni dall’accettazione compiuta senza la dichiarazione oppure dalla scoperta della circostanza rilevante non dichiarata.

 

Lettera c)

Sempre in attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. a, della l. 26 novembre 2021, n. 206, e al fine dunque di rafforzare le garanzie di indipendenza e imparzialità degli arbitri viene aggiunto al primo comma dell’articolo 815 c.p.c. un ulteriore motivo di ricusazione, il n. 6 bis), reintroducendo una clausola aperta di ricusazione, consistente nell’emergere di gravi ragioni di convenienza, che possono incidere sull’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri. Il sistema italiano già prevedeva, sino alla riforma del 2006, che la ricusazione degli arbitri potesse essere declinata mediante un rinvio integrale all’art. 51 del codice di procedura civile, tale da comprendere, dunque, accanto alle ipotesi di ricusazione per i motivi di astensione obbligatoria, anche i casi di cui all’art. 51, secondo comma, del codice di procedura civile, di astensione facoltativa da parte del giudice. La riforma del 2006 ha invece deciso di operare in modo differente, introducendo anche per l’arbitrato una serie di ipotesi tipizzate di ricusazione. L’intervento normativo in oggetto si propone dunque di operare un rafforzamento delle garanzie di imparzialità e indipendenza, essenziali per la realizzazione del giusto processo anche arbitrale, e venendo così ad allinearsi alle migliori prassi internazionali.

 

Comma 52

Lettera a)

L’attuazione del principio di delega di cui al comma 15, lett. g) (“disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”) è realizzata attraverso una serie di differenti interventi normativi.

L’importanza del tema era stata evidenziata in particolare da Corte cost. 19 luglio 2013, n. 223, con la quale il Giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, “nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’articolo 50 del codice di procedura civile”. La pronuncia della Corte costituzionale aveva così segnato una tappa fondamentale nel percorso volto all’individuazione di un substrato comune tra arbitrato e giudizio ordinario e nella disciplina dei relativi rapporti (al quale aveva fatto seguito, nella stessa direzione, la di poco successiva Cass., ord. 24 ottobre 2013, n. 24153), ma rimaneva in concreto da determinare come attuare la translatio iudicii dall’arbitrato al giudizio ordinario, nonché da disciplinare l’ipotesi corrispondente e speculare.

In questa prospettiva si è posto il principio di delega in oggetto, la cui concreta attuazione è stata posta in essere innanzi tutto con una disposizione di carattere generale, inserita in un nuovo articolo 816-bis.1 c.p.c., ai sensi del quale “La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall’articolo 819-quater”. Anche al fine di garantire la piena realizzazione degli effetti della translatio viene in tal modo colmata una lacuna nel sistema, in quanto la novella posta in essere con l. 5 gennaio 1994, n. 25, aveva introdotto una serie di disposizioni volte a disciplinare la produzione da parte della domanda di arbitrato di singoli effetti propri della domanda giudiziale (sulla prescrizione, la trascrizione e l’instaurazione del processo di merito dopo la concessione della misura cautelare) senza tuttavia prevedere la piena parificazione tra le due domande per la generalità degli effetti normalmente conseguenti alla domanda giudiziale. In questo senso, dunque, la nuova disposizione dà atto per tabulas che la parificazione deve considerarsi sussistente, e che gli effetti prodotti dalla domanda arbitrale vengono mantenuti anche nel caso di trasmigrazione del processo avanti al giudice ordinario, nelle ipotesi previste dal nuovo articolo 819-quater del codice di procedura civile.

 

Lettera b)

Un ulteriore, rilevante comparto della normativa in materia di arbitrato è quello della disciplina dei poteri cautelari da parte degli arbitri rituali.

A tal fine, le nuove disposizioni si pongono in attuazione del comma 15, lett. c) della delega, che invita il legislatore delegato a “prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario”.

La legge delega ha tenuto conto delle argomentazioni che, anche in chiave critica, sono state in passato mosse dal punto di vista sistematico al generale divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari, considerandolo superato, e ritenendo che un intervento in questo ambito fosse necessario per rispondere alla ormai pacificamente riconosciuta funzione di indispensabile complemento e completamento della tutela cautelare nell’ambito della tutela giurisdizionale e per realizzare il principio di effettività di quest’ultima (v. ad es. in ambito eurounitario la sentenza della Corte di Giustizia del 19 giugno 1990, C-213/89, Factortame Ltd.). Senza contare, poi, che la disciplina italiana dell’arbitrato restava di fatto isolata rispetto a quanto previsto negli ordinamenti europei che da tempo riconoscono in capo agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari e un intervento in questo ambito si pone anche nella prospettiva di rendere lo strumento arbitrale maggiormente attrattivo anche per soggetti e investitori stranieri.

In questa prospettiva, l’intervento normativo si pone oltre tutto in una direttrice di ideale prosecuzione con la linea di apertura delineata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che, nel modificare l’articolo 818 c.p.c., aveva temperato l’originario divieto per gli arbitri di concedere sequestri o altri provvedimenti cautelari, stabilendo che lo stesso non dovesse più considerarsi assoluto, ma valere “salva diversa disposizione di legge”. Di fatto, tuttavia, la possibilità per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari è rimasta nell’ordinamento limitata al solo arbitrato societario e al potere per gli arbitri, in tale sede previsto, di disporre la sospensione cautelare delle delibere assembleari.

In concreto, il riconoscimento dei poteri cautelari al giudice privato non viene attuato in modo generalizzato, ritenendosi più opportuno introdurre una disciplina maggiormente prudenziale, volta a demandare tale prerogativa alle sole ipotesi di libera e consapevole scelta ad opera delle parti compromittenti.

In questo senso l’art. 818 c.p.c. viene dunque modificato prevedendo che: “Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di emanare misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale”.

In questo modo si stabilisce che il potere cautelare degli arbitri sia riconosciuto e delimitato alle sole ipotesi di previa espressa volontà delle parti, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, purché anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. L’individuazione di tale criterio temporale risponde all’esigenza di cristallizzare, prima dell’instaurarsi della litispendenza (in senso ampio) arbitrale, il perimetro dei poteri spettanti agli arbitri, così da attribuire maggiore certezza in proposito sia alle parti, sia agli stessi arbitri, che possono avere accettato la nomina anche sulla base di una determinata prefigurazione del complessivo svolgimento dell’iter processuale.

In analoga prospettiva e sempre tenendo conto che l’attribuzione del potere cautelare agli arbitri presuppone una differente organizzazione del giudizio, si è voluta sottolineare la possibilità che la scelta delle parti di fatto avvenga “anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali”, così valorizzando la realtà delle istituzioni arbitrali e la loro capacità organizzativa nell’amministrare il procedimento.

Il riconoscimento di un potere cautelare in capo agli arbitri non poteva peraltro non essere contemperato e coordinato con l’attribuzione, sino ad oggi generale e di fatto ancora quasi esclusiva (con l’unica eccezione già accennata del potere cautelare degli arbitri di sospensione delle delibere assembleari nell’arbitrato societario), del potere cautelare in capo all’autorità giudiziaria. A tal fine, nell’articolo 818 c.p.c. sono state introdotte le ulteriori precisazioni per le quali “La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies”.

Le modifiche intendono evitare pericolose sovrapposizioni e duplicazioni di tutela, sostanzialmente riconoscendo che, mentre prima dell’instaurazione del processo arbitrale, la competenza a emanare provvedimenti cautelari continua a rimanere appannaggio esclusivo dell’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, una volta che il processo arbitrale sia iniziato e l’organo arbitrale si sia regolarmente costituito (in modo tale da consentire una sollecita risposta alla richiesta di tutela cautelare formulata dalla parte), o comunque, nel caso di arbitro unico, questi abbia accettato la nomina, ove le parti abbiano inteso attribuire agli arbitri tale potere, lo stesso viene attribuito integralmente e in via esclusiva agli stessi arbitri. Non vi può dunque essere, in queste ipotesi, una potestas concorrente tra arbitri e giudici ordinari.

 

Lettera c)

Il riconoscimento in capo agli arbitri di poteri cautelari presuppone peraltro anche la simmetrica previsione di adeguate garanzie di verifica e controllo dell’operato degli arbitri. A tal fine, mediante l’introduzione dell’articolo 818-bis c.p.c. si è inteso dare attuazione al principio della delega volto prevedere in questo ambito la disciplina del reclamo cautelare.

A questo proposito, viene stabilito che il reclamo si svolga davanti al giudice ordinario e, a tal fine, tenuto conto che la delega individua come ragioni per l’impugnazione della misura cautelare quelle indicate dall’articolo 829 del codice di procedura civile, si è ritenuto che per analogia sistematica sia corretto individuare quale giudice del controllo anche della misura cautelare la corte d’appello.

Quanto all’individuazione concreta della corte d’appello, la stessa è stata effettuata facendo riferimento al distretto ove è la sede dell’arbitrato, seguendo un evidente parallelismo con tutti gli altri casi di ausilio giudiziario e supporto al procedimento arbitrale, per i quali la disciplina del codice di rito fa riferimento, in primis, all’autorità giudiziaria del luogo dove è stabilita la sede dell’arbitrato (come previsto ad esempio dagli articoli 810, 811, 813, 814, 815 del codice di procedura civile).

Per quanto poi riguarda l’ambito concreto di estensione del reclamo, nel nuovo articolo 818-bis del codice di procedura civile non è stata prevista alcuna limitazione in relazione alla possibile tipologia di provvedimento arbitrale, così comprendendo tanto i casi  di accoglimento quanto di rigetto della richiesta cautelare, ritenendosi che l’eventuale previsione della facoltà di reclamo unicamente per i casi di accoglimento della richiesta, oltre che non contemplata dalla legge delega, avrebbe potuto porsi in contrasto con i principi costituzionali, così come già dichiarato dalla Corte costituzionale con la sentenza 23 giugno 1994, n. 253, in relazione all’originaria limitata previsione dell’articolo 669 terdecies del codice di procedura civile.

Per altro verso (e come espressamente previsto dalla legge delega), la garanzia del reclamo viene dall’articolo 818-bis del codice di procedura civile limitata ai soli motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di rito, in quanto compatibili, oltre che al caso della contrarietà all’ordine pubblico. Tale previsione intende porsi in conformità con l’ambito di impugnazione nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio, istituendo un parallelismo tra i possibili motivi di impugnazione del lodo, previsti nello specifico catalogo di errores in procedendo di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile, in quanto compatibili (e ciò tenuto conto che alcuni casi contemplati dalla norma appaiono estranei alla materia cautelare) e nella contrarietà all’ordine pubblico, di cui al terzo comma della stessa norma, e le possibili censure spendibili nei confronti del provvedimento interinale, che abbia accolto o rigettato la richiesta di misura cautelare. Anche a prescindere dal chiaro disposto della legge delega, non sarebbe stato logico, in effetti, attribuire in sede di reclamo cautelare un generale controllo di merito e con esso un sindacato più ampio di quello stabilito dal legislatore nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio.

Ancora, l’avvenuto riconoscimento di poteri cautelari in capo agli arbitri impone anche di individuare la necessaria disciplina per l’attuazione dei provvedimenti stessi.

A questo riguardo, con l’introduzione dell’articolo 818-ter c.p.c. si è inteso dare specificazione e un più definito contenuto precettivo alla previsione, generale ma generica, contenuta nella legge delega, per la quale “Il giudice ordinario mantiene altresì la competenza per l’eventuale fase di attuazione della misura”. Si è così stabilito che “L’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669 duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma”.

In questo modo non soltanto si conferma l’idea per la quale le funzioni esercitate dagli arbitri sono sostanzialmente omologhe a quelle del giudice ordinario e che anche il provvedimento cautelare emanato dagli arbitri ha natura non differente da quella del corrispondente provvedimento emanato dal giudice ordinario, ma altresì che lo stesso deve dunque essere soggetto ad analoga disciplina anche con riferimento all’attuazione.

Il richiamo all’articolo 669-duodecies comporta dunque la previsione di una distinta modalità di attuazione, poiché, mentre con riferimento alle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro, l’esecuzione delle stesse avviene di fatto nelle forme previste dal libro terzo del codice di procedura civile, agli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sempre sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, il quale determina anche le modalità di attuazione, e laddove sorgano difficoltà o contestazioni dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Questa stessa disciplina viene quindi applicata anche alle ipotesi dei provvedimenti cautelari emanati dagli arbitri, sia pure con riconoscimento dei necessari poteri già attribuiti agli arbitri stessi, sotto il controllo del tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Il mantenimento, in capo al giudice ordinario, dei poteri necessari per l’attuazione del provvedimento cautelare risponde del resto alla constatazione generale, e universalmente condivisa, per la quale gli arbitri, in quanto soggetti privati, pur chiamati a rendere attraverso il proprio giudizio una funzione equivalente a quella della giurisdizione di cognizione, rimangono sprovvisti di ius imperii e così privati della spendita di poteri coercitivi, ciò che rende pertanto necessario fare riferimento, per la fase di attuazione ed esecuzione della misura, al giudice ordinario.

La sostanziale trasposizione della disciplina dell’attuazione dei provvedimenti cautelari anche all’ipotesi delle misure cautelari, concesse dagli arbitri, ha poi reso opportuna, all’interno dell’articolo 818-ter del codice di procedura civile, la previsione espressa, per l’esecuzione dei sequestri eventualmente concessi dagli arbitri, della salvezza del disposto degli articoli 677 e seguenti del codice di rito in ordine, ovvero di quelle specifiche disposizioni che sono in generale deputate all’attuazione dei sequestri. Anche a tal fine si prevede peraltro che competente sia il tribunale previsto dal primo comma dell’articolo 818-ter, ovvero sempre il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata.

 

Lettera d)

Ancora in attuazione del principio di delega di cui al comma 15, lett. g) (“disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”), quale raccordo sistematico, è introdotta una modifica anche nel già esistente articolo 819-ter c.p.c., prevedendo che sono impugnabili con il regolamento di competenza, a norma degli articoli 42 e 43 del codice di procedura civile, non soltanto la sentenza del giudice ordinario (come già previsto), ma altresì l’ordinanza (l’intervento è necessario, tenuto conto che a far tempo dal 2009 le pronunce sulla sola competenza da parte del giudice ordinario sono emanate in forma di ordinanza). Si è ritenuto di non operare una piena equiparazione tra arbitrato e processo ordinario, sotto questo profilo, considerata l’opportunità di limitare l’intervento del giudice in pendenza del procedimento arbitrale; l’impugnazione del lodo che declina la competenza con il regolamento necessario di competenza, invece, opera all’esito del procedimento arbitrale, consentendo una pronuncia definitiva in unico grado.

 

Lettera e)

L’art. 819-quater c.p.c. è la norma maggiormente deputata a disciplinare il fenomeno della translatio (che come già precisato costituisce attuazione del principio di delega di cui al comma 15, lett. g) “disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”) e in particolare la riassunzione della causa tra giudizio ordinario e arbitrato, in entrambi i sensi. A questo proposito, i primi due commi della norma dispongono, in modo simmetrico, che:

“Il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell’articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento.

Il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell’ordinanza che definisce la sua impugnazione”.

Viene quindi prevista la possibilità, in tutte le ipotesi di declinatoria di competenza (dal giudice all’arbitro e dall’arbitro al giudice) di mantenere salvi gli effetti della domanda attraverso la predisposizione ad opera delle parti di tutte le attività necessarie all’instaurazione del processo. Nel caso in cui sia stato il giudice ordinario a declinare la competenza e occorra quindi instaurare il giudizio arbitrale, le parti saranno onerate a porre in essere le attività inerenti alla nomina degli arbitri, di cui all’articolo 810 del codice di procedura civile; nel caso inverso (quando cioè la declinatoria di competenza sia contenuta nel lodo o nella sentenza o ordinanza che definisce la sua impugnazione), le parti dovranno invece porre in essere la formale riassunzione della causa secondo quanto disposto dall’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. In entrambi i casi il termine per il compimento di tali attività è di tre mesi, in conformità a quanto previsto in via generale dallo stesso articolo 50 del codice di procedura civile, dal passaggio in giudicato della pronuncia declinatoria di primo grado (del giudice ordinario o dell’arbitro), ovvero dall’avvenuto definitivo compimento delle possibili impugnazioni.

Per valorizzare il significato della trasmigrazione del processo tra le due sedi, e in conformità tra l’altro a quanto già prevede l’articolo 59 l. n. 69/2009 per le ipotesi di translatio iudicii tra differenti ordini di giurisdizione, viene poi stabilito che “Le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all’arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo”.

Infine, la nuova disposizione si preoccupa di disciplinare le conseguenze per il caso di mancata osservanza dei termini per la riassunzione. In queste ipotesi, trattandosi in sostanza di una inattività qualificata verso atti di impulso, si prevede che “L’inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l’estinzione del processo”. Per tale ragione, il regime di rilevabilità resta quello di cui all’articolo 307, quarto comma del codice di procedura civile (“L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio”) e gli effetti della dichiarazione di estinzione quelli previsti in via generale dall’articolo 310 del codice di procedura civile.

 

Comma 53

Ulteriore principio contenuto nella legge delega (comma 15, lett. d, l. 26 novembre 2021, n. 206) è quello di “prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile”. In attuazione di tale principio, nell’articolo 822 c.p.c. viene quindi introdotto un secondo comma, tale da prevedere che “Quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti, nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale, possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili”.

La modifica individua segnatamente, da un lato, il contesto e il momento temporale in cui può esercitarsi il potere delle parti di indicare le fonti straniere applicabili e, dall’altro, la tipologia della fonte richiamabile (anche in assenza di una precisa scelta delle parti).

Sotto il primo profilo, la scelta di consentire alle parti di esercitare tale potere “nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale” risponde alla logica di individuare in via preventiva, rispetto alla litispendenza in senso ampio e all’instaurazione del giudizio, il diritto applicabile al merito della controversia (in simmetria con quanto disposto per le norme processuali dall’articolo 816-bis del codice di procedura civile) e in tal modo consentire agli arbitri di valutare se accettare o meno la nomina, in relazione a una vertenza per la cui risoluzione ritengano di essere in possesso delle necessarie competenze giuridiche. Senza contare che, diversamente ragionando e consentendo di modificare in corso di causa la legge applicabile al giudizio, si incorrerebbe anche nel rischio di un inutile dispendio di tutta l’attività processuale, necessariamente calibrata in funzione della legge applicabile alla fattispecie.

Sotto il secondo profilo, la nuova norma fa riferimento alla possibilità di indicare quali fonti applicabili “le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia”, perché è evidentemente al merito della controversia che occorre fare riferimento. Non soltanto la legge regolatrice del processo è infatti tipicamente la lex fori, ma oltre tutto, nel caso dell’arbitrato, il problema non ha una vera e propria ragion d’essere, essendo già prevista dalla legge (dal già richiamato articolo 816-bis del codice di procedura civile) la possibilità per le parti di stabilire “le norme” (evidentemente processuali) “che gli arbitrano debbono osservare nel procedimento”.

Quanto alla tipologia di fonti richiamabili dalle parti, si è preferita una dizione ampia (“le norme o la legge straniera”) in quanto notoriamente nell’ambito dell’esperienza arbitrale, soprattutto laddove caratterizzata da elementi di estraneità, assumono un fondamentale rilievo anche fonti differenti dalle leggi ordinarie statuali, quali in particolare la lex mercatoria, le norme modello UNCITRAL e altre ancora.

Infine, quale clausola finale di salvaguardia per l’ipotesi in cui le parti non abbiano a indicare alcuna fonte di riferimento, la norma precisa che “In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili”, in conformità al principio indicato nell’articolo 28 delle norme modello UNCITRAL.

 

Comma 54

La modifica dell’articolo 828 c.p.c. è disposta in attuazione del principio contenuto nella legge delega al comma 15, lettera e), che prevede di “ridurre a sei mesi il termine di cui all’articolo 828, secondo comma, del codice di procedura civile per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo rituale, equiparandolo al termine di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile”.

In attuazione di tale previsione, il testo del secondo comma dell’articolo 828 del codice di procedura civile viene dunque modificato prevedendo che l’impugnazione del lodo “non è più proponibile decorsi sei mesi dalla data dell’ultima sottoscrizione”, anziché dalla data di un anno, come sino ad oggi avveniva. In questo senso, la modifica risponde all’esigenza di uniformare il c.d. termine lungo per l’impugnazione del provvedimento decisorio di primo grado (che deve essere previsto, per evidenti ragioni di certezza e di necessità di pervenire alla irretrattabilità del provvedimento in mancanza di notificazione dello stesso), sino ad oggi incongruamente diversificato tra sentenza e lodo.

Il termine lungo di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile è stato infatti abbreviato (prima di tale riforma era di un anno) per opera della legge n. 59/2009 di riforma del processo civile, ma analogo intervento non era stato sino ad oggi posto in essere per il lodo, probabilmente anche in modo del tutto involontario, né dal legislatore del 2009, né dal legislatore del 2006, che ha attuato la riforma del diritto dell’arbitrato. La parificazione del termine lungo per l’impugnazione del lodo e della sentenza risponde a meritevoli esigenze di allineare i due regimi e renderli uniformi, anche tenuto conto della ormai riconosciuta natura giurisdizionale del processo arbitrale e della sempre più stretta assimilazione - non soltanto quoad effectum ma altresì in relazione alla natura - tra i due provvedimenti decisori che pongono termine al giudizio.

 

Comma 55

Il principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. f, della l. 26 novembre 2021, n. 206, impone l’inserimento delle disposizioni sull’arbitrato societario all’interno del codice di procedura civile.

L’indicazione della legge di delega è solo quella di trasporre le norme esistenti, apportando una sola modificazione: prevedere cioè la reclamabilità dinanzi al giudice ordinario delle ordinanze con cui gli arbitri societari sospendono l’efficacia di delibere assembleari.

Si è quindi provveduto, in primo luogo, a inserire nel titolo VII del codice un apposito capo VI-bis e a rinumerare gli originari articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che ora diventano rispettivamente gli articoli 838-bis, 838-ter, 838-quater e 838-quinquies c.p.c.

Non era possibile, però, riprodurre le previgenti norme in modo automatico, perché esse contenevano numerosi rinvii interni ad articoli del codice, nel testo che tali articoli avevano al tempo del decreto legislativo citato. Le successive riforme hanno dato a questi articoli contenuti diversi, in genere estendendo al diritto comune dell’arbitrato regole che, inizialmente, valevano solo per l’arbitrato societario. Per rispettare rigorosamente ciò che il legislatore aveva voluto nel 2003, si è dunque corretto il secondo comma dell’articolo 838-ter; si è evitato di riprodurre nell’articolo 838-ter il terzo comma dell’art. 35; si è effettuato un riferimento al terzo (e non al secondo) comma dell’articolo 829 per consentire l’impugnazione secondo diritto del lodo societario nei casi regolati dall’articolo 838-quater; si è espunto nell’articolo 838-quater il secondo comma dell’articolo 36, a motivo dell’intervenuta abrogazione delle norme specifiche per l’arbitrato internazionale.

Il risultato complessivo è quello di una riscrittura formale delle norme, che non innova in alcun modo il portato delle disposizioni originariamente inserite negli articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. Del resto, il principio di delega invita il legislatore delegato ad attuare un riordino organico della materia, il che necessariamente comporta l’operazione di restyling così effettuata.

Si è poi modificato, rispetto al testo dell’articolo 35, il quarto comma dell’articolo 838-ter, prevedendo che le ordinanze emesse dagli arbitri societari che, nell’esercizio di poteri cautelari, sospendono delibere assembleari, siano reclamabili dinanzi al giudice ordinario nei modi dell’articolo 818-bis: vale a dire, con lo stesso procedimento previsto per il reclamo delle misure cautelari concesse da arbitri comuni, in applicazione della normativa introdotta con la riforma.

 

Comma 56

La legge di delega, nel principio contenuto nell’articolo 1, comma 15, lett. b, della l. 26 novembre 2021, n. 206, intende risolvere un contrasto interpretativo insorto sotto la previgente disciplina, circa l’immediata esecutorietà o no, in pendenza del giudizio di opposizione, del decreto con cui il presidente della corte d’appello dichiara l’efficacia dei lodi stranieri. La scelta del legislatore è nel senso di disporre l’immediata esecutorietà.

In sede di norme delegate, si è quindi inserita l’espressa previsione dell’esecutorietà immediata nell’articolo 839, quarto comma, c.p.c.

L’attuazione della delega suppone però che si modifichi di conseguenza anche l’articolo 840 c.p.c. Infatti, nel contesto del procedimento di opposizione al riconoscimento e all’esecuzione del lodo straniero occorre menzionare non la possibilità di concedere la provvisoria esecutorietà, ma quella di eventualmente ottenere la sospensione dell’esecutività ora prevista ex lege. Di qui la modifica dell’articolo 840, secondo comma, assegnando il compito di disporre la sospensione dell’esecutività o dell’esecuzione del lodo, ove già intrapresa, al consigliere istruttore, che vi darà luogo in caso di gravi motivi. Va detto che si è consapevolmente scelto un meccanismo diverso da quello degli articoli 283 e 351 c.p.c. per ragioni di semplificazione e perché qui non ci si colloca in secondo, ma in unico grado di merito.

Sempre in attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. b, della l. 26 novembre 2021, n. 206, si è ritenuto di modificare altresì l’articolo 840, quarto comma. La fattispecie è quella della sospensione non dell’esecuzione, ma del procedimento di opposizione, a motivo dell’impugnazione del lodo dinanzi ad un’autorità giurisdizionale estera. La richiesta di una cauzione a carico della controparte non spetta più alla sola parte che richiede l’esecuzione, ma anche all’altra parte, a seconda che l’esecutività del decreto di riconoscimento del lodo sia stata confermata o meno. Si è quindi preferita la più ampia dizione di parte interessata.

 

Comma 57

Il comma 57 reca la norma di copertura finanziaria per le disposizioni di cui al comma 29, lettera g).

 

Art. 4 – (Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie)

 

Comma 1

Lettera a)

Nelle disp. att. c.p.c. viene introdotto un nuovo Titolo II, Capo I-bis, intitolato “Dei mediatori familiari”.

L’articolo 12 bis disp. att. c.p.c. disciplina l’elenco dei mediatori familiari, prevedendo che presso ogni tribunale sia istituito tale elenco.

Ai sensi dell’articolo 12 ter disp. att. c.p.c. l’elenco è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica e da un mediatore familiare, designato dalle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, che esercita la propria attività nel circondario del tribunale. Le funzioni di segretario del comitato sono esercitate dal cancelliere del tribunale. Si dà inoltre atto che l’elenco è permanente e che ogni quadriennio il comitato provvede alla sua revisione per eliminare coloro per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti nell'articolo 12-quater o è sorto un impedimento a esercitare l'ufficio. Infine, si fa presente che anche all’elenco dei mediatori familiari si applicano gli articoli 19, 20 e 21, relativi alla vigilanza e azione disciplinare, alle sanzioni e al procedimento disciplinare nei confronti dei consulenti tecnici, in quanto compatibili.

Ai sensi dell’articolo 12-quater disp. att. c.p.c. possono chiedere l’iscrizione nell’elenco coloro che sono iscritti da almeno cinque anni a una delle associazioni professionali di mediatori familiari, inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, sono forniti di adeguata formazione e di specifica competenza nella disciplina giuridica della famiglia nonché in materia di tutela dei minori e di violenza domestica e di genere e sono di condotta morale specchiata.

Sulle domande di iscrizione decide il comitato previsto dall’articolo 12-ter. Contro il provvedimento del comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione, al comitato previsto nell’articolo 5.

L’articolo 12-quinquies disp. att. c.p.c. disciplina le domande di iscrizione, prevedendo che coloro che aspirano all'iscrizione nell'elenco devono presentare domanda al presidente del tribunale, corredata dai seguenti documenti:

  1. estratto dell'atto di nascita;
  2. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione;
  3. certificato di residenza nella circoscrizione del tribunale;
  4. attestazione rilasciata dall’associazione professionale ai sensi dell’articolo 7 della legge 14 gennaio 2013, n. 4;
  5. i titoli e i documenti che l'aspirante intende allegare per dimostrare la sua formazione e specifica competenza.

Il presidente procede ai sensi dell’articolo 17, assumendo le opportune informazioni presso le competenti autorità.

L’articolo 12-sexies disp. att. c.p.c. prevede infine che per l'attività professionale del mediatore familiare, la disciplina della formazione, le regole deontologiche e le tariffe applicabili, siano demandate a un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4. La finalità della disposizione è dunque quella di valorizzare l’esperienza dei mediatori familiari e delle loro associazioni riconosciute attualmente dalla legge, demandando al regolamento interministeriale più puntuali e specifiche determinazioni circa l’attività, la formazione e le correlate competenze necessarie, le regole deontologiche nonché la determinazione tramite tariffe degli onorari applicabili, in modo da assicurare buone pratiche e professionalità.

 

Comma 2

Lettera a)

I criteri di delega di cui all’articolo 1, comma 16, lettere a), b) e c), prevedono che la normativa in materia di consulenti tecnici debba essere modificata per “rivedere il percorso di iscrizione dei consulenti presso i tribunali” (lett. a), “distinguere le varie figure professionali, caratterizzate da percorsi formativi differenti anche per il tramite dell’unificazione o aggiornamento degli elenchi, favorendo la formazione di associazioni nazionali di riferimento” (lett. b), nonché per creare “un albo nazionale unico, al quale magistrati e avvocati possano accedere per ricercare le figure professionali più adeguate al singolo caso” (lett. c).

Nell’attuare tali criteri di delega, si è ritenuto di introdurre in un nuovo quarto comma all’articolo 13 disp. att. c.p.c. che demanda ad un decreto ministeriale adottato dal Ministro di giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze nonché del Ministro dello sviluppo economico, l’indicazione delle ulteriori categorie dell’albo (in aggiunta a quelle già elencate nel secondo comma dell’articolo 13) e i settori di specializzazione di ciascuna categoria.

Sul punto, si è ritenuto in via preliminare di non delegificare le categorie elencate nel terzo comma dell’articolo 13 che, insieme al successivo articolo 15, è stato oggetto di modifica ad opera dell’articolo 1, comma 34, della legge n. 206 del 2021 (che ha previsto l’inserimento di una settima categoria relativa alla neuropsichiatria infantile, psicologia dell’età evolutiva e psicologia giuridica o forense).

A garanzia, quindi, della stabilità delle disposizioni recentemente entrate in vigore, si è preferito demandare ad una norma di rango secondario la possibilità di ampliare le categorie di ciascun albo dei consulenti tecnici e di distinguere, all’interno di ciascuna categoria, le relative specializzazioni. Si tratta di un intervento che, introducendo una maggiore specializzazione tra i consulenti tecnici, potrà anche favorire forme di associazionismo a livello nazionale, in conformità a quanto previsto dalla legge delega.

Il suddetto decreto ministeriale dovrà tenere conto dell’attività già svolta, nella stessa materia, dalla Direzione Generale dei sistemi informativi automatizzati dal Ministero della giustizia.

 

Lettera b)

Le lettere a), b) e f) del comma 16 dell’articolo unico hanno ad oggetto, rispettivamente, la revisione del percorso di iscrizione all’albo dei consulenti tecnici, la distinzione dei percorsi professionali e formativi dei consulenti tecnici e la sospensione volontaria dall’albo per ragioni di salute, gravidanza o altre situazioni contingenti. Tali lettere sono state attuate attraverso la modifica dell’articolo 15 disp. att. c.p.c.

Più in particolare, al primo comma è stato previsto che l’iscrizione all’albo sia subordinata anche al rispetto dei requisiti previsti dal decreto ministeriale di cui all’articolo 13, quarto comma.

Inoltre, al sesto e al settimo comma, di nuova introduzione, si è ritenuto di demandare al predetto decreto ministeriale la disciplina relativa:

(i) ai requisiti per l’iscrizione;

(ii) gli obblighi di formazione continua e ad eventuali altri obblighi da assolvere per il mantenimento dell’iscrizione, nonché alle modalità per la verifica del loro assolvimento;

(iii) ai casi di sospensione volontaria dall’albo, a tutela anche della salute, della gravidanza e di altre situazioni contingenti che possono verificarsi nel corso dell’anno lavorativo.

Si precisa che i requisiti per l’iscrizione, gli obblighi di formazione continua e gli altri obblighi da assolvere per il mantenimento dell’iscrizione, di cui alle lettere (i) e (ii), dovranno essere differenziati per ciascuna categoria dell’albo.

Inoltre, per ragioni di coordinamento, è stata modificata la rubrica dell’articolo in esame, in considerazione dei nuovi requisiti da rispettare per la permanenza nell’albo.

Non si è ritenuto di dare specifica attuazione:

- alla parte del criterio di cui alla lettera a) del comma 16, che richiede di favorire “l’accesso alla professione anche ai più giovani”, per consentire alla normativa secondaria di prevedere criteri più analitici e organici al riguardo;

- alla parte del criterio di cui alla lettera d) del comma 16, che prevede la soppressione degli “obblighi di cancellazione da un distretto all’altro”, considerato che si è preferito garantire una maggiore mobilità dei consulenti tecnici operando sul piano processuale anziché sull’organizzazione degli albi, ciascuno dei quali resta, pertanto, incardinato presso il relativo tribunale.

 

Lettera c)

Si è ritenuto di introdurre per esigenze di coordinamento, un nuovo punto 5-bis nel secondo comma dell’articolo 16 disp. att. c.p.c., per consentire al decreto ministeriale, di cui all’articolo 13, quarto comma, di prevedere la presentazione di ulteriori documenti a corredo della domanda di iscrizione all’albo, in considerazione dei nuovi requisiti introdotti nel precedente articolo 15.

Infine, alla luce delle forme di pubblicità introdotte agli articoli 23, secondo comma, e 24-bis, si è ritenuto di precisare che la domanda contiene altresì il consenso dell'interessato al trattamento dei dati comunicati al momento della presentazione dell'istanza di iscrizione, prestato in conformità alla normativa dettata in materia di protezione dei dati personali, anche ai fini della pubblicazione di cui ai predetti articoli.

 

Lettera d)

L’articolo 18 disp. att. c.p.c. è stato modificato in considerazione dell’esigenza di coordinare la revisione dell’albo con i nuovi requisiti di permanenza, onde rendere questi ultimi più effettivi e, al contempo, garantire ai soggetti cancellati dall’albo un rimedio contro il provvedimento di cancellazione.

Al primo comma si è, quindi, previsto che la revisione dell’albo sia effettuata dal comitato competente non più ogni quattro anni, ma ogni due anni.

Si è ritenuto, poi, di introdurre, in un nuovo secondo comma, la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento di cancellazione dall’albo, da presentare al comitato previsto dall’articolo 5 disp. att. c.p.c. entro quindici giorni dalla notificazione dello stesso. Tale rimedio ricalca quello previsto dall’articolo 15, quinto comma, per opporsi ai provvedimenti sulle domande di iscrizione.

 

Lettera e)

Le modifiche all’articolo 22 disp. att. c.p.c. sono volte a recepire i criteri di cui ai commi 16, lettera d), e 17, lettera i), dell’articolo unico, in materia di mobilità dei consulenti tecnici e di conferimento dell’incarico al consulente tecnico da parte del giudice delle sezioni specializzate con competenza distrettuale.

Al primo comma, si è quindi introdotto un ultimo periodo che prevede che i giudici presso le sezioni specializzate dei tribunali con competenza distrettuale possano conferire l’incarico ai consulenti iscritti negli albi dei tribunali del distretto. Viene così ampliato il novero degli albi dei consulenti a cui tali giudici conferiscono, di regola, l’incarico, per rispecchiare la competenza distrettuale di specifiche sezioni specializzate.

Il secondo comma è stato modificato per alleggerire – ma non eliminare del tutto – gli incombenti processuali che il giudice deve rispettare nel caso in cui decida di conferire l’incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo. Invero, si è voluta mantenere una preferenza per l’affidamento dell’incarico ai consulenti iscritti nell’albo del tribunale a cui appartiene il giudice, anche per ragioni di spesa ed efficienza dell’amministrazione della giustizia, pur attuando il principio di una maggiore mobilità dei consulenti tecnici. Nello specifico, quindi, nel caso di conferimento di un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, il giudice non è più tenuto a sentire il presidente, ma deve soltanto comunicare a quest’ultimo il provvedimento motivato di conferimento dell’incarico.

Analoghe modifiche sono introdotte al terzo comma per il conferimento dell’incarico in grado di appello.

 

Lettera f)

La lettera g) del comma 16 dell’articolo unico prevede l’istituzione, presso le corti d’appello, di una commissione di verifica deputata al controllo della regolarità delle nomine. Si è ritenuto di non dare attuazione a tale criterio di delega, considerati i poteri di vigilanza già affidati al presidente del tribunale e al presidente della corte di appello dall’articolo 23 disp. att. c.p.c.

Coerentemente con la finalità di garantire la regolarità delle nomine, si è invece preferito prevedere all’articolo 23, secondo comma, che il potere di vigilanza dei capi degli uffici venga attuato attraverso l’annotazione, degli incarichi affidati e dei compensi liquidati dal giudice agli iscritti nell’albo, nei sistemi informatici regolamentati secondo le regole tecniche per l'adozione nel processo civile delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e che gli incarichi e i compensi siano pubblicati sul sito dell’ufficio giudiziario.

 

Lettera g)

Si è data attuazione al criterio di cui alla lettera c) del comma 16 mediante l’istituzione di un elenco nazionale degli iscritti agli albi dei consulenti tecnici. Trattasi di un elenco con funzioni meramente ricognitive, che dovrebbe quindi riportare, seguendo la struttura degli albi presso ciascun tribunale, l’indicazione completa dei consulenti tecnici presenti sul territorio nazionale, suddivisi in categorie ed eventuali specializzazioni.

Sul punto, si è preferito non fare riferimento, a differenza della legge di delega, ad un albo nazionale, ritenendo che un elenco potesse rispondere in maniera più semplice, ma altrettanto efficace, all’esigenza di rendere pubblicamente e immediatamente consultabili, da giudici e avvocati, i nominativi e le competenze dei consulenti tecnici a livello nazionale.

Si è quindi introdotto un nuovo articolo 24 bis disp. att. c.p.c., a chiusura delle disposizioni in materia di consulenti tecnici nei procedimenti ordinari, con cui è stato previsto, al primo comma, che il predetto elenco sia istituito presso il Ministero della giustizia; che sia suddiviso per categorie e che contenga l’indicazione dei settori di specializzazione di ciascuna categoria; che nello stesso confluiscano le annotazioni dei provvedimenti di nomina, tramite i sistemi informatici di cui all’articolo 23, secondo comma.

Al secondo comma, si è previsto che tale elenco sia tenuto con modalità informatiche e che sia accessibile al pubblico attraverso il portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.

 

Comma 3

Lettera a)

La modifica dell’articolo 36 disp. att. c.p.c. è finalizzata ad adeguare la disposizione anche alla formazione del fascicolo telematico, attraverso l’accorpamento del terzo e quarto comma e l’eliminazione del riferimento agli elementi cartacei del fascicolo (copertina e facciata interna) e del numero progressivo da attribuirsi agli atti, non applicabile al fascicolo telematico. Viene inoltre aggiunto, in fine, un nuovo quarto comma, contenente una disposizione analoga a quella dettata dal comma 3 dell’articolo 9 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 (recante “Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 , e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24”). E’ infatti apparso opportuno ribadire anche in una norma di rango primario la disposizione secondo la quale la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo, fermi restando gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo, previsti dal codice dell'amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente.

 

Lettera b)

La modifica dell’articolo 121 del c.p.c. ha comportato un ripensamento dell’articolo 46 disp. att. c.p.c.: detto articolo viene “modernizzato” e arricchito con nuove disposizioni che recepiscono e attuano i canoni della chiarezza e della sinteticità, introducendo criteri e limiti agli scritti difensivi da individuarsi con decreto adottato dal Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense da aggiornarsi con cadenza almeno biennale seguendo analogo iter consultivo. È prevista una certa flessibilità che tenga conto del valore e della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. In linea con quanto previsto dalla legge delega nell’articolo 1, comma 17, lettera e) è stato espressamente previsto che la violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.

Nell’ultimo comma dell’articolo 46 si chiarisce che anche il giudice, nella redazione dei propri provvedimenti, è tenuto a rispettare i criteri contenuti nei commi precedenti.

La disposizione ha subito alcune modifiche redazionali successivamente al passaggio parlamentare in quanto, per mero errore materiale, era stata prevista l’introduzione di due nuovi commi con parziale riproduzione delle norme già contenute nei commi esistenti del medesimo articolo 46. È stato quindi necessario operare il raccordo fra commi esistenti e quelli di nuovo conio, al fine di mantenerne tutto il contenuto precettivo preesistente, senza duplicazione di precetti, aggiungendo successivamente le disposizioni nuove.

 

Comma 4

Lettera a)

All’articolo 81 bis disp. att. c.p.c. sono state apportate due modifiche. La prima consiste nella soppressione del primo periodo del primo comma, che impone al giudice la fissazione del calendario del processo, in quanto la relativa previsione è stata spostata nell’articolo 183 del codice, in modo da conferirle maggiore rilievo. La seconda costituisce specifica attuazione del principio di delega previsto dal comma 23, lettera f) dell’articolo 1 della legge delega, a mente del quale nel rito unificato in materia di persone, minori e famiglia la prima udienza deve essere fissata entro novanta giorni dal deposito del ricorso, e impone di prevedere «che il capo dell'ufficio giudiziario vigili sul rispetto di tale termine e ne tenga conto nella formulazione dei rapporti per la valutazione di professionalità».

 

Lettera b)

La modifica dell’articolo 87 disp. att. c.p.c., rubricato “Produzione dei documenti”, è stata resa necessaria a seguito dell’introduzione dell’obbligo di deposito telematico di tutti gli atti delle parti costituite a mezzo difensore, di cui si è fatta menzione nella norma attraverso il rinvio all’articolo 196-quater, che sostituisce il precedente riferimento al deposito “in cancelleria”. Il deposito con modalità telematiche rende impossibile la produzione dei documenti nel corso dell’udienza, cosicché è stato previsto di eliminare tale possibilità, sostituendola con la previsione secondo cui se nel corso dell’udienza emerge la necessità di produrre documenti, il giudice, su istanza di parte, può assegnare termine per il deposito degli stessi.

 

Comma 5

Per ragioni di coordinamento si è provveduto all’aggiornamento dei richiami normativi contenuti nel vecchio testo dell’articolo 123 bis disp. att. c.p.c.

 

Comma 6

Lettera a)

Nell’ambito delle disposizioni di attuazione sono stati abrogati gli articoli 134 (deposito del ricorso e del controricorso a mezzo della posta), 134-bis (residenza o sede fisica delle parti), 135 (invio di copie in formato analogico alle parti) e 137 disp. att. c.p.c. (deposito di copie in formato analogiche del ricorso e del controricorso), poiché contengono disposizioni tutte incompatibili con la disciplina sul processo civile telematico in Cassazione, che non richiede la spedizione degli atti a mezzo del servizio postale, né la domiciliazione fisica, né tanto meno il formato analogico degli atti e documenti.

 

Lettera b)

In stretta correlazione alle modifiche apportate agli articoli 47, 48 e 369 del codice di procedura civile, d semplificazione della trasmissione dei fascicoli alla Corte di cassazione quando è proposto regolamento di competenza, si è qui provveduto ad introdurre l’articolo 137 bis disp. att. c.p.c., onerando la cancelleria della corte di cassazione di acquisire, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso – id est venti giorni dal deposito del controricorso –, direttamente il fascicolo d’ufficio tenuto dalla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o che ha sollevato il regolamento di competenza d’ufficio. Analogo onere di acquisizione del fascicolo d’ufficio a cura della cancelleria della Corte di cassazione lo si è previsto anche in riferimento al regolamento di giurisdizione (art. 41), nei casi di impugnativa delle decisioni dei giudici speciali o di conflitti di giurisdizione (art. 362) e nel caso di rinvio pregiudiziale (art. 363-bis).

Con l’art. 137 ter disp. att. c.p.c. di nuova introduzione è stata codificata la previsione della pubblicità, sul sito istituzionale della Corte, di una serie di atti del giudice di merito e del pubblico ministero. Ferma restando, infatti, la previsione della pubblicazione di tutti i provvedimenti (sentenze, ordinanze e decreti) della Cassazione sul suo sito web istituzionale, come già previsto dal comma 2 dell’art. 51 del d.lgs. n. 196 del 2003, si è stabilito che – con il supporto tecnico del Centro elettronico di documentazione della S.C. – i provvedimenti dei giudici di merito che dispongono il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis, nonché tutti i decreti del primo presidente che dichiarano inammissibile il rinvio oppure rimettono gli atti alle sezioni unite o a quella semplice, siano pubblicati nel sito istituzionale della Corte (https://www.cortedicassazione.it), per assicurare la massima conoscenza a tutti gli operatori del diritto delle questioni pendenti. Inoltre, con una innovazione che richiama la disciplina prevista in sede di corti sovranazionali (si pensi alla pubblicità delle conclusioni scritte dell’avvocato generale innanzi alla Corte di Giustizia UE), si è previsto che siano parimenti pubblicati sul sito web della Corte, non solo i ricorsi nell’interesse della legge proposti ex art. 363 dal Procuratore Generale, ma anche tutte le sue conclusioni per i singoli ricorsi, naturalmente nei casi in cui siano state formulate per iscritto, attraverso le memorie ex art. 378 e quelle previste dall’art. 380-bis.1.

 

Lettera c)

L’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (art. 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato, tra l’altro, l’articolo 139 disp. att. (istanza di rimessione alle sezioni unite).

 

Lettera d)

Nell’ambito delle disposizioni di attuazione è stato abrogato l’articolo 140 disp. att. c.p.c. (deposito di copie in formato analogico delle memorie), poiché contiene disposizioni tutte incompatibili con la disciplina sul processo civile telematico in Cassazione, che non richiede la domiciliazione fisica, né il formato analogico degli atti e documenti.

 

Lettera e)

Si è ritenuto opportuno prevedere, con l’introduzione dell’articolo 140-bis disp. att. c.p.c., che la camera di consiglio si svolge in presenza, consentendo però al presidente del collegio – in considerazione delle specificità che caratterizzano la Corte di cassazione – di disporne lo svolgimento mediante collegamento audiovisivo a distanza, per esigenze di tipo organizzativo (si pensi, ad esempio, a casi di riconvocazione della camera di consiglio quando il collegio è composto da consiglieri che potrebbero essere impossibilitati a recarsi a Roma).

 

Lettera f)

All’articolo 143 disp. att. c.p.c., in materia di enunciazione del principio di diritto, è stato espunto il riferimento alla «sentenza di accoglimento», dal momento che il provvedimento decisorio della Corte può essere rappresentato anche dall’ordinanza.

 

Lettera g)

Si è ritenuto opportuno conservare la previsione di cui al vigente articolo 144-quater disp. att. c.p.c. – sia pur spostandola, per ragioni di coerenza sistematica, in un nuovo articolo 144-bis.1 disp. att. c.p.c. in quanto la disposizione era stata inserita nel capo dedicato alle disposizioni relative alle controversie di lavoro – dal momento che nonostante l’obbligo di deposito telematico degli atti di parte e l’inserimento nel fascicolo informatico di copia dei provvedimenti depositati in forma cartacea, non è possibile escludere che le nuove disposizioni trovino applicazione anche in relazione a ricorsi per cassazione proposti nell’ambito di procedimenti in cui parte degli atti processuali erano ancora in formato analogico e in cui quindi si rende necessaria l’acquisizione del fascicolo d’ufficio anche in tale formato.

 

Comma 7

Lettera a)

Il vigente articolo 144-quater disp. att. c.p.c. è stato abrogato in conseguenza dello spostamento della disposizione, per ragioni di coerenza sistematica, in un nuovo articolo 144 bis.1.

 

Lettera b)

Infine, sotto il profilo organizzativo, la disposizione di cui all’articolo 4, comma 7, lettera b, introduce nel corpo delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie il nuovo articolo 144-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato “Controversie in materia di licenziamento”, a tenore del quale il presidente di sezione ed il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al Capo I bis del titolo IV del libro II del c.p.c., prevedendosi altresì che in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentano di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis del codice di procedura civile, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro.

 

Comma 8

La norma di cui al nuovo articolo 152-ter disp. att. c.p.c. (Procedimenti in camera di consiglio) riproduce il contenuto dell’art. 41 disp. att. c.c., che è stato abrogato. 

In attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 22, lett. a) della legge delega, e per evidenti esigenze di carattere sistematico, invero, nella riorganizzazione delle disposizioni relative alle persone, ai minorenni e alle famiglie si è ritenuto opportuno trasferire la norma, deputata a disciplinare il profilo della competenza per i provvedimenti previsti nell’articolo 145 del codice civile e le modalità di svolgimento del relativo procedimento, tra le disposizioni di attuazione del codice di rito dedicate al procedimento in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie. Sempre per esigenze di coordinamento sistematico al richiamo all’art. 145 c.c. si è affiancato l’ulteriore richiamo al procedimento di cui all’art. 316 c.c., che merita di essere analogamente disciplinato. 

Per ragioni di coerenza sistematica si è ritenuto opportuno trasporre all’articolo 152-quater disp. att. c.p.c. (Ascolto del minore) il contenuto dell’abrogato art. 38-bis disp. att. c.c.

In relazione al principio contenuto nella delega che prevede che l’ascolto del minore debba essere audioregistrato, la norma di cui all’articolo 152-quinquies disp. att. c.p.c. (Registrazione audiovisiva dell’ascolto) affida a un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia la predisposizione delle regole tecniche necessarie per la registrazione audiovisiva, la sua conservazione e il suo inserimento nel fascicolo telematico.

La norma di cui all’articolo 152-sexies disp. att. c.p.c. (Indagini del consulente) contiene alcune disposizioni specifiche relative alla consulenza nel procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, precisando che fermo quanto previsto dall’art. 90, il consulente tecnico nominato ai sensi degli articoli 473-bis.25 c.p.c. e 473-bis.44 c.p.c. del codice fissa il calendario delle operazioni peritali e lo comunica ai difensori e ai consulenti tecnici di parte se nominati. 

Il consulente può chiedere al giudice la proroga del termine per il deposito della relazione, con istanza motivata, su concorde richiesta delle parti o in caso di particolare complessità delle indagini. 

Unitamente alla relazione di cui all’articolo 195 del codice, il consulente deposita la documentazione utilizzata e i supporti contenenti le registrazioni audiovisive delle operazioni relative al minore.

La norma di cui all’articolo 152-septies disp. att. c.p.c. (Scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) contiene alcune disposizioni specifiche relative al procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che recepiscono i contenuti dell’art. 4, comma 3 e dell’art. 10, comma 1, l. divorzio, ora abrogati, sulla disciplina della comunicazione all’ufficiale dello stato civile della notizia della presentazione della domanda e della trasmissione della sentenza. 

In relazione alla previsione contenuta nell’articolo 473-bis.54 c.p.c. la norma di cui all’articolo 152-octies disp. att. c.p.c. (Esame da remoto dell’interdicendo o inabilitando) demanda a un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia l’individuazione e la regolamentazione delle modalità per l’eventuale collegamento da remoto dell’interdicendo, inabilitando o beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno ai fini del suo esame.

 

Comma 9

Lettere a) e b)

Si tratta di modifica apportata agli articoli 153 e 154 disp. att. c.p.c. a seguito dell’abrogazione della formula esecutiva.

 

Lettere c), d) ed e)

A causa delle modifiche apportate alla numerazione dei commi dell’art. 492 bis c.p.c., si sono inoltre apportate correzioni formali agli artt. 155-bis e 155-ter disp. att. c.p.c.

In forza del comma 22 lettera a) della legge delega, è stata altresì modificata la disciplina “transitoria” di questo istituto: vale a dire, l’ipotesi – allo stato unica praticabile su tutto il territorio nazionale – prevista dall’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c., per la quale le ricerche telematiche ex art. 492 bis attualmente si effettuano attraverso la richiesta da parte del creditore interessato, autorizzato dal presidente del tribunale, ai gestori delle banche dati.

In tal caso, la disciplina delineata dal legislatore è differente da quella dell’art. 492 bis c.p.c., ma il problema relativo alla scadenza del termine ex art. 481, 1° comma, prima che possa concludersi la fase delle ricerche si pone ugualmente. Per questo motivo, si interviene anche sulla disciplina della suddetta disposizione di attuazione, seguendo la medesima ratio degli interventi operati sull’art. 492 bis c.p.c., ma delineando una disciplina ad hoc.

Anche in tal caso si è distinto a seconda che l’istanza sia depositata dopo la notifica del precetto, ovvero prima della medesima.

Nella prima ipotesi, in forza della previsione della legge delega ex art. 1 comma 13 lettera b), come dispone l’art. 492-bis riformato, l’istanza deve essere presentata all’ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, il quale, verificata la regolarità dell’istanza, attesta l’impossibilità di effettuare le ricerche per il mancato funzionamento dell’accesso diretto alle banche dati. Dopo tale verifica, il creditore, munito della attestazione, può rivolgersi ai gestori delle banche dati per far svolgere le ricerche, senza necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale.

Quando, invece, vi è pericolo nel ritardo e l’istanza precede la notificazione del precetto, per i motivi già illustrati a proposito dell’art. 492-bis, si è mantenuta la necessità di autorizzazione in capo al presidente del tribunale.

Poiché, come si è già sottolineato, anche in relazione alla disciplina qui in esame si pongono i medesimi problemi già illustrati in relazione all’art. 492-bis (nella formulazione ora in vigore) quanto al rispetto del termine previsto dall’art. 481, 1° comma, si è conseguentemente modificato l’art. 155-quinquies disp. att. c.p.c. anche sotto tale profilo, al fine della piena efficienza dell’istituto. Si è pertanto previsto che, laddove non occorra l’autorizzazione del presidente del tribunale, il termine di cui all’art. 481, 1° comma, rimanga sospeso per novanta giorni, decorrenti dal rilascio dell’attestazione dell’ufficiale giudiziario. Uguale sospensione di novanta giorni del termine ex art. 481, 1° comma, decorrenti dal provvedimento di autorizzazione, è prevista quando il precetto è notificato successivamente al provvedimento (di autorizzazione) del presidente del tribunale. Si prevede, inoltre, nel nuovo 4° comma della disposizione, che si applichino anche con riferimento alla disciplina in oggetto l’ultimo comma dell’art. 492 e l’ultimo comma dell’art. 492-bis c.p.c. (entrambi di nuova introduzione) per quanto compatibili.

 

Comma 10

Lettera a)

Ragioni di coerenza sistematica rispetto all’intervento di cui all’art. 591-ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare, hanno imposto di novellare gli istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (art. 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (art. 168 disp. att. c.p.c.).

 

Lettera b)

L’articolo 169-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato “Prospetto riepilogativo delle stime e delle vendite” è stato modificato attraverso l’aggiunta di un ultimo periodo, contenente la disposizione, attualmente collocata nel comma 9-septies del decreto-legge n. 179 del 2012, secondo la quale il prospetto riepilogativo contiene i dati identificativi dello stimatore e dell'ufficiale giudiziario che ha attribuito il valore ai beni pignorati a norma dell'articolo 518 del codice.

 

Comma 11

Lettera a)

Le modifiche all’articolo 173-bis disp. att. c.p.c. sono di adeguamento, per espungere il riferimento a mezzi di tecnologia ormai desueti, nonché per attuare il criterio di delega che prevede che gli atti del processo esecutivo debbano essere redatti secondo schemi standardizzati.

 

Lettera b)

Gli interventi hanno riguardato anche il subprocedimento di vendita; le plurime modifiche apportate riaffermano e consolidano il ruolo centrale svolto dal professionista delegato in tale segmento della espropriazione forzata.

Concerne anche (ma non solo) il professionista delegato la previsione della lettera g) del comma 12, ovvero l’introduzione di schemi standardizzati per la redazione degli avvisi di vendita (nonché della relazione di stima dell’esperto stimatore), tradotta nell’articolato attuativo nella interpolazione dell’art. 570 c.p.c. e 173-quater disp. att. c.p.c. (nonché per la relazione di stima dell’esperto, dell’art. 173-bis disp. att. c.p.c.). La funzione della modifica è rivolta tanto al giudice dell’esecuzione, onde facilitare la necessaria interlocuzione con i propri ausiliari, tanto alla platea dei potenziali interessati all’acquisto dell’immobile staggito, dacché l’uniformità dei modelli adoperati senza dubbio agevola la lettura e la comprensione di due atti fondamentali per determinarsi all’offerta.

 

Lettera c)

Si è modificato l’articolo 179-ter disp. att. c.p.c. recante la disciplina dell'elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita, come sostituito dall'art. 5 bis, primo comma, della legge 30 giugno 2016, n. 119, di conversione del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 56. In particolare la disposizione vigente, rubricata “Elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita”, demanda ad un decreto non regolamentare del Ministro della giustizia di stabilire: a) gli obblighi di prima formazione per ottenere l’iscrizione nell’elenco; b) gli obblighi di formazione periodica da assolvere ai fini della conferma dell’iscrizione; c) la composizione e le modalità di funzionamento della commissione preposta alla tenuta dell’elenco, all’esercizio della vigilanza sugli iscritti, alla valutazione delle domande di iscrizione e all’adozione dei provvedimenti di cancellazione dall’elenco.

Tale decreto, peraltro, non è mai stato emanato, essenzialmente in ragione dell’incompletezza della disciplina di rango primario, che non attribuiva copertura normativa ad alcuni aspetti essenziali della materia che non potevano dunque essere rimessi neppure alla regolazione secondaria, peraltro espressamente esclusa dall’articolo 179 ter che richiama un decreto non regolamentare (si pensi, senza pretesa di completezza alle modalità di esercizio del potere di vigilanza, ai presupposti per disporre la cancellazione dall’elenco, ai requisiti del primo popolamento, tutti elementi che non paiono ricompresi nel perimetro disciplinatorio dell’articolo 179 ter vigente e senza i quali concretamente la nuova disciplina non può operare).

Pertanto, dando attuazione al criterio di delega di cui all’articolo 1, commi 12 e 16, si è colta l’occasione per disciplinare nel dettaglio la materia direttamente con norma primaria stabilendo che le modalità di tenuta e formazione dell’elenco, attribuita ad un comitato presieduto dal Presidente del tribunale o da un suo delegato e composto da un giudice addetto alle esecuzioni immobiliari e da un professionista iscritto nell’albo professionale, designato dal consiglio dell’ordine, a cui appartiene il richiedente l’iscrizione nell’elenco. Sono state inoltre disciplinati nel dettaglio i requisiti necessari per la proposizione della prima domanda di iscrizione nell’elenco (comi 3, 4 e 5 dell’articolo novellato) e per la conferma della medesima (commi 6 e 7).

Il comma 10, infine, attribuisce al comitato il potere di disporre la sospensione fino a un anno e, in caso di gravi ovvero reiterati inadempimenti, la cancellazione dall’elenco dei professionisti ai quali in una o più procedure esecutive sia stata revocata la delega in conseguenza del mancato rispetto dei termini per le attività delegate, delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione o degli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. Si stabilisce altresì che i professionisti cancellati dall’elenco a seguito di revoca della delega non possono essere reinseriti nel triennio in corso e nel triennio successivo.

 

Lettera d)

Viene altresì novellato l’articolo 179-quater disp. att. c.p.c. prevedendo che a nessuno dei professionisti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall’ufficio e dal singolo giudice, in modo tale da garantire un’ampia rotazione dei professionisti iscritti all’elenco, evitando la concentrazione degli incarichi in capo a pochi professionisti.

 

Comma 12

Le disposizioni in materia di deposito con modalità telematiche attuano i seguenti criteri e criteri direttivi, dettati dal comma 17, lettere a), b) e c) dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021:

“a) prevedere che, nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d'appello e alla Corte di cassazione, il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, o anche mediante altri mezzi tecnologici, e che spetti al capo dell'ufficio autorizzare il deposito con modalità non telematiche unicamente quando i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti e sussista una situazione d'urgenza, assicurando che agli interessati sia data conoscenza adeguata e tempestiva anche dell'avvenuta riattivazione del sistema;

  1. b) prevedere che, in tutti i procedimenti civili, il deposito telematico di atti e documenti di parte possa avvenire anche con soluzioni tecnologiche diverse dall'utilizzo della posta elettronica certificata nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici;
  2. c) prevedere che, nel caso di utilizzo di soluzioni tecnologiche diverse dalla posta elettronica certificata, in tutti i procedimenti civili, il deposito si abbia per avvenuto nel momento in cui è generato il messaggio di conferma del completamento della trasmissione”.

Tali criteri di delega sono completati da quello previsto dalla lettera h) del medesimo comma 17, che impone di “introdurre, in funzione dell'attuazione dei principi e criteri direttivi di cui alla presente legge, misure di riordino e implementazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico”.

Inoltre, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera g) dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, che dispone di “rivedere la disciplina delle attestazioni di conformità di cui agli articoli 16-bis, comma 9-bis, 16-decies e 16-undecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, al fine di consentire tali attestazioni per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti con le stesse modalità”, sono state riviste le disposizioni relative all’attestazione di conformità già vigenti, contenute negli articoli indicati nella legge delega, completandole con un’ulteriore disposizione (il nuovo articolo 196-decies delle disposizioni di attuazione), finalizzata a consentire le attestazioni di conformità previste nelle disposizioni vigenti anche per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti con le stesse modalità, come previsto dalla lettera g) del comma 17 dell’articolo 1 della legge delega.

La delega in tali materie è stata attuata in parte attraverso la razionalizzazione e la modifica delle disposizioni vigenti, sulla base del criterio dettato dal comma 22, lettera a), della legge n. 206 del 2021 (“curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega, comprese le disposizioni del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, in modo da renderle ad essi conformi, operando le necessarie abrogazioni e adottando le opportune disposizioni transitorie”) ed in parte attraverso l’introduzione di nuove norme, al fine di adeguare la disciplina nel rispetto dei criteri di delega innanzi citati.

Da un punto di vista sistematico, la delega relativa all’obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e alle modalità di tale deposito (comma 17, lettere a), b) e c) della legge n. 206 del 2021) è stata attuata, in primo luogo, attraverso l’abrogazione dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, attualmente contenente le principali disposizioni in materia di processo telematico, atteso che parte di tali disposizioni sono superate in virtù della generale previsione dell’obbligatorietà del deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore. Le altre disposizioni contenute nell’articolo 16-bis, modificate sulla base dei criteri di delega, sono state principalmente raggruppate nel Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, di nuova introduzione, intitolato “Disposizioni relative alla giustizia digitale”, interamente dedicato alle norme in materia di giustizia digitale. L’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 contiene anche, ai commi 9-quater, 9-quinquies e 9-sexies, disposizioni estranee alla materia del processo telematico, con le quale è introdotto l’obbligo, per alcuni ausiliari del giudice nelle materie esecutiva e concorsuale, di depositare rapporti riepilogativi. Tali commi sono stati abrogati e le relative disposizioni sono state collocate nei pertinenti articoli del codice di procedura civile (articolo 591-bis), delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (169-quinquies) e della legge fallimentare (articoli 33, 119, 182 e 186-bis), nel rispetto del criterio di delega, di cui al comma 22, lettera a), della legge n. 206 del 2021, che impone il coordinamento con le disposizioni vigenti.

L’attuazione del criterio di delega in materia di attestazioni di conformità è anch’essa avvenuta attraverso l’abrogazione degli articoli 16-decies e 16-undecies del decreto-legge n. 179 del 2012 e la collocazione della disciplina negli stessi contenuta nel nuovo Titolo V ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, dedicato alla giustizia digitale, nonché l’introduzione di una nuova norma in materia di attestazione di conformità degli atti trasmessi all’ufficiale giudiziario (articolo 196-decies).

Sono stati inoltre modificati ulteriori articoli delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile (artt. 36 e 87), al fine di adeguarli alla nuova disciplina in materia di deposito telematico degli atti.

Come innanzi anticipato, si è scelto di collocare le disposizioni in materia di deposito telematico e attestazioni di conformità nelle disposizioni di attuazione, attraverso l’inserimento di un nuovo Titolo V-ter disp. att. c.p.c., intitolato “Disposizioni relative alla giustizia digitale”. Le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile sono state ritenute la sede più appropriata per contenere il nuovo corpo normativo in materia di giustizia digitale, in ragione della funzione accessoria rispetto alle norme codicistiche, dalle stesse rivestita. Al contempo, l’introduzione di tale nuovo titolo ha lo scopo di raccogliere, in un unico contesto normativo, tutte le disposizioni in materia di giustizia digitale, tanto allo scopo di armonizzare e rendere coerente la materia del processo digitale, quanto al fine di consentirne l’agevole modifica nel momento in cui si dovessero rendere necessari futuri interventi, tanto più probabili in quanto si tratta di materia in rapida evoluzione in conseguenza dell’evolversi delle tecnologie.

La creazione del nuovo Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione di codice di procedura civile è stata ritenuta preferibile rispetto alla collocazione della disciplina in materia di processo telematico nel codice di procedura civile. Con riferimento alle norme sul deposito telematico, l’inserimento delle stesse nelle disposizioni di attuazione rende infatti possibile introdurre, in un’unica disposizione (l’articolo 196-quater), una norma generale in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice (quanto a questi ultimi, limitatamente a quelli previsti dal libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, i soli per i quali attualmente vige il regime dell’obbligatorietà di tale modalità di deposito), conducendo ad una disciplina più razionale e rendendo più agevole un’eventuale modifica della disposizione nel caso in cui, in futuro, si volesse estendere l’obbligo di deposito telematico dei provvedimenti del giudice. Deve infatti sottolinearsi che la delega in materia di obbligatorietà del deposito telematico è limitata agli atti e documenti delle parti che sono in giudizio a ministero di un difensore, mentre, quanto ai provvedimenti del giudice, l’unica possibilità di intervento da parte del legislatore delegato è quella consentita dalla lettera h) del comma 17 dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, in tema di riordino. Ove, quindi, si fosse optato per la modifica del codice di procedura civile, sarebbe stata necessaria l’introduzione di una disposizione, da collocarsi nel libro I (“Disposizioni generali”), titolo VI (“Degli atti processuali”), capo I (“Delle forme degli atti e dei provvedimenti”), sezione I (“Degli atti in generale”), dopo l’articolo 121 c.p.c., riferita all’obbligo di deposito telematico degli atti di parte, e di una diversa disposizione nell’ambito della disciplina del procedimento di ingiunzione, contenuta nel libro IV (“Dei procedimenti speciali”), titolo I (“Dei procedimenti sommari”), capo I (“Del procedimento di ingiunzione”), dal contenuto analogo all’attuale comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Quest’ultima soluzione è apparsa meno razionale rispetto a quella prescelta, rendendo inoltre più complessi gli interventi di modifica ove si addivenga, in futuro, alla generalizzata obbligatorietà del deposito telematico dei provvedimenti giudiziari.

La limitazione della delega ai soli documenti e atti “delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore” impedisce inoltre di estendere, in sede di attuazione della delega, l’obbligatorietà del deposito telematico ai casi in cui la parte stia in giudizio personalmente.

Come già rilevato, le modifiche di maggiore incisività alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile risiedono nella creazione di un nuovo Titolo V-ter, intitolato “Disposizioni relative alla giustizia digitale”, nell’ambito del quale le norme in materia di deposito telematico e attestazioni di conformità sono state distribuite in un Capo I, “Degli atti e dei provvedimenti”, in un Capo II, “Della conformità delle copie agli originali” e in un Capo III, “Dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza”.

Il Capo I contiene gli articoli 196-quater, 196-quinquies, 196-sexies e 196-septies.

L’articolo 196-quater disp. att. c.p.c., rubricato “Obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti”, dispone al primo comma: “Nei procedimenti civili davanti al tribunale, alla corte di appello, alla Corte di cassazione e al giudice di pace il deposito degli atti processuali e dei documenti, ivi compresa la nota di iscrizione a ruolo, da parte dei difensori e dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. Con le stesse modalità le parti depositano gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche”. Il primo periodo costituisce attuazione del criterio direttivo dettato dall’articolo 1, comma 17, lettera a) della legge n. 206 del 2021; al fine di prevenire possibili dubbi interpretativi, si è chiarito che rientra nell’obbligo di deposito telematico anche la nota di iscrizione a ruolo. Il secondo e il terzo periodo costituiscono trasposizione di disposizioni attualmente contenute ai commi 1 e 9 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012.

Il secondo comma contiene la disposizione attualmente dettata, per il tribunale, dal comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e prevede pertanto che nel procedimento di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti del giudice ha luogo con modalità telematiche. L’eliminazione del riferimento ai soli procedimenti davanti al tribunale, contenuto nel comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n, 179 del 2012, costituisce indiretta trasposizione, con riferimento a tale aspetto e previa effettuazione delle necessarie modifiche (su cui si veda infra), della norma attualmente contenuta al comma 6 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, che prevede l’applicabilità, agli uffici giudiziari diversi dai tribunali, anche delle disposizioni di cui al comma 4 del decreto-legge n. 179 del 2012 a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti con i quali il Ministro della giustizia accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione. Pertanto, in attuazione del criterio di delega relativo al riordino e all’implementazione del processo civile telematico (comma 17, lettera h)) si è provveduto, in primo luogo, ad inserire in un solo articolo (il 196-quater delle disposizioni di attuazione) tutte le disposizioni in materia di obbligatorietà del deposito telematico; in secondo luogo, ad eliminare il riferimento ai soli procedimenti di ingiunzione davanti al tribunale, in tal modo prevedendo l’obbligo di deposito dei provvedimenti del giudice anche ai procedimenti di ingiunzione innanzi al giudice di pace. Al contempo è stata fissata, attraverso l’inserimento di una norma transitoria nel decreto legislativo, la data del 30 giugno del 2023 per l’entrata in vigore delle disposizioni dettate dall’articolo 196-quater per i procedimenti davanti al giudice di pace.

Il terzo comma dell’articolo 196-quater precisa che il deposito con modalità telematiche è effettuato nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, come attualmente previsto dal comma 1 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012.

Con il quarto comma si prevede che il capo dell’ufficio autorizza il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una situazione di urgenza, dandone comunicazione attraverso il sito istituzionale dell’ufficio, nonché che con la medesima forma di pubblicità provvede a comunicare l’avvenuta riattivazione del sistema. La disposizione, che costituisce l’estensione di quella contenuta al comma 4, secondo periodo, dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, nonché adattamento al criterio di delega di quella contenuta al comma 8 del medesimo articolo, costituisce attuazione del criterio di delega di cui all’ultima parte del comma 17, lettera a), della legge n. 206 del 2021 (“spett[a] al capo dell'ufficio autorizzare il deposito con modalità non telematiche unicamente quando i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti e sussista una situazione d'urgenza, assicurando che agli interessati sia data conoscenza adeguata e tempestiva anche dell'avvenuta riattivazione del sistema”).

In attuazione del criterio di delega di cui alla lettera h) del comma 17, che impone l’introduzione di misure di riordino e implementazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico, è stata riportata anche in una norma di rango primario, collocata all’articolo 196-quinquies disp. att. c.p.c., la disposizione contenuta all’articolo 15 del decreto del Ministro della giustizia n. 44 del 2011, al fine di colmare la lacuna derivante dall’assenza di una legge che prevedesse il valore legale del deposito degli atti del processo da parte di magistrati e personale, al di fuori dei casi di obbligatorietà. Al di là di mere modifiche di drafting, l’unica modifica sostanziale rispetto alla norma regolamentare è costituita dall’eliminazione del riferimento all’apposizione della firma del cancelliere, in coerenza con quanto attualmente disposto dal comma 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e, successivamente all’entrata in vigore del presente schema di decreto legislativo, dal nuovo articolo 196-octies delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile.

L’articolo 196-quinquies, rubricato “Dell’atto del processo redatto in formato elettronico” prevede pertanto che se l’atto del processo è redatto in formato elettronico dal magistrato o dal personale degli uffici giudiziari e degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti ed è sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico; che in caso di atto formato da organo collegiale l’originale del provvedimento è sottoscritto con firma digitale anche dal presidente; che quando l’atto è redatto dal cancelliere o dal segretario dell’ufficio giudiziario questi vi appone la propria firma digitale e ne effettua il deposito nel fascicolo informatico; che se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico. Il quinto comma contiene una disposizione relativa al procedimento di correzione dell’errore materiale, disponendo che se il provvedimento di correzione di cui all’articolo 288 del codice è redatto in formato elettronico, il cancelliere forma un documento informatico contenente la copia del provvedimento corretto e del provvedimento di correzione, lo sottoscrive digitalmente e lo inserisce nel fascicolo informatico.

L’articolo 196-sexies disp. att. c.p.c., rubricato “Perfezionamento del deposito con modalità telematiche”, detta la regola generale in materia di perfezionamento del deposito (attualmente contenuta al comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012), disponendo che quest’ultimo si ha per avvenuto nel momento in cui è generata la conferma del completamento della trasmissione secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ed è tempestivamente eseguito quando la conferma è generata entro la fine del giorno di scadenza. La norma precisa che si applicano le disposizioni di cui all'articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile e che se gli atti o i documenti da depositarsi eccedono la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia, il deposito può essere eseguito mediante più trasmissioni.

La disposizione costituisce attuazione dei criteri di delega di cui al comma 17, lettere b) e c) della legge n. 206 del 2021. Più in particolare, l’attuazione di tali criteri avviene attraverso la modifica della regola generale, di rango primario, sul perfezionamento del deposito, attualmente riferita al solo deposito a mezzo posta elettronica certificata (cfr. articolo 16-bis, comma 7, del decreto-legge n. 179 del 2012: “[i]l deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia”) in modo da renderla applicabile anche a tecnologie diverse rispetto alla posta elettronica certificata ed il rinvio alla normativa, anche regolamentare, per le regole tecniche di dettaglio relative al perfezionamento del deposito telematico. Tale soluzione presenta il vantaggio di consentire al Ministero della giustizia di individuare la tecnologia utilizzabile nel momento in cui sia disponibile, e di aggiornare conseguentemente le norme tecniche con decreto ministeriale. È stato, in ogni caso, ritenuto opportuno mantenere in una norma di rango primario (il nuovo articolo 196-sexies disp. att. c.p.c.) la regola generale sul perfezionamento del deposito e sulla sua tempestività, sia in ragione dell’importanza del principio (si confronti, ad esempio, l’articolo 149 c.p.c., che disciplina il momento perfezionativo della notifica a mezzo posta), sia perché, ove il comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 venisse abrogato senza che la regola generale in ordine al momento perfezionativo del deposito fosse riportata in una norma di legge, si verrebbero verosimilmente a determinare incertezze interpretative.

In altri termini, il nuovo articolo 196-sexies disp. att. c.p.c. contiene una disposizione più generale rispetto a quella attualmente vigente, di cui al comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, e riprende la formulazione della legge delega, dettando una norma di principio la cui precisa declinazione tecnica viene lasciata alle disposizioni di natura regolamentare (attualmente contenute nel D.M. n. 44 del 2011). La modifica della norma primaria, attraverso il generico riferimento alla generazione della conferma del completamento della trasmissione e non più alla ricevuta di avvenuta consegna, specificamente riferita al deposito a mezzo posta elettronica certificata, costituisce attuazione del criterio di delega di cui al comma 17, lettera c) (“prevedere che, nel caso di utilizzo di soluzioni tecnologiche diverse dalla posta elettronica certificata, in tutti i procedimenti civili, il deposito si abbia per avvenuto nel momento in cui è generato il messaggio di conferma del completamento della trasmissione”), in quanto, eliminando il riferimento alla posta elettronica certificata, consente di modificare la disciplina regolamentare prevedendo soluzioni diverse dalla pec. Al contempo, tale opzione non determina alcun vuoto normativo, atteso che la regola tecnica in ordine al momento perfezionativo del deposito a mezzo posta elettronica certificata continua ad essere contenuta nell’articolo 11 del D.M. n. 44 del 2011 (“1. I documenti informatici di cui agli articoli 11 e 12 [atti del processo in forma di documento informatico e documento informatico] sono trasmessi da parte dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati mediante l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio destinatario, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34. 2. I documenti informatici di cui al comma 1 si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. 3. Nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente (…)”.).

L’articolo 196-septies disp. att. c.p.c., rubricato “Copia cartacea di atti telematici”, reca la disposizione attualmente contenuta al comma 9 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. La sua trasposizione nel titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del c.p.c. costituisce pertanto attuazione del criterio di delega relativo al riordino delle disposizioni in materia di processo civile telematico, di cui al comma 17, lettera h) della legge n. 206 del 2021. La norma prevede che con decreto il Ministro della giustizia stabilisce misure organizzative per l’acquisizione di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematiche, per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con le predette modalità e per la gestione e la conservazione delle predette copie cartacee e che con il medesimo decreto sono altresì stabilite le misure organizzative per la gestione e la conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo a norma dell’articolo 196-quater, primo comma, terzo periodo, e quarto comma.

Il Capo II del titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, intitolato “Della conformità delle copie agli originali”, reca le norme in materia di attestazione di conformità, tanto attualmente contenute nei commi 2 e 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e negli articoli 16-decies e 16-undecies del medesimo decreto-legge (collocate nelle disposizioni di attuazione del c.p.c. nell’ambito dell’esercizio della delega sul riordino delle norme in materia di processo civile telematico, di cui alla lettera h) del comma 17 dell’articolo 1 della legge delega), quanto di nuova introduzione (l’articolo 196-decies), in attuazione del criterio di delega di cui al comma 17, lettera g).

Il capo si compone di quattro articoli, dal 196-octies al 196-undecies.

L’articolo 196-octies disp. att. c.p.c., rubricato “Potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria” riprende, con minime modifiche, la norma contenuta al comma 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. La disposizione prevede che “[l]e copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest'ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche, equivalgono all'originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all'originale. Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al primo comma e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico ovvero allegati alle comunicazioni telematiche. Le copie analogiche e informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico o dall’allegato alla comunicazione telematica e munite dell'attestazione di conformità hanno la stessa efficacia probatoria dell’atto che riproducono. Il duplicato informatico di un documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all'ordine del giudice.”. Rispetto al comma 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, l’articolo 196-octies include anche il liquidatore giudiziale tra i soggetti ai quali è attribuito il potere di attestazione ed estende quest’ultimo potere anche agli atti allegati alle comunicazioni telematiche, colmando alcune lacune esistenti nel comma 9-bis ed esercitando in tal modo la delega relativa all’implementazione delle norme in materia di processo civile telematico.

L’articolo 196-novies disp. att. c.p.c., rubricato “Potere di certificazione di conformità di copie di atti e di provvedimenti” contiene, al primo comma, la disposizione attualmente dettata dall’articolo 16-decies del decreto-legge n. 179 del 2012 e, al secondo comma, la regola relativa al potere di attestazione contenuta al comma 2 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Analogamente a quanto previsto all’articolo 196-octies, il potere di attestazione della conformità della copia è stato esteso al liquidatore giudiziale. La disposizione prevede pertanto che “[i]l difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, ed il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale, quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia al predetto atto. La copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento. Il difensore, quando deposita nei procedimenti di espropriazione forzata la nota di iscrizione a ruolo e le copie informatiche conformi degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma, del codice, attesta la conformità delle copie agli originali”.

Con l’articolo 196-decies disp. att. c.p.c., di nuova introduzione, è stata esercitata la delega di cui al comma 17, lettera g) dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, con particolare riferimento alla finalità di consentire le attestazioni di conformità per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti con le stesse modalità. La norma, rubricata “Potere di certificazione di conformità delle copie trasmesse con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario”, prevede quindi che il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale, quando trasmettono all’ufficiale giudiziario con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto, di un provvedimento o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia all’atto detenuto e che la copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto, del provvedimento o del documento.

L’articolo 196-undecies disp. att. c.p.c., rubricato “Modalità dell’attestazione di conformità”, contiene, con modifiche di mero drafting, la disposizione attualmente dettata dall’articolo 16-undecies del decreto-legge n. 179 del 2012. La norma prevede pertanto, al primo e secondo comma, che l'attestazione di conformità della copia analogica, prevista dalle disposizioni del capo II del titolo V-ter, dal codice di procedura civile e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, è apposta in calce o a margine della copia o su foglio separato, congiunto materialmente alla medesima e che l'attestazione di conformità di una copia informatica è apposta nel medesimo documento informatico. Il terzo comma specifica che nel caso previsto dal secondo comma, l'attestazione di conformità può alternativamente essere apposta su un documento informatico separato e l'individuazione della copia cui si riferisce ha luogo esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia; se la copia informatica è destinata alla notifica, l'attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione. Il comma quarto precisa che i soggetti di cui agli articoli 196-octies, 196-novies e 196-decies, che compiono le attestazioni di conformità previste dalle predette disposizioni, dal codice di procedura civile e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, sono considerati pubblici ufficiali ad ogni effetto.

Il Capo III del Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, intitolato “Dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza”, contiene l’articolo 196-duodecies disp. att. c.p.c., rubricato “Udienza con collegamenti audiovisivi a distanza”, attraverso il quale si completa l’attuazione della delega contenuta al comma 17, lettera l) della legge n. 206 del 2021, relativa alle udienze svolte con collegamenti audiovisivi a distanza. La norma detta infatti puntuali disposizioni in ordine alla modalità di tenuta di tali udienze al fine di assicurarne il regolare svolgimento e di risolvere possibili questioni interpretative.

Nel dettaglio, l’articolo 196-duodecies disp. att. c.p.c. dispone che l’udienza di cui all’articolo 127-bis del codice è tenuta con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e ad assicurare l’effettiva partecipazione delle parti e, se l’udienza non è pubblica, la sua riservatezza, prevedendo altresì l’applicazione delle norme contenute nell’articolo 84 delle medesime disposizioni di attuazione, in tema di svolgimento delle udienze. Prevede altresì che nel verbale si dà atto della dichiarazione di identità dei presenti i quali assicurano che non sono in atto collegamenti con soggetti non legittimati e che non sono presenti soggetti non legittimati nei luoghi da cui sono in collegamento. È altresì disposto che i presenti mantengono attiva la funzione video per tutta la durata dell’udienza e che agli stessi è vietata la registrazione dell’udienza.

Si specifica che il luogo dal quale il giudice si collega è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti (in tal modo consentendo al giudice la possibilità di collegarsi anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario) e che l’udienza si considera tenuta nell'ufficio giudiziario davanti al quale è pendente il procedimento.

Il quinto comma prevede che i collegamenti audiovisivi a distanza per lo svolgimento dell’udienza e le modalità attraverso le quali è garantita la pubblicità dell’udienza in cui si discute la causa sono individuati e regolati con provvedimenti del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Con riferimento a tali provvedimenti, il decreto legislativo contiene una disposizione transitoria con la quale è disposto che nelle more della loro adozione i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continuano ad essere regolati dal decreto del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia del 20 marzo 2020, previsto dall’articolo 83, comma 7, lettera f), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

 

Capo III Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alle disposizioni per l’attuazione al codice di procedura penale

 

 Art. 5 – (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale)

 

Comma 1 – (Modifiche al codice penale)

Nell’ambito delle dichiarazioni disciplinate dall’articolo 4-bis del D.L. n. 132 del 2014, il principio di delega di cui alla lettera t), n. 2, del comma 4, prevede che la falsità delle dichiarazioni rese dagli informatori possa comportare conseguenze penali. La riserva prevista dall’articolo 3 bis del codice penale, per la quale nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice stesso, impone di inquadrare la nuova fattispecie incriminatrice in tale corpo normativo.

L’articolo 371-ter c.p., commi terzo e quarto, sanziona le false dichiarazioni rese al difensore nell’ambito dell’attività svolta ai sensi dell’articolo 4-bis del D.L. n. 132 del 2014.

Il comma terzo prevede che chi rende false dichiarazioni nella procedura di acquisizione di dichiarazioni disciplinata dal menzionato articolo 4-bis del D.L. 132 del 2014 è punito con la stessa pena prevista per chi rende false dichiarazioni al difensore che svolge indagini difensive in sede penale.

Il comma quarto, in armonia con quanto prevede il secondo comma dell’articolo 371-ter del codice penale, a mente del quale il procedimento penale per false dichiarazioni è sospeso fino alla sentenza di primo grado ovvero all’adozione del provvedimento di archiviazione della sentenza di non luogo a procedere nel processo nel quale le dichiarazioni sono state assunte, prevede che anche il procedimento penale per le false dichiarazioni rese nella procedura di negoziazione è sospeso fino alla conclusione della procedura stessa. Quando la procedura si conclude senza accordo, il processo penale è sospeso fino a quando non sia stata pronunciata sentenza di primo grado nel giudizio successivamente instaurato, nel quale una delle parti si sia avvalsa della facoltà di cui all’articolo 4-bis, comma 6, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, ovvero fino a quando tale giudizio sia dichiarato estinto. Tale disciplina è finalizzata a consentire all’informatore di ritrattare prima che le sue dichiarazioni siano utilizzate, così escludendo che si perfezioni il reato. Il meccanismo di sospensione consente inoltre di attendere che la procedura di negoziazione o il processo davanti al giudice, in cui sono rese o utilizzare le dichiarazioni false si concludano prima di avviare il procedimento penale finalizzato ad accertare la falsità di tali dichiarazioni delle quali, evidentemente, deve essere stato fatto uso.

Si è ritenuto, invece, di non esercitare la delega contenuta nell’articolo 1, comma 4, lettera t, n. 2), in ordine all’applicabilità dell’articolo 642, secondo comma, del codice di procedura civile alla parte che si sottrae all’interrogatorio, non essendo risultato possibile costruire una disciplina generale che consenta alla parte di ottenere l’esecuzione provvisoria di un decreto ingiuntivo a fronte della sottrazione della controparte all’interrogatorio e considerato il rischio di abusi legati all’introduzione di una simile possibilità. Non è stata, infine, esercitata la delega contenuta nel successivo n. 4), in ossequio all’autonomia dell’ordine professionale forense.

 

Comma 2 – (Modifiche al codice di procedura penale)

La modifica all’articolo 282-bis c.p.p. si rende necessaria in attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206 del 2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”.

L’articolo 282-bis del codice di procedura penale è stato introdotto dalla legge 4 aprile 2001, n. 154, e disciplina la misura dell’allontanamento dalla casa familiare.

Al quarto comma, il richiamo all’ordinanza presidenziale di cui all’articolo 708 del codice di procedura civile, resa nel giudizio di separazione tra i coniugi, deve essere soppresso stante l’avvenuta abrogazione di tale norma e l’intera riscrittura della disciplina del processo di separazione giudiziale mediante le norme del nuovo rito unitario in materia di persone, minorenni e famiglie (nel combinato tra le disposizioni generali e le disposizioni speciali). Non si ritiene peraltro necessario sostituire l’inciso soppresso, in quanto la norma prosegue con un richiamo onnicomprensivo, che di fatto costituisce una clausola generale (“provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli”) e dunque ben può applicarsi anche ai provvedimenti emanati nel nuovo rito unitario a tutela dei coniugi e della prole, non soltanto nel giudizio di separazione, ma più in generale in tutti i procedimenti relativi alla crisi familiare.

 

Art. 6 – (Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)

 

Il criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 23 demanda al legislatore delegato il compito di prevedere, nel caso in cui siano allegati comportamenti di violenza domestica o di genere, che siano assicurate “le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti”. D’altro lato, il monitoraggio sull’articolo 64-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (introdotto dall’articolo 14 della legge n. 69 del 2019) condotto nel 2021 dal Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero ha evidenziato come gli obblighi informativi che la legislazione vigente pone a carico degli attori del processo penale non abbiano raggiunto lo scopo che il legislatore si prefiggeva, per una serie di cause quali la mancata specifica predeterminazione legislativa del soggetto tenuto alla comunicazione e, soprattutto, la mancata conoscenza, da parte del soggetto (pubblico ministero o giudice penale) tenuto alla segnalazione, del presupposto indicato dalla legge, e cioè la pendenza di un procedimento di separazione o comunque di un procedimento civile relativo all’esercizio della responsabilità genitoriale; il problema principale, in altri termini, è risultato essere quello della reciproca conoscenza del dato e del suo scambio. Tali problemi potranno in parte essere risolti tramite l’estensione dell’utilizzo della Consolle del pubblico ministero da parte delle Procure della Repubblica, che tramite l’accesso telematico ai registri di cancelleria civile del tribunale consente di appurare la pendenza di procedimenti che vedono coinvolti l’indagato e la persona offesa, si è ritenuto di proporre – unitamente agli altri interventi già esaminati nell’ambito delle norme di cui alla sezione I del capo III – una modifica della disposizione sopra indicata, volta a ridurre gli inconvenienti sin qui rilevati.

In particolare, l’articolo 64-bis disp. att. c.p.p. viene modificato innanzitutto nella sua rubrica, non più relativa alla sola “trasmissione” di atti al giudice civile, ma anche alle “comunicazioni”. Nel merito, si prevede che quando procede per reati commessi in danno del coniuge, del convivente o di persona legata da una relazione affettiva, anche ove cessata, e risulti che sono pendenti procedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi, allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e allo scioglimento dell’unione civile, ovvero alla responsabilità genitoriale (e di tale pendenza il pubblico ministero potrà avere notizia direttamente dalla persona offesa ovvero, quando il procedimento sia pendente presso lo stesso tribunale, mediante una verifica tramite l’utilizzo della Consolle di cui sopra) il pubblico ministero deve senza ritardo darne notizia al giudice che procede il quale sarà così messo in condizione di richiedere le informazioni e gli atti di indagini ostensibili (salvo, naturalmente, che si tratti di atti coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale); lo stesso compito grava sul pubblico ministero quando procede per reati commessi in danno di minori dai genitori, da altri familiari o da persone comunque con loro conviventi, nonché dalla persona legata al genitore da una relazione affettiva, anche ove cessata, ed è pendente un procedimento civile o minorile relativo alla responsabilità genitoriale, al suo esercizio e al mantenimento del minore. Il nuovo comma 1-bis della norma prevede poi che una volta accertata la pendenza di uno dei procedimenti di cui si è detto, il pubblico ministero debba trasmettere al giudice civile o al tribunale per i minorenni che procede “copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, nonché copia dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e degli atti di indagine non coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice”. Allo stesso modo, la cancelleria del giudice penale dovrà trasmettere al giudice civile copia della sentenza che definisce il processo o del decreto di archiviazione.

 

Capo IV Modifiche alle leggi speciali

Sezione I Modifiche in materia di Mediazione, Negoziazione assistita e Arbitrato

 

Art. 7 – (Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28)

 

Comma 1

Lettera a)

L’articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato, con l’aggiunta delle parole “e di conciliazione” al fine di chiarire che esso ricomprende anche le procedure di conciliazione, previste per legge, nelle carte dei servizi elaborate e pubblicizzate dai soggetti pubblici o privati che erogano servizi pubblici procedure non solo di reclamo. La modifica è pertanto necessaria per armonizzare la disciplina vigente con l’evoluzione delle carte dei servizi che tende ad ampliare gli strumenti di tutela per gli utenti in caso di violazione degli standard di qualità garantiti, includendo il procedimento di conciliazione.

La modifica appare necessaria anche nel contesto del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 4, lett. c), della legge delega (che impone l’ampliamento dei casi di ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla procedura di mediazione), in quanto volto a chiarire che le disposizioni del d.lgs. n. 28 del 2010 non precludono alle parti di avvalersi di tali procedure.

 

Lettera b)

Gli interventi sull’articolo 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 hanno imposto di effettuare un richiamo ad esso nell’articolo 3, comma 1, d.lgs. n. 28 del 2010 al fine di chiarire che il procedimento di mediazione, secondo il regolamento dell’organismo, deve comunque essere conforme all’articolo 8.

L’articolo 3, comma 2, è stato modificato al fine di chiarire che il regolamento dell’organismo deve assicurare anche l’indipendenza del mediatore, in coordinamento con le modifiche introdotte all’articolo 14.

Infine, al comma 4 si è previsto che la previsione di far svolgere la mediazione con modalità telematiche, contenuta nel regolamento dell’organismo di mediazione, debba essere conforme a quanto previsto dal nuovo articolo 8-bis.

 

Lettera c)

Conformemente al criterio di cui al comma 4, lettera e), relativo al riordino della procedura di mediazione, sono state introdotte modifiche all’articolo 4 del d.lgs. n. 28 del 2010.

Nello specifico, al comma 1 è stato precisato che la domanda di mediazione è presentata da una delle parti all’organismo di mediazione competente, individuato sulla scorta dei criteri dettati dalla legge o su accordo delle parti. Si è poi ritenuto di sopprimere la distinzione tra domanda e istanza di mediazione (quest’ultima relativa al documento contenente la domanda), di scarsa utilità pratica ma foriera di confusione, e di fare riferimento, in maniera uniforme in tutto il decreto legislativo n. 28 del 2010, alla domanda di mediazione.

Al comma 2 è stato, quindi, pure soppresso il riferimento all’istanza, e inserito un riferimento alla domanda di mediazione.

Il comma 3 è stato modificato per coordinamento con la nuova numerazione dei commi dell’articolo 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.

 

Lettera d)

Il principio di delega impone l’ampliamento dei casi di ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla procedura di mediazione. Si è quindi modificato l’articolo 5 d.lgs. n. 28 del 2010, lasciandovi la disciplina relativa alla mediazione come condizione di procedibilità stabilita ex lege per alcune categorie di controversie, e spostando in altri articoli la disciplina relativa alla mediazione demandata e alla mediazione prevista dallo statuto o dell’atto costitutivo dell’ente.

L’ampiezza delle modifiche ha imposto una sostituzione dell’articolo 5, che prevede quanto segue.

Il comma 1 individua le controversie in relazione alle quali si richiede alle parti di esperire il tentativo di mediazione, a condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Oltre alle categorie già previste, sono aggiunte le controversie in materia di contratti di associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

La restante disciplina contenuta nel precedente comma 1-bis è stata in parte soppressa e in parte sostituita con una nuova e più razionale collocazione delle relative disposizioni.

Non si è ritenuto di inserire interventi di carattere generale per l’armonizzazione di tutta la normativa applicabile in materia di procedure stragiudiziali e la sua collocazione in un testo unico sugli strumenti complementari alla giurisdizione, come previsto dalla lett. b), comma 4, articolo 1 della legge delega, considerato che quest’ultima subordina tale attività normativa al monitoraggio, da svolgere nell’arco di un quinquennio, da effettuare sull’area di applicazione della mediazione obbligatoria.

Al comma 2 trova più chiara collocazione quanto precedentemente previsto nel secondo e quarto periodo del comma 1-bis, in ordine ai rapporti tra la procedura di mediazione obbligatoria e il processo. Il comma ribadisce, quindi, che il previo esperimento della mediazione nei casi di cui al comma 1 è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che quando tale condizione non è rispettata e viene proposta domanda giudiziale, la relativa eccezione deve essere sollevata, a pena di decadenza e non oltre la prima udienza, dalla parte convenuta, fermo restando il potere di rilievo officioso in capo al giudice, da esercitarsi entro la prima udienza.

Si è inoltre precisato che quando la mediazione non risulti esperita, oppure risulti esperita ma non conclusa, il giudice debba fissare una successiva udienza dopo la scadenza del termine massimo di durata della procedura di mediazione, fissato dall’articolo 6.

È stato meglio chiarito, rispetto al testo previgente, che il giudice, a tale successiva udienza, se constata che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta, dichiara l’improcedibilità della domanda.

Il comma 3 riprende quanto previsto nel primo periodo del previgente comma 1-bis e prevede che le parti, per assolvere alla condizione di procedibilità di cui al comma 1, possono anche esperire le procedure specificamente previste nelle lettere da a) a d).

Il comma 4 prevede che quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, tale condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione.

Il comma 5 sancisce il principio secondo cui la pendenza della condizione di procedibilità non preclude il ricorso al giudice per chiedere l’adozione di procedimenti cautelari e urgenti, né preclude la trascrizione della domanda giudiziale.

Il comma 6 indica i casi in cui non opera la condizione di procedibilità prevista dal comma 1. Rispetto al testo previgente, sono state apportate modifiche di coordinamento dovute all’inserimento della disciplina della mediazione demandata dal giudice nell’articolo 5-quater, ed è stata inserita la disposizione contenuta nella lettera h) finalizzata a chiarire che tra le azioni giudiziali che non sono precluse dalla pendenza della condizione di procedibilità ai sensi del comma 1 è compresa anche l’azione inibitoria prevista dall’articolo 37 del codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005.

 

Lettera e)

In attuazione dei criteri di delega e dell’esigenza di un intervento sistematico, sono stati introdotti gli articoli da 5-bis a 5-sexies, illustrati di seguito.

Nei casi di mediazione obbligatoria, quando il procedimento è iniziato nelle forme del ricorso per decreto ingiuntivo, rispetto alle quali non vige la regola della improcedibilità che opera, invece, solo nell’eventuale fase di opposizione, come richiesto dal legislatore delegante con il criterio di cui alla lettera d) del comma 4, è stata individuata la parte che è tenuta a soddisfare la condizione di procedibilità, una volta sollevata la relativa eccezione. L’articolo 5-bis d.lgs. n. 28 del 2010 è stato aggiunto per attuare tale principio di delega.

Si stabilisce che quando una delle azioni previste dall’articolo 5, comma 1, è proposta con ricorso monitorio, in caso di opposizione al decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la procedura di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. La conseguenza processuale a carico della parte che non adempie a tale onere consiste, ove il giudice ne verifichi l’inerzia, nella declaratoria di improcedibilità della domanda proposta in sede monitoria e nella conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, e liquidazione delle spese.

Si è inoltre previsto, per scongiurare problemi interpretativi, che in tali ipotesi il giudice possa procedere al rilievo di improcedibilità (entro la prima udienza) solo dopo avere provveduto, se tale richiesta è stata formulata entro la prima udienza, sulle istanze di adozione dei provvedimenti provvisori di cui agli articoli 648 e 649 del codice di procedura civile sulla provvisoria esecutorietà del decreto opposto.

Con riferimento all’articolo 5-ter, in attuazione del criterio di delega contenuto nella lettera h), sono state introdotte modifiche alla disciplina applicabile all’amministratore di condominio, al fine di rendere più efficiente la relativa partecipazione al procedimento di mediazione.

L’articolo 5-ter, rubricato “Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio”, è stato introdotto al fine di prevedere che l’amministratore possa attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi, sottoponendo all’approvazione dell’assemblea, a seconda dei casi, il verbale contenente il testo dell’accordo di conciliazione individuato dalle parti, o la proposta conciliativa del mediatore. L’assemblea dovrà quindi manifestare la propria volontà di aderirvi, (con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile) entro il termine fissato nella proposta di accordo, decorso inutilmente il quale la conciliazione s’intende come non conclusa.

L’articolo 5-quater d.lgs. n. 28 del 2010 colloca in apposito articolo la disciplina della mediazione demandata dal giudice, precedentemente disciplinata dal comma 2 dell’articolo 5 che, a seguito degli interventi di razionalizzazione previsti, si prevede sia dedicato alla disciplina dei casi di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie elencate nel relativo comma 1 e ai rapporti con il processo.

Il comma 1 chiarisce, rispetto all’originaria formulazione, che il giudice, quando demanda le parti in mediazione, deve provvedere con ordinanza motivata, nella quale potrà dare atto delle circostanze considerate per l’adozione del provvedimento e fissare la successiva udienza. Oltre al riferimento alla natura della causa, allo stato dell’istruzione e al comportamento delle parti, si è ritenuto di inserire una clausola di chiusura (“ogni altra circostanza”) idonea a consentire al giudice di dare adeguata e piena motivazione della decisione di demandare le parti in mediazione. Si è altresì ritenuto, anche in coordinamento con le modifiche apportate alla fase conclusiva del processo ordinario, di prevedere che il giudice possa demandare le parti in mediazione fino alla precisazione delle conclusioni.

Il comma 2 precisa che la mediazione demandata dal giudice è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con applicazione, anche in questo caso, della disciplina dettata all’articolo 5, commi 4 (che prevede che la condizione di procedibilità si considera avverata quando le parti non raggiungono l’accordo al primo incontro), 5 (che fa salva la concessione delle misure cautelari ed urgenti, nonché la trascrizione della domanda giudiziale, in pendenza della condizione di procedibilità) e 6 (che disciplina il diverso operare della condizione di procedibilità consistente nell’esperimento del tentativo di mediazione nei particolari procedimenti ivi elencati).

Il comma 3 prevede espressamente che il mancato esperimento della procedura di mediazione, accertato dal giudice all’udienza fissata nell’ordinanza di mediazione demandata, comporta la dichiarazione di improcedibilità della domanda giudiziale.

Con riferimento all’articolo 5-quinquies d.lgs. n. 28 del 2010, il criterio di delega di cui alla lettera o) prevede la valorizzazione ed incentivazione della mediazione demandata dal giudice. In attuazione di tale criterio, si è ritenuto necessario, in primo luogo, intervenire in ottica di riordino e razionalizzazione della disciplina processuale della mediazione demandata; in secondo luogo, sono state introdotte precise disposizioni in materia di formazione del magistrato, tracciabilità e valutazione delle ordinanze di mediazione demandata e delle controversie definite ad esito del successivo procedimento di mediazione; in terzo luogo, è stata introdotta la possibilità per il capo dell’ufficio giudiziario di promuovere progetti di collaborazione con soggetti esterni agli uffici giudiziari al fine di incentivare l’uso della mediazione. L’articolo 5-quinquies si compone dei seguenti quattro commi.

Il comma 1 disciplina i doveri del magistrato nella cura della propria formazione e aggiornamento in materia di mediazione, con la frequentazione di corsi, anche decentrati, organizzati dalla Scuola superiore di magistratura. Nel rispetto dell’autonomia istituzionale e organizzativa della Scuola superiore di magistratura viene rimessa a tale ente l’individuazione di una adeguata offerta formativa periodica, così come viene lasciata all’autonomia e responsabilità del singolo magistrato la scelta di partecipare a tali corsi.

Il comma 2 disciplina gli incentivi al magistrato che sceglie di curare una specifica formazione in materia di mediazione e che in concreto utilizza lo strumento della mediazione demandata per la migliore definizione del contenzioso pendente. Si prevede espressamente, con richiamo ai criteri previsti dall’articolo 11 del d.lgs. n. 160 del 2006, che tali attività siano indicative dell’impegno, capacità e laboriosità del magistrato, rilevanti sul piano delle valutazioni previste dal citato decreto legislativo.

Il comma 3 prevede che le ordinanze di mediazione demandata siano oggetto di specifica rilevazione statistica, necessaria al fine della concreta applicazione dei criteri di valutazione di professionalità del magistrato prevista dal comma 2, in modo tale da consentire di associare l’adozione dell’ordinanza di mediazione demandata con l’abbandono della stessa lite, quale elemento indicatore dell’intervenuta soluzione della controversia mediante composizione stragiudiziale in sede di mediazione.

Il comma 4, nell’ottica di valorizzare tutti i rapporti di collaborazione istituzionale necessari per dare impulso alla cultura della mediazione, prevede che il capo dell’ufficio giudiziario, nell’ambito dei propri compiti, possa promuovere progetti di collaborazione in questa materia con altri soggetti, senza aggiuntivi oneri per la finanza pubblica. Tale disposizione è formulata in modo ampio, al fine di rispettare la discrezionalità organizzativa dei capi degli uffici, cui è rimessa la scelta in concreto di modi e tempi per il suo esercizio.

Nel contesto generale del riordino della procedura di mediazione (previsto dalla lettera e) del comma 4) si è deciso di collocare in un apposito articolo 5-sexies del d.lgs. n. 28 del 2010 la vigente disciplina della mediazione obbligatoria alla quale le parti si vincolano con apposita espressione di volontà, inserendola in apposita clausola contrattuale o statutaria.

L’articolo 5-sexies viene, quindi, introdotto per dare adeguata e più razionale collocazione al soppresso comma 5 dell’articolo 5, e disciplina l’ipotesi in cui le parti, con apposita clausola contrattuale o statutaria, si impegnino a esperire, prima di adire il giudice, la procedura di mediazione. L’articolo riprende quanto previsto dal comma soppresso ma chiarisce che, in caso di inerzia delle parti nel soddisfare la condizione di procedibilità, il giudice debba dichiarare l’improcedibilità della domanda.

 

Lettera f)

L’articolo 6, comma 1, d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato per rafforzare l’efficacia della procedura conformemente a quanto richiesto dal comma 4, lettera e), dell’unico articolo della legge delega al fine di prevedere che il termine massimo di durata della procedura di mediazione può essere prorogato di ulteriori tre mesi, su accordo delle parti, a condizione che la richiesta di proroga intervenga prima della scadenza di tale termine.

Le modifiche apportate al comma 2 sono di mero coordinamento con le modifiche apportate all’articolo 5.

Infine, al comma 3, si è ritenuto necessario precisare il dovere delle parti di comunicare al giudice la proroga del termine per concludere il procedimento di mediazione, così da consentire al giudice di adottare i provvedimenti conseguenti rispetto al giudizio avanti a sé pendente.

 

Lettera g)

Le modifiche all’articolo 7 del d.lgs. n. 28 del 2010 sono di mero coordinamento con le modifiche introdotte all’articolo 5 e con le nuove disposizioni dell’articolo 5-quater.

 

Lettera h)

L’attuazione del criterio di delega di cui alle lettere e), f), i) e p) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega ha comportato modifiche di ampia portata in quanto ha imposto il riordino delle disposizioni concernenti la procedura di mediazione, allo specifico fine di favorire la partecipazione delle parti e l’effettivo confronto sulle questioni controverse, regolando altresì le conseguenze della mancata partecipazione alla procedura di mediazione. Più in particolare, i principi di delega intendono conferire alla procedura di mediazione una concreta effettività, in modo che le parti che vi aderiscono, fin dal primo incontro, insieme al mediatore, si dedichino concretamente alla ricerca della migliore e stabile soluzione del conflitto che le contrappone.

L’articolo 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato quindi sostituito al fine di collocarvi i fondamentali principi che regolano la procedura avanti al mediatore.

Il comma 1 prevede gli adempimenti del responsabile dell’organismo di mediazione, una volta ricevuta la domanda di mediazione. È stato reso più flessibile e meno stringente il termine per il primo incontro tra le parti, da tenersi tra i venti e i quaranta giorni dal deposito della domanda, al fine di evitare che la tempistica eccessivamente ridotta ostacoli una adeguata preparazione del primo incontro e, da parte dell’organismo, l’individuazione del mediatore ritenuto idoneo ad occuparsi della controversia. Sono stati inoltre meglio precisati gli oneri di comunicazione a carico dell’organismo successivi alla ricezione della domanda di mediazione, in modo che alle parti arrivino immediatamente tutte le informazioni utili per il più efficace avvio della procedura. È stata conservata la previsione che, nelle controversie tecnicamente complesse, l’organismo possa nominare uno o più mediatori ausiliari.

Il comma 2 è stato introdotto allo scopo di dare adeguata collocazione alla previgente disposizione di cui al soppresso comma 6 dell’articolo 5, secondo la quale la comunicazione della domanda di mediazione alla controparte produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale e impedisce, per una volta, la decadenza. Al fine, inoltre, di evitare che eventuali lentezze procedurali dell’organismo di mediazione possano danneggiare gli interessi delle parti che ricorrono alla mediazione che quindi, già solo per questo, possono essere indotte a non avvalersi di tale procedura, si prevede che la parte che presenta la domanda possa provvedere autonomamente alla comunicazione alla controparte al fine di avvalersi dell’effetto interruttivo della prescrizione o dell’impedimento della decadenza, senza esonero degli obblighi di comunicazione che continuano a gravare sull’organismo di mediazione.

Il comma 3 riprende quanto precedentemente previsto al comma 2 dell’articolo 8, precisando che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.

Il comma 4, in attuazione del criterio di cui alla lettera f), stabilisce che le parti, in linea di principio, sono tenute a partecipare personalmente alla procedura di mediazione ma, in presenza di giustificati motivi, possono delegare un proprio rappresentante, a condizione che sia informato sui fatti e che sia munito dei poteri per conciliare la lite. Tale possibilità è solo in apparente contrasto con il principio di partecipazione effettiva e attiva alla procedura in quanto rappresenta, invece, un ulteriore strumento partecipativo utilizzabile da chi, per varie ragioni (ad esempio salute, età, impegni inderogabili concomitanti con gli incontri fissati dal mediatore) non potrebbe partecipare di persona agli incontri fissati dal mediatore rischiando di far fallire la mediazione ovvero di prolungarne eccessivamente la durata.

L’espressa previsione della possibilità di partecipare mediante un delegato ha reso necessario stabilire in modo chiaro che il mediatore deve verificare la sussistenza dei poteri rappresentativi delle persone comparse davanti a lui e darne atto a verbale.

Il comma 5, al fine di riordinare e razionalizzare le disposizioni in tema di procedimento di mediazione, attribuisce idonea collocazione al principio secondo cui, nei casi di mediazione obbligatoria per legge, ossia nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, ciascuna parte deve essere assistita dal proprio avvocato.

Il comma 6, in attuazione della lettera e), ha ripreso la previsione (di cui al previgente comma 3), secondo cui il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia, ed è stato integrato al fine di precisare le attività e gli oneri che gravano sulle parti della procedura di mediazione e sullo stesso mediatore il quale, in linea generale, è tenuto preliminarmente a informare le parti, nel primo incontro, sulle modalità di svolgimento della mediazione ed è tenuto ad adoperarsi affinché sia raggiunto un accordo di conciliazione. Allo stesso tempo si richiamano espressamente i doveri di leale cooperazione nel rispetto del canone della buona fede, che gravano sulle parti e sui loro avvocati al fine di realizzare l’effettivo confronto sulle questioni controverse. Si è inoltre stabilito che del primo incontro è redatto verbale a causa del mediatore, sottoscritto da tutti i partecipanti.

Tale disposizione sottolinea e ribadisce l’importanza del primo incontro, non più finalizzato a una mera informativa alle parti sulla procedura, la cui funzione è stata invece potenziata e sono previsti specifici oneri a carico del mediatore anche finalizzati a far constare l’eventuale soddisfacimento della condizione di procedibilità, e del relativo verbale.

Il comma 7 contiene la previsione (precedentemente collocata nel comma 4 dell’articolo 8) che il mediatore può avvalersi di esperti, i cui compensi sono stabiliti nel regolamento di procedura dell’organismo. Inoltre, in attuazione del principio di cui alla lettera i), è stata aggiunta la previsione che le parti, al momento della eventuale nomina dell’esperto, possano accordarsi per stabilire che la relazione da questi redatta possa essere prodotta nell’eventuale processo davanti al giudice. L’accordo di produrre la relazione nell’eventuale giudizio deroga ai limiti di utilizzabilità del documento formato nella procedura di mediazione, derivanti dal dovere di riservatezza sancito dall’articolo 9. In caso di produzione, si è previsto che tale documento venga valutato ai sensi dell’articolo 116, primo comma, del codice di procedura civile.

Tale disposizione, in armonia con le generali finalità della delega in materia di mediazione, concorre a incentivare le parti ad avvalersi di tale procedura, proprio in quanto consente, se non si raggiunge l’accordo di conciliazione, di avvalersi delle attività tecniche svolte durante la procedura stragiudiziale.

 

Lettera i)

L’inserimento dell’articolo 8-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010 attua il principio di delega contenuto nella lettera p) per disciplinare la mediazione in modalità telematica.

Il comma 1 prevede, per gli atti del procedimento di mediazione svolto in modalità telematica, che si debbano rispettare le disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e che la loro trasmissione può avvenire avvalendosi di sistemi di posta elettronica certificata o altri servizi elettronici di recapito certificato.

Il comma 2 individua gli standard tecnici che devono essere rispettati nel caso in cui gli incontri del procedimento di mediazione si svolgano con sistemi audiovisivi a distanza e si prevede che le parti possano optare per la partecipazione agli incontri in forma mista.

Il comma 3 regola la formazione e sottoscrizione, con modalità digitale, del documento contenente il verbale e l’eventuale accordo di conciliazione, da parte del mediatore, oltre che delle parti e, nei casi previsti dalla legge, dagli avvocati che li assistono.

Il comma 4 prevede che il documento sottoscritto ai sensi del comma 3, dopo essere stato firmato dal mediatore, sia poi ritrasmesso alle parti, agli avvocati (ove nominati) e alla segreteria dell’organismo.

Il comma 5 stabilisce che l’organismo di mediazione procede alla conservazione ed esibizione dei documenti del procedimento di mediazione svolto con modalità telematiche osservando le disposizioni di cui all’articolo 43 del codice dell’amministrazione digitale.

 

Lettera l)

L’articolo 9 del d.lgs. n. 28 del 2010 viene modificato allo scopo di razionalizzare le disposizioni in tema di procedimento di mediazione. In particolare, si modifica il comma 1, al fine di chiarire che il dovere di riservatezza deve essere osservato da chiunque partecipi alla procedura di mediazione.

 

Lettera m)

L’articolo 11 del d.lgs n. 28 del 2010 viene modificato in attuazione del principio di cui alla lettera e) e in tale articolo è collocata la disciplina della fase conclusiva del procedimento di mediazione.

Il comma 1 individua alcuni specifici oneri di verbalizzazione a carico del mediatore, con riferimento all’ipotesi in cui l’accordo sia o non sia raggiunto. Viene mantenuta la previsione del testo attualmente vigente, in ordine al persistere, qualora le parti non raggiungano un accordo, della facoltà del mediatore di formulare comunque una proposta di conciliazione che deve essere allegata al verbale, informando le parti delle possibili conseguenze derivanti dal rifiuto della proposta ai sensi dell’articolo 13.

Al comma 2 sono stabilite le formalità e i tempi per la formalizzazione della proposta di conciliazione ad opera del mediatore, al fine di consentire alle parti di esaminarla e valutarla con un adeguato margine di tempo prima di manifestare la volontà di aderirvi o di rifiutare. Per ragioni di riservatezza nell’eventuale successivo procedimento giudiziale inter partes, è stato previsto che la proposta del mediatore non possa contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.

Il comma 3 costituisce una norma di coordinamento con l’articolo 15-septies, comma 4, al fine di procedimentalizzare e semplificare la procedura di liquidazione del compenso dell’avvocato che assiste una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Il comma 4 stabilisce le regole per la formazione del verbale conclusivo della procedura, sia con riferimento alla necessità di allegarvi, quale parte integrante, l’eventuale accordo, ma anche di stabilire chi debba sottoscrivere il verbale e il dovere del mediatore di curarne il celere deposito presso l’organismo, oltre alla previsione degli oneri di verbalizzazione che gravano sul mediatore.

Il comma 5 stabilisce che il verbale contenente l’eventuale accordo deve essere redatto in formato digitale o, se in formato analogico, in tanti originali quante sono le parti, oltre a un originale da depositare presso l’organismo di mediazione. Tale disposizione ha lo scopo di agevolare l’utilizzo di tale documento da parte di coloro che hanno partecipato alla procedura di mediazione.

Il comma 6 sancisce l’obbligo per l’organismo di mediazione di rilasciare copia del verbale contenente l’eventuale accordo alle parti che lo richiedono, nonché di conservare copia degli atti dei procedimenti di mediazione trattati per almeno tre anni decorrenti dalla loro conclusione.

Il comma 7 ribadisce, con diversa collocazione, quanto originariamente previsto dal comma 3 il cui contenuto viene riformulato, nell’ottica del riordino delle norme sul procedimento di mediazione, per meglio definire le condizioni per procedere alla trascrizione dell’accordo di conciliazione, oltre a ribadire che l’accordo può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti o per il ritardo nel loro adempimento.

 

Lettera n)

La lettera g) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega contiene un criterio di delega volto ad incentivare la conclusione di accordi da parte delle amministrazioni pubbliche, disponendo che per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.

Oltre alle modifiche all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è stato inserito l’articolo 11-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010, al fine di effettuare un espresso richiamo alla nuova disposizione della legge n. 20 del 1994 applicabile nei casi di accordo conciliativo sottoscritto, in sede di mediazione, dalle amministrazioni pubbliche.

 

Lettera o)

L’articolo 12 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato oggetto di modifiche di chiarimento e coordinamento.

Al comma 1, al fine di evitare interpretazioni potenzialmente pregiudizievoli per le parti, si è chiarito che l’accordo sottoscritto dalle parti della mediazione e dei agli avvocati, costituisce titolo esecutivo quando le stesse sono assiste “dagli avvocati”, così sostituendo l’attuale espressione “da un avvocato” che potrebbe indurre l’interprete a ritenere che un simile accordo possa essere stipulato, sottoscritto ed avere efficacia esecutiva, anche quando più parti siano assistite da un solo avvocato.

Si è inoltre chiarito, con apposito coordinamento con l’articolo 8-bis, che tra le modalità di sottoscrizione a tal fine consentite sono comprese anche quelle previste da tale disposizione.

Il comma 1-bis è stato quindi inserito per contenere, in collocazione separata, la diversa disciplina dei casi in cui, al di fuori dalle ipotesi del comma 1, l’omologa dell’accordo avviene, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale.

Il comma 2 precisa, mediante una formulazione più corretta rispetto al testo previgente, che l’omologazione dell’accordo conferisce a quest’ultimo la qualità di titolo esecutivo per procedere a espropriazione forzata, esecuzione in forma specifica e iscrizione di ipoteca giudiziale.

 

Lettera p)

L’articolo 12-bis del d.lgs. n. 28 del 2010 viene inserito per attuare il principio di cui alla lettera e) e contiene, collocate in un unico articolo, le disposizioni sulle conseguenze processuali della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione.

Il comma 1 prevede, riportando con diversa collocazione la disposizione di cui all’articolo 8, comma 4-bis del testo vigente, che il giudice possa desumere argomenti di prova, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma del codice di procedura civile, dalla mancata partecipazione di una parte, senza giustificato motivo, al primo incontro della procedura di mediazione cui la controparte l’ha invitata.

Il comma 2, riprendendo il principio previsto dal secondo periodo del vigente comma 4-bis dell’articolo 8, disciplina le conseguenze della mancata partecipazione nei casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda. In tale ipotesi si prevede che la mancata e ingiustificata partecipazione comporti la condanna della parte costituita, a versare all’erario una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio instaurato dopo l’infruttuoso tentativo obbligatorio di mediazione. Rispetto alla disposizione vigente, oltre a una diversa e più razionale collocazione, si è previsto un aumento della sanzione irrogata a questo titolo al fine di disincentivare comportamenti elusivi del principio del tentativo obbligatorio di mediazione, procedura astrattamente idonea a evitare che le parti, per la medesima controversia ricorrano al giudice.

Il comma 3 prevede che, nei casi di cui al comma 2, su istanza di parte, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice possa altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese di lite maturate dopo la infruttuosa conclusione del procedimento di mediazione, dovuta alla mancata partecipazione della medesima parte soccombente.

Il comma 4 prevede una speciale conseguenza processuale connessa all’ingiustificata partecipazione alla procedura di mediazione da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 o da parte di soggetti sottoposti a un’autorità di vigilanza.

In tali ipotesi il giudice segnala la mancata partecipazione, nel primo caso, al pubblico ministero presso la Corte dei conti e nel secondo caso, all’autorità di vigilanza.

Tale segnalazione consente l’eventuale adozione, nei confronti dei soggetti che ingiustificatamente hanno omesso di coltivare una procedura di mediazione obbligatoria, di eventuali sanzioni connesse al danno che tale comportamento possa avere causato all’amministrazione o al soggetto vigilato.

 

Lettera q)

L’articolo 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 viene modificato per attuare il principio di delega di cui alla lettera e) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega.

La rubrica viene modificata allo scopo di chiarire che tale disposizione regola il regime delle spese processuali nel caso di rifiuto della proposta di conciliazione, mentre il nuovo articolo 12-bis disciplina la diversa materia delle conseguenze processuali della mancata partecipazione alla procedura di mediazione.

Il comma 1, nel penultimo periodo, contiene un intervento di coordinamento dovuto alla modifica apportata all’articolo 96 del codice di procedura civile, con l’aggiunta di un quarto comma, il cui contenuto non sarebbe coerente con il richiamo operato dal vigente comma, che ha lo scopo di precisare che l’eventuale condanna della parte al pagamento della somma prevista dal primo periodo del comma 1, non esclude la possibilità che la stessa parte sia condannata, ricorrendone i presupposti, per lite temeraria.

Dunque, per effetto delle descritte modifiche, l’articolo 12-bis contiene la disciplina delle conseguenze scaturiscono dalla mancata e ingiustificata partecipazione alla procedura di mediazione, mentre l’articolo 13 contiene la disciplina delle conseguenze che possono derivare alla parte che, pur avendo partecipato alla procedura di mediazione, ha rifiutato la proposta conciliativa il cui contenuto ha poi trovato riscontro nel provvedimento giurisdizionale.

 

Lettera r)

L’articolo 14 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato in attuazione del principio di cui alla lettera m), nell’ottica di potenziare i requisiti di qualità e trasparenza del procedimento di mediazione, prevedendo, al comma 2, lettera a), che il mediatore sia obbligato a sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di indipendenza, oltre che di imparzialità.

La lettera b) del medesimo comma è stata modificata al fine di prevedere l’obbligo, in capo al mediatore, di comunicare, al responsabile dell’organismo e alle parti, tutte le circostanze sopravvenute nel corso della procedura, idonee a incidere sulla sua indipendenza e imparzialità.

Inoltre alla lettera c) è imposto l’ulteriore onere al mediatore di formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative, mentre alla lettera d) quello di corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.

 

Lettera s)

L’articolo 15 del d.lgs. n. 28 del 2010, dedicato alla mediazione nell’azione di classe, è stato modificato esclusivamente allo scopo di aggiornare il testo alle disposizioni nel frattempo adottate, che hanno dato diversa collocazione alla disciplina dell’azione di classe, portandola all’interno del codice di procedura civile, in particolare, per quanto qui di rilievo, nell’articolo 840-bis.

 

Lettera t)

Il principio di delega di cui all’articolo 1, comma 4, lettera a), in relazione alle procedure alternative di risoluzione delle controversie, prevede tre ambiti di intervento: il riordino, semplificazione e ampliamento degli incentivi fiscali, l’estensione del patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione e negoziazione assistita e l’ampliamento delle categorie di beneficiari e l’aumento degli incentivi fiscali. Tali misure sono finalizzate a favorire e incentivare il ricorso e la diffusione delle forme complementari di risoluzione delle controversie che si realizzano con la composizione transattiva della controversia in tal modo contribuendo, quale ulteriore conseguenza, alla deflazione del contenzioso giudiziario.

L’attuazione di tali ampi e complessi criteri di delega è stata effettuata mediante interventi di modifica degli articoli 17 e 20 del d.lgs. n. 28 del 2010 e mediante l’inserimento di un nuovo capo II-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010 contenente la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui le parti, in ottemperanza al dovere di esperire un tentativo di mediazione, definiscono la controversia senza ricorrere al giudice.

Per quanto riguarda il patrocinio a spese dello Stato, il principio di delega è interpretato, conformemente alle previsioni di spesa e di copertura finanziaria della legge n. 206 del 2021, nel senso di prevedere l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita, nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (che, in attuazione del principio contenuto nell’articolo 1, comma 4, lettera c), sono estesi per la mediazione alle controversie in materia di contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura).

All’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 206 del 2021, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 10 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» (nel prosieguo, TUSG), nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, TUSG, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

L’intervento è volto quindi a colmare tale lacuna, introducendo un meccanismo che consenta l’accesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale e sia raggiunto l’accordo prima di adire l’autorità giudiziaria.

Si è ritenuto di non collocare tale intervento all’interno del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» (nel prosieguo, TUSG), ma nel d.lgs. n. 28 del 2010.

Nel sistema del TUSG, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si struttura in due fasi: in una prima fase, viene deliberata l’ammissione in via anticipata e provvisoria della parte non abbiente al beneficio ad opera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati; in una seconda fase, l’autorità giudiziaria che procede, all’esito della lite, conferma l’ammissione provvisoria e provvede alla liquidazione del compenso considerando quantità e qualità dell’attività processuale svolta dal difensore, applicando i pertinenti parametri legati al valore della controversia, con falcidia del 50% e con obbligo del rispetto del valori medi. Una volta effettuata la liquidazione e adottato il decreto di pagamento, il sistema prevede che appositi uffici procedano all’erogazione delle somme e stabilisce che lo Stato proceda all’azione di recupero di tali somme nei confronti della parte processuale rimasta totalmente o parzialmente soccombente rispetto alla parte ammessa al beneficio.

Tale complessivo sistema appare difficilmente adattabile alle ipotesi nelle quali la parte non abbiente è tenuta ad avviare una procedura di risoluzione alternativa delle controversie (negoziazione assistita o mediazione) che si concluda con l’accordo prima dell’avvio di un’azione giudiziale. In tale ipotesi, infatti, la controversia è risolta senza necessità di proporre domanda giudiziale e, alla conclusione del procedimento, non risulterà possibile individuare una parte “soccombente” in senso tecnico-processuale nei confronti della quale avviare un’azione di recupero delle spese di lite corrisposte, in forza del patrocinio a spese dello Stato.

Si deve poi considerare che l’eventuale previsione di un apposito procedimento che imponga alla parte non abbiente e al suo difensore, a conclusione della procedura di mediazione, di adire l’autorità giurisdizionale al solo scopo di ottenere la liquidazione del compenso, si pone in contrasto con i generali obiettivi di semplificazione e celerità che la legge n. 206 del 2021 si prefigge di raggiungere anche nel settore degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

Si ritiene, per queste ragioni, che il principio di delega non possa essere attuato mediante novella del TUSG in considerazione degli evidenziati aspetti di asistematicità rispetto al vigente sistema della liquidazione giudiziale. Si è pertanto previsto l’inserimento nel d.lgs. n. 28 del 2010 del capo II-bis, i cui articoli da 15-bis a 15-duocecies contengono la speciale disciplina del patrocinio a spese dello Stato per le controversie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità ex lege, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, l’assistenza dell’avvocato è obbligatoria e la procedura si conclude con la conciliazione senza ricorso al giudice.

In proposito si evidenzia che la collocazione della disciplina della ammissione al beneficio e della determinazione, liquidazione, riconoscimento ed erogazione del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte ammessa al patrocinio dello Stato in una procedura di mediazione, in un testo normativo diverso dal TUSG, non risulta incompatibile, in termini sistematici, con la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2021 che, al punto 11, ha precisato che “[r]imane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio”.

La disciplina speciale adottata in attuazione della delega è destinata, infine, ad essere applicata nei casi nei quali, a causa delle circostanze del caso concreto, la procedura di mediazione non ha comportato, durante il suo intero svolgimento, di svolgere una parte della lite in sede giurisdizionale. Tale differente ambito di applicazione delle due discipline induce a non intervenire sul vigente TUSG.

Tanto premesso, la disciplina attuativa del principio di delega in esame riproduce le disposizioni del TUSG che costituiscono espressione dei principi generali del patrocinio a spese dello Stato in materia civile e che sono compatibili con la specificità della fattispecie regolata in attuazione della delega legislativa.

In particolare, sono state riproposte le stesse condizioni di accesso al beneficio della parte non abbiente, non essendovi ragioni per adottare una disciplina differenziata per il caso in cui la richiesta del patrocinio a spese dello Stato è necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale o a una procedura alternativa, che deve essere obbligatoriamente instaurata prima di adire il giudice.

L’articolo 15-bis del d.lgs. n. 28 del 2010 è dedicato alla istituzione del patrocinio in queste ipotesi, così colmando il vuoto di tutela evidenziato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 10 del 2022. Il comma 2 indica i casi di esclusione dal beneficio, come delineati nel TUSG, in quanto costituenti, salvo specifica eccezione, ipotesi presunte di abuso dello strumento.

L’articolo 15-ter del d.lgs. n. 28 del 2010 fissa, in conformità alle disposizioni vigenti, il limite di reddito per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 15-quater del d.lgs. n. 28 del 2010, al comma 1, stabilisce il contenuto necessario dell’istanza di ammissione e al comma 1 prevede espressamente la possibilità, per chi si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di farne richiesta al fine di proporre domanda di mediazione o di partecipare alla relativa procedura.

Il comma 2 riprende, in quanto compatibile, la disciplina del TUSG sulla redazione e sottoscrizione dell’istanza per l’ammissione, prevedendo poi che nell’istanza siano indicate le ragioni di fatto e di diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere con la procedura di mediazione. Benché la procedura di mediazione non sia equiparabile al processo che si svolge davanti al giudice, in quanto non comporta una valutazione di fondatezza o infondatezza delle contrapposte pretese e non si conclude con un provvedimento assimilabile a una pronuncia giurisdizionale, si è ritenuto di mantenere questo requisito negli esatti termini previsti dal TUSG, in quanto indispensabile per consentire all’organo competente a ricevere l’istanza a valutare la meritevolezza del beneficio richiesto dalla parte non abbiente. Anche sotto questo profilo, ferme restando le differenze intrinseche tra mediazione e processo, non vi è ragione di adottare una disciplina differenziata.

Tale valutazione, che opera su un piano diverso da quello del procedimento di mediazione, ha la diversa e specifica finalità di prevenire che il beneficio sia strumentale al perseguimento di pretese manifestamente infondate, e di consentire la verifica dell’ulteriore condizione di accesso alla misura che, nel caso della mediazione, consiste nella necessaria riconducibilità della pretesa alle controversie per le quali la mediazione è prevista dalla legge come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Il comma 3 disciplina le modalità di attestazione, per lo straniero o l’apolide, della condizione reddituale. Si è tenuto conto delle modifiche, già intervenute, sull’articolo 79 del TUSG, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 157 del 2021 che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, nel caso in cui, per causa non imputabile, risulti impossibile presentare la certificazione dell’autorità consolare competente di produrre (con conseguente inammissibilità della richiesta) una dichiarazione sostitutiva secondo le norme vigenti.

L’articolo 15-quinquies del d.lgs. n. 28 del 2010 individua il Consiglio dell’ordine degli avvocati competente nel Consiglio che ha sede nel luogo dove si trova l’organismo di mediazione competente ad esperire la procedura.

Si è mantenuto il meccanismo, già previsto dal TUSG, dell’ammissione anticipata e provvisoria da parte di tale organo, in considerazione del fatto che l’ammissione definitiva, come chiaramente indicato all’articolo 15-bis, è condizionata alla dimostrazione del raggiungimento dell’accordo di conciliazione.

In caso contrario, infatti, la parte ammessa in via provvisoria, avendo soddisfatto la condizione di procedibilità, è legittimata a presentare domanda giudiziale e, in tal caso, la liquidazione del compenso al difensore della parte non abbiente avviene secondo le regole del TUSG.

L’articolo 15-sexies del d.lgs. n. 28 del 2010, nell’ottica della tutela effettiva del diritto al patrocinio, individua il rimedio giudiziale esperibile in caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilità della domanda di ammissione, avverso il provvedimento emesso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati. Si tiene conto del fatto che, nelle ipotesi regolate, non è previsto l’esperimento della domanda davanti al giudice.

L’articolo 15-septies del d.lgs. n. 28 del 2010 disciplina gli effetti dell’ammissione anticipata al beneficio e la procedura di conferma dell’ammissione anticipata.

Il comma 1 contiene la clausola generale di validità dell’ammissione anticipata per l’intera procedura di mediazione.

Il comma 2 stabilisce che la parte ammessa al patrocinio non è tenuta a versare all’organismo di mediazione le indennità previste dall’articolo 17, commi 3 e 4. Per completezza si evidenzia che per tali indennità non esigibili dalla parte non abbiente, l’articolo 20 attribuisce, in conformità ad apposito principio di delega, un corrispondente credito di imposta all’organismo di mediazione.

I commi 3 e 4 disciplinano le condizioni per la conferma dell’ammissione anticipata, che deve essere attivata dall’avvocato che assiste la parte non abbiente che è tenuto a tal fine a documentare il raggiungimento dell’accordo, atto che, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, deve contenere l’indicazione del suo valore, indispensabile per la determinazione del corretto parametro di liquidazione del compenso. In tal modo, la procedura di liquidazione viene snellita e limita eventuali controversie avanti al Consiglio dell’ordine sulla corretta individuazione del parametro da applicare. Il Consiglio dell’ordine è tenuto a svolgere, in base a tale comma, oltre alla verifica formale di completezza della documentazione a corredo dell’istanza, anche una valutazione di congruità del compenso, determinato in conformità all’articolo 15-octies, e a confermare in caso di esito positivo l’ammissione tramite apposizione del visto di congruità sulla parcella, trasmettendone copia all’ufficio finanziario competente per le verifiche di competenza.

Il comma 5 riproduce il divieto, per l’avvocato della parte ammessa al beneficio, di percepire dal cliente compensi o rimborsi e sanziona con la nullità eventuali patti contrari e viene richiamato l’articolo 85, comma 3, TUSG che stabilisce che la violazione di tale divieto costituisce “grave illecito disciplinare professionale”.

L’articolo 15-octies del d.lgs. n. 28 del 2010 disciplina la determinazione del compenso autoliquidato dal difensore, da sottoporre al vaglio di congruità di cui all’articolo 15-septies, rimandando a un decreto ministeriale per l’individuazione degli importi spettanti all’avvocato a titolo di onorario e di spese nonché delle modalità con cui l’avvocato deve compilare la dichiarazione di autoliquidazione. Si mira a introdurre così un sistema chiaro e procedimentalizzato, che ponga il Consiglio dell’ordine in condizione di operare senza complicazioni, avendo a disposizione anche il documento contenente l’accordo di conciliazione, tutti i controlli di conformità prodromici alla adozione del provvedimento di conferma dell’ammissione anticipata e alla verifica di congruità del compenso prevista dal comma 4 dell’articolo 15-septies.

La norma prevede altresì, in un’ottica di semplificazione, accelerazione ed effettività del riconoscimento del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte in una procedura di mediazione, che il professionista possa accedere a forme di riconoscimento diverse dalla materiale erogazione delle somme, quali il riconoscimento di un credito di imposta e la possibilità di compensare tale credito con altri crediti che il professionista vanta nei confronti dell’Erario, sulla scorta di quanto attualmente prevede l’articolo 1, commi 778 e 779, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

L’articolo 15-novies del d.lgs. n. 28 del 2010 disciplina i casi di revoca del provvedimento di ammissione e i rimedi contro tale decisione. Si tratta di norma di chiusura necessaria, che stabilisce in che modo si procede a revoca nei casi in cui sia accertato che una parte ha fruito del beneficio pur non avendone diritto.

Il comma 1 prevede quindi che ove sia accertata dalle autorità competenti l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione, ne sia data notizia al Consiglio dell’ordine che ha adottato il provvedimento di ammissione.

Il comma 2, nella medesima prospettiva, prevede che siano comunicate al medesimo organo anche le modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali che escludono il diritto di essere ammessi al beneficio ponendosi a carico della parte non abbiente l’onere di comunicare al proprio avvocato eventuali modifiche reddituali sopravvenute idonee a incidere sulle condizioni di ammissione. Si tratta di una necessaria norma di chiusura del sistema, considerando la brevità del termine di durata della procedura di mediazione e la prevedibile rarità dei casi in cui in concreto, in tale breve spazio di tempo, sopravvengano mutamenti del reddito, rispetto alla dichiarazione dell’anno precedente, tali da mettere in discussione il mantenimento del diritto al beneficio.

Il comma 3 prevede che il Consiglio dell’ordine, ricevuta una di queste comunicazioni ed effettuate le verifiche ritenute necessarie, procede alla revoca del provvedimento di ammissione, da comunicare all’interessato, all’avvocato e all’organismo di mediazione.

Il comma 4 individua il rimedio giurisdizionale attivabile per contestare la revoca, con richiamo della procedura attualmente prevista dal TUSG.

L’articolo 15-decies del d.lgs. n. 28 del 2010 riproduce le sanzioni attualmente previste dall’articolo 125 TUSG per chi effettua false attestazioni per ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio e, come previsto anche nel TUSG, attribuisce alla Guardia di finanza il compito di effettuare, nel contesto dei programmi annuali di controllo fisale, anche i controlli dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 15-undecies del d.lgs. n. 28 del 2010 contiene infine le disposizioni di copertura finanziaria per l’attuazione delle descritte disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato nella procedura di mediazione.

 

Lettera u)

Nella rubrica del Capo III è stato inserito riferimento agli enti di formazione per riflettere la nuova disciplina introdotta sul punto.

 

Lettera v)

L’articolo 16 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato con l’aggiunta del comma 1-bis, che opera una revisione e inserisce nella norma primaria i requisiti necessari perché gli organismi di mediazione siano abilitati a gestire i relativi procedimenti ed essere quindi iscritti nel registro previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 28 del 2010.

In particolare sono stati individuati in modo specifico i requisiti comprovanti la serietà, costituiti dalla onorabilità dei soci, amministratori, responsabili e mediatori degli organismi, dalla previsione, nell’oggetto sociale o nello scopo associativo, dello svolgimento, da parte dell’organismo, in via esclusiva, di attività consistente nell’erogazione di servizi di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie e di formazione nei medesimi ambiti, oltre a una dichiarazione di impegno a non prestare servizi di mediazione conciliazione e risoluzione di controversie in tutti i casi nei quali l’organismo stesso ha un interesse nella lite.

Il comma 1-ter contiene l’individuazione dei requisiti comprovanti l’efficienza, consistenti nella adeguatezza e trasparenza dell’organizzazione, anche per quanto concerne gli aspetti amministrativi e contabili, nella capacità finanziaria, nella qualità dei servizi erogati, della qualificazione professionale del responsabile dell’organismo e degli stessi mediatori.

Il comma 3 è stato modificato al fine di prevedere che nel regolamento che l’organismo di mediazione allega alla domanda di iscrizione nel registro, siano espressamente indicate non solo le tabelle delle indennità spettanti agli organismi, ma anche i relativi criteri di calcolo.

Il comma 4-bis è stato modificato esclusivamente al fine di aggiornare il riferimento normativo al codice deontologico forense. È stato sostituito il riferimento all’articolo 55-bis con il riferimento corretto all’articolo 62 di tale codice.

Il comma 5 è stato modificato esclusivamente al fine di coordinare il testo vigente con l’introduzione del nuovo articolo 16-bis, dedicato alla disciplina degli enti di formazione, il cui elenco, effettivamente istituito con il D.M. n. 180 del 2010 adottato in attuazione del comma 5, dovrà essere tenuto in conformità dei nuovi specifici criteri per l’iscrizione degli enti di formazione.

 

Lettera z)

L’articolo 16-bis del d.lgs. n. 28 del 2010, in attuazione delle lettere l) e n), del comma 4 dell’unico articolo della legge delega è stato introdotto al fine di individuare i requisiti necessari per l’iscrizione degli enti di formazione nell’elenco istituito e tenuto presso il Ministero della giustizia.

Si è scelto di adottare, quanto ai requisiti di serietà ed efficienza, gli stessi criteri previsti per gli organismi di mediazione, non essendovi ragione di prevedere una disciplina differenziata.

Il comma 1 fissa il principio secondo cui l’iscrizione all’elenco degli enti di formazione è condizionato alla dimostrazione dei requisiti di serietà ed efficienza, come definiti dall’articolo 16, commi 1-bis e 1-ter.

Il comma 2 contiene, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera n), la previsione di uno specifico e ulteriore requisito richiesto come condizione per l’iscrizione, o per il suo mantenimento, costituito dall’obbligo, per l’ente di formazione, di nominare un responsabile scientifico di chiara fama e esperienza nel settore, cui sono attribuiti specifici compiti, e che deve assicurare la qualità della formazione erogata dall’ente, la sua completezza, oltre che l’adeguatezza e l’aggiornamento del percorso formativo offerto, che non può essere disgiunto dalla stessa competenza dei formatori. Proprio nell’ottica di responsabilizzare gli enti di formazione a reperire, attraverso il responsabile, i formatori dotati della migliore esperienza è stata espressamente prevista la possibilità di valorizzare anche le competenze maturate all’estero. Inoltre, il responsabile della formazione ha lo specifico onere di comunicare costantemente al Ministero della giustizia, i programmi formativi via via predisposti, completi dei nominativi dei formatori scelti per il loro svolgimento.

Il comma 3 prevede inoltre che con decreto ministeriale siano individuati i più specifici requisiti di qualificazione richiesti ai mediatori e ai formatori per iscriversi negli elenchi tenuti presso il Ministero della giustizia o per mantenere tale iscrizione dopo l’entrata in vigore delle modifiche apportate al decreto legislativo n. 28 del 2020 e al D.M. n. 180 del 2010. La completa attuazione delle modifiche apportate all’articolo 16 e con l’introduzione del nuovo articolo 16-bis sarà completata, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge delega, apportando le pertinenti modifiche al DM n.180 del 2010 al fine di prevedere, tra l’altro, che per l’iscrizione nel registro, occorre partecipare ad un corso di formazione iniziale per mediatori e ad un numero minimo di procedure di mediazione presso un organismo di mediazione, che coloro che non hanno conseguito una laurea in discipline giuridiche attestano adeguata preparazione attraverso la partecipazione a specifici corsi formativi nelle discipline giuridiche, che dopo l’iscrizione nel registro, i mediatori sono tenuti all’aggiornamento permanente mediante la partecipazione a corsi di formazione; che per mantenere l’iscrizione nel registro, gli avvocati iscritti all’albo sono tenuti ad adempiere a specifici obblighi minimi di formazione, che dopo l’iscrizione nell’elenco, i formatori sono tenuti all’aggiornamento permanente mediante la partecipazione a corsi di formazione, che le attività di formazione possono svolgersi in presenza o mediante collegamento audiovisivo da remoto, che il responsabile scientifico degli enti di formazione, nell’adempimento dei compiti di cui all’articolo 16-bis, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 218, possa svolgere appositi compiti quali: approvare i programmi erogati dall’ente unitamente ai nomi dei formatori incaricati e ai calendari di svolgimento dei corsi di formazione, certificare l’equivalenza della formazione di aggiornamento eventualmente svolta dai formatori presso enti e istituzioni con sede all’estero, certificare per singole attività formative l’idoneità di formatori anche stranieri non accreditati dal Ministero della giustizia, rivedere i parametri per la determinazione dell’onorario e delle spese spettanti all’avvocato ai sensi dell’articolo 15-octies, comma 1, nonché per la revisione delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle indennità spettanti agli organismi di mediazione. Tali interventi, coerenti con i principi di delega, considerati anche gli ambiti regolati dal DM n.180 del 2010, trovano adeguata collocazione nella normativa secondaria.

 

Lettera aa)

L’articolo 17 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato sostituito, in attuazione del principio di cui alla lettera a) del comma 4.

Il comma 1 (che recepisce quanto precedentemente contenuto nel comma 2 dell’articolo 17) sancisce il principio, compatibile con i principi della legge delega in materia, secondo cui documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

Il comma 2 dispone che il verbale contenente l’accordo di conciliazione è l’atto esente da imposta di registro ed eleva (rispetto al previgente comma 3) il limite di esenzione da cinquantamila a centomila euro.

Il comma 3 attua il principio di delega avente ad oggetto la riforma delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle relative indennità, e stabilisce che ciascuna parte è tenuta a versare, al momento della presentazione della domanda di mediazione o dell’adesione, le spese di avvio della procedura di mediazione e le spese di mediazione per il primo incontro, precisando che quando la mediazione si conclude senza l’accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori.

Viene quindi meno, quale aspetto di particolare rilievo della riforma del regime delle spese e indennità di mediazione, oltre che di rafforzamento della sua effettività e qualità, il principio della sostanziale gratuità del primo incontro di mediazione.

Il comma 4 introduce un ulteriore principio secondo cui sono previsti importi specifici e differenziati nel caso in cui il primo incontro si concluda con un accordo e nel diverso caso in cui la procedura di mediazione richieda lo svolgimento di più incontri. Il comma pone a carico degli organismi di mediazione, al fine di migliorare la trasparenza della procedura, l’onere di rendere noti, nel proprio regolamento, gli importi che sono richiesti a questo titolo.

Il comma 5 prevede i contenuti del decreto ministeriale di cui all’articolo 16, comma 2, riportando quanto già previsto dal previgente comma 4 e aggiungendo, alla lettera c), che il decreto ministeriale deve anche fissare e disciplinare le indennità per le spese di avvio e per le spese di mediazione previste per il primo incontro che, come osservato in precedenza, a seguito della riforma dovranno essere sempre corrisposte e, alla lettera f), che il medesimo decreto deve anche fissare i criteri per la determinazione del valore dell’accordo di conciliazione, elemento necessario per la semplificazione della determinazione del compenso spettante all’avvocato che assiste la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui all’articolo 5, comma 1, e in armonia con quanto si prevede all’articolo 15-septies, comma 4.

Il comma 6, in accordo con la nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevista per le procedure di mediazione di cui all’articolo 5, comma 1, e 5-quater, precisa che la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non è tenuta a versare né spese di avvio, né spese di mediazione (per il primo incontro e per gli incontri ulteriori). Il relativo importo, come indicato in relazione agli interventi operati sull’articolo 20, comma 4, può essere recuperato dall’organismo di mediazione mediante richiesta di riconoscimento di un corrispondente credito di imposta.

Il comma 7 mantiene la previsione di un onere in capo al Ministero della giustizia di monitorare le “mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione”, già contenuta nel previgente comma 6, mentre si è ritenuto di sopprimere la parte relativa alla determinazione delle indennità spettanti agli organismi di mediazione, divenuta incompatibile con la nuova disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato nel procedimento di mediazione.

Il comma 8 contiene il principio di rideterminazione triennale dell’ammontare delle indennità previste per gli organismi di mediazione.

Il comma 9 contiene la norma di copertura finanziaria.

 

Lettera bb)

La legge delega, oltre alla semplificazione di tutte le procedure per il riconoscimento di tali crediti, prevede l’incremento del vigente ammontare dell’esenzione dall’imposta di registro sugli accordi di conciliazione; il riconoscimento per le parti della procedura di mediazione, di un credito di imposta commisurato al compenso corrisposto all’avvocato, un credito di imposta per il contributo unificato versato per il giudizio estinto a seguito di accordo raggiunto in sede di mediazione. È inoltre previsto un credito di imposta per gli organismi di mediazione, commisurato all’indennità non esigibile dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

All’articolo 20 del del d.lgs. n. 28 del 2010 sono quindi state apportate puntuali modifiche per recepire gli specifici criteri dettati in tale ambito dalla legge delega.

La rubrica è stata modificata per renderla coerente con il nuovo contenuto dell’articolo, che prevede non solo un ampliamento dei crediti di imposta riconosciuti alle parti della procedura di mediazione, ma anche un credito di imposta per la prima volta riconosciuto a favore degli organismi di mediazione.

Il comma 1 viene interamente riformulato al fine di prevedere l’aumento dell’importo massimo del credito d’imposta riconosciuto alla parte per l’indennità corrisposta all’organismo di mediazione (che viene portato da cinquecento a seicento euro). Tale importo, secondo quanto prevedono i commi 3 e 4 dell’articolo 17, introdotti in attuazione di appositi principi di delega, comprende le spese di avvio e le spese del primo incontro di mediazione e degli eventuali ulteriori importi a seconda che il primo incontro si concluda con un accordo o che la procedura prosegua con incontri ulteriori.

Nel medesimo comma viene introdotto un nuovo credito d’imposta in favore delle parti, riconoscibile nei soli casi in cui casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda nelle controversie di cui all’articolo 5, comma 1, e quando il giudice demanda le parti in mediazione (restando quindi esclusa l’ipotesi di mediazione su clausola contrattuale o statutaria di cui al nuovo articolo 5-sexies in quanto si tratta di un’ipotesi nella quale la condizione di procedibilità deriva dalla volontà delle parti). Tale credito di imposta è commisurato al compenso corrisposto dalla parte al proprio avvocato, nei limiti previsti dai parametri forensi, per l’assistenza nella procedura di mediazione, nel limite di euro seicento.

Il comma 2, per assicurare il rispetto della copertura finanziaria, fissa il tetto massimo all’importo complessivo di cui la parte può beneficiare a titolo di credito d’imposta nei casi previsti dal comma 1. Si prevede, dunque, che per tali crediti alla parte può essere riconosciuto un credito di imposta fino ad euro seicento per procedura e un tetto massimo annuale fino a euro duemilaquattrocento per le persone fisiche, e fino a euro ventiquattromila per le persone giuridiche. Si è scelto di introdurre un tetto massimo annuale differenziato per le persone fisiche e per le persone giuridiche in considerazione del fatto che, anche a causa dello svolgimento di molte attività in forma associata, le persone giuridiche sono più frequentemente coinvolte in procedure di mediazione, con conseguente diritto a vedersi riconoscere i crediti d’imposta di nuova introduzione (è sul punto sufficiente considerare le materie per le quali è prevista, ed è stata ampliata, la condizione di procedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1). La fissazione di un tetto differenziato ha lo scopo di evitare che le risorse a copertura di tali interventi siano assorbite in maniera sproporzionata dai crediti di imposta delle persone giuridiche, fattore che potrebbe ostacolare le finalità del principio di delega, ossia diffondere la cultura della mediazione anche nelle controversie che vedono come parti le persone fisiche.

L’ultimo periodo del comma ribadisce la regola, contenuta nella precedente formulazione del comma 1, secondo cui, in caso di insuccesso della mediazione, i crediti di imposta sono ridotti della metà. Sotto questo profilo non vengono apportate innovazioni al regime vigente.

Il comma 3 è stato introdotto al fine di attuare il principio di delega avente ad oggetto il riconoscimento di un ulteriore credito d’imposta a beneficio della parte, commisurato al contributo unificato versato per il giudizio estinto a seguito della conclusione di un accordo di conciliazione. In tal caso il limite massimo esigibile è stato fissato in euro cinquecentodiciotto (importo corrispondente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato per i processi civili di valore indeterminabile). La collocazione di tale beneficio fiscale in questo comma trova la sua ragione nel fatto che si tratta di importo non assoggettato al limite massimo previsto dal comma 2.

Il comma 4 è stato introdotto al fine di attuare il principio di delega avente ad oggetto il riconoscimento di un credito d’imposta in favore degli organismi di mediazione. Il beneficio è riconosciuto quando partecipa alla procedura di mediazione una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato che, per effetto dell’ammissione, non è tenuta a versare alcuna indennità all’organismo di mediazione, al quale spetta, invece, in misura corrispondente, un credito di imposta per il quale è previsto un limite annuale di euro ventiquattromila.

Il comma 5 prevede che venga adottato, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative della legge n. 206 del 2021, un decreto ministeriale finalizzato a disciplinare le procedure che dovranno essere seguite per il riconoscimento dei crediti d’imposta sopra descritti, anche per quanto concerne l’individuazione della documentazione da esibire a corredo della richiesta e dei controlli sull’autenticità della stessa, e per definire le modalità di trasmissione in via telematica all’Agenzia delle entrate dell’elenco dei beneficiari e dei relativi importi a ciascuno comunicati. Infine, i commi 6 e 7 contengono le disposizioni di copertura finanziaria per l’attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 20.

 

Art. 8 – (Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20

 

La lettera g) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega contiene un criterio volto ad incentivare la conclusione di accordi da parte delle amministrazioni pubbliche, disponendo che per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.

L’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), è stato pertanto modificato con l’aggiunta del comma 1-01.bis, al fine di prevedere che la responsabilità contabile dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche che concludono un accordo di conciliazione nei soli casi di dolo e colpa grave, definita quest’ultima come “negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti”.

È stato inoltre inserito, nel d.lgs. n. 28 del 2010, l’articolo 11-bis al fine di effettuare un espresso richiamo alla nuova disposizione della legge n. 20 del 1994 che trova applicazione nei casi di accordo conciliativo sottoscritto, in sede di mediazione, dalle amministrazioni pubbliche.

Il principio di delega, che si ricollega al potere transattivo della pubblica amministrazione, fa espresso riferimento all’accordo di conciliazione che può essere raggiunto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, laddove se ne ravvisi la convenienza economica, tanto nel corso di un procedimento di mediazione quanto nel corso di un procedimento giudiziale, introducendo in tali ipotesi una limitazione della responsabilità per danno erariale, che viene circoscritta ai casi di colpa particolarmente grave, rappresentata dalla negligenza inescusabile e dall’irragionevolezza, oltre che per dolo.

Una limitazione della responsabilità per danno erariale, di cui all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, è già stata introdotta dall’art. 21 del decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, e successivamente con il decreto-legge n. 77 del 2021, convertito dalla legge n. 108 del 2021, che ha previsto, nell’ambito della disciplina legata all’emergenza pandemica, che, per i fatti commessi fino al 30 giugno 2023, il funzionario è tenuto a rispondere solo dei danni conseguenti ad una condotta dolosamente posta in essere voluta, ferma restando la responsabilità per quelli causati da omissione o inerzia.

Il principio di delega attuato dalla presente norma si pone su un piano diverso rispetto al cosiddetto scudo erariale introdotto dalla normativa emergenziale, che ha lo scopo di disincentivare quelle inefficienze che possono derivare dal timore dei funzionari pubblici di incorrere in responsabilità, e che ha portato alla sostanziale, sebbene temporanea, eliminazione della responsabilità contabile per colpa grave. La finalità della presente norma, invece, non è legata principalmente ad esigenze di de-burocratizzazione o di de-giurisdizionalizzazione quanto a quella di favorire l’utilizzo degli strumenti privatistici e del potere transattivo da parte della pubblica amministrazione nell’ambito dell’attività non autoritativa e dei diritti disponibili.

Per questo l’attuazione di tale principio di delega ha imposto di modificare l’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, che disciplina l’azione di responsabilità per tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, e di aggiungere una disposizione che espressamente garantisce al funzionario che partecipa ad un procedimento di mediazione la possibilità di raggiungere un accordo conciliativo senza il timore di incorrere nella responsabilità contabile. Tale limitazione opera, in conformità alla legge delega, a condizione che il funzionario abbia agito nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità, nonché di logicità e razionalità che devono sempre caratterizzare l’agire della pubblica amministrazione. Si evidenzia, inoltre che, analoga limitazione di responsabilità si applica al funzionario che concilia la controversia che pende innanzi all’autorità giudiziaria, sia con l’adesione alla proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art. 185-bis sia attraverso la conciliazione giudiziale.

Con l’attuazione del principio di delega nei termini esposti risulta tendenzialmente precluso al giudice contabile di valutare le scelte discrezionali del funzionario pubblico, in generale sottratte al sindacato giurisdizionale purché non irragionevoli ed irrazionali, che lo abbiano indotto a conciliare la controversia attraverso una transazione palesemente vantaggiosa, ovviamente nel rispetto dell’iter procedimentale previsto e degli obblighi di motivazione del provvedimento che autorizza l’accordo.

La legge delega e la sua attuazione tengono conto, infine, della interpretazione delle norme sulla responsabilità contabile da parte della giurisprudenza (cfr. Corte Conti, Sez. giur. Umbria, sentenza 24 febbraio 2022 n. 9) che valuta favorevolmente le delibere dell’amministrazione che autorizzano gli accordi transattivi in materia di diritti disponibili, una volta accertata la ragionevole proporzionalità tra costi e benefici, che servano ad evitare oppure a definire una controversia.

 

Art. 9 – (Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 132)

 

Comma 1

Lettera a)

Nell’ottica della semplificazione della procedura si è proceduto a eliminare, alla rubrica del Capo II (e ovunque ricorresse) la possibilità che le parti possano essere assistite da “uno o più” avvocati, così da uniformare il procedimento alle ipotesi di cui agli articoli 2-ter, 4-bis, 4-ter e 6, nelle quali è previsto che vi sia almeno un avvocato per parte.

 

Lettera b)

Per esigenze sistematiche, considerato l’inserimento di una più compiuta disciplina relativa al patrocinio a spese dello Stato, si è ritenuto di suddividere il Capo II in due sezioni; la sezione I è dedicata alla procedura di negoziazione assistita.

 

Lettera c)

Il primo comma è stato modificato in accordo con l’eliminazione della possibilità che le parti possano essere assistite da “uno o più” avvocati.

La legge n. 206 del 2021 prevede che anche le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto prevede, l’articolo 412-ter possano essere oggetto di negoziazione assistita. L’articolo 2, comma 2, lettera b), d.l. n. 132 del 2014 è stato quindi modificato in attuazione di tale principio, al fine di eliminare la previsione che, nel testo previgente, escludeva espressamente la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita nelle controversie in materia di lavoro.

Si è introdotto un comma 2-bis al fine di prevedere la possibilità, con il consenso delle parti espresso nella convenzione di negoziazione assistita, di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia nonché dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste (disciplinate, rispettivamente, negli articoli 4-bis e 4-ter). Il medesimo comma prevede, poi, che la negoziazione assistita possa avvenire con modalità telematiche, con il consenso delle parti, con riferimento sia alla formazione e alla trasmissione degli atti, sia all’effettuazione degli incontri con collegamento da remoto.

Infine, il comma 7-bis è stato inserito al fine di prevedere che, come richiesto dal criterio di cui alla lettera r), al fine di favorire e semplificare la procedura, le parti possano ricorrere, per la stipula della convenzione, ad apposito modello elaborato dal Consiglio nazionale forense.

 

Lettera d)

L’articolo 2-bis d.l. n. 132 del 2014 è stato inserito a fine di disciplinare le modalità di svolgimento della negoziazione assistita con mezzi telematici.

Al comma 1 si prevede che ciascun atto del procedimento, incluso l’accordo, debba essere formato e sottoscritto in conformità alla disciplina di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Sono anche disciplinate le modalità di trasmissione degli atti, consistenti nella posta certificata o recapito certificato qualificato, secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare sulla trasmissione e ricezione dei documenti informatici.

Al comma 2 si prevede la possibilità per le parti di partecipare alla negoziazione assistita da remoto, con sistemi di collegamento che assicurino la reciproca udibilità e visibilità delle parti collegate. Si è precisato inoltre che il procedimento può essere svolto in modalità telematica anche solo parzialmente.

Il comma 3 espressamente esclude l’acquisizione per via telematica delle dichiarazioni dei terzi di cui all’articolo 4-bis da farsi necessariamente in modalità analogica e in presenza delle parti e degli informatori, per evidenti motivi di verifica della genuinità delle dichiarazioni e di assicurare al terzo la piena verificabilità delle modalità con cui le sue dichiarazioni vengono acquisite. Tale divieto non opera, invece, per le dichiarazioni confessorie di cui all’articolo 4-ter, che possono essere acquisite sia in modalità analogica che su documento informatico. In tal caso l’atto deve essere sottoscritto digitalmente dalla parte e dall’avvocato che l’assiste nella sua formazione. In caso di sottoscrizione analogica la firma dell’avvocato vale anche quale certificazione dell’autografia della parte assistita, certificazione non richiesta per l’atto firmato digitalmente dalla parte.

Il comma 4 prevede che, quando le parti sottoscrivono l’accordo con modalità analogica, la loro firma deve essere certificata dagli avvocati con firma digitale o altra tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto della normativa applicabile.

L’articolo 2-ter del d.l. n. 132 del 2014 è stato inserito per disciplinare tale nuova ipotesi di negoziazione assistita nelle controversie di cui all’articolo 409 c.p.c., attraverso un procedimento alternativo a quello previsto dall’articolo 412 ter c.p.c., con la garanzia della difesa tecnica dell’avvocato che assiste ciascuna parte e con l’ulteriore garanzia della possibilità della parte che ritiene di avvalersene, di essere assistita da un consulente del lavoro, precisando altresì, secondo quanto previsto dai criteri di delega, che all’accordo così raggiunto si applica l’articolo 2113, quarto comma, del codice civile. Accogliendo le proposte della Commissione giustizia del Senato e della Camera formulate nei pareri espressi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge delega, poi, si è previsto che tale accordo debba essere trasmesso a uno degli organismi deputati alla certificazione dei contratti di lavoro previsti dall’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

 

Lettera e)

L’articolo 3, comma 6, d.l. n. 132 del 2014 viene abrogato per essere sostituito dalla disciplina di cui agli articoli 11-bis e seguenti, inseriti in una nuova sezione II.

 

Lettera f)

La modifica contenuta nell’articolo 4, comma 1, d.l. n. 132 del 2014 inerente alla citazione dei soli commi primo, secondo e terzo, dell’articolo 96 del codice di procedura civile costituisce un intervento di coordinamento con le modifiche apportate alla norma in questione, il cui comma quarto, di nuova introduzione non è pertinente al contesto del comma di cui si discute.

 

Lettera g)

I criteri di cui alle lettere s) e t) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega prevedono la possibilità di svolgere attività istruttoria stragiudiziale nell’ambito della negoziazione assistita.

Per dare attuazione a tali principi sono stati inseriti due nuovi articoli che disciplinano, rispettivamente, l’acquisizione delle dichiarazioni dei terzi e l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie, e sono state apportate modifiche all’articolo 371-ter del codice penale che prevede e punisce il reato di false dichiarazioni rese al difensore nell’ambito delle indagini difensive nel corso del procedimento penale.

Va preliminarmente evidenziato che la finalità principale delle disposizioni che consentono alle parti di svolgere attività istruttoria nell’ambito della negoziazione assistita è di metterle in condizione di acquisire tutti gli elementi che possono condurre, nel miglior modo, alla composizione della lite. I criteri di delega prevedono anche che tale attività istruttoria possa essere utilizzata in giudizio, ma si deve evidenziare che tale possibilità non costituisce lo scopo principale dell’innovazione in tema di istruttoria nelle procedure di negoziazione.

Si deve poi evidenziare che l’accordo delle parti sulla possibilità di acquisire le dichiarazioni, risultante dalla convenzione, è idoneo a superare gli obblighi di riservatezza di cui all’articolo 9, comma 3, del D.L. 132/2014 relativamente a tali dichiarazioni, rimanendo ovviamente riservate tutte le altre dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento.

L’articolo 4-bis del d.l. n. 132 del 2014 è stato introdotto al fine di disciplinare l’acquisizione delle dichiarazioni di terzi su invito di ciascun avvocato e in necessaria presenza degli avvocati che assistono le altre parti.

Il comma 1 prevede che l’invito deve contenere l’indicazione specifica dei fatti sui quali il terzo è chiamato a rendere le dichiarazioni, che devono essere specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia. Si è ritenuto di specificare che le dichiarazioni devono essere assunte presso lo studio professionale dell’avvocato che rivolge l’invito o presso il Consiglio dell’ordine.

Il comma 2 prevede che l’informatore deve essere previamente identificato ed è invitato a dichiarare eventuali rapporti di parentela o di natura personale o professionale con le parti o un interesse nella causa. L’informatore deve inoltre essere preliminarmente avvisato della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione, della facoltà di non rendere dichiarazioni, della facoltà di astenersi ai sensi dell’articolo 249 del codice di procedura civile, delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni, del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date e delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni.

Il comma 3 precisa che non può rendere dichiarazioni chi non ha compiuto il quattordicesimo anno di età e chi si trova nella condizione prevista dall’articolo 246 del codice di procedura civile.

Il comma 4 prevede che il verbale debba contenere, le domande rivolte all’informazione e le dichiarazioni da quest’ultimo rese, le sue generalità e quelle degli avvocati, unitamente all’attestazione che gli sono stati rivolti gli avvertimenti di cui al comma 2.

Il comma 5 prevede che il verbale così redatto, sottoscritto dall’informatore e dagli avvocati è consegnato in originale all’informatore e a ciascuna delle parti. La consegna di un originale all’informatore è misura necessaria a sua tutela per le eventuali responsabilità che possono essergli contestate.

Il comma 6 stabilisce che il documento redatto ai sensi del comma 5 fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza, può essere prodotto in giudizio e valutato dal giudice ai sensi dell’articolo 116, primo comma, del codice di procedura civile. Il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone.

Il comma 7 prevede che, quando la negoziazione si conclude senza l’accordo, la mancata adesione dell’invito da parte dell’informatore o il rifiuto di rendere le dichiarazioni consente alla parte che ne ha interesse di chiederne l’audizione davanti al giudice, nell’ambito di un procedimento in cui si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 693, 694, 695, 697 698 e 699 del codice di procedura civile in materia di procedimenti di istruzione preventiva.

L’articolo 4-ter del d.l. n. 132 del 2014 disciplina l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie di una parte della convenzione di negoziazione.

Il comma 1 prevede che, quando ciò è previsto nella convenzione di negoziazione assistita, ciascun avvocato possa invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti sfavorevoli alla parte dichiaranti e favorevoli all’altra parte. L’invito deve indicare specificamente i fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia. Le dichiarazioni sono poi sottoscritte dalla parte e dall’avvocato che la assiste, anche ai fini della certificazione dell’autografia della firma qualora le dichiarazioni siano rese in forma analogica.

Il comma 2 stabilisce che il documento contenente la dichiarazione fa piena prova di quanto l’avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto in giudizio, con la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale ai sensi dell’articolo 2735 del codice civile.

Il comma 3 prevede che il rifiuto ingiustificato della parte invitata a rendere le dichiarazioni viene valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e ai sensi dell’articolo 96, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile.

 

Lettera h)

L’articolo 5 del d.l. n. 132 del 2014 viene modificato con l’inserimento di un nuovo comma 1-bis al fine di prevedere che l’accordo che compone la controversia deve anche contenere l’indicazione del relativo valore. La modifica è necessaria per razionalizzare e semplificare la procedura di quantificazione del compenso, mediante l’individuazione, in apposito atto, del parametro di liquidazione, secondo quanto previsto dall’articolo 11-septies.

 

Lettera i)

Sono state introdotte, conformemente ai criteri contenuti nella lettera u) del comma 4, articolo 1, della legge delega, modifiche all’articolo 6 in materia di convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di alimenti.

L’articolo 6, comma 2, d.l. n. 132 del 2014 è stato modificato al fine di prevedere espressamente o che il nullaosta e l’autorizzazione da parte del Procuratore della Repubblica siano comunicati agli avvocati di tutte le parti dell’accordo, allo scopo di consentirne il deposito presso il Consiglio dell’ordine e la comunicazione allo stato civile. Sono disciplinate le modalità telematiche di trasmissione alla Procura della Repubblica degli accordi in materia di famiglia; il Procuratore, a sua volta, procede con modalità digitali e telematiche.

Il comma 2-bis è stato inserito per disciplinare le modalità telematiche di invio dell’accordo al Procuratore della Repubblica per il nullaosta e l’autorizzazione e per la trasmissione alle parti del provvedimento firmato digitalmente dal Procuratore stesso.

Il comma 3 è stato modificato al fine di chiarire che gli eventuali patti contenenti trasferimenti immobiliari contenuti negli accordi di negoziazione assistita indicati nel comma stesso, hanno effetti obbligatori.

Il comma 3-bis è stato introdotto al fine di prevedere che quando la negoziazione assistita ha ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell’unione civile, le parti possono stabilire, nell’accordo, la corresponsione di un assegno in unica soluzione. In tal caso la valutazione di equità è effettuata dagli avvocati, mediante certificazione di tale pattuizione, ai sensi dell’articolo 5, ottavo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898.

Il comma 3-ter è stato inserito al fine di prevedere che la successiva trasmissione al Consiglio dell’ordine, al fine del deposito e conservazione dell’accordo munito di nullaosta e autorizzazione, avvenga in modalità telematica, con richiamo alle norme del codice dell’amministrazione digitale, e che il Consiglio provveda al rilascio di copia conforme degli accordi alle parti e agli avvocati che li hanno sottoscritti.

 

Lettera l)

Il principio di delega è interpretato, conformemente alle previsioni di spesa e di copertura finanziaria della legge n. 206 del 2021, nel senso di prevedere l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure, sia di mediazione che di negoziazione assistita, nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale; ossia, per le procedure di negoziazione assistita, nelle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, e per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro, fuori dai casi in cui si applica l’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

L’articolo 3, comma 6, del D.L. 132 del 2014 del testo vigente, disciplina il caso in cui, a fronte della sussistenza di una ipotesi di negoziazione assistita quale condizione di procedibilità (come prevista dal comma 1 del medesimo articolo) almeno una delle parti si trovi nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato. La norma in questione prevede che, in tal caso, la parte non abbiente sia esentata dall’obbligo di corrispondere il compenso al proprio avvocato ma, allo stesso tempo, non disciplina la procedura che deve essere seguita per la formale ammissione e, al termine, per il riconoscimento d4el compenso all’avvocato. In sostanza, quindi, la disciplina vigente prevede la sostanziale gratuità della prestazione dell’avvocato nei casi di assistenza al non abbiente in una procedura di negoziazione assistita, quando essa è condizione di procedibilità della domanda.

L’intervento normativo, in coerenza con il criterio di delega, è quindi volto a superare tale assetto normativo e a introdurre una disciplina che assicuri l’accesso effettivo al patrocinio a spese dello Stato alla parte non abbiente che debba stipulare una convenzione di negoziazione assistita nei casi in cui essa è prevista dalla legge come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e che consenta al difensore di vedersi riconoscere un compenso per le prestazioni rese in tale procedura.

Conseguentemente, l’attuazione del principio di delega di cui alla lettera a) impone di intervenire sul citato articolo 3, comma 6 per disporre l’abrogazione di tale comma.

Si è inoltre ritenuto di non collocare la nuova disciplina sul patrocinio a spese dello Stato in materia di negoziazione assistita obbligatoria all’interno del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» (nel prosieguo, TUSG), ma direttamente nel D.L. 132 del 2014.

Nel sistema del TUSG, infatti, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si struttura in due fasi: in una prima fase, viene deliberata l’ammissione in via anticipata e provvisoria della parte non abbiente al beneficio ad opera del Consiglio dell’ordine degli avvocati; in una seconda fase, l’autorità giudiziaria che procede, all’esito della lite, conferma l’ammissione provvisoria e provvede alla liquidazione del compenso considerando quantità e qualità dell’attività processuale svolta dal difensore, applicando i pertinenti parametri legati al valore della controversia, con falcidia del 50% e con obbligo del rispetto del valori medi. Una volta effettuata la liquidazione e adottato il decreto di pagamento, il sistema prevede che appositi uffici procedano all’erogazione delle somme e stabilisce che lo Stato proceda all’azione di recupero di tali somme nei confronti della parte processuale rimasta totalmente o parzialmente soccombente rispetto alla parte ammessa al beneficio.

Tale complessivo sistema appare difficilmente adattabile alle ipotesi nelle quali la parte non abbiente è tenuta ad avviare una procedura di negoziazione assistita che si concluda con l’accordo prima dell’avvio di un’azione giudiziale. In tale ipotesi, infatti, la controversia è risolta senza necessità di proporre domanda giudiziale e, alla conclusione del procedimento, non risulterà possibile individuare una parte “soccombente” in senso tecnico-processuale nei confronti della quale avviare un’azione di recupero delle spese di lite corrisposte, in forza del patrocinio a spese dello Stato. Si deve poi considerare che l’eventuale previsione di un apposito procedimento che imponga alla parte non abbiente e al suo difensore, a conclusione della procedura di negoziazione, di adire l’autorità giurisdizionale al solo scopo di ottenere la liquidazione del compenso, si pone in contrasto con i generali obiettivi di semplificazione e celerità che la legge n. 206 del 2021 si prefigge di raggiungere anche nel settore degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

In proposito si evidenzia che la collocazione della disciplina della ammissione al beneficio e della determinazione, liquidazione, riconoscimento ed erogazione del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte ammessa al patrocinio dello Stato in una procedura di negoziazione, in un testo normativo diverso dal TUSG, non risulta incompatibile, in termini sistematici, con la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2021 che, al punto 11, ha precisato che “[r]imane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio”.

La disciplina speciale adottata in attuazione della delega è destinata, infine, ad essere applicata nei casi nei quali la procedura di negoziazione non ha comportato, durante il suo intero svolgimento, di svolgere una parte della lite in sede giurisdizionale. Tale differente ambito di applicazione delle due discipline induce a non intervenire sul vigente TUSG.

Tanto premesso, la disciplina attuativa del principio di delega in esame riproduce le disposizioni del TUSG che costituiscono espressione dei principi generali del patrocinio a spese dello Stato in materia civile e che sono compatibili con la specificità della fattispecie regolata in attuazione della delega legislativa.

In particolare, sono state individuate le medesime condizioni di accesso al beneficio della parte non abbiente, non essendovi ragioni per adottare una disciplina differenziata per il caso in cui la richiesta del patrocinio a spese dello Stato è necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale o a una procedura alternativa, che deve essere obbligatoriamente instaurata prima di adire il giudice.

La proposta prevede, pertanto, l’inserimento nel D.L. n. 132 del 2014, all’interno del capo II in materia di procedura di negoziazione assistita dagli avvocati, della apposita sezione II contenente la disciplina del patrocinio a spese dello Stato per le controversie per le quali l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità e la procedura si conclude con la conciliazione.

L’articolo 11-bis d.l. n. 132 del 2014 è dedicato alla istituzione del patrocinio in queste specifiche ipotesi e indica, al comma 2, i casi di esclusione dal beneficio, come delineati nel TUSG, in quanto costituenti, salvo specifica eccezione, casi che la legge presume possano essere indicative di un abuso dello strumento.

L’articolo 11-ter d.l. n. 132 del 2014 fissa, in conformità alle disposizioni vigenti, il limite di reddito per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 11-quater d.l. n. 132 del 2014 stabilisce il contenuto necessario dell’istanza di ammissione e, al comma 1, prevede espressamente la possibilità, per chi si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di farne richiesta al fine di stipulare una convenzione di negoziazione assistita e partecipare alla relativa procedura.

Il comma 2 riprende, in quanto compatibile, la disciplina del TUSG sulla redazione e sottoscrizione dell’istanza per l’ammissione, prevedendo poi che nell’istanza siano indicate le ragioni di fatto e di diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere con la procedura di negoziazione assistita.

Benché la procedura di negoziazione assistita non sia equiparabile al processo che si svolge davanti al giudice, in quanto non comporta una valutazione di fondatezza o infondatezza delle contrapposte pretese e non si conclude con un provvedimento assimilabile a una pronuncia giurisdizionale, si è ritenuto di mantenere questo requisito negli esatti termini previsti dal TUSG, in quanto indispensabile per consentire all’organo competente a ricevere l’istanza a valutare la meritevolezza del beneficio richiesto dalla parte non abbiente. Anche sotto questo profilo, ferme restando le differenze intrinseche tra negoziazione assistita e processo, non vi è ragione di adottare una disciplina differenziata.

Tale valutazione, indipendente dal procedimento di negoziazione, ha la diversa finalità di prevenire che il beneficio sia strumentale al perseguimento di pretese manifestamente infondate e di consentire la verifica dell’ulteriore condizione di accesso alla misura che, nel caso della negoziazione assistita, consiste nella necessaria riconducibilità della pretesa alle controversie per le quali tale procedura di risoluzione alternativa è prevista dalla legge come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Il comma 3 disciplina le modalità di attestazione, per lo straniero o l’apolide, della condizione reddituale. Si è tenuto conto delle modifiche, già intervenute, sull’articolo 79 del TUSG, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 157 del 2021 che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, nel caso in cui, per causa non imputabile, risulti impossibile presentare la certificazione dell’autorità consolare competente, di produrre (con conseguente inammissibilità della richiesta) una dichiarazione sostitutiva secondo le norme vigenti.

L’articolo 11-quinquies d.l. n. 132 del 2014 individua nel Consiglio dell’ordine che ha sede del luogo in cui ha sede il tribunale che sarebbe competente a conoscere della controversia, il Consiglio competente a ricevere l’istanza di ammissione. Si è mantenuto il meccanismo, già previsto dal TUSG, dell’ammissione anticipata e provvisoria da parte di tale organo, in considerazione del fatto che l’ammissione definitiva, come previsto dall’articolo 11-bis, è condizionata alla dimostrazione del raggiungimento dell’accordo di conciliazione. Ove invece la parte ammessa in via provvisoria, avendo soddisfatto la condizione di procedibilità ma senza raggiungere un accordo, è legittimata a presentare domanda giudiziale e, in tal caso, la liquidazione del compenso al difensore della parte non abbiente avviene secondo le regole del TUSG.

L’articolo 11-sexie d.l. n. 132 del 2014, nell’ottica della tutela effettiva del diritto al patrocinio, individua il rimedio giudiziale esperibile in caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilità della domanda di ammissione da parte Consiglio dell’ordine. Si tiene conto del fatto che, nelle ipotesi regolate, non è previsto l’esperimento della domanda davanti al giudice.

L’articolo 11-septies d.l. n. 132 del 2014 disciplina gli effetti dell’ammissione anticipata al beneficio e la procedura di conferma dell’ammissione anticipata. Il comma 1 contiene la clausola generale di validità dell’ammissione per l’intera procedura di negoziazione assistita e pone a carico della parte non abbiente l’onere di comunicare al proprio avvocato eventuali modifiche reddituali sopravvenute idonee a incidere sulle condizioni di ammissione. Si tratta di una necessaria norma di chiusura del sistema, considerando la brevità del termine di durata della procedura di negoziazione assistita e la prevedibile rarità dei casi in cui in concreto, in tale breve spazio di tempo, sopravvengano mutamenti del reddito, rispetto alla dichiarazione dell’anno precedente, tali da mettere in discussione il mantenimento del diritto al beneficio.

I commi 2 e 3 disciplinano la fase di conferma dell’ammissione anticipata, che deve essere attivata dall’avvocato che assiste la parte non abbiente, che è tenuto a documentare il raggiungimento dell’accordo contenente, ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, l’indicazione del relativo valore, al fine di individuare il parametro di liquidazione del compenso. In tal modo, la procedura di liquidazione viene snellita e limitata la possibilità che sorgano sul punto eventuali controversie avanti al Consiglio. Tale organo è tenuto a svolgere, oltre alla verifica formale di completezza della documentazione a corredo dell’istanza, anche la valutazione di congruità del compenso, determinato dallo stesso professionista in conformità all’articolo 11-octies, con conferma, in caso di esito positivo di tali verifiche, dell’ammissione anticipata mediante apposizione del visto di congruità sulla parcella, e trasmissione di copia di tale documento all’ufficio finanziario competente per le verifiche di competenza.

Il comma 4 riproduce il divieto, per l’avvocato della parte ammessa al beneficio, di percepire dal cliente compensi o rimborsi e sanziona con la nullità eventuali patti contrari, richiamando a tal fine l’articolo 85, comma 3, TUSG (che stabilisce che la violazione di tale divieto costituisce “grave illecito disciplinare professionale”).

L’articolo 11-octies d.l. n. 132 del 2014 prevede che per la determinazione del compenso autoliquidato dal difensore, da sottoporre al vaglio di congruità di cui all’articolo 11-septies, sia adottato un decreto ministeriale che individui gli importi spettanti all’avvocato a titolo di onorario e di spese nonché delle modalità specifiche della procedura. Si intende introdurre un sistema chiaro e procedimentalizzato, che ponga il Consiglio dell’ordine, l’avvocato e gli uffici coinvolti nella procedura in condizione di operare in modo semplice e disponendo della documentazione necessaria, a partire dal documento comprovante l’accordo di conciliazione, e di porre in essere i controlli di conformità prodromici all’adozione del provvedimento di conferma dell’ammissione anticipata e alla verifica di congruità del compenso prevista dal comma 3 dell’articolo 11-septies.

La norma prevede altresì, in un’ottica di semplificazione, accelerazione ed effettività del riconoscimento del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte in una procedura di negoziazione assistita, che il professionista possa accedere a forme di riconoscimento diverse dalla materiale erogazione delle somme, quali il riconoscimento di un credito di imposta e la possibilità di compensare tale credito con altri crediti che il professionista vanta nei confronti dell’Erario, sulla scorta di quanto attualmente prevede l’articolo 1, commi 778 e 779 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

L’articolo 11-novies d.l. n. 132 del 2014 disciplina i casi di revoca dell’ammissione e i rimedi contro tale decisione. Si tratta di una norma di chiusura necessaria, che stabilisce in che modo si procede alla revoca nei casi in cui sia accertato che una parte ha fruito del beneficio pur non avendone diritto.

Il comma 1 prevede quindi che ove sia accertata dalle autorità competenti l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione, ne sia data notizia al Consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione.

Il comma 2, nella medesima prospettiva, prevede che siano comunicate al medesimo organo anche le modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali che escludono il diritto di essere ammessi al beneficio.

Il comma 3 prevede che il Consiglio dell’ordine, ricevuta una di queste comunicazioni ed effettuate le verifiche ritenute necessarie, procede alla revoca del provvedimento di ammissione, da comunicare all’interessato e all’avvocato.

Il comma 4 individua il rimedio giurisdizionale attivabile per contestare la revoca, con richiamo della procedura attualmente prevista dal TUSG.

L’articolo 11-decies d.l. n. 132 del 2014 riproduce le sanzioni attualmente previste dall’articolo 125 TUSG per chi effettua false attestazioni per ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio e, come previsto anche nel TUSG, attribuisce alla Guardia di finanza il compito di effettuare, nel contesto dei programmi annuali di controllo fisale, anche i controlli dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 11-undecies d.l. n. 132 del 2014 contiene infine le disposizioni di copertura finanziaria per l’attuazione delle descritte disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato nella procedura di negoziazione assistita.

 

Art. 10 – (Abrogazioni in materia di affiliazione commerciale e arbitrato societario)

Comma 1

L’ampliamento del ricorso obbligatorio alla mediazione in relazione ai contratti di franchising impone altresì di abrogare l’articolo 7 della legge 6 maggio 2004, n. 129, recante “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”, che prevede che per le controversie in materia di franchising le parti hanno la facoltà e non l’obbligo, prima di adire l’autorità giudiziaria, di effettuare un tentativo di conciliazione presso la camera di commercio nel cui territorio ha sede l’affiliato.

 

Comma 2

Il principio di delega di cui alla lettera f) del comma 15 impone l’inserimento delle disposizioni sull’arbitrato societario all’interno del codice di procedura civile.

L’indicazione della legge di delega è solo quella di trasporre le norme esistenti, apportando una sola modificazione: prevedere cioè la reclamabilità dinanzi al giudice ordinario delle ordinanze con cui gli arbitri societari sospendono l’efficacia di delibere assembleari.

Si è quindi provveduto a inserire nel titolo VII del codice un apposito capo VI bis e ad abrogare gli originari articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che ora diventano rispettivamente gli articoli 838 bis, 838 ter, 838 quater e 838 quinquies.

 

Sezione II Modifiche in materia di processo civile telematico

 

Art. 11 – (Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221)

 

L’articolo 11 contiene le modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevedendo l’abrogazione degli articoli 16-bis, 16-septies, 16-decies e 16-undecies d.l. n. 179 del 2012. Quanto all’articolo 16-bis del medesimo decreto-legge n. 179 del 2012, il comma 1 è stato abrogato in quanto ricompreso nella disposizione introdotta all’articolo 196-quater, primo e terzo comma, disp. att. c.p.c., relativa all’obbligo di deposito telematico. In attuazione del principio di delega sul riordino ed implementazione del processo civile telematico (comma 17, lettera h)), anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni (ai quali attualmente non è applicabile l’obbligo di deposito telematico, in virtù delle disposizioni contenute negli ultimi due periodi del comma 1 dell’articolo 16-bis) si applica il regime generale che prevede l’obbligo di deposito telematico degli atti: la modifica, rispetto all’attuale disciplina, è attuata attraverso l’abrogazione degli ultimi due periodi del comma 1 dell’art. 16-bis e la previsione, in una norma transitoria nello schema di decreto legislativo, dell’applicazione anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni degli articoli 196-quater e 196-sexies disp. att. c.p.c. a decorrere dalla data del 30.6.2023. Il comma 1-bis dell’articolo 16-bis è abrogato in quanto superato dalla generalizzata obbligatorietà del deposito degli atti processuali di cui all’articolo 196-quater disp. att. c.p.c.; il comma 2 è abrogato in quanto ricompreso nel generale obbligo di deposito telematico degli atti e dei documenti delle parti che stanno in giudizio a mezzo difensore, di cui al medesimo articolo 196-quater, mentre gli ultimi due periodi sono trasfusi nel secondo comma dell’articolo 196-novies disp. att. c.p.c. Il comma 3 è abrogato in quanto ricompreso nel generale obbligo di deposito telematico degli atti e dei documenti dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria, dettato dall’articolo 196 quater disp. att. c.p.c.; il comma 4 è abrogato in quanto la disposizione nello stesso attualmente contenuta è inserita nell’art. 196-quater, comma secondo, disp. att. c.p.c.; il comma 5 è abrogato in quanto superato dalla generalizzata introduzione del processo telematico e attualmente privo di effetti; il comma 6 in quanto inserito (opportunamente adattato, quanto alle decorrenze, tenuto conto del grado di informatizzazione dei diversi uffici), in una norma transitoria nel decreto legislativo; il comma 7 è abrogato in quanto la regola, modificata al fine di dare attuazione alla delega, viene spostata nel nuovo 196-sexies disp. att. c.p.c.; il comma 8 è abrogato in quanto il contenuto è stato riformulato all’art. 196-quater, comma quarto, disp. att. c.p.c. Il comma 9 è abrogato in quanto, quanto al primo periodo, esso è stato riportato nell’articolo 196-quater, primo comma, terzo periodo, disp. att. c.p.c.; quanto al secondo e terzo periodo, sono stati trasfusi nell’articolo 196-septies disp. att. c.p.c.; il comma 9-bis, in quanto trasfuso nel nuovo art. 196 octies disp. att. c.p.c.; il comma 9-ter, in quanto superato dall’obbligo generalizzato di deposito telematico di cui all’articolo 196 quater disp. att. c.p.c.; il comma 9-quater è abrogato in attuazione della delega sul riordino, con inserimento delle relative disposizioni negli articoli della legge fallimentare: in particolare, la disposizione di cui al primo periodo del comma 9-quater viene aggiunta al primo comma dell’articolo 119 della legge fallimentare, dopo il primo periodo, mentre la disposizione di cui al secondo periodo del comma 9-quater viene inserita nell’articolo 182, sesto comma, della legge fallimentare, dopo il primo periodo. Il comma 9-quinquies è abrogato in attuazione della delega sul riordino, con inserimento delle relative disposizioni nell’articolo 186-bis, ottavo comma (ultimo), della legge fallimentare; il comma 9-sexies è abrogato in attuazione della delega sul riordino, con inserimento della disposizione, modificata in attuazione della legge delega, all’art. 591-bis c.p.c. Il comma 9-septies è abrogato in attuazione della delega sul riordino; in particolare, la disposizione contenuta al primo e secondo periodo è stata trasposta in una norma autonoma nello schema di decreto legislativo; il terzo periodo è stato inserito, quanto alle procedure esecutive immobiliari, nella disposizione introdotta nell’articolo 591-bis c.p.c.; quanto alle procedure concorsuali, nell’articolo 33, comma 5, della legge fallimentare; le disposizioni contenute nel quarto e quinto periodo sono state inserite nell’articolo 169-quinquies disp. att. c.p.c. Il comma 9-octies è abrogato in quanto ricompreso nel principio generalizzato di chiarezza e sinteticità degli atti. L’articolo 16-septies è abrogato per esigenze di coordinamento, in quanto la disciplina del tempo delle notificazioni a mezzo posta elettronica certificata è stata inserita come secondo e terzo comma dell’articolo 147 del codice di procedura civile. L’articolo 16-decies è abrogato in quanto riportato all’articolo 196-novies, primo comma, disp. att. c.p.c; l’articolo 16-undecies in quanto trasfuso all’articolo 196-undecies disp. att. c.p.c.

 

Art. 12 – (Modifiche alla legge 21 gennaio 1994, n. 53)

 

L’articolo 12 contiene le modificazioni apportate alla legge 21 gennaio 1994, n. 53.

La lettera a) modifica l’articolo 3-bis l. n. 53 del 1994 prevedendo l’inserimento del comma 1-bis, ai sensi del quale la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata, fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, presso l’indirizzo individuato ai sensi dell’articolo 16-ter, comma 1-ter, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; sostituendo, al comma 2, il riferimento all’articolo 16-undecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 con quello all’articolo 196-undecies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotto con il presente decreto legislativo, e aggiungendo al comma 3 le parole: «, fermo quanto previsto dall’articolo 147 bis del codice di procedura civile». Più in particolare, si è ritenuto di inserire un nuovo comma 1-bis nell’articolo 3-bis della legge n. 53 del 1994, per meglio chiarire che le disposizioni introdotte dal successivo articolo 3-ter non comportano deroghe alle disposizioni contenute nell’articolo 16-ter, comma 1-ter, del decreto-legge n. 179 del 2012, in materia di notifiche via posta elettronica certificata alle amministrazioni pubbliche e all’indirizzo a tal fine utilizzabile. Al comma 2 è stato poi aggiornato il richiamo dall’articolo 16-undecies del decreto-legge n. 179 del 2012 all’articolo 196-undecies disp. att. c.p.c., in considerazione della diversa collocazione della norma ad esito dell’opera di riordino eseguita in materia di attestazione di conformità. Al comma 3, infine, si è precisato che in materia di perfezionamento della notifica resta salvo quanto previsto dall’articolo 147-bis c.p.c., introdotto per recepire la declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 147 c.p.c. (cfr. Corte Cost., sent. n. 75 del 2019).

La lettera b) introduce l’articolo 3-ter l. n. 53 del 1994, con il quale si è inteso dare attuazione ai criteri di cui all’articolo 1, comma 20, lettere da a) a c) della legge delega (“a) prevedere, quando il destinatario della notificazione è un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o quando il destinatario ha eletto domicilio digitale ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell'articolo 6-quater del medesimo codice, che la notificazione degli atti in materia civile e stragiudiziale sia eseguita dall'avvocato esclusivamente a mezzo di posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici; b) prevedere che, quando la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata non sia possibile o non abbia esito positivo per causa imputabile al destinatario, l'avvocato provveda alla notificazione esclusivamente mediante inserimento, a spese del richiedente, nell'area web riservata di cui all'articolo 359 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, che la notificazione si abbia per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento e che, solo quando la notificazione non sia possibile o non abbia esito positivo per cause non imputabili al destinatario, la notificazione si esegua con le modalità ordinarie; c) prevedere che, quando la notificazione deve essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata o mediante inserimento nell'area web riservata, sia vietato all'ufficiale giudiziario eseguire, su richiesta di un avvocato, notificazioni di atti in materia civile e stragiudiziale, salvo che l'avvocato richiedente dichiari che il destinatario della notificazione non dispone di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi ovvero che la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata non è risultata possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario”). Al primo comma si è quindi previsto l’obbligo, in capo all’avvocato, di notificare gli atti giudiziali in materia civile e gli atti stragiudiziali con modalità telematica quando il destinatario è soggetto obbligato a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi, ovvero nel caso in cui, pur non essendo obbligato, il destinatario abbia esercitato la facoltà di eleggere domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale. Il secondo comma prevede che se per causa imputabile al destinatario è impossibile eseguire la notificazione o questa non ha esito positivo (ad esempio, perché la casella di posta del destinatario è piena), l’avvocato è tenuto ad eseguire la notificazione mediante inserimento nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento. In tale ipotesi, la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento. Tale ipotesi è stata tuttavia circoscritta ai soli casi in cui il destinatario sia soggetto tenuto per legge ad iscriversi nel registro INI-PEC (in particolare, imprese o professionisti), dal momento che a tali soggetti si rivolge la piattaforma di cui si è detto. Nel caso in cui, invece, il destinatario sia soggetto non tenuto ad iscriversi ad INI-PEC ma che volontariamente ha eletto il proprio domicilio digitale, sarebbe stato possibile prevedere l’impiego della diversa piattaforma di cui all’articolo 26, comma 6, del decreto-legge n. 76 del 2020; si è tuttavia ritenuto preferibile, sia pur a costo di un leggero discostamento dal principio di delega, prevedere che in questi casi la notifica avvenga nelle forme ordinarie, in considerazione della particolare delicatezza del procedimento notificatorio, che deve tendere ad assicurare quanto più possibile che il destinatario abbia effettiva conoscenza dell’atto. Come previsto dal comma 3, poi, la notificazione potrà eseguirsi con le modalità ordinarie quando la causa dell’impossibilità di effettuare la notifica con modalità telematiche non sia imputabile al destinatario.

La lettera c) modifica l’articolo 4, comma 2, della l. n. 53 del 1994, aggiungendo la disposizione secondo la quale per le notificazioni in materia civile e degli atti stragiudiziali, la facoltà prevista dal primo periodo può essere esercitata fuori dei casi di cui all’articolo 3-ter, commi 1 e 2. La norma ha funzione di coordinamento con gli interventi in materia di notifiche in materia civile e degli atti stragiudiziali, in particolare al fine di chiarire che la facoltà, a determinate condizioni, di eseguire la notificazione con consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario, è esercitabile soltanto laddove non operi l’obbligo per l’avvocato di eseguire la notifica via posta elettronica certificata o mediante inserimento nell’area web prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

 

Art. 13 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

 

L’articolo 13 dello schema reca modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, al fine di dare attuazione a quanto previsto nella lettera f) del comma 17 dell’unico articolo della legge delega, la quale mira ad estendere, razionalizzandole e semplificandole, le modalità di versamento del contributo unificato, privilegiando i mezzi di pagamento telematici anche facendo tesoro dei risultati ottenuti con l’applicazione della normativa emergenziale. Ed invero, nella fase pandemica è stata prevista, con più disposizioni che si sono succedute nel tempo, l’obbligatoria corresponsione di tale onere tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (comma 3 dell’articolo 221 del decreto-legge 34-2021, sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui al comma 11 dell’art. 83 decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, ma analogo principio era già contenuto nel comma 6 dell’articolo 2 del decreto-legge 8 marzo 2020 n. 11, successivamente abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 24 aprile 2020, n. 27). L’adempimento si pone in linea con la completa digitalizzazione del processo civile telematico in tutti i suoi aspetti, compreso quello fiscale. Il successo di tale esperienza ha portato il legislatore a stabilizzare tali modalità, valutando anche il superamento di alcune modalità non telematiche e, pertanto, non attuando quanto previsto al punto 1.3 della lettera f) del comma 17 della legge delega. La piattaforma tecnologica, infatti, che allo stato è stata realizzata tramite il sistema PagoPA, consente per vero più metodi di pagamento (telematici e non), anche tramite contante presso i gestori del servizio, tutti utilizzabili a scelta dall’utenza e che consentano di associare, telematicamente, in modo univoco ciascun versamento ad un solo ed individuato procedimento. Questo sistema, a differenza di quello che avviene tramite la compilazione del modello F23 attraverso il servizio home banking del singolo utente, consente di ridurre drasticamente il rischio di plurimi utilizzi delle stesse marche o valori bollati per l’iscrizione a ruolo di diversi procedimenti e al contempo sgrava le cancellerie da ogni onere di “abbinamento” dei pagamenti del contributo unificato ai relativi procedimenti giudiziari. I metodi che rientrano fra quelli di PagoPA sono i seguenti: pagamento on-line tramite il Portale dei Servizi Telematici (PST), sia nella sezione ad accesso riservato sia nella sezione pubblica (senza bisogno di eseguire ‘login’); pagamento on-line presso un Punto di Accesso (PDA); pagamento tramite canali fisici o on-line messi a disposizione dalle banche: sportelli fisici (anche con contanti), strumenti di home banking per pagoPA, app IO. In questo caso è necessario solo avere a disposizione il numero univoco di versamento e il QR code corrispondente che vengono generati collegandosi all’area pubblica del PST/ pagamenti pagoPA e selezionando l’opzione ‘paga dopo’.

Per realizzare le finalità di cui sopra, l’articolo 13 apporta diverse modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

La principale modifica riguarda l’articolo 192 (lettera e) dell’articolo 13) il cui primo comma viene interamente sostituito e riscritto in termini simili alle disposizioni della fase emergenziale; più specificatamente si prevede in modo stabile che il contributo unificato per i procedimenti dinanzi al giudice ordinario e al giudice tributario sia di regola corrisposto mediante pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all'articolo 5, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

In attuazione di quanto previsto dal numero 5 della lettera f) del comma 17 dell’unico articolo della legge delega si è previsto (al nuovo comma 1-bis dell’articolo 192) che il pagamento del contributo unificato non effettuato tramite la piattaforma tecnologica non libera la parte dagli obblighi su di essa gravanti e la relativa istanza di rimborso deve essere proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dal predetto pagamento.

Il nuovo comma 1-ter prevede che per i procedimenti dinnanzi al giudice tributario, le previsioni relative alla telematizzazione del pagamento del contributo unificato acquistino efficacia sessanta giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del provvedimento con cui il direttore della direzione sistema informativo della fiscalità del Ministero dell’economia e delle finanze attesta la funzionalità del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005. Della pubblicazione di tale provvedimento in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana è data immediatamente notizia sul sito istituzionale dell’amministrazione interessata (comma 1-quater).

È stata poi inserita una norma transitoria all’interno dello stesso articolo 192 (comma 1-quinquies) che prevede che per i procedimenti innanzi al giudice ordinario, le nuove disposizioni acquistino efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2023.

Il nuovo comma 1-sexies dell’articolo 192 prevede che se è attestato, con provvedimento pubblicato sul sito istituzionale del Ministero della giustizia o del Ministero dell’economia e delle finanze, il mancato funzionamento del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all'articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, il contributo unificato vada corrisposto mediante bonifico bancario o postale, ai sensi del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 9 ottobre 2006, n. 293; la prova di tale versamento dovrà fornirsi con l’originale della ricevuta, regolarmente sottoscritta.

Oltre alla conseguente abrogazione dell’articolo 191 (lettera c), comma 1, dell’articolo 13), sono state allineate a tali previsioni quelle relative ai procedimenti speciali e quindi l’articolo 18 bis, relativo al contributo da versarsi per la pubblicazione sul portale delle vendite pubbliche, l’articolo 30 che riguarda le anticipazioni forfettarie versate all’erario dai privati nel processo civile, l’istanza per l'assegnazione o la vendita di beni pignorati, l’articolo 32 relativo alle anticipazioni da versarsi agli ufficiali giudiziari per il servizio di notificazione,

Inoltre, per esigenze di coordinamento e semplificazione (comma 22 dell’unico articolo della legge delega) si è uniformata anche la modalità di pagamento dei diritti di copia, di certificato e le spese per le notificazioni a richiesta d'ufficio nel processo civile: l’articolo 196, comma 1, è stato modificato prevedendo che anche tali oneri siano corrisposti tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82  (lettera f), comma 1, dell’articolo 13).

Infine, all’articolo 197 (lettera g), comma 1, dell’articolo 13), relativo al pagamento delle spettanze degli ufficiali giudiziari relative a notifiche a richiesta di parte nel processo civile, penale amministrativo contabile e tributario, è stato aggiunto un comma 1 bis il quale prevede che a decorrere dal 1° giugno 2023 anche tali spettanze debbano essere corrisposte tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

 

Art. 14 - (Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267)

 

L’articolo 14 contiene le modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”. Nell’esercizio del criterio di delega relativo al riordino delle disposizioni in materia di processo civile telematico, per lo più contenute all’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, si è proceduto, come innanzi evidenziato, a creare il nuovo Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, nel quale sono confluite numerose disposizioni attualmente contenute all’articolo 16-bis. I commi 9-quater, 9-quinques, 9-sexies e 9-septies dell’articolo 16-bis istituiscono l’obbligo di depositare rapporti riepilogativi nell’ambito delle procedure concorsuali e dei procedimenti di esecuzione forzata, dettando la relativa disciplina. Nel rispetto del criterio di delega previsto dal comma 22, lettera a), del comma 1 della legge n. 206 del 2021 (“curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega”), tali disposizioni sono state inserite, oltre che nell’articolo 591-bis del codice di procedura civile e nell’articolo 169-quinquies delle disposizioni di attuazione, anche nella legge fallimentare, alla quale si riferiscono.

È stata pertanto inserita, al quinto comma dell’articolo 33 della legge fallimentare, in tema di rapporto riepilogativo del curatore, la disposizione (attualmente dettata dal comma 9-septies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012) secondo la quale il rapporto contiene i dati identificativi dello stimatore; all’articolo 119, primo comma, la regola che prevede unitamente all'istanza di chiusura del fallimento il curatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma e all’articolo 182, sesto comma, la norma secondo cui conclusa l'esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, il liquidatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma (tali norme sono attualmente contenute al comma 9-quater dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012). Infine, all’articolo 186-bis è stato aggiunto, in fine, un ottavo comma, al fine di trasferire nella pertinente disposizione della legge fallimentare l’obbligo attualmente dettato dal comma 9-quinquies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, ai sensi del quale “ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui all'articolo 172, primo comma, il commissario giudiziale redige un rapporto riepilogativo secondo quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma, e lo trasmette ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma. Conclusa l'esecuzione del concordato, deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma”.

 

Sezione III Modifiche in materia di processo di primo grado e consulenti tecnici d’ufficio

Art. 15 - (Modifiche alle leggi speciali conseguenti all’introduzione del rito semplificato e alla riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale)

 

Comma 1 – (Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)

L’attuazione della delega con l’adozione del rito semplificato di cognizione e l’abrogazione del rito sommario, oltre alla previsione di nuovi moduli decisori semplificati e accelerati sia in primo grado che nel giudizio d’appello impone di effettuare interventi di coordinamento sulla legge 24 marzo 2001, n.89 in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo.

L’articolo 1-ter, dedicato alla disciplina dei rimedi preventivi, ai sensi dell’art. 1-bis della stessa legge, è stato modificato al fine di coordinare i riferimenti al rito sommario di cognizione e al fine di inserire, tra i rimedi preventivi, la proposizione dell’istanza di decisione a seguito di trattazione orale anche ai sensi dell’articolo 275, commi secondo, terzo e quarto, oltre che dell’articolo 350-bis davanti alla corte d’appello.

 

Comma 2 – (Modifiche alla legge 8 marzo 2017, n. 24)

L’attuazione della delega, sia in relazione alla riforma del procedimento di mediazione, disciplinato dal decreto legislativo n. 28 del 2010, sia in relazione all’adozione del rito semplificato di cognizione e alla abrogazione del rito sommario, hanno imposto modifiche di coordinamento anche alla legge 8 marzo 2017, n. 24 recante disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.

Sono state quindi apportate modifiche al comma 2 dell’articolo 8 al fine di correggere il riferimento al comma 1-bis (che è stato soppresso a seguito di integrale sostituzione dell’articolo) dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 29 in materia di mediazione. Il riferimento corretto è al comma 1 di tale articolo.

Il comma 3 è stato modificato al fine di coordinarne il testo con l’abrogazione del rito sommario di cognizione con il rito semplificato, e operare i corretti riferimenti normativi.

 

Comma 3 - (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150)

L’attuazione della delega con l’adozione del rito semplificato di cognizione e l’abrogazione del rito sommario impongono di effettuare interventi di coordinamento su molti articoli del d.lgs. 1° settembre 2011, recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

L’art. 1, recante le definizioni, è stato modificato per coordinare il testo del comma 1, lettera c) all’introduzione del rito semplificato e alla sua nuova collocazione all’interno del codice di rito.

L’articolo 3 è stato modificato, anche nella rubrica, al medesimo fine.

Al comma 3 sono state apportate le modifiche necessarie anche per coordinare il testo con le modifiche apportate anche al procedimento davanti alla corte d’appello che prevedono la nomina di un consigliere istruttore per la trattazione della causa.

All’articolo 4 sono state apportate modifiche finalizzate a coordinare il comma 2 con il nuovo sistema di introduzione della domanda nelle forme del rito ordinario di cognizione. In particolare, va rammentato che in attuazione della delega, si prevede che la domanda debba essere proposta con atto di citazione e fissazione di un’udienza rispetto alla quale decorrono automaticamente i termini per il deposito delle memorie integrative, a norma dell’art. 171-ter. La prima udienza di comparizione, sempre regolata dall’art. 183, il cui testo è stato integralmente riscritto, è dedicata, nel nuovo rito, alla trattazione vera e propria e alla ammissione dei mezzi di prova. La fase delle verifiche preliminari è stata anticipata a un momento anteriore alla data dell’udienza ex art. 183, immediatamente successivo alla scadenza del termine di costituzione del convenuto.

Il decreto legislativo n.150 del 2011 prevede, per i procedimenti specificamente individuati nel capo III l’adozione obbligatoria del rito sommario di cognizione, sostituito con il nuovo rito semplificato. Coerentemente con tale impostazione in ordine alla obbligatorietà di un rito alternativo rispetto a quello ordinario di cognizione, il testo vigente del comma 2 dell’articolo 4 prevede che il giudice, entro la prima udienza, proceda al mutamento del rito da ordinario a sommario di cognizione tutte le volte che rileva che una delle cause indicate nel capo III, è stata instaurata nelle forme del procedimento ordinario.

Al fine di rendere coerente ed effettivo tale controllo preliminare, con il nuovo rito ordinario, il comma 4 è stato quindi modificato al fine di prevedere che tale controllo e l’eventuale mutamento del rito debbano essere pronunciati dal giudice nella fase delle verifiche preliminari. Diversamente, ove il mutamento del rito avenisse ancora alla prima udienza di trattazione, la scelta del legislatore verrebbe nella sostanza elusa, in quanto il mutamento interverrebbe quando ormai le parti hanno depositato, nei più ampi termini e alle diverse condizioni previste dall’art. 171-ter, le memorie integrative, in molti casi vanificando la stessa possibilità di rispettare le scansioni processuali previste per le singole controversie del capo III.

Tutti gli articoli, da 14 a 29, sono stati modificati per coordinarli con l’introduzione del rito semplificato.

Il solo articolo 14 è stato altresì modificato, a comma 2, in attuazione di un diverso principio di delega (comma 6, lettera a) che prevede la riduzione dei casi in cui il tribunale decide in composizione collegiale. Si è pertanto ritenuto di attribuire alla decisione del tribunale in composizione monocratica la decisione sulle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, che deve essere trattata con il rito semplificato di cognizione.

 

Comma 4 – (Modifiche al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132)

Seguendo le indicazioni della Corte Costituzionale, si è creato un meccanismo che renda maggiormente possibile e vantaggioso il coinvolgimento dei terzi nel processo convenzionale, tramite la previsione di un onere informativo posto a carico dell’Agente di governo: in forza delle indicazioni di cui al comma 10, lettera e) ed f) della legge delega è stato aggiunto un nuovo comma all’articolo 15 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, come modificato dalla legge di conversione 1º dicembre 2018, n. 132 prevedendo che l’Agente del Governo comunichi a tutte le parti del processo che ha dato luogo alla sentenza sottoposta all’esame della Corte europea dei diritti dell’uomo e al pubblico ministero la pendenza del procedimento davanti alla Corte stessa.

 

Art. 16 - (Modifiche alle leggi speciali in materia di albi dei consulenti tecnici d’ufficio esercenti le professioni sanitarie)

 

Comma 1 – (Modifiche al decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158)

Al fine di garantire l’aggiornamento dell’albo dei consulenti di cui all’articolo 13 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si è ritenuto, al quinto comma dell’articolo 3 D.L. 13.9.2012, n. 158, di prevedere che tale aggiornamento avvenga con cadenza almeno biennale. In tal modo, si è voluta garantire una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria,

 

Comma 2 – (Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179)

Al fine di coordinare la disciplina contenuta nell’articolo 16-novies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 con le modifiche introdotte agli articoli 23, secondo comma, e 24 bis, secondo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, con particolare riferimento alla pubblicità degli albi e dell’elenco nazionale dei consulenti tecnici, è stato inserito un ultimo periodo al quarto comma, nel quale si è previsto che resta fermo quanto disciplinato dai suddetti articoli, per come modificati.

 

Sezione IV Modifiche in materia di impugnazioni

 

Art. 17 – (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

 

L’articolo 17 contempla le disposizioni con cui si interviene sulle norme di ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

In particolare, alla lettera a) si prevede l’abrogazione dell’art. 67-bis, che dettava i criteri per la composizione dell’attuale sesta sezione civile della Corte di cassazione, in conseguenza della soppressione della sezione stessa attuata mediante la riscrittura dell’articolo 376 del codice di procedura civile.

Con la lettera b) si interviene sull’articolo 76, relativo alle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di cassazione, anche in questo caso in conseguenza della soppressione della apposita sezione prevista dall’articolo 376 (la “sesta sezione civile”), innanzi alla quale era precluso, dal 2016, l’intervento del procuratore generale. Tramite la novella si è sostanzialmente ripristinata la formula originaria del ’41, a tenore della quale il pubblico ministero conclude in tutte le udienze pubbliche, sia civili che penali, innanzi alla Corte di cassazione, essendo definitivamente venuto meno il c.d. “rito camerale di sesta”, alla quale come detto il procuratore generale rimaneva estraneo. Naturalmente, viene ribadito, al secondo comma dell’art. 76, che nei procedimenti trattati in camera di consiglio, che si svolgono sempre in assenza delle parti, il pubblico ministero formula le sue conclusioni scritte nei casi previsti dalla legge. In particolare, ai sensi dei novellati artt. 380 bis e 380 ter le conclusioni scritte – nel termine di venti giorni prima dell’adunanza camerale – saranno facoltative in tutti i procedimenti in camera di consiglio e necessarie nei soli regolamenti di competenza e di giurisdizione, procedimenti questi che tradizionalmente – fin dall’introduzione del codice del ’40 – si sono celebrati in camera di consiglio, sempre preceduti dalle conclusioni scritte del P.M. apposte in calce al ricorso (si veda il testo originario dell’art. 138 disp. att. c.p.c.). L’intervento in udienza pubblica – sia presso le Sezioni Unite, sia presso le sezioni semplici – rimane naturalmente obbligatorio, e si articola in forma “mista”, scritta (sempre eventuale, salvo che nei casi di rinvio pregiudiziale) e orale (necessaria).

 

Art. 18 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

 

L’articolo 18 dà attuazione alla previsione contenuta nella lettera e) del comma 9 della legge n. 206 del 2021, relativa al procedimento accelerato per la definizione dei ricorsi per cassazione che appaiano inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, ai sensi della quale la parte ricorrente che, ricevuta comunicazione della proposta di definizione del ricorso, non chieda la decisione del merito così determinando l’estinzione del procedimento, sia esonerata dal pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione previsto dall’articolo 13, comma 1-quater, del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Si è quindi prevista l’introduzione, nell’articolo ora citato, di un comma 1-quater.1 ai sensi del quale le disposizioni dettate dal comma precedente non si applicano nell’ipotesi in cui il ricorso per cassazione venga dichiarato estinto ai sensi dell’articolo 380 bis (norma che detta ora la disciplina del procedimento accelerato di cui si è detto).

 

Art. 19 - (Modifiche al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104)

 

L’articolo 19 reca una mera disposizione di coordinamento delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo di cui all’allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in conseguenza della soppressione delle disposizioni degli articoli 47 e 369 del codice di procedura civile che prevedevano l’onere del ricorrente di chiedere, con apposita istanza, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione. Si è quindi espunto dall’articolo 1 delle norme di attuazione del c.p.a. il riferimento al terzo comma dell’articolo 369, e si è per converso inserito quello al nuovo articolo 137 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, il quale prevede che sia onere della cancelleria della Corte di cassazione acquisire il fascicolo d’ufficio presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

 

Art. 20 - (Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221)

 

Ulteriore novella di mero coordinamento è quella prevista dall’articolo 20, il quale interviene sull’articolo 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, relativo al «domicilio digitale», espungendo il riferimento alle previsioni di cui all’articolo 366 del codice di procedura civile, in conseguenza della soppressione del diverso regime in materia di comunicazioni e le notificazioni previsto per il procedimento per cassazione, reso uniforme a quello generale.

 

Sezione V Modifiche in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo

 

La Sezione V rubricata “Ulteriori interventi in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo” è composta da 6 articoli e contiene diverse disposizioni in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo.

Con riguardo alla volontaria giurisdizione l’articolo 1, comma 13, lett. b) prescrive di “prevedere interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai e ad altri professionisti dotati di specifiche competenze alcune delle funzioni amministrative, nella volontaria giurisdizione, attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, individuando altresì gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni”.

Costituiscono attuazione di tale criterio di delega gli articoli 21, 22 e 23 del presente schema.

 

Art. 21 – (Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione)

 

Con riguardo all’articolo 21 si evidenzia quanto segue.

Tra i settori oggetto di possibile trasferimento di funzioni è stato individuato quello delle autorizzazioni alla stipula di atti pubblici e scritture private autenticate nelle quali intervenga un minore o un soggetto beneficiario di misure di protezione.

In particolare, si è ritenuto, in virtù di esigenze di semplificazione particolarmente avvertite nella quotidianità dei traffici di consentire al notaio rogante il rilascio delle autorizzazioni in questione, pur prevedendosi opportuni contrappesi e bilanciamenti.

In particolare la disposizione in commento è rubricata “Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione” e prevede al primo comma che le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante.

Ai fini dell’istruttoria, il notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto e nell’ipotesi in cui l’istanza di autorizzazione a vendere riguardi l’oggetto di un legato di specie, deve essere sentito il legatario (comma 2); è inoltre previsto che, ove per effetto della stipula dell’atto debba essere riscosso un corrispettivo nell’interesse del minore o di un soggetto sottoposto a misura di protezione, il notaio determini le cautele necessarie per il reimpiego del medesimo (comma 3).

Il provvedimento autorizzatorio reso dal notaio deve essere comunicato, a cura del notaio stesso, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale ed al pubblico ministero presso il medesimo tribunale (comma 4). Ciò tanto ai fini dell’assolvimento delle formalità pubblicitarie (ad es. annotazione nel registro delle tutele), quanto per consentire la modifica o la revoca da parte del giudice tutelare, sul modello dell’articolo 742 c.p.c. (e fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca; cfr. comma 6) e l’impugnazione da parte del pubblico ministero.

Il provvedimento autorizzatorio reso dal notaio può essere impugnato innanzi all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale e acquista efficacia, decorsi 20 giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste senza che sia stato proposto reclamo. Non è consentito al notaio concedere la provvisoria esecutività del provvedimento (che potrà invece essere chiesta all’autorità giudiziaria) e restano in ogni caso riservate all’autorità giudiziaria, in ragione della particolare delicatezza, le autorizzazioni relative al promuovere, al rinunciare, al transigere o compromettere in arbitri giudizi, nonché alla continuazione dell’impresa commerciale.

Merita da ultimo osservare che la nuova disposizione non esclude la competenza giurisdizionale in ordine al rilascio dell’autorizzazione: si viene di fatto a creare un doppio binario, talchè l’interessato potrà alternativamente rivolgersi al notaio o al giudice.

 

Art. 22 (Modifiche alla legge 16 febbraio 1913, n. 89)

 

La devoluzione ai notai di competenze in materia di volontaria giurisdizione non è però limitata al settore delle autorizzazioni sopra esaminato.

In particolare, l’articolo 22 attribuisce al notaio rogante, in aggiunta al presidente del tribunale, la competenza in ordine alla nomina dell’interprete del non udente.

 

Art. 23 – (Modifiche alla legge 7 marzo 1996, n. 108)

 

L’articolo 23 novella l’articolo 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108, e attribuisce al notaio una competenza concorrente in materia di riabilitazione del protestato.

 

Art. 24 – (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150)

 

L’articolo 24, comma 1, lett. a), novella l’articolo 13 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, e attribuisce al notaio una competenza concorrente in materia di riabilitazione del protestato.

L’articolo 24, comma 1, lett. b) e c) dello schema attua, invece, il criterio di cui all’articolo 1, comma 14, della legge 206/2021 che testualmente delega il governo a: “a) modificare l'articolo 30 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, specificando che si svolgono in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera e quelli volti ad ottenere in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera ai sensi degli atti indicati di seguito: 1) regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000; 2) regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; 3) regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; 4) regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate; 5) regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; b) prevedere che nei procedimenti di cui alla lettera a) il giudice provveda con decreto motivato, avverso il quale può essere promosso ricorso ai sensi della lettera c); c) prevedere che i ricorsi avverso le decisioni rese nei procedimenti di cui alla lettera a), nonché i giudizi sulle domande di diniego del riconoscimento promosse ai sensi degli atti indicati nei numeri da 1) a 5) della lettera a) siano trattati con il rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, o con altro rito ordinario semplificato; d) prevedere che le domande di diniego del riconoscimento o dell'esecuzione previste dal regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, siano trattate con il rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, o con altro rito ordinario semplificato; e) prevedere che, fatti salvi i procedimenti di cui agli articoli 615 e seguenti del codice di procedura civile, si applichi il rito sommario di cognizione, o altro rito ordinario semplificato, ai procedimenti di diniego del riconoscimento o dell'esecuzione e di accertamento dell'assenza di motivi di diniego del riconoscimento previsti dagli atti di seguito indicati: 1) regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; 2) regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione); 3) regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori; f) prevedere che i ricorsi di cui agli atti indicati nelle lettere a), c) ed e) siano promossi innanzi alla corte d'appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti da tali atti; g) prevedere che le decisioni della corte d'appello rese sui ricorsi di cui alle lettere a), c) ed e) siano impugnabili innanzi alla Corte di cassazione; h) prevedere che i criteri di cui alle lettere da a) a g) si estendano, con gli opportuni adattamenti, ai procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera o in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera, o il diniego di tale riconoscimento, allorché l'efficacia di tali decisioni si fondi su una convenzione internazionale”.

L’articolo 30-bis del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, è stato introdotto per determinare il rito applicabile alle controversie di cui all’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, ovverosia quelle aventi ad oggetto la mancata ottemperanza o la contestazione del riconoscimento di una sentenza straniera o di un provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero l'accertamento dei requisiti del riconoscimento ai fini della successiva azione esecutiva. La sopra indicata legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato è stata nel tempo in parte superata dalla sopravvenuta normativa europea elaborata in tema di cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali in forza delle previsioni di cui all’art. 81 del TFUE. Quest’ultima disposizione, fondata sul principio di reciproca fiducia fra gli Stati membri e quindi di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, ha quindi delegato le Istituzioni europee a legiferare in materia di cooperazione giudiziaria civile. Tale cooperazione ha incluso l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, fra le quali diversi regolamenti che disciplinano, seppur con una metodologia settoriale e poco omogenea, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione. Le norme europee in tale materia, contenute in diversi atti derivati, prevalgono quindi su quelle contenuta nella legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, la quale, in ossequio al principio di specialità, prevede espressamente all’art. 2 il valore residuale della normativa interna rispetto alle disposizioni che derivano da accordi internazionali. Tale principio è rafforzato, inoltre, dalla previsione Costituzionale ex art. 117, comma 1, volta al rispetto degli obblighi internazionali da parte del legislatore, che discendono anche dal TFUE e dalla normativa europea derivata, salvo il limite dei principi supremi dell’ordinamento (cd. teoria dei contro-limiti).

Da quanto premesso deriva che le norme processuali contenute negli atti normativi in materia di cooperazione giudiziaria in materia civile fanno parte del nostro ordinamento come norme di diritto processuale internazionale, ridimensionando in modo significativo la portata delle corrispondenti norme della legge 31 maggio 1995, n. 218, la quale assume oggi un ruolo complementare e sussidiario rispetto alle norme europee di analogo contenuto. L’articolo 67 di quest’ultima, pertanto, si applica in via residuale alle sentenze straniere che non rientrano nel perimetro di disciplina degli atti normativi europei, i quali dettano regole anche procedurali per le controversie sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze. Tali regole, tuttavia, non sono esaustive quanto ai riti nazionali applicabili alle varie fasi.

Il presente intervento è dunque sorto, innanzitutto, dall’esigenza di chiarire quali siano i riti processuali esperibili nelle diverse procedure europee previste dai regolamenti che contengono norme sul riconoscimento e l’esecuzione dei titoli nazionali di rilievo europeo; le scelte processuali sono state operate tenendo conto delle peculiarità delle varie fasi di cui alle procedure europee stesse.

In secondo luogo, è stato necessario estendere detti riti processuali agli analoghi procedimenti aventi ad oggetto decisioni straniere che producono effetti in Italia in forza delle disposizioni di convenzioni internazionali, bilaterali o multilaterali, siano esse internazionalmente in vigore per l’Italia oppure in vigore per l’Unione e vincolanti per l’Italia ai sensi dell’art. 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Lo scopo è quello di estendere anche a tali decisioni, per ragioni di uniformità, le previsioni stabilite negli analoghi procedimenti di matrice europea, restando implicitamente salva la possibilità di un loro adattamento alle eventuali specificità procedurali contenute nelle convenzioni in di volta in volta rilevanti.

Resta ferma, in via residuale subordinata, ove non trovino applicazione le nuove norme processuali, la previsione contenuta nell’articolo 30 che fa rinvio all’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

Nell’attuare i principi di delega contenuti nel comma 14 della legge delega, va segnalato che, anziché modificare l’articolo 30 come previsto dalla lettera a) di tale comma, si è ritenuto di introdurre un nuovo articolo 30-bis per ragioni di mero drafting, risultando maggiormente chiara in questo modo la distinzione fra le fonti regolamentatrici dei vari procedimenti (europea ed internazionale nel nuovo articolo 30-bis e residuale-nazionale nell’esistente articolo 30) e al contempo più agevole la lettura, essendo numerosi i nuovi commi contenuti nell’articolo 30-bis. Inoltre, si è ritenuto di chiarire i principi che governano le scelte della delega in relazione ai vari procedimenti, anche al fine di non limitarne eccessivamente l’operatività rispetto agli atti normativi indicati ma di potenzialmente immaginarne l’applicazione anche rispetto ad eventuali futuri interventi normativi di analogo contenuto.

L’articolo 30-bis, comma 1, prevede quindi, in via generale, lo svolgimento in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, per i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività e in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di decisioni emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri in conformità al diritto dell’Unione europea, che non sono immediatamente esecutive ma necessitano di exequatur.

Sono poi specificatamente indicati gli atti normativi europei che espressamente escludono la necessità di integrare il contraddittorio:

               1) regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (cfr. articoli 28 e seguenti per la procedura di rilascio dell’exequatur; cfr. articolo 21, paragrafo 3, e articoli 30 e seguenti per il procedimento di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               2) regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (cfr. articoli 26 e 30 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articoli 23, paragrafo 2 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               3) regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (articoli 42 e 47 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articolo 36, paragrafo 2, e articolo 47 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               4) regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (cfr. articoli 42 e 47 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articolo 36, paragrafo 2, e articolo 47 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               5) regolamento n. 650/2012 del Parlamento europeo de del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo (articoli 43 e 48 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articolo 39, paragrafo 2, e 48 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento).

L’articolo 30-bis, comma 2, estende l’applicazione delle norme interne in materia di procedimenti in camera di consiglio (articoli 737 e 738 del codice di procedura civile) ai procedimenti di cui al primo comma del medesimo articolo, in assenza di diverse indicazioni da parte del legislatore europeo ed in ossequio alla delega [comma 14, lettere a) e b)], con la differenza che avverso il decreto motivato, invece del reclamo previsto dall’articolo 739 del codice di procedura civile, va promossa - entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del decreto (dies a quo indispensabile anche in assenza di delega, al fine di evitare una asistematica impugnabilità sine die) - con ricorso nelle forme del rito semplificato di cognizione, in quanto il legislatore delegante [comma 14, lettera c)], seguendo le indicazioni delle disposizioni europee, ha inteso uniformare il rito per impugnare le decisioni emesse nei procedimenti di cui al primo comma a quello previsto per le domande di diniego del riconoscimento (degli stessi titoli non immediatamente esecutivi, come disciplinati dagli atti normativi indicati al comma 1) promosse in via principale.

Al riguardo si fa implicitamente riferimento alle seguenti disposizioni europee che disciplinano i ricorsi avverso le decisioni emesse nei procedimenti di cui al primo comma espressamente richiedendo il contraddittorio fra le parti:

            - articolo 32 del regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari;

            - articolo 49 del regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi;

          - articolo 49 del regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate;

      - articolo 50 del regolamento (UE) 650/2012 del Parlamento europeo de del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo.

L’articolo 30-bis, comma 3, in attuazione del comma 14 lettera c) della legge delega, prevede che anche i giudizi sulle domande di diniego del riconoscimento promosse ai sensi degli atti indicati nei numeri da 1 a 5 del comma 1 siano trattati con il rito semplificato di cognizione in quanto sono le stesse norme europee o a non sancire il divieto di presentare osservazioni o a prevedere che per la trattazione degli stessi debba essere integrato il contraddittorio (in questo senso peraltro si è pronunciata la Corte di giustizia nella sentenza 11 luglio 2008, causa C-195/08 PPU, Inga Rinau, punti 104, 105, 106, per i procedimenti di non riconoscimento azionati ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3 del regolamento (CE) 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale: “l’oggetto del procedimento di non riconoscimento mira ad un giudizio negativo, che, per sua natura, esige il contraddittorio”).

L’articolo 30-bis, comma 4, in attuazione del comma 14, lettere d) ed e), si occupa invece di titoli che, in forza di normativa europea specifica, non richiedono exequatur per circolare nello spazio giudiziario europeo e, con formulazione analoga a quella del comma 1, stabilisce in via di principio che si svolgono con il rito semplificato di cognizione i procedimenti di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione e di accertamento dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento di decisioni già immediatamente esecutive emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri in conformità al diritto dell’Unione.

Sono poi specificatamente indicati gli atti normativi europei che espressamente prevedono la necessità di integrare il contraddittorio:

               1) regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (articoli 46 e seguenti: diniego dell’esecuzione; articolo 36, paragrafo 2: attestazione dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento; articolo 45, paragrafo 4: diniego del riconoscimento);

               2) regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile (l’articolo 13 non reca il divieto di presentare osservazioni);

               3) regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione) (articolo 32, paragrafo 2);

               4) regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori (articolo 30, paragrafo 3: attestazione dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento; articolo 40: diniego del riconoscimento; art. 59: diniego dell’esecuzione).

Si è ritenuto superfluo inserire l’inciso, presente nel comma 14, lettera e), “fatti salvi i procedimenti di cui agli articoli 615 e seguenti del codice di procedura civile”, in quanto l’eventuale cumulo di doglianze relative al riconoscimento o all’esecuzione del titolo straniero con altri motivi di contestazione del medesimo titolo, può già risolversi, in modo peraltro più duttile, con una valutazione del giudice procedente in merito al rito (ordinario o semplificato) più adatto al caso di specie, ferma restando in astratto la possibilità di agire con il rito semplificato.

L’articolo 30-bis, comma 5, attua le previsioni del comma 14, lettera h) e tratta dei casi in cui una decisione straniera produca effetto in Italia in forza delle disposizioni di una convenzione internazionale, bilaterale o multilaterale, sia essa internazionalmente in vigore per l’Italia oppure in vigore per l’Unione e vincolante per l’Italia ai sensi dell’art. 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Lo scopo è quello di estendere anche ai procedimenti che hanno ad oggetto la dichiarazione di esecutività o in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, o il diniego di tale riconoscimento, anche a tali decisioni (che non sono immediatamente esecutive come quelle di cui al comma 4), per ragioni di uniformità, il rito semplificato di cognizione, salva la possibilità di un loro adattamento alle eventuali specificità delle convenzioni in di volta in volta rilevanti. Ad esempio, la Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale conclusa a Lugano il 30 ottobre 2007, pur essendo un atto multilaterale siglato fra Unione Europea da un lato e Svizzera, Norvegia e Islanda dall’altro, espressione del multilateralismo dell’UE ha di fatto contenuto analogo a quello di cui al regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Regolamento Bruxelles I) e, pertanto, alle relative procedure andranno estesi i principi di cui al comma 1 dell’articolo 30-bis, non avendo le decisioni natura immediatamente esecutiva.

L’articolo 30-bis, comma 6, in attuazione del comma 14, lettera f), della legge delega, prevede che i procedimenti previsti dagli atti di cui ai commi 1, 3 e 5 debbano essere promossi innanzi alla corte d’appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti dai medesimi atti o, in mancanza, ai sensi dell’articolo 30, in quanto alcuni atti normativi europei dettano criteri speciali che prevalgono rispetto alla normativa processuale nazionale (cfr. ad esempio l’articolo 44, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate).

Non è stato richiamato il comma 4 in quanto si è interpretato il richiamo alla “salvezza” delle procedure di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi anche riferito al giudice competente (tribunale), essendo per vero assai frequenti i casi di proposizione di doglianze di varia natura riferite allo stesso titolo e risultando pertanto non opportuno creare doppi binari paralleli di procedimenti in gradi diversi aventi ad oggetto lo stesso titolo esecutivo.

È poi previsto che le decisioni della corte d’appello rese all’esito dei i procedimenti previsti dagli atti di cui ai commi 1, 3 e 5 siano impugnabili innanzi alla Corte di Cassazione per i motivi previsti dall’articolo 360 del codice di procedura civile.

Poiché gli atti europei e le convenzioni internazionali estendono il regime della circolazione delle decisioni giudiziarie ad altri atti, muniti di determinate caratteristiche tipizzate, si è ritenuto opportuno per ragioni di coordinamento (comma 22 della legge delega) inserire un ultimo comma all’articolo 30-bis, comma 7, il quale prevede che ai procedimenti disciplinati dal presente articolo ed aventi ad oggetto gli atti pubblici, le transazioni giudiziarie e gli accordi stragiudiziali stranieri si applichino le disposizioni del presente articolo nei limiti e alle condizioni previste dal diritto dell’Unione e dalle convenzioni internazionali.

 

Art. 25 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396)

 

Costituisce attuazione del criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 13, lett. b) anche l’articolo 25. Tale norma, sempre, nell’ottica di una esigenza di semplificazione, modifica gli artt. 95, 98 e 99 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, recante il Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127.

In particolare, si è ritenuto, con la specificazione introdotta all’articolo 95, comma 1, di lasciare alla competenza dell’A.G., tra le altre cose, la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito “al di fuori dei casi di cui all’articolo 98, comma 2-bis”, e di trasferire all’ufficiale dello stato civile, con l’inserimento del comma 2-bis all’articolo 98, l’attività, essenzialmente vincolata, di ricostituzione di un atto distrutto o smarrito nelle sole ipotesi in cui costui disponga di prove documentali della formazione e dei contenuti essenziali dell’atto.

Inoltre, con l’introduzione, all’articolo 98, comma 1, del secondo periodo, si è inteso ampliare l’attività di correzione dell’ufficiale dello stato civile, estendendola anche agli atti formati, quando emerga la discordanza tra le indicazioni in essi riportate e quelle risultanti da altri documenti rilasciati dalle autorità competenti.

Infine, si è previsto, attraverso la modifica dell’articolo 99, che le disposizioni di cui all’articolo 98 si applichino anche agli atti di competenza dell’autorità diplomatica o consolare, e che, in tal caso, il ricorso in opposizione venga proposto al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile in cui è stato registrato o avrebbe dovuto essere registrato l’atto.

 

Art. 26 – (Ulteriori disposizioni in materia di esecuzione forzata)

 

L’articolo 26 dello schema di decreto legislativo contiene infine alcune disposizioni di coordinamento, adeguando la disciplina contenuta in diverse leggi speciali, ed in particolare nel codice di giustizia contabile (art. 212 d.lgs 26 agosto 2016, n. 174), nel codice del processo amministrativo (art. 115 e 136 del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), nelle disposizioni in tema di accordo sui compensi professionali in sede di consiglio dell’ordine avvocati (art. 29 l. 31 dicembre 2012, n. 247), ed infine nell’ambito delle misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19 (art. 23, comma 9 bis d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. l. 18 dicembre 2020, n. 176), al principio dell’abolizione della formula esecutiva.

Infine, poiché il numero delle norme in vigore nell’ordinamento che prevedono la formula esecutiva o la spedizione in forma esecutiva è molto elevato, si è altresì inserita nello schema di decreto legislativo una specifica disposizione che ne preveda l’abrogazione in via generale, ferme restando, quanto all’esecutività delle sentenze, dei provvedimenti e degli atti stranieri, le disposizioni di cui agli articoli 30 e 30-bis del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150.

La lettera q) del comma 12 della legge delega prevede, infine, l’istituzione presso il Ministero della giustizia della banca dati per le aste giudiziali, contenente i dati più significativi relativi alle vendite giudiziarie (i dati identificativi degli offerenti, i dati identificativi del conto bancario o postale utilizzato per versare la cauzione e il prezzo di aggiudicazione, nonché le relazioni di stima). Nel tradurre in articolato la previsione (articolo 26, comma 7), si è ritenuto di rimettere al decreto ministeriale attuativo l’individuazione delle concrete modalità sia per l’acquisizione delle informazioni indicate nella legge delega sia per l’inserimento e la catalogazione dei dati stessi nella banca dati. L’istituzione della banca dati consente: agli utenti abilitati di fruire delle informazioni in esso contenute, in un’ottica di trasparenza e comoda fruibilità delle stesse; all’autorità giudiziaria, civile e penale, di ottenere le informazioni ritenute necessarie; alle autorità centrali di comparare l’andamento complessivo di un settore nevralgico per l’economia e per la tutela del credito e, quindi, di effettuare scelte di politica legislativa o di politica economica con maggiore consapevolezza. A tal fine, si ritiene utile suggerire la creazione di ulteriori voci, quali l’indicazione, in un apposito campo, del prezzo di stima e del prezzo base, nonché della data di emanazione dell’ordinanza di vendita e della data di aggiudicazione nonché del numero dei tentativi di vendita effettuati e dei costi della procedura, valore complessivo dei crediti azionati, per consentire, attraverso la consultazione della banca dati, la valutazione dei seguenti dati: a) tempo intercorrente tra la data di emanazione dell’ordinanza di vendita e la data dell’aggiudicazione; b) differenza tra il prezzo di aggiudicazione del bene, il prezzo base e quello di stima iniziale (ove diverso); c) percentuale di soddisfacimento del credito in relazione al prezzo di aggiudicazione; d) incidenza dei costi della procedura sul prezzo di aggiudicazione. Si segnala, inoltre, che l’acquisizione dei dati potrebbe essere effettuata direttamente dal Siecic, in automatico, mediante l’implementazione del database, ove, però, venga reso obbligatorio l’utilizzo dei rapporti riepilogativi dei professionisti delegati (e dei curatori fallimentari), mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle specifiche tecniche emanate dal Ministero della Giustizia nel 2017. In tal modo, sarà possibile l’effettiva acquisizione, da parte di tutti gli Uffici, nella banca dati ministeriale delle informazioni contenute nei suddetti rapporti periodici. Si rammenta, a tal fine, che il Csm è intervenuto anche con apposita delibera dell’11.3.2020 (Obbligo di presentazione dei rapporti riepilogativi iniziali, semestrali e finali delle attività svolte ex art. 16-bis, comma 9-sexies D.L. n. 179/2012, conv. con l. n. 221/2012 incombente sui professionisti delegati nelle esecuzioni immobiliari ai sensi dell’art. 591-bis cpc). Qualora venga reso obbligatorio l’utilizzo del format ministeriale, trattandosi di un file strutturato in formato xml, che contiene i dati per l’alimentazione del database Siecic, la compilazione dello stesso consentirà l’automatico popolament0 della banca dati, mediante il raccordo della stessa col Siecic.

 

Sezione VI Modifiche relative al procedimento in materia di persone, minorenni e famigli

 

Art. 27 – (Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898)

 

Comma 1

Lettera a)

L’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), l. 1° dicembre 1970, n. 898 contiene i necessari adeguamenti alle nuove disposizioni introdotte in attuazione dei principi della legge delega. È stato così espunto sia il riferimento alla “avvenuta” udienza di comparizione, poiché la stessa può essere ora sostituita nei procedimenti congiunti, su istanza congiunta delle parti, dal deposito di note scritte, ed è stato parimenti eliminato il riferimento alla comparizione “innanzi al presidente del tribunale”, perché nell’applicazione del nuovo rito unitario i coniugi compariranno davanti al giudice relatore dallo stesso designato.

Infine, in corrispondenza delle modifiche già introdotte per l’ipotesi del cumulo di domande di separazione e divorzio all’interno dello stesso procedimento è stato ribadito il principio, già previsto nell’art. 473 bis.49 c.p.c., per il quale “Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la domanda di separazione personale e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati”.

 

Lettera b)

L’art. 4 l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato interamente abrogato in quanto contenente disposizioni processuali per il giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oggi interamente sostituite dalle nuove norme sul rito uniforme, e in parte trasposte nell’art. 152 septies disp. att. c.c.

 

Lettera c)

L’art. 5, 9° comma, l. 1° dicembre 1970, n. 898, per il quale “I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, è stato abrogato, essendo le relative indicazioni assorbite e rese generali dal secondo comma dell’art. 473 bis.2 c.p.c.

 

Lettera d)

L’art. 8 l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato interamente abrogato in quanto contenente disposizioni processuali per il giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oggi interamente sostituite dalle nuove norme sul rito uniforme e in particolare dagli artt. 473 bis.36 c.p.c. e 473 bis.37 c.p.c.

 

Lettera e)

L’art. 9, primo comma, l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato interamente abrogato in quanto contenente disposizioni processuali per il giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oggi interamente sostituite dalle nuove norme e in particolare, quanto al principio della modificabilità delle condizioni di divorzio, dall’art. 473 bis.29 c.p.c. e quanto al procedimento dalle nuove norme sul rito uniforme.

 

Lettera f)

L’art. 10, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato abrogato in quanto, per ragioni di coerenza sistematica anche con l’avvenuta trasposizione nell’art. 152 septies disp. att. c.c. della disciplina relativa alla comunicazione del ricorso all’ufficiale dello stato civile, si è ritenuto analogamente di inserire in tale norma anche la previsione in esame, relativa alla trasmissione della sentenza.

 

Art. 28 – (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184)

 

Comma 1

Lettera a)

La lett. gg) della delega dispone la riforma “della disciplina dei procedimenti per la tutela e l’affidamento dei minori previsti dal codice civile e dalla legge 4. maggio 1983 n. 184” prevedendo, in particolare: “1) cause di incompatibilità con l’assunzione dell’incarico di consulente tecnico d’ufficio nonché con lo svolgimento delle funzioni di assistente sociale nei procedimenti che riguardano l’affidamento dei minori, per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o che prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono, nonché per coloro il cui coniuge, parenti dell’unione civile, convivente, parente o affine entro il quarto grado svolge le medesime funzioni presso le citate strutture o comunità; apportare modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, per adeguare le ipotesi di incompatibilità ivi previste per i giudici onorari a quelle previste dal presente numero; 2) introdurre il divieto di affidamento dei minori a persone che sono parenti o affini entro il quarto grado del giudice che ha disposto il collocamento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento nonché il divieto di collocamento dei minori presso strutture o comunità pubbliche o private nelle quali rivestono cariche rappresentative, o partecipano alla gestione complessiva o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito o fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono, persone che sono parente o affine entro il quarto grado, convivente, parte dell’unione civile o coniuge del giudice che ha disposto il collocamento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento”.

Per quanto concerne anzitutto il divieto di affidamento, è stato previsto l’inserimento del comma 1 quater all’art. 2 L. 4 maggio 1983 n. 184, che vieta l’affidamento di minori a coloro i quali siano parenti o affini entro il quarto grado del giudice cha ha adottato il provvedimento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento.

Il fondamento di tale divieto è da ravvisare nell’esigenza di assicurare maggiore trasparenza nei procedimenti relativi all’affidamento di minori, scongiurando il rischio che gli stessi possano essere affidati a persone conviventi o legate da vincoli di parentela, coniugio o derivanti dall’unione civile, all’autorità che ha adottato il provvedimento di affidamento o a coloro i quali hanno svolto nel procedimento funzioni aventi ad oggetto un’attività di osservazione e valutazione della situazione familiare (consulente tecnico d’ufficio o assistente sociale).

In ordine al divieto di inserimento, è stato altresì inserito il comma 2 bis all’art. 2 L. 4 maggio 1983, n. 184 che sancisce il divieto di inserimento del minore presso strutture o comunità pubbliche o private nelle quali rivestono cariche rappresentative, o partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o fanno parte degli organi di società che le gestiscono, persone che sono parenti o affini entro il quarto grado, convivente, parte dell’unione civile o coniuge del giudice che ha adottato il provvedimento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento.

Ancora, le modifiche legislative in tema di affidamento etero-familiare e di inserimento in comunità mirano ad assicurare ai minori privi temporaneamente di un ambiente familiare idoneo e quindi allontanati dai propri genitori e parenti, maggiore tutela e attenzione, in attuazione del comma 23, lett. gg) della delega che prevede la riforma della disciplina dei procedimenti per la tutela e l’affidamento dei minori previsti dal codice civile e dalla legge 4 maggio 1983 n. 184.

 

Lettera b)

In tema di affidamento etero-familiare le modifiche all’art. 4 L. 4 maggio 1983, n. 184 prevedono che il predetto affidamento possa essere prorogato solo se la sospensione dello stesso possa arrecare un pregiudizio “grave” al minore e previa segnalazione al pubblico ministero al quale il servizio sociale dovrà dare tempestiva comunicazione prima del decorso del termine. Il legislatore ha quindi determinato un presupposto ancor più rigoroso per la proroga dell’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare, individuato in un notevole danno derivante al minore dalla sospensione dell’affidamento.

È altresì sancito che ai fini della decisione di cui all’art 4, commi 4, 5 bis e 5 ter, il giudice debba garantire il contraddittorio tra le parti e il curatore speciale, se nominato, e debba procedere all’ascolto del minore secondo le nuove disposizioni in materia.

Il legislatore delegato ha modificato il comma 5 dell’art. 4 disponendo la cessazione dell’affidamento al decorso del termine ivi previsto, salvo che il giudice abbia diversamente disposto nel provvedimento di affidamento di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo.

Per quanto concerne i minori inseriti in comunità, il legislatore delegato al comma 7 dell’art. 4 L. 4 maggio 1983, n. 184 ha previsto che le disposizioni contenute nell’art. 4 si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato, ma decorsi dodici mesi il giudice verifica nel contraddittorio delle parti l’andamento del programma di assistenza, l’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza e l’opportunità della prosecuzione dell’inserimento.

Tale ultima modifica ha l’obiettivo di evitare le lunghe istituzionalizzazioni e di garantire un più attento monitoraggio dei minori collocati in strutture e per tale motivo maggiormente vulnerabili.

La legge delega nel richiamare l’istituto dell’affidamento dei minori al Servizio Sociale ha poi recepito gli orientamenti dapprima consolidatisi innanzi ai tribunali per i minorenni, in seguito dai tribunali ordinari e da ultimo recepiti dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass, ord. 10 dicembre 2018, n. 31902) che hanno individuato nell’affidamento ai servizi sociali un importante strumento di sostegno in presenza di carenze in entrambi i genitori tali da rendere necessario un intervento pubblico a tutela del minore.

La richiesta di una disciplina dettagliata deriva dalle criticità che sono emerse da prassi applicative assai difformi sul territorio nazionale, dovute da vari fattori quali l’assenza di una disciplina dettagliata, la mancanza di una reale vigilanza sull’applicazione di tale misura, la presenza di diversi livelli di assistenza e di prestazioni da parte dei servizi sociali.

L’istituto dell’affidamento al Servizio Sociale trova infatti la sua origine ed il suo fondamento giuridico nell’art 25 comma 1 n. 1) del R.D 1404/34 che prevede, quale alternativa al collocamento del minore in comunità, l’affidamento al Servizio Sociale dei c,d. minori “irregolari”, ovvero i procedimenti amministrativi di competenza dei tribunali per i minorenni, e nell’art 26 co. 3 che estende tale misura ai provvedimenti civili limitativi della responsabilità genitoriale (“La misura di cui all'art. 25, n. 1, può altresì essere disposta quando il minore si trovi nella condizione prevista dall'art. 333 del Codice civile”).

A fronte di una genericità non tanto dei presupposti indicati nell’art 26 citato nelle situazioni di cui all’art 333 c.c., quanto delle modalità attuative, negli anni si è assistito, nelle prassi più sensibili, a un tentativo di dare una cornice giuridica e dei confini maggiormente comprensibili e garantiti a tale istituto. Per decenni, infatti, nei provvedimenti i tribunali si limitavano a disporre genericamente l’affidamento del minore al Comune senza ulteriori specificazioni, così lasciando indefinito quali fossero i compiti ed i poteri del Servizio Sociale, chi dovesse prendere le decisioni, come si formassero le decisioni e quali doveri e diritti permanessero in capo ai genitori.

Affidamento al Servizio Sociale che veniva e viene disposto sia in presenza di provvedimenti che mantenevano il minore collocato presso i genitori o uno dei due genitori, sia in presenza di collocamenti eterofamiliari (comunità, comunità di tipo famigliare, famiglie affidatarie o parenti del minore). A seconda del tipo di collocamento, l’affidamento al Servizio Sociale si deve infatti plasticamente adattare dovendo indicare quali decisioni spettano al soggetto collocatario, quali in capo al servizio Sociale e quali in capo ai genitori.

Inoltre, era ed è assai frequente da parte dei tribunali per i minorenni che, soprattutto nelle prime fasi di collocamento eterofamiliare, il tribunale scelga di affidare comunque il minore al Servizio Sociale, non essendo ancora pronte, sia la famiglia affidataria che la famiglia di origine, ad un rapporto diretto, così come invece previsto dall’art 5 comma 1 secondo il quale la famiglia affidataria assume le decisioni “tenendo conto delle indicazioni dei genitori” con una interlocuzione e con una serenità che, nei c.d. affidi “giudiziali” (ovvero disposti senza il consenso dei genitori), non può essere disposta e pretesa senza mettere a rischio la serenità degli affidatari e del minore stesso, e che costituisce, piuttosto, un obiettivo del progetto di tutela e sostegno.

Altra prassi adottata da alcuni tribunali per i minorenni, benché non prevista, ma tenendo conto delle pronunce della Corte di Strasburgo, è stata quella di individuare un termine anche per l’affidamento al Servizio Sociale (in analogia a quanto previsto dall’art 4.4 l. 184/83 per l’affido famigliare), nonché l’invio di relazioni periodiche (in analogia a quanto previsto dall’art 4.3 l. 184/1983).

È per tali ordini di ragioni che la contestuale previsione di un riordino e un raccordo della disciplina dell’adozione di cui alla legge 184/983, dell’introduzione di una disciplina autonoma dell’affidamento al servizio Sociale e di “puntuali disposizioni per re­golamentare l’intervento dei servizi socio-as­sistenziali”, rendono naturale e sistematicamente logico il collocamento della nuova disciplina sull’affidamento al Servizio Sociale all’interno della legge sull’adozione, perché è proprio nella disciplina sull’affidamento eterofamiliare di cui agli articoli 4 e 5 l. 184/1983 che la giurisprudenza di merito ha individuato i riferimenti fondamentali per fornire una cornice giuridica e maggiori garanzie ad un intervento da un lato necessario, ma altresì così invasivo e delicato da essere stato non a caso oggetto di censure e condanne dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo.

Sui presupposti dell’affidamento all’ente non si è ritenuta necessaria una descrizione dettagliata in quanto il fondamento rimane l’articolo 333 del codice civile e, quindi, la presenza di una situazione di pregiudizio e non un semplice stallo dovuto alla conflittualità dei genitori o all’impossibilità di raggiungere un accordo. Si sono invece richiamati gli articoli 1 e 2 della legge 184/1983 ed il principio di gradualità dagli stessi previsto, per rimarcare che l’affidamento all’ente risponde al criterio di stretta necessità e deve seguire ad una sperimentata impossibilità di garantire il benessere del minore attraverso misure di sostegno meno invasive, fatta salva ovviamente la presenza di situazioni così gravi da rendere necessaria e indifferibile l’adozione immediata di tale misura così come previsto dall’art 2, comma 3, l. 184/1983.

A differenza del provvedimento di cui all’art 333 codice civile, nella quale il Giudice indica al genitore le prescrizioni cui attenersi per garantire il benessere del minore, con l’affidamento al Servizio Sociale il Giudice – analogamente a quanto già previsto dall’art 5.1 l. 184/1983 - limita la responsabilità genitoriale affidandola, nei limiti che specificamente indica, ad un soggetto terzo il quale decide non “previo il consenso” dei genitori, ma “tenendo conto” dell’opinione dei genitori (art 5 bis, comma 3). Nel raccordare la legge sull’adozione alla nuova disciplina sull’ascolto del minore e sul ruolo del curatore speciale, si è previsto, non solo nel nuovo articolo 5 bis, ma anche negli articoli 4 e 5, che il Servizio Sociale e la famiglia affidataria assumano le decisioni relative al minore tenendo conto anche delle opinioni del minore e del curatore speciale e del tutore, se nominati.

Mettendo a frutto la positiva esperienza dei giudici tutelari nell’articolazione dei decreti di nomina degli amministratori di sostegno non si sono indicate le singole tipologie di decisione, ma i soggetti che devono interloquire a seconda delle varie decisioni da adottare nell’interesse del minore, così consentendo al giudice di adattare il provvedimento a seconda delle varie tipologie di collocamento sopra indicate e alla natura degli incarichi affidati all’ente e che dallo stesso devono essere assolti. Evidente, ad esempio, che l’ordinaria amministrazione spetterà ai genitori (o al genitore) collocatario, mentre spetterà alla famiglia affidataria o alla comunità se si è disposto un collocamento eterofamiliare. Altrettanto evidente che su tutte le decisioni di straordinaria amministrazione (si pensi alle decisioni sanitarie, piuttosto che all’indirizzo scolastico), se non sono indicate espressamente come affidate al servizio sociale, le stesse non potranno essere assunte senza il consenso dei genitori, salvo non siano stati sospesi dall’esercizio della responsabilità o specificatamente limitati su tale singolo aspetto della vita del minore.

Come premesso, si è pertanto prevista come necessaria l’indicazione della periodicità delle relazioni di aggiornamento e la durata dell’affidamento per evitare che si dispongano, sia da parte dei tribunali per i minorenni, che dai tribunali ordinari, affidamenti senza termini.

Per garantire maggiore efficienza nel rapporto tra autorità giudiziaria e servizi, nonché per garantire trasparenza e chiarezza nel rapporto tra le parti, con il comma 4 si è previsto – coerentemente con le previsioni e le finalità della legge 241/90 - l’obbligo per i servizi sociali di indicare il responsabile del progetto di affido in modo tale da consentire al giudice, all’affidatario, al genitore, al curatore, di individuare agevolmente l’interlocutore dei servizi cui rivolgersi.

Come già evidenziato in precedenza, la Corte di Strasburgo è intervenuta in passato censurando la legislazione italiana per l’inefficacia del sistema di vigilanza sull’operato dei servizi sociali (soprattutto in tema di diritto di visita). Critica che coinvolge soprattutto gli affidamenti ai servizi disposti con provvedimenti che definiscono il procedimento. Con il comma 5 si è pertanto esplicitamente previsto l’invio del provvedimento all’autorità preposta alla vigilanza.

La previsione di cui al comma 6 riguarda principalmente gli affidamenti ai servizi sociali disposti dal tribunale ordinario all’esito dei procedimenti di separazione/divorzio o di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. La modifica di tali provvedimenti spetta alle parti private non essendo previsto dalla legge delega un potere autonomo del pubblico ministero in tal senso. Non è raro che siano gli stessi servizi sociali che, dopo un certo periodo di tempo, ritengano eccessiva o inefficace la misura disposta, ma le parti non si attivino, per le ragioni più varie, non ultime quelle economiche, per la modifica del provvedimento. Così come può capitare, per altro verso, che, anche decorsi ventiquattro mesi, la situazione di pregiudizio non sia rientrata ed il servizio sociale (o il curatore con poteri sostanziali), reputino necessario mantenere l’affidamento al servizio sociale non essendo ancora in grado i genitori di gestire il minore senza un soggetto terzo che mitighi il conflitto o rimedi all’incomunicabilità della coppia genitoriale e che vigili sull’equilibrio psicologico faticosamente raggiunto dal minore. Dovendo al contempo evitare gli affidi sine die ed il verificarsi situazioni di stallo o di ripresa della conflittualità, in vista della scadenza del termine previsto, e non potendo il pubblico ministero ordinario chiedere una modifica o una proroga dell’affidamento, ragioni sistematiche impongono – anche perché si è in presenza di una situazione di permanente potenziale pregiudizio per il minore – la competenza del tribunale per i minorenni che potrà intervenire a seguito del ricorso del pubblico ministero a tal fine sollecitato dal servizio sociale. Tale disciplina è stata raccordata con le novità introdotte nell’articolo 4 in tema di proroga dell’affidamento eterofamiliare.

Con il comma 7 si è raccordato l’istituto dell’affidamento all’ente con quanto previsto dall’art. 473 bis.38 in tema di attuazione dei provvedimenti.

Le novità introdotte con l’art 5 bis l. 184/1983, nonché alcune criticità emerse nella prassi, hanno pertanto reso necessario un raccordo e un’integrazione della disciplina degli articoli 4 e 5 della legge 184/1983.

Si è in particolare reso necessario aggiornare tali articoli alla luce del già frequente ricorso all’affidamento al servizio sociale in occasione dei provvedimenti di allontanamento del minore dal nucleo familiare con esplicito richiamo, pertanto, all’art 5 bis (art. 4, comma 2). Così come, all’art 4, comma 1, si è aggiunto il riferimento all’ipotesi, originariamente non prevista, dell’affidamento esclusivo.

Nell’art 4, comma 4, si è meglio articolato, anche per venire incontro alle critiche della Corte di Strasburgo, il meccanismo di proroga degli affidamenti eterofamiliari e dell’affidamento al Servizio Sociale (attraverso il richiamato a tale comma contenuto nell’art 5 bis, comma 7) in modo tale da garantire un periodico controllo da parte dell’autorità giudiziaria.

In un’ottica di efficienza, ed anche in questo caso per raccordare la disciplina dell’affidamento eterofamiliare con l’affidamento all’ente, ed in particolare con quello disposto dal tribunale ordinario all’esito delle procedure separative, nonché mettendo a frutto alcune prassi consolidatesi nella giurisprudenza di merito di alcuni tribunali per i minorenni e accolte con favore dagli operatori dei servizi e dalle parti, si è prevista l’introduzione al comma 5, oltre all’ipotesi già prevista della revoca dell’affidamento in forza di provvedimento dell’autorità giudiziaria, anche l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria predetermini la durata dell’affidamento e prevede la cessazione automatica dell’efficacia dello stesso senza necessità di un ulteriore provvedimento. Da un lato tale soluzione ha un evidente effetto deflattivo, non rendendo necessario un nuovo intervento dell’autorità giudiziaria, dall’altro si è rivelata soluzione che favorisce una maggiore collaborazione da parte dei genitori e una minor diffidenza verso l’intervento dei Servizi avendo un orizzonte temporale certo. Resta fermo ovviamente il potere di iniziativa del Pubblico ministero minorile qualora permanga la situazione di pregiudizio e non si ritengano raggiunti gli obiettivi posti a fondamento del provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale.

L’art 4, comma 5 quater, l. 184/1983 è stato aggiornato per renderlo sistematicamente coerente con le novità introdotte in tema di ruolo del curatore speciale e in tema di ascolto del minore.

L’art 4, comma 7, l. 184/1983, che estende per quanto compatibili, la disciplina dell’affidamento eterofamiliare ai collocamenti di tipo comunitario, è stato integrato con un esplicito riferimento alla procedura per la proroga di tale soluzione al fine di garantire, anche in termini di contraddittorio, un maggior controllo da parte dell’autorità giudiziaria.

 

Lettera c)

Anche l’art 5 l. 184/1983, è stato aggiornato con i richiami all’affidamento al servizio sociale ed alla figura del curatore speciale (art 5, comma 1).

 

Lettera d)

Nella legge 4 maggio 1983, n. 184 viene introdotto l’art. 5-bis l. 184/1983, che disciplina l’affidamento del minore al servizio sociale. Viene a tal fine previsto che possa essere disposto l’affidamento al servizio sociale del luogo di residenza abituale quando il minore si trova in una situazione di limitazione della responsabilità genitoriale (“nella condizione prevista dall’articolo 333 del codice civile”) e gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3, si sono rivelati inefficaci o i genitori non hanno collaborato alla loro attuazione, fatto salvo quanto previsto all’articolo 2, comma 3.

È in ogni caso fondamentale che con il provvedimento con cui dispone la limitazione della responsabilità genitoriale e affida il minore al servizio sociale, il tribunale abbia a dettare una puntuale disciplina, indicando:

a.il soggetto presso il quale il minore è collocato;

b. gli atti che devono essere compiuti direttamente dal servizio sociale    dell’ente locale, anche in collaborazione con il servizio sanitario, in base agli interventi previsti dall’articolo 4, comma 3;

c. gli atti che possono essere compiuti dal soggetto collocatario del minore;

d. gli atti che possono essere compiuti dai genitori;

e. gli atti che possono essere compiuti dal curatore nominato ai sensi dell’articolo 333, secondo comma, del codice civile;

f. i compiti affidati al servizio sociale ai sensi dell’articolo 5, comma 2;

g. la durata dell’affidamento, non superiore a ventiquattro mesi;

h. la periodicità, non superiore a sei mesi, con la quale il servizio sociale riferisce all’autorità giudiziaria che procede ovvero, in mancanza, al giudice tutelare, sull’andamento degli interventi, sui rapporti mantenuti dal minore con i genitori, sull’attuazione del progetto predisposto dal tribunale.

Il terzo comma della norma stabilisce che il servizio sociale, nello svolgimento dei compiti a lui affidati e nell’adozione delle scelte a lui demandate, debba comunque tener conto delle indicazioni tanto dei genitori che non siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale quanto del minore stesso, nonché, ove siano stati nominati, del curatore e del curatore speciale.

Ai sensi del quarto comma, entro quindici giorni dalla notifica del provvedimento il servizio sociale comunica il nominativo del responsabile dell’affidamento al tribunale, ai genitori, agli esercenti la responsabilità genitoriale, al curatore se nominato e al soggetto collocatario.

Il quinto comma dispone che se l’affidamento al servizio sociale è disposto con il provvedimento che definisce il giudizio, la decisione debba essere comunicata al giudice tutelare del luogo di residenza abituale del minore, per la vigilanza sulla sua attuazione.

Ai sensi del sesto comma, il giudice competente per l’attuazione, su istanza del servizio sociale, adotta i provvedimenti opportuni nell’interesse del minore.

Infine, il settimo comma della norma prevede che si applicano le disposizioni in materia di inefficacia e di proroga dell’affidamento di cui all’articolo 4, commi 4, 5 e 5-quater.

 

Art. 29 – (Altre modifiche alle leggi speciali in materia di persone, minorenni e famiglie)

 

Comma 1 – (Modifiche al Regio Decreto-Legge 20 luglio 1934, n. 1404)

La norma apporta una modifica all’art. 6-bis R. D. L. 20 luglio 1934, n. 1404 per adeguare le ipotesi di incompatibilità ivi previste per i giudici onorari e contiene a tal fine un’integrazione, in ossequio all’indicazione contenuta nel comma 23, lett. gg) n. 1, l. n. 206/2021, precisandosi tra le cause di incompatibilità alla funzione di giudice onorario minorile anche l’assunzione di cariche rappresentative in strutture “o comunità pubbliche o private” ove vengono inseriti i minori da parte dell’autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono.

La disposizione mira quindi a evitare il pericoloso conflitto di interesse tra strutture di accoglienza e giudice anche onorario minorile che ha disposto l’inserimento del minore in comunità.

 

Comma 2 – (Modifiche alla legge 31 maggio 1995, n. 218)

L’articolo in esame dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. cc) in cui è disposto che nei procedimenti di separazione personale e di scioglimento del matrimonio le parti possano, sino alla prima udienza di comparizione, concludere un accordo sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio secondo quanto previsto dal regolamento n. 2010/2010/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio ed alla separazione personale. Il principio di delega richiama espressamente gli artt. 8 e 9 del regolamento, che a loro volta richiamano l’art. 5, norma che disciplina la possibilità per le parti di concludere un accordo sulla legge applicabile alla separazione ed al divorzio.

L’attuazione del riportato principio di delega impone di modificare l’intero art. 31 della legge n. 218 del 1995, norma da ritenere peraltro implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore del regolamento dell’Unione Europea che disciplina la materia e che, essendo atto normativo sovraordinato nella gerarchia delle fonti, prevale sulla norma interna.

Il primo comma dell’articolo in esame precisa, dunque, che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge designata dal regolamento n. 2010/1259/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e successive modificazioni.

Il secondo comma della norma prevede espressamente la possibilità per le parti di concludere accordo sulla designazione della legge applicabile alla separazione e al divorzio mediante scrittura privata ovvero anche nel corso del procedimento, secondo quanto previsto dell’art. 5 del regolamento citato, che rimette alle norme di ogni Stato partecipante alla cooperazione rafforzata di riconoscere tale possibilità.

In virtù di tale richiamo deve ritenersi che la designazione della legge applicabile su accordo delle parti non è libera ma è disciplinata dai criteri dettati dal richiamato articolo 5 che consente ai coniugi di individuare la legge applicabile tra quattro criteri tra loro alternativi: a) legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; b) legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; c) legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento dell’accordo; d) legge del foro.

L’articolo in esame, in attuazione del principio di delega, prevede infine che tale accordo, quando concluso nel corso del procedimento, può intervenire sino alla conclusione dell’udienza di comparizione delle parti, momento in cui si cristallizza il thema decidendum, con necessità di definire quale sarà la legge applicabile al giudizio. Inoltre, viene espressamente previsto che l’accordo sulla designazione della legge applicabile possa essere concluso con dichiarazione resa dalle parti, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, e inserita nel verbale di udienza in piena coerenza con i requisiti formali dettati dall’art. 7 del regolamento, che richiede la forma scritta, la datazione e la sottoscrizione dell’accordo.

 

Comma 3 – (Modifiche alla legge 4 aprile 2001, n. 154)

In attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti” deve essere disposta l’abrogazione dell’art. 8 della legge 4 aprile 2001, n. 154.

La norma disciplina, infatti, i rapporti tra il procedimento speciale per l’emanazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari e i procedimenti di separazione o divorzio, dettando a tal fine una limitazione temporale sia (al primo comma) per la stessa possibilità di emanazione degli ordini di protezione, sia (al secondo comma) relativamente all’efficacia dell’ordine di protezione.

Al riguardo, se da un lato l’avvenuta abrogazione delle norme relative al procedimento di separazione personale (artt. 706 ss. c.p.c.) e di quelle relative al procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (in particolare l’art. 4 l. 1° dicembre 1970, n. 898) già di per sé rende inattuabili i richiami contenuti nella disposizione, la sua integrale abrogazione è giustificata dal fatto che, nel nuovo impianto costituito dal rito unitario in materia di persone, minorenni e famiglie, gli ordini di protezione potranno essere sempre emanati, senza condizioni o limitazioni temporali, all’interno del processo di separazione, divorzio o altro processo della crisi familiare, e ciò in forza del principio contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. b) l. n. 206/2021, che invita

“b) nei procedimenti di cui alla lettera a) , prevedere che in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere siano assicurate: su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all’articolo 342 -bis del codice civile…” aggiungendo, alla fine della stessa lettera, “prevedere esplicitamente, inoltre, che i provvedimenti di cui agli articoli 342 -bis e seguenti del codice civile possono essere richiesti ed emessi anche dal tribunale per i minorenni e quando la convivenza è già cessata”. In attuazione di tali principi, dunque, il nuovo art. 473 bis.46 Provvedimenti del giudice, dispone che “Quando all’esito dell’istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore, tra cui quelli previsti dall’articolo 473 bis.70, e disciplina il diritto di visita individuando modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza”, consentendo così al giudice della crisi familiare di adottare sempre, laddove in presenza dei relativi presupposti, gli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

Ciò, del resto, costituisce conferma di un principio già riconosciuto anche dalla Suprema Corte, volto a favorire il principio di concentrazione delle tutele. Come è stato in particolare sottolineato da Cass., 22 giugno 2017, n. 15482, in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, ai sensi dell’art. 342 bis e 342 ter c.c., l’attribuzione della competenza al tribunale in composizione monocratica, stabilita dall’art. 736 bis, comma 1, c.p.c., non esclude la vis attractiva del tribunale in composizione collegiale chiamato a statuire sul conflitto familiare in un procedimento avanti già incardinato avanti ad esso. Una diversa opzione ermeneutica, facente leva sul solo tenore letterale delle citate disposizioni, ne tradirebbe invero la ratio, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esige una tutela urgente, il rischio di decisioni intempestive o contrastanti e incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziali diversi.

 

Comma 4 - (Modifiche alla legge 10 dicembre 2012, n. 219)

In attuazione del principio di delega di cui all’art. 1 comma 23, lett. ll), l’art. 3, comma 2, l. 10 dicembre 2012, n. 219, è abrogato, essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa alle garanzie patrimoniali, contenuta negli artt. 473 bis. 36 e 473 bis.37.

 

Comma 5 – (Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162)

L’art. 315 bis c.c. individua la cornice generale del diritto del minore a essere ascoltato, prevedendo che il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. La presenza di questo principio generale, che discende dalle numerose norme sovranazionali in materia, fa ritenere necessario, in attuazione del criterio di delega contenuto nell’art. 1, comma 22, lett. dd), della l. n. 206/2021, che attribuisce al legislatore delegato il compito di attuare “il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento”, che venga colmata una lacuna presente nella disciplina della negoziazione assistita in materia familiare.

Come noto, l’art. 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, nell’introdurre e disciplinare l’istituto della negoziazione assistita in materia familiare non ha previsto alcuna disposizione in materia di ascolto del minore. La scelta normativa è coerente con il principio per il quale il primo luogo di ascolto del minore è nella famiglia, e i primi soggetti obbligati a garantire l’ascolto del figlio sono i genitori; per tali ragioni, allorquando tra i genitori vi è accordo per disciplinare consensualmente la crisi familiare e la fase della dissoluzione del rapporto, sia matrimoniale che di fatto, in merito alle condizioni dell’affidamento e mantenimento del minore, l’ascolto è adempimento che nella maggior parte dei casi può apparire superfluo, poiché sono gli stessi genitori, che nella fisiologica rappresentanza del minore e nella capacità di comprendere i suoi bisogni e le sue istanze, dovranno farsi portatori del di lui interesse.

Questa considerazione di carattere generale, tuttavia, non vale a escludere in assoluto la necessità o quanto meno l’opportunità di procedere all’ascolto del minore anche nell’ambito della negoziazione assistita.

Tale necessità può sorgere in particolare nei casi in cui nell’effettuare il controllo di rispondenza dell’accordo di negoziazione assistita agli interessi dei figli minori, il procuratore della Repubblica, al quale tale controllo è demandato dall’art. 6, comma 2, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ritenga di non concedere l’autorizzazione prescritta e conseguentemente di trasmettere l’accordo al presidente del tribunale che deve fissare, entro i successivi trenta giorni dalla trasmissione, la comparizione delle parti. In questa fase pare quindi opportuno demandare al presidente del tribunale, chiamato a intervenire per verificare, nel contraddittorio con le parti, quale sia la migliore soluzione nell’interesse del minore, di procedere anche all’ascolto diretto del minore.

La disposizione in esame tende dunque proprio a colmare questa lacuna, prevedendo con la modifica dell’art. 6, comma 2, del d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014, che il procuratore della Repubblica, quando ritenga che l’accordo raggiunto dalle parti non risponda all’interesse dei figli ovvero, in ogni caso, che sia opportuno procedere al loro ascolto, trasmette l’accordo, entro cinque giorni al presidente del tribunale, il quale, come la norma già stabilisce, fissa entro i successivi trenta giorni la comparizione delle parti. In questo contesto, una volta investito della richiesta del pubblico ministero, il presidente del tribunale può quindi procedere all’ascolto diretto del minore secondo le regole ordinarie, tenendo conto che l’ascolto è previsto per il minore che ha già compiuto gli anni dodici, ovvero anche di età inferiore laddove capace di discernimento, e deve avere luogo salvo che ciò sia in contrasto con il suo interesse ovvero manifestamente superfluo. Quest’ultima ipotesi si può ad esempio realizzare laddove il minore sia stato già ascoltato in altri contesti e siano acquisiti agli atti le risultanze dell’ascolto, ovvero se il profilo di dubbio che ha spinto il procuratore della Repubblica a investire il presidente del tribunale attenga a profili economici per i quali nessun apporto potrebbe avere la diretta audizione del minore.

La disposizione in esame, oltre a colmare le lacune indicate, ha il fine di agevolare la circolazione degli atti di negoziazione assistita in materia familiare in ambito internazionale e in particolare dell’Unione europea, in quanto tanto nel regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (che ha abrogato il regolamento (CE) n. 1347/2000), quanto nel nuovo regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori (rifusione), l’ascolto del minore è requisito necessario per permettere la piena circolazione degli atti disciplinanti l’affidamento dei minori, in ambito europeo e internazionale. La presenza di una disciplina che non consenta in assoluto di procedere all’ascolto (come nella attuale formulazione del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162) rappresenta un potenziale ostacolo alla circolazione di questi atti, ostacolo che l’intervento normativo in esame intende superare.

 

Comma 6 – (Modifiche alla legge 20 maggio 2016, n. 76)

In attuazione del criterio di delega di cui all’art. 1 comma 22, lett. a), sono apportate modifiche all’art. 1, comma 25 l n. 76 del 2016 disciplinante il procedimento di scioglimento dell’unione civile.

Sono stati eliminati i riferimenti a norme abrogate dal decreto legislativo, ovvero da precedenti disposizioni di legge (art. 12 sexies abrogato dall’art. 7, comma 1, lett. b) D.lgs n. 21/18) ed è stato fatto espresso richiamo alle norme del rito unitario, applicabile anche ai procedimenti che riguardano lo scioglimento dell’unione civile, di cui all’introdotto Titolo IV bis del libro secondo del codice di rito.

Resta implicito che il richiamo alle norme del codice comporta altresì il richiamo alle relative disposizioni di attuazione.

 

Sezione VII Modifiche in materia di tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie

 

Art. 30 – (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

 

L’articolo 30 contempla disposizioni con cui si interviene sulle norme di ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 al fine di dare attuazione ai principi di delega contenuti nel comma 24 dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, relativi all'istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, ispirati dall’esigenza unanimemente avvertita di unificare le competenze in tali materie.

Nell’intento del legislatore delegante, la modifica ordinamentale proposta avrà positivi effetti sul numero di procedimenti: la concentrazione delle competenze in un’unica autorità giudiziaria consentirà di ridurre il numero complessivo dei procedimenti civili pendenti, dal momento che oggi accade spesso che questi siano instaurati contemporaneamente sia davanti al tribunale per i minorenni (il riferimento è in particolare ai giudizi ex articoli 330 e seguenti del codice civile), sia davanti al tribunale ordinario. Inoltre, la creazione di un unico tribunale altamente specializzato, con sezione distrettuale e più sezioni circondariali, permetterà l’adozione di orientamenti interpretativi uniformi nell’intero distretto, assicurando maggiore prevedibilità delle decisioni, con certa riduzione del contenzioso, potendo la prevedibilità dell’esito dei procedimenti (in particolari di quelli che non presentano particolari difficoltà) stimolare le parti a raggiungere accordi all’esito della crisi della relazione familiare, da concludere anche al di fuori delle aule giudiziarie, anche grazie al ricorso alle convenzioni di negoziazione assistita in materia familiare di cui all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. L’attribuzione alla costituenda sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie del ruolo di giudice di secondo grado, competente per le impugnazioni avverso i provvedimenti emessi in primo grado dalle sezioni circondariali, avrà un notevole effetto deflattivo sui procedimenti iscritti nelle corti di appello, le cui sezioni specializzate in materia di famiglia e minori vedranno ridotto il carico di lavoro in maniera rilevante, così da consentire di liberare risorse per affrontare la definizione dell’arretrato pendente. Infine, la previsione – ad opera dei principi di delega di cui al precedente comma 23 della legge n. 206 – di un unico rito per la trattazione delle controversie civili in materia di persone, minori e famiglie, ispirato al principio di concentrazione, avrà l’effetto di ridurre notevolmente i tempi di definizione dei futuri procedimenti civili che verranno proposti dinanzi all’istituendo tribunale, effetto sicuramente amplificato dalla creazione di una magistratura, giudicante e requirente, altamente specializzata, assegnata in via esclusiva alla trattazione della materia.

Al momento le competenze civili in materia di minori e famiglia sono distribuite tra il tribunale per i minorenni e il tribunale ordinario, con sovrapposizioni di accertamenti, duplicazioni di procedimenti e possibile rischio di adozione di provvedimenti contrastanti. Si pensi ai casi di condotte gravemente pregiudizievoli per la prole o di violenza domestica poste in essere da un genitore in danno dell’altro. Tali fattispecie, nella prassi, generano diversi procedimenti che allo stato pendono dinanzi a due autorità giudiziarie e sono seguiti da due diversi uffici di Procura, quella ordinaria e quella minorile. In molti casi viene, infatti, istaurato: un procedimento, spesso su iniziativa del pubblico ministero minorile, dinanzi al tribunale per i minorenni ex articoli 330 e 333 c.c. a tutela del minore che abbia subito condotte pregiudizievoli o violenza, anche nella forma della violenza assistita; un procedimento dinanzi al tribunale ordinario per la disciplina dell’affidamento della prole (che potrà essere di separazione, divorzio o affidamento del figlio quando nato da genitori non coniugati), nel quale è interveniente necessario il pubblico ministero ordinario. Il coordinamento di questi procedimenti è difficile e, in applicazione della normazione vigente, non evita il rischio di giudicati potenzialmente contrastanti e di duplicazione di accertamenti istruttori, di comparizioni delle parti e di ascolti del minore dinanzi alle diverse autorità giudiziarie.

L’unicità della materia e l’esigenza, avvertita anche in campo sovranazionale, di formare magistrati, giudicanti e requirenti, avvocati ed operatori specializzati nella materia delle persone, dei minori e delle famiglie, impongono di prevedere l’istituzione di un unico organo giudicante e di un unico organo requirente, competente per ogni procedimento che riguardi queste materie.

Tra le possibili scelte organizzative, il legislatore delegante ha voluto privilegiare la creazione di un tribunale specializzato che possa proseguire la positiva esperienza maturata dal tribunale per i minorenni nel settore del penale minorile, considerato un modello da seguire per l’efficacia del recupero dei minorenni, e superando, con la concentrazione di ogni procedimento civile dinanzi ad un’unica autorità giudiziaria, le pregresse difficoltà realizzatesi a causa della suddivisioni di competenze, in parte sovrapponibili, tra tribunali ordinari e tribunali per i minorenni. Il modello organizzativo prescelto dal legislatore delegante si articola nella creazione di un unico tribunale che verrà realizzato in ogni sede di corte di appello e di sezione distaccata di corte di appello, con una distribuzione territoriale sostanzialmente sovrapponibile a quella degli attuali tribunali per i minorenni. L’unitario tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie avrà un’articolazione distrettuale e tante articolazioni circondariali quanti sono, nell’ambito del distretto, i tribunali ordinari. Nell’intento del legislatore delegante, la creazione di un unitario tribunale specializzato con le diverse articolazioni, distrettuale e circondariale, permetterà di conservare le specificità del tribunale per i minorenni ma di assicurare, oltre alla concentrazione delle tutele oggi frammentate, la prossimità rispetto all’utenza, altro requisito fondamentale per la corretta gestione del contenzioso che attiene a diritti fondamentali delle persone e delle famiglie, e di liberare risorse per rendere immediatamente reclamabili tutti i provvedimenti provvisori con contenuto decisorio, molti dei quali possono avere immediato effetto nella crescita dei minori e nella vita delle persone coinvolte nel procedimento.

La soluzione organizzativa proposta consente di razionalizzare le risorse, in quanto la presenza di pubblici ministeri e di giudici altamente specializzati, assegnati in via esclusiva alla trattazione dei procedimenti relativi alle persone, ai minori ed alle famiglie, permetterà di prevedere che tutte le decisioni attribuite alla competenza delle sezioni circondariali possano essere assunte dal tribunale in composizione monocratica. Le reclamabilità innanzi alla sezione distrettuale dei provvedimenti provvisori di contenuto decisorio (con esclusione, quindi, dei provvedimenti meramente istruttori, di nomina del consulente tecnico d'ufficio o che dispongano altri accertamenti) adottati dal giudice della sezione circondariale assicurerà il vaglio della decisione da parte di altro giudice dello stesso tribunale, altamente specializzato.

A livello di tecnica normativa, si è ritenuto preferibile intervenire con una novella sulle norme attualmente in vigore che disciplinano il tribunale per i minorenni, anziché redigere ex novo un testo normativo “autosufficiente”, in quanto la delega prevede espressamente che si debba «riorganizzare il funzionamento e le competenze del tribunale per i minorenni», e non istituire un ufficio giudiziario del tutto nuovo, e in quanto comunque sarebbe stato necessario prevedere il coordinamento sia con le norme di ordinamento giudiziario, all’interno del quale il “nuovo” tribunale è comunque destinato a trovare collocazione e anche al fine di assicurare il raccordo del nuovo tribunale con gli altri uffici giudiziari ordinari, sia con quelle recate dal regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, alcune delle quali destinate a rimanere in vigore.

Nel dare attuazione ai principi di delega si è quindi intervenuti, in primo luogo, sulle norme di ordinamento giudiziario previste dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. A tal fine, si è seguito lo stesso schema già previsto nell’ordinamento giudiziario con riguardo alla struttura del tribunale ordinario, in cui ad un primo articolo che individua la sede del tribunale (articolo 42) seguono un articolo dedicato alla composizione del tribunale (articolo 42-bis) e uno dedicato alle funzioni e attribuzioni dell’ufficio (articolo 43) e, successivamente, dopo le norme dedicate alle funzioni dei giudici, sono inserite le norme che prevedono la costituzione delle sezioni (articolo 46), le attribuzioni del presidente del tribunale (articolo 47), le disposizioni circa la direzione delle sezioni (articolo 47-bis), quelle sulla istituzione dei posti di presidente di sezione (47-ter) e, infine, quelle relative alle attribuzioni del presidente di sezione (articolo 47-quater) e alla composizione dell’organo giudicante (articolo 48).

 

Comma 1

Lettera a)

In particolare, alla lettera a) dell’articolo 30 si interviene sull’articolo 43 dell’ordinamento giudiziario, relativo alle funzioni e attribuzioni del tribunale ordinario, espungendo il riferimento all’esercizio delle funzioni di giudice tutelare, che vengono trasferite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

 

Lettera b)

La lettera b) interviene sull’articolo 49, relativo alla «Costituzione e giurisdizione del tribunale per i minorenni», nel quale oltre ad un cambio meramente terminologico, consistente nella sostituzione dell’espressione «tribunale per i minorenni» con quella «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», si è specificato che questo costituisce, come si è accennato, un ufficio unitario che al suo interno si articola in una sezione distrettuale e in più sezioni circondariali, in maniera non dissimile da quanto accadeva nei tribunali ordinari con le sezioni distaccate, poi soppresse con il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155. La sezione distrettuale – come attualmente il tribunale per i minorenni - ha sede nel capoluogo del distretto e ha competenza sull’intero territorio di questo, mentre le sezioni circondariali sono costituite in ogni città sede di tribunale ordinario compreso nel distretto e hanno competenza sul corrispondente circondario. Presso la città sede del distretto, quindi, opereranno contestualmente – così come, mutatis mutandis, avviene oggi – la sezione distrettuale e la sezione circondariale. Aderendo all’invito in questo senso formulato dalla Commissione giustizia del Senato e della Camera nell’ambito dei pareri resi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge n. 206 del 2021, nell’espressione «una o più sezioni distaccate circondariali» contenuta nel primo comma è stata espunta la parola «distaccate», potenzialmente foriera di dubbi interpretativi.

 

Lettera c)

Tramite la lettera c) si è poi novellato l’articolo 50, relativo alla composizione del tribunale per i minorenni, disciplinando la composizione dell’istituendo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. In particolare, si è previsto che questo sia diretto da un presidente, e che possano essere istituiti posti di presidente di sezione nei tribunali a cui sono addetti più di dieci giudici, in ogni caso rispettando la proporzione di uno a dieci già prevista, per il tribunale ordinario, dal primo comma dell’articolo 47-ter. Quanto ai giudici, si è previsto – in attuazione di specifici princìpi di delega – che questi debbano essere dotati di specifiche competenze nelle materie attribuite al tribunale, esercitino le loro funzioni in via esclusiva e siano esonerati dall’applicazione del «limite dell'assegnazione decennale nella funzione», come specificamente previsto dal principio di delega previsto dalla lettera f) del comma 24 al fine di garantire la loro specializzazione. Nell’ottica di assicurare la funzionalità dell’unitario tribunale, la razionale distribuzione delle risorse e l’uniformità degli orientamenti e delle prassi, poi, si è previsto che i magistrati assegnati al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie possano essere assegnati, tramite la ben nota procedura tabellare, congiuntamente a più sezioni (ad es. la sezione distrettuale e una sezione circondariale, o più sezioni circondariali), in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera g del comma 24). Rispetto alla delega si è preferito parlare di «assegnazione», anziché di «applicazione», per sottolineare il fatto che tale previsione può dipendere anche da una ben precisa scelta organizzativa, e non solo dalla necessità di fare fronte ad esigenze contingenti. Si è di conseguenza reso necessario specificare che in tal caso il singolo magistrato avrà una pluralità di sedi di servizio, che coincideranno con quelle in cui esercita le proprie funzioni; ciò al fine di evitare ripercussioni, ad esempio, sull’obbligo di risiedere nel Comune in cui è ubicata la sede di servizio o sul diritto a percepire un’indennità di missione. Come accade per le sezioni del tribunale ordinario, poi, si è previsto che nell’ambito della pianta organica del tribunale debbano essere le tabelle di organizzazione dell’ufficio a prevedere il numero di giudici assegnati alle singole sezioni, in considerazione delle esigenze di servizio. Le sezioni circondariali, infatti, sono sostanzialmente equiparabili alle preesistenti sezioni distaccate del tribunale ordinario, per le quali non era previsto un numero minimo di giudici; e nel territorio nazionale vi sono circondari il cui carico di lavoro nelle materie attribuite alla competenza del nuovo tribunale può essere sostenuto anche da un numero ridotto di magistrati. Infine, si è previsto che – come nell’attuale tribunale per i minorenni, e secondo quanto previsto dalla legge delega – del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie facciano parte anche dei componenti privati, che assumono la denominazione di «giudici onorari esperti».

 

Lettera d)

La lettera d) introduce, dopo l’articolo 50, una serie di nuovi articoli che hanno la finalità di disciplinare le attribuzioni del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, quelle del presidente e dei presidenti di sezione, il riparto degli affari tra la sezione distrettuali e le sezioni circondariali, in attuazione, tra gli altri, del criterio di delega di cui alla lettera e), con cui si demanda al legislatore delegato di «determinare le competenze del presidente della sezione distrettuale e del presidente della sezione circondariale».

L’articolo 50.1 o.g. prevede, specularmente a quanto previsto dall’articolo 43 per il tribunale ordinario, le funzioni e le attribuzioni del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie secondo le previsioni contenute nella legge delega, specificando che in ogni caso – come espressamente previsto, e a fugare possibili dubbi interpretativi – non rientrano nella competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie i procedimenti aventi ad oggetto la cittadinanza, l'immigrazione e il riconoscimento della protezione internazionale.

L’articolo 50.2 o.g. prevede che il presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie dirige l’ufficio e lo rappresenta, ed esercita le funzioni in via generale attribuite al presidente del tribunale ordinario, sentiti i presidenti delle sezioni circondariali.

L’articolo 50.3 o.g. specifica che la sezione distrettuale è diretta dal presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, il quale quindi oltre a svolgere le funzioni proprie del presidente dell’intero ufficio giudiziario svolgerà le funzioni di direzione, coordinamento e vigilanza in relazione ad una sezione specificamente individuata. Attualmente, la circolare del CSM sulle tabelle prevede che quando il tribunale ordinario è organizzato in sezioni il presidente «ha la facoltà di riservare a se stesso la direzione di una sezione predeterminata»; nel nuovo tribunale, per la sua particolare struttura organizzativa – e al fine di limitare l’istituzione di posti semidirettivi – ciò costituirà la regola. Le sezioni circondariali, invece, possono essere dirette da un presidente di sezione – il quale può essere incaricato di dirigere anche più di una sezione – ovvero, per quelle in cui non sia prevista l’istituzione di un posto di presidente di sezione, da un coordinatore designato tramite la procedura tabellare. In particolare, la disposizione inserita nel secondo comma dell’articolo 50 o.g. indica i presupposti perché all’interno del singolo tribunale possano essere istituiti dei posti di presidente di sezione; le norme di cui al secondo e terzo comma dell’articolo qui in esame prevedono invece a chi spetti la direzione delle sezioni circondariali, nelle diverse ipotesi configurabili. Le funzioni del presidente di sezione (distrettuale o circondariale che sia) coincidono con quelle che l’articolo 47-quater o.g. attribuisce alla corrispondente figura presso il tribunale ordinario, con un particolare accento sull’attività volta ad assicurare l’uniformità degli orientamenti e delle prassi, che costituisce uno degli aspetti qualificanti del nuovo ufficio. Ciò senza che venga meno il generale potere di vigilanza e di coordinamento attribuito al presidente dell’ufficio giudiziario, i cui poteri ben potranno essere ulteriormente scanditi dalla normazione secondaria dettata dal Consiglio Superiore della Magistratura. Si è infine espressamente previsto, in parallelo con quanto detto a proposito dell’attività del presidente del tribunale, che i presidenti di sezione collaborino con questo nell’attività di direzione dell’ufficio.

L’articolo 50.4 o.g. – parallelamente a quanto previsto per il tribunale ordinario dall’articolo 48 – dà attuazione agli specifici princìpi di delega contenuti nelle lettere l), m) ed n) del comma 24. Si è quindi previsto che la sezione circondariale giudica in composizione monocratica; che nella materia civile la sezione distrettuale giudica in composizione collegiale, con collegio composto da tre magistrati; che nella materia penale, nella materia delle adozioni disciplinata dai titoli II, III e IV della legge 4 maggio 1983, n. 184 e nelle altre materie attribuite alla sua competenza (in primis, quella relativa ai procedimenti amministrativi previsti dagli articoli 25 e seguenti del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835) la sezione distrettuale giudica in composizione collegiale con collegio composto – come attualmente il tribunale per i minorenni – da due giudici togati e due giudici onorari esperti. In proposito, si è ritenuto che l’ordine del giorno approvato in Parlamento con cui si è impegnato il Governo a prevedere la composizione collegiale del tribunale nella materia dei procedimenti de potestate previsti dagli articoli 330 e seguenti del codice civile non fosse di per sé sufficiente a superare la stringente previsione della legge delega con cui si impone al legislatore delegato di «stabilire che, nei procedimenti civili che rientrano nelle loro rispettive competenze, secondo quanto previsto nelle lettere b) e c), le sezioni circondariali giudichino in composizione monocratica», ma fosse a tal fine necessario un espresso intervento normativo. Ad oggi questo non è intervenuto, ma si confida che possa sopravvenire prima dell’entrata in vigore delle disposizioni recate dal decreto legislativo attuativo della delega.

L’articolo 50.5 o.g. – anche in questo caso in analogia a quanto all’epoca previsto dal soppresso articolo 48-quater per le sezioni distaccate di tribunale – individua la ripartizione degli affari tra sezione distrettuale e sezioni circondariali, prevedendo, secondo i princìpi di delega contenuti nelle lettere b), c), l) ed m) del comma 24, che presso la sezione circondariale siano trattati i procedimenti attualmente attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni dall’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, quelli di cui all’articolo 403 del codice civile e quelli in materia di affido familiare previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, nonché quelli in materia di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza nel territorio dello Stato del familiare del minore previsti dall’articolo 31 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, stante l’analogia con gli altri procedimenti e in considerazione del fatto che in tali procedimenti, di non particolare complessità, più che la trattazione centralizzata è opportuno garantire la prossimità del giudice competente. Sono inoltre attribuiti alla sezione circondariale tutti i procedimenti in materia di stato e capacità delle persone, famiglia, unione civile, convivenze e minori attualmente attribuiti alla competenza del tribunale ordinario e quelli attribuiti al giudice tutelare, tra cui quelli volti alla protezione degli adulti vulnerabili. Si è infine specificato che sono attratte alla competenza della sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie anche le domande di risarcimento del danno connesse per l’oggetto o per il titolo con i procedimenti di cui si è detto. In proposito si osserva che la legge delega contempla l’attribuzione al “nuovo” tribunale delle domande di risarcimento del «danno endo-familiare», espressione che si sta diffondendo nella prassi ma della cui stessa utilità alcune voci dottrinali dubitano. Tale espressione - mai impiegata in precedenza dal legislatore – indica, in buona sostanza, quelle voci di danno derivanti dalla violazione dei doveri di assistenza morale e materiale tra coniugi o tra genitori e figli. Piuttosto che fare uso di una categoria ancora di incerto inquadramento dottrinale, si è preferito fare riferimento ad un concetto – quello di causa connessa per l’oggetto o per il titolo con le domande aventi ad oggetto i rapporti sopra indicati – ormai consolidato e tale da escludere che possano essere attratte alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie anche domande risarcitorie connesse solo soggettivamente, e che non trovano quindi diretto fondamento nel rapporto di natura “familiare” in senso lato.

Sono viceversa attribuiti alla sezione distrettuale, con norma di chiusura, i procedimenti civili di primo grado diversi da quelli sopra indicati e attualmente di competenza del tribunale per i minorenni, i quali maggiormente necessitano di gestione centralizzata (si pensi ai procedimenti di adozione, a quelli di sottrazione internazionale di minori o alla materia dei minori stranieri non accompagnati), nonché quelli penali minorili comprese le competenze del giudice di sorveglianza per i minorenni e gli altri procedimenti attualmente attribuiti al tribunale per i minorenni quali, ad esempio, i procedimenti amministrativi previsti dall’articolo 25 r.d.l. n. 1404 del 1934. Nel fare ciò si è volutamente impiegata un’espressione volta ad attribuire in via residuale alla sezione distrettuale le controversie che non siano state oggetto di specifica individuazione, al fine di prevenire quanto più possibile eventuali vuoti normativi in relazione alle controversie oggi attribuite alla competenza del tribunale per i minorenni.

Sempre nella materia civile, poi, in attuazione del principio di cui alla lettera o) del comma 24 sono attribuite alla sezione distrettuale, come si accennava in premessa, le impugnazioni avverso i provvedimenti definitivi e i provvedimenti temporanei aventi contenuto decisorio emessi dalla sezione circondariale; in proposito il legislatore delegato ha ritenuto che ciò presumibilmente determinerà un’accelerazione dei tempi di definizione del giudizio, stante il notorio carico gravante sulle corti di appello. Più nel dettaglio, le disposizioni di carattere processuale (e non ordinamentale) volte ad individuare in maniera più specifica quali siano i provvedimenti impugnabili davanti alla sezione distrettuale dovranno essere predisposte in un secondo momento, modificando le previsioni che in questa occasione, in attuazione di quanto previsto dal comma 23 dell’articolo 1 della legge delega, vengono introdotte con il nuovo titolo IV bis del libro II del codice di procedura civile. Per espressa previsione della legge delega, infatti, in un primo momento deve essere introdotto il rito unificato destinato a regolare i procedimenti di cui si tratta, e solo in un secondo momento entreranno in vigore le disposizioni che istituiscono il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. A ciò si provvederà con l’apposito decreto legislativo recante norme di coordinamento previsto dall’articolo 1, comma 25 della legge n. 206 del 2021, con il quale sarà data attuazione anche agli altri principi di delega previsti dal comma 24 ma aventi natura prettamente processuale piuttosto che ordinamentale, quali quello di cui alla lettera p), volto a prevedere la possibilità di proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione avverso i provvedimenti provvisori emessi ex articoli 330 e 333 c.c. dalla sezione distrettuale all’esito di reclamo proposto nei confronti del provvedimento della sezione circondariale, quelli previsti dalle lettere r) e s) relativi al rito da applicare e quelli volti a disciplinare la partecipazione alle udienze da remoto da parte dei giudici applicati ad una sezione diversa da quella di appartenenza e da parte del rappresentante del pubblico ministero.

La medesima norma specifica poi, all’ultimo comma, che la ripartizione degli affari tra la sezione distrettuale e la sezione circondariale o tra diverse sezioni circondariali dello stesso tribunale non dà luogo a questioni di competenza, in conseguenza della loro natura di mere articolazioni interne dell’unitario tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Nell’ambito del codice di procedura civile o delle relative disposizioni di attuazione saranno poi inserite, sempre con il decreto previsto dal comma 25 dell’articolo 1 della legge delega, le norme volte a disciplinare le questioni inerenti all’attribuzione del processo all’una o all’altra sezione, sulla falsariga di quanto in origine previsto per gli analoghi conflitti tra sede centrale e sezione distaccata del tribunale o tra diverse sezioni distaccate.

 

Lettere e)-i)

Le lettere e), f), g), h) e i) modificano gli articoli 50-bis, 51, 54, 58 e 70 dell’ordinamento giudiziario apportandovi modifiche di coordinamento, in quanto con riferimento alle competenze penali e di sorveglianza dell’attuale tribunale per i minorenni la legge delega prevede che non siano apportate innovazioni. Per quanto riguarda, in particolare, l’articolo 58, la legge n. 206 del 2021 non reca alcuna disposizione circa l’attuale sezione di corte d'appello per i minorenni. Questa viene comunque rinominata in «sezione per le persone, per i minorenni e per le famiglie» in quanto ad essa saranno attribuiti, oltre ai procedimenti di appello avverso i provvedimenti emessi in primo grado dalla sezione distrettuale nella materia minorile, i procedimenti in unico grado attualmente di competenza della corte quali, ad esempio, la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio e la dichiarazione di esecutorietà delle sentenze e dei provvedimenti di volontaria giurisdizione pronunciati all’estero. Si è inoltre ritenuto opportuno inserire nel medesimo articolo 58, al fine di riunire tutte le disposizioni in un unico corpo normativo, la disposizione attualmente prevista dal r.d. n. 1404 del 1934 secondo cui alla sezione specializzata devono essere tabellarmente assegnati, ove possibile, magistrati dotati di specifica esperienza nelle materie a questa attribuite; norma che è coerente con le esigenze di specializzazione dei magistrati incaricati della trattazione dei procedimenti di cui si discute. Ai criteri di delega volti a prevedere l’anzianità di servizio necessaria a svolgere le funzioni giudicanti, requirenti, direttive e semidirettive presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie si è invece data attuazione intervenendo nell’appropriata sedes materiae, ovvero il decreto legislativo n. 160 del 2006, come di seguito si dirà.

 

Lettera l)

La lettera l), infine, introduce nell’ordinamento giudiziario il nuovo articolo 70-ter, volto a disciplinare le funzioni dell’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie precisando che questo ha sede nel capoluogo del distretto, così escludendo, secondo quanto desumibile dalla lettera t) del comma 24, che debbano essere costituiti uffici circondariali del pubblico ministero. Con la stessa norma si sono recepite nell’ambito dell’ordinamento giudiziario le disposizioni sulle funzioni del pubblico ministero minorile attualmente previste dal R.D.L. n. 1404 del 1934. Sarebbe stato invero opportuno disciplinare in maniera più specifica i poteri del pubblico ministero presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la sua azione, ma si è ritenuto che la delega conferita non lo consentisse.

 

Art. 31 – (Modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835)

 

L’articolo 31 introduce nel r.d.l. n. 1404 del 1934 le necessarie modifiche, abrogando disposizioni ormai superate o in questa sede recepite nell’ambito dell’ordinamento giudiziario e coordinando il testo alla luce delle disposizioni introdotte dal presente decreto legislativo.

 

Art. 32 – (Modifiche al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160)

 

L’articolo 32 interviene sull’articolo 10 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, al fine di dare attuazione ai princìpi di delega previsti dalle lettere d), f), u) e v) che richiedono di stabilire l’anzianità di servizio necessaria per svolgere le funzioni di giudice, di presidente della sezione distrettuale, di presidente della sezione circondariale di procuratore della Repubblica e di sostituto procuratore presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Inserendo, infatti, nell’articolo 11 le figure professionali del nuovo tribunale con l’individuazione delle relative funzioni, grazie al combinato disposto con le disposizioni già contenute nell’articolo 12, commi 2, 3 e 5 del decreto legislativo n. 160 del 2006 viene stabilito che per lo svolgimento delle funzioni di giudice e di sostituto procuratore sia sufficiente la sola delibera di conferimento delle funzioni giurisdizionali al termine del periodo di tirocinio (funzioni giudicanti e funzioni requirenti di primo grado); che per ricoprire le funzioni di presidente della sezione circondariale sia necessario il conseguimento della seconda valutazione di professionalità, analogamente a quanto previsto per le funzioni di presidente di sezione presso il tribunale ordinario (funzioni semidirettive giudicanti di primo grado); che per la nomina a presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e a procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sia necessario aver conseguito la quarta valutazione di professionalità, come richiesto per gli analoghi incarichi direttivi presso i tribunali di maggiori dimensioni e presso i tribunali di sorveglianza (funzioni direttive elevate di primo grado).

Per quanto riguarda, in particolare, l’anzianità richiesta per svolgere le funzioni giudicanti e requirenti presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, si è ritenuto necessario consentire che siano assegnati a tali uffici anche magistrati ordinari al termine del tirocinio. Diversamente, sarebbe stato estremamente difficoltoso (se non impossibile) coprire i posti previsti in pianta organica, come hanno dimostrato tutte le esperienze che nel recente passato hanno introdotto specifici requisiti di anzianità per svolgere, ad esempio, le funzioni di pubblico ministero o di magistrato di sorveglianza. Del resto, una volta terminata la fase transitoria e compiuto il passaggio al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie dei magistrati già in servizio che svolgono o hanno svolto funzioni nelle materie della famiglia e dei minori, la specializzazione dei magistrati di nuova nomina non potrà che essere assicurata (così come avviene, ad esempio, per la sorveglianza) tramite lo svolgimento del tirocinio mirato e il successivo conferimento delle funzioni presso il tribunale di nuova istituzione, dal momento che essi non avranno altro modo di iniziare a svolgere funzioni giudiziarie nelle materie di cui si tratta.

È viceversa rimandata ad un apposito decreto legislativo volto a disciplinare in via generale l’ufficio per il processo l’attuazione dei princìpi di delega in proposito previsti dalle lettere h) e i) del comma 24 della legge n. 206. Nell’ambito dell’attuazione della delega in materia di digitalizzazione sono invece dettate le disposizioni relative all’informatizzazione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie (lettera bb).

 

Art. 33 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)

 

L’articolo 33 interviene sul decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni con modifiche di mero coordinamento, dal momento che la legge delega prevede che non vengano apportate modifiche alle norme che disciplinano il procedimento penale minorile e quello di sorveglianza.

Art. 34 – (Modifiche al decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121)

 

L’articolo 34, infine, apporta modifiche di coordinamento all’articolo 23 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, relativo alla composizione del consiglio di disciplina competente ad irrogare le sanzioni disciplinari nei confronti dei condannati minorenni.

 

 

CAPO V Disposizioni transitorie, finali e finanziarie 

 

Sezione I Disposizioni in materia di processo civile 

 

Articoli 35-40

 

Il capo V contempla le disposizioni transitorie e finali, oltre a quelle di copertura finanziaria. Esso è diviso in tre sezioni.

La prima sezione è relativa al processo civile.

In via generale, l’articolo 35 prevede al comma 1, al fine di consentire un avvio consapevole, da parte degli operatori, delle novità normative, che le disposizioni recate dal decreto legislativo hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, con la precisazione – a fugare possibili dubbi interpretativi – che ai procedimenti pendenti a quella data continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti. Così facendo, ci si è assicurati che l’abrogazione delle norme preesistenti e l’applicazione delle nuove norme (si pensi, ad esempio, all’abrogazione del c.d. “rito Fornero” e alle nuove disposizioni in tema di procedimenti di impugnazione dei licenziamenti) operino contestualmente.

Il comma 2 ha la funzione di “saldare” la normativa emergenziale in tema di obbligo di deposito telematico, udienze da remoto e trattazione scritta, avente scadenza al 31 dicembre 2022, con la disciplina introdotta in questa occasione, e procede di pari passo con la progressiva “informatizzazione” degli uffici allo stato esentati dall’applicazione delle norme sul processo telematico. Così, si prevede che negli uffici già informatizzati (tribunali, corti di appello e Corte di cassazione) la nuova disciplina operi già dal 1° gennaio 2023, ad eccezione di quella che riguarda le amministrazioni che stanno in giudizio in persona di loro funzionari.

Il comma 3 prevede che le norme in materia di obbligo di deposito telematico nei procedimenti davanti al Giudice di Pace e al tribunale superiore delle acque pubbliche si applicheranno a partire dal 30 giugno 2023, ferma restando la possibilità di anticipare, con appositi decreti non regolamentari del Ministro della giustizia, l’applicazione di tali disposizioni a specifici uffici o specifiche tipologie di procedimenti.

Il comma 4 prevede invece che per i procedimenti pendenti davanti a uffici giudiziari diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 le norme in materia di deposito obbligatorio degli atti si applichino al momento dell’entrata in vigore dei decreti con cui il Ministro della giustizia accerta la funzionalità dei relativi servizi.

Il comma 5 prevede, per quanto riguarda i giudizi di impugnazione, che la nuova disciplina si applichi alle impugnazioni proposte avverso le sentenze depositate successivamente al 30 giugno 2023, in modo da non differire troppo in là nel tempo l’applicazione delle nuove norme (che altrimenti si sarebbero applicate alle impugnazioni nei procedimenti introdotti in primo grado dopo la data indicata, e quindi a distanza di alcuni anni).

Il comma 6 contiene un’eccezione per quanto concerne  la disciplina inerente la Corte di cassazione, in quanto si è ritenuto opportuno prevedere l’applicazione delle nuove norme ai ricorsi notificati successivamente al 1° gennaio 2023 e l’applicabilità anche ai giudizi pendenti delle novità specificamente indicate nella norma (quali, ad esempio, l’abolizione della c.d. “sezione sesta”, il nuovo giudizio accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili o manifestamente infondati, il nuovo rito dei procedimenti in camera di consiglio), stante l’urgenza di intervenire per assicurare la funzionalità della Corte.

Il comma 8, invece, prevede l’applicazione delle norme in materia di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, introdotte con il nuovo articolo 363 bis, anche ai giudizi di merito pendenti alla data del 30 giugno 2023, auspicando che queste possano da subito contribuire a prevenire il proliferare di procedimenti vertenti su una identica questione di diritto.

Il comma 9, al fine di evitare dubbi interpretativi, precisa che anche per i procedimenti arbitrali le nuove disposizioni si applicheranno dopo il 30 giugno 2023.

Il comma 10, infine, prevede che fino all’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 196-duodecies, comma quinto, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, introdotto dal presente decreto legislativo, i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continueranno ad essere regolati dal decreto del direttore generale dei sistemi informativi del Ministero della giustizia del 20 marzo 2020.

L’articolo 36 fissa la data del 30 giugno 2023 per l’applicazione delle disposizioni che apportano modifiche al codice penale, che introducono il reato di false dichiarazioni al difensore nell’ambito della procedura di negoziazione assistita, e prevede l’applicazione delle modifiche apportate alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale ai procedimenti iscritti successivamente a quella data, in tema di comunicazioni a carico del pubblico ministero in relazione a procedimenti che abbiano ad oggetto fattispecie di reato di violenza domestica.

L’articolo 37 riporta l’elenco delle disposizioni delle leggi speciali abrogate perché incompatibili con quelle introdotte con il decreto legislativo. L’articolo 38 apporta modifiche all’art. 3 al decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 152 connesse alle modifiche apportate all’articolo 492-bis del codice di procedura civile ed in attuazione del criterio di cui al comma 22 dell’articolo 1 della legge delega. L’articolo 3 del decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2014/655 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce una procedura per l'ordinanza europea di sequestro conservativo dei conti bancari al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale.- Il testo dell’art. 3 del citato decreto legislativo è stato nuovamente allineato allo spostamento delle previsioni precedentemente contenute nel secondo comma dell’articolo 492-bis e ora confluite nel nuovo quarto comma.

L’articolo 39 rimanda ad un provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia la formazione, la tenuta e l’aggiornamento dell’elenco nazionale dei consulenti tecnici, previsto dal nuovo articolo 24 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

L’articolo 40 contiene una disposizione finalizzata a disciplinare il monitoraggio dei dati contenuti nei rapporti riepilogativi finali previsti per le procedure concorsuali e di esecuzione forzata, a fini di elaborazione, anche statistica, da parte del Ministero della giustizia

 

Sezione II Disposizioni in materia di mediazione e negoziazione assistita

 

Articoli 41 - 44

 

La II sezione del capo dedicato alle disposizioni transitorie e finali concerne la disciplina della mediazione e della negoziazione assistita.

In particolare, l’articolo 41 precisa che le modifiche apportate alla disciplina della mediazione e alla negoziazione assistita si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023, al fine di consentire, nelle more, l’adozione dei decreti ministeriali attuativi previsti dalle disposizioni in precedenza indicate. Per il resto, l’art. 41 è destinato a disciplinare le modalità e i tempi entro i quali tanto gli organismi di mediazione iscritti al registro istituito presso il Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia alla data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della delega, quanto gli enti di formazione iscritti nell’apposito elenco alla medesima data, devono adeguarsi ai nuovi requisiti.

L’articolo 42 viene inserito per dare attuazione al principio di delega che impone al Ministero della giustizia di procedere a un monitoraggio degli interventi in materia di mediazione anche al fine di verificare, decorsi cinque anni, l’opportunità di mantenere o meno il principio del ricorso obbligatorio alla mediazione in alcune materie.

L’articolo 43 prevede inoltre il monitoraggio sul rispetto dei vari limiti di spesa da parte del Ministero della giustizia, autorizzato, in caso di scostamenti, ad operare aumenti del contributo unificato.

Con l’articolo 44, è stata introdotta una norma di coordinamento dovuta alle modifiche apportate all’art. 5 del decreto legislativo n.28 del 2010, il cui comma 1-bis del testo previgente è stato abrogato. Ogni precedente riferimento a tale disposizione deve intendersi al comma 1 dell’art. 5 nel testo modificato.

 

Sezione III Disposizioni in materia di istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie 

 

Articoli 45-49

 

La sezione III contiene, infine, le prime disposizioni di attuazione e transitorie indispensabili per il primo avvio del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e della relativa procura, secondo i criteri previsti dalla legge delega alle lettere z) e aa) del comma 24. Disposizioni che prevedono, in considerazione della complessità (anche logistica) dell’intervento, una partenza graduale dei nuovi uffici, e che ben potranno essere modificate, ampliate e integrate con il decreto legislativo appositamente previsto dal comma 25 della legge delega.

In primo luogo, con l’articolo 45 si è ovviamente prevista la determinazione delle piante organiche dei nuovi tribunali e delle nuove procure, per le quali in particolare si dovrà tenere conto delle maggiori competenze attribuite all’ufficio rispetto a quelle attualmente gravanti sulle procure minorili: a queste si aggiungeranno, infatti, tutte le competenze in materia di affari civili attualmente attribuite al pubblico ministero presso il tribunale ordinario. Sul punto, è stata riportata la previsione della legge delega secondo cui la rideterminazione delle piante deve avvenire nell'ambito delle attuali dotazioni organiche del personale di magistratura, del personale amministrativo, dirigenziale e non dirigenziale, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma non è stata inserita  la disposizione, pure contenuta nella legge delega, secondo cui le nuove piante organiche dovrebbero essere predisposte entro un anno dall’entrata in vigore del decreto stesso: dall’interlocuzione avuta con il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi è infatti emerso che la soluzione predicata dalla legge n. 206 del 2021 è scarsamente praticabile, in quanto – considerato che nella maggior parte dei tribunali il medesimo giudice svolge funzioni sia in materia di famiglia che in altre materie civili e a volte penali – sottrarre risorse ai tribunali ordinari potrebbe portare questi alla paralisi; cosa tanto più inaccettabile in considerazione del fatto che, com’è noto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza impone il raggiungimento, entro il 2024, di sensibili percentuali di riduzione del numero di procedimenti arretrati. D’altro lato, la previsione di piante organiche con una dotazione di personale aggiuntiva rispetto all’attuale dotazione complessiva che, come si è detto, è condizione necessaria per assicurare la funzionalità tanto del nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie quanto dell’esistente tribunale ordinario, presuppone necessariamente che prima vengano stanziate le risorse necessarie. Il mancato inserimento del termine per l’adozione delle nuove piante organiche è quindi finalizzato a far sì che l’amministrazione possa disporre di un congruo lasso di tempo per ottenere i necessari stanziamenti.

L’articolo 46 è volto a disciplinare il passaggio al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie del personale di magistratura e amministrativo attualmente in servizio presso il tribunale per i minorenni e la relativa procura, nonché di quello in servizio presso la corte d'appello e il tribunale ordinario e che svolge le proprie funzioni, anche non in via esclusiva, nelle materie attribuite all’istituendo tribunale. A tal fine, si è mutuata pressoché integralmente la disciplina dettata dall’articolo 5 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 («Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148») con riguardo ai magistrati e al personale amministrativo in servizio presso gli uffici giudiziari soppressi in quell’occasione, prevedendo:

  1. Che una volta istituite le piante organiche, i magistrati assegnati al tribunale per i minorenni e alla procura presso il tribunale per i minorenni entrano di diritto a far parte dell'organico del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e delle procure della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie istituiti presso le medesime sedi, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze;
  2. Che i magistrati di appello e i magistrati assegnati al tribunale ordinario possano essere assegnati, a loro domanda, al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le funzioni da loro svolte, anche in via non esclusiva, e che nel caso in cui gli aspiranti siano in numero superiore ai posti previsti nella pianta organica, è rappresentato dalla maggiore esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale;
  3. Che l’assegnazione così disposta non costituisce trasferimento ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede, salvo al diritto ai trattamenti previsti, ricorrendone i presupposti, nel caso in cui ad essa consegua la fissazione della residenza in una sede di servizio diversa da quella precedente;
  4. Che i giudici onorari addetti al tribunale per i minorenni sono addetti di diritto al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le funzioni;
  5. Che il personale amministrativo assegnato ai tribunali per i minorenni e alle procure presso i tribunali per i minorenni può, previo interpello e a domanda, essere assegnato alle sezioni distrettuali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in sovrannumero e con diritto di priorità su altri candidati; in particolare, la previsione dell’interpello si rende necessaria, come emerso dall’interlocuzione con il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, in quanto - a differenza di quanto avvenuto in sede di revisione della geografia giudiziaria – in questo caso non si ha una semplice soppressione dell’ufficio esistente, ma la sua trasformazione in un nuovo ufficio, e la rigida applicazione delle previsioni contenute nella legge delega potrebbe comportare che il nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie abbia la medesima dotazione organica del vecchio tribunale per i minorenni e non sia quindi in grado di fare fronte alle maggiori competenze a lui attribuite;
  6. Che nelle sezioni circondariali presterà servizio il personale che risponderà ad appositi interpelli pubblicati dal Ministero della giustizia, con diritto di priorità in favore del personale che nel corso della carriera abbia prestato servizio presso sezioni incaricate della trattazione di affari ora attribuiti alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

L’articolo 47 è dedicato ai magistrati titolari di funzioni dirigenziali presso il tribunale per i minorenni e la procura minorile, nonché presso le sezioni del tribunale ordinario cui sono assegnate le materie trasferite al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Si è in proposito previsto, anche in questo caso ripetendo la disciplina già dettata dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 155 del 2012:

  1. che a far data dal 1° gennaio 2025 i magistrati titolari delle funzioni di presidente del tribunale per i minorenni e procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni assumano le funzioni di presidente e procuratore degli uffici cui sono trasferite le relative funzioni;
  2. che a far data dal 1° gennaio 2030 i presidenti di sezione dei tribunali ordinari, assegnati a sezioni che svolgono funzioni nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in via non esclusiva, sono destinati, a loro domanda, alle funzioni di presidente di sezione presso il corrispondente tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in questo caso assicurando prevalenza, in caso di aspiranti in numero superiore ai posti disponibili, ai magistrati di maggiore esperienza nelle materie;
  3. che l’assegnazione al nuovo ufficio non costituisce conferimento di nuove funzioni direttive o semidirettive. Il periodo di svolgimento delle funzioni presso il tribunale per i minorenni, il tribunale ordinario e le relative procure si cumula con quello presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la relativa procura della Repubblica.

L’articolo 48, relativo al personale di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso il tribunale per i minorenni riproduce letteralmente l’articolo 7 del decreto legislativo n. 155 del 2012, prevedendo che il personale è di diritto assegnato o applicato alle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi, e che ciò non costituisce nuova assegnazione o applicazione ovvero trasferimento.

L’articolo 49 è poi dedicato alla sorte dei procedimenti attualmente pendenti, con il quale si dettano le disposizioni volte ad assicurare la sopra menzionata gradualità nell’avvio del nuovo tribunale, ispirato alle analoghe disposizioni introdotte allorché furono soppressi gli uffici di pretura e introdotto il giudice unico di primo grado. In particolare, il primo comma prevede, in attuazione della previsione contenuta nella lettera cc) del comma 24 della legge delega, che le norme relative all’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie avranno efficacia decorsi due anni dalla data della pubblicazione del decreto legislativo in Gazzetta ufficiale. Si prevede inoltre:

  1. che le disposizioni previste dal decreto si applicano ai procedimenti introdotti successivamente alla data ora indicata;
  2. che i procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di efficacia delle disposizioni proseguono davanti alla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti;
  3. che i procedimenti civili pendenti davanti al tribunale ordinario alla data di efficacia del presente decreto sono definiti da questo sulla base delle disposizioni anteriormente vigenti. L’impugnazione dei provvedimenti, anche temporanei, è regolata dalle disposizioni introdotte dal presente decreto. I procedimenti civili pendenti alla data del 1° gennaio 2030 proseguono davanti alla sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  4. che sino al 31 dicembre 2029, al fine di assicurare la completa definizione delle misure organizzative relative al personale e ai locali, il funzionamento delle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie può essere assicurato anche avvalendosi in coassegnazione del personale amministrativo di altri uffici del distretto individuato con provvedimenti del direttore generale del personale e della formazione, sentiti gli uffici interessati, e per il personale di magistratura ordinaria e onoraria, meriante applicazione di istituti di flessibilità individuati dal Consiglio superiore della magistratura;
  5. che l’udienza fissata davanti al tribunale per i minorenni per una data successiva a quella di efficacia delle disposizioni e quella fissata davanti al tribunale ordinario per una data successiva al 1° gennaio 2030 si intende fissata davanti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie per i medesimi incombenti, e che i procedimenti sono trattati dagli stessi magistrati ai quali erano in precedenza assegnati, salva l’applicazione dell’articolo 174, secondo comma, del codice di procedura civile.

 

Sezione IV Disposizioni di coordinamento, finanziarie e finali

 

Articoli 50, 51 e 52

 

L’articolo 50 detta una norma finale di coordinamento volta a sostituire, in tutta la legislazione vigente, le parole «tribunale per i minorenni» con le parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».

Il principio di delega di cui alla lettera bb), volto a prevedere la completa informatizzazione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, trova infine attuazione nell’ambito della complessiva disciplina della digitalizzazione del processo, secondo quanto si è detto con riguardo all’avvio del processo civile telematico dei tribunali per i minorenni. Una volta che si sarà provveduto a tale incombente, infatti, il neoistituito tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie erediterà dagli uffici “madre” (rispettivamente, il Tribunale per i Minorenni per le sezioni distrettuali e il Tribunale Ordinario per le sezioni circondariale) i sistemi informatici già in uso, che saranno armonizzati a cura del Ministero della giustizia.

L’articolo 51 reca, da ultimo, le disposizioni inerenti alla copertura finanziaria per gli interventi previsti. In particolare, questi non comporteranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dal momento che le voci di spesa hanno già trovato copertura secondo quanto previsto dall’articolo 1, commi 39 e 40 della legge n. 206 del 2021.

L’articolo 51 contiene le disposizioni finanziarie finali e precisa che, salvo quanto espressamente previsto dagli articoli, 3, comma 57; 7, comma 1, lettere t), aa) e 9, comma 1, lettera l) per i quali si provvede ai sensi dell’articolo 1, commi 39 e 40 della legge n. 206 del 2021, dalle altre disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Si prevede altresì che le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

L’articolo 52 contiene disposizioni relative all’entrata in vigore. In particolare, è prevista l’entrata in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione del decreto legislativo in Gazzetta Uffi

Introduzione

 

Il presente schema di decreto legislativo è emanato in attuazione alla legge 26 novembre 2021, n. 206, recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonché in materia di esecuzione forzata”.

A tal fine, come previsto dall’articolo 1, comma 1, della legge delega, il testo legislativo elaborato dal Governo si propone di realizzare il riassetto “formale e sostanziale” della disciplina del processo civile di cognizione, del processo di esecuzione, dei procedimenti speciali e degli strumenti alternativi di composizione delle controversie, mediante interventi sul codice di procedura civile, sul codice civile, sul codice penale, sul codice di procedura penale e su numerose leggi speciali, in funzione degli obiettivi di “semplificazione, speditezza e razionalizzazione del processo civile”, nel rispetto della garanzia del contraddittorio e attenendosi ai princìpi e criteri direttivi previsti dalla stessa legge.

La complessità dell’intervento rispetto al sistema delle fonti si giustifica in ragione del fatto che una organica revisione del processo civile di cognizione e degli ulteriori modelli giudiziali e stragiudiziali interessati dalla riforma presuppone, come del resto la stessa legge delega prevede e autorizza (articolo 1, comma lett. a)), un’attenta opera di “coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai princìpi e criteri direttivi di delega” “operando le necessarie abrogazioni e adottando le opportune disposizioni transitorie”. Proprio il metodo della “novella” che, pur di ampio respiro, non è integralmente sostitutiva del codice e delle altre fonti che contribuiscono a determinare l’ordinamento processuale civile, ha reso dunque necessaria un’attenta e capillare opera di riordino e coordinamento tra le nuove norme e quelle non investite dalla riforma.

Dal punto di vista temporale, il presente schema di decreto legislativo viene presentato nel rispetto delle tempistiche imposte dal comma 2 della legge delega, e in conformità a quanto stabilito nel PNRR, al quale la presente riforma, come le ulteriori poste in essere nel generale settore della giustizia, è strettamente correlata.

Dal punto di vista delle finalità, l’intero impianto del decreto legislativo tende a perseguire i tre obiettivi sopra descritti, posti dalla delega quale sovraordinata e complessiva linea direttrice di riferimento.

Per raggiungere tali obiettivi, il decreto legislativo si sviluppa attraverso molteplici aree tematiche, che nel loro complesso sono rivolte a tenere conto delle necessità di intervento sul processo ordinario di cognizione, nei differenti gradi nei quali lo stesso si articola, e negli ulteriori riti e modelli speciali propri del sistema processuale civile nei quali maggiormente la delega ha individuato la necessità di un cambiamento, anche attraverso le correlate misure ordinamentali e organizzative e ulteriori interventi normativi finalizzati a operare al di fuori del contesto processuale stricto sensu considerato, rafforzando il settore della giustizia alternativa o complementare.

In questa prospettiva, i tre obiettivi della semplificazione, della speditezza e della razionalizzazione enunciati nell’incipit della delega, pur mantenendo ciascuno una loro specificità, operano sovente, all’interno delle singole innovazioni proposte, in forma congiunta, contribuendo nel loro insieme a perseguire il valore dell’effettività della tutela giurisdizionale, che rappresenta una sorta di unitaria “stella polare” di riferimento nel sistema della giustizia civile.

Si avrà modo di dettagliare in seguito, in relazione alle singole disposizioni innovate, le ragioni che giustificano i diversi interventi posti in essere.

In via di sintesi, per quanto riguarda i molteplici settori interessati dalla riforma, in attuazione dei principi stabiliti dalla legge delega (in particolare comma 4 e comma 15), lo schema di decreto legislativo interviene innanzitutto proprio sul rapporto tra la giurisdizione ordinaria e le forme di giustizia alternativa e complementare, mediante importanti innovazioni nella disciplina dei metodi ADR, valorizzando e rafforzando attraverso molteplici e significative disposizioni gli istituti della mediazione e della negoziazione assistita, e rivisitando la disciplina codicistica dell’arbitrato.

Per la mediazione sono stati individuati e precisati gli incentivi fiscali indicati dalla legge delega (comma 4, lett. a), l. n. 206/2021), rideterminata l’area del tentativo obbligatorio di mediazione, quale condizione di procedibilità della domanda, estendendola, secondo la scelta ponderata tracciata dalla delega, alle controversie che investono rapporti di durata (comma 4, lett. b), l. n. 206/2021) e data attuazione agli ulteriori principi contenuti nel comma 4 l. n. 206/2021 relativi al procedimento di mediazione nel suo complesso, a specifiche aree nelle quali la mediazione può intervenire, alla mediazione demandata dal giudice, nonché alla disciplina sulla formazione e l’aggiornamento dei mediatori, sugli organismi e sui responsabili di questi ultimi.

Per quanto riguarda la negoziazione assistita, la stessa è stata valorizzata riconoscendone l’esperibilità in aree prima precluse o mediante contenuti prima non consentiti (in particolare nell’ambito della regolamentazione delle controversie di lavoro, o attraverso la possibilità di riconoscere un assegno di divorzio in unica soluzione, alle quali va aggiunta l’ulteriore fondamentale modifica, già direttamente introdotta dal comma 35 l. n. 206/2021 con norma immediatamente precettiva, relativa alla possibilità di ricorrere a tale procedimento al fine di raggiungere una soluzione consensuale tra i genitori per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica della condizioni già determinate, oltre che per la determinazione dell’assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e per la determinazione degli alimenti). Sempre nell’ambito della negoziazione assistita è stata poi introdotta l’importante previsione di una istruttoria stragiudiziale, mediante acquisizione di dichiarazioni da parte di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia e nella richiesta alla controparte di dichiarare per iscritto la verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte richiedente, con finalità ed effetti propri della confessione stragiudiziale (comma 4, lett. s), l. n. 206/2021). Si tratta di una innovazione importante, che apre a nuovi scenari nella fissazione dei fatti anche ai fini dell’eventuale futuro giudizio introdotto in caso di insuccesso della negoziazione assistita e contribuisce a realizzare, se non già una vera e propria “giurisdizione forense” (giacché il sintagma è per sua natura ossimorico), quanto meno una forma di giustizia complementare realizzata attraverso il costruttivo apporto degli avvocati.

Infine, per quanto riguarda l’arbitrato, che, costituendo a pieno titolo un processo al quale viene oltre tutto ormai riconosciuta valenza giurisdizionale, può considerarsi alternativo unicamente al processo ordinario di cognizione, oltre alle ulteriori innovazioni di cui si darà conto, in attuazione dei principi della delega, viene rafforzato il principio di imparzialità e indipendenza degli arbitri e attribuito agli stessi, laddove vi sia una sottostante volontà delle parti in tal senso, il potere di emanare provvedimenti cautelari, così colmando una lacuna che differenziava il nostro sistema da quello degli ordinamenti a noi geograficamente e culturalmente più vicini.

Gli interventi sopra tratteggiati e gli ulteriori indicati nello schema di decreto legislativo permetteranno quindi di ricorrere con maggiore effettività alle forme di giustizia complementare, dando così un vantaggio diretto e immediato ai consociati e l’ulteriore indiretto apprezzabile effetto di alleggerimento del ricorso alla giurisdizione ordinaria.

Sempre in relazione all’obiettivo di semplificazione sono contenuti molteplici interventi relativi all’assetto del giudizio di primo grado, che spaziano dalla ripartizione delle competenze alla struttura degli organi giudiziari, con una rideterminazione in aumento della competenza del giudice di pace (in attuazione del principio indicato nel comma 7, lett. b), l. n. 206/2021) e con una riduzione dei casi in cui il tribunale opera in composizione collegiale (in attuazione del principio indicato nel comma 6, lett. a), l. n. 206/2021).

Le nuove disposizioni relative al processo ordinario di primo grado mirano a perseguire gli obiettivi generali, dal legislatore delegante ulteriormente specificati nell’intento di “assicurare la semplicità, la concentrazione e l’effettività della tutela e la ragionevole durata del processo” (comma 5, lett. a), l. n. 206/2021). Si è a tal fine intervenuto sulla disciplina della fase introduttiva, con lo scopo di perseguire una maggiore concentrazione e pervenire alla prima udienza con la già avvenuta completa definizione del thema decidendum e del thema probandum, consentendo al giudice, attraverso le necessarie verifiche preliminari anticipate, un più esteso case management volto, tra le altre possibilità, anche a favorire il passaggio dal rito ordinario a quello semplificato.

La complessiva scansione dell’iter giudiziale è stata a sua volta semplificata, sopprimendo alcune udienze, come quella per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio (comma 17, lett. n), l. n. 206/2021) e quella di precisazione delle conclusioni, sostituita dallo scambio di note scritte, e cadenzata attraverso l’obbligo del giudice di predisporre il calendario del processo alla prima udienza (comma 5, lett. i), l. n. 206/2021) e la previsione di un termine non superiore a novanta giorni dalla prima udienza per l’udienza per l’assunzione delle prove (comma 5, lett. i), l. n. 206/2021).

Anche la fase decisoria del giudizio di primo grado è stata interamente novellata, con la previsione di termini difensivi finali ridotti e a ritroso dalla finale rimessione della causa in decisione (comma 5, lett. l), l. n. 206/2021).

Il decreto legislativo ha poi inteso realizzare la semplificazione dei procedimenti attraverso il rafforzamento di un modello processuale già esistente, il procedimento sommario di cognizione (articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile) denominato ora procedimento semplificato di cognizione e reso obbligatorio per ogni controversia, anche di competenza del tribunale in composizione collegiale, quando i fatti di causa non siano controversi oppure quando la domanda sia fondata su prova documentale o di pronta soluzione o comunque richieda un’attività istruttoria non complessa (comma 5, lettera n), l. n. 206/2021; artt. 281-decies e seguenti c.p.c.). E ancora, sono stati introdotti provvedimenti estremamente semplificati di accoglimento o di rigetto, rispettivamente per i casi in cui i fatti costitutivi sono provati e le difese del convenuto appaiono manifestamente infondate, oppure quando la domanda è manifestamente infondata o è omesso o risulta assolutamente incerto la determinazione della cosa oggetto della domanda o l’esposizione dei fatti e degli elementi che costituiscono le ragioni della domanda ex articolo 163, terzo comma, numero 3) del codice di procedura civile (comma 5, lettera o), l. n. 206/2021; art. 183-ter c.p.c. e art. 183-quater c.p.c.).

La riforma contiene numerosi interventi semplificatori e acceleratori anche con riferimento alle impugnazioni. In relazione al giudizio di appello è stata prevista, inter alia, una rivalutazione della figura del consigliere istruttore in grado di appello e la devoluzione in capo allo stesso di ampi poteri di direzione del procedimento, la revisione dell’attuale disciplina dei “filtri” nelle impugnazioni, prevedendo per l’appello che l’impugnazione che non ha una ragionevole probabilità di essere accolta sia dichiarata manifestamente infondata e che la decisione di manifesta infondatezza sia assunta a seguito di trattazione orale con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi, modificando conseguentemente gli articoli 348-bis e 348-ter del codice di procedura civile (comma 8, l. n. 206/2021).

Per il giudizio in Cassazione sono state previste modifiche volte a rendere più celere, rispetto all’ordinaria sede camerale, la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati (comma 9, lettera e), l. n. 206/2021) e a introdurre un nuovo istituto, il rinvio pregiudiziale in Cassazione, consistente nella possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto(comma 9, lett. g), l. n. 206/2021).

Sempre nell’ambito del sistema delle impugnazioni, e in attuazione del principio contenuto nel comma 10 l. n. 206/2021, è stata introdotta una nuova ipotesi di revocazione delle sentenze il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario, in tutto o in parte, alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ovvero a uno dei suoi Protocolli, a condizione che si tratti di specifiche violazioni, riferibili segnatamente ai diritti personali o di stato (nuovo art. 391-quater c.p.c.). 

Ed è sempre l’obiettivo della semplificazione, e con essa di una più incisiva effettività, ad avere ispirato gli interventi effettuati sul processo del lavoro (comma 11 l. n. 206/2021), sul processo esecutivo (comma 12 l. n. 206/2021), nonché alcuni interventi sui procedimenti speciali, in particolare nell’ambito della giurisdizione volontaria, riconoscendo la possibilità di delegare determinate funzioni, oggi necessariamente attribuite al giudice, anche a professionisti (in primis, i notai, comma 13, lett. b), l. n. 206/2021) ).

Infine, rilevanti innovazioni sono state introdotte nel settore del diritto processuale della famiglia, che si caratterizzava per la molteplicità e proliferazione dei modelli processuali, in assenza di un disegno organico e unitario. Tale realtà si è rivelata nel tempo come un fattore di criticità sotto molteplici profili, dalla individuazione per la parte delle forme necessarie per dare avvio al procedimento, alla stessa organizzazione dei carichi per gli uffici giudiziari, per tacere infine dei diversi gradi di tutela talvolta anche incongruamente attribuiti a fattispecie analoghe quando non del tutto omologhe. In attuazione ai principi assegnati dal legislatore delegante e nel concreto esercizio della delega si è quindi inteso realizzare, secondo un’inversione di tendenza rispetto al passato, un modello generale e organico, il procedimento unitario in materia di persone, minorenni e famiglie (art. 473-bis e seguenti c.p.c.), valevole per la generalità dei procedimenti contenziosi che hanno ad oggetto i diritti della persona, dei minori e delle famiglie (con alcune specifiche eccezioni) (comma 23, l. n. 206/2021).

Accanto alla riforma processuale della famiglia si è realizzata anche la riforma ordinamentale, in risposta alle esigenze evidenziate da decenni di individuare un giudice unitario dotato di competenza per tutte le controversie familiari e minorili, così da evitare i non indifferenti problemi determinati dall’attuale sistema di ripartizione delle competenze tra tribunale ordinario e tribunale per i minorenni. Da questo punto di vista, l’unificazione delle competenze rappresenta un obiettivo particolarmente apprezzabile non soltanto dal punto di vista sistematico, e con esso in relazione all’aspetto etico-valoriale di individuazione di un’unica autorità giudiziaria dotata della potestas decidendi su tutti i profili che riguardano in particolare i minori, ma si dimostra anche del tutto congruente con gli obiettivi di semplificazione e alleggerimento del contenzioso propri della riforma. Invero, la moltiplicazione delle controversie ingenerata dalla duplicità dei tribunali rappresenta un dato anche di appesantimento del contenzioso, considerato che una larga fetta del contenzioso civile è da ascrivere proprio alla materia delle persone e della famiglia e su questo aspetto, pertanto, la riforma potrà sicuramente contribuire a una riduzione del complessivo contenzioso.

Ma la riforma non si limita a intervenire sui diversi settori del processo civile.

La stessa introduce norme che potrebbero essere definite come “trasversali”, occupandosi di molteplici modelli processuali, sino a interessare pressoché tutti i settori della giustizia. A tal fine, e in primo luogo, in ossequio a un’esigenza sempre più avvertita che risponde del resto anche alle mutate modalità di ogni forma di relazione e di comunicazione, nella generale finalità di aumentare la digitalizzazione nell’amministrazione della giustizia, la riforma ha inteso rafforzare gli strumenti informatici e le modalità di svolgimento delle udienze da remoto, prevedendo l’estensione e il rafforzamento del processo civile telematico nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d’appello e alla Corte di cassazione (comma 17, lettere a) – c) e h), l. n. 206/2021), la semplificazione delle modalità di versamento del contributo unificato (comma 17, lettera f), l. n. 206/2021), e la possibilità per il giudice, fatta salva la possibilità per le parti costituite di opporsi, di disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice si svolgano con collegamenti audiovisivi a distanza o siano sostituite dalla modalità cd. a trattazione scritta, dallo scambio di note (comma 17 lett. l), l. n. 206/2021).

Anche i profili strettamente organizzativi, fondamentali nel quadro di una compiuta riforma della giustizia, devono essere tenuti in debita considerazione. In questa prospettiva la valorizzazione della figura e della composizione dell’ufficio per il processo che la legge delega ha sottolineato, incaricato del necessario supporto al giudice che dovrà decidere la controversia a svolgere in modo più efficiente tutto il lavoro preparatorio alla decisione stessa e diversamente articolato avanti al tribunale, alla corte d’appello e alla Corte di cassazione (in relazione alle specificità proprie dei giudizi che si svolgono avanti ai singoli organi giudiziari), è stata demandata, per le sue specificità, ad altro decreto legislativo.

Infine, lo schema di decreto legislativo che viene presentato si caratterizza anche per aver posto l’accento, attraverso molteplici disposizioni che seguono gli snodi fondamentali del processo ordinario e dei procedimenti speciali, sulla dimensione valoriale del processo, sottolineando il ruolo fondamentale di alcuni principi, quali quelli della chiarezza e sinteticità degli atti e dei provvedimenti del giudice (comma 17, lettere d) ed e), l. n. 206/2021) e quello della collaborazione tra le parti e il giudice. In questa prospettiva, anche attraverso una rimeditata e più puntuale applicazione degli strumenti sanzionatori a disposizione del giudice (in primis, nella definitiva liquidazione delle spese di lite, nell’applicazione delle diverse forme di condanna di cui all’art. 96 c.p.c.), ma anche nella stessa valutazione del comportamento processuale ai fini della decisione, si è inteso rafforzare i principi di lealtà, trasparenza che devono improntare il giusto processo.

 

Capo I

Modifiche al codice civile ed alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie

Art. 1 – (Modifiche al codice civile)

 

L’articolo 1 dello schema di decreto legislativo contiene modifiche al codice civile.

 

Comma 1

Il primo comma apporta modifiche all’articolo 145 c.c., in attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lettera ii), l. n. 206/2021 che prevede di “procedere al riordino della disciplina di cui agli articoli 145 e 316 del codice civile, attribuendo la relativa competenza al giudice anche su richiesta di una sola parte e prevedendo la possibilità di ordinare al coniuge inadempiente al dovere di contribuire ai bisogni della famiglia previsto dall'articolo 143 del codice civile di versare una quota dei propri redditi in favore dell'altro; prevedere altresì che il relativo provvedimento possa valere in via esecutiva diretta contro il terzo, in analogia a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898”. L’attuale primo comma dell’articolo 145 del codice civile prevede che, in caso di disaccordo sull’indirizzo della vita familiare o sulla fissazione della residenza, ciascuno dei coniugi possa rivolgersi al giudice che tenta di raggiungere una soluzione concordata. La modifica precisa, in armonia con tutta la disciplina dell’ascolto del minore e con il disposto dell’articolo 315 bis del codice civile, che il minore che abbia compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore, se capace di discernimento, debba essere ascoltato dal giudice. Le modifiche apportate al secondo comma prevedono che il giudice, quando gliene viene fatta richiesta anche da uno solo delle parti, possa assumere con provvedimento non impugnabile la soluzione più adeguata all’interesse dei figli e alle esigenze della famiglia. Il terzo comma, in attuazione del principio di delega prevede che in caso di inadempimento agli obblighi di mantenimento di cui all’articolo 143 si applichi quanto previsto dall’articolo 316 bis del codice civile. L’ulteriore principio della delega (“prevedere altresì che il relativo provvedimento possa valere in via esecutiva diretta contro il terzo, in analogia a quanto previsto dall'articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898”) è stato attuato mediante la previsione dell’articolo 473 bis. 37 c.p.c. che si estende anche al contributo fissato prima dell’introduzione del giudizio di separazione.

Comma 2

Il secondo comma, alla lettera a) in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1 comma 23, lett. ll), abroga i commi 4, 5, 6 e 7 dell’articolo 156 c.c., essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa alle garanzie patrimoniali, contenuta negli articoli 473-bis.36 c.p.c. e 473-bis.37 c.p.c.; la lett. b), in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1 comma 23, lett. hh), abroga il secondo comma dell’articolo 158 c.c., essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa ai procedimenti su istanza congiunta all’articolo 473-bis.51 c.p.c.

 

Comma 3

Il terzo comma, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1 comma 22, lett. a) modifica il quarto comma dell’articolo 250 c.c., armonizzandolo con i principi che reggono il nuovo rito unitario in materia di procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie. A fronte del rifiuto del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio al riconoscimento da parte dell’altro, quest’ultimo può rivolgersi al tribunale del luogo di residenza abituale del minore. Il procedimento segue le norme delineate dal nuovo rito unitario; il giudice, in linea con quanto previsto dall’articolo 250 del codice civile nella sua attuale formulazione, può adottare, in ogni momento e dunque anche prima della decisione sullo status i provvedimenti ritenuti opportuni per instaurare la relazione tra il figlio colui che ha richiesto il riconoscimento.

 

Comma 4

Il quarto comma alla lettera a) apporta modifiche all’articolo 316 c.c. in attuazione dei principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lettere d), seconda parte, e ii), della legge delega. Con le modifiche inserite al primo comma, è specificato che le scelte della residenza abitazione e dell’istituto scolastico per il figlio minore rientrano tra le questioni di particolare importanza che devono essere assunte concordemente dai genitori ovvero, in caso di dissenso e su richiesta di uno di essi, dal giudice. Le modifiche apportate al terzo comma precisano, in analogia con quelle apportate all’articolo 145 e in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 23, lett. ii) della l. n. 206/2021 che il giudice, sentite le parti e ascoltato il figlio, secondo le regole generali dell’ascolto del minore, ove i genitori non raggiungano un accordo, assume, anche su richiesta di uno solo dei genitori, le determinazioni che ritiene utili a realizzare l’interesse del minore. Il tribunale provvede in camera di consiglio in composizione monocratica, giusta la previsione dell’articolo 151-ter disp. att. c.c.

La lettera b) del quarto comma in attuazione del criterio di delega di cui all’art. 1 comma 22, lett. a) contiene alcune modifiche necessarie ad armonizzare l’articolo 316-bis c.c. con i principi del rito unitario. In particolare, è previsto: a) che la trattazione del procedimento sia delegata a un giudice del tribunale; b) che sia al procedimento di opposizione (attualmente regolato dalle norme in materia di opposizione al decreto ingiuntivo) sia a quello di successiva modifica (attualmente regolato dalle norme del processo unitario) si applichino le norme che disciplinano il nuovo rito unitario.

La lettera c) contiene modifiche all’articolo 320 c.c., di coordinamento con la soppressione della competenza del tribunale in composizione collegiale nella materia relativa alle autorizzazioni relative al compimento di atti da parte di soggetti incapaci (minori o soggetti sottoposti a misure di protezione) e l’attribuzione della competenza al solo giudice tutelare (che nell’attuale sistema rende un mero parere non vincolante).

La lettera d), contenente modifica dell’articolo 336 c.c., attua i principi di delega contenuti nell’articolo 1, comma 22 (Il decreto o i decreti legislativi attuativi della delega di cui al comma 1 sono adottati altresì nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: a) curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega) e comma 26 (Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, il decreto o i decreti legislativi recanti modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cognizione di primo grado davanti al tribunale in composizione collegiale sono adottati nel rispetto del seguente principio e criterio direttivo: modificare l'articolo 336 del codice civile, prevedendo che la legittimazione a richiedere i relativi provvedimenti competa, oltre che ai soggetti già previsti dalla norma, anche al curatore speciale del minore, qualora già nominato; che il tribunale sin dall'avvio del procedimento nomini il curatore speciale del minore, nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento; che con il provvedimento con cui adotta provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, il tribunale fissi l'udienza di comparizione delle parti, del curatore del minore se nominato e del pubblico ministero entro un termine perentorio, proceda all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto, e all'esito dell'udienza confermi, modifichi o revochi i provvedimenti emanati). Viene in primo luogo modificata la rubrica della norma, che non fa più riferimento all’intero procedimento, ormai retto dalle regole del nuovo rito unitario, con il solo richiamo alla legittimazione ad agire. A tal fine, sono modificati i criteri attributivi della legittimazione ad agire, in linea con l’impianto generale della riforma. I provvedimenti già de potestate potranno essere richiesti al giudice competente (tribunale ordinario o tribunale per i minorenni, a seconda dai casi) non solo dal pubblico ministero o dai genitori ma anche dal curatore speciale del minore, se nominato. Si è data così attuazione agli altri principi espressi all’articolo 1, comma 26, l. n. 206/2021, negli articoli 473-bis.8 c.p.c., 473-bis.9 c.p.c. per quanto attiene alla nomina del curatore del minore; nell’articolo 473 bis.15 c.p.c. per quanto attiene l’udienza di conferma, revoca o modifica dei provvedimenti inaudita altera parte; negli articoli 473-bis.4 c.p.c. e 473-bis.5 c.p.c. per quanto attiene all’ascolto del minore. Rispetto alla formulazione attuale, l’articolo 336 c.c. come modificato non deve più dettare indicazioni di natura processuale, giacché anche i procedimenti già de potestate e oggi de responsabilitate sono regolati dalle norme generali di cui agli articoli 473-bis ss. c.p.c., in attuazione del principio di delega sull’unicità del rito contenuto nell’art. 1, comma 23, lett a). In particolare, gli altri criteri direttivi richiamati dalla norma di legge delega devono intendersi rispettati per effetto del richiamo al Titolo IV bis. In particolare: a) “che il tribunale sin dall'avvio del procedimento nomini il curatore speciale del minore, nei casi in cui ciò è previsto a pena di nullità del provvedimento di accoglimento” è già previsto dall’art. 473-bis.8 c.p.c.; b) “che con il provvedimento con cui adotta provvedimenti temporanei nell'interesse del minore, il tribunale fissi l'udienza di comparizione delle parti, del curatore del minore se nominato e del pubblico ministero entro un termine perentorio proceda all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto, e all'esito dell'udienza confermi, modifichi o revochi i provvedimenti emanati”. Tale indicazione, nel caso di provvedimenti indifferibili di cui all’art. 473 bis. 15 c.p.c., è già individuata nella previsione dell’udienza di comparizione entro quindici giorni. Più complesso il caso dei provvedimenti provvisori di cui all’art. 473-bis.22 c.p.c. Da un lato, per questi provvedimenti è comunque già rispettato il diritto al contraddittorio nella fase precedente l’emanazione del provvedimento (e il pubblico ministero è interveniente); dall’altro ritenere obbligatoria la comparizione delle parti a un’udienza successiva sarebbe un “non senso” processuale. In ogni caso il criterio delle delega, anche per la previsione della parte successiva (“all’esito dell’udienza conferma modifica o revoca i provvedimenti emanati”) non può che riferirsi ai provvedimenti indifferibili di cui all’art. 473-bis.15 c.p.c.; c) “proceda all'ascolto del minore, direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto”. L’ascolto del minore è già previsto come regola generale per tutti i procedimenti (artt. 473-bis.4 ss. c.p.c.).

La norma mantiene infine l’ultimo comma relativo alla assistenza del difensore per i genitori e per il minore.

La lettera e) abroga l’articolo 336-bis c.c. in quanto le norme sull’ascolto del minore sono state organicamente accorpate negli artt. 473-bis.4 ss. c.p.c. e negli articoli 152-quater e 152-quinquies disp. att. c.p.c.

 

Comma 5

Il quinto comma alla lettera a), in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 22, lett. a) introduce modifiche al secondo comma dell’articolo 337-ter c.c., così da armonizzarlo con le nuove disposizioni.

In primo luogo, e per quanto riguarda la disciplina in materia di provvedimenti relativi ai figli in caso di separazione dei genitori e in particolare gli accordi raggiunti in tale ambito dei quali le parti chiedono al giudice la ricezione, si è introdotto un coordinamento con il profilo per il quale l’eventuale accordo sia frutto di un percorso di mediazione familiare

Non sembra ragionevole, infatti, che un accordo formato dopo un percorso di mediazione sia tenuto nel medesimo conto di uno che non sia frutto di tale percorso; si è di conseguenza emendato l’art. 337-ter c.c., prevedendo che il giudice, nel prendere atto degli accordi intervenuti tra i genitori (beninteso quando non li ritenga contrari all’interesse dei figli), debba considerare in modo particolare gli accordi cui i genitori sono pervenuti tramite il percorso di mediazione familiare.

In secondo luogo, viene poi inserito il richiamo alle leggi speciali con riferimento ai presupposti e ai limiti dell’affidamento del minore terzi secondo la nuova formulazione adottata in forza dei principi di delega di cui al comma 23, lett. ff) e gg), degli articoli 4 e seguenti della l. n. 184/1983.

A tal fine si prevede che all’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio ovvero “su richiesta del pubblico ministero”; e si abroga infine l’inciso finale “A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare”, essendo ormai l’iniziativa per l’attuazione dei provvedimenti direttamente riconosciuta in capo allo stesso pubblico ministero.

La lettera b), in attuazione del principio di delega di cui all’art. 1 comma 22, lett. a) abroga l’articolo 337-octies c.c., in quanto contenente disposizioni di natura processuale che trovano, oggi, la loro collocazione nel Titolo IV bis del Libro II del codice di procedura civile.

 

Comma 6

Il comma 6 contiene una modifica dell’articolo 350 c.c. necessaria per esigenze di coordinamento con il nuovo articolo 38ter disp. att. c.c. (cfr. infra), che si è preferito mantenere unitario sia perché relativo a un ambito di applicazione definito, sia perché valevole per una serie di figure diversificate.

 

Commi 7-10

Gli interventi di cui al comma 4, lett. c), nonché di cui ai commi da 7 a 10, attuano la disposizione di cui al comma 13, lett. a), della legge delega che prescrive di “ridurre i casi in cui il tribunale provvede in composizione collegiale, limitandoli alle ipotesi in cui è previsto l'intervento del pubblico ministero ovvero ai procedimenti in cui il tribunale è chiamato a pronunciarsi in ordine all'attendibilità di stime effettuate o alla buona amministrazione di cose comuni, operando i conseguenti adattamenti delle disposizioni di cui al capo VI del titolo II del libro IV del codice di procedura civile e consentendo il rimedio del reclamo di cui all'articolo 739 del codice di procedura civile ai decreti emessi dal tribunale in composizione monocratica, individuando per tale rimedio la competenza del tribunale in composizione collegiale”.

Si è dunque soppressa la competenza del tribunale in composizione collegiale nella materia relativa alle autorizzazioni relative al compimento di atti da parte di soggetti incapaci (minori o soggetti sottoposti a misure di protezione), attribuendo dunque la competenza al solo giudice tutelare (che nell’attuale sistema rende un mero parere non vincolante).

In tal senso sono stati novellati, oltre all’articolo 320, comma 5, c.c. con riguardo alla continuazione dell’impresa commerciale, l’articolo 374 c.c., che ingloba nella competenza del giudice tutelare tutte le ipotesi di autorizzazione nell’interesse dell’interdetto, ivi incluse quelle oggi contemplate dall’articolo 375 c.c. di competenza del collegio. Si è conseguentemente provveduto a sopprimere l’articolo 375 c.c. e a novellare 376 c.c.

Analoghi interventi sono stati operati con riguardo agli articoli 394, comma 3, 395 e 397 c.c. relativamente all’emancipato e all’articolo 425 c.c. con riguardo all’inabilitato.

Ai fini del necessario coordinamento conseguente alla modifica degli articoli 374, 375 e 376 è stato inoltre soppresso il secondo periodo dell’articolo 411, primo comma, c.c. in materia di amministrazione di sostegno, nonché il richiamo all’articolo 376, comma 2, contenuto nell’articolo 45 delle disposizioni di attuazione al codice civile, regolante la competenza a decidere i reclami [cfr. art. 2, comma 1, lettera e) del presente schema di decreto legislativo].

 

Comma 11

Le disposizioni di cui ai commi 11-14 contengono infine mere disposizioni di coordinamento.

Il comma 11 modifica l’articolo 1137 c.c. per allineare il testo alle modifiche apportate all’articolo 668 octies del codice di procedura civile: non è più necessario prevedere l’esclusione dell’applicazione di tale disposizione processuale. Infatti, in attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q) sono state apportate modifiche all’articolo 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, al comma settimo, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previso dall’articolo 669-octies c.p.c. e dal primo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma del codice civile, fermo restando anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito.

 

Commi 12 e 13

Nella versione dello schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in sede di esame preliminare si prevedeva che l’articolo 2113 c.c. fosse modificato per conferire agli accordi di negoziazione la stabilità protetta di cui al relativo ultimo comma, integrando tale norma anche con l’espresso richiamo alla conciliazione conclusa a seguito di una procedura di negoziazione assistita. La modifica è stata però espunta, al fine di conformarsi a quanto richiesto dalle competenti Commissioni del Senato e della Camera nei pareri resi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge n. 206/2021.

Quanto ai commi 12 e 13 (già 13 e 14), si osserva che il legislatore delegante, mediante la previsione del comma 10, lettera b) ha compiuto lo sforzo di conciliare il diritto di azione delle parti vittoriose a Strasburgo con quello di difesa dei terzi i diritti dei terzi di buona fede sorti all’esito del giudicato nazionale civile, allorché siano rimasti estranei al processo convenzionale: in attuazione di tale previsione, anche in forza della previsione della legge delega di cui al comma 10, lettera f) si è estesa a loro tutela la disciplina degli articoli 2652, primo comma, e 2690, primo comma, c.c. sugli effetti prenotativi della trascrizione già previsti per gli altri casi di revocazione con effetto automatico senza l’attesa del decorso del tempo previsto per le altre ipotesi. Preme chiarire che l’inciso “terzi di buona fede che non hanno partecipato al processo svoltosi innanzi a tale Corte” è riferibile ai soli terzi di buona fede dovendosi per costoro prevedere, in analogia a quanto già previsto per gli altri motivi di revocazione straordinaria dall’art. 391 quater c.p.c., la medesima deroga al principio resoluto iure dantis, resolvitur et ius accipientis. In tali ipotesi, dunque, se la domanda di revocazione è trascritta prima della trascrizione della sentenza impugnata, la sentenza che l’accoglie non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda. Tale esegesi è in linea con la nuova previsione dell’onere informativo posto a carico dell’Agente del governo che renderà di fatto tutte le parti del processo nazionale in grado di partecipare o fornire elementi informativi alla Corte europea, con ciò assolvendo il proprio onere legato alla buona fede, potendo peraltro le stesse poi eventualmente far valere le proprie doglianze e, con esse, il proprio diritto di difesa, nella fase rescissoria del giudizio di revocazione.

Da ultimo il comma 12, lett. b) modifica l’articolo 2658 c.c. (che disciplina gli atti da presentare al conservatore) per renderlo compatibile con il nuovo rito semplificato di cognizione e disciplinare la modalità di richiesta di trascrizione nei casi in cui la domanda giudiziale si introduce con ricorso, circostanza che appunto avviene nel rito semplificato. È stato previsto che quando la domanda giudiziale si propone con ricorso, la parte che chiede la trascrizione presenta copia conforme dell’atto che la contiene munita di attestazione della data del suo deposito presso l’ufficio giudiziario.

 

Art. 2 – (Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice civile e disposizioni transitorie)

 

L’articolo 2 dello schema di decreto legislativo contiene modifiche alle disposizioni di attuazione del codice civile e disposizioni transitorie.

 

Comma 1

Il comma 1, alla lettera a), in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è proceduto ad alcune modifiche dell’articolo 38 disp. att. c.c., per coordinarlo con le innovazioni disciplinate dalle nuove norme sul rito unitario. Così, in primo luogo, si è dovuto sostituire il richiamo agli articoli 710 c.p.c. e 9 l. divorzio (ora abrogati), con l’inciso più generico relativo alla pendenza di “procedimento per la modifica delle condizioni dettate da precedenti provvedimenti a tutela del minore”. Analogamente, nel secondo comma, si è sostituito il richiamo all’articolo 709-ter c.p.c., mediante l’indicazione di ricorso (e di procedimento) per l’irrogazione delle sanzioni in caso di inadempienze o violazioni. Il meccanismo della translatio previsto dalla norma è ora previsto dall’articolo 473-bis.39 c.p.c., ma non già anche per i procedimenti con i quali si chiede (unicamente) l’irrogazione delle sanzioni, e per tale ragione la disposizione merita di essere mantenuta, coordinandola con il nuovo testo. Si è poi abrogato l’inciso per il quale “Nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile”, tenuto conto che detti procedimenti seguono ormai la struttura e le regole del nuovo rito unitario. Analogamente si è abrogato il periodo iniziale dell’ultimo comma, per il quale “Fermo restando quanto previsto per le azioni di stato, il tribunale competente provvede in ogni caso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, e i provvedimenti emessi sono immediatamente esecutivi, salvo che il giudice disponga diversamente”, e si è adeguata la chiusa della norma specificando che “Quando il tribunale per i minorenni procede ai sensi dell’articolo 737 del codice di procedura civile, il reclamo si propone davanti alla sezione di corte di appello per i minorenni”.

La lettera b) abroga l’articolo 38-bis disp. att. c.c., in quanto le norme sull’ascolto del minore state organicamente accorpate negli artt. 473-bis.4 e seguenti c.p.c. e negli artt. 152-quater e 152-quinquies disp. att. c.p.c.

La lettera c), in attuazione del principio di cui al comma 23, lett. gg), n. 1, della legge delega (che prevede l’individuazione di cause di incompatibilità “con l’assunzione dell’incarico di consulente tecnico d’ufficio nonché con lo svolgimento delle funzioni di assistente sociale nei procedimenti che riguardano l’affidamento di minori, per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o che fanno parte degli organi sociali di società che gestiscono, nonché per coloro il cui coniuge, parte dell’unione civile, convivente, parente o affine entro il quarto grado svolge le medesime funzioni presso le citate strutture o comunità”), ha introdotto l’articolo 38-ter disp. att. c.c. che, nei procedimenti riguardanti l’affidamento dei minori e l’esercizio della responsabilità genitoriale, sancisce il divieto di svolgimento delle funzioni di tutore, curatore, curatore speciale, consulente tecnico d’ufficio o di assistente sociale per coloro che rivestono, o hanno rivestito nei due anni antecedenti, cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, o partecipano alla gestione delle medesime strutture, o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o fanno parte degli organi di società che le gestiscono.

Il secondo comma della norma in commento vieta, altresì, l’assunzione dell’incarico di consulente tecnico e lo svolgimento delle funzioni di assistente sociale a coloro il cui coniuge, parte dell’unione civile, convivente o parente entro il quarto grado svolge, o ha svolto nei due anni antecedenti, le funzioni di cui al primo comma. Si deve porre in luce che le precisazioni temporali, anche non formalmente ricomprese nella delega, sono state indicate al fine di dare un significato effettivo alla norma, poiché diversamente risulterebbe agevole eludere il divieto. Il legislatore delegato ha poi individuato ulteriori destinatari delle cause di incompatibilità rispetto a quelli indicati nella delega, menzionando in particolare anche il curatore, il curatore speciale e il tutore del minore in quanto persone che, per il ruolo rivestito, sono portatori dell’interesse del minore nel procedimento. Il fondamento del divieto sancito dalla disposizione in oggetto è da ravvisare nell’esigenza di assicurare maggiore trasparenza nei procedimenti relativi all’affidamento di minori garantendo così la terzietà-imparzialità di coloro i quali sono chiamati a svolgere delicate funzioni nel processo, evitando così il rischioso conflitto di interesse tra strutture di accoglienza e soggetti che ricoprono il ruolo di consulente tecnico, assistente sociale, tutore, curatore e curatore speciale del minore.

La lettera d) abroga l’articolo 41 disp. att. c.c., essendo il suo contenuto di fatto trasposto ed assorbito nel nuovo articolo 152-ter disp. att. c.p.c.

Le lettere f), g) e h) contengono modifiche agli articoli 47, 49 e 51 disp. att. c.c. e costituiscono il completamento dell’attuazione di uno dei principi di delega contenuti nell’articolo 1, comma 23, lett. dd), l. n. 206/2021 nella parte in cui è stato disposto che sia prevista: “la possibilità di nomina di un tutore del minore, anche d’ufficio, nel corso ed all’esito dei procedimenti di cui alla lettera a), ed in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile.”. Con le modifiche apportate all’articolo 330 c.c. è stata prevista espressamente la possibilità di nomina di un tutore provvisorio, nel corso, di procedimento avente ad oggetto domanda di decadenza dalla responsabilità genitoriale dei genitori, e la necessità di disporre la nomina di tutore qualora all’esito del procedimento sia pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale di entrambi i genitori. Con le modifiche all’articolo 333 c.c. è stata prevista la possibilità per il giudice di nominare, con il provvedimento conclusivo che adotti misure limitative della responsabilità genitoriale, un curatore per il minore al quale potranno essere attribuiti specifici poteri di esercizio della responsabilità genitoriale (si richiama la relativa relazione illustrativa). L’articolo 473-bis.7 c.p.c., introducendo precise disposizioni nel codice di procedura civile, ha dettato le regole procedurali per la nomina del tutore, nel corso e all’esito di procedimenti ex articolo 330 c.c. e del curatore del minore, all’esito di procedimenti ex articolo 333 c.c. (si richiama la relativa relazione illustrativa dell’art. 473-bis.7). Le norme in esame hanno il fine di allineare alle nuove disposizioni i contenuti degli articoli 47, 49 e 51 delle disposizioni di attuazione del codice civile, che disciplinano i registri delle tutele e delle curatele tenuti presso l’ufficio del giudice tutelare. In particolare, è prevista la modifica dell’articolo 47, che disciplina la tenuta presso l’ufficio del giudice tutelare del registro delle tutele e delle curatele, prevedendo espressamente che nel registro delle curatele, allo stato destinato a registrare le sole curatele dei minori emancipati, vengano inserite anche le curatele dei minori, pronunciate ai sensi del novellato secondo comma dell’articolo 333, c.c., inserendo nel registro i provvedimenti con i quali, all’esito di procedimenti di limitazione della responsabilità genitoriale, sia stato nominato un curatore del minore; la modifica dell’articolo 49, che disciplina il registro delle curatele, prevedendo l’annotazione tra i provvedimenti che dispongono le curatele anche del provvedimento che dispone la curatela ai sensi dell’articolo 333 c.c., dunque all’esito di adozione di misura limitativa della responsabilità genitoriale che tale nomina abbia previsto, con ulteriori allineamenti destinati a prevedere l’annotazione degli elementi rilevanti per questa nuova figura di curatore; ed infine la modifica dell’articolo 51, che disciplina il registro delle tutele del minore, prevedendo che in tale registro vengano inserite anche le curatele, precisando che i relativi provvedimenti che dispongono le tutele e le curatele possono essere emessi non solo dal tribunale per i minorenni ma anche dal tribunale ordinario, adeguando la norma alle modifiche dell’articolo 38 disp. att c.c. che tale competenza ha attributo al suddetto organo giudicante nei limiti previsti e dando atto in particolare che nei registri delle tutele e delle curatele devono essere annotati, in capitoli speciali per ciascun minore, i provvedimenti emanati dal tribunale per i minorenni e dal tribunale ordinario ai sensi degli articoli 252, 262, 279, 316, 317-bis, 330, 332, 333, 334 e 335 del codice, e delle altre disposizioni della legge speciale che prevedono la nomina del tutore.

Comma 2

Il secondo comma dell’articolo 2 contiene modifiche all’articolo 71 quater disp. att. c.c. per ragioni di incompatibilità con la nuova disciplina di cui all’articolo 5-ter del d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.

 

Capo II Modifiche al codice di procedura civile ed alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie

 

Art. 3 – (Modifiche al codice di procedura civile)

 

Comma 1

I primi due commi dell’articolo 7 c.p.c. sono stati modificati per prevedere, in conformità alla delega (comma 7, lettera b), l’aumento di competenza del giudice di pace, secondo un criterio di valore.

La competenza è elevata, anche a seguito dei pareri formulati dalle Camere ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge delega, per le cause relative a beni mobili, a diecimila euro, e fino a venticinquemila per le cause indicate nel secondo comma.

 

Comma 2

Lettera a)

Come già evidenziato nella relazione della Commissione ministeriale di studio durante i lavori preparatori del disegno di legge delega, l’articolo 37 c.p.c. ha assunto, per effetto degli interventi della Corte regolatrice della giurisdizione, un significato nuovo, improntato ai principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo. Da un lato, la possibilità di sollevare l’eccezione di difetto di giurisdizione in qualunque stato e grado del processo è stata interpretata dalle Sezioni Unite nel senso che il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, con la conseguenza che, nei giudizi di impugnazione, il difetto di giurisdizione è rilevabile se dedotto con specifico motivo di gravame avverso il capo della pronuncia che, anche in modo implicito, ha statuito sulla giurisdizione. Dall’altro, il diritto vivente esclude che l’attore che abbia incardinato la causa dinanzi al giudice ordinario e sia rimasto soccombente nel merito, possa esercitare uno ius poenitendi sulla giurisdizione, sollevando con l’impugnazione l’auto-eccezione di difetto di giurisdizione. Dando attuazione al principio indicato nella lettera c) del comma 22 della legge delega, l’intervento di modifica intende adeguare la lettera della disposizione del codice alla sua reale portata. Per un verso, la riscrittura della disposizione modifica il primo comma dell’articolo 37, espungendo le parole «o dei giudici speciali». Si è così inteso restringere ai casi di difetto assoluto di giurisdizione la rilevabilità anche d’ufficio in qualunque stato e grado del processo del difetto di giurisdizione. Per altro verso, alle questioni di riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e i giudici speciali è dedicato il secondo comma. Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti del giudice amministrativo e dei giudici speciali è rilevato in primo grado anche d’ufficio. In sede di impugnazione, la discussione sulla giurisdizione è lasciata aperta quando vi sia un’eccezione in tal senso proposta con l’appello principale o con quello incidentale, con la conseguenza che il dibattito sulla relativa questione non può riaprirsi quando, dopo due gradi di giudizio, l’eccezione sia sollevata per la prima volta in sede di legittimità. Allo stesso tempo, si prevede espressamente che il difetto di giurisdizione non è proponibile dall’attore per contestare la giurisdizione del giudice che ha adito: valendo il principio di autoresponsabilità, l’attore non ha il potere di sollevare, con l’atto di appello, il difetto di giurisdizione del giudice da lui prescelto.

 

Lettera b)

Al terzo comma dell’articolo 40 c.p.c. è inserita la disciplina che dispone la prevalenza del rito semplificato di cognizione nei casi in cui si determina connessione (ai sensi degli articoli 31, 32, 34, 35 e 36) tra una causa sottoposta a tale rito e una causa invece da trattarsi con rito speciale diverso da quelli di cui agli articoli 409 e 422 del codice di procedura civile. L’intervento risponde alla finalità di operare un coordinamento fra l’eventuale coesistenza del nuovo rito semplificato di cognizione e altri riti speciali diversi da quelli in materia lavoristica e di locazione (art.1, comma 22 della legge delega).

 

Comma 3

Lettera a)

L’obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e la previsione (disciplinata in via regolamentare: articolo 27 d.m. n. 44/2011) della piena disponibilità per la controparte processuale degli atti depositati telematicamente hanno consentito di operare importanti modifiche, nel segno della semplificazione, speditezza e razionalizzazione del giudizio di legittimità, pur sempre nel rispetto della garanzia del contraddittorio (art. 1, comma 1, della legge delega):

L’articolo 47 c.p.c. terzo comma è stato modificato, quindi, al fine di semplificare la procedura di rimessione dei fascicoli alla cancelleria della Corte di cassazione nell’ambito del procedimento di regolamento di competenza. Non è più previsto l’onere della parte, nei cinque giorni successivi all’ultima notificazione del ricorso, di chiedere ai cancellieri degli uffici avanti ai quali pendono i processi interessati dal procedimento di regolamento di competenza la rimessione dei fascicoli alla cancelleria della Corte. Correlativamente è stato eliminato l’onere del giudice di disporre tale trasmissione, La parte è tenuta, con la nuova formulazione del comma, a depositare il ricorso e i relativi documenti, nel termine perentorio di venti giorni dalla notificazione.

Al quarto comma sono apportate modifiche di coordinamento con l’intervento operato al terzo comma.

Al quinto comma è stato eliminati il riferimento, non più pertinente per i depositi, alla cancelleria della Corte.

 

Lettera b)

Conseguentemente all’intervento operato sull’articolo 47 c.p.c., è stato modificato l’articolo 48 c.p.c., nel senso di prevedere che il giudizio di merito è sospeso dal giorno in cui viene depositata presso il giudice a quo copia del ricorso notificato o dell’ordinanza con cui è sollevato il regolamento di competenza.

 

Lettera c)

Si è novellato il primo comma dell’articolo 49 c.p.c., che in tema di regolamento di competenza continuava a prevedere – con una disposizione da sempre disattesa – che la Corte di cassazione dovesse pronunciare sulle relative istanze, addirittura entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito di memorie e scritti difensivi assegnato alle parti.

 

Comma 4

L’articolo 50 bis c.p.c., che elenca le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale, è stato modificato per attuare la previsione della lettera a) del comma 6 dell’articolo 1 della legge delega, la quale impone la riduzione dei casi in cui il tribunale decide in composizione collegiale, limitando a tale organo i casi di “oggettiva complessità giuridica” e tenendo conto della “rilevanza economico-sociale delle controversie”: si è proceduto all’abrogazione dei numeri 5 e 6 del primo comma, devolvendo quindi al giudice monocratico le cause di impugnazione delle deliberazioni dell'assemblea e del consiglio di amministrazione, nonché quelle di responsabilità da chiunque promosse contro gli organi amministrativi e di controllo, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società, delle mutue assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi e le cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesione di legittima.

 

Comma 5

In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche le disposizioni relative al curatore speciale del minore, introdotte dalla l. n. 206/2021 ai commi 30 e 31. In particolare, dunque, l’abrogazione dell’articolo 78, terzo e quarto comma, c.p.c., e dell’articolo 80, terzo comma, c.p.c. è correlata alla trasposizione dei relativi contenuti nell’articolo 473-bis.8 c.p.c.

 

Comma 6

All’articolo 96 c.p.c. è stato aggiunto un quarto comma per dare attuazione al comma 21, lettera a), della legge delega: esso contiene la previsione che nei casi di responsabilità aggravata, come disciplinati dal primo, secondo e terzo comma di tale disposizione, sia possibile comminare alla parte soccombente la sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 5.000, da versarsi a favore della cassa delle ammende, a compensazione del danno arrecato all’Amministrazione della giustizia per l’inutile impiego di risorse speso nella gestione del processo.

 

Comma 7

L’articolo 101 c.p.c. è stato modificato, in virtù della necessità di operare il dovuto coordinamento, come disposto dal comma 22 della legge delega, fra le disposizioni vigenti anche non direttamente oggetto di specifico intervento delegato, per rafforzare le garanzie processuali delle parti nel nuovo “modulo” del rito ordinario (a trattazione scritta anticipata rispetto alla prima udienza di comparizione delle parti davanti al giudice), così come – laddove occorra – se vi sia necessità di ripristinare “la parità delle armi” nel nuovo rito semplificato. È stato quindi inserito un nuovo periodo nel secondo comma che ribadisce il dovere del giudice di assicurare il rispetto del contraddittorio e, quando accerta che dalla sua violazione è derivata una lesione del diritto di difesa, adottare i provvedimenti opportuni.

 

Comma 8

In attuazione al comma 21, lettera b), della legge delega, avente come obiettivo quello di promuovere la leale collaborazione fra parti e giudice, al comma secondo dell’articolo 118 c.p.c. nei casi nei quali una parte si rifiuti di eseguire un ordine di ispezione a persone o cose comminato dal giudice nel corso dell’istruttoria, è stata prevista una sanzione pecuniaria, determinata in una somma di denaro non inferiore ad euro 500 e non superiore ad euro 3.000, da versarsi a favore della cassa delle ammende.

 

Comma 9

L’intervento normativo introduce in modo concreto nel processo civile il principio di sinteticità degli atti e trae origine da uno specifico criterio di delega contenuto nell’articolo 1, comma 17, lettera d), della legge delega. Detto intervento risulta ormai improcrastinabile non solo in un’ottica acceleratoria, ma anche tenuto conto dello sviluppo e del consolidamento del processo civile telematico che impone nuove e più agili modalità di consultazione e gestione degli atti processuali da leggere tramite video, tanto per le parti quanto per i giudici.

L’articolo 121 c.p.c. viene modificato con la codificazione dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti del giudice e delle parti. Detti principi sono ormai immanenti nel processo civile, come risulta dalla giurisprudenza consolidata della Cassazione, anche a sezioni unite, a partire dal 2014, la quale in più occasioni ha avuto modo di osservare come il principio di sinteticità degli atti processuali è stato introdotto nell'ordinamento processuale con l'articolo 3, secondo comma, del codice del processo amministrativo, che esprime un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, in quanto funzionale a garantire il principio di ragionevole durata del processo, costituzionalizzato con la modifica dell'articolo 111 della Costituzione, e il principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste ed il giudice (si vedano, fra le tante: Cassazione civile, Sezione 5, sentenza del 30 aprile 2020, n. 8425; Cassazione civile, Sezione 5, ordinanza del 21 marzo 2019, n. 8009; Cassazione civile, Sezioni Unite, sentenza del 17 gennaio 2017, n. 964; Cassazione civile, Sezione 2, sentenza del 20 ottobre 2016, n. 21297; Cassazione Civile, Sezione Lavoro, sentenza del 6 agosto 2014, n. 17698).

 

Comma 10

Le disposizioni introdotte al terzo comma dell’articolo 127 c.p.c., nonché nei nuovi articoli 127-bis e 127-ter c.p.c. attuano i criteri di delega dettati dall’articolo 1, comma 17, lettere l) ed m), della legge n. 206 del 2021. A tali disposizioni si aggiunge, pure in attuazione dei medesimi criteri di delega, il nuovo 196-duodecies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie.

Alla lettera a) è stato introdotto un nuovo terzo comma nell’articolo 127 c.p.c., rubricato “Direzione dell’udienza”), al fine di dettare una disposizione di principio ai sensi della quale il giudice può disporre che l’udienza si svolge mediante collegamenti audiovisivi a distanza o è sostituita dal deposito di note scritte, secondo le disposizioni di cui ai successivi articoli 127-bis e 127-ter, che regolamentano nel dettaglio tali modalità alternative rispetto all’udienza in presenza. Il terzo comma dell’articolo 127 subordina la possibilità di svolgimento dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza e della sostituzione dell’udienza con il deposito telematico di note scritte ad una decisione del giudice, in coerenza con il potere di direzione dell’udienza a quest’ultimo attribuito dal medesimo articolo 127.

L’articolo 127-bis c.p.c., inserito dalla lettera b) e rubricato “Udienza mediante collegamenti audiovisivi”, prevede al primo comma che lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza può essere disposto dal giudice quando non è richiesta la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice, come disposto dal criterio di delega. È pertanto esclusa la possibilità di tenere udienza in videoconferenza nel caso di escussione di testimoni, sommari informatori e, in generale, nel caso si renda necessaria la presenza all’udienza di soggetti ulteriori rispetto a quelli elencati dalla norma. Al fine di prevenire dubbi interpretativi, la disposizione precisa che l’udienza mediante collegamenti audiovisivi è consentita anche per l’udienza pubblica (in riferimento a quest’ultima, l’articolo 196-duodecies delle disposizioni di attuazione rinvia a provvedimenti del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia affinché ne sia garantita la pubblicità).

Il secondo comma regolamenta i termini di comunicazione del provvedimento del giudice e l’esercizio della facoltà di opposizione attribuita alle parti dal criterio di delega. Si prevede infatti che il provvedimento con il quale il giudice dispone lo svolgimento dell’udienza mediante collegamenti audiovisivi a distanza (di cui al primo comma) è comunicato alle parti almeno quindici giorni prima dell’udienza; che ciascuna parte costituita, entro cinque giorni dalla comunicazione, può chiedere che l’udienza si svolga in presenza e che il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile, con il quale può anche disporre che l’udienza si svolga alla presenza delle parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. Si è prevista espressamente la non impugnabilità del decreto con il quale il giudice decide in ordine all’istanza proposta dalle parti, al fine di evitare che il procedimento possa essere rallentato. Su sollecitazione delle Camere, poi, si è specificato che nel decidere sulla richiesta della parte di celebrare l’udienza in presenza il giudice debba tenere conto «dell’utilità e dell’importanza della presenza delle parti in relazione agli adempimenti da svolgersi in udienza», al fine di garantire che gli adempimenti più rilevanti quali ad esempio la discussione orale della causa avvengano preferibilmente in presenza, quando le parti lo chiedano. È inoltre prevista la possibilità che sia disposta udienza mista, ovvero in presenza per le parti che ne hanno fatto richiesta e con collegamento audiovisivo per le altre parti. Da ultimo, si è chiarito che resta ferma, nel caso in cui venga disposta l’udienza mista, la possibilità di partecipare in presenza anche per le parti che non avevano avanzato la relativa richiesta.

È infine previsto, dal terzo comma, che se ricorrono particolari ragioni di urgenza i termini di cui al secondo comma possano essere abbreviati dal giudice, che deve dare atto nel provvedimento delle ragioni alla base dell’abbreviazione.

La disciplina dell’udienza con collegamento audiovisivo è poi completata attraverso l’introduzione, nelle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368, del nuovo articolo 196-duodecies.

L’articolo 127-ter c.p.c., rubricato “Deposito di note scritte in sostituzione dell’udienza”, disciplina la sostituzione dell’udienza con il deposito di note scritte, in attuazione del criterio di delega dettato dall’articolo 1, comma 17, lettera m) della legge n. 206 del 2021. La norma prevede al primo comma, in conformità al criterio di delega, che l’udienza, anche se precedentemente fissata, può essere sostituita dal deposito di note scritte, contenenti le sole istanze e conclusioni, se non richiede la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti, dal pubblico ministero e dagli ausiliari del giudice, aggiungendo che, negli stessi casi, l’udienza è sostituita dal deposito di note scritte quando ne fanno richiesta tutte le parti costituite.

I commi successivi regolano il procedimento attraverso il quale il giudice assegna termine per il deposito delle note, le modalità attraverso le quali le parti possono proporre opposizione e le conseguenze della proposizione di quest’ultima. In particolare, è disposto che con il provvedimento con cui sostituisce l’udienza il giudice assegna un termine perentorio non inferiore a quindici giorni per il deposito delle note; che ciascuna parte costituita può opporsi entro cinque giorni dalla comunicazione; che il giudice provvede nei cinque giorni successivi con decreto non impugnabile (analogamente a quanto disposto dall’articolo 127- bis c.p.c.) e, in caso di istanza proposta congiuntamente da tutte le parti, dispone in conformità. Pure analogamente a quanto disposto dall’articolo 127-bis c.p.c., è prevista la possibilità per il giudice di abbreviare i termini se ricorrono particolari ragioni di urgenza, delle quali deve darsi atto nel provvedimento.

È altresì previsto che il giudice provvede entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle note e che se nessuna delle parti deposita le note nel termine assegnato assegna un nuovo termine perentorio per il deposito delle note scritte o fissa udienza; se nessuna delle parti deposita le note nel nuovo termine o compare all’udienza, il giudice ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo, con meccanismo analogo a quello previsto, in caso di mancata comparizione di tutte le parti a due udienze successive, dall’articolo 181 c.p.c..

L’ultimo comma della disposizione in esame chiarisce che il giorno di scadenza del termine assegnato dal giudice per il deposito delle note di cui al presente articolo è considerato data di udienza a tutti gli effetti, al fine di ricollegare a tale termine tutti gli effetti conseguenti alla data di udienza (quali, ad esempio, il calcolo di termini stabiliti a ritroso a decorrere dall’udienza).

 

Comma 11

Lettera a)

L’intervento normativo, in ottica di riordino secondo quanto previsto dal comma 17, lettera h) dell’articolo unico, si limita ad adeguare la disposizione di cui all’articolo 136 c.p.c. alla tecnologia in uso.

Al terzo comma si è ritenuto di sopprimere la possibilità di trasmettere il biglietto di cancelleria a mezzo telefax, trattandosi di modalità ormai desueta, e di lasciare soltanto la possibilità di chiedere all’ufficiale giudiziario di procedere alla notifica.

 

Lettera b)

Nell’attuare i criteri di delega relativi alle notifiche telematiche e, in tale ambito, al riordino e implementazione del processo civile telematico, si è ritenuto di mantenere la disciplina delle notifiche eseguite dagli avvocati in materia civile e stragiudiziale nella legge n. 53 del 1994, ove formano un corpo normativo unico applicabile anche alle notifiche di atti in materia amministrativa, intervenendo nel codice di procedura civile per il necessario coordinamento nonché per dare attuazione ai criteri di portata generale o indirizzati all’ufficiale giudiziario.

Più in particolare, è stato modificato il secondo comma dell’articolo 137 c.p.c. per introdurre espressamente le notifiche effettuate dall’avvocato, in coordinamento con le altre modifiche di seguito descritte.

Sono stati introdotti due nuovi commi sesto e settimo all’articolo 137 c.p.c., per dare atto, da un lato, dalla disciplina in materia di notifiche eseguite dall’avvocato (oggi contenuta nella legge n. 53 del 1994) e, dall’altro, per coordinare l’obbligo di notifica telematica da parte dell’avvocato con il divieto all’ufficiale giudiziario, in tali casi, di eseguire la notifica.

Sotto quest’ultimo profilo, si è quindi previsto che l’ufficiale giudiziario possa eseguire la notificazione su richiesta dell’avvocato soltanto se quest’ultimo non è obbligato, in base alla legge, a procedere personalmente mediante posta elettronica certificata o altra modalità prevista dalla legge (quale l’inserimento nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, di cui al nuovo articolo 3-ter della legge n. 53 del 1994). Tale limitazione non opera, tuttavia, quando vengono meno i presupposti per l’operare del predetto obbligo in capo all’avvocato: ossia, nei casi in cui non è possibile eseguire la notificazione secondo le modalità previste dalla legge, o quest’ultima non ha avuto esito positivo, per cause non imputabili al destinatario. Si prevede, in tale ipotesi, che l’avvocato debba formulare una dichiarazione formale, di cui l’ufficiale giudiziario dà atto nella relata di notifica; ciò, anche in ottica di maggior controllo circa la sussistenza dei requisiti per notificare mediante l’ufficiale giudiziario e quindi di controllo della validità della notifica eseguita mediane inserimento nell’area web.

 

Lettera c)

Le modifiche proposte all’articolo 139, quarto comma, c.p.c. attuano il criterio di delega del comma 20, lettera d), dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021. Sopprimendo la firma del portiere o del vicino del destinatario, si dematerializza il flusso di ritorno al richiedente della copia dell’atto notificato e si semplifica l’attività notificatoria dell’ufficiale giudiziario, riducendo la quantità di carta che deve produrre e trasportare con sé quando si reca sui luoghi di notifica e consentendogli di redigere una relata di notifica in via esclusivamente telematica. A norma vigente, infatti, poiché non si può prevedere se il ricevente sia munito di firma digitale, né si può imporre che se la procuri, l’ufficiale giudiziario, che debba procedere a consegna a mani di copia cartacea, deve sempre portare con sé anche una ulteriore copia cartacea sulla quale il ricevente, eventualmente diverso dal destinatario, possa apporre firma autografa. La copia cartacea firmata deve essere poi materialmente restituita al richiedente, che la deve conservare.

La soppressione della firma da parte del ricevente, quando la consegna venga fatta da soggetto che, come l’ufficiale giudiziario, riveste la qualità di pubblico ufficiale e restituisce relazione scritta dell’attività svolta, con valore probatorio dell’atto pubblico, estende a casi analoghi, senza modificarne la natura, la potestà certificatoria che l’ufficiale già ha con riferimento al caso in cui il ricevente rifiuti la firma o non possa firmare e agevola il flusso telematico degli atti processuali.

 

Lettera d)

L’intervento aggiunge due commi all’articolo 147 c.p.c., al fine di disciplinare il tempo della notificazione eseguita con la posta elettronica certificata, per dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 75 del 2019 che, con riferimento alla notifica di un atto in materia civile, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 147 c.p.c. nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione è generata dopo le ore 21 ed entro le ore 24 si perfeziona per il destinatario alle ore 7 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta. Si è previsto che le notificazioni a mezzo posta elettronica certificata possono essere eseguite senza limiti orari e che si perfezionano in momenti diversi per il notificante (al momento in cui è generata la ricevuta di accettazione) e per il destinatario (nel momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna e, se quest’ultima è generata tra le ore 21 e le ore 7 del mattino del giorno successivo, alle ore 7).

 

Lettera e)

L’articolo 149-bis c.p.c. è stato modificato in attuazione del criterio di delega del comma 20, lettera d), che richiede di “adottare misure di semplificazione del procedimento di notificazione nei casi in cui la stessa è effettuata dall'ufficiale giudiziario, al fine di agevolare l'uso di strumenti informatici e telematici”. La disposizione inoltre attua la delega sull'implementazione del processo civile telematico disponendo la notifica via posta elettronica certificata anche per gli atti notificatori tipicamente propri dell’ufficiale giudiziario (come il pignoramento presso terzi) con norma che semplifica anche l'introduzione del processo esecutivo.

Non si è ritenuto necessario modificare il comma terzo, in materia di tempo delle notificazioni, considerata l’esistenza, all’articolo 3-bis, comma 3, della legge n. 53 del 1994, di una specifica disposizione sul perfezionamento della notifica a mezzo posta elettronica certificata eseguita dall’avvocato. La disciplina dettata in quest’ultima norma, che prevede un diverso tempo della notificazione per il notificante e per il destinatario, appare dettata da esigenze legate ai termini e alle conseguenti decadenze in cui incorre la parte e, pertanto, è stata ritenuta compatibile con quanto previsto per le notifiche eseguite dall’ufficiale giudiziario.

 

Comma 12

Lettera a)

L’articolo 163 c.p.c. è stato modificato per dare attuazione alle previsioni contenute nelle lettere b) e d) del comma 5 della legge delega: si è a tal fine disposto nel n. 4) del terzo comma che i fatti e gli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni siano esposti in modo chiaro e specifico; il n. 7) del terzo comma è stato modificato per aggiungere la necessità di inserire un nuovo avvertimento (“che la difesa tecnica mediante avvocato è obbligatoria in tutti i giudizi davanti al tribunale, fatta eccezione per i casi previsti dall'articolo 86 o da leggi speciali, e che la parte, sussistendone i presupposti di legge, può presentare istanza per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato”).

Inoltre, sempre in forza della necessità di operare il dovuto coordinamento fra le disposizioni vigenti anche non direttamente oggetto di specifico intervento delegato, come disposto dal comma 22 della legge delega, il termine per la costituzione del convenuto (che deve essere oggetto di avvertimento contenuto nell’atto di citazione) è stato posto a settanta giorni prima dell'udienza, dovendosi consentire lo svolgimento della trattazione scritta antecedentemente all’udienza di prima comparizione per ivi consentire la piena definizione del thema decidendum ac probandum. Per la medesima finalità di coordinamento è stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per tale costituzione, non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’articolo 183.

Per analogo intento di coordinamento e con l’obiettivo di assicurare la concentrazione e la ragionevole durata del processo (comma 5, lettera a) della legge delega) è stato infine inserito un nuovo n. 3-bis nel terzo comma, per agevolare il rilievo di criticità relative alla procedibilità della domanda sin dalle prime verifiche del giudice previste fuori udienza dal nuovo articolo 171-bis c.p.c.

 

Lettera b)

L’articolo 163-bis c.p.c. reca al primo comma una modifica che estende il termine a comparire a centoventi giorni prima dell’udienza di trattazione: tale intervento, in ossequio ai criteri di cui alla lettera g) del comma 5 della legge delega, ha l’obiettivo di consentire lo svolgimento della trattazione scritta antecedentemente all’udienza di prima comparizione, assicurando tempi congrui per l’elaborazione delle memorie integrative di cui al nuovo articolo 171-ter, e così ivi consentire la piena definizione del thema decidendum ac probandum prima dell’udienza di cui all’articolo 183. È stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore (simmetricamente a quanto operato negli articoli 163 e 165), non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’articolo 183.

 

Lettera c)

L’articolo 164 c.p.c. è stato modificato solo all’ultimo comma, sempre in forza della necessità di operare il dovuto coordinamento fra le disposizioni vigenti anche non direttamente oggetto di specifico intervento delegato, come disposto dal comma 22 dell’unico articolo della legge delega: poiché è stato introdotto un momento, antecedente all’udienza, nell’ambito del quale il giudice opera le verifiche sulla corretta instaurazione del contraddittorio (nuovo articolo 171-bis c.p.c.), precedentemente svolte in apertura di udienza nel primo comma dell’articolo 183 con possibile rinvio dell’udienza ai sensi del relativo secondo comma, quest’ultimo è stato sostituito con il nuovo riferimento al secondo comma dell’articolo 171-bis.

 

Lettera d)

Dal primo comma dell’articolo 165 c.p.c. è stata poi eliminata la possibilità di abbreviare i termini per la costituzione dell’attore (simmetricamente a quanto operato negli articoli 163 e 163-bis), non risultando tale istituto compatibile con la tempistica, per vero piuttosto serrata, degli adempimenti previsti per il nuovo rito ordinario da espletarsi prima dell’udienza di cui all’articolo 183. In chiusura dell’articolo è stato previsto che, anche in caso di costituzione personale dell’attore, costui debba indicare l’indirizzo presso cui ricevere le comunicazioni e notificazioni anche in forma telematica (attuazione della lettera h) del comma 17 della legge delega).

 

Lettera e)

L’articolo 166 c.p.c. contiene alcune modifiche rispetto all’attuale formulazione. A tal fine, è stato in primo luogo previsto che il convenuto debba costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge, almeno settanta (e non più venti) giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione, e ciò tenuto conto del nuovo termine a comparire e della nuova struttura della fase introduttiva, che prevede che dopo la costituzione del convenuto, ma sempre anteriormente all’udienza, debba avvenire anche lo scambio delle memorie integrative tra le parti.

È poi stato espunto che la costituzione possa avvenire almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma dell'art. 163-bis, nonché almeno venti giorni prima dell’udienza fissata a norma dell’articolo 168-bis, quinto comma, perché quest’ultima norma è stata abrogata, essendo stato il relativo contenuto trasferito nel nuovo articolo 171-bis, terzo comma, c.p.c., che prevede che il giudice possa comunque differire l’udienza sino a quarantacinque giorni e, come precisato nella stessa norma, i termini per le memorie di cui all’articolo 171-ter decorrono in tal caso a ritroso dalla nuova udienza che viene fissata dal giudice.

 

Lettera f)

L’articolo 167 c.p.c. disciplina il contenuto della comparsa di risposta, e contiene unicamente una modifica, nel senso che il convenuto deve, “in modo chiaro e specifico”, proporre tutte le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda. La modifica costituisce una esemplificazione applicativa del principio di chiarezza e specificità degli atti processuali che la riforma ha inteso rafforzare e rendere generale (cfr. modifiche all’articolo 121 c.p.c.).

 

Lettera g)

L’articolo 168-bis c.p.c. contiene la disciplina della designazione del giudice istruttore, adattandola alla complessiva digitalizzazione del disegno riformatore della legge delega, prevedendo che, formato un fascicolo d’ufficio, il cancelliere lo presenta senza indugio al presidente del tribunale, il quale designa il giudice istruttore davanti al quale le parti debbono comparire, se non creda di procedere egli stesso all'istruzione. Nei tribunali divisi in più sezioni il presidente assegna la causa ad una di esse, e il presidente di questa provvede nelle stesse forme alla designazione del giudice istruttore. È stato soppresso l’inciso per cui la designazione del giudice istruttore debba avvenire “con decreto scritto in calce della nota d'iscrizione a ruolo”, e l’ulteriore inciso per cui subito dopo la designazione del giudice istruttore il cancelliere iscrive la causa sul ruolo della sezione, e su quello del giudice istruttore “e gli trasmette il fascicolo”, per necessario adeguamento alle disposizioni del processo civile telematico. È stato infine soppresso l’ultimo comma, per il quale “Il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro cinque giorni dalla presentazione del fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di quarantacinque giorni. In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza”, in quanto la disposizione è stata trasfusa nell’articolo 171-bis c.p.c.

 

Lettera h)

L’articolo 171 c.p.c., che disciplina la ritardata costituzione delle parti, è stato oggetto di interventi di mero coordinamento. Nel secondo comma si è infatti eliminato l’inciso che consente, nel caso in cui una parte si sia costituita nei termini per essa stabiliti dalla legge, alla controparte di costituirsi successivamente “fino alla prima udienza”, in quanto per consentire le verifiche preliminari del giudice anteriormente all’udienza e alla fissazione dei termini per le memorie di cui all’art. 171-ter, il termine per la costituzione del convenuto deve essere necessariamente fissato in quello tempestivo di cui all’art. 166 c.p.c.; il tutto tenendo peraltro conto anche della previsione di cui all’articolo 291 c.p.c. Nulla vieta, in ogni caso, al convenuto di costituirsi anche successivamente, ma nella consapevolezza di dover accettare il processo in statu et terminis, ferme restando le decadenze ormai maturate, e salve naturalmente le ipotesi di possibile rimessione in termini.

Per analoghe ragioni il terzo comma contiene a sua volta una modifica formale, con la soppressione dell’inciso “neppure entro tale termine” e la sostituzione dell’inciso “entro il termine di cui all’art. 166”, a precisare che dopo tale termine la parte è dichiarata contumace con ordinanza del giudice istruttore (la verifica è tra quelle preliminari di cui all’art. 171-bis c.p.c.).

 

Lettera i)

L’articolo 171-bis c.p.c. rappresenta una norma quadro nel quadro della nuova fase introduttiva, e disciplina le verifiche preliminari che il giudice è chiamato a fare prima dell’udienza. Invero, in un sistema che aspira a realizzare il canone della concentrazione, e per il quale dunque, salvi i rari casi di chiamata del terzo da parte dell’attore, all’udienza la causa deve tendenzialmente sempre giungere con il perimetro del thema decidendum e del thema probandum già definito, così da consentire al giudice di poter valutare al meglio quale direzione imprimere al processo (effettuare il tentativo di conciliazione, disporre il mutamento nel rito semplificato, ammettere le prove e procedere alla relativa assunzione), non era possibile immaginare che il giudice fosse chiamato a compiere tutte le verifiche preliminari di sua competenza all’udienza stessa. Nel rispetto della finalità perseguita dalla delega si è pertanto ritenuto che, scaduto il termine di cui all’art. 166 per la costituzione del convenuto, il giudice istruttore abbia comunque a procedere entro un termine ravvicinato (i successivi quindici giorni) a tutte le verifiche d'ufficio che, nel loro insieme, sono funzionali ad assicurare la regolarità del contraddittorio.

Per quanto concerne in particolare la tipologia dei controlli richiesti al giudice, gli stessi riguardano i provvedimenti previsti dagli articoli 102, secondo comma (ordine di integrazione del contraddittorio nel caso di litisconsorte necessario pretermesso), 107 (chiamata del terzo per ordine del giudice), 164, secondo, terzo e quinto comma (nullità dell’atto di citazione e relative sanatorie), 167, secondo e terzo comma (nullità della comparsa di risposta), 171, terzo comma (dichiarazione di contumacia), 182 (difetti di rappresentanza, assistenza, autorizzazione), 269, secondo comma (chiamate in causa del terzo), 291 e 292 (ancora contumacia), e indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione, anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda (e in specie dunque all’avvenuto esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione) e alla sussistenza dei presupposti per procedere con rito semplificato. Nel caso in cui il giudice abbia a effettuare rilievi e ad assumere provvedimenti in ordine a tali profili, gli stessi sono poi trattati dalle parti nelle memorie integrative di cui all’articolo 171-ter c.p.c.

È poi stabilito che quando pronuncia i provvedimenti sopra indicati il giudice, se necessario, fissa la nuova udienza per la comparizione delle parti, rispetto alla quale decorrono i termini indicati all’art. 171-ter c.p.c. per le memorie integrative e di completamento della trattazione.

È in ogni caso previsto che il giudice, anche se non provvede ai sensi del secondo comma, possa confermare o anche differire, fino ad un massimo di quarantacinque giorni, la data della prima udienza (con previsione, dunque, non dissimile a quella dell’attuale articolo 168-bis, quinto comma, c.p.c., e per consentire di meglio organizzare il proprio ruolo). Naturalmente, in tal caso i termini indicati per le memorie di cui all’articolo 171-ter c.p.c. decorrono dalla data della nuova udienza.

È infine previsto che il decreto del giudice debba essere comunicato alle parti costituite a cura della cancelleria.

Sempre al fine di consentire di realizzare l’obiettivo principale legato alla fase introduttiva, l’articolo 171-ter c.p.c. disciplina le memorie integrative che le parti possono depositare una volta avvenute le verifiche preventive del giudice e sempre prima dell’udienza. È stato così stabilito che le parti, a pena di decadenza, con memorie integrative possono:

1) almeno quaranta giorni prima dell’udienza di cui all’art. 183, proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto o dal terzo, nonché precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già proposte. Con la stessa memoria l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta;

2) almeno venti giorni prima dell’udienza, replicare alle domande e alle eccezioni nuove o modificate dalle altre parti, proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande nuove da queste formulate nella memoria di cui al numero 1), nonché indicare i mezzi di prova ed effettuare le produzioni documentali.

3) almeno dieci giorni prima dell’udienza, replicare alle eccezioni nuove e indicare la prova contraria.

In sostanza, si tratta delle stesse tre memorie oggi contemplate dall’art. 183, 6° comma, c.p.c., ma dopo la prima udienza, che vengono invece anticipate a un termine anteriore, per consentire come già precisato che all’udienza il tema di causa sia perfettamente delineato e possano essere assunte le determinazioni più opportune circa la direzione da imprimere al giudizio.

Rispetto alla lettera della legge delega (comma 5, lett. f) si è attuata consapevolmente la scelta di parificare i termini per tutte le parti, rispettando dunque la delega nella necessità di assicurare le prerogative in essa contenute per le parti indicate (attore, convenuto, e infine entrambi), ma estendendola di fatto per meglio consentire il rispetto delle finalità dalla stessa perseguite, in particolare nelle ipotesi di giudizi plurisoggettivi, sia ab origine (caso delle domande trasversali) sia ad esito della chiamata del terzo da parte del convenuto, sulla quale il giudice pronuncia ad esito delle verifiche preliminari fissando una nuova udienza dalla quale dunque devono decorrere i termini di cui all’articolo 171-ter c.p.c. per tutte le parti. Non si è invece ritenuto di attuare la delega nella parte della lett. f che prevede la anticipata facoltà anche per l’attore di chiamare in causa un terzo (se l’esigenza sorge dalle difese del convenuto), in quanto tale facoltà, che peraltro corrisponde a una situazione nella prassi e statisticamente assai rara, avrebbe comportato indistintamente per tutti i giudizi un allungamento dei tempi incongruo rispetto ai benefici perseguiti e soprattutto incompatibile con le finalità di semplificazione e celerità poste dalla delega quali obiettivi generali di tutta la riforma.

 

Comma 13

Lettera a)

L’articolo 182 c.p.c. reca una modifica dettata da esigenze di coordinamento, come disposto dal comma 22 della legge delega, fra tale norma e l’articolo 171-bis: si include fra le verifiche preliminari anche l’eventuale mancanza della procura al difensore.

 

Lettera b)

L’articolo 183 c.p.c. è stato modificato per dare attuazione alle previsioni contenute nella lettera i) del comma 5 della legge delega, dove si prevede che nella prima udienza le parti debbano comparire personalmente e la mancata comparizione, senza giustificato motivo, sia valutabile ai sensi dell’art. 116, secondo comma.

Il secondo comma prevede che, salvo che non trovi applicazione l’articolo 187, il giudice provveda, quando formulata, sull’istanza dell’attore di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo.

L’accoglimento di tale richiesta comporta a fissazione di una nuova udienza ex articolo 183, i controlli preliminari di cui all’articolo 171-bis e la decorrenza dei termini per le memorie integrative di cui all’articolo 171-ter.

Il terzo comma prevede che il giudice interroghi liberamente le parti e chieda i chiarimenti necessari sulla base dei fatti allegati e proceda così al tentativo obbligatorio di conciliazione a norma dell’art. 185. Il richiamo espresso di tale disposizione è finalizzato a consentire alle parti, ove lo ritengano, di farsi rappresentare per tale adempimento.

Il quarto comma prevede che, alla stessa udienza, il giudice provveda sulle istanze istruttorie predisponendo il calendario del processo e fissando l’udienza di assunzione delle prove entro novanta giorni. Tenuto conto della natura, dell’urgenza e della complessità della causa, si prevede che il calendario delle udienze successive contenga una precisa programmazione, sino alla data dell’udienza di rimessione della causa in decisione, indicando gli incombenti che verranno espletati in ciascuna di esse.

È prevista la facoltà di riservare la decisione sui mezzi di prova, ma l’ordinanza emanata fuori udienza deve essere pronunciata entro i successivi trenta giorni. Si prevede infine che, quando vengano disposti d'ufficio mezzi di prova, come nella disciplina attuale, ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione ai primi, nonché depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere a norma del quarto comma.

 

Lettera c)

L’articolo 183-bis c.p.c. ha subito modifiche dovute alla nuova configurazione del rito semplificato di cognizione, come conformato dalla lettera n) del comma 5 della legge delega. Si prevede che all’udienza di trattazione il giudice, valutata la complessità della lite e dell'istruzione probatoria e sentite le parti, se rileva che in relazione a tutte le domande proposte ricorrono i presupposti di cui al primo comma dell’articolo 281-decies, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato e si applica il comma quinto dell’art. 281-duodecies.

 

Lettera d)

Finalità acceleratorie e di semplificazione della decisione ha anche la delega contenuta nel comma 5, lettere o), p) e q), finalizzata ad introdurre un nuovo strumento definitorio della lite nell’ambito delle controversie aventi ad oggetto diritti disponibili, ovverosia un provvedimento provvisorio ma con efficacia esecutiva, ispirato ad alcuni esempi della legislazione di altri ordinamenti (come, ad esempio, il référé provision di cui all’art. 809 del code de procédure civile francese o il summary judgment di cui all’art. 24 delle civil procedure rules anglosassoni) e modellato sulle fattispecie di c.d. condanna con riserva delle difese del convenuto, già prevista nel nostro ordinamento (articolo 1462 c.c. e articoli 35, 648 e 665 c.p.c.).

Il nuovo articolo 183-ter c.p.c. (attuativo della lettera o)) disciplina l’“ordinanza di accoglimento della domanda” e prevede che, limitatamente alle controversie di competenza del tribunale aventi ad oggetto diritti disponibili il giudice, nel corso del solo giudizio di primo grado e su istanza di parte, possa pronunciare ordinanza di accoglimento della domanda e così definire il giudizio in tale udienza. Il presupposto per la pronuncia di questo provvedimento provvisorio è configurato dal raggiungimento della prova dei fatti costitutivi della domanda e dalla valutazione giudiziale di manifesta infondatezza delle difese del convenuto. È specificato inoltre che in caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte, avendo l’ordinanza natura e scopo completamente definitorio del giudizio. La disposizione prevede, poi, che il provvedimento in questione sia provvisoriamente esecutivo e sia reclamabile ai sensi dell’articolo 669-terdecies c.p.c., e non sia comunque idoneo ad acquisire efficacia di giudicato ai sensi dell’articolo 2909 c.c. né la sua autorità sia invocabile in altri processi. La norma è strutturata in modo tale da escludere che, dopo la pronuncia dell’ordinanza, il giudizio abbia a proseguire, essendo deputata a soddisfare l’eventuale interesse della parte istante di munirsi celermente di un titolo immediatamente spendibile in via esecutiva, nella consapevolezza che la pronuncia non sia idonea ad acquisire autorità di cosa giudicata. In questo senso, tra l’altro, deve leggersi il carattere di provvisorietà che, in base alla delega, è riconosciuto all’ordinanza in oggetto.

Il secondo comma descrive l’efficacia e il regime di stabilità dell’ordinanza. Sotto il primo profilo la formula della norma esplicitamente attribuisce all’ordinanza la natura di titolo esecutivo, escludendo peraltro che la stessa possa acquistare l’autorità di cosa giudicata ai sensi dell’articolo 2909 del codice civile, o che la sua autorità possa essere invocata in altri processi.

La norma è poi tale da chiarire che unicamente l’ordinanza di accoglimento è reclamabile, non essendovi ragioni perché un controllo sia esercitato nei casi in cui l’istanza sia stata rigettata. Solo l’ordinanza di accoglimento, dunque, tanto laddove non impugnata quanto nei casi in cui il reclamo venga respinto, come subito si dirà, è quindi potenzialmente idonea a definire il giudizio. Ed è per tale ragione che è stato poi previsto che con la stessa ordinanza il giudice liquidi le spese di lite, essendo il giudizio concluso proprio con tale ordinanza.

Il terzo comma disciplina le sorti del processo quando l’ordinanza non sia stata reclamata o quando il reclamo sia stato respinto, prevedendo appunto che in queste ipotesi l’ordinanza di accoglimento di cui al secondo comma sia idonea a definire il giudizio e non sia ulteriormente impugnabile.

L’ultimo comma, conformemente alla delega, specifica poi che, in caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegua innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata, essendo quest’ultima una manifestazione di convincimento del giudice nel merito del giudizio.

Inoltre, proprio per contrastare ab origine richieste pretestuose e strumentali ed evitare il prosieguo del giudizio, con inutile dispendio dell’attività giudiziaria e dell’impiego di risorse umane e organizzative, e con risparmio di tempi e di adempimenti processuali, il nuovo articolo 183-quater c.p.c. (attuativo delle lettere p) e q)), prevede che, già all’esito dell’udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa nelle controversie di competenza del tribunale che hanno ad oggetto diritti disponibili, il giudice, su istanza di parte, possa pronunciare ordinanza provvisoria di rigetto della domanda proposta dall’attore quando la stessa sia manifestatamente infondata o sia priva dei requisiti essenziali dell’atto di citazione previsti al comma 3, nn. 3) e 4) dell’articolo 163 c.p.c. e la nullità non è stata sanata, o se, emesso l’ordine di rinnovazione della citazione o di integrazione della domanda, persiste la mancanza dell’esposizione dei fatti di cui al numero 4) del predetto terzo comma. Con riferimento alla lettera q) si è ritenuto di non modificare l’articolo 164, mantenendo in prima battuta la sanabilità dei vizi dell’atto di citazione sopra indicati, ritenendo che il legislatore non si sia espressamente spinto sino ad abrogare tale possibilità di sanatoria. È specificato inoltre che in caso di pluralità di domande l’ordinanza può essere pronunciata solo se tali presupposti ricorrono per tutte, avendo l’ordinanza natura e scopo completamente definitorio del giudizio. Come per l’ordinanza di accoglimento, anche nel caso di specie si prevede che soltanto l’ordinanza che accolga l’istanza (e dunque rigetti la domanda) possa essere reclamata ai sensi dell’articolo 669 terdecies c.p.c. e non abbia valore di giudicato né possa essere fatta valere in altri procedimenti. Anche in questo caso, dunque, la non idoneità ad acquisire autorità di cosa giudicata dà conto del carattere di provvisorietà che, in base alla delega, è riconosciuto all’ordinanza in oggetto.

È poi previsto che con la stessa ordinanza il giudice liquidi le spese di lite, essendo il giudizio concluso proprio con tale ordinanza. L’ultimo comma specifica inoltre che, in caso di accoglimento del reclamo, il giudizio prosegua innanzi a un magistrato diverso da quello che ha emesso l’ordinanza reclamata, essendo quest’ultima una manifestazione di convincimento del giudice nel merito del giudizio.

Anche per l’ordinanza di rigetto si prevede che quando l’ordinanza non sia stata reclamata o quando il reclamo sia stato respinto, la stessa sia idonea a definire il giudizio e non sia ulteriormente impugnabile.

 

Lettera e)

L’articolo 184 c.p.c. è stato abrogato in quanto non più compatibile con le nuove previsioni dell’articolo 183 che dispone che il giudice provveda in udienza sulle richieste istruttorie con facoltà di riservare ad un momento successivo fuori udienza la decisione sui mezzi di prova, ma l’ordinanza deve essere pronunciata entro i successivi trenta giorni.

 

Lettera f)

L’articolo 185 c.p.c. reca una lieve modifica per esigenze di coordinamento rispetto al criterio di cui al n. 2 della lettera i) del comma 5: è stato ribadito che tentativo di conciliazione può essere rinnovato in qualunque momento dell'istruzione, ma deve rispettare, nel suo complesso il calendario del processo.

 

Lettera g)

L’articolo 185-bis c.p.c. ha subito un intervento di modifica per attuare quanto previsto dal criterio contenuto nella lettera m) del comma 5: la proposta transattiva o conciliativa può essere ora formulata dal giudice fino al momento in cui fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione.

 

Lettera h)

All’articolo 187 c.p.c. è stato solamente effettuata una modifica per allineare il rinvio alla opportuna previsione dell’articolo 183, ora confluita nel nuovo quarto comma e non più contenuta nel precedente ottavo comma (mezzi di prova disposti d’ufficio).

 

Lettera i)

L’articolo 188 c.p.c. reca modifiche dettate da esigenze di coordinamento sia rispetto al criterio di cui al n. 2 della lettera i) del comma 5, in ossequio al quale è stato ribadito che anche le modalità di assunzione dei mezzi di prova devono rispettare il calendario del processo, sia rispetto al generale obiettivo di operare il dovuto coordinamento fra le norme imposto dal comma 22 della legge delega, inserendo quindi gli opportuni riferimenti all’articolo 189 (scambio di scritti conclusivi) e all’articolo 275 bis (discussione orale davanti al collegio).

 

Lettere l) e m)

L’articolo 189 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere, per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, che sia fissata un’udienza, detta di rimessione della causa al collegio per la decisione rispetto alla quale decorrono, a ritroso tre termini, rispettivamente per la precisazione delle conclusioni, per il deposito delle conclusionali e delle memorie di replica. Tali termini possono essere oggetto di rinuncia ad opera delle parti. In tal caso il giudice può immediatamente trattenere la causa in decisione. Tale modello di fase decisoria, in attuazione del medesimo principio di delega, è stato attuato anche per l’appello.

L’inserimento, nell’articolo 189 dei termini di deposito degli scritti difensivi finali ha comportato poi l’abrogazione dell’articolo 190 c.p.c.

La modifica dell’articolo 183 c.p.c. ha imposto, infine, una modifica di mero coordinamento all’articolo 191 c.p.c.

 

Comma 14

Il criterio di delega di cui al comma 17, lettera n), (“prevedere che il giudice, in luogo dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio, può disporre il deposito telematico di una dichiarazione sottoscritta con firma digitale recante il giuramento di cui all’articolo 193 del codice di procedura civile”) è attuato attraverso l’aggiunta di un secondo comma all’articolo 193 c.p.c., rubricato “Giuramento del consulente”, con il quale si prevede che in luogo della fissazione dell’udienza di comparizione per il giuramento del consulente tecnico d’ufficio il giudice può assegnare un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta dal consulente con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma dello stesso articolo. È altresì specificato che con il medesimo provvedimento il giudice fissa i termini previsti dall’articolo 195, terzo comma, del codice (ovvero i termini per la trasmissione della relazione dal consulente alle parti costituite, per la trasmissione al consulente delle osservazioni delle parti e per il deposito in cancelleria della relazione).

 

Comma 15

Lettera a)

In conformità al principio di delega di cui all’articolo 1, comma 21, lettera b), si è ritenuto di inserire nell’articolo 210 c.p.c. due ultimi commi per rafforzare l’efficacia dell’ordine di esibizione del giudice, con disposizioni volte a sanzionare la mancanza di collaborazione all’attività giudiziale della parte e del terzo.

Al nuovo comma quarto si prevede che l’inottemperanza della parte all’ordine di esibizione venga sanzionato con una pena pecuniaria di importo compreso tra euro 500 ed euro 3000. Il giudice potrà altresì desumere da tale inadempimento argomenti di prova ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c. Il comma quinto riguarda invece l’inadempimento del terzo, la cui inottemperanza è sanzionata con una pena pecuniaria di importo compreso tra euro 250 ed euro 1500. La sanzione non è tuttavia automatica, consentendo sempre alla parte e al giudice di valutare la consistenza del motivo che ha portato a non ottemperare all’ordine.

 

Lettera b)

Il principio di cui al comma 21, lettera c) è stato attuato prevedendo nell’articolo 213 c.p.c. che, in caso di richiesta d’ufficio di informazioni alla pubblica amministrazione, questa sia tenuta a trasmetterle o a comunicare le ragioni del diniego entro sessanta giorni dalla comunicazione del provvedimento di richiesta del giudice.

 

Comma 16

Lettera a)

Conformemente al criterio di delega di cui al comma 6, lettera a), della legge n. 206 del 2021, si è ritenuto di modificare l’articolo 225 c.p.c., prevedendo al primo comma che la decisione sulla querela di falso non sia assunta dal collegio, ma dal tribunale in composizione monocratica. Al secondo e al terzo comma sono quindi stati inseriti gli adattamenti necessari di coordinamento.

 

Lettera b)

Le modifiche all’articolo 226 c.p.c. sono dettate da esigenze di coordinamento con la nuova competenza sulla querela di falso del tribunale in composizione monocratica (e non più del collegio), prevista dal precedente articolo 225. Inoltre, al secondo comma, si è previsto che il giudice che accerta la falsità debba dare le disposizioni di cui all’articolo 537 c.p.p. (sulla pronuncia sulla falsità di documenti), aggiornando il precedente richiamo all’articolo 480 c.p.p. (sul verbale di udienza).

 

Comma 17

Lettera a)

L’adeguamento della disciplina della chiamata in causa del terzo, prevista dall’articolo 1, comma 5, lettera h) della legge delega, è stato attuato anche con la modifica alle modalità di costituzione del terzo interveniente previste dall’articolo 267 c.p.c. Al primo comma, si è quindi soppressa la possibilità per il terzo di costituirsi in udienza; la costituzione del terzo interveniente potrà, quindi, soltanto avvenire con il deposito di una comparsa, formata a norma dell’articolo 167. Per ragioni di coordinamento si è altresì modificato il secondo comma, sopprimendo l’inciso sulla costituzione del terzo interveniente in udienza.

 

Lettera b)

L’articolo 268 c.p.c., nella disciplina del termine per l’intervento, contiene una modifica di mero adeguamento alla nuova disciplina della fase decisoria, prevedendo che l'intervento possa avere luogo sino al momento in cui il giudice fissa l’udienza di rimessione della causa in decisione (essendo ormai la precisazione delle conclusioni collocata in un mero scambio tra le parti).

 

Lettera c)

L’articolo 269 c.p.c. è stato modificato per conformarlo alle nuove disposizioni dell’articolo 171 bis ove è stato individuato e disciplinato un momento in cui, fuori udienza entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui all’art. 166, il giudice possa verificare d'ufficio la regolare instaurazione del contraddittorio e pronunciare, quando occorre, i provvedimenti opportuni e tipizzati, fra i quali rientra anche la fissazione di nuova udienza al fine di consentire al convenuto di effettuare la citazione del terzo nel rispetto dei termini dell'art. 163-bis. L’attore potrà chiedere l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo ove, a seguito delle difese svolte dal convenuto nella comparsa di risposta, sia sorto il relativo interesse: tale adempimento deve essere effettuato nella memoria di cui all’articolo 171 ter, comma primo, n. 1.

 

Lettera d)

All’articolo 271 c.p.c. è stato inserito un richiamo alla norma che disciplina le memorie integrative (art. 171 ter c.p.c.) i cui termini si estendono anche al terzo chiamato.

 

Comma 18

Lettera a)

All’articolo 275 c.p.c. sono state apportate modifiche al fine di prevedere, innanzitutto, al comma 1 che, nei casi in cui non si ricorra a modelli misti o semplificati, dopo gli scritti difensivi finali, la causa sia trattenuta in decisione e il collegio depositi la sentenza nei sessanta giorni successivi all’udienza di cui all’articolo 189.

I commi secondo e terzo sono stati modificati al fine di disciplinare la fase decisoria con trattazione mista davanti al collegio. In particolare, il comma secondo prevede che le parti possano chiedere, con la nota di precisazione delle conclusioni, al presidente del tribunale, che la causa sia discussa oralmente davanti al collegio.

In tal caso il presidente revoca l’udienza fissata dal giudice istruttore per la rimessione della causa in decisione e fissa un’udienza davanti al collegio nella quale le parti discutono oralmente, senza deposito delle note di replica. La sentenza è depositata nei successivi sessanta giorni.

 

Lettera b)

L’articolo 275-bis c.p.c. disciplina la decisione a seguito di discussione orale davanti al collegio, prevedendo che il giudice istruttore, quando ritiene che la causa possa essere decisa a seguito di discussione orale, fissa udienza davanti al collegio e assegna alle parti termine, anteriore all’udienza, non superiore a trenta giorni per il deposito di note limitate alla precisazione delle conclusioni e un ulteriore termine non superiore a quindici giorni per note conclusionali.

Il secondo comma prevede poi che all’udienza il giudice istruttore fa la relazione orale della causa e il presidente ammette le parti alla discussione e che all’esito della discussione il collegio pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

Il terzo comma prevede poi che in tal caso, la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da parte del presidente del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria.

Infine, la norma prevede che se non provvede ai sensi del secondo comma, il collegio deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni.

 

Comma 19

Lettera a)

L’articolo 281-quinquies c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere: al primo comma che, nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice istruttore fissa l’udienza in cui la causa è trattenuta in decisione, rispetto alla quale decorrono i termini a ritroso, per il deposito degli scritti difensivi finali previsti dall’articolo 189; al secondo comma viene disciplinata la trattazione mista della fase decisoria, con facoltà della parte di farne istanza e con assegnazione dei soli termini per le conclusionali e discussione orale davanti al giudice, senza deposito di memorie di replica. Il termine per il deposito della sentenza è di trenta giorni.

 

Lettera b)

In conformità al principio di delega (comma 5, lettera l), n.2 è stato inserito un terzo comma all’articolo 281-sexies c.p.c. al fine di prevedere che il giudice, in alternativa alla lettura contestuale della sentenza e del dispositivo ai sensi dei primi due commi, possa riservare il deposito della sentenza nei successivi trenta giorni.

 

Comma 20

Lettera a)

In conformità alla delega, quanto ai rapporti tra giudice collegiale e monocratico, l’articolo 281-septies c.p.c. è stato modificato al fine di consentire un passaggio diretto dal collegio al giudice monocratico per la decisione, senza necessità di fissare ulteriore udienza di precisazione delle conclusioni.

 

Lettera b)

L’articolo 281-octies c.p.c., che regola la rimessione della causa al tribunale in composizione collegiale, è stato modificato, prevedendo che il giudice, quando rileva che una causa, riservata per la decisione davanti a sé in funzione di giudice monocratico, deve essere decisa dal tribunale in composizione collegiale, rimette la causa al collegio per la decisione, con ordinanza comunicata alle parti. Entro dieci giorni dalla comunicazione, ciascuna parte può chiedere la fissazione dell’udienza di discussione davanti al collegio, e in questo caso il giudice istruttore procede ai sensi dell’articolo 275 bis.

 

Lettera c)

In attuazione della delega (comma 5, lettera s), quanto ai rapporti tra giudice collegiale e monocratico, l’articolo 281-novies c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere, nel secondo comma appositamente introdotto, che, se sono riunite cause per le quali il tribunale deve giudicare in composizione collegiale e cause nelle quali deve giudicare in composizione monocratica,  prevalga il rito collegiale, ferme restando le preclusioni e le decadenze maturate in ciascun procedimento, per la parte che si è svolta prima della riunione.

 

Comma 21

In attuazione del criterio di delega di cui al n.1 del comma 5, lettera n) è stato inserito un apposito capo del Libro II del codice di procedura civile, contenente la disciplina del procedimento semplificato di cognizione destinato a sostituire il vigente rito sommario di cognizione che, invece, è collocato nel capo III bis del Titolo primo, ed è disciplinato dagli articoli 702 bis e seguenti.

L’intero capo, coerentemente con il medesimo principio di delega, viene quindi abrogato.

Tuttavia, nel delineare la struttura del rito semplificato, come del resto si ricava dal principio di delega, sono state mantenute le principali caratteristiche di concentrazione e snellezza proprie del rito sommario, in quanto compatibili con la sua natura di giudizio a cognizione piena.

Nel capo III quater del Libro Secondo sono stati inseriti gli articoli da 281-decies a 281-terdecies.

Tale collocazione è coerente con l’alternatività di tale rito rispetto al rito ordinario.

In attuazione del criterio di cui al n. 2 del citato comma 5, lettera a) il rito è stato denominato “semplificato di cognizione”.

All’articolo 281-decies c.p.c. viene definito l’ambito di applicazione del rito semplificato. Il primo comma indica quali caratteristiche devono avere le cause per essere obbligatoriamente trattate con il rito semplificato. In sostanza, nella quadruplice possibile formulazione prevista dalla norma (“Quando i fatti di causa non sono controversi, oppure quando la domanda è fondata su prova documentale, o è di pronta soluzione o richiede un’istruzione non complessa”) si prevede che si tratti di cause, anche riservate alla decisione del tribunale collegiale, per le quali è prevedibile un’istruttoria non articolata e complessa. Il secondo comma prevede che il rito semplificato possa essere adottato, a scelta della parte, in tutte le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione monocratica.

L’articolo 281-undecies c.p.c. è dedicato alla forma della domanda e costituzione delle parti. Il comma primo prevede che la domanda debba essere introdotta con ricorso contenente le indicazioni di cui ai numeri 1), 2), 3), 3 bis), 4), 5), 6) e l’avvertimento di cui al numero 7) del terzo comma dell’articolo 163. Il secondo comma disciplina, secondo criteri acceleratori, le modalità di fissazione dell’udienza con decreto del giudice che assegna anche il termine di costituzione del convenuto, e si prevede, a garanzia del diritto di difesa, che il termine minimo a comparire per il convenuto sia di quaranta giorni liberi se il luogo della notificazione si trova in Italia e di sessanta giorni se si trova all’estero. Il terzo e il quarto comma disciplina le modalità di costituzione del convenuto, le decadenze e preclusioni e le modalità con cui chiedere la chiamata di un terzo in causa, prevedendo a tal fine che il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve proporre le sue difese e prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio. Infine, ai sensi del quarto comma, se il convenuto intende chiamare un terzo deve, a pena di decadenza, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell'udienza. Il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione del terzo in giudizio avviene a norma del terzo comma.

L’articolo 281-duodecies c.p.c. disciplina il procedimento dopo la costituzione del contraddittorio e la fissazione dell’udienza. Il primo comma prevede che all’udienza il giudice proceda alla verifica della ricorrenza delle ipotesi di cui all’articolo 281-decies primo comma e proceda, quando necessario, al mutamento del rito nelle forme ordinarie. Tale facoltà di mutamento del rito, con valutazione caso per caso, è esercitabile anche nelle ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 281-decies, in quanto la scelta del ricorrente di procedere con il rito semplificato potrebbe non risultare opportuna in relazione alle caratteristiche della controversia. Inoltre, l’omessa previsione della possibilità di mutare il rito anche nelle ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 281-decies comprimerebbe eccessivamente la possibilità di scelta della parte convenuta e favorirebbe in modo sproporzionato l’attore. In caso di mutamento del rito da semplificato a ordinario il giudice è tenuto a fissare l’udienza ex art. 183 rispetto alla quale decorrono, ex lege, i termini per le memorie integrative di cui all’art. 171-ter.

Il secondo comma disciplina la possibilità per l’attore di chiedere di essere a sua volta autorizzato a chiamare in causa un terzo, con i medesimi limiti previsti per il giudizio ordinario.

Il terzo comma disciplina le facoltà che le parti possono esercitare a pena di decadenza all’udienza. In tal modo si è inteso attuare il principio di delega secondo cui l’attuazione del rito semplificato deve coniugarsi con la necessità di prevedere una scansione processuale in cui maturano in modo chiaro e prevedibile le preclusioni e consenta di prevedere i tempi di trattazione del procedimento con questo rito, fermo restando il necessario rispetto del principio del contraddittorio.

Il quarto comma prevede che le parti possano chiedere l’assegnazione di termini per memorie integrative e istruttorie, di cui il giudice è tenuto a valutare la necessità, potendo modulare l’assegnazione di termini anche più brevi rispetto a quelli massimi previsti dalla norma, e comunque ridotti rispetto a quelli ordinari.

Il quinto comma prevede che, quando non provvede ai sensi del secondo e del quarto comma, e non ritiene la causa matura per la decisione, il giudice ammette i mezzi di prova a tal fine rilevanti, e procede alla loro assunzione.

L’articolo 281-terdecies c.p.c. disciplina la fase decisoria del procedimento semplificato di cognizione che in conformità alla delega deve concludersi con sentenza. Si prevede l’applicazione dell’art.281-sexies per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica e dell’articolo 275-bis per le cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale.

La disciplina maggiormente formalizzata dell’esercizio dei diritti di difesa delle parti, ivi compresa l’espressa previsione per l’attore di chiamare in causa un terzo (ferma restando la valutazione del giudice sulla opportunità di proseguire nelle forme del rito semplificato) non comporta la necessaria adozione di una norma specifica sull’appello, come attualmente previsto dall’articolo 702-quater per il rito sommario di cognizione, essendo sufficiente a tal fine la precisazione contenuta nel secondo comma per cui la sentenza è impugnabile nei modi ordinari.

 

Comma 22

Le modifiche apportate all’articolo 283 c.p.c. consistono nella trasposizione in forma precettiva del principio di delega previsto dalla lettera f) del comma 8, a mente del quale occorre prevedere: 1) «che la sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione della sentenza impugnata sia disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell'impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall'esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti quando la sentenza contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro»; 2) che l’istanza di sospensione «possa essere proposta o riproposta nel corso del giudizio di appello, anche con ricorso autonomo, a condizione che il ricorrente indichi, a pena di inammissibilità, gli specifici elementi sopravvenuti dopo la proposizione dell'impugnazione»; 3) «che, qualora l'istanza sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata, il giudice, con ordinanza non impugnabile, può condannare la parte che l'ha proposta al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma non inferiore ad euro 250 e non superiore ad euro 10.000. L'ordinanza è revocabile con la sentenza che definisce il giudizio». Si è inteso precisare che il pregiudizio grave e irreparabile, tale da fondare l’accoglimento dell’inibitoria, può derivare “anche” dall’esecuzione di pronunce di condanna al pagamento di somme di denaro, in particolare in relazione alla possibilità di insolvenza, ma che al tempo stesso la tutela può riferirsi altresì a sentenze di condanna ad un facere o a un pati, “anche” in relazione alle quali può venire in rilievo la possibilità di insolvenza di una delle parti (si pensi, ad es., all’ipotesi in cui sia stata ordinata la demolizione di un’opera, e il creditore non dia garanzie di essere poi in grado di ripristinarla, nel caso in cui la decisione venga riformata). Nel dare attuazione alla delega si è quindi voluto prevenire possibili interpretazioni restrittive che avrebbero potuto limitare la rilevanza della possibilità di insolvenza alle sole condanne aventi ad oggetto una somma di denaro.

In relazione al procedimento di correzione di errore materiale previsto dagli articoli 287 e seguenti c.p.c., si è ritenuto di non attuare il principio di delega previsto dalla lettera h) («introdurre modifiche all'articolo 288 del codice di procedura civile, prevedendo la possibilità di ricorrere al procedimento di correzione nei casi in cui si voglia contestare l'attribuzione o la quantificazione delle spese di lite liquidate con un provvedimento già passato in giudicato, prevedendo altresì che tale procedimento non sia più esperibile decorso un anno dalla pubblicazione del provvedimento»), in quanto la sua pratica attuazione – a fronte di un impatto verosimilmente assai limitato sul numero di impugnazioni proposte - avrebbe comportato un vulnus al principio dell’intangibilità del giudicato, consentendo di rimettere in discussione la statuizione sulle spese di lite contenuta in sentenze non più sottoposte ad impugnazione (per il decorso dei termini a tale fine previsti, o perché confermate nei successivi gradi di giudizio). L’attuazione della delega pone inoltre seri problemi di coordinamento per il caso in cui l’impugnazione venga proposta successivamente all’istanza di correzione, e il suo effetto deflattivo appare sostanzialmente irrilevante, se solo si considera che il provvedimento così corretto potrebbe nuovamente essere impugnato relativamente alle parti oggetto di correzione. L’attuazione della delega, pertanto, più che in uno strumento deflattivo si risolverebbe in una sorta di rimessione in termini per chiedere (non una mera correzione, bensì) la revisione di un capo del provvedimento pur una volta scaduti i termini per la sua impugnazione. In ordine a quanto previsto dal principio di cui alla lettera g), volta a prevedere la possibilità di trattazione scritta del procedimento per la correzione dell’errore materiale, si è preferito non inserire specifiche previsioni al riguardo, essendo pacificamente applicabile anche al procedimento di correzione di errore materiale la norma generale sulla trattazione scritta, ed essendo inopportuno introdurre delle specifiche disposizioni destinate a trovare applicazione per questo solo modello di procedimento.

 

Comma 23

L’articolo 291 c.p.c., che disciplina la dichiarazione di contumacia del convenuto, contiene una modifica necessaria per l’adeguamento alla disciplina della nuova fase introduttiva, disponendo ora nel secondo comma che se il convenuto non si costituisce neppure anteriormente alla pronuncia del decreto di cui all’articolo 171-bis, secondo comma, il giudice provvede a norma dell'articolo 171, ultimo comma. 

 

Comma 24

Lettera a)

L’articolo 316 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere, in via generale, che davanti al giudice di pace la domanda si propone nelle forme del procedimento semplificato di cognizione. Il secondo comma è stato modificato al fine di apportare i necessari adattamenti alle modalità di presentazione della domanda in forma verbale, per renderla compatibile con l’adozione, in via generale, del ricorso anziché dell’atto di citazione, con comparizione a udienza fissa.

 

Lettera b)

L’articolo 317 c.p.c. è stato modificato al fine di rendere compatibile il conferimento del mandato per farsi rappresentare davanti al giudice di pace, con l’introduzione del procedimento con ricorso anziché con citazione.

 

Lettera c)

L’articolo 318 c.p.c. è stato sostituito per prevedere che la domanda davanti al giudice di pace si proponga con ricorso e non più con atto di citazione. Il secondo comma disciplina le modalità di fissazione dell’udienza a seguito della presentazione del ricorso.

 

Lettera d)

Il primo comma dell’articolo 319 c.p.c. è stato modificato, mantenendo per la costituzione delle parti una forma semplificata, ma adattandola alle esigenze del processo telematico che dovrà assistere anche il processo davanti al giudice di pace. Si prevede, dunque, che l’attore si costituisca depositando il ricorso notificato o il processo verbale di cui all’articolo 316 c.p.c., unitamente al decreto di cui all’articolo 318 c.p.c. unitamente alla relazione di notificazione e alla procura, ove occorra. Il convenuto potrà quindi costituirsi depositando la comparsa di risposta e la procura, ove occorra.

 

Lettera e)

Il terzo comma dell’articolo 320 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere che il giudice di pace, alla prima udienza, fermo restando l’obbligo di procedere al tentativo di conciliazione, procede nelle forme previste dal rito semplificato, in particolare dall’art. 281-duodecies, con applicazione dei commi che prevedono che si proceda all’istruttoria necessaria o si mandi la causa in decisione.

Il quarto comma è stato soppresso in considerazione dell’obbligo delle parti di dedurre le prove negli scritti difensivi ed eventualmente di formulare alla prima udienza un breve termine per l’integrazione delle istanze istruttorie e delle difese.

 

Lettera f)

L’articolo 321 c.p.c. è stato modificato al fine di prevedere che davanti al giudice di pace il modello processuale per la fase decisoria è identico a quello previsto per la decisione a seguito di discussione orale davanti al tribunale in composizione monocratica.

 

Comma 25

Lettera a)

All’articolo 326 c.p.c., al primo comma sono state apportate due modificazioni; la prima si limita a sostituire la parola «precedente» (riferito all’articolo) con il riferimento all’articolo 325; mentre dopo le parole “dalla notificazione della sentenza” è stata aggiunta la precisazione che la notifica avvenga “sia per il soggetto notificante che per il destinatario della notificazione, dal momento in cui il relativo procedimento si perfeziona per il destinatario”.

 

Lettera b)

L’aggiunta operata al secondo comma dell’articolo 334 c.p.c. attua il chiaro disposto del principio di delega di cui alla lettera b), del comma 8 dell’unico articolo della legge delega, la quale richiede di «prevedere che l'impugnazione incidentale tardiva perde efficacia anche quando l'impugnazione principale è dichiarata improcedibile».

 

Comma 26

Lettere a) e b)

La riformulazione dell’articolo 342 c.p.c. (e quella, negli stessi termini, dell’articolo 434 relativo alla forma dell’appello nel processo del lavoro) dà attuazione al criterio di delega previsto dalla lettera c), del comma 8 dell’unico articolo della legge delega, che richiede di «prevedere che, negli atti introduttivi dell'appello disciplinati dagli articoli 342 e 434 del codice di procedura civile, le indicazioni previste a pena di inammissibilità siano esposte in modo chiaro, sintetico e specifico». La soluzione prescelta cerca di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze di efficienza e quelle di tutela effettiva, nel rispetto della premessa per cui la chiarezza e sinteticità non debbono mai portare a una indebita compressione dell’esercizio del diritto di azione e del diritto di difesa delle parti, e d’altro lato le regole non devono essere intese in modo formalistico, impedendo il raggiungimento dello scopo del processo, che è quello di una sentenza che riconosca o neghi il bene della vita oggetto di controversia. Anche sulla scorta dei lavori della Commissione che presso il Ministero della giustizia aveva elaborato proposte normative per dare concreta attuazione ai principi di chiarezza e sinteticità degli atti anche nei gradi di impugnazione, e al quale avevano partecipato anche magistrati delle Corti d’appello che avevano portato la propria esperienza, si è cercato di proporre un’attuazione della legge delega volta ad evitare interpretazioni eccessivamente rigide della norma, le quali, andando al di là dell’obiettivo di richiedere che l’appello sia costruito come una critica che indichi le specifiche ragioni del dissenso rispetto alle statuizioni della sentenza che vengono impugnate, finiscano per appesantire inutilmente l’esposizione o portino a redigere dei veri e propri progetti alternativi di sentenza, nel timore di pregiudizievoli pronunce di inammissibilità. Analoga ragione ha indotto a riformulare, nell’ottica della sinteticità, la previsione relativa alla indicazione, in relazione a ciascun motivo di appello, del capo della decisione che viene impugnato (in luogo della indicazione, richiesta dalla norma vigente, «delle parti del provvedimento che si intende appellare»), per evitare inutili trascrizioni nell’atto delle pagine delle pronunce appellate. Si è inoltre prevista la specifica indicazione del termine a comparire, in luogo del vigente richiamo all’articolo 163-bis, in quanto si è dovuto tenere conto del fatto che nell’ambito del giudizio di primo grado tale termine è destinato ad essere aumentato per lasciare spazio alle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza; la stessa esigenza ha comportato analogo intervento nell’articolo 343 c.p.c., con l’indicazione esplicita del termine per il deposito della comparsa di costituzione in luogo dell’attuale rinvio all’articolo 166.

 

Lettera c)

La lettera d) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega assegnava al legislatore delegato il compito di «individuare la forma con cui, nei casi previsti dall'articolo 348 del codice di procedura civile, l'appello è dichiarato improcedibile e il relativo regime di controllo». A tal fine è stato necessario tenere conto del fatto che negli appelli proposti davanti al tribunale questo giudica in composizione monocratica, mentre davanti alla corte d'appello la trattazione è (tendenzialmente, secondo quanto si dirà in seguito) curata dall’istruttore, mentre la decisione è collegiale. Nel modificare l’articolo 348 c.p.c., quindi, posto che si è ritenuto opportuno conservare la forma della sentenza per il provvedimento che comunque di questa avrebbe la sostanza (sentenza che sarà quindi impugnabile nei modi ordinari, cosa che è apparso superfluo specificare), per il giudizio davanti alla corte d'appello si è ritenuto opportuno prevedere, al fine di semplificare le forme e rendere immediata la pronuncia, che quando l’udienza è fissata davanti all’istruttore l’improcedibilità venga da questo dichiarata con ordinanza, avverso la quale sarà possibile proporre reclamo al collegio il quale deciderà con sentenza, se respinge il reclamo, ovvero con ordinanza non impugnabile se lo accoglie e dà le disposizioni per l’ulteriore corso del giudizio di appello, secondo il medesimo schema già previsto per l’analoga ipotesi dell’estinzione del processo nel giudizio di primo grado davanti al tribunale, nelle cause in cui questo giudica in composizione monocratica.

 

Lettere d) ed e)

La delega assegnava, alla lettera e), del comma 8 dell’unico articolo,  il compito di abolire l’attuale filtro di inammissibilità per le impugnazioni che non hanno una ragionevole probabilità di essere accolte e introdurre un modulo decisorio semplificato per le ipotesi di manifesta infondatezza dell’appello, prevedendo in particolare che «l'impugnazione che non ha una ragionevole probabilità di essere accolta sia dichiarata manifestamente infondata», e che «la decisione di manifesta infondatezza sia assunta a seguito di trattazione orale con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi». Ciò sul presupposto che, visto che per il giudice il tempo necessario per lo studio del fascicolo e la redazione del provvedimento, nell’uno e nell’altro caso, è sostanzialmente lo stesso, piuttosto che una dichiarazione di inammissibilità sia preferibile una decisione sul merito di un appello manifestamente infondato, nelle forme semplificate previste dall’art. 281-sexies.

L’articolo 348-bis c.p.c. è stato quindi riscritto di conseguenza (mantenendolo perché comunque si è ritenuta opportuna la conservazione di una previsione che renda manifesta l’esistenza di un “filtro” o comunque di una forma di decisione accelerata e semplificata), estendendone l’applicazione, stante l’identità di ratio, agli appelli manifestamente infondati e a quelli inammissibili; in entrambi i casi, infatti, l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta” ed è possibile e opportuno pervenire alla definizione del processo già nella fase iniziale, con la necessità di consentire alle parti di esporre oralmente al collegio le ragioni favorevoli o contrarie a un tale esito.

È stato invece abrogato l’articolo 348-ter c.p.c., perché farraginoso e ormai inutile, avendo il legislatore delegante optato per la decisione nel merito dell’impugnazione. Si è però ritenuto opportuno conservare le disposizioni previste dagli ultimi due commi della norma in esame volte ad escludere la possibilità di proporre ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5), nei casi di c.d. “doppia conforme”; disposizioni che tuttavia, per ragioni di coerenza sistematica, sono state spostate in calce all’articolo 360. Ovviamente, in caso di appello incidentale, il modulo decisorio semplificato potrà essere utilizzato soltanto quando entrambe le impugnazioni siano manifestamente infondate.

 

Lettere f) e g)

La lettera l) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega richiedeva di «prevedere che la trattazione davanti alla corte d'appello si svolge davanti al consigliere istruttore, designato dal presidente, al quale sono attribuiti i poteri di dichiarare la contumacia dell'appellato, di procedere alla riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, di procedere al tentativo di conciliazione, di ammettere i mezzi di prova, di procedere all'assunzione dei mezzi istruttori e di fissare udienza di discussione della causa davanti al collegio anche ai sensi dell'articolo 281-sexies del codice di procedura civile, fermo restando il potere del collegio di impartire provvedimenti per l'ulteriore istruzione della causa e di disporre, anche d'ufficio, la riassunzione davanti a sé di uno o più mezzi di prova», delineando così un nuovo (ma al tempo stesso antico) modello di fase istruttoria nei giudizi di appello, in parte ripresi dal sistema vigente nei processi davanti al tribunale quando questo giudica in composizione collegiale, ove la fase decisoria rimane riservata al collegio ma tutta la gestione della fase istruttoria permane in capo all’istruttore. Si è di conseguenza reintrodotto un nuovo articolo 349-bis c.p.c. (subito dopo il preesistente articolo 349, dalla medesima rubrica ma abrogato dall’articolo 5 del D.P.R. 17/10/1950). prevedendo la nomina dell’istruttore da parte del presidente. Tale previsione è stata però temperata, anche alla luce del “filtro” introdotto per le impugnazioni inammissibili o manifestamente infondate, prevedendo che comunque il presidente possa, all’esito di un vaglio preliminare, fissare direttamente udienza davanti al collegio per la discussione orale della causa, in questo caso nominando un relatore. Si è inteso così assicurare la possibilità di adattare le forme del rito alle effettive esigenze dello specifico procedimento, in modo da privilegiare la snellezza e la celerità della decisione quando ciò sia opportuno, riservando modelli processuali più articolati alle cause il cui grado di complessità lo richieda. È parso superfluo specificare, al fine di evitare appesantimenti della norma, che il presidente provvederà con decreto (forma tipica del provvedimento con cui viene nominato l’istruttore o il relatore e viene fissata l’udienza di comparizione delle parti), e che nel caso in cui il presidente abbia ritenuto di disporre la discussione orale della causa troverà applicazione l’articolo 281 sexies, richiamato anche dall’articolo 350 bis, che costituisce la norma generale che regola la decisione a seguito di discussione orale nel giudizio ordinario di cognizione. In conseguenza della modifica apportata all’articolo 168 bis, quinto comma, il tenore di tale disposizione è stato riprodotto come secondo comma dell’articolo 349 bis, di modo che tanto il presidente nel fissare l’udienza di discussione orale, quanto l’istruttore quando nominato, potranno differire l’udienza indicata in atto di citazione; la norma prevede espressamente, a fugare eventuali dubbi, che del decreto debba essere data comunicazione alle parti.

Si è poi modificato l’articolo 350 c.p.c., con l’indicazione delle funzioni svolte in udienza dall’istruttore, quando nominato: verifiche preliminari sull’integrità del contraddittorio, dichiarazione della contumacia, riunione degli appelli proposti contro la stessa sentenza, tentativo di conciliazione, eventuale ammissione e conseguente assunzione delle prove, nei limiti in cui ciò è consentito nel giudizio di appello. Nella medesima ottica di case management, poi, si è previsto che l’istruttore possa disporre la discussione orale della causa davanti al collegio per la decisione in forma semplificata non solo nei casi di cui all’articolo 348-bis, ma anche, a prescindere dal “filtro” ivi previsto, quando l’appello appaia manifestamente fondato (ipotesi cui il legislatore delegante ha conferito particolare rilievo, contemplandola espressamente nell’articolo 283) o quando lo ritenga comunque opportuno in ragione della ridotta complessità della causa o dell’urgenza della sua definizione.

 

Lettera h)

L’articolo 350-bis c.p.c., di nuova introduzione, reca la disciplina del procedimento per la decisione semplificata a seguito di discussione orale nelle ipotesi di inammissibilità e manifesta fondatezza o infondatezza, per la quale si è richiamato il modulo decisorio previsto dall’articolo 281-sexies. In particolare, nell’ipotesi in cui il presidente abbia fissato direttamente la discussione orale davanti al collegio questo inviterà le parti a precisare le conclusioni e all’esito della discussione orale pronuncerà la sentenza o si riserverà di depositarla nel termine di legge, ferma restando la possibilità, su richiesta di parte, di differire la discussione ad altra data, eventualmente anche concedendo alle parti termine per note (prassi abitualmente impiegata nell’applicazione dell’articolo 281-sexies, pur in assenza di una esplicita previsione in proposito. Per l’eventualità che la trattazione dell’appello si sia svolta davanti all’istruttore, si è previsto che questo, fatte precisare le conclusioni, debba fissare l’udienza davanti al collegio assegnando alle parti un termine anteriore all’udienza per il deposito di note conclusionali. In attuazione di quanto previsto dalla lettera e) del comma 8, si è inoltre prevista una forma semplificata di sentenza, motivata in forma sintetica anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.

 

Lettera i)

La lettera i) attua il principio di delega contenuto nella lettera i) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega, volto a «prevedere che per la trattazione del procedimento sull'esecuzione provvisoria il presidente del collegio, fermi i poteri di sospensione immediata previsti dall'articolo 351, terzo comma, secondo periodo, del codice di procedura civile, designa il consigliere istruttore e ordina la comparizione delle parti davanti al predetto consigliere e prevedere che, sentite le parti, il consigliere istruttore riferisce al collegio per l'adozione dei provvedimenti sull'esecuzione provvisoria». Ad esso è stata data puntuale attuazione apportando le relative modifiche all’articolo 351 c.p.c. In particolare, al primo comma dell’articolo, relativo all’ipotesi in cui la pronuncia sull’istanza di sospensione della provvisoria esecutività della sentenza avvenga alla prima udienza, si è coordinato il testo con la nuova previsione secondo cui l’istanza può essere riproposta in un secondo momento, e si è previsto che nei casi in cui il presidente non si sia avvalso della facoltà di fissare udienza davanti al collegio (il quale, secondo quanto previsto al primo periodo, provvederebbe in udienza) e l’udienza si svolga davanti all’istruttore questo debba riferire al collegio per l’adozione del provvedimento. Per l’ipotesi, invece, in cui la parte abbia chiesto la fissazione di apposita udienza per la decisione sulla sospensione (disciplinata dal secondo e terzo comma dell’articolo 351), si è data puntuale attuazione alla delega, prevedendo in ogni caso la comparizione delle parti davanti all’istruttore, al fine di non appesantire ulteriormente l’attività del collegio e assicurare agilità e celerità del subprocedimento che si viene così ad instaurare. Si sono apportate all’ultimo comma, infine, mere modifiche di coordinamento, in quanto la norma già prevedeva che nel decidere sull’istanza di sospensione il giudice potesse disporre la discussione orale dell’impugnazione; in particolare, si è mantenuto fermo quanto previsto dal testo vigente, e per il caso in cui davanti alla corte d'appello l’udienza di comparizione delle parti si sia tenuta davanti all’istruttore si è previsto che il collegio, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, se ritiene che la causa sia matura per la decisione nelle forme della discussione orale fissa a tal fine udienza davanti a sé, assegnando alle parti un termine per il deposito di note conclusionali per consentire loro di esplicare a pieno il diritto di difesa.

 

Lettera l)

La fase decisoria, disciplinata dall’articolo 352 c.p.c., è stata modificata secondo quanto puntualmente previsto dalla lettera n), prevedendo quindi che quando la causa è matura per la decisione, e non sussistono i presupposti per disporre la discussione orale e la decisione in forma semplificata, l’istruttore debba fissare altra udienza davanti a sé per la rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti un triplice termine perentorio calcolato a ritroso rispetto alla data dell’udienza di rinvio per il deposito (i) di una nota di precisazione delle conclusioni, (ii) della comparsa conclusionale e (iii) delle note di replica. All’udienza, l’istruttore rimetterà la causa al collegio per la decisione (ovvero, negli appelli davanti al tribunale, che decide in composizione monocratica, tratterrà la causa in decisione), fermo restando il termine di sessanta giorni per il deposito della sentenza. Per mero coordinamento è stata soppressa la previsione, contenuta nell’attuale ultimo comma dell’articolo 352, secondo la quale il giudice può decidere la causa ai sensi dell’articolo 281 sexies, in quanto la relativa disposizione è stata inserita, come si è detto, nella disciplina relativa all’udienza di trattazione e richiamata nel primo periodo del primo comma.

 

Lettere m) e n)

La lettera o) della delega incaricava il legislatore delegato di «riformulare gli articoli 353 e 354 del codice di procedura civile, riducendo le fattispecie di rimessione della causa in primo grado ai casi di violazione del contraddittorio». Si è quindi abrogato l’articolo 353 c.p.c. e con esso l’ipotesi di rimessione al primo giudice per motivi di giurisdizione, e considerati i ritardi nella decisione che la rimessione in primo grado comporta, si è scelto di limitarla alle ipotesi più gravi di violazione del contraddittorio, confermando quelle oggi previste dal primo comma dell’articolo 354 c.p.c. (nullità della notificazione della citazione introduttiva, mancata integrazione del contraddittorio, erronea estromissione di una parte, nullità della sentenza di primo grado a norma dell’articolo 161 secondo comma) e sopprimendo l’attuale secondo comma dell’articolo 354 per l’ipotesi di riforma della sentenza di primo grado che ha dichiarato l’estinzione del processo. A seguito della soppressione dell’articolo 353, il giudice di appello che riconosca la giurisdizione negata dal primo giudice non potrà più rimettere a questo gli atti ma dovrà decidere la causa nel merito, se del caso svolgendo le attività che non si siano svolte in primo grado. Si è perciò modificato l’ultimo periodo dell’articolo 354, prevedendo che tanto in questo caso, quanto nel caso in cui dichiari la nullità di altri atti (e cioè atti diversi da quelli contemplati nei commi precedenti, la cui nullità determina la rimessione al primo giudice), il giudice di appello ammetta le parti al compimento di attività che sarebbero loro precluse, quando questa esigenza discenda dalla necessità di ripristinare il contraddittorio (ad esempio, a seguito della mancata concessione di termini nel giudizio di primo grado) e proceda alla rinnovazione degli atti nulli. Dalle disposizioni di cui all’articolo 356, non modificato in questa parte, si ricava poi che il giudice di appello procederà all’assunzione delle prove che non siano state assunte nel giudizio di primo grado. Sono state poi riprodotte le disposizioni degli ultimi due commi ultimo comma dell’abrogato art. 353, al quale l’articolo 354 rimandava.

 

Lettera o)

All’articolo 356 c.p.c. si è inoltre specificato che quando dispone l’assunzione o la rinnovazione di una prova il collegio della corte d’appello delega l’incombente all’istruttore o al relatore, e si aggiunta la previsione, in attuazione di quanto richiesto dalla lettera l) del comma 8 dell’unico articolo della legge delega e in armonia con la disciplina di cui all’articolo 281 per le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale, che negli appelli proposti davanti alla corte d'appello il collegio, quando ne ravvisa la necessità, può - anche d’ufficio - disporre la rinnovazione davanti a sé di uno o più mezzi di prova assunti dall’istruttore.

 

Comma 27

Lettera a)

Come si è detto nell’illustrazione del comma 26, nel sopprimere l’articolo 348-ter (in conseguenza del venir meno del “filtro di inammissibilità” in appello come era sinora conosciuto), si è ritenuto opportuno conservare le disposizioni previste dagli ultimi due commi di tale norma volte ad escludere la possibilità di proporre ricorso per cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5), nei casi di c.d. “doppia conforme”; disposizioni che tuttavia, per ragioni di coerenza sistematica, sono state spostate in calce all’articolo 360.

È stato, pertanto, inserito nell’articolo 360 c.p.c. un comma tra il terzo e il quarto, al fine di prevedere che quando la pronuncia di appello conferma la decisione di primo grado, per le medesime ragioni inerenti i medesimi fatti che sono posti alla base della decisione impugnata, il ricorso per cassazione possa essere proposto solo per i motivi di cui al primo comma, numeri 1), 2), 3) e 4), ad eccezione delle cause per le quali è prevista la partecipazione obbligatoria del pubblico ministero. Si è volutamente aggiunta la specificazione relativa alle «medesime ragioni inerenti i medesimi fatti», al fine di meglio individuare il concetto di “doppia conforme” e restringere i casi di inammissibilità del ricorso proposto ai sensi del n. 5) alle sole ipotesi in cui effettivamente la sentenza di secondo grado abbia integralmente confermato quella del primo giudice, in quanto nella precedente formulazione la limitazione delle possibilità di tutela delle parti non trovava una ragionevole giustificazione in un reale e sensibile effetto deflattivo.

 

Lettera b)

Come si è accennato, parallelamente alla modifica lessicale apportata all’articolo 37, con l’introduzione della specifica considerazione del giudice amministrativo accanto al giudice ordinario e ai «giudici speciali» si sono apportate le conseguenti modifiche all’articolo 362 c.p.c. Tale norma ha subito un’ulteriore modifica per includere fra le ragioni di ricorso innanzi alla Corte di Cassazione anche il rimedio della revocazione (come disciplinato dal nuovo articolo 391-quater) avverso le decisioni dei giudici ordinari passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli.

 

Lettera c)

Una innovazione particolarmente significativa della legge delega è quella introdotta dalla lettera g), del comma 9 dell’unico articolo della legge delega, che demanda al legislatore delegato di «introdurre la possibilità per il giudice di merito, quando deve decidere una questione di diritto sulla quale ha preventivamente provocato il contraddittorio tra le parti, di sottoporre direttamente la questione alla Corte di cassazione per la risoluzione del quesito posto». In attuazione della delega è stato introdotto l’articolo 363-bis c.p.c., con la rubrica «Rinvio pregiudiziale», prevedendo – secondo le direttive di cui ai numeri da 1) a 6) della stessa lettera g) – che il giudice di merito possa disporre, con ordinanza e dopo aver sentito le parti, il rinvio pregiudiziale degli atti alla corte di cassazione per la risoluzione di una questione esclusivamente di diritto, quando concorrono le seguenti condizioni:

  • la questione è necessaria alla definizione anche parziale del giudizio e non è stata ancora risolta dalla corte di cassazione;
  • la questione presenta gravi difficoltà interpretative;
  • la questione è suscettibile di porsi in numerosi giudizi.

Al fine di circoscrivere i motivi di rinvio pregiudiziale, si è previsto (analogamente a quanto richiesto per le ordinanze con cui vengono sollevate le questioni di legittimità costituzionale) che l’ordinanza di rinvio debba essere motivata, e nella motivazione il giudice debba dare conto delle diverse possibili opzioni interpretative. Il rinvio pregiudiziale comporta ovviamente che il procedimento di merito resti sospeso dal giorno in cui è depositata l’ordinanza, salvo il compimento degli atti urgenti e di quell’attività istruttoria che non dipenda dalla soluzione della questione oggetto del rinvio pregiudiziale, come può avvenire in caso di pluralità di domande connesse solo soggettivamente.

Si è poi previsto che il primo presidente, entro novanta giorni, valuti la sussistenza dei presupposti di cui si si è detto. In caso positivo, assegna la questione alle sezioni unite o alla sezione semplice (secondo le ordinarie regole di riparto degli affari tra l’una e le altre) per l’enunciazione del principio di diritto; in caso negativo, pronuncia decreto con cui dichiara l’inammissibilità della questione. Stante il presupposto della rilevanza della questione, poi, si è previsto che la Corte, sia a sezioni unite che a sezione semplice, pronunci in pubblica udienza con la requisitoria scritta del pubblico ministero, e con facoltà per le parti di depositare brevi memorie, nei termini di cui all’articolo 378. Con la sentenza che enuncia il principio di diritto o con il decreto che dichiara inammissibile la questione, infine, la Corte dispone la restituzione degli atti al giudice a quo.

Il principio di diritto enunciato dalla Corte, per espressa previsione della legge delega, è vincolante tanto nel procedimento nell'ambito del quale è stata rimessa la questione quanto, nel caso in cui questo si estingua, nel nuovo processo in cui venga proposta la medesima domanda tra le stesse parti.

 

Lettera d)

L’articolo 1, comma 9, lett. a) della delega chiedeva di «prevedere che il ricorso debba contenere la chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa e la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». Il riferimento testuale è dunque ai nn. 3 e 4 dell’art. 366 c.p.c., che indica il «contenuto del ricorso» per cassazione.

Dai precetti contenuti nella legge delega, inoltre, il legislatore delegato ha tratto fondamento per una migliore esplicitazione del n. 6, che possa servire anche di ausilio alla corretta redazione del ricorso.

Il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito: il motivo del ricorso per cassazione richiede una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’articolo 360. Il precetto generale posto dall’articolo 366 indica dunque il “modello” del ricorso per cassazione: il codice di rito vuole che il ricorso contenga tutto quanto occorre al giudice di legittimità per comprendere la questione di diritto portata al suo esame. Ciò, allo scopo di permettere al giudizio di cassazione di pervenire alla decisione effettiva dei motivi, assicurando la piena ed effettiva tutela del diritto di difesa delle parti. A tale intento servono le prescrizioni redazionali, previste dall’articolo 366, quali requisiti di forma-contenuto di ammissibilità del ricorso e dei motivi; donde le esigenze di chiarezza espositiva e di completezza, che la legge delega ha voluto accentuare, ai detti fini.

La vigente disposizione di cui all’articolo 366 c.p.c., al primo comma, n. 3), prevede «l’esposizione sommaria dei fatti della causa». La legge delega indicava di precisare il requisito della «chiara ed essenziale esposizione dei fatti della causa». Il decreto, pertanto, richiede «la chiara esposizione dei fatti della causa essenziali alla illustrazione dei motivi di ricorso». Fermo restando che l’esposizione dei fatti sostanziali e processuali della vicenda va operata dal ricorrente in quanto funzionale alla stessa comprensione dei motivi e valutazione della loro ammissibilità e fondatezza, si è voluto in tal modo porre l’accento, in maniera esplicita, sui due requisiti: la chiarezza, riferita al modus della narrazione dei fatti, che devono risultare intellegibili ed univoci; la essenzialità, riferita al quid e al quantum dei fatti, affinché il motivo esponga tutti e solo i fatti ancora rilevanti per il giudizio di cassazione, in quanto indispensabili alla comprensione dei motivi contenenti le censure al provvedimento impugnato, ritenendosi in ciò ribadito anche il concetto di sommarietà (ossia, per riassunto e sintesi). Non si è ritenuto di precisare che si tratta dei fatti sostanziali e dei fatti processuali rilevanti in giudizio, in quanto implicito già nella precedente formulazione.

La disposizione di cui al n. 4) dell’articolo 366, primo comma attualmente in vigore onera il ricorrente di enunciare «i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis». La legge delega chiede di prevedere «la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione». Il decreto così dispone: «4) la chiara e sintetica esposizione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano». Il giudizio di cassazione è a critica rigidamente vincolata e delimitata, in cui i motivi hanno la funzione di porre questioni (da quaerere), che costituiscono l’unico oggetto del giudizio, in quanto sostitutive delle domande e delle eccezioni. Il ricorrente ha dunque l’onere di individuazione del motivo – nel novero di quelli elencati nella disposizione – che deve essere in modo chiaro riconducibile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dall’art. 360 c.p.c.: il vizio denunciato deve rientrare in una delle categorie logiche ivi previste, quali ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. La corte di cassazione deve poter agevolmente individuare il vizio denunciato, sulla base delle chiare enunciazioni in fatto ed argomentazioni giuridiche svolte dal ricorrente. A questo fine, il legislatore delegato ha richiamato i requisiti della chiarezza e della sintesi, fra di loro indubbiamente collegati, ma autonomi: un testo chiaro si rende univocamente intellegibile, laddove la sinteticità evita ripetizioni e prolissità, esse stesse foriere del rischio di confusione. Si è colta, altresì, l’occasione per sopprimere l’inciso «secondo quanto previsto dall’articolo 366-bis», non più attuale.

Il n. 6 è stato introdotto, come è noto, dall’articolo 5 d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006, in quanto il precedente testo dell’articolo 366 c.p.c. conteneva solo i primi cinque numeri. La previsione, che la delega ha inteso ulteriormente specificare, è espressione del principio di idoneità dell’atto processuale al raggiungimento dello scopo, di cui all’articolo 156, comma 2. Il testo attuale richiede da parte del ricorrente «la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda». Quale ausilio alla migliore redazione e chiarezza, il testo viene così modificato: «la specifica indicazione, per ciascuno dei motivi, degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il motivo si fonda, e l’illustrazione del contenuto rilevante degli stessi». A questa disposizione va correlato l’articolo 369, n. 4, non modificato, secondo cui in sede di deposito del ricorso devono essere prodotti gli atti e i documenti su cui esso si fonda. Il legislatore delegato ha mirato così a chiarire che ciascun motivo deve fare riferimento al documento ad esso inerente e che il contenuto di detto documento deve essere richiamato nel motivo, ai fini della sua comprensibilità. In tal modo, il ricorrente è messo in condizione di cogliere l’onere di evidenziare il contenuto dell’atto rilevante, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini.

La legge delega n. 201 del 2021, all’articolo 1, comma 16, lett. a), prevede, anche nei procedimenti dinanzi alla Corte di cassazione, che «il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, o anche mediante altri mezzi tecnologici». Il legislatore delegato è, quindi, chiamato a porre, anzitutto, la regola del deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte anche nel giudizio di legittimità, quale innovazione che richiede, però, in un’ottica di razionalizzazione del processo civile (articolo 1, comma 1, della legge delega), di rendere massimamente coerente la disciplina del giudizio di legittimità a quella del processo civile telematico.

In quest’ottica, sono stati eliminati i commi secondo (elezione di domicilio fisico in Roma) e quarto (comunicazioni di cancelleria e notificazioni tra avvocati) dell’articolo 366 c.p.c. Ora il ricorso introduttivo (come il controricorso) non deve più contenere l’elezione del domicilio presso un luogo fisico, essendo previsto soltanto quello digitale risultante dai pubblici elenchi di cui all’articolo 16-sexies del d.l. 179 del 2012. Non ha, poi, ragione di essere mantenuta una disciplina specifica per il giudizio di legittimità delle comunicazioni a cura della cancelleria e delle notificazioni effettuate tra gli avvocati ai sensi della legge n. 53 del 1994 – oggi sostanzialmente equiparate sotto il profilo del loro contenuto e delle modalità di trasmissione –, dovendo essere effettuate esclusivamente a mezzo della posta elettronica certificata, sempre nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.

 

Lettera e)

L’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (articolo 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato l’articolo 369 c.p.c. (deposito del ricorso).

Inoltre, la obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e la previsione (disciplinata in via regolamentare: articolo 27 d.m. n. 44/2011) della piena disponibilità per la controparte processuale degli atti depositati telematicamente hanno consentito di operare importanti modifiche, nel segno della semplificazione, speditezza e razionalizzazione del giudizio di legittimità, pur sempre nel rispetto della garanzia del contraddittorio (articolo 1, comma 1, della legge delega). È stato soppresso l’ultimo comma dell’articolo 369, facendo, quindi, venir meno l’onere del ricorrente di chiedere, con apposita istanza, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della corte di cassazione.

 

Lettere f), g) e h)

È stato eliminato l’obbligo della notifica del controricorso (articolo 370 c.p.c.), della notifica dello stesso ricorso incidentale nel caso di notifica di ricorso per integrazione del contraddittorio ex articoli 331 e 332 (articolo 371 c.p.c.) e della notifica del controricorso al ricorso incidentale (articolo 371): incombenti che non si rendono più necessari una volta che tali atti, depositati telematicamente e quindi inseriti nel fascicolo informatico, si rendono, per l’appunto, consultabili dalle altre parti. Il termine per il deposito del controricorso, del ricorso incidentale e del controricorso al ricorso incidentale è fissato in quaranta giorni dalla notificazione del ricorso, quale termine che somma i due termini di 20 giorni, rispettivamente previsti per la notifica e, quindi, per il deposito del controricorso dall’originaria formulazione dell’articolo 370; quaranta giorni ribaditi anche dall’originaria formulazione dell’articolo 371.

Nella medesima logica, è stato eliminato l’obbligo di notificare alla controparte l’elenco dei documenti depositati ai fini dell’ammissibilità del ricorso o del controricorso, ai sensi dell’articolo 372 c.p.c. Tuttavia, per meglio garantire il contraddittorio e consentire al collegio di prendere previa e adeguata conoscenza dei documenti è stato previsto un termine per l’effettuazione di detto deposito di 15 giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio.

 

Comma 28

Lettera a)

Con riguardo alla disciplina della trattazione del ricorso per cassazione, il riordino viene disciplinato in primo luogo attraverso la previsione dei casi in cui la Corte procede in udienza pubblica. Dando attuazione al principio direttivo di cui alla lettera f), si prevede che la Corte vi potrà ricorrere quando la questione di diritto è di particolare rilevanza. La decisione con sentenza secondo il rito della pubblica udienza rimane, dunque, residuale. L’udienza pubblica resta per un’area di cause quantitativamente ristretta, ma di alto livello qualitativo: cause nelle quali la Corte esercita la sua funzione fondamentale di unificazione dell’interpretazione delle norme di diritto. Nella tessitura del nuovo testo dell’articolo 375 c.p.c., l’individuazione dei casi in cui la Corte pronuncia in pubblica udienza compare nell’apertura della disposizione, al primo comma. Nel testo attuale l’apertura della disposizione è dedicata ai casi in cui la Corte pronuncia con ordinanza in camera di consiglio, essendo il ricorso alla udienza pubblica affidato, nell’ultimo comma, ad una norma di chiusura. Diversamente, nella bozza che si propone l’incipit è dedicato alla udienza pubblica. Con ciò non si è inteso modificare il rapporto tra regola (la camera di consiglio) ed eccezione (l’udienza pubblica). L’udienza pubblica rimarrà quantitativamente residuale. Piuttosto, l’intervento di restyling nella collocazione topografica risponde all’esigenza di individuare in positivo quando il ricorso viene trattato in udienza e quando in camera di consiglio. Esigenze di razionalizzazione hanno indotto a prevedere che, se la questione di diritto è di particolare importanza, anche i ricorsi per regolamento di competenza e di giurisdizione potranno essere decisi in udienza pubblica: si pensi alle grandi questioni di riparto sollevate con regolamento preventivo o, ancora, alle, talvolta complesse, questioni di diritto internazionale privato quando si discute dell’ambito della giurisdizione italiana. Lo stesso regime – per espressa previsione – si applica ai ricorsi per revocazione e per opposizione di terzo delle pronunce della cassazione: vale la regola della camera di consiglio, ma se la questione di diritto implicata è di particolare rilevanza, la decisione avverrà in pubblica udienza. Più in particolare, la prevista trattazione dei regolamenti di competenza e di giurisdizione, in alcune occasioni, in udienza pubblica, è giustificata dalla possibile particolare rilevanza della questione di diritto con essi veicolata. Quella stessa particolare rilevanza che, per i ricorsi ordinari, determina la fissazione in udienza pubblica, vale per i regolamenti di competenza e di giurisdizione.

Già oggi, per i regolamenti di competenza, se su una questione di competenza si forma un contrasto di giurisprudenza tra le sezioni ordinarie della Corte, il relativo regolamento viene deciso in sezioni unite e in pubblica udienza, con sentenza, non con il rito della camera di consiglio, con ordinanza.

La novità è, semmai, per i regolamenti preventivi di giurisdizione. Ma anche i regolamenti preventivi possono presentare, e talora presentano, una questione di massima di particolare importanza: si pensi al riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in tema di lesione del legittimo affidamento del privato, dopo l’intervento dell’Adunanza Plenaria. Anche in questi casi, quindi, appare opportuno consentire la trattazione del procedimento in pubblica udienza; cosa che peraltro a livello organizzativo non comporterebbe difficoltà di sorta, considerato il ristrettissimo numero di casi che meritano questo particolare canale.

Dando attuazione al criterio direttivo di cui alla lettera b) del comma 9, dell’unico articolo della legge delega, e recependo una prassi in questo senso, il nuovo articolo 375 estende la pronuncia in camera di consiglio all’ipotesi in cui la Corte riconosce di dover dichiarare l’improcedibilità del ricorso. La semplificazione del modulo camerale risponde a puntuali principi e criteri direttivi della delega. Essi si compendiano nella unificazione dei riti camerali, attualmente disciplinati dall’art. 380-bis e dall’art. 380-bis.1 cod. proc. civ., cioè dei due procedimenti che sono utilizzati per la trattazione delle adunanze, rispettivamente, innanzi alla sesta sezione e alle sezioni semplici, e nella soppressione della «apposita sezione» di cui all’art. 376 cod. proc. civ., introdotta a decorrere dal 4 luglio 2009 ad opera della legge 18 giugno 2009, n. 69. Tale norma ha subito un’ulteriore modifica per la necessità di allineare il nuovo istituto della revocazione previsto dall’articolo 391-quater alla disciplina generale relativa al procedimento dinanzi alla Corte di cassazione con le dovute previsioni caratterizzanti. Si è previsto che il procedimento in questione si svolga in pubblica udienza. Tale scelta si giustifica, pur in assenza di indicazioni specifiche del legislatore delegante, in ragione della particolare rilevanza del nuovo istituto, che quindi merita tale forma di trattazione.

 

Lettera b)

L’intervento sull’articolo 376 c.p.c. è di carattere minimale. Essendo stata soppressa l’apposita sezione (la sesta civile), si è stabilito che il primo presidente assegna i ricorsi alle sezioni unite o alla sezione semplice. Mentre la parte, che ritiene di competenza delle sezioni unite un ricorso assegnato a una sezione semplice, può proporre al primo presidente istanza di rimessione alle sezioni unite, fino a quindici giorni prima dell'udienza o dell’adunanza, per il P.M. rimane ferma la possibilità di sollecitare la rimessione alle sezioni unite, anche durante la discussione nel corso dell’udienza pubblica, ovvero – per i soli procedimenti avviati alla trattazione camerale – di norma con le conclusioni depositate nel termine previsto dall’articolo 380-bis.1.

 

Lettera c)

Per quanto attiene alla fissazione dell’udienza pubblica, si è ritenuto opportuno, muovendosi nell’ambito dei criteri dettati dalla lettera f) della delega, modificare il secondo comma dell’articolo 377 c.p.c. attraverso l’aumento da venti a sessanta giorni del termine che deve intercorrere tra la comunicazione ai difensori delle parti e al pubblico ministero della data fissata e l’udienza medesima; anche se il testo originario dell’articolo 377 non prevedeva espressamente l’onere di comunicazione al PM, era chiaro che quest’ultimo dovesse avere piena conoscenza della data fissata per l’udienza o per l’adunanza, al fine di intervenire o formulare le sue conclusioni scritte. La legge delega prevede, al riguardo, un anticipo fino a quaranta giorni prima dell’udienza. È parso opportuno allungare detto termine a sessanta giorni, per una esigenza di armonizzazione con i termini previsti per le memorie. L’allungamento del termine è, dunque, in funzione della realizzazione di un contradditorio più esteso. Si tratta di una previsione che recepisce una prassi organizzativa frutto di un protocollo condiviso tra la Prima Presidenza della Corte, la Procura Generale, il Consiglio nazionale forense e l’Avvocatura generale dello Stato, e che comunque non determina un aggravio per le parti, né per la durata del processo. L’anticipazione del termine per la comunicazione è parsa utile, anche per consentire di spostare indietro, come si dirà infra, il contraddittorio “cartolare” in vista dell’udienza o dell’adunanza, palesandosi sufficientemente agevole per il P.G., alla luce dell’obbligatorietà del deposito telematico, prendere immediata visione di tutti gli atti processuali in precedenza depositati dalle parti, una volta ricevuta la detta comunicazione, non essendo del resto più prevista (con la novella dell’articolo 137 disp att. c.p.c.), la trasmissione a cura della cancelleria di una copia del ricorso o del controricorso e della sentenza impugnata al pubblico ministero (il c.d. “fascicoletto”).

 

Lettera d)

Recepisce una prassi interpretativa già invalsa la norma che nell’articolo 378 c.p.c. introduce la facoltà per il pubblico ministero di depositare una memoria prima dell’udienza. Il termine di almeno venti giorni prima dell’udienza è in linea con l’analoga previsione contenuta nel rito camerale. Viene elevato a dieci giorni prima il termine, previsto dall’art. 378 c.p.c., per il deposito delle memorie dei difensori delle parti, con un allineamento, anche questa volta, al termine di dieci giorni previsto nel rito camerale dall’art. 380-bis.1 c.p.c. Si è ritenuto opportuno unificare i termini per il deposito delle memorie, sia in vista dell’udienza pubblica che di quella camerale, la quale già oggi prevede un termine di venti giorni per il deposito delle conclusioni del P.M. e di dieci per il deposito delle memorie di parte (articolo 380-bis.1), palesandosi, da un lato, chiare le esigenze di semplificazione ed unificazione dei riti – pure espressamente imposte dalla delega (art. 1, comma 9, lett. b) – e, dall’altro, non ravvisandosi necessità alcuna di mantenere una differenziazione dei detti termini, a seconda che la trattazione del ricorso sia destinata a sfociare in udienza pubblica o in adunanza camerale. Anche per le memorie delle parti in prossimità dell’udienza si prescrive che debbano essere sintetiche e avere carattere illustrativo. Il principio generale di sinteticità degli atti di parte esplica così la sua portata irradiante non solo con riguardo agli atti introduttivi del giudizio di cassazione, ma anche in relazione agli atti difensivi in prossimità della udienza. Quanto alla funzione meramente illustrativa delle memorie, si tratta di una acquisizione giurisprudenziale coerente con l’idea che con esse il ricorrente, ad esempio, non può dedurre nuovi motivi di ricorso o sanare carenze dell’atto introduttivo. Per la memoria del pubblico ministero non si specifica che debba essere sintetica. La ragione di ciò è da rinvenire nel fatto che non c’è necessità di introdurre una regola quando non v’è una esigenza avvertita: e l’esperienza è nel senso che non vi sono memorie del pubblico ministero caratterizzate da eccessiva lunghezza. Ma vi è anche un’altra ragione. Mentre le parti hanno già depositato ricorso e controricorso, il pubblico ministero interloquisce per la prima volta proprio con la memoria.

Inoltre, l’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (articolo 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato, tra l’altro, l’articolo 378 c.p.c.

 

Lettera e)

Il rito dell’udienza pubblica riceve alcuni ritocchi in un’ottica di semplificazione, speditezza e razionalizzazione. Attualmente l’articolo 379 c.p.c. prevede che nell’udienza pubblica il relatore riferisce i fatti rilevanti per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso. Il testo proposto si apre invece con una relazione conformata dal principio di sinteticità e funzionalmente orientata a far emergere i temi della discussione orale. Si prevede infatti che il relatore all’udienza espone in sintesi le questioni della causa. La disposizione è mutuata dalla analoga previsione delle norme integrative per i giudizi innanzi alla Corte costituzionale. Rimane fermo l’ordine della discussione, con il pubblico ministero che interviene per primo esponendo oralmente le sue conclusioni motivate e i difensori delle parti che svolgono poi le loro difese, come pure l’esclusione della possibilità di repliche. Si introduce la previsione che affida al presidente il compito di dirigere la discussione, indicandone ove necessario i punti e i tempi. Si è poi ritenuto opportuno inserire nella norma, quale primo comma, l’espressa previsione secondo cui l’udienza si svolge sempre in presenza, al fine di escludere la possibilità di trattazione dell’udienza pubblica in forma cartolare, in considerazione della sua particolare importanza e solennità e alla luce del fatto che essa è ormai destinata a trovare applicazione solo quando la questione di diritto sottoposta all’attenzione della Corte è «di particolare rilevanza» e quindi in un ristretto novero di ipotesi. Parallelamente, si è ritenuto opportuno prevedere, con l’introduzione dell’articolo 140 bis disp. att. c.p.c., che la camera di consiglio si svolge in presenza, consentendo però al presidente del collegio – in considerazione delle specificità che caratterizzano la Corte di cassazione – di disporne lo svolgimento mediante collegamento audiovisivo a distanza, per esigenze di tipo organizzativo (si pensi, ad esempio, a casi di riconvocazione della camera di consiglio quando il collegio è composto da consiglieri che potrebbero essere impossibilitati a recarsi a Roma).

 

Lettera f)

Si è infine ritenuto opportuno introdurre nell’articolo 380 c.p.c. la previsione secondo cui la sentenza è depositata nel termine di novanta giorni: quella in esame era l’unica ipotesi in cui non fosse previsto un termine per il deposito del provvedimento; termine che è stato fissato nella misura indicata in considerazione del fatto che il termine per il deposito delle sentenze di appello è di sessanta giorni, e che all’udienza pubblica sono riservate questioni di diritto di particolare rilevanza, il che necessariamente richiede un maggiore lasso di tempo per la redazione della sentenza, anche alla luce delle ricadute che questa ha nell’applicazione del diritto da parte dei giudici di merito.

 

Lettere g), h) e i)

Si prevede la riscrittura dell’articolo 380-bis c.p.c., con l’abrogazione del procedimento camerale in atto utilizzato davanti alla sesta sezione, come disciplinato, appunto, dall’articolo 380-bis c.p.c.

Parallelamente, si prevede un unico rito camerale, quello attualmente dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. L’unificazione dei riti camerali avviene, dunque, nel segno della prevalenza del procedimento dettato dall’articolo 380-bis.1 c.p.c. Nel progetto che si propone con riguardo al rito della camera di consiglio, muta però la rubrica dell’articolo 380-bis.1 c.p.c.: il procedimento per la decisione in camera di consiglio non si riferisce soltanto alla sezione semplice, ma anche alle sezioni unite. Al riguardo, nessuna novità sostanziale di rilievo, solo una razionalizzazione dell’esistente.

Il procedimento ex articolo 380-bis.1 è destinato, per la sua vocazione unificante, ad assorbire il rito per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza: in funzione del raggiungimento di obiettivi di semplificazione e di razionalizzazione, l’articolo 380-ter c.p.c. – nel testo elaborato – prevede, ora, che nei casi di ricorso per regolamento di competenza e giurisdizione, si applica l’articolo 380 bis.1. L’unica particolarità è che nei regolamenti di competenza e di giurisdizione il pubblico ministero deposita sempre le sue conclusioni scritte (nel termine stabilito dall’articolo 380-bis.1 c.p.c.), laddove, negli altri casi in cui si ricorre al procedimento camerale, il pubblico ministero ha la facoltà di depositare le sue conclusioni scritte.

Il procedimento ex articolo 380-bis.1 c.p.c. rimane regolato secondo la disciplina attualmente in vigore, ma sono state previste alcune modifiche per renderlo maggiormente rispondente alle finalità della legge delega. Esso diventa più disteso, giacché le parti verranno notiziate dell’adunanza sessanta giorni prima (anziché quaranta giorni prima). L’ampliamento del termine appare più confacente ad un procedimento destinato ad applicarsi in una indefinita varietà di casi, diversi tra di loro e da quello in cui ricorre la particolare rilevanza della questione di diritto. Coerente con il principio di sinteticità degli atti è, poi, la previsione secondo cui le memorie – che le parti hanno facoltà di depositare non oltre dieci giorni prima dell’adunanza – devono essere sintetiche e avere carattere illustrativo. Ottempera ad un criterio direttivo della delega la previsione della semplificazione della fase decisoria del procedimento camerale, con l’introduzione del modello processuale della deliberazione, motivazione contestuale e deposito del provvedimento. Al termine della camera di consiglio, l’ordinanza, succintamente motivata, può essere immediatamente depositata in cancelleria; rimane ferma la possibilità per il collegio di depositare l’ordinanza nei successivi sessanta giorni, in attuazione di quanto previsto dalla lettera d).

Per quanto riguarda, in particolare, i termini del rito camerale, la proposta normativa è volta a soddisfare l’esigenza di agevolare, nei casi che lo meritano, l’intervento con le conclusioni scritte del pubblico ministero, e di favorire, quindi, il contraddittorio scritto tra le parti. Per la Corte di cassazione questo non costituisce un aggravio, in quanto già oggi le camere di consiglio vengono fissate con almeno due mesi di anticipo. Del resto, il rito della camera di consiglio rappresenta il rito ordinario: una sorta di contenitore neutro destinato ad ospitare tutti i ricorsi nei quali non si pone una questione nomofilattica. Ma escludere la particolare importanza della questione di diritto non significa che il ricorso sia bagatellare: molti ricorsi complessi, con parecchi motivi di impugnazione, vengono decisi in camera di consiglio.

Sotto questo profilo, l’allungamento del termine solo apparentemente sembra porsi in controtendenza rispetto all’obiettivo della semplificazione.

Più in generale, ed anche con riguardo all’udienza pubblica, dove il termine fisso di quaranta giorni prima, previsto dalla legge delega, è stato elevato a sessanta, l’idea sottostante la proposta di modifica è stata quella di semplificare nel segno dell’uniformità, consentendo un contraddittorio più disteso in preparazione dell’udienza, in questo senso ratificando una prassi già invalsa. È chiaro che quando si tratti di un termine che deve essere osservato dalle parti, la previsione della legge delega non può essere ristretta dal legislatore delegato, perché ciò significherebbe un aggravio per il diritto di difesa. Diversamente deve però ritenersi quando il termine riguardi un adempimento dell’ufficio: quanto tempo prima il presidente deve fissare l’udienza e la camera di consiglio. In questo caso l’ampliamento del termine previsto dalla legge delega va a tutto vantaggio dell’esercizio del diritto di difesa, che gode di termini più ampi, e senza detrimento per la durata complessiva del processo, considerando gli ordinari tempi di trattazione dei ricorsi; basti pensare, al riguardo, che davanti alle sezioni unite civili i ricorsi – sia in udienza pubblica che in camera di consiglio – sono già stati fissati fino a tutto il 6 dicembre 2022, con adempimenti di cancelleria già espletati. In questo caso ben pare possibile una deroga alla previsione della legge delega, in nome di una sua attuazione non meramente formale ma, piuttosto, teleologica, ossia improntata alla migliore realizzazione dello scopo perseguito dal legislatore: semplificazione, effettività, tutela del contraddittorio.

Nessun allungamento dei tempi della decisione, quindi, ma solo la conferma di una anticipazione negli adempimenti di cancelleria, oggi resa possibile dal sistema telematico.

Scompare la sesta sezione con il suo rito, ma non viene meno la funzione di filtro finora assicurata da quella apposita sezione. Per la definizione dei ricorsi inammissibili, improcedibili e manifestamente infondati, il testo elaborato introduce, in attuazione di una precisa indicazione della legge delega contenuta nella lettera e), un procedimento accelerato rispetto a quello ordinario.

Nella sede finora destinata ad accogliere, con l’articolo 380-bis, il rito di sesta, nasce un nuovo virgulto. Quando non è stata ancora fissata la data della decisione in udienza o in camera di consiglio, il presidente della sezione o un consigliere da questo delegato formula una sintetica proposta di definizione del giudizio ove ravvisi l’inammissibilità, l’improcedibilità o la manifesta infondatezza. La proposta di definizione del ricorso dovrà essere comunicata agli avvocati delle parti. Le parti sono chiamate a valutare la proposta di definizione del ricorso. Se entro quaranta giorni dalla comunicazione della proposta la parte non chiede la decisione, il ricorso si intende rinunciato. In proposito si è ritenuto opportuno concedere alle parti uno spatium deliberandi più ampio di quello di venti giorni previsto dalla legge delega, in quanto questo non si traduce in un grave allungamento dei tempi di definizione del procedimento (anche considerato il lasso di tempo usualmente decorrente tra il provvedimento di fissazione dell’adunanza e la data in cui questa si tiene) e il breve termine indicato dal legislatore delegante potrebbe rivelarsi insufficiente per una compiuta disamina delle questioni poste e una scelta meditata e consapevole, anche in considerazione di quanto si dirà in seguito in ordine alla necessità che l’istanza sia sottoscritta dalla parte personalmente, alla luce delle gravi conseguenze derivanti da una decisione in senso conforme alla proposta di definizione. Il presidente o il consigliere della sezione pronuncia quindi decreto di estinzione, liquidando le spese, con esonero, in favore della parte soccombente che non presenta la richiesta di fissazione della camera di consiglio, dal pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione previsto dall’articolo 13, comma 1-quater, del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (disposizione, quest’ultima, inserita nel testo unico per ragioni di coerenza sistematica).

Non si tratta di una sorta di parziale ultrattività del rito camerale di sesta all’estinzione dell’ambiente in cui era stato previsto. La novità è, infatti, nel meccanismo di rinuncia al ricorso, che consente alla parte di essere sollevata dall’onere di pagamento di una somma pari all’importo del contributo unificato.

Il testo elaborato assegna un ruolo centrale nella definizione del ricorso al presidente della sezione o al consigliere da questo delegato attraverso la redazione di una proposta che, se accettata dal ricorrente, non dovrà più essere sottoposta al vaglio della camera di consiglio. Infatti, preso atto della rinuncia manifestata per comportamenti concludenti attraverso la mancata richiesta della fissazione della camera di consiglio entro il termine di quaranta giorni dalla comunicazione della proposta, il presidente o il consigliere delegato pronuncia il decreto di estinzione, liquidando le spese secondo i criteri generali, ma con il vantaggio, per la parte soccombente che si ritira, dell’esonero dal pagamento del raddoppio del contributo unificato.

Il testo sul modello accelerato predisposto sviluppa e completa il disegno prefigurato dalla legge delega, tenendo presenti gli obiettivi di semplificazione, speditezza e razionalizzazione avuti di mira dal legislatore delegante.

Ne è espressione la previsione secondo cui, a fronte della proposta di definizione proveniente dal giudice della Corte, la richiesta di decisione da parte del Collegio deve essere sottoscritta dalla parte e dal suo difensore. La proposta di inammissibilità, di improcedibilità o di manifesta infondatezza formulata dal presidente della sezione o da un consigliere da lui delegato prefigura, infatti, un esito negativo per il ricorso, con un’uscita anticipata dalla Corte. Per chiedere una ulteriore valutazione, da parte di un Collegio della Corte in camera di consiglio, occorre un atto di impulso processuale che coinvolga personalmente la parte ricorrente.

Ne è espressione, altresì, la previsione di conseguenze disincentivanti il seguito camerale a fronte di un filtro negativo effettuato da un giudice della Corte. Nel caso in cui la Corte definisca il giudizio in conformità alla proposta, infatti, si è ritenuto opportuno inserire un espresso richiamo all’applicabilità delle disposizioni di cui all’articolo 96, terzo e quarto comma, così come modificate in attuazione della delega: nel caso di decisione conforme alla proposta di definizione, quindi, la parte ricorrente sarà condannata al pagamento di una somma di denaro tanto in favore della controparte, quanto della cassa ammende. La previsione non risponde ad un intento punitivo o sanzionatorio, ma è la realistica presa d’atto del fatto che la giurisdizione è una risorsa limitata. Sicché appare conforme al sistema che il costo dell’aggravio per il servizio giustizia sia sostenuto da colui che, nonostante una prima delibazione negativa, abbia chiesto comunque una valutazione supplementare collegiale senza che ne sussistessero fondate ragioni.

 

Lettera l)

All’articolo 383 c.p.c. sono state portate mere modifiche di coordinamento: è stato abrogato l’ultimo comma, relativo alle ipotesi in origine previste dall’articolo 348-ter, in conseguenza dell’abrogazione di quest’ultimo.

 

Lettera m)

Si è ritenuto opportuno prevedere che la rinuncia al ricorso (articolo 390 c.p.c.) sia comunicata a cura della cancelleria alle parti costituite, così da agevolarne la conoscenza, potendo essa intervenire in qualsiasi momento fino alla data dell’adunanza in camera di consiglio o dell’inizio della relazione all’udienza.

 

Lettera n)

A proposito dei procedimenti camerali, poi, all’articolo 391-bis c.p.c. (correzione degli errori materiali e revocazione) sono state apportate modifiche di mero coordinamento.

 

Lettera o)

L’intervento si pone in linea con i solleciti da tempo impartiti al legislatore dalla Corte Costituzionale in tema di possibile riapertura dei processi civili, al fine di assicurare una effettiva restitutio in integrum, ove ancora materialmente o giuridicamente possibile, se il contenuto del relativo giudicato integri una violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, accertata dalla Corte europea di Strasburgo non suscettibile di essere ristorata tramite tutela risarcitoria (per equivalente), in linea con le statuizioni della Corte Costituzionale su questo tema (sentenza n. 93/2018 e sentenza n. 123 del 2017, riprese anche dalla sentenza della CEDU, BEG S.P.A. c. Italia del 20 maggio 2021, caso n. 5312/11). Si osserva, inoltre, che l’intervento rappresenta un ulteriore adempimento della Raccomandazione R. 2000-2 del 19 gennaio 2000 del Comitato dei ministri, che, pur non essendo vincolante, è particolarmente importante per la ricostruzione della portata della giurisprudenza convenzionale e per la sua funzione orientativa, la quale afferma che l’obbligo conformativo può «in certe circostanze» ricomprendere misure individuali diverse dall’equo indennizzo e che «in circostanze eccezionali» il riesame del caso o la riapertura dei processi si è dimostrata la misura più adeguata, se non l’unica, per raggiungere la restitutio in integrum.

Non esistendo allo stato un meccanismo processuale che consenta la riapertura del processo civile, la legge delega, al comma 10, lettera a) ha previsto l’introduzione di un nuovo caso di revocazione, limitato alle sentenze emesse all’esito del processo civile (tale essendo il campo di intervento riformatore della legge delega stessa) che, in fase attuativa, è stato declinato in un’ipotesi speciale di revocazione con proprie caratteristiche processuali che tengono conto della particolarità del rimedio. In tale prospettiva la competenza è stata concentrata sulla Corte di Cassazione, conformemente alle scelte compiute da altri ordinamenti europei che contemplano analogo istituto ed atteso il rilievo che i provvedimenti destinati ad essere interessati dal rimedio saranno tendenzialmente decisioni della Corte di Cassazione (in ragione del condizionamento della ricevibilità del ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo al previo esaurimento delle vie di ricorso interne). Inoltre, la delicatezza del nuovo istituto, destinato ad incidere sulla tenuta processuale del giudicato nell’ordinamento interno, richiederà sin dai suoi esordi una costante uniformità interpretativa.

È stato pertanto introdotto l’articolo 391-quater c.p.c., il quale contiene i tratti salienti del nuovo istituto della revocazione del giudicato civile in presenza di violazioni alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo accertate dalla Corte europea che hanno provocato un pregiudizio a un diritto di stato della persona. Tale disposizione, in ossequio alle previsioni della legge delega (comma 10, lettera a)), introduce la possibilità di impugnare per revocazione le decisioni del giudice civile passate in giudicato il cui contenuto sia stato dichiarato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo contrario alla Convenzione ovvero ad uno dei suoi Protocolli. L’azionabilità di tale rimedio è stata circoscritta e limitata alla ricorrenza di due condizioni che traducono in dato normativo attuativo la previsione della delega relativa alla necessità che, nel caso di specie, risulti “impossibile rimuovere la violazione tramite tutela per equivalente”. In particolare, i casi in cui il rimedio risarcitorio è tendenzialmente inidoneo a rimuovere le conseguenze della violazione convenzionale sono stati individuati attraverso il riferimento alle violazioni di un diritto di stato della persona. Per questi diritti, infatti, il rimedio risarcitorio, in quanto finalizzato ad attribuire un’utilità economica alternativa, spesso si rivela non del tutto satisfattivo. La seconda condizione corrisponde all’esigenza di attuare il precetto contenuto nella delega e relativo all’insufficienza della tutela per equivalente ed al “divieto di duplicità dei ristori” attraverso il riferimento all’ipotesi in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia eventualmente riconosciuto al ricorrente l’equa soddisfazione, ai sensi dell’art. 41 della Convenzione, e questa sia ritenuta in concreto inidonea a compensare del tutto le conseguenze della violazione riscontrata.

In attuazione del principio di delega contenuto nella lettera d) del comma 10 dell’unico articolo della legge delega è stato poi previsto che il ricorso per revocazione sia proponibile nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione o, in mancanza, dalla pubblicazione della sentenza della Corte europea ai sensi del regolamento della Corte stessa, per ragioni di coerenza con il termine generale previsto dall’art. 325.

Ulteriore previsione contenuta nell’articolo 391-quater riguarda l’esito del giudizio in caso di accoglimento della domanda di revocazione e consiste nel richiamo dell’articolo 391-ter, secondo comma, giustificato dalla necessità di limitare la fase rescissoria dinanzi la Corte di Cassazione alle sole ipotesi in cui la nuova decisione sia possibile senza ulteriori accertamenti di fatto.

Con riferimento alle conseguenze dell’accoglimento della nuova forma di revocazione, in attuazione del principio di delega contenuto nella lettera b) del comma 10 dell’unico articolo della legge delega, è stata inserita nell’articolo 391-quater una previsione generale di salvezza dei diritti dei terzi, che, in buona fede, abbiano acquistato diritto sulla base della decisione giurisdizionale poi oggetto di impugnazione per revocazione. Conformemente al principio di delega è stato previsto che questa salvezza sia riconosciuta solo ai terzi che non abbiano partecipato al giudizio dinanzi la Corte europea dei diritti dell’uomo. La buona fede dovrà valutarsi anche con riferimento al comportamento dei terzi rispetto al processo convenzionale, dovendosi escludere in presenza di indici che facciano presumere negligenza o deliberata intenzione di sottrarsi alle conseguenze dell’eventuale successiva fase di revocazione del giudicato nazionale.

 

Comma 29

Come previsto dal comma 10, lettera c) dell’unico articolo della legge delega. è stata operata una modifica all’articolo 397 c.p.c. per chiarire che la legittimazione a proporre l’azione di revocazione è stata assegnata anche al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. In particolare, la previsione della legittimazione generale di quest’ultimo si giustifica in ragione dell’ampia formulazione del principio di delega sul punto e dell’interesse superiore dell’ordinamento alla rimozione in ogni caso delle conseguenze di una violazione della Convenzione da parte di una decisione del giudice ordinario, accertata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

 

Commi 30 e 31

Per quanto concerne il processo del lavoro, si è ritenuto opportuno, con intervento di riassetto e razionalizzazione ispirato a quanto previsto dall’articolo 1, comma 1 della legge n. 206 del 2021, risolvere la contraddizione attualmente esistente – frutto di un difetto di coordinamento – tra l’articolo 429, primo comma, che consente il deposito delle motivazioni unitamente al dispositivo o entro un termine fissato dal giudice e non superiore a sessanta giorni, e l’articolo 430 c.p.c., a mente del quale la sentenza «deve essere depositata entro quindici giorni dalla pronuncia». Si è quindi prevista la soppressione di tale ultima disposizione, prevedendo al tempo stesso che il cancelliere dia comunicazione alle parti della sentenza quando questa è depositata fuori udienza (e non anche, quindi, nei casi in cui le motivazioni sono lette in udienza, in quanto in questo caso esse sono immediatamente note alle parti). L’articolo 434 c.p.c. è stato modificato, come si è detto, analogamente a quanto fatto con riferimento all’articolo 342, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera c). Del pari, è stato modificato l’articolo 436-bis c.p.c., relativo all’attuale “filtro” di inammissibilità per gli appelli che non hanno una ragionevole probabilità di essere accolti; in particolare, sulla scia delle scelte operate con riferimento al rito ordinario si è deciso di assimilare alle ipotesi di manifesta infondatezza quelle della manifesta fondatezza, dell’inammissibilità e dell’improcedibilità, prevedendo in questi casi una decisione mediante lettura del dispositivo e contestuali motivazioni redatte anche in questo caso in forma sintetica, fermo restando l’ordinario regime decisorio (lettura del dispositivo in udienza e deposito della sentenza nei successivi sessanta giorni) nei casi in cui non ricorrano i presupposti per la decisione in forma accelerata. Conseguentemente, all’articolo 437 c.p.c., relativo all’udienza di discussione in grado di appello, è stata apportata una modifica di mero raccordo tra i due modi di definizione del processo, quello “semplificato” previsto dall’articolo 436 bis e quello “ordinario” disciplinato, appunto, dall’articolo 437. L’articolo 438 c.p.c., infine, è stato coordinato con la modifica apportata all’articolo 430, prevedendo che al di fuori delle ipotesi di decisione semplificata le motivazioni della sentenza debbano essere depositate entro il termine di sessanta giorni ordinariamente previsto per i giudizi di appello.

 

Comma 32

In attuazione della delega di cui all’articolo 1, comma 11 della legge 26 novembre 2021, n. 206, si è inserito nel corpo del codice di procedura civile un nuovo capo I-bis, rubricato “Delle controversie relative ai licenziamenti”.

Detto capo introduce tre nuove disposizioni, gli articoli 441-bis, ter e quater.

L’articolo 441-bis c.p.c., rubricato “Controversie in materia di licenziamento” disciplina la trattazione delle cause di licenziamento in cui sia proposta domanda di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.

In particolare i primi due commi dettano il principio generale in base al quale “La trattazione e la decisione delle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti nelle quali è proposta domanda di reintegrazione nel posto di lavoro hanno carattere prioritario rispetto alle altre pendenti sul ruolo del giudice, anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto”, specificando altresì che ferme le peculiarità indicate nei commi successivi tutte le controversie in materia di licenziamento siano assoggettate alla disciplina di cui agli articoli 409 e ss., con conseguente abrogazione per le controversie instaurate successivamente all’entrata in vigore della novella dello speciale procedimento di cui alla legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. rito Fornero).

Ferma l’applicazione delle norme del rito lavoristico, si è prevista al terzo comma la possibilità per il giudice di ridurre i termini del procedimento fino alla metà, tenuto conto delle circostanze esposte nel ricorso, garantendo, a tutela del convenuto e del terzo chiamato in giudizio, un temine congruo (non minore di 20 giorni) tra la data di notificazione del ricorso e quella dell’udienza di discussione e per la loro costituzione in giudizio.

Inoltre, si è previsto al quarto comma che nel corso dell’udienza di discussione il giudice disponga, in relazione alle esigenze di celerità anche prospettate dalle parti, la trattazione congiunta di eventuali domande connesse e riconvenzionali ovvero la loro separazione, assicurando in ogni caso la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria in relazione alle domande di reintegrazione nel posto di lavoro. In particolare, la concentrazione della fase istruttoria e di quella decisoria è attuata attraverso la riserva di particolari giorni, anche ravvicinati, nel calendario delle udienze.

L’introduzione di questi nuovi strumenti dovrebbe scongiurare la proliferazione di domande cautelari ante causam, anche in considerazione del fatto che la particolare celerità garantita dalle nuove disposizioni potrà essere valutata dal giudice in relazione al presupposto del periculum in mora.

Il quinto coma da ultimo precisa che i principi di celerità e concentrazione dovranno caratterizzare anche la trattazione delle controversie in materia di licenziamento con tutela reale in grado d’appello e in cassazione.

L’articolo 441-ter c.p.c., rubricato “Licenziamento del socio della cooperativa”, disciplina le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti dei soci delle cooperative, anch’esse assoggettate alle norme di cui agli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile. In particolare, si è previsto che il giudice del lavoro, investito della domanda avente ad oggetto l’impugnazione dei licenziamenti in esame, decida anche sulle questioni relative al rapporto associativo, eventualmente proposte, e che lo stesso giudice decida sul rapporto di lavoro e sul rapporto associativo, altresì, nei casi in cui la cessazione del rapporto di lavoro derivi dalla cessazione del rapporto associativo, pur mancando un formale provvedimento di licenziamento.

L’attrazione della decisione sul rapporto associativo alla competenza del giudice del lavoro si giustifica tutte le volte in cui quella decisione abbia ricadute o comunque produca effetti sul rapporto di lavoro comunque in essere tra il socio e la cooperativa.

L’articolo 441-quater c.p.c., rubricato “Licenziamento discriminatorio”, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto la nullità di detti licenziamenti dispone che le relative azioni, ove non siano proposte con ricorso ex art. 414 c.p.c., possano essere introdotte, ricorrendone i presupposti, con i rispettivi riti speciali previsti dagli articoli 38 del D.lgs. n. 198/2006 e 28 del D.lgs. n. 150/2011. Al fine di evitare la duplicazione dei giudizi, si è previsto che la proposizione della domanda, relativa alla nullità del licenziamento discriminatorio e alle sue conseguenze, nell’una o nell’altra forma, precluda la possibilità di agire successivamente in giudizio con rito diverso per quella stessa domanda.

Infine, sotto il profilo organizzativo, si introduce nel corpo delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie il nuovo articolo 144 quinquies, rubricato “Controversie in materia di licenziamento”, a tenore del quale il presidente di sezione e il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al Capo I-bis del titolo IV del libro secondo del codice, prevedendosi altresì che in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentano di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis del codice, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro.

 

Comma 33

Il comma 33 dà attuazione all’art. 1, comma 23, lett. a) della l. n. 206/2021, che ha previsto che il legislatore delegato introduca, attraverso il decreto o i decreti legislativi di cui al comma 1 del medesimo articolo, “modifiche alla disciplina processuale per la realizzazione di un rito unificato”, denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, introducendo nel libro II del codice di procedura civile un apposito titolo (il titolo IV-bis), rubricato “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”. Ha aggiunto il legislatore delegante nella medesima lett. a) che in tale nuovo titolo del libro II del codice sia contenuta “la disciplina del rito applicabile a tutti i procedimenti relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, del tribunale per i minorenni e del giudice tutelare”, ad esclusione, tuttavia, di alcuni specifici procedimenti, quali quelli volti alla dichiarazione di adottabilità e di adozione dei minori di età e dei procedimenti attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, di protezione internazionale e di libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, istituite dal decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 aprile 2017, n. 46.

In attuazione di questi principi e criteri direttivi il Governo ha proceduto, insieme all’introduzione del nuovo titolo IV-bis nel libro II del codice di procedura civile, a cui è stata attribuita la rubrica “Norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, alla suddivisione di tale titolo in due distinti capi, l’uno intitolato “Disposizioni generali”, e l’altro “Del procedimento” (quest’ultimo, a sua volta, suddiviso in sette sezioni).

Il primo articolo del capo I dedicato alle “Disposizioni generali” introduce l’articolo 473-bis c.p.c. e ha ad oggetto la determinazione dell’ambito di applicazione del nuovo rito unificato.

Esso, perciò, si limita a prevedere che le disposizioni contenute nel nuovo titolo IV-bis si applichino a tutti i procedimenti (di natura contenziosa) relativi allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie di competenza del tribunale ordinario, di quello per i minorenni e del giudice tutelare, salvo che non sia diversamente stabilito e salve le esclusioni espressamente indicate dallo stesso articolo.

Queste riguardano, in particolare, sia i procedimenti che in questa materia siano espressamente sottoposti dal legislatore ad altra disciplina processuale, sia i procedimenti volti alla dichiarazione dello stato di adottabilità, dei procedimenti di adozione dei minori, sia, infine, i procedimenti (di diversa natura e oggetto) attribuiti alla competenza delle sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.

Ovviamente restano fuori dall’ambito applicativo del nuovo rito unificato a cognizione piena tutti i procedimenti di giurisdizione volontaria, che continuano ad essere retti dalle forme processuali camerali.

L’ampia previsione normativa circa l’ambito applicativo del nuovo rito unificato ha l’obiettivo non soltanto di individuare tutti i procedimenti ai quali, dal momento della sua entrata in vigore, si applicherà la nuova disciplina processuale, ma anche di determinare il perimetro nel quale questo nuovo rito troverà applicazione quando, nel prossimo futuro, sarà istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

L’articolo 473-bis.1 c.p.c. dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. c), prima parte, che invita a “prevedere la competenza del tribunale in composizione collegiale, con facoltà di delega per la trattazione l'istruzione al giudice relatore…”.

Nel vigente quadro normativo si registrano differenze nelle disposizioni quanto alla trattazione dei procedimenti di competenza collegiale. Nei procedimenti di separazione e divorzio, per esempio, è normativamente attribuita al giudice istruttore la possibilità di emettere in corso di causa provvedimenti provvisori, con ampia delega per la trattazione e l’istruzione; al contrario nei procedimenti per i quali è prevista l’applicazione del rito camerale (per esempio procedimenti de responsabilitate di cui agli art. 330 ss. del codice civile, ovvero per la disciplina dell’affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, ovvero per la modifica delle condizioni di separazione e divorzio), l’art. 738 del codice di procedura civile prevede la possibilità che il presiedente possa designare un giudice relatore, al quale possono essere delegati solo specifici adempimenti, con esclusione della possibilità che il giudice relatore possa adottare provvedimenti decisori anche se provvisori, ovvero procedere all’ammissione di istanze istruttorie.

L’attuale quadro normativo, oltre a prevedere l’applicazione di riti diversificati per materie analoghe, con correlate possibili non solo disarmonie ma anche “discriminazioni processuali”, comporta inevitabili rallentamenti nell’istruttoria e nella trattazione in tutti i procedimenti per i quali è previsto che sia il collegio ad assumere decisioni anche soltanto temporanee e provvisorie, o addirittura di natura istruttoria.

Con il principio sopra richiamato la legge delega ha voluto superare tutte queste difficoltà.

La norma in esame, oltre ad essere il precipitato dell’unificazione dei riti di cui all’art. 473-bis c.p.c., con superamento delle differenze processuali oggi esistenti, ha finalità acceleratorie perché conferisce al giudice, che verrà individuato dal collegio, il potere di condurre l’istruzione e la trattazione del procedimento, con intuibile maggiore velocità e agilità per le decisioni. Essendo stata prevista la delega al singolo componente del collegio per l’istruzione e per la trattazione, nei diversi articoli che regoleranno il futuro procedimento uniforme, in materia di persone, minorenni e famiglie, occorre fare riferimento anche al singolo giudice delegato dal collegio, ovvero secondo il riferimento contenuto nella legge delega il giudice relatore, il quale dunque potrà anche adottare autonomamente atti di istruzione o decisioni provvisorie, con individuazione in modo puntuale dei poteri allo stesso attribuiti. Solo a titolo esemplificativo, e rinviando all’intero capo I in esame per la disciplina di dettaglio, il giudice relatore potrà: nominare il curatore speciale del minore, ovvero il tutore provvisorio nei casi previsti; esercitare gli ampi poteri d’ufficio riconosciuti nel caso in cui debbano essere adottati provvedimenti in materia di minori (sia quanto alla possibilità di adottare provvedimenti a tutela dei minori al di fuori dei limiti della domanda sia per l’ammissione d’ufficio di mezzi di prova, nei casi normativamente previsti); condurre l’ascolto del minore; adottare i provvedimenti indifferibili; tenere l’udienza di comparizione personale delle parti, all’esito della quale adottare i provvedimenti provvisori; ammettere istanze istruttorie, CTU, delegare indagini ai Servizi socio assistenziali; tenere le ulteriori udienze istruttorie necessarie per giungere alla decisione; modificare i provvedimenti provvisori ricorrendone i presupposti.

Il giudice relatore condurrà, quindi, l’intera trattazione e istruzione del procedimento essendo la sola decisione rimessa al collegio, al quale egli dovrà riferire gli esiti del procedimento nella camera di consiglio che precede l’adozione della decisione finale.

Questa scelta, dettata dalla necessità di assicurare maggiore celerità e speditezza nella trattazione dei procedimenti in esame, comunque non comporterà una riduzione delle tutele delle parti, in quanto a differenza di quanto previsto nella normativa vigente, ai sensi della quale né i provvedimenti provvisori emessi dal giudice istruttore nei procedimenti di separazione e divorzio, né i provvedimenti provvisori emessi nell’ambito dei procedimenti camerali (tranne limitate eccezioni) sono reclamabili, sarà prevista la possibilità di proporre reclamo avverso tutti i provvedimenti provvisori adottati dal giudice all’esito della prima udienza di comparizione delle parti, nonché avverso tutti quelli emessi in corso di causa, in forza del potere di modificare e revocare i provvedimenti provvisori già emessi, qualora abbiano contenuti decisori particolarmente incidenti sui diritti dei minori; per esempio, in caso di sospensione o di sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, ovvero di sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione del minore (si pensi al mutamento di collocamento prevalente per il minore dall’abitazione di un genitore a quella dell’altro, ovvero all’autorizzazione alla modifica della residenza abituale da un comune all’altro) o ancora nel caso di affidamento a terzi del minore.

Al beneficio della maggiore celerità nella trattazione del procedimento, con superamento della collegialità per l’adozione dei provvedimenti istruttori o provvisori, si accompagna pertanto anche un ampliamento delle tutele derivante dal riconoscimento della possibilità di proporre reclamo anche avverso determinati provvedimenti provvisori sino a oggi non suscettibili di alcuna forma di controllo immediato da parte di altro giudice.

L’art. 473-bis.2 c.p.c. dà attuazione all’art. 1 comma 23, lett. t) della legge delega, che disciplina nel dettaglio i poteri ufficiosi del giudice, anche nella veste di giudice monocratico nominato fin dal deposito del ricorso, che gestisce tutta la fase di trattazione e di istruzione, a tutela degli interessi del minore, attribuendogli, oltre al potere di “nominare il curatore speciale” (in tutti i casi previsti dalla legge ma anche ogni qualvolta emergano i presupposti previsti dall’articolo 78 del codice di procedura civile e, più nello specifico, dalla nuova norma di cui all’art. 473 bis.8 c.p.c.) il potere decisorio di “adottare i provvedimenti opportuni in deroga all’articolo 112”, nonché poteri di natura squisitamente istruttoria, consistenti nel “disporre mezzi di prova al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile”, purché venga rispettata la generale clausola di salvaguardia costituita da quella particolare applicazione del principio del contraddittorio (che deve potersi pienamente esplicare anche in materia istruttoria) rappresentata dal diritto alla prova contraria.

In particolare, infatti, sebbene anche nel sistema previgente (come la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo in molteplici occasioni di sottolineare) già si potesse ricavare da tutto l’impianto codicistico costruito dalla legge di riforma del diritto di famiglia, l’attribuzione di poteri officiosi all’organo giudicante per la tutela della prole, tuttavia la norma concepita dal legislatore delegato non solo ne esplicita l’attribuzione, ma intende altresì delinearne i contorni, superando le incertezze e le disarmonie talvolta emerse nella prassi applicativa della giurisprudenza di merito sulla competenza ad adottare provvedimenti ad opera del giudice monocratico, quali, appunto la nomina del curatore, spesso demandata al collegio.

La norma non individua poi quali tipi di provvedimenti il giudice possa adottare, utilizzando un’espressione ampia e volutamente “elastica”, che consente esclusivamente di enuclearne la finalità che è quella, appunto, di apprestare massima tutela al minore.

Significativi sono inoltre i poteri istruttori che, sempre nell’ottica della tutela, consentono al giudice di individuare i mezzi di prova che possono essere assunti ai predetti fini e ciò, sia a prescindere dalle deduzioni delle parti, sia anche “al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile”, con riferimento pertanto alle limitazioni di cui agli articoli 2721 e seguenti del predetto codice.

Resta naturalmente inteso (e a tal fine è deputata la clausola di salvaguardia inserita nella norma) che qualora il giudice eserciti poteri istruttori d’ufficio egli è in ogni caso tenuto a garantire il contraddittorio con le parti ed attribuire loro la facoltà di dedurre mezzi di prova contraria.

Il secondo comma della norma specificamente prevede poi che con riferimento alle domande di contributo economico, il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria.

La norma deve ritenersi applicabile a tutti i provvedimenti che dispongono contributi periodici di somme di denaro, e in particolare tutte le diverse forme di assegno previste nell’ordinamento.

In tale ambito, i poteri istruttori officiosi del giudice si declinano consentendogli di acquisire, dalle parti stesse ovvero anche da terzi, tutte le informazioni e la documentazione patrimoniale e reddituale necessaria, in ossequio a quanto indicato nel comma 23, lett. t) della legge delega, che riconosce all’organo giudicante “poteri officiosi di indagine patrimoniale”. A tal fine, in particolare, “il giudice può d’ufficio ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti e disporre ordini di esibizione e indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi, valendosi se del caso della polizia tributaria”.

Il legislatore delegato ha così inteso generalizzare un potere già riconosciuto nella materia della separazione, del divorzio e nell’articolo 337 ter del codice civile, attribuendo al giudice istruttore, in tutti i procedimenti ai quali si applica il nuovo rito, di ordinare l’integrazione della documentazione depositata dalle parti, disporre ordini di esibizione, si badi bene, anche d’ufficio, e ciò in deroga all’articolo 210 del codice di procedura civile, che ne subordina l’emissione alla richiesta delle parti, indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, anche nei confronti di terzi valendosi, se del caso, della polizia tributaria.

L’articolo 473-bis.3 c.p.c. disciplina i poteri del pubblico ministero. A seguito dell’unificazione dei riti e in un prossimo futuro - con l’istituzione del Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie - anche degli uffici giudiziari, la figura del pubblico ministero appare centrale, non soltanto come soggetto che interviene nei procedimenti riguardanti i minori, ma soprattutto come parte processuale autonoma.

La legge delega ha preso in considerazione la figura del pubblico ministero nell’art. 1, comma 23, lett. e), invitando il legislatore delegato a introdurre le necessarie previsioni volte a “disporre l’intervento necessario del pubblico ministero, ai sensi dell’articolo 70 del codice di procedura civile, fermo restando il potere del pubblico ministero nei procedimenti di cui agli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile e in quelli di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, di proporre la relativa azione”.

La rilevanza del ruolo del pubblico ministero ha quindi reso sistematicamente necessaria la previsione di una norma autonoma all’interno del nuovo titolo IV bis.

In tal senso, ferme restando le norme generali (articoli 69 ss. del codice di procedura civile) che danno conto della possibilità per il pubblico ministero di esercitare l’azione civile nei casi previsti dalla legge, e delle ipotesi in cui lo stesso è interventore necessario nel processo, si recepiscono e si introducono nel codice di procedura civile, nei principi generali del titolo IV bis, dettati normativi dapprima presenti in altre disposizioni di legge (in particolare nell’art. 9 della legge 4 maggio 1983, n. 184 sull’adozione, che prevede che il ricorso sia inoltrato dal pubblico ministero “assunte le necessarie informazioni”) e di recente nel codice civile con la riformulazione dell’art 403, laddove si prevede che il pubblico ministero, prima di inoltrare il ricorso, “può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti”.

Con la disposizione in esame si puntualizzano inoltre i soggetti istituzionali, la polizia giudiziaria e i servizi sociali, deputati a fornire le informazioni necessarie per verificare la necessità del ricorso. Tali organi e tali indagini preliminari hanno infatti consentito alle Procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni di limitare l’intervento giudiziario, in ossequio al principio di necessità, non tanto in un’ottica deflattiva di riduzione della domanda, quanto al fine di limitare un intervento dell’autorità giudiziaria spesso vissuto dai soggetti coinvolti come ingiustificatamente o eccessivamente invasivo.

Le statistiche degli uffici dei Pubblici Ministeri minorili dimostrano che lo svolgimento di tali accertamenti preliminari ha spesso consentito ai Pubblici Ministeri di non inoltrare ricorsi ex artt. 330 e 333 c.c., prendendo atto dell’avvio di una positiva collaborazione da parte dei genitori una volta venuti a conoscenza dell’interessamento della procura minorile.

Gli articoli 473-bis.4, 473-bis.5 e 473-bis.6 c.p.c. disciplinano l’istituto dell’ascolto del minore, al quale nell’ordinamento viene attribuita una rilevanza sempre crescente, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento, e per il quale l’art. 23, lett. dd) prevede il riordino delle relative disposizioni.

In attuazione di tale disposizione programmatica l’art. 473-bis.4 c.p.c., al primo comma, prevede che il minore che ha compiuto gli anni dodici ed anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal giudice nei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano, se necessario con l’assistenza di un esperto o altro ausiliario. In tal caso è il magistrato a condurre l’ascolto (c.d. ascolto diretto) o ad ascoltare il minore con l’assistenza di un ausiliario o esperto in psicologia o psichiatria infantile (c.d. ascolto assistito). Il legislatore ha qui escluso espressamente la delega, da parte del giudice, dell’ascolto del minore, stante la delicatezza dei temi sui quali il minore è chiamato ad esprimersi.

La norma dispone che le opinioni del minore debbano essere tenute in considerazione avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità.

È attribuita una generale portata all’ascolto del minore, il quale vanta un vero e proprio diritto di esprimere il proprio pensiero in tutte le questioni e le procedure finalizzate a incidere nella propria sfera individuale.

Un’importante innovazione riguarda la previsione che stabilisce di tener conto di quanto espresso dal minore, avuto riguardo alla sua età e al suo grado di maturità e ciò in attuazione di quanto sancito a livello sovranazionale. A questo proposito va ricordato che la Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui Diritti del fanciullo, ratificata dall’Italia con L. 27 maggio 1991 n. 176, all’art. 12 impone agli Stati parti della Convenzione di garantire al minore capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la propria opinione su ogni questione che lo interessa. La norma in discorso attribuisce rilevanza alle opinioni espresse dal minore, dovendo essere le stesse debitamente prese in considerazione avuto riguardo alla sua età ed al suo grado di maturità.

Così anche la Convenzione sulla Protezione dei Minori e sulla Cooperazione in materia di adozione internazionale fatta a all’Aja il 29 maggio 1993, all’art. 4 dispone che l’adozione possa aver luogo soltanto se i desideri e le opinioni del minore siano state prese in considerazione e se il consenso del minore all’adozione, quando richiesto, è stato prestato liberamente e spontaneamente.

Il dovere di tener conto di quanto espresso dal minore in sede di ascolto è poi contemplato dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea firmata il 18 dicembre del 2000 a Nizza, rubricato “Diritti del bambino”, che al primo comma riconosce al minore il diritto di esprimere liberamente la propria opinione, dovendo poi questa essere presa in considerazione sulle questioni che lo riguardano in funzione dell’età e della maturità dello stesso.

Inoltre il Regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori, all’art. 21, rubricato “Diritto del minore ad esprimere la propria opinione”, prevede che nell’esercitare la competenza in materia di responsabilità genitoriale, le autorità giurisdizionali degli Stati membri danno al minore capace di discernimento, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, la possibilità concreta ed effettiva di esprimere la propria opinione, direttamente o tramite un rappresentante o un organismo appropriato. Il secondo comma della citata disposizione prevede che qualora decida, conformemente al diritto e alle procedure nazionali, di dare al minore la possibilità di esprimere la propria opinione ai sensi del presente articolo, l’autorità giurisdizionale tiene debito conto dell’opinione del minore in funzione della sua età e del suo grado di maturità.

Il legislatore ha inteso qui tutelare l’autodeterminazione e la personalità del minore, che designa il patrimonio individuale del singolo da individuarsi non solo nelle capacità e inclinazioni naturali ma anche nelle aspettative del minore.

Quanto alla valutazione delle dichiarazioni rese dal minore capace di discernimento e quindi dotato di sufficiente maturità, si deve comunque riconoscere al giudice la possibilità di discostarsi dalle indicazioni dello stesso minore, nel suo superiore interesse: in questo caso è ineludibile una puntuale giustificazione della decisione assunta in contrasto con le dichiarazioni del minore.

Il secondo comma dell’articolo 473 bis.4 c.p.c. dispone che il giudice non procede all’ascolto, dandone atto con provvedimento motivato, se esso è in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo, in caso di impossibilità fisica o psichica del minore o se il minore manifesta la volontà di non essere ascoltato.

Per tale ragione l’ascolto non può aver luogo, previa motivazione, in tutti i casi in cui risulti pregiudizievole per il minore, anche tenuto conto delle condizioni psichiche o fisiche dello stesso (così come previsto dall’art. 23, lett. s) della delega che fa salvi i casi di “impossibilità del minore”), o appaia del tutto privo di utilità. Il fondamento di siffatta esclusione è da ravvisare in ulteriori esigenze alle quali il legislatore attribuisce rilevanza: l’ascolto, seppur finalizzato alla ricerca dell’interesse di quest’ultimo e alla individuazione della soluzione migliore per lo stesso, non è tuttavia privo di conseguenze potendo talvolta essere dannoso per il minore.

In determinate ipotesi l’ascolto può difatti risultare contrario all’interesse del minore tenuto conto delle condizioni dello stesso e dei disagi che a quest’ultimo possano derivarne.

L’esclusione dell’ascolto può altresì aver luogo qualora sia il minore a non voler essere ascoltato, dovendo in questa ipotesi essere rispettata la scelta del minore a non essere coinvolto nella vicenda giudiziaria.

Il terzo comma dell’articolo 473-bis.4 c.p.c. prevede che nei procedimenti in cui si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice procede all’ascolto soltanto se necessario: siffatta norma mira a tutelare l’interesse del minore a non essere ulteriormente esposto a possibili pregiudizi derivanti dal rinnovato coinvolgimento emotivo nelle questioni relative alla rottura del nucleo familiare, qualora il giudice prenda atto dell’accordo tra i genitori e ritenga non indispensabile procedere all’ascolto. Tale disposizione abroga quanto previsto dall’articolo 337 octies del codice civile, secondo cui nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo all’affidamento dei figli, il giudice deve sempre procedere all’ascolto, salvo che ciò appaio in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.

L’articolo 473-bis.5 c.p.c. dà poi attuazione a quanto previsto a livello sovranazionale in ordine all’introduzione di una serie di garanzie e di accorgimenti che il giudice dovrà adottare ai fini dell’ascolto, durante il quale potrà farsi assistere da esperti e altri ausiliari: è difatti stabilito che il giudice debba fissare l’udienza tenuto conto degli impegni scolastici del minore, rendendolo edotto della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto tenuto conto della maturità e dell’età del minore e procedendo all’adempimento con modalità che garantiscano la serenità e la riservatezza del minore.

A questo proposito l’articolo 25 della “Convenzione di Lanzarote” del 25 ottobre 2007, adottata dal Consiglio d’Europa e ratificata dall’Italia il 10 ottobre 2012, rubricato “Audizione del minore”, prevede il dovere degli Stati parti di assicurare che le audizioni del minore si svolgano, ove necessario, in locali concepiti o adattati a tal fine e siano condotte da professionisti.

La chiusa del quarto comma dell’articolo 473-bis.5 c.p.c. attribuisce al giudice il dovere di informare il minore che abbia compiuto i quattordici anni, della possibilità di chiedere la nomina di un curatore speciale. Tale disposizione mira a dare concreta attuazione a quanto previsto dall’articolo 473-bis.8 c.p.c. che prevede la nomina da parte del giudice del curatore speciale qualora sia il minore quattordicenne a richiederlo.

L’articolo 473-bis.5 c.p.c., al terzo comma, contempla il dovere del giudice, prima di procedere all’ascolto, di indicare i temi oggetto dell’adempimento alle parti e ai difensori. Ai genitori, a coloro che esercitano la responsabilità genitoriale, ai difensori delle parti, al curatore speciale del minore, se nominato, e al pubblico ministero è riconosciuta la facoltà di proporre argomenti e temi di approfondimento e, se autorizzati dal giudice, di partecipare all’ascolto.

Per assicurare il più corretto svolgimento dell’ascolto, e per evitare successivi possibili fraintendimenti o dubbi interpretativi circa quanto concretamente avvenuto in tale sede, l’articolo 23 lett. s) della delega ha previsto che il giudice debba procedere “in ogni caso” alla videoregistrazione dell’ascolto del minore.

A tal fine, dunque, l’ultimo comma dell’articolo 473-bis.5 c.p.c. prevede in ogni caso che dell’ascolto del minore sia effettuata registrazione audiovisiva. Qualora per motivi tecnici non è possibile procedere alla registrazione, il processo verbale dell’ascolto deve descrivere dettagliatamente il contegno del minore.

La disposizione di cui sopra entrerà in vigore una volta che il Ministero abbia adottato un decreto ministeriale che doti gli uffici degli strumenti tecnologici necessari alla videoregistrazione, da redigere a cura dello stesso organo ministeriale.

In assenza di videoregistrazione, come detto, il giudice dovrà procedere a una verbalizzazione quanto più analitica dell’ascolto, anche dando conto del contegno del minore.

In considerazione della portata generale delle nuove norme, deve altresì prevedersi l’abrogazione dell’articolo 336-bis c.c. e dell’articolo 38 disp. att. c.c., con inserimento del contenuto di quest’ultimo in una nuova disposizione di attuazione del codice di procedura civile (l’articolo 152-quater). Viene inoltre inserita una nuova disposizione di attuazione del codice di procedura civile (l’articolo 152-quinquies), che prevede che “con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia sono stabilite le regole tecniche per la registrazione audiovisiva, la sua conservazione e il suo inserimento nel fascicolo telematico”.

Ancora, l’articolo 23, lett. b) della delega, nel disciplinare i casi di rifiuto del minore di aver contatti con uno o entrambi i genitori, ha previsto il dovere del giudice di accertare con urgenza le cause del rifiuto, procedendo personalmente all’ascolto del minore e assumendo ogni informazione ritenuta necessaria.

In attuazione di siffatto principio, il legislatore delegato ha introdotto l’articolo 473-bis.6 c.p.c. che prevede che qualora il minore rifiuti di incontrare uno o entrambi i genitori, il giudice procede all’ascolto senza ritardo.

In ogni caso, il giudice assume sommarie informazioni sulle cause del rifiuto ai sensi dell’articolo e può disporre l’abbreviazione dei termini processuali, stante l’urgenza di provvedere quanto prima al ripristino del legame familiare.

L’ultimo comma dell’articolo 473-bis.6 c.p.c. dispone l’applicazione di tali disposizioni anche nei procedimenti in cui siano allegate o segnalate condotte di un genitore tali da ostacolare il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo tra il minore e l’altro genitore o la conservazione di rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Il fondamento della norma deve essere ravvisato nell’esigenza di garantire una pronta tutela in tutti i casi in cui vi sia il rischio di compromissione del mantenimento della relazione affettiva tra il minore e il genitore o tra il minore e gli ascendenti o altri parenti di ciascun ramo genitoriale: al riguardo, il legislatore ha reputato necessario prevedere che il giudice debba procedere prontamente e personalmente all’ascolto, fatta salva la possibilità di farsi assistere da un esperto o altro ausiliario.

Il giudice potrà poi assumere sommarie informazioni da soggetti che possano riferire su circostanze utili ai fini della decisione, sulle cause del rifiuto del minore ad avere contatti o ad incontrare il genitore, gli ascendenti o altri familiari.

L’articolo 473-bis.7 c.p.c. dà attuazione ad uno dei principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lett. dd), l. n. 206/2021 nella parte in cui è stato disposto che sia prevista “la possibilità di nomina di un tutore del minore, anche d’ufficio, nel corso ed all’esito dei procedimenti di cui alla lettera a), ed in caso di adozione di provvedimenti ai sensi degli articoli 330 e 333 del codice civile”.

La necessità di una espressa previsione normativa è discesa dalla rilevazione di prassi non uniformi, nel territorio nazionale, quanto alla nomina del tutore o di soggetto chiamato a esercitare la responsabilità genitoriale, nell’ambito ed all’esito dei procedimenti aventi ad oggetto domande di decadenza dalla responsabilità genitoriale (ex articolo 330 c.c.) o di adozione di misure limitative della responsabilità genitoriale, in presenza di condotte dei genitori pregiudizievoli per la prole (ex articolo 333 c.c.). Come noto all’esito della riforma dell’art. 38 disp. att. c.c., attuata con la l. n. 219/2012, tali domande, c.d. de responsabilitate, possono essere proposte anche nell’ambito di altri procedimenti, aventi usualmente ad oggetto la disciplina dell’affidamento dei figli minori (per es.: procedimenti di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e loro modifiche), per questo la norma in esame sarà applicabile a tutti procedimenti indicati nell’art. 473 bis c.p.c., nei quali siano proposte domande ex articolo 330 c.c. o articolo 333 c.c., restando ovviamente possibile applicare la disposizione a procedimenti che abbiano per oggetto esclusivamente queste domande.

Nell’attuale applicazione delle norme indicate si rilevano diverse scelte interpretative potendo, per esempio, essere rinvenuti provvedimenti di decadenza dalla responsabilità genitoriale privi di espressa nomina del tutore, ovvero provvedimenti che tale nomina contengano con diverse statuizioni in merito alla trasmissione degli atti al giudice tutelare territorialmente competente. Ancora più evidente è la divergenza di applicazione delle norme vigenti, certamente lacunose sul punto, nel caso di nomina del tutore nel corso del procedimento, poiché in alcune di queste ipotesi il tribunale procedente provvede, nell’immediatezza, a trasmettere gli atti al giudice tutelare per l’apertura della tutela ex articolo 343 ss. c.c., con conseguente attribuzione a tale giudice dei poteri di vigilanza allo stesso attribuiti; in altri casi, la trasmissione non avviene e i poteri di vigilanza sono assunti dal giudice procedente. L’intervento normativo in esame ha il fine di dettare principi uniformi.

Il principio di delega, oltre a prevedere la possibilità di nominare un tutore nel corso e all’esito dei procedimenti ex articolo 330 c.c., ha espressamente riconosciuto la possibilità di nomina del tutore anche nel corso ed all’esito di procedimenti finalizzati all’adozione di misure limitative della responsabilità genitoriale, emesse ex articolo 333 c.c. Nell’applicazione concreta del principio di delega, al fine di rendere le norme processuali maggiormente omogene rispetto alle disposizioni sostanziali che disciplinano i presupposti per la nomina del tutore, si è preferito differenziare tra le ipotesi di procedimenti aventi ad oggetto domande di decadenza dalla responsabilità genitoriale, e domande di cui all’articolo 333 c.c.

L’articolo 343 c.c. prevede, infatti, l’apertura della tutela qualora entrambi genitori siano morti ovvero se “per altre cause non possono esercitare la responsabilità genitoriale”; tradizionalmente tale locuzione è stata interpretata con riferimento alle ipotesi in cui i genitori per impedimento oggettivo (quale ad esempio irreperibilità, malattia fisica o mentale che impedisca totalmente al genitore di assumere decisioni per il figlio), non possano esercitare i compiti genitoriali. Pertanto, nel caso di limitazioni della responsabilità genitoriale, adottate ai sensi dell’articolo 333 c.c., è apparso preferibile non prevedere la possibilità di nomina di un tutore ma prevedere la nomina di un curatore del minore. La nuova disposizione appare coerente con i principi di delega perché prevedere la nomina di un curatore, al quale all’esito di procedimento ex articolo 333 c.c., verranno attribuiti specifici poteri, rientra nella previsione di cui all’articolo 1, comma 23, lett. dd), l. n. 206/2021. Volendo rappresentare il rapporto tra le disposizioni si potrebbe immaginare la nomina del tutore come l’insieme più grande, all’interno del quale è compreso l’insieme più limitato della nomina del curatore; come nel più sta il meno, si ritiene pertanto che il principio di delega sia pienamente rispettato, anche in una prospettiva teleologica e tenuto conto della complessiva finalità di tale principio (diversamente operando permarrebbe un vulnus nella posizione del minore nei casi di pronuncia di limitazione della responsabilità genitoriale), prevedendo la nomina di un curatore quando all’esito del procedimento di cui all’articolo 333 c.c. verranno adottate misure limitative della responsabilità genitoriali, avendo il curatore poteri più limitati di quelli del tutore.

L’intervento normativo in esame ha quindi l’obiettivo di fornire nuovi strumenti normativi che permettano al giudice della famiglia e dei minori di avere a disposizione una vasta gamma di possibili interventi, per adottare provvedimenti sempre meno standardizzati e sempre più “disegnati” sulle esigenze del caso concreto, superando in tal modo la ricorrente critica mossa dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo allo Stato italiano, proprio per l’adozione di “provvedimenti stereotipati”, formalmente conformi al dettato normativo, ma sostanzialmente inidonei a risolvere le difficoltà e a garantire l’equilibrata crescita dei minori, proteggendoli dal conflitto genitoriale.

Il primo comma della disposizione in esame prevede che il giudice, anche relatore, possa procedere all’apertura della tutela ed alla nomina del tutore del minore sia nel corso del procedimento (quando sono adottati provvedimenti provvisori di sospensione della responsabilità genitoriale propedeutici alla successiva pronuncia della decadenza) nominando, in tal caso, un tutore provvisorio; sia all’esito del procedimento ex articolo 330 c.c., qualora la misura della decadenza sia pronunciata nei confronti di entrambi i genitori (in quanto nel caso in cui la sospensione provvisoria e la successiva decadenza siano pronunciate nei confronti di un solo genitore, non vi è necessità di nomina del tutore o del curatore concentrandosi la titolarità o l’esercizio della responsabilità genitoriale sull’unico genitore ritenuto idoneo). La norma comprende tali poteri tra quelli che il giudice può esercitare d’ufficio, quale specificazione dei poteri officiosi riconosciuti al giudice, anche al solo relatore, in via generale dall’articolo 473-bis.2 c.p.c., prevedendo che nel rispetto del principio del giusto processo qualora tale opzione sia esercitata il giudice che procede alla nomina del tutore debba rispettare il principio del contraddittorio, in applicazione dei principi generali più puntualmente declinati nell’articolo 473-bis.2 c.p.c. L’ultimo periodo del comma in esame al fine di scongiurare il rischio di sovrapposizione di competenze e di adozione di provvedimenti potenzialmente in contrasto, precisa che nel caso in cui la nomina del tutore avvenga nel corso del procedimento ex articolo 330 c.c., le funzioni di vigilanza e controllo di cui all’articolo 344 c.c., usualmente attribuite al giudice tutelare, sono esercitate dal giudice che procede. Quando invece (terzo comma) l’apertura della tutela e la nomina del tutore sono effettuate all’esito del procedimento (e comunque anche qualora all’esito del procedimento venga disposta la nomina del tutore, quando nel corso del procedimento era stato nominato tutore provvisorio) viene chiarito che il giudice che procede deve disporre la trasmissione del provvedimento al giudice tutelare del luogo di residenza abituale del minore, affinché possa essere aperta la tutela, con le conseguenze normativamente previste, in merito al controllo ed alla vigilanza del tutore, che viene attribuita al giudice tutelare.

Il secondo comma disciplina la nomina del curatore del minore. In primo luogo, occorre delimitare gli esatti confini della nomina del curatore del minore adottata ai sensi dell’articolo in esame rispetto alla nomina del curatore speciale del minore di cui all’articolo successivo. Il curatore speciale del minore di cui all’articolo 473-bis.8 c.p.c. è figura processuale, è soggetto (nella maggior parte dei casi individuato tra avvocati altamente specializzati) chiamato a rappresentare il minore nei casi di conflitto di interessi con i genitori (specificamente indicati nella norma, per esempio nei casi di procedimenti di decadenza, di procedimenti ex articolo 403 c.c., di affidamento etero familiare del minore etc.) ovvero nei casi in cui vi sia espressa richiesta del minore che abbia compiuto i quattordici anni di età. Il curatore speciale del minore esaurisce i suoi compiti (anche laddove gli siano stati assegnati specifici poteri sostanziali) con la definizione del procedimento nel cui ambito è avvenuta la nomina.

Il curatore del minore la cui nomina è prevista dall’articolo in esame è invece figura che appartiene all’ambito “sostanziale” (analoga al tutore, ma con compiti più limitati e specificamente individuati nel provvedimento giudiziale di nomina), in quanto è chiamato a esercitare specifici compiti, attribuitigli nel provvedimento che ha definito un procedimento ex articolo 333 c.c., nel caso in cui siano state adottate misure limitative della responsabilità genitoriale. È stato così recepito un orientamento ermeneutico, fatto proprio da alcune corti di merito, per il quale, in caso di elevatissima conflittualità genitoriale, non risolta neppure con l’adozione di misure, quali il monitoraggio del nucleo familiare o l’affidamento del minore al servizio sociale, è stata disposta la sospensione dalla responsabilità genitoriale (misura da ricondurre nell’alveo dell’articolo 333 c.c.) dei genitori, mantenendo in capo agli stessi la gestione delle questioni di ordinaria amministrazione relative ai minori, e attribuendo a soggetto terzo il compimento degli atti di straordinaria amministrazione e comunque le decisioni di maggiore rilevanza per i figli di minore età (quali ad esempio la decisione sulla iscrizione scolastica, sulle cure mediche, su trattamenti sanitari etc.). Proprio per questi limitati compiti attribuiti, al contrario di quanto accade con la nomina del tutore che può essere effettuata anche in corso di causa, il curatore di cui al comma 2 dell’art. 473-bis.7 c.p.c., potrà essere nominato solo all’esito del procedimento, poiché nel corso dello stesso, già sarà presente il curatore speciale del minore nominato ai sensi dell’articolo 473-bis.8 c.p.c., comma 1, lett. c).

La nuova figura va distinta altresì dall’esperto nominato su richiesta delle parti ai sensi dell’articolo 473-bis.26 c.p.c., riconducibile nell’alveo degli ausiliari del giudice nominati ai sensi dell’articolo 68 c.p.c., soggetto destinato ad esercitare le funzioni attribuite solo nel corso del processo, e che cessa (al pari del curatore speciale) i compiti assegnati con la conclusione del procedimento giudiziale nel quale è avvenuta la nomina.

Il curatore del minore, di cui all’articolo in esame, è chiamato a esercitare i poteri genitoriali attribuiti dal provvedimento del giudice, al fine di garantire che, terminato il giudizio, la conflittualità o le difficoltà comunque presenti in capo ai genitori, che avranno determinato l’adozione, ex articolo 333 c.c., di provvedimenti limitativi dell’esercizio della responsabilità genitoriale, non pregiudichino la crescita e lo sviluppo della prole.

Con l’introduzione di questa figura si amplia, compatibilmente a quanto previsto nella legge delega, lo strumentario a disposizione del giudice della famiglia e dei minori, offrendo un ulteriore mezzo in grado di consentire il superamento delle situazioni in cui i genitori, pur essendo idonei a garantire l’accudimento quotidiano della prole, a causa del conflitto imputabile alla condotta di entrambi (con conseguente impossibilità di disporre l’affidamento esclusivo ad uno dei due), o a causa di altre difficoltà (comunque non tali da comportare la decadenza) non riescano ad assumere alcuna decisione di maggiore rilevanza per i figli, e la conflittualità sia così elevata da paralizzare, nella sostanza, diversi interventi quali l’affidamento al servizio sociale qualora disposto, con continui ricorsi all’autorità giudiziaria per “stallo” della capacità decisionale relativa ai minori. In presenza di queste situazioni, il giudice all’esito del procedimento potrà decidere se ricorrere all’affidamento al servizio sociale ovvero alla nomina del curatore del minore, ai sensi dell’articolo in esame, scelta da operare in relazione al caso concreto.

Nella prassi, infatti, nelle ipotesi di elevatissima conflittualità genitoriale, in alcuni territori, anche a causa delle croniche carenze di organico, i responsabili del servizio sociale affidatario, non sono in grado di compiere le scelte relative al minore anche quando espressamente attribuite nel provvedimento giudiziale di nomina, con rimessione delle stesse all’autorità giudiziaria attraverso l’invito al genitore interessato alla decisione ad investire della stessa il tribunale, con realizzazione di situazioni di stallo che possono creare pregiudizio per il minore. I precedenti di merito adottati hanno dato prova di ottima riuscita, e in molti casi non sono stati neppure oggetto di impugnazione, in quanto il soggetto autorizzato a compiere scelte, con la garanzia che tali scelte vengono comunque compiute sotto la vigilanza del giudice tutelare, ma con procedimenti molto più immediati, senza imporre l’istaurazione di veri e propri giudizi per superare continui conflitti tra i genitori, ha permesso agli stessi di raggiungere un sostanziale equilibrio nella gestione della prole.

Nel disciplinare la nomina del nuovo curatore, il comma 2 prevede che lo stesso (analogamente a quanto accade per la nomina del tutore) possa essere nominato dal giudice, anche d’ufficio sempre nel rispetto del principio del contraddittorio, solo all’esito (e non nel corso del procedimento, poiché come detto nel corso del procedimento è già presente il curatore speciale del minore nominato ai sensi dell’articolo 473-bis.8 c.p.c. del procedimento in cui è adottato un provvedimento di limitazione della responsabilità genitoriale ai sensi dell’articolo 333 c.c. Il medesimo comma precisa i contenuti del provvedimento di nomina che deve indicare: sia la persona presso la quale il minore è collocato (genitori, parenti, ma anche struttura); sia la precisa individuazione dei compiti riservati al curatore e di quelli che possono essere compiuti dal soggetto presso il quale il minore ha residenza abituale (nella maggior parte dei casi uno dei genitori, ma anche terzi, o responsabili di strutture residenziali); i termini entro i quali il curatore deve periodicamente inviare relazioni al giudice tutelare al quale è attribuita la vigilanza ai sensi dell’articolo 337 c.c. sull’andamento degli interventi, sui rapporti tra il minore e i genitori, sull’attuazione dei progetti previsti nel provvedimento di nomina del curatore predisposto al giudice che ha adottato la misura.

Il giudice sarà chiamato a disegnare un dettagliato provvedimento con la finalità di recuperare le difficoltà dei genitori che hanno portato all’adozione della misura limitativa della responsabilità genitoriale, garantendo pieno sostegno e tutela al minore, con l’ausilio del curatore, che potrà operare nei limiti indicati nel provvedimento e la cui attività sarà sottoposta alla vigilanza del giudice tutelare.

L’articolo 473-bis.8 c.p.c. è rubricato “Curatore speciale del minore” e dà attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”, nonché nell’articolo 1, comma 23, lett. dd), prima parte, l. n. 206/2021, che prevede “la nomina, anche d’ufficio, del curatore speciale del minore”. La norma in esame costituisce di fatto la trasposizione, dovuta a un’esigenza di riordino della materia e di più corretta collocazione sistematica, delle disposizioni contenute negli articoli 78 e 80 del codice di procedura civile, introdotte con due disposizioni immediatamente precettive dalla stessa legge 26 novembre 2021, n. 206, all’articolo 1, commi 30 e 31.

Nell’effettuare il dovuto riordino, si è ritenuta opportuna qualche integrazione e precisazione, sempre nel rispetto della portata delle norme. Così, ad esempio si è ritenuto di specificare che “Il curatore speciale del minore procede al suo ascolto ai sensi dell’articolo 315 bis, terzo comma, del codice civile, nel rispetto dei limiti di cui all’articolo 473-bis.4 c.p.c.”. La precisazione è stata inserita per fugare possibili dubbi circa la natura e le modalità dell’ascolto da parte del curatore speciale, che non è già assimilabile all’istituto dell’ascolto in sede processuale, ai sensi delle nuove disposizioni di cui agli articoli 473-bis.4 c.p.c. e seguenti, ma una differente forma di partecipazione, rispondente al principio generale contemplato dall’articolo 315-bis, terzo comma, del codice civile, per il quale “il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano”.

Per quanto attiene all’articolo 473-bis.9 c.p.c., si è già avuto modo di sottolineare come i procedimenti in materia di minori e famiglia debbano essere assistiti da una serie di rilevanti deroghe a principi anche fondamentali del processo ordinario, quali ad esempio i principi della domanda e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, con correlata attribuzione al giudice di un ampio ventaglio di poteri officiosi.

Queste deroghe rispondono precipuamente alla finalità di protezione dei soggetti vulnerabili, tra i quali in primis i minori. In questa prospettiva, evidenti analoghe esigenze di protezione hanno portato a ritenere necessario introdurre una norma che chiarisca che anche “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano le disposizioni in favore dei figli minori previste nel presente titolo, in quanto compatibili”. La norma costituisce la trasposizione della regola prevista dall’articolo 337-septies, secondo comma, del codice civile, per il quale “ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori”, così venendo a rappresentare il doveroso raccordo tra l’ambito sostanziale e quello processuale, che nella finalità di tutela dei diritti che gli è propria al primo fa costantemente riferimento.

Quanto all’articolo 473-bis.10 c.p.c. si osserva quanto segue. La mediazione familiare, valorizzata dalla legge delega, non costituisce propriamente un istituto di risoluzione alternativa della controversia, perché la mediazione, anche quando produce un accordo, non risolve di per sé la lite, essendo sempre necessario un ulteriore momento più specificamente giuridico-formale.

In particolare, con riferimento alle ipotesi in cui si tratta di provvedimenti riguardanti i figli, essa si propone come un percorso di ristrutturazione e rigenerazione della relazione tra le parti, nella difficile transizione tra la relazione affettiva e il mantenimento di quella genitoriale. È in questo quadro psicologico e comunicativo che interviene l’assistenza di un terzo professionista, il mediatore, che svolge la sua opera con strumenti che non sono puramente giuridici, in un contesto qualificato, o setting, che non faccia percepire alle parti la tensione agonistica e avversariale del processo, ma semmai rafforzi in loro la capacità comunicativa e di confronto e con essa il proposito di mettersi d’accordo. Di qui una serie di peculiarità che deve rispettare la disciplina giuridica di questo istituto, che presenta caratteristiche al contempo endoprocessuali ma anche extraprocessuali.

Sotto il profilo dell’accesso alla mediazione, la stessa è configurata come una possibilità alla quale le parti devono poter ricorrere su base volontaria. A tal fine, si è preso spunto dall’esperienza di ordinamenti in cui questa pratica si è particolarmente sviluppata, prevedendo la possibilità per le parti di ricevere direttamente informazione da un mediatore circa le caratteristiche e le modalità di questo percorso.

Il secondo comma della norma prevede poi che, qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 473-bis.22 c.p.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli. La norma riproduce il contenuto dell’attuale art. 337-octies, secondo comma, c.c. e risponde all’idea che laddove le parti, motivate a percorrere la strada della mediazione, esprimano il loro accordo in tal senso, il giudice possa anche rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti che pure sarebbe tenuto a emanare. La disposizione mira a consentire alle parti interessate alla mediazione di verificare la possibilità di una soluzione bonaria del conflitto, evitando che il nuovo assetto che diversamente sarebbe stato determinato dal giudice possa compromettere la prosecuzione della via del dialogo.

L’articolo 473-bis.11 c.p.c. e l’articolo 473-bis.47 c.p.c. danno attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. d), prima parte, l. n. 206/2021 (“procedere al riordino dei criteri di competenza territoriale, prevedendo quale criterio di competenza prevalente quello della residenza abituale del minore che corrisponde al luogo in cui si trova di fatto il centro della sua vita al momento della proposizione della domanda, salvo il caso di illecito trasferimento”).

Il primo comma dell’articolo 473-bis.11 c.p.c. prevede, come criterio generale assorbente, che tutti i procedimenti in cui debbano essere assunti provvedimenti a tutela del minore spettino alla competenza del tribunale nel cui circondario il minore abbia la residenza abituale, come definita al novellato articolo 316 del codice civile. La norma costituisce espressione dei principi sovranazionali in materia (Reg. UE 1111/19; Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori conclusa all’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101) e di quelli espressi dalla Suprema Corte (cfr. da ultimo Cass., ord. 7 giugno 2021, n. 15835).

Per non frustrare lo spirito della norma e per disincentivare trasferimenti attuativi di forme di “forum shopping”, è previsto che, in caso di trasferimento non autorizzato della residenza del minore, permanga la competenza del tribunale del precedente luogo di residenza, qualora il ricorso sia depositato entro l’anno. La fissazione di un termine, decorso il quale la competenza spetta al giudice del nuovo luogo di residenza del minore pure in presenza di trasferimenti non autorizzati, risponde alla necessità di superare alcune incertezze interpretative (Cass., ord. 20 ottobre 2015 n. 21285) ed è espressione dei principi generali della normativa sovranazionale (art. 9 Reg. UE 1111/19 e art. 7 conclusa all’Aja il 19 ottobre 1996 e ratificata con legge 18 giugno 2015, n. 101).

Il secondo comma dell’art. 473-bis.11 c.p.c. prevede che, in assenza di figli minori, il tribunale territorialmente competente sia individuato in base ai criteri generali degli articoli 18 e seguenti.

La norma di cui all’articolo 473-bis.12 c.p.c. descrive i requisiti di contenuto-forma dell’atto introduttivo del giudizio e delle attività allo stesso correlate, dando attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. f).

La scelta della forma dell’atto introduttivo (ricorso), con tutto quanto ne deriva, si ispira a molti dei procedimenti tradizionali della giustizia familiare (su tutti, separazione e divorzio), nonché al processo del lavoro dal quale il rito unitario pure attinge alcune caratteristiche. Il ricorso deve contenere, oltre all’indicazione del giudice (“l’indicazione dell’ufficio giudiziario davanti al quale la domanda è proposta”) e ai riferimenti soggettivi della lite, oltre alle indicazioni relative ai minori o ai figli maggiorenni ma bisognosi di protezione (“il nome, il cognome, il luogo e la data di nascita, la cittadinanza, la residenza o il domicilio o la dimora e il codice fiscale dell’attore e del convenuto, nonché dei figli comuni delle parti se minorenni, maggiorenni economicamente non autosufficienti o portatori di handicap grave, e degli altri soggetti ai quali le domande o il procedimento si riferiscono”; “il nome, il cognome e il codice fiscale del procuratore, unitamente all’indicazione della procura”), gli ulteriori elementi identificativi dell’azione (“la determinazione dell’oggetto della domanda” e “la chiara e sintetica esposizione dei fatti e degli elementi di diritto sui quali la domanda si fonda, con le relative conclusioni”), nonché, non a pena di decadenza, “l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi e dei documenti che offre in comunicazione”.

Importante caratteristica che la riforma ha messo in evidenza è quella di un doveroso collegamento tra il giudizio ed eventuali ulteriori procedimenti già pendenti. Si prevede quindi che il ricorso debba altresì indicare l’esistenza di altri procedimenti aventi a oggetto, in tutto o in parte, le medesime domande o domande ad esse connesse e che allo stesso sia allegata copia di eventuali provvedimenti, anche provvisori, già adottati in tali procedimenti.

Una particolare attenzione viene poi riservata ai casi di domande di contributo economico (intendendosi con tale espressione tutte le possibili ipotesi di assegno) o comunque in presenza di figli minori, per i quali è previsto che al ricorso debbano essere allegati una serie di documenti significativi, per consentire al giudice di avere evidenza e cognizione quanto più completa della situazione economico-patrimoniale delle parti, tra i quali le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali, nonché gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni.

Infine, sempre in attuazione di un’indicazione contenuta nell’articolo 1, comma 23, lett. f) l. n. 206/2021 (laddove si prevede che “con gli atti introduttivi le parti depositino altresì un piano genitoriale che illustri gli impegni e le attività quotidiane dei minori, relativamente alla scuola, al percorso educativo, alle eventuali attività extrascolastiche, sportive, culturali e ricreative, alle frequentazioni parentali e amicali, ai luoghi abitualmente frequentati, alle vacanze normalmente godute”) la chiusa della norma stabilisce che nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso (ma analogo onere è previsto per il convenuto in virtù del richiamo contenuto nell’articolo 473-bis.16 c.p.c.) è allegato un piano genitoriale, che consiste nell’illustrazione, secondo la reciproca prospettazione dei genitori, degli elementi principali, che la norma espressamente individua, del progetto educativo e di accudimento del minore. Si tratta di utili informazioni che permettono al giudice, investito del procedimento, di individuare e dettagliare all’interno dei provvedimenti che egli è chiamato ad assumere, le indicazioni più opportune nell’interesse del minore, costruite “su misura” rispetto alla situazione di vita pregressa e alle sue abitudini consolidate.

Con l’articolo 473-bis.13 c.p.c., che costituisce una doverosa integrazione dell’attuazione dell’articolo 1, comma 23, lett. e) della legge delega, nella parte in cui mantiene fermo “il potere del pubblico ministero nei procedimenti di cui agli articoli 330, 332, 333, 334 e 335 del codice civile e in quelli di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, di proporre la relativa azione” si è ritenuto necessario descrivere i requisiti di contenuto-forma del ricorso del pubblico ministero, partendo dagli elementi tipici e necessari generalmente previsti per l’atto introduttivo della parte privata, ma con le dovute necessarie differenze, avendo l’iniziativa della parte requirente sempre ad oggetto esclusivamente diritti indisponibili e in particolare situazioni di pregiudizio che riguardano il minore, cui corrispondono i poteri ufficiosi del giudice, e non potendosi pertanto estendere il regime delle preclusioni previste per le parti private anche in considerazione dell’urgenza dell’intervento del giudice, con impossibilità per il pubblico ministero di acquisire preventivamente tutti gli elementi necessari (come ad esempio le generalità complete del genitore non convivente del minore, irreperibile o irregolarmente soggiornante sul territorio nazionale).

In particolare, per quanto riguarda l’indicazione all’interno del ricorso “di coloro che possono avere un interesse qualificato all’esito del giudizio”, la disposizione intende fare riferimento a tutte le ipotesi in cui, anche in virtù del tradizionale effetto erga omnes che si riconosce ai giudicati in materia di status, vi siano ulteriori soggetti che potrebbero essere interessati all’esito della pronuncia. Si pensi, esemplificativamente, ai casi dei ricorsi presentati ai sensi degli attuali articoli 48 e 50 c.c. (per effetto della riforma 473-bis.60 c.p.c. e 473-bis.62 c.p.c.), in cui devono essere indicati il nome e il cognome dei presunti successori legittimi dello scomparso e se esistono del suo procuratore o rappresentante legale; e nel caso di istanza per la dichiarazione di morte presunta devono altresì essere indicati il nome e il cognome di tutte le altre persone che, a notizia del pubblico ministero, perderebbero diritti o sarebbero gravate da obbligazioni, per effetto della morte dello scomparso.

Per altro verso, proprio per la maggiore facilità per il pubblico ministero rispetto alle parti private di avere accesso ad informazioni riservate (la comunità ove è collocato il minore, la pendenza di procedimenti penali, l’accesso all’anagrafe tributaria) si sono previsti alcuni oneri specifici di allegazione.

Con l’ultimo comma la disciplina è stata estesa, fatto salvo il principio di compatibilità, agli altri soggetti, diversi dai genitori, titolari di un potere di iniziativa autonomo nell’interesse del minore esposto a una situazione di pregiudizio.

Gli articoli da 473-bis.14 c.p.c. a 473-bis.19 c.p.c. disciplinano la fase introduttiva del procedimento, in particolare le forme e i contenuti della comparsa di costituzione del convenuto, le preclusioni alle difese anteriori all’udienza e le riaperture consentite nel corso del procedimento. Sono inoltre previste le misure cautelari che possono essere adottate in via urgente, senza immediato contraddittorio.

I principi direttivi che hanno avuto applicazione sono quelli previsti dal comma 23, lett. f), h), i).

In particolare, l’articolo 473-bis.14 c.p.c. disciplina le fasi del procedimento successive al deposito del ricorso.

Il presidente con decreto nomina il giudice relatore e fissa l’udienza, avvisa e rende edotto il convenuto dei termini decadenziali che sono fissati alle sue difese, della necessità di munirsi di un difensore tecnico, potendo godere del patrocinio a spese dello Stato, della necessità di costituirsi entro trenta giorni anteriori l’udienza.

Si tratta degli avvisi sui termini decadenziali che l’attore, per i processi che si introducono con citazione, deve precisare nell’atto ai sensi dell’articolo 163, 3° comma, n. 7, c.p.c.

Su iniziativa dell’attore, entro dieci giorni dalla comunicazione del decreto, copia del ricorso e decreto vengono notificati al convenuto, in modo di garantire dalla notifica all’udienza un termine a difesa non inferiore a sessanta giorni, con dilazione ulteriore per i casi in cui la notifica debba essere effettuata all’estero e salvo sanatoria, mediante rinvio della prima udienza, in caso di termine inferiore.

Ad ampiamento della disciplina dei contenuti del decreto presidenziale, all’articolo 473-bis.15 c.p.c. è stata ammessa, su istanza della ricorrente, in caso di pregiudizio imminente e irreparabile al diritto o di pregiudizio all’attuazione della misura, la possibilità che il presidente adotti provvedimenti opportuni, assunte quando occorre sommarie informazioni, prima ancora che sia suscitato il contraddittorio, salvo poi fissare, come la legge delega espressamente imponeva, udienza entro quindici giorni nella quale riesaminare la situazione e confermare, modificare o revocare le misure adottate. La misura inaudita altera parte risponde alla necessità di assicurare protezione contro situazioni di grave e urgente pregiudizio che possono verificarsi anche in corso di causa; non si vedono dunque ragioni per non consentire l’adozione di tale misura anche nel prosieguo del giudizio, imponendosi comunque sempre anche in tal caso la fissazione di un’udienza ravvicinata per la “convalida” o meno della misura. Trattandosi di misure urgenti, aventi natura cautelare, è così mutuata la disciplina dell’art. 669 sexies, 2° comma, c.p.c.

L’articolo 473-bis.16 c.p.c. regola le modalità di costituzione del convenuto, mediante deposito di comparsa entro il termine assegnato dal presidente.

In coerenza con l’articolo 473-bis.12 c.p.c., che disciplina i contenuti del ricorso, imponendo all’attore la formulazione della domanda, la disposizione regola altresì gli oneri difensivi del convenuto, imponendo nella comparsa, a pena di decadenza, la formulazione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio e le domande riconvenzionali.

L’articolo 473-bis.17 c.p.c. regola le ulteriori difese delle parti che si rendano necessarie all’esito degli atti introduttivi, ovviamente ancora riferite ai procedimenti aventi ad oggetto diritti disponibili, e ciò sia per esigenze di contraddittorio e sia per esigenze di ius poenitendi.

A questo riguardo, va in particolare segnalato che, rispetto alla formula desumibile dalla legge delega, si è ritenuto indispensabile nell’articolo 473-bis.17 c.p.c. assegnare un termine più ampio e quindi spostare più in avanti le decadenze, per garantire il più efficace esercizio del diritto di difesa e senza pregiudizio per la celerità del procedimento, oltre che in armonia con quanto previsto per il giudizio ordinario.

Si è così previsto in particolare che l’attore potrà versare in atti memoria entro venti giorni prima dell’udienza per proporre, a pena di decadenza, le domande ed eccezioni non rilevabili d’ufficio conseguenti alla domanda riconvenzionale o alle eccezioni del convenuto e potrà nella stessa memoria modificare e precisare le domande e conclusioni. Di conseguenza il convenuto, mediante memoria da versare in atti entro dieci giorni prima dell’udienza, potrà precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni e, a pena di decadenza, formulare eccezioni non rilevabili d’ufficio che siano conseguenze della domanda riconvenzionale o delle difese dell’attore contenute nella memoria.

In tal modo si conclude il contraddittorio tra le parti in ordine a domande ed eccezioni e si esaurisce lo ius poenitendi consentito.

In relazione alle prove, a fronte del principio direttivo che impone la loro formulazione a pena di decadenza con gli atti introduttivi, ovviamente quando il processo ha ad oggetto diritti disponibili, si è ritenuto di rendere coerente il rito per le persone, per i minorenni e per le relazioni familiari, al modello graduale e differenziato caratterizzante il rito ordinario, consentendo la formulazione di prove nuove per l’attore nella memoria venti giorni prima dell’udienza e per il convenuto nella memoria dieci giorni prima dell’udienza, con un’ultima facoltà di replica dell’attore, alle prove dedotte dal convenuto, in una memoria da versare in atti cinque giorni prima dell’udienza, in modo da concludere definitivamente, prima dell’udienza, il contraddittorio tra le parti sulle prove dedotte.

All’udienza, salvo verifica di regolarità del contraddittorio e della regolarità del rapporto processuale, il giudice potrà così subito trattare le difese delle parti, senza ulteriori rinvii.

L’esigenza della gradualità delle decadenze in ordine alle prove si impone non solo per una coerenza con il sistema, alla luce delle regole che ispirano il rito ordinario, ma anche per la particolarità dei diritti solo relativamente disponibili che caratterizzano le controversie familiari e minorili.

All’articolo 473-bis.18 c.p.c. si è inteso sottolineare il dovere di leale collaborazione che le parti sono tenute a rispettare, in una prospettiva di correttezza e trasparenza che deve informare l’intero svolgimento del giudizio. In particolare, si prevede che “Il comportamento della parte che in ordine alle proprie condizioni economiche rende informazioni o effettua produzioni documentali inesatte o incomplete” possa essere valutato sia ai fini della decisione (come argomento di prova ai sensi del secondo comma dell’articolo 116 c.p.c.), sia in relazione alla finale attribuzione delle spese di lite, secondo quanto disposto dal primo comma dell’articolo 92 e dall’articolo 96 c.p.c.

Per doverosa coerenza sistematica l’articolo 473-bis.19 c.p.c., al primo comma, evidenzia poi che le preclusioni in ordine a domande ed eccezioni riservate alla parte, sia per la comparsa che per le memorie integrative, sono poste solo in relazione ai diritti disponibili tra le parti, non essendo soggetti a decadenze le difese relative a diritti indisponibili, in particolare i diritti del minore, ove tra l’altro vige una generale deroga ai principi del processo dispositivo, come quello della domanda o dell’onere di allegazione dei fatti ad iniziativa delle parti (in coerenza con i principi direttivi del comma 23, lett. f) e lett. h).

Possibilità di riaperture si impongono nel corso del processo, in coerenza con il principio direttivo di cui al comma 23, lett. i), anche in caso di sopravvenienze fattuali o di nuovi accertamenti istruttori.

Per quanto riguarda l’articolo 473-bis.20 c.p.c., si osserva quanto segue. Dal punto di vista soggettivo, i processi familiari hanno tendenzialmente una dimensione bilaterale, con due parti soltanto. Non è tuttavia esclusa, in alcuni casi, la presenza di più parti, a volte qualificate anche dalla legge come litisconsorti necessari (si pensi ad esempio alle azioni di disconoscimento di paternità ovvero di dichiarazione giudiziale di paternità). Vi sono poi ulteriori ipotesi in cui un intervento volontario è ammissibile: ad esempio, come la giurisprudenza di merito tende sempre più sovente a riconoscere, e come del resto ha stabilito espressamente la Suprema Corte (Cass. 19 marzo 2012, n. 4296), nei giudizi di separazione e divorzio deve ritenersi ammissibile l’intervento del figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e che abbia pertanto diritto al mantenimento, legittimato in tale veste in via prioritaria a ottenere il versamento diretto del contributo; intervento che secondo la Cassazione può avvenire in tutte le forme previste dall’articolo 105 c.p.c. (per far valere un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo della controversia, o eventualmente in via adesiva) e assolve una funzione di ampliamento del contraddittorio, consentendo al giudice di provvedere in merito all’entità e al versamento del contributo al mantenimento sulla base di un’approfondita ed effettiva disamina delle istanze dei soggetti interessati.

La disposizione in esame tende dunque a dare conto di tali possibilità, ma mentre nell’ipotesi del litisconsorzio necessario non può esservi preclusione temporale all’intervento spontaneo del litisconsorte necessario eventualmente pretermesso (poiché in difetto di una sua partecipazione al processo la sentenza resa inter pauciores non sarebbe neppure in grado di esplicare i suoi effetti e resterebbe dunque sostanzialmente inutiliter data), nelle ipotesi di intervento volontario per semplice connessione è opportuno fissare un termine massimo per l’intervento, che in un processo concepito con rigorose barriere preclusive sin dagli atti introduttivi si è dunque immaginato dover coincidere con il momento della costituzione del convenuto, per consentire alle parti di esplicitare le necessarie difese anche a seguito della costituzione del terzo e delle domande dallo stesso proposte, nelle memorie anteriori alla prima udienza finalizzate alla definitiva fissazione del thema decidendum e del thema probandum.

L’articolo 1 comma 23 lett. l), della legge delega è particolarmente articolato perché disciplina le principali attività della prima udienza di comparizione delle parti, che si svolge davanti al giudice relatore nominato dal presidente al momento del deposito del ricorso.

Un primo segmento della nuova disciplina delineata all’articolo 473-bis.21 c.p.c. attiene alla fase iniziale, in cui è richiesta la comparizione personale delle parti non solo per prendere atto delle loro volontà di non volersi riconciliare ma anche per sentirle direttamente e formulare loro una motivata proposta conciliativa involgente l’intera controversia, valutando tutto il materiale probatorio già acquisito agli atti del processo.

In considerazione del necessario impulso di parte che deve essere mantenuto per tutto il corso del processo è al tal fine in primo luogo previsto che se il ricorrente non compare o rinuncia e il convenuto costituito non chiede che si proceda in sua assenza, il procedimento si estingue, facendo salvi ovviamente i casi in cui il procedimento sia stato instaurato su ricorso del pubblico ministero, giacché in tali ipotesi l’impulso delle parti diviene irrilevante.

Ma non solo. L’importanza della comparizione personale è inoltre contrassegnata dagli effetti riconnessi da legislatore delegato alla mancata comparizione, senza giustificato motivo, che è valutata ai sensi dell’articolo 116, secondo comma, c.p.c. e per la regolamentazione delle spese di lite.

All’udienza il giudice deve sentire le parti, e può optare al riguardo, in considerazione della natura della causa e delle particolarità di ogni fattispecie, se scegliere di sentirle congiuntamente ovvero separatamente, alla presenza dei rispettivi difensori. In tale sede deve tentare, per quanto possibile, la conciliazione.

Il giudice può inoltre, come già accennato, formulare una motivata proposta conciliativa della controversia.

Se le parti aderiscono alla proposta conciliativa formulata dal giudice, il giudice assume i provvedimenti temporanei e urgenti che si rendono necessari e rimette la causa in decisione, per la pronuncia di sentenza che prenda atto ovvero omologhi gli accordi raggiunti dalle parti, in modo analogo alla disciplina prevista per i procedimenti su domanda congiunta.

L’articolo 473-bis.22 c.p.c., nel solco della precedente norma, sempre attuando i principi di delega esposti al comma 23, lettere q) e r), disciplina i nuovi poteri del giudice, da esercitarsi fin dalla prima udienza di comparizione delle parti.

In primo luogo, innovando integralmente la precedente disciplina, si registra una concentrazione di poteri in capo al giudice relatore, sia di natura tipicamente decisoria, attraverso l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti, prima della riforma attribuiti alla competenza del presidente ai sensi dell’articolo 708, terzo comma, c.p.c., sia quelli istruttori di valutazione e ammissione dei mezzi di prova, le cui richieste devono essere state definitivamente formulate dalle parti negli atti introduttivi e nelle successive memorie difensive, depositate nei termini indicati dall’articolo 473-bis.17 c.p.c.

Nell’adozione dei provvedimenti provvisori riguardanti le parti e la prole, il giudice istruttore indica la decorrenza degli effetti per le statuizioni aventi contenuto economico con facoltà di retrodatarli al momento della proposizione della domanda, previsione particolarmente importante e volta, per un verso, a prevenire il cospicuo contenzioso di carattere esecutivo innescato dall’incertezza circa l’insorgenza temporale degli obblighi contributivi discendenti dall’adozione dei provvedimenti presidenziali e, per altro verso, a garantire che, anche nel tempo trascorso tra il deposito del ricorso e la celebrazione della prima udienza – oggi particolarmente contenuto nelle previsioni del legislatore delegante – gli oneri di mantenimento siano comunque assolti dal genitore/coniuge gravato.

Tali provvedimenti possono essere adottati anche quando uno dei coniugi non compare all’udienza (fermo naturalmente quanto già esaminato in merito all’ipotesi che sia il ricorrente a non presentarsi e il convenuto non chieda che si proceda in sua assenza). L’ordinanza, suscettibile di reclamo, secondo la previsione dell’articolo 473-bis.24 c.p.c., costituisce titolo esecutivo e altresì titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ed è dotata di ultrattività, conservando la sua efficacia anche dopo l’eventuale estinzione del processo, finché non sia sostituita con altro provvedimento. È necessario chiarire che a essere reclamabile sarà solo l’ordinanza nella parte che contiene le statuizioni di merito temporanee e urgenti (concernenti l’affidamento e il mantenimento dei figli e del coniuge, i provvedimenti aventi contenuto economico e tutti i c.d. provvedimenti consequenziali), non ovviamente la parte dell’ordinanza che pronuncia su aspetti meramente organizzativi dell’iter iudicii ovvero istruttori.

In secondo luogo, sempre alla prima udienza, con lo stesso provvedimento, il giudice istruttore ammette i mezzi di prova e fissa l’udienza per la relativa assunzione, da tenersi entro novanta giorni, predisponendo, al contempo il calendario del processo. In questa parte l’ordinanza non è reclamabile ma, secondo il regime generale sancito dall’articolo 177 c.p.c., sarà sempre revocabile o modificabile e lo sarà comunque nel caso di ricorrenza di fatti sopravvenuti.

Infine, in terzo luogo, la prima udienza di comparizione potrebbe avere un esito anche definitorio in tutti i casi in cui la causa si presenti matura per la decisione senza necessità di ulteriore istruttoria. In questo caso, il giudice invita le parti a precisare le conclusioni e dispone la discussione orale della causa nella stessa udienza o, su istanza di parte, in un’udienza successiva e, all’esito, si riserva di riferire al collegio per la decisione; modulo decisorio da utilizzare anche per il caso in cui debba essere decisa la domanda relativa allo stato delle persone e il procedimento debba continuare per la definizione delle ulteriori domande (art. 1, comma 23, lett. q) l. n. 206/2021).

Il testo della norma deve poi coordinarsi con tutte quelle norme collocate nella parte generale del presente titolo che attribuiscono al giudice l’esercizio di poteri officiosi a tutela dei minori, e altresì alle disposizioni speciali dettate a tutela delle presunte vittime di abuso e violenza. Si fa così riferimento, a titolo esemplificativo, alla nomina del curatore speciale, all’assunzione di mezzi di prova, anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile, nel rispetto del contraddittorio e del diritto alla prova contraria, alla richiesta di integrazione della documentazione quando deve provvedere su domande di carattere alimentare, all’ascolto del minore, alla informativa sulla possibilità delle parti di avvalersi della mediazione familiare.

La norma contenuta nell’articolo 473-bis.23 c.p.c. rappresenta l’attuazione del principio espresso nella legge delega (art. 1, comma 23, lett. u) l. n. 206/2021) volto a stabilire che i provvedimenti temporanei e urgenti “…possano essere modificati o revocati dal giudice, anche relatore, nel corso del giudizio in presenza di fatti sopravvenuti o di nuovi accertamenti istruttori…”.

In ossequio al puntuale e analitico disposto della delega si è quindi previsto che la modificabilità e revocabilità dei provvedimenti temporanei e urgenti (naturale riflesso del loro atteggiarsi rebus sic stantibus, non diversamente peraltro anche dai provvedimenti definitivi) possa unicamente essere disposta in dipendenza di ragioni giustificatrici nuove, di natura sostanziale (nuovi fatti sopravvenuti) ovvero processuale (nuovi accertamenti istruttori), senza quindi introdurre un regime di libera modificabilità o revocabilità unicamente in considerazione di una diversa valutazione effettuata dal giudice in un successivo momento.

Con riferimento all’articolo 473-bis.24 c.p.c., quale necessaria garanzia nei confronti dei provvedimenti temporanei assunti in prima udienza è previsto il reclamo. Per quanto riguarda il relativo regime, la delega si limita a prevedere che il giudice decide in composizione collegiale (art. 1, comma 23, lett. r) l. n. 206/2021). Al riguardo, l’originaria intenzione, quale risultante anche dai lavori della Commissione Luiso, avrebbe verosimilmente dovuto essere nel senso di una generale reclamabilità sempre di fronte al tribunale, del cui collegio ovviamente non avrebbe dovuto far parte il giudice che aveva emanato il provvedimento impugnato. Ragioni di prudenza hanno invece consigliato di confermare (ed estendere in via generale) l’attuale regime proprio dei provvedimenti presidenziali emanati nella separazione e del divorzio, che prevede ex art. 708, quarto comma, c.p.c. il reclamo alla Corte d’Appello, e ciò per non introdurre una modifica eccessiva per il sistema ed esorbitante rispetto ai numeri dei processi e ai ruoli giudiziari.

Inoltre, rispetto all’auspicata reclamabilità anche di tutti i provvedimenti provvisori emessi in corso di causa, la stessa non potrà verosimilmente attuarsi per ragioni di insufficienza di ruoli, ma si è prevista comunque una forma di controllo per i provvedimenti più invasivi, id est quelli dotati di maggiore portata, come quelli che sospendono o introducono sostanziali limitazioni alla responsabilità genitoriale, nonché quelli che prevedono sostanziali modifiche dell’affidamento e della collocazione dei minori ovvero ne dispongono l’affidamento a soggetti diversi dai genitori.

Questo, almeno sino alla futura realizzazione della riforma ordinamentale e quando avrà luogo l’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, quando la elevata specializzazione dei magistrati assegnati al costituendo tribunale potrà permettere l’assegnazione dell’intero giudizio alle sezioni circondariali (in composizione monocratica), e le impugnazioni dei provvedimenti sia provvisori che definitivi davanti alla sezione distrettuale.

Sempre a questo proposito, l’ulteriore principio di delega di cui al comma 23, lett. v) “modificare l’articolo 178 del codice di procedura civile introducendo una disposizione in cui si preveda che, una volta istituito il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, l’ordinanza del giudice istruttore in materia di separazione e di affidamento dei figli è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio, che il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di venti giorni dalla lettura alla presenza delle parti oppure dalla ricezione della relativa notifica e che il collegio decide in camera di consiglio entro trenta giorni dal deposito del reclamo” sarà attuato con le norme di coordinamento successive all’introduzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

Per quanto riguarda l’articolo 473-bis.25 c.p.c., si osserva quanto segue. Il comma 23 lett. dd) ha demandato al legislatore delegato di definire una autonoma regolamentazione della consulenza tecnica psicologica, prevedendo, al contempo, che nell’albo dei consulenti tecnici siano indicate le specifiche competenze dai medesimi posseduti. Quanto alla disciplina di dettaglio relativa alla tenuta degli albi, la legge delega, con il comma 33, ha apportato modifiche significative agli artt. 13 e 15 del regio decreto 18 dicembre 1941, n. 1368 (disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie), prevedendo l’inserimento, tra le categorie da ricomprendere nell’albo, quella della neuropsichiatria infantile, della psicologia dell’età evolutiva e della psicologia, disciplinando dettagliatamente i titoli richiesti per le relative specializzazioni.

La norma di cui si discute, per converso, disciplina l’oggetto della consulenza precisandone gli ambiti di applicazione e delineando la cornice entro cui le indagini del consulente devono essere condotte. È così previsto che il giudice, con il provvedimento con cui dispone la consulenza, indichi l’oggetto dell’incarico e che il consulente, nell’elaborazione della relazione, tenga distinto ogni segmento dell’indagine precisando: i fatti osservati direttamente e le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi, per giungere alle valutazioni supportandole con evidenze scientifiche o comunque con indicazione dei parametri sui quali si fondano. La relazione deve poi concludersi con proposte concrete di intervento a sostegno del nucleo familiare e dei minori.

Uno spazio specifico è dedicato dalla norma agli accertamenti sulle competenze genitoriali che, alla stregua dei rilievi critici evidenziate dalla recente giurisprudenza di legittimità (si leggano a riguardo, i rilievi formulati nell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 9691/2022), devono essere sempre demandati al c.t.u. con provvedimento motivato, il quale esprimerà una valutazione sulla personalità dei genitori solo se ciò assuma incidenza ai fini della verifica della loro capacità genitoriale, e supporterà i giudizi tecnici espressi con l’indicazione precisa sia delle metodologie seguite sia dei parametri riconosciuti dalla comunità scientifica. Lo scopo perseguito dal legislatore delegato, in aderenza allo spirito della legge delega sul punto, è quello di definire il perimetro e le finalità del mezzo istruttorio, volto esclusivamente a fornire al giudice strumenti ed informazioni tecnico-scientifiche che gli consentano, unitamente ad ulteriori elementi istruttori, di formulare valutazioni e adottare soluzioni il più possibili adeguate a soddisfare e tutelare i diritti delle parti e dei minori (cfr. Cass. 23804/2021).

L’articolo di cui all’articolo 473-bis.26 c.p.c. costituisce attuazione del criterio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. ee), l. n. 206/2021 nel quale è prevista: “la facoltà per il giudice, anche relatore, su richiesta concorde di entrambe le parti, di nominare un professionista, scelto tra quelli iscritti nell'albo dei consulenti tecnici d'ufficio, ovvero anche al di fuori dell'albo in presenza di concorde richiesta delle parti, dotato di specifiche competenze in grado di coadiuvare il giudice per determinati interventi sul nucleo familiare, per superare i conflitti tra le parti, per fornire ausilio per i minori e per la ripresa o il miglioramento delle relazioni tra genitori e figli”.

Ispirato da buone prassi presenti in taluni tribunali, che si sono sviluppate dalla constatazione della necessità che il giudice della famiglia e dei minori sia coadiuvato da professionisti esperti in altri saperi, non solo a fini di valutazione ma anche al fine di attuare specifici interventi, la norma in esame prevede la possibilità che il giudice (il potere deve essere riconosciuto anche in corso di causa) possa nominare ai sensi dell’articolo 68 c.p.c. quale suo ausiliario un professionista, scelto tra quelli iscritti all’albo dei CTU (ovvero anche al di fuori dell’albo in presenza di concorde richieste delle parti) per compiere specifiche attività, espressamente demandate dal giudice, qualora necessarie alla risoluzione del conflitto familiare o a fini di ausilio o sostegno alla relazione genitori-figli. Si pensi, ad esempio, ai numerosi casi in cui, pur in assenza di condotte gravemente pregiudizievoli del genitore, siano diradati o interrotti i rapporti genitori-figlio ovvero il figlio sia in tenera età ed emergano resistenze da parte del genitore convivente a consentire a libere frequentazioni da parte dell’altro, giudicato inidoneo all’accudimento, ovvero anche alle ipotesi, non infrequenti, in cui minori adolescenti abbiano difficoltà di relazione con l’esterno anche a causa della vicenda separativa che ha coinvolto il nucleo familiare. In queste ipotesi il ricorso a professionisti (psicologi, assistenti sociali, pedagogisti ecc.) può essere un valido e spesso risolutivo aiuto. Al fine di controllare l’operato del professionista è tuttavia necessario inserirlo in una cornice processuale, che viene individuata nell’articolo 68 c.p.c. Nell’ambito del singolo procedimento il professionista verrà nominato ausiliario del giudice ai sensi del richiamato articolo 68 c.p.c., nella qualità di “esperto in una determinata professione” incaricato di assistere il giudice ai sensi dell’articolo 337-ter c.c., norma che prevede che il giudice adotti “i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa” per “assicurare che il figlio mantenga un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori”; solo il ricorso ad un professionista esperto può consentire di assistere l’autorità giudicante nel compimento di queste attività.

La norma prevede che a queste figure possa farsi ricorso solo previo assenso di entrambe le parti del processo, in primo luogo per i costi che saranno a carico delle parti nel caso di nomina dell’ausiliario (salva la possibilità di ricorrere al patrocinio a spese dello Stato per le parti ammesse al beneficio) e, inoltre, in considerazione della particolarità degli interventi che con questo strumento verranno attuati e che necessitano della collaborazione e non dell’opposizione delle parti. In caso di opposizione il giudice potrà ricorrente agli ordinari strumenti di ausilio (quali, ad esempio, incarichi al servizio socio-assistenziale).

Il primo comma della norma in esame indica i presupposti per procedere alla nomina (concorde richiesta delle parti), precisa che gli esperti nominati saranno qualificati quali ausiliari del giudice, e che gli stessi potranno essere scelti o attingendo agli albi dei CTU ovvero anche al di fuori di tale ambito in presenza di accordo delle parti. La norma non indica gli esatti contenuti dell’incarico demandato a tali ausiliari, descrivendone soltanto i fini; si tratterà infatti di interventi non codificati, ma da adattare alle singole fattispecie per superare i conflitti tra le parti, ovvero fornire ausilio ai minori, in particolare (ma non solo) per favorire la ripresa o il miglioramento delle relazioni genitori-figli dove incrinate o interrotte.

Il secondo comma precisa che il giudice individua esclusivamente gli obiettivi dell’intervento, assegnando termini, anche periodici qualora si tratti di interventi che necessitino di un consistente lasso di tempo per essere realizzati, alla scadenza dei quali l’ausiliario dovrà depositare una relazione sull’attività svolta con concessione di termini anche alle parti per il deposito di note scritte. Tale intervento è diverso da quelli valutativi propri della CTU, avvicinandosi agli interventi di sostegno perché finalizzato a risolvere situazioni in cui le relazioni genitori figli risultino compromesse, ovvero emergano specifiche difficoltà dei minori. Il giudice procedente conserva per tutta la durata dell’intervento un ruolo di controllo e di guida dello stesso, in quanto il comma terzo precisa che in caso di questioni sui poteri e sui limiti dell’incarico conferito sia l’ausiliario sia le parti potranno rivolgersi al giudice, che adotterà i provvedimenti opportuni.

La norma di cui all’articolo 473-bis.27 c.p.c. dà attuazione ad alcuni dei principi contenuti nell’art. 1, comma 23, lett. ff) della legge delega, che invita il legislatore delegato ad adottare puntuali disposizioni per regolamentare l’intervento dei servizi socio-assistenziali o sanitari, in funzione di monitoraggio, controllo e accertamento. A questo scopo, la disposizione è finalizzata a dettare alcune necessarie indicazioni di raccordo tra l’organo giudicante e i servizi sociali o sanitari che lo stesso abbia ritenuto di fare intervenire nel conflitto familiare e il cui compito è destinato a durare lungo un arco temporale spesso non definibile a priori e comunque ulteriore rispetto al momento finale di definizione del giudizio. A tal fine, e dal punto di vista organizzativo, si prevede in primo luogo che ogni volta in cui il giudice dispone l’intervento dei servizi sociali o sanitari, egli debba indicare “in modo specifico” l’attività ad essi demandata (ovvero il perimetro di compiti assegnati ai servizi, ad evitare indebiti interessamenti e più ancora mancanze rispetto ai compiti loro attribuiti) e fissare i termini entro cui i servizi sociali devono depositare una relazione periodica sull’attività svolta, e quelli entro cui le parti possono depositare memorie.

Dal punto di vista del contenuto delle relazioni, sempre in attuazione del principio della delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. ff) è stato poi considerato fondamentale che nelle relazioni dei servizi siano concretamente distinguibili i diversi aspetti relativi all’intervento, ovvero i fatti accertati, le dichiarazioni rese dalle parti e dai terzi e le eventuali valutazioni formulate dagli operatori che, ove aventi oggetto profili di personalità delle parti, devono essere sempre fondate su dati oggettivi e su metodologie e protocolli riconosciuti dalla comunità scientifica, da indicare nella relazione.

E’ poi assicurato il dovuto regime di pubblicità, o meglio di informativa, sempre tenuto conto che la situazione familiare è in costante evoluzione e quindi appare necessario poter verificare come le eventuali criticità riscontrate all’interno del nucleo o i disagi espressi dai minori trovino nel tempo lo sperato ristoro, e a tal fine si è previsto che le relazioni dei servizi devono essere ostensibili alle parti, che possono quindi prendere visione ed estrarre copia delle relazioni e di ogni accertamento compiuto dai responsabili del servizio sociale o sanitario incaricati, trasmessi all’autorità giudiziaria, salvo che sussistano particolari ragioni di segretezza per cui la legge disponga diversamente.

La norma di cui all’articolo 473-bis.28 c.p.c. dà attuazione dell’art. 1, comma 23, lett. z), l. n. 206/2021, che invita il legislatore delegato a “prevedere che per la fase decisoria il giudice relatore, esaurita l’istruzione, fissi davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione con assegnazione dei termini per gli scritti difensivi finali, che all’udienza la causa sia posta in decisione dal giudice relatore che si riserva di riferire al collegio e che la sentenza venga depositata nel termine di sessanta giorni”.

In ossequio a tali indicazioni è stato concepito un regime semplificato, per il quale, una volta esaurita l’istruzione, il giudice relatore fissa davanti a sé l’udienza di rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti termini comuni per le attività difensive finali e precisamente:

- un termine non superiore a sessanta giorni prima dell’udienza per il deposito di note scritte di precisazione delle conclusioni;

- un termine non superiore a trenta giorni prima dell’udienza per il deposito delle comparse conclusionali;

- un termine non superiore a quindici giorni prima della stessa udienza per il deposito delle memorie di replica.

All’udienza la causa viene quindi rimessa in decisione e il giudice delegato si riserva di riferire al collegio. La sentenza è infine depositata nei successivi sessanta giorni.

La norma di cui all’articolo 473-bis.29 c.p.c. corrisponde a un principio generalmente riconosciuto nell’ordinamento (pur se sino a oggi, nella complessiva differenziazione dei riti, evidenziato soprattutto per i giudizi di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili e i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) per il quale i provvedimenti, anche definitivi, che dettano una regolamentazione giuridica al flusso di rapporti personali e patrimoniali intercorrenti tra le parti o tra le stesse e la prole (si pensi, tra i molti esempi, alle decisioni relative all’assegno di mantenimento o divorzile, a quelle relative all’assegnazione della casa familiare, alle modalità di affidamento dei figli minori e di mantenimento degli stessi e di quelli anche maggiorenni non economicamente indipendenti) vengono sempre emanati rebus sic stantibus, e pertanto in relazione a un preciso quadro fattuale e istruttorio delineatosi in seno al processo e cristallizzatosi, da un punto di vista temporale, al momento della rimessione della causa in decisione.

Il successivo fisiologico modificarsi di tale quadro di riferimento e la sopravvenienza di nuove circostanze può dunque alterare in modo anche significativo la prospettiva in base alla quale i provvedimenti sono stati in origine assunti, e conseguentemente determinare la necessità di modificarle per adattarle alla nuova situazione venutasi a creare.

La norma in esame si pone quindi nel solco del generale necessario raccordo e coordinamento delle disposizioni che devono regolamentare il nuovo rito unitario, e trova una giustificazione anche formale (pur se implicita) nella stessa legge delega, all’articolo 1, comma 23, lett. hh) (“introdurre un unico rito per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell’articolo 711 del codice di procedura civile, alla revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell’articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati…”) che nel prevedere la necessità di introdurre un rito unitario anche per i giudizi di modifica e revisione di fatto riconosce la possibilità che le statuizioni finali possano essere oggetto di tale modifica e revisione.

In questa prospettiva, si è ritenuto opportuno introdurre una disposizione fondamentalmente di principio (relativa ai presupposti e alle condizioni perché il giudizio di revisione e modifica possa essere instaurato), in quanto, per quanto concerne l’individuazione del rito applicabile a tali forme di giudizi, valgono le norme generali relative al procedimento unitario.

Per quanto riguarda l’articolo 473-bis.30 c.p.c. si osserva quanto segue. L’articolo 1, comma 23, lett. nn) della legge delega ha genericamente previsto la predisposizione, ad opera del legislatore delegato, di un’autonoma regolamentazione “per il giudizio di appello, per tutti i procedimenti di cui alla lett. a)” del medesimo comma, con l’intento di procedere ad una definizione del rito dell’impugnazione che ne delinei le regole da valere rispetto a tutte le materie per le quali si applichi il rito uniforme, senza, tuttavia, fornire indicazioni vincolanti sulle forme processuali da applicare. Fino all’entrata in vigore del nuovo giudizio di cognizione per il contenzioso familiare, l’impugnazione avverso le sentenze di separazione e divorzio è promossa e trattata con le forme del procedimento in camera di consiglio, in virtù del richiamo operato dall’art. 4 comma 15 della Legge 1° dicembre 1970 n. 898. L’assenza di precise regole processuali ha indotto il gruppo di lavoro a deliberare un modello processuale che, seppur strutturato secondo regole di tipo “contenzioso” con richiami espressi alle norme dell’appello ordinario, mantenendo la collegialità della trattazione e della decisione, tuttavia, mutui, per un verso, dall’esperienza del rito camerale la snellezza ed elasticità e, per altro verso, dal processo di primo grado i poteri “officiosi” del giudice in tutti i casi in cui si debbano tutelare gli interessi dei minori.

L’articolo 473-bis.30 c.p.c. contiene, attraverso il richiamo all’articolo 342 c.p.c., la prima scelta di modulare gli oneri di forma del ricorso ai requisiti di ammissibilità prescritti per l’appello ordinario, nell’attuale formulazione ma anche, nel testo che verrà modificato in attuazione della legge delega, ai sensi del comma 8 dell’articolo 1.

L’articolo 473-bis.31 c.p.c., in conformità alle regole prescritte per il giudizio di primo grado, dispone che il presidente, a seguito del deposito del ricorso in cancelleria, nei cinque giorni successivi, nomini il relatore, fissi l’udienza di comparizione e trattazione e il termine entro il quale l’appellante debba provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto all’appellato, con la precisazione che tra la data della notificazione e quella dell’udienza intercorra un termine non inferiore a novanta giorni, da elevarsi a centocinquanta nel caso di notifica da eseguirsi all’estero.

Significativa è la previsione del quarto comma dell’articolo 473-bis.31 che, attraverso l’attivazione dei poteri officiosi e di impulso, consente al presidente, fin dal momento nel quale nomina il giudice relatore e fissa l’udienza, di disporre l’acquisizione d’ufficio delle relazioni aggiornate dei servizi socio-assistenziali e sanitari e di ordinare alle parti di depositare tutta la documentazione indicata dall’art. 473-bis.12, terzo comma, c.p.c. vale a dire quella reddituale e patrimoniale. Il richiamo espresso alla norma prevista per gli oneri probatori gravanti sulle parti nel giudizio di primo grado consente, nel caso di deposito incompleto della documentazione richiesta, ovvero per il caso in cui siano fornite informazioni che, all’esito del giudizio, si rivelino inesatte, di applicare, anche in appello, gli articoli 92, primo comma, 96, terzo comma, e 116, secondo comma.

L’articolo 473-bis.32 c.p.c. fissa regole processuali per la costituzione dell’appellato e per l’articolazione delle controdeduzioni difensive dell’appellante, nel caso di proposizione di appello incidentale. È prescritto che l’appellato debba costituirsi entro trenta giorni prima dell’udienza, depositando comparsa di costituzione contenente l’esposizione delle proprie difese e le precise contestazioni, in modo chiaro e specifico, al pari degli oneri formali prescritti per il ricorso in appello, e, a pena di decadenza, proporre appello incidentale. Il secondo comma, difformemente da quanto previsto per l’appello nel rito ordinario, salvaguardando l’esigenza di uno stringato contraddittorio tra le parti, prevede che l’appellante possa depositare una memoria di replica, sino a venti giorni prima dell’udienza, e che l’appellato possa replicare depositando ulteriore memoria difensiva fino a dieci giorni prima dell’udienza. L’obiettivo di questa disposizione è di consentire che si arrivi alla prima udienza dell’appello con l’attività difensiva delle parti già esaurita.

L’articolo 473-bis.33 c.p.c. disciplina le modalità dell’intervento del pubblico ministero, il quale deposita le proprie conclusioni scritte almeno dieci giorni prima dell’udienza.

L’articolo 473-bis.34 c.p.c. disciplina l’attività che si svolge alla prima udienza davanti al collegio, che potrebbe anche essere l’unica udienza nel caso in cui non sia necessaria ulteriore attività istruttoria e la causa possa essere immediatamente rimessa per la decisione.

La norma del decreto delegato precisa che non solo la decisione ma anche la trattazione si svolgerà davanti al collegio. Tale scelta motiva l’indicazione, contenuta nel testo dell’articolo, del giudice relatore piuttosto che “istruttore”, il quale, nominato al momento del deposito dell’atto di appello, all’udienza fa la relazione orale della causa e può procedere all’assunzione delle prove ammesse dal collegio quando questi ritenga necessario procedere all’istruzione della causa. All’esito della discussione o dopo l’esaurimento dell’istruzione, il collegio trattiene la causa in decisione assegnando, previa richiesta delle parti, un termine per note difensive, e deposita la sentenza nei successivi sessanta giorni.

Particolarmente significativa è la disposizione contenuta nel quarto comma della norma che attribuisce al giudice d’appello la facoltà di adottare i provvedimenti indifferibili e urgenti, previsti dall’art. 473-bis.15 c.p.c., in tutti i casi in cui ricorrono situazioni di pregiudizio imminente ed irreparabile, con le forme e le regole processuali ivi previste, con possibilità anche di intervenire inaudita altera parte e di fissare udienza per la conferma, modifica e revoca dei provvedimenti adottati, nonché quelli provvisori delineati dall’art. 473-bis.22 c.p.c.. Ciò, evidentemente, perché anche in appello potrebbero emergere le medesime esigenze che queste disposizioni prendono in considerazione con riferimento al giudizio di primo grado.

Infine, l’articolo 473-bis.35 c.p.c. indica una specifica deroga alle preclusioni prescritte dall’art. 345, terzo comma, c.p.c. per nuove prove e nuove documenti, come riscritto dalla legge n. 134/2012, la cui produzione o articolazione è sempre consentita, anche nel secondo grado di giudizio, quando questo ha per oggetto domande relative a diritti indisponibili, rimanendo operanti, di contro, le preclusioni istruttorie di cui al terzo comma dell’art. 345 c.p.c. per l’appello che riguardi domande aventi ad oggetto diritti disponibili, con riferimento al quale, a parte il giuramento decisorio, le nuove prove e i nuovi documenti sono proponibili in grado di appello solo se la parte dimostri di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile.

Per quanto riguardo l’articolo 473-bis.36 c.p.c. si osserva quanto segue. I principi direttivi del comma 23 lett ii) e ll) impongono un coordinamento delle disposizioni attuative dei provvedimenti sul mantenimento.

Il primo comma prevede che tutti i provvedimenti, anche temporanei che prevedono un contributo economico, sono immediatamente esecutivi, secondo la previsione di vari articoli già presenti, ora unificati in una unica norma del codice di rito. Il medesimo comma prevede che i suddetti provvedimenti siano anche titolo per l’iscrizione dell’ipoteca. Quanto ai provvedimenti definitivi la norma non introduce novità sostanziali ma unifica varie disposizioni di legge (art. 156, comma 5, c.c., articolo 8, comma 2, L. 898/70; articolo 3, comma 2, l.n. 219/2012). La previsione che anche i provvedimenti temporanei siano titolo per l’iscrizione ipotecaria viene invece introdotta in attuazione del principio di delega contenuto nell’articolo 1, comma 23 lett. r); il richiamo espresso al secondo comma dell’art. 96 è stato inserito al fine di bilanciare, con riferimento alle iscrizioni ipotecarie effettuate in forza di un provvedimento temporaneo, le esigenze di tutela del creditore con quelle di libera disponibilità del patrimonio del debitore, anche al fine di scongiurare ipotesi di abuso del diritto.

Il secondo comma riproduce, in un’unica norma e dunque nell’ottica di unificazione, quanto già previsto dall’articolo 156, comma 4 codice civile per la separazione personale, dall’articolo 8, comma 1 l.n. 898/70 per il divorzio e dall’articolo 3, comma 2, l.n. 219/2012 per i provvedimenti economici a tutela della prole.

Il terzo comma prevede riprende la formulazione dell’attuale articolo 8, comma 7, della l.n. 898/70 e dell’articolo 3, comma 2 della l. n. 219/2012. Il creditore può chiedere al giudice di essere autorizzato a procedere al sequestro dei beni mobili, immobili o dei crediti del debitore, affinché siano soddisfatte o conservate le sue ragioni in ordine all’adempimento. Il sequestro a garanzia del pagamento degli assegni mantiene il suo carattere speciale di strumento di coazione anche psicologica nei confronti dell’obbligato in linea con quanto stabilito dalla giurisprudenza con riferimento all’art. 156 codice civile (Cass., 19 febbraio 2003, n. 2479; Cass., 28 maggio 2004, n. 10273).

Il quarto e il quinto comma, anche in linea con il principio generale della modificabilità dei provvedimenti, prevedono il diritto delle parti di chiedere la modifica dei provvedimenti emessi a tutela delle ragioni creditorie, in presenza di mutamenti delle circostanze; la domanda dovrà essere proposta al giudice del procedimento in corso o, in mancanza, al giudice territorialmente competente in base ai principi che regolano la materia.

L’articolo 473-bis.37 c.p.c. dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lettera ll), l.n. 206/2021 che prevede di “procedere al riordino della disciplina di cui all’articolo 156 del codice civile, all'articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, all’articolo 3 della legge 10 dicembre 2012, n. 219, e all’articolo 316-bis del codice civile, introducendo un unico modello processuale strutturato in analogia a quanto previsto dall’articolo 8 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e che tenga conto dell’assenza di limiti prevista dall’articolo 156 del codice civile per adottare le garanzie a tutela dell’adempimento delle obbligazioni a carico dell’onerato e per il sequestro”.

L’attuale cornice normativa, in materia di garanzie a tutela dell’effettivo pagamento degli assegni, è composita e frammentata: l’art. 156 del codice civile prevede l’ordine di pagamento impartito dal giudice per la separazione; l’art. 8 l. n 898/1970 prevede la richiesta di pagamento diretto al terzo, svincolata dall’intervento del giudice; l’art. 3 l. n. 219/2012, disciplina le forme di garanzia per l’assegno di mantenimento in favore della prole con una formulazione che ha dato luogo a molteplici e contrastanti applicazioni (v. ex plurimis, le differenti soluzioni adottate da Trib. Milano, 24 aprile 2013 e da Trib. Roma, 7 gennaio 2015).

L’articolo in esame introduce un unico strumento a garanzia di tutti gli obblighi di mantenimento in senso lato modellato, in forza di quanto indicato dai principi di delega, sull’attuale articolo 8 l. n. 898/1970.

Il creditore dell’assegno (stabilito in favore suo ovvero della prole), decorsi trenta giorni dalla costituzione in mora del debitore inadempiente, può notificare il provvedimento che fissa an e quantum dell’assegno, ovvero l’accordo di negoziazione assistita (che, ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014, produce gli stessi effetti del corrispondente provvedimento dell’autorità giudiziaria) al terzo tenuto a versare periodicamente somme di denaro al debitore principale. Il creditore dovrà dare comunicazione dell’avvenuta notificazione all’obbligato.

Ricevuto il provvedimento, il terzo, dal mese successivo a quello di avvenuta notificazione, è tenuto al pagamento dell’assegno sino alla concorrenza delle somme da lui dovute al debitore principale. Ove il terzo non adempia il creditore ha azione esecutiva diretta nei suoi confronti.

La norma, in attuazione del principio di delega, non richiama il comma 6 dell’art. 8, l. n. 898/1970, che è abrogato: il debitor debitoris, a seguito della notificazione del provvedimento, è tenuto a versare al creditore l’ammontare dell’assegno di mantenimento indicato nel provvedimento sino alla concorrenza delle somme dovute al debitore principale e non più sino alla concorrenza della metà.

Il comma 3 prevede che, qualora il credito dell’obbligato verso il terzo sia stato già pignorato al momento della notificazione, all’assegnazione e alla ripartizione delle somme provvede il giudice dell’esecuzione, avuto riguardo alla natura e alla finalità delle somme dell’assegno.

La norma di cui all’articolo 473-bis.38 c.p.c. riguardante l’attuazione dei provvedimenti sull’affidamento costituisce estrinsecazione di una regola che traspare nell’intera legge delega e che viene specificamente considerata anche per il momento attuativo e di esecuzione dei provvedimenti. Al comma 23 lett. ff) ultimo inciso, la legge delega testualmente prevede di “dettare disposizioni per individuare modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori, prevedendo che queste siano determinate dal giudice in apposita udienza in contraddittorio con le parti, salvo che sussista il concreto e attuale pericolo, desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore o di altre condotte che potrebbero pregiudicare l’attuazione del provvedimento, che in caso di mancato accordo l’esecuzione avvenga sotto il controllo del giudice, anche con provvedimenti assunti nell’immediatezza, che nell’esecuzione sia sempre salvaguardato il preminente interesse alla salute psicofisica del minorenne e che l’uso della forza pubblica, sostenuto da adeguata e specifica motivazione, sia limitato ai soli casi in cui sia assolutamente indispensabile e sia posto in essere per il tramite di personale specializzato.

Ferma dunque restando la considerazione che l’attuazione dei provvedimenti a carattere personale nei processi della famiglia presenta connotati che impediscono di considerare applicabili le norme ordinarie del libro terzo del codice di rito, e di mantenere uno stretto controllo da parte del giudice della cognizione, il tema di fondo affrontato dal legislatore con simile previsione riguarda, in primo luogo, la necessità di agire tempestivamente per evitare che il provvedimento sull’affidamento della prole già emesso, o quello emesso durante il procedimento in corso, non venga concretamente attuato. La scelta normativa recepisce, in tutta evidenza, le sollecitazioni sovranazionali sul tema considerato che una legislazione conforme alla Convenzione Edu deve garantire l’effettività dei rimedi esistenti a tutela dei diritti fondamentali riconosciuti.

Infatti, la tempestività nell’attuazione dei provvedimenti in tema di affidamento è da tempo al centro delle valutazioni di adeguatezza degli strumenti messi in campo dall’ordinamento per la tutela dei legami familiari significativi in caso di separazione e divorzio.

La Corte Edu ha più volte ritenuto che i giudici nazionali non abbiano adottato le misure idonee a creare le condizioni necessarie per la piena realizzazione del diritto di visita in quanto il relativo provvedimento, a fronte di difficoltà esecutive o comportamenti oppositivi dell’altro genitore, spesso è rimasto privo di concreta esecuzione.

La Corte, in diversi casi, ha ritenuto “che i giudici interni non hanno adottato delle misure concrete e utili volte all'instaurazione di contatti effettivi, e hanno poi in altri casi tollerato che attraverso il comportamento di uno dei genitori venisse di fatto impedita l'instaurazione di una vera relazione tra genitore non affidatario e minore”.

Per cogliere, quindi, l’occasione e la necessità di un intervento regolatore della disciplina del controllo del giudice sull’effettività degli strumenti del processo a tutela della bigenitorialità in generale ed in particolare del singolo provvedimento adottato in tema di affidamento si è costruita una disciplina che declina la fase attuativa dei provvedimenti in questione.

 Sono state selezionate le ipotesi di intervento giurisdizionale fino all’uso della forza pubblica, da considerarsi però quest’ultima come scelta residuale e non altrimenti evitabile nei casi di assoluta necessità.

Andando al dettaglio delle previsioni, il primo e il secondo comma individuano il giudice al quale rivolgersi nei casi in cui siano sorti contrasti tra le parti in ordine all’esercizio della responsabilità genitoriale o comunque sorgano impedimenti o difficoltà, anche oggettive, che non consentano l’attuazione del provvedimento di affidamento del minore.

La declinazione della competenza, secondo un criterio logico ed ispirato a scelte di ragionevolezza sostanziale, riguarda le ipotesi di pendenza o meno del procedimento e i casi nei quali venga instaurato un nuovo procedimento tra le parti. In pendenza del procedimento sarà il giudice titolare ad essere competente per l’attuazione del provvedimento in questione. Qualora non penda alcun procedimento, la risoluzione di ogni difficoltà esecutiva va richiesta al giudice che ha emesso il provvedimento. A tale criterio si deroga nel caso in cui il minore abbia trasferito la sua residenza altrove, nel qual caso si applica il criterio di cui all’articolo 473 bis.11 c.p.c.

Il legislatore ha previsto, sempre nel secondo comma, l’ulteriore concreta ipotesi che venga instaurato un nuovo e diverso procedimento tra le parti avente ad oggetto la responsabilità genitoriale, privilegiando la necessità, in questo caso, di una concentrazione di “competenze” in capo al giudice del merito in capo al quale verrà trasferita la causa avente ad oggetto l’attuazione del provvedimento in precedenza adottato.

In quest’ultimo caso, ferma la competenza del “giudice dell’attuazione” di assumere i provvedimenti urgenti e necessari nell’interesse del minore, si prevede la trasmissione dinanzi al giudice del procedimento di nuova instaurazione con possibilità di conferma, modifica o revoca di quanto disposto.

La disciplina così costruita risponde all’esigenza di individuare un unico giudice competente ad intervenire, favorendo, al contempo, la tempestività dell’intervento attuativo e la conservazione degli effetti dei provvedimenti emessi.

La scelta compiuta dal legislatore, del tutto assimilabile a quanto già previsto dall’articolo 38 disp. att. del c.c., affonda la sua ratio nell’esigenza di prevedere un reticolato di disposizioni in grado di evitare spazi di inerzia e difficoltà nell’individuazione del giudice competente a pronunciarsi sull’esecuzione di provvedimenti già emessi a fronte dell’introduzione di successivi procedimenti giurisdizionali connessi con l’accertamento già compiuto.

Il terzo comma disciplina il procedimento, prevedendo che in seguito alla presentazione del ricorso, il giudice deve instaurare il contraddittorio con i genitori, gli esercenti la responsabilità genitoriale, il pubblico ministero, il tutore il curatore e curatore speciale se nominati. Qualora le parti non riescano ad accordarsi sulle modalità di attuazione del provvedimento, il giudice potrà provvedere d’ufficio all’emissione dei provvedimenti per l’attuazione ritenuti opportuni. Anche nella fase esecutiva le parti possono, ancora una volta, avere la possibilità di collaborare spontaneamente all’attuazione del provvedimento. Una volta però naufragata tale possibilità, il giudice esercita il suo potere regolativo fino all’ultima scelta, assolutamente residuale, di autorizzare l’utilizzo della forza pubblica secondo quanto previsto dal successivo quinto comma.

La scelta di giovarsi dell’ausilio della forza pubblica viene, infatti, rigidamente ancorata dal legislatore alla coesistenza di due elementi di valutazione: 1) l’assoluta indispensabilità del ricorso ad essa; 2) la salvaguardia della tutela psicofisica del minore.

I richiamati elementi devono essere trasfusi nella motivazione del provvedimento che dispone per l’intervento della forza pubblica. Il legislatore ha posto l’accento sia sull’an che sul quomodo di tale intervento prevedendo che esso venga posto in essere sotto la vigilanza del giudice e nella considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto, anche con il sostegno di personale socio-sanitario, questa assoluta novità dell’intervento, qualora ritenuto necessario.

Il legislatore individua questa scelta come extrema ratio a fronte della impossibilità di eseguire il provvedimento, tanto da richiedere contestualmente una motivazione specifica riguardante il bilanciamento di tutti gli interessi coinvolti, l’utilizzo delle cautele richieste dalle circostanze, l’impossibilità di procedere altrimenti.

Per chiudere il cerchio sulle possibili categorie di comportamenti idonei a richiedere l’intervento dell’autorità giudiziaria a garanzia del disposto affidamento il legislatore, al sesto comma dell’articolo in commento, prevede una specifica ipotesi di intervento incisivo e ufficioso del giudice nel caso sussista il pericolo desunto da circostanze specifiche ed oggettive, di sottrazione del minore ovvero di altre condotte in grado di minare l’attuazione del richiamato provvedimento. In questi casi è previsto che il giudice, con decreto e senza convocare preventivamente le parti, possa dettare le regole per l’attuazione del provvedimento, fissando al contempo l’udienza, da tenersi nei successivi quindici giorni, all’esito della quale potrà, con ordinanza, confermare, modificare o revocare il decreto precedentemente emesso. Avverso l’ordinanza è poi ammessa opposizione, da proporsi con le forme di cui all’articolo 473-bis.12 c.p.c.

La tempestività in funzione della sicurezza del minore è il fulcro della descritta disciplina. A confermarlo è la modalità prescelta per procedimentalizzare l’ipotesi attuativa nei casi descritti. Si pone l’accento sulla possibilità di un intervento senza convocare le parti perché, in tutta evidenza, dalla preventiva comunicazione del procedimento di attuazione, potrebbe derivare l’impossibilità di eseguire il provvedimento. Così come congegnata la disciplina in questione risponde all’esigenza funzionale di provvedere in via prioritaria alla tutela immediata del minore, ma garantendo parallelamente le esigenze del diritto di difesa attraverso l’efficace e immediato ripristino del contraddittorio a richiesta di parte per incidere sul contenuto del decreto.

Con riferimento all’articolo 473-bis.39 c.p.c., si osserva quanto segue. Il legislatore della delega ha compiuto una scelta di razionalizzazione della disciplina esistente sul tema dell’attuazione dei provvedimenti di affidamento della prole, che comprende il contestuale restyling delle regole processuali dell’art. 709 ter c.p.c. con il potenziamento dei poteri ufficiosi del giudice.

Infatti, accanto alla nuova disciplina concernente l’esercizio da parte del giudice di un potere di vigilanza ed intervento sul provvedimento emesso e rimasto inattuato, si interviene a riscrivere la disciplina di cui all’art. 709-ter c.p.c. con alcuni correttivi rivolti a potenziare l’efficacia concreta del rimedio già previsto dal legislatore.

Viene, infatti, introdotta la possibilità di adottare d’ufficio le “astreintes” ex articolo 614-bis c.p.c., previsione già contemplata nel dettaglio dal comma 33 della legge delega, entrato in vigore il 22 giugno 2022, incrementando i poteri di intervento e il ruolo di impulso del giudice in relazione ai comportamenti che possono pregiudicare il corretto svolgimento delle modalità di affidamento o creino comunque pregiudizio al minore, anche nei casi di gravi, perché ad esempio reiterate, sistematiche o strumentali inadempienze a provvedimenti di natura economica, soprattutto in ipotesi come quelle del mancato pagamento delle spese straordinarie in cui gli ulteriori strumenti messi a disposizione (ordine di pagamento diretto al terzo) non possono venire in soccorso.

Il legislatore, in questo modo, opta per una scelta di completezza ed unitarietà della disciplina dettata in tema di esecuzione dei provvedimenti sull’affidamento dei minori, rafforzando la doverosità degli stessi e altresì dei provvedimenti di natura economica in favore della prole, ritenendo opportuna la declinazione completa del novero delle tipologie di interventi di natura esecutiva, sanzionatoria e risarcitoria costituenti la risposta giurisdizionale a quei comportamenti che sono posti in essere dai genitori volontariamente e che possono minare l’obiettivo di rendere operativo il contenuto dei provvedimenti in questione.

Lo fa introducendo, peraltro, maggiori poteri officiosi nelle ipotesi in cui emergano comportamenti che integrino le gravi inadempienze e il pregiudizio al minore descritto dalla norma.

A differenza di quanto previsto nell’art. 473-bis.38, che disciplina i casi di verosimile inerzia derivante dalle contestazioni insorte tra le parti relativamente al modus nel quale attuare il provvedimento o di difficoltà oggettive o soggettive che impediscano la concreta operatività di esso, l’articolo in commento descrive condotte volontariamente pregiudizievoli in una duplice direzione.

In particolare, alle gravi inadempienze che minano il corretto svolgimento delle modalità di affidamento e agli atti volti a danneggiare il minore corrisponde la possibilità di disporre d’ufficio, alternativamente o cumulativamente, una serie di interventi che vanno dall’ammonimento alla condanna ad una sanzione pecuniaria o alla fissazione di una somma di denaro da doversi corrispondere ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione del provvedimento o per le violazioni successive nei casi più gravi di inerzia volontaria.

Per la sanzione amministrativa pecuniaria il legislatore ha confermato il range entro il quale si può disporre da un minimo di euro 75 a un massimo di euro 5.000 da versarsi in favore della cassa delle Ammende.

Il giudice, quindi, una volta verificata la sussistenza dei descritti comportamenti incidenti negativamente sul corretto svolgimento del programma di affidamento, ovvero anche per gravi inadempienze di ordine economico, può intervenire a modificare il provvedimento vigente e, anche in assenza di istanze di parte, procedere a condannare le parti al pagamento delle sanzioni descritte dalla norma. La natura di queste ultime, tipicamente sanzionatoria, può essere ricondotta, a quei “punitive damages”, molto diffusi nei paesi di Common law, previsti in relazione a comportamenti denotati dalla cd. “malice” (assimilabile al dolo del nostro ordinamento) relativi alla possibile lesione di diritti fondamentali. La natura sanzionatoria assimilabile tipicamente a quella di natura penale di tali provvedimenti ne consente la cumulabilità con il risarcimento del danno previsto dal successivo quarto comma dell’articolo in esame. Risarcimento al quale il giudice può procedere anche d’ufficio nel caso venga disposto in favore del minore.

L’ultimo comma della norma stabilisce infine che “I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari”. La norma riproduce il disposto dell’art. 709-ter c.p.c. e deve essere interpretata come riferita ai mezzi tradizionali e comuni di impugnazione previsti per il modello formale di provvedimento nel cui ambito le misure vengono in concreto in emanate, intendendosi dunque che le misure previste dalla norma in esame sono sempre impugnabili nelle forme previste per il provvedimento che fa ad essi da cornice. Ciò significa, a mero titolo esemplificativo, che dovrà considerarsi esperibile l’appello avverso le sentenze e il reclamo ex art. 473 bis.24 avverso i provvedimenti temporanei e urgenti di cui all’art. 473 bis.22.

L’articolo 473-bis.40 c.p.c., rubricato “Ambito di applicazione”, introduce nel Capo III, che disciplina le Disposizioni particolari, una Sezione interamente dedicata alle violenze domestiche o di genere.

L’allarmante diffusione della violenza di genere e domestica ha indotto il legislatore delegante a prevedere numerosi principi di delega finalizzati a evitare il verificarsi, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, aventi ad oggetto la disciplina delle relazioni familiari, ed in particolare l’affidamento dei figli minori, di fenomeni di vittimizzazione secondaria. La vittimizzazione secondaria si realizza quando “le stesse autorità chiamate e reprimere il fenomeno delle violenze, non riconoscendolo o sottovalutandolo, non adottano nei confronti della vittima le necessarie tutele per proteggerla da possibili condizionamenti e reiterazioni della violenza” (cfr. relazione sulla vittimizzazione secondaria approvata il 20 aprile 2022 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, del Senato della Repubblica, Doc. XXII bis n.10). La mancata attenzione al tema della vittimizzazione secondaria è stata oggetto di specifici rilievi mossi alle istituzioni italiane nel rapporto GREVIO (Group of Expert on Action against Violence against Women and Domestic Violence, consultabile in https://www.coe.int/en/web/istanbul-convention/italy), redatto nel 2019 all’esito dell’attività del Gruppo di esperti chiamato a verificare l’applicazione della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 giugno 2013, n. 77. Il legislatore delegato nella consapevolezza che il contrasto alla violenza domestica non si realizza soltanto con le norme penali, ma anche, e forse soprattutto, nell’ambito dei procedimenti civili e minorili, ha dettato specifici criteri di delega indicati nelle lettere b), f), l), m), n), t), ff), del comma 23, della legge n. 206/2021 per garantire piena tutela alle vittime.

Per dare attuazione ai principi di delega richiamati è stata introdotta, nel Capo III, dedicato alle “Disposizioni particolari”, una intera Sezione, intitolata “Della violenza domestica o di genere”, per disciplinare i procedimenti nei quali una delle parti alleghi di essere vittima di violenza agita dal partner o dall’ex partner, o alleghi che vittima di violenza – anche nella forma della violenza assistita- o di abuso sia il figlio minore delle parti stesse. La scelta normativa intende sottolineare l’importanza che deve essere rivolta al contrasto a questa forma di violenza nell’ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie, creando una sorta di “corsia preferenziale” per tali giudizi, che dovranno avere una trattazione più rapida e connotata da specifiche modalità procedurali. In particolare, in attuazione del principio di delega contenuto nella lett. b), del comma 23 , l. n. 201/2021, sarà sufficiente che anche solo in uno degli atti introduttivi (nel ricorso, sia quando proposto dalla parte, sia quando proposto dal pubblico ministero, ovvero nella comparsa di costituzione) siano presenti allegazioni di violenza di genere o domestica, o di abuso, per garantire una trattazione più rapida del procedimento, con attenzione anche nelle fasi preliminari del giudizio a compiere un rapido accertamento sulla fondatezza dell’allegazione. La scelta di applicare le disposizioni in esame in presenza di mere allegazioni di violenza o di abuso, intese come mera affermazione della parte di essere stata vittima di episodi di violenza domestica, di genere o di abuso, ovvero la mera allegazione che tali condotte siano state poste in essere in danno del figlio minore delle parti, ha la sua ragion d’essere sulla necessità di intercettare al suo primo manifestarsi la volontà della possibile vittima di violenza di superare quello che è noto come il ciclo della violenza. È infatti noto che le vittime di violenza hanno difficoltà a denunciare e a uscire dalla situazione di violenza, a causa delle promesse di chi agisce violenza, tese a relegare l’agito violento ad un episodio momentaneo, non destinato a replicarsi, situazione che induce la vittima a non manifestare all’esterno la situazione di violenza vissuta tra le mura domestiche. Per questo, l’ordinamento, e in particolare i giudici civili e minorili, devono essere in grado di intercettare la richiesta di aiuto della vittima, non appena la stessa si manifesti, per scongiurare il rischio, che la mancata attenzione alla violenza e all’abuso, o peggio la sua sottovalutazione o negazione da parte delle istituzioni, possano indurre la vittima a ricadere nel ciclo della violenza, al quale aveva cercato di sottrarsi. I giudizi in materia di famiglia e di minori sono infatti il luogo privilegiato per l’emersione della violenza domestica, e le norme in esame hanno il fine di permettere al giudice di riconoscere ed intercettare la violenza, compiendo già dalle prime battute del giudizio accertamenti preliminare sulla sussistenza dei fatti di violenza o di abuso.

Le norme in esame prevedono, pertanto, che in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, il procedimento venga trattato secondo una disciplina processuale connotata da specialità con il fine di verificare, già dalle prime fasi processuali, la fondatezza o meno delle allegazioni, affinché l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, non avvenga con formule stereotipate, ma solo dopo aver accertato, anche solo a livello di fumus, se l’allegazione di violenza sia fondata o meno. Per conseguire tale risultato è stato previsto un ampio coordinamento tra le diverse autorità giudiziarie civili, penali e minorili, dinanzi alle quali possono essere pendenti procedimenti relativi alle stesse parti. Fondamentale è il ruolo del pubblico ministero, che è parte nei procedimenti aventi ad oggetto la disciplina della responsabilità genitoriale in presenza di condotte pregiudizievoli dei genitori, ed è interveniente necessario nei giudizi di separazione, divorzio, affidamento dei figli nati fuori del matrimonio e nei procedimenti di modifica che in ragione del ruolo può veicolare all’interno dei giudizi civili e minorili le risultanze degli accertamenti compiuti nell’ambito dei procedimenti penali. Le norme in esame prevedono, pertanto, che sia la stessa parte, sia quando ricorrente, sia quando convenuta, ad indicare negli atti introduttivi l’eventuale pendenza di procedimenti relativi alle condotte violente o di abuso, con onere di allegare oltre ai documenti che riterrà rilevanti tutte le risultanze degli altri procedimenti qualora pendenti (per esempio i verbali delle sommarie informazioni), ma è parimenti previsto che sia il giudice d’ufficio ad acquisire tali documenti, ovvero ad assumere, anche d’ufficio, ogni mezzo di prova (con piena garanzia del contraddittorio) per accertare la fondatezza o meno delle allegazioni. Le disposizioni in esame che onerano le parti e dispongono che il pubblico ministero e il giudice, comunichino con le altre autorità procedenti, e partecipino attivamente alla verifica della fondatezza delle allegazioni di violenza o di abuso ha il fine di garantire che l’adozione dei provvedimenti, già nelle fasi preliminare del giudizio, non avvenga se non prima di aver compiuto il necessario accertamento per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni, poiché qualora emerga, anche a livello di fumus, che condotte violente sono state poste in essere il giudice dovrà adottare provvedimenti idonei a tutelare la vittima, dando piena applicazione all’art. 31 della Convenzione di Istanbul nel quale è previsto che il giudice tenga conto degli episodi di violenza “al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli”.

Particolare attenzione è dedicata allo svolgimento dell’udienza per evitare che si realizzino forme di vittimizzazione secondaria, per esempio costringendo la vittima di violenza ad essere presente in udienza con il presunto autore della violenza senza l’adozione di particolare cautele, prevedendo espressamente che non possa essere compiuto tentativo di conciliazione (che per essere congruo ed efficace presuppone che le parti siano in posizione di parità, e non si subordinazione l’una rispetto all’altra come accade nelle relazioni contraddistinte da violenza), inibendo il ricorso alla mediazione, vietata in presenza di violenza domestica, e che il giudice non potrà sollecitare in presenza di allegazioni di violenza o di abuso (salva la possibilità di disporre l’invito alla mediazione e la conciliazione nel caso in cui nel corso del giudizio si ravvisi l’insussistenza dei fatti di violenza). Specifiche norme sono dettate per garantire che forme di vittimizzazione secondaria non si realizzino nel corso degli accertamenti demandati ai Servizi socio-assistenziali o sanitari, ovvero delle valutazioni rimesse ai consulenti tecnici d’ufficio. Quanto all’ascolto del minore, in presenza di allegazioni di violenza è richiesto che il giudice proceda a tale adempimento senza ritardo e personalmente, poiché, ferma la particolare natura dell’ascolto del minore, non riconducibile nell’alveo delle prove, nondimeno anche dalle dichiarazioni del minore possono emergere elementi a sostegno o meno dell’allegazione di violenza o di abuso, con attenzione a garantire il massimo coordinamento tra le diverse autorità giurisdizionali che possono essere chiamate a verificare i medesimi fatti (seppure nei diversi ambiti di competenza) per evitare che reiterati ascolti del minore, tra loro non coordinati, possano a loro volta rivelarsi forme di vittimizzazione secondaria.

Venendo all’esame delle singole norme, l’articolo 473-bis.40 c.p.c. delinea l’ambito di applicazione della Sezione I del Capo III, stabilendo che le disposizioni previste dalla stessa si applichino nei procedimenti in cui siano allegate condotte di violenza di genere o domestica poste in essere da una parte nei confronti dell’altra ovvero nei confronti dei figli minori delle parti, ovvero in presenza di condotte di abuso, che costituiscono una specifica categoria delle condotte di violenza che merita espressa menzione, data la ricorrenza delle stesse nei procedimenti relativi ai minori. La scelta del legislatore delegato di non inserire nella norma un elenco di fattispecie nelle quali le disposizioni, della Sezione I, del Capo III, debbano applicarsi discende dalla necessità di evitare che inserendo un’elencazione, sia pure esemplificativa, alcune fattispecie possano non essere ricomprese nell’abito di applicazione delle nuove norme, che deve avere l’applicazione più ampia possibile. Per esempio, l’elencazione contenuta nel vigente art. 64-bis disp. att. c.p.p. che disciplina la trasmissione dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria penale a quella civile (che indica i delitti previsti dall’art. 575 c.p., nella forma tentata, o i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies, 612-bis e 612-ter c.p., nonché dagli articoli 582 e 583 quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, c.p.), potrebbe non comprendere alcune condotte, quali ad esempio le percosse (sanzionate dall’art. 581 c.p.), ovvero tutte le forme di violenza c.d. economica, forma di violenza compresa nell’ambito applicativo della Convenzione di Istanbul, che si realizza quando il coniuge ovvero il genitore, pur avendo disponibilità di mezzi si sottrae agli obblighi di assistenza o mantenimento (condotte sanzionate penalmente sia dall’art. 570 c.p., sia dall’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970). L’ampia nozione richiamata dall’art. 473-bis.40 permetterà di consentire una più diffusa applicazione delle disposizioni in esame, in presenza di tutte le forma di violenza, fisica, economica, psicologica, in aderenza a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul. Inoltre, permetterà al giudice di attivare la “corsia preferenziale” riconosciuta per i procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso, anche a prescindere dalla necessità di ricondurre le condotte allegate a specifiche ipotesi di reato, poiché il diverso ambito di accertamento proprio dei giudizi civili e minorili, rispetto a quelli penali, potrà far ritenere sussistenti ipotesi di violenza o di abuso rilevanti per la disciplina dell’affidamento dei minori o per l’accertamento dell’addebito della separazione, anche in presenza di cause di estinzione del reato (per esempio in presenza di prescrizioni) o in mancanza di condizioni di procedibilità (per esempio qualora si tratti di fatti perseguibili a querela di parte e i termini per la presentazione della querela siano spirati). È, infatti, di immediata evidenza come condotte violente, anche se non perseguibili penalmente, abbiano incidenza nei rapporti tra le parti, e debbano essere considerate per la valutazione delle domande di contenuto civilistico (addebito della separazione), ma soprattutto per la valutazione delle domande di affidamento dei minori, che presuppongono la valutazione della capacità genitoriale, in quanto un genitore violento con l’altro, non può essere considerato un buon genitore, avendo esposto i figli alla violenza assistita, e avendo veicolato un modello educativo distorto e che l’ordinamento ha il dovere di censurare.

L’articolo 473-bis.41 c.p.c., nel richiamare le norme generali quanto ai requisiti degli atti introduttivi prodotti dalle parti o dal pubblico ministero, contiene una precisazione: gli atti introduttivi devono contenere specifico riferimento a eventuali procedimenti, anche pendenti, relativi alle condotte violente o di abuso. L’onere non è posto a carico della sola parte che lamenti di essere vittima di violenza, ma è diretto ad ogni parte processuale, e al pubblico ministero. Pertanto, anche il presunto autore della violenza qualora proponga ricorso ovvero si costituisca come resistente, in uno dei procedimenti di cui all’art. 473-bis dovrà segnalare se risultino procedimenti relativi a condotte violente o di abuso. Il secondo comma dell’articolo in esame stabilisce che al ricorso o alla comparsa di costituzione devono essere allegati sia i provvedimenti relativi alle parti o al minore emessi dall’autorità giudiziaria (penale, civile o minorile) ovvero da altre pubbliche autorità (si pensi all’ammonimento emesso dal Questore in presenza di violenza domestica), sia atti dai quali possano desumersi elementi per verificare la fondatezza delle allegazioni di violenza (quali i verbali delle sommarie informazioni rese nel corso delle indagini, ovvero i verbali delle deposizioni rese dai testimoni durante il dibattimento penale). L’elencazione è meramente esemplificativa in quanto la norma, nella prima parte si riferisce genericamente agli “accertamenti svolti”, lasciando alle parti libertà di allegare ogni elemento ritenuto utile a sostegno dell’allegazione di violenza, o teso alla sua negazione.

L’articolo 473-bis.42 c.p.c. disciplina il procedimento in presenza di allegazioni di violenza o di abuso, prevedendo, al comma 1, la possibilità per il giudice di disporre l’abbreviazione di tutti i termini fino alla metà e di disporre mezzi di prova anche al di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile (beninteso, salvaguardando il contraddittorio e il diritto alla prova contraria, al fine di assicurare il giusto processo), al fine di garantire una rapida trattazione del giudizio ed una immediata risposta di giustizia, in attuazione del principio di delega contenuto nell’art.1, comma 23, lett. t), l. n. 206/2021. Il secondo comma prevede disposizioni volte a prevenire la vittimizzazione secondaria, prevedendo che debbano sempre essere tutelate la sfera personale, la dignità, la personalità e la sicurezza della vittima. Quanto alla necessità di evitare contatti diretti, il giudice potrà ricorrere all’udienza da remoto, ovvero a scansioni orarie della comparizione delle parti che, ferma la presenza dei difensori per assicurare la pienezza del contraddittorio, potranno evitare contatti diretti tra presunta vittima e presunto autore della condotta. Al medesimo scopo, il quarto comma prevede la possibilità di disporre, a tutela della vittima la secretazione dell’indirizzo di residenza, quando la stessa sia collocata in struttura protetta e in presenza di esigenze di sicurezza. Il comma terzo, aderendo ad una specifica indicazione della legge delega e sulla scorta delle previsioni della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, prevede che il decreto di fissazione dell’udienza non debba contenere l’invito alle parti a rivolgersi ad un mediatore familiare, quando nei confronti di una delle parti è stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche non definitiva, o provvedimento cautelare civile o penale ovvero penda procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’art. 415-bis codice di procedura penale per abusi o violenze. Tale disposizione è stata riformulata, rispetto alla sua versione originale, in adesione a quanto richiesto dalle Commissioni giustizia del Senato e della Camera nei pareri espressi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge delega. La disposizione precisa, tuttavia, che qualora il giudice, nel corso del procedimento, ravvisi l’insussistenza dei fatti di violenza, anche all’esito degli accertamenti preliminari cui è tenuto già dalle prime fasi del procedimento, potrà invitare alla mediazione o tentare la conciliazione. La scelta sottesa a questo netto divieto nasce dalla necessità di scongiurare il rischio di vittimizzazione secondaria che si realizza quando una parte vittima di violenza o di abuso sia indotta, per invito del giudice o per sollecitazione normativa, a sedersi al tavolo di mediazione o di conciliazione con l’autore della violenza, con il rischio che la dinamica di sopraffazione violenta si riproduca anche in questo contesto. Il quinto comma prevede che al fine di garantire il massimo coordinamento tra le autorità che nei diversi ambiti di competenza possono essere chiamate ad accertare i medesimi fatti di violenza o di abuso, prevede che sia il giudice a richiedere, anche d’ufficio e senza ritardo, al pubblico ministero ovvero alle altre autorità competenti (giudice penale, giudice minorile, autorità amministrativa) informazioni in merito ai diversi procedimenti pendenti, con trasmissione degli atti (ove ostensibili, perché non coperti da segreto istruttorio) entro il termine di quindici giorni. È espressamente previsto che il pubblico ministero presenti memorie e produca atti, la disposizione - al contrario di quella generale che disciplina i poteri del pubblico ministero, prevedendo la facoltà di produrre memorie e documenti (cfr. articolo 72 c.p.c.) - dispone che il pubblico ministero rivesta necessariamente un ruolo attivo nei giudizi in esame, onerandolo di partecipare non con un contributo meramente formale ma assumendo un ruolo effettivo, che può pienamente assicurare in ragione del bagaglio conoscitivo al quale tale organo accede e del ruolo che lo stesso riveste nel procedimento penale e in quello civile e minorile. Fino alla costituzione del nuovo tribunale per le persone, per le famiglie e per i minorenni sarà necessario un ampio coordinamento tra il pubblico ministero operante presso la Procura della Repubblica dinanzi al tribunale ordinario e il pubblico ministero minorile, per permettere che le informazioni nella disponibilità delle diverse autorità inquirenti possano essere trasfuse nei giudizi civili o minorili. Il sesto comma prevede espressamente che non si applicano le disposizioni relative alla necessaria presenza delle parti e al tentativo di conciliazione, per quanto sopra evidenziato con riguardo alle previsioni inserite nel terzo comma.

L’articolo 473-bis.43 c.p.c. dispone il divieto di mediazione e conciliazione familiare, in attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. f), n), m). Il legislatore delegato ha espressamente previsto che in presenza di allegazioni di violenza domestica, di genere o di abuso sarà omesso il tentativo di conciliazione, e sarà vietata la mediazione. Tali principi sono stati attuati nella norma in esame che dispone il divieto da parte dei giudice di invitare alla mediazione o di procedere alla conciliazione e il divieto da parte del mediatore di procedere alla mediazione in presenza di condanne o di pendenza di procedimenti penali, per fatti commessi da una parte in danno dell’altra o dei figli minori delle parti (comma 1 , lett. a); anche in questo caso, come da sollecitazione della Commissione giustizia della Camera dei Deputati, si è specificato che il procedimento deve trovarsi in una fase successiva a quella di cui all’articolo 415-bis del codice di procedura penale). Le medesime misure scattano, altresì, anche solo in presenza di allegazioni di violenza o di emersione di tali condotte nel corso del procedimento (comma 1, lett. b)).

L’articolo 473-bis.44 c.p.c. disciplina l’attività istruttoria in presenza di allegazioni di violenza domestica o di abuso. Ratio delle disposizioni in esame è anticipare l’accertamento sulla fondatezza o meno delle allegazioni di violenza alle fasi preliminari del giudizio, al fine di garantire che l’adozione dei provvedimenti, anche provvisori, avvenga sulla base di riscontri, seppure sommari. La norma al primo comma prevede che il giudice proceda, senza ritardo, e anche d’ufficio all’interrogatorio libero delle parti sui fatti allegati, avvalendosi se necessario di esperti per tutelare la presunta vittima, e adottando le idonee modalità di tenuta dell’udienza a garanzia della vittima, ovvero su richiesta della stessa. Il libero interrogatorio delle parti può essere di grande ausilio per il giudice perché permette di mettere a confronto le diverse narrazioni in relazione ai medesimi fatti, confronto che può fornite elementi a sostegno o a contrasto delle contrapposte ricostruzioni degli eventi; inoltre permette di acquisire ulteriori elementi per procedere alla istruttoria (per esempio per accertare al di là di quanto indicato negli scritti introduttivi se qualcuno tra parenti, amici o vicini di casa, sia in grado di riferire in merito alle condotte di violenza o abuso, persona che potrà poi essere escussa direttamente dal giudice con attivazione dei poteri d’ufficio allo stesso riconosciuti). Quanto alla necessità di evitare contatti diretti il giudice potrà ricorrere all’udienza da remoto, ovvero a scansioni orarie della comparizione delle parti che ferma la presenza dei difensori, per assicurare la pienezza del contraddittorio, potranno evitare contatti diretti tra presunta vittima e presunto autore della condotta. Il giudice, per accertare le condotte violente o di abuso, e quindi per verificare la fondatezza o meno delle allegazioni di parte, dovrà disporre senza ritardo e pure d’ufficio, “anche di fuori dei limiti di ammissibilità previsti dal codice civile” mezzi di prova, e ciò in attuazione del principio di delega contenuto nell’art.1, comma 23, lett. t), l. n. 206/2021. Al fine di garantire il rispetto del giusto processo, il giudice dovrà comunque avere cura di garantire il contraddittorio e il diritto alla prova contraria. A titolo esemplificativo è previsto che possano essere escussi soggetti che potrebbero aver assistito a fatti di violenza o abuso, ovvero acquisiti documenti presso uffici pubblici (si pensi ai Pronto soccorso) o uffici delle Forze dell’Ordine (si pensi ai verbali di accesso degli operatori chiamati per interventi sui luoghi), sempre previo rispetto dell’eventuale segreto istruttorio quando siano in corso indagini penali.

Il secondo comma della norma detta poi specifiche norme nel caso di nomina di CTU ovvero di incarico ai servizi socio-assistenziali o sanitari in procedimenti che presentino allegazioni di violenza o di abuso, disponendo espressamente che il giudice quando provvede alla nomina del CTU (da scegliere tra quelli dotati di specifica competenza in materia) o all’incarico ai Servizi, deve indicare nel provvedimento la presenza di allegazioni di violenza o di abuso. La precisazione è necessaria per la natura degli accertamenti che possono essere demandati al consulente tecnico ovvero ai responsabili del Servizio, che non potendo accertare i fatti, compito riservato in via esclusiva al giudice, devono essere posti a conoscenza delle eventuali allegazioni di violenza, per evitare che questi procedimenti, connotati di elementi di specialità, vengano trattati al pari di quelli connotati da mera conflittualità, con conseguente elevato rischio di porre in essere condotte di vittimizzazione secondaria, proprio per il mancato riconoscimento della possibile violenza domestica o della presenza di possibili abusi. Sempre a tal fine dovranno dal giudice essere specificati gli accertamenti da compiere e le misure da adottare (per esempio avendo cura di prevedere che le parti non siano convocate contemporaneamente ovvero che non si trovino a sedere intorno allo stesso tavolo di consulenza, ma invitando il CTU o i responsabili del Servizio ad adottare opportune cautele quali ad esempio collegamenti da remoto per i colloqui congiunti). In adesione al consolidato orientamento della Corte di Cassazione per il quale non possono essere poste a fondamento delle valutazioni del CTU metodologie che non siano approvate dalla comunità scientifica internazionale (in particolare la sindrome di alienazione parentale cfr. sul punto Cass., sent. n. 7041, del 20 marzo 2013; Cass., ord. N. 13217, del 17 maggio 2021) il CTU dovrà indicare espressamente a quali di queste intende riferirsi, con la precisazione che le valutazioni su caratteristiche e profili di personalità dovranno essere fondate sui parametri assunti a riferimento. È espressamente prevista, come si è detto, la possibilità per il giudice di disporre la secretazione nelle relazioni del servizio e nella CTU dell’indirizzo della vittima di violenza quando sussistano esigenze di tutela.

L’articolo 473-bis.45 c.p.c. disciplina l’ascolto del minore prevedendo espressamente che in presenza di procedimenti con allegazioni di violenza o di abuso il giudice debba procedere all’adempimento personalmente e senza ritardo, assicurando il coordinamento con l’autorità penale (per esempio acquisendo i verbali e le videoregistrazioni dell’ascolto avvenuto in ambito penale nel corso dell’incidente probatorio), ed avendo cura di evitare ogni contatto diretto tra il minore e il presunto autore della violenza e dell’abuso. Ratio della disposizione è assicurare che in presenza di questi procedimenti sia il giudice, preferibilmente nell’ambito di quegli accertamenti preliminari che devono precedere l’adozione dei provvedimenti anche provvisori, ad avere percezione diretta di quanto riferisce il minore, per cogliere personalmente tutti gli elementi che il linguaggio non verbale, particolarmente significativo per i minori, può fornire. Sono espressamente richiamate le norme generali in materia di ascolto del minore, in particolare la disposizione che ne prevede la videoregistrazione, ed è previsto al fine di scongiurare il rischio che la reiterazione degli ascolti nei diversi procedimenti che possono vedere coinvolto il minore possa tradursi in una forma di vittimizzazione secondaria, che non si proceda all’ascolto diretto quando il minore sia stato già ascoltato e le risultanze dell’ascolto, acquisite agli atti, siano ritenute dal giudice procedente con provvedimento motivato sufficienti ed esaustive.

L’articolo 473-bis.46 c.p.c. chiarisce espressamente che i provvedimenti provvisori in presenza di allegazioni di violenza o abuso potranno essere adottati solo dopo che il giudice abbia realizzato l’istruttoria anche sommaria, che è obbligato a compiere in presenza di queste allegazioni. L’istruttoria potrà essere fondata anche solo sull’acquisizione di documenti quando esaustivi per far emergere, quanto meno a livello di fumus, la presenza di agiti violenti o abusanti posti in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori delle parti stesse, ovvero potrà richiedere specifici accertamenti come l’escussione di testimoni o l’ascolto del minore. Il fine è quello di assicurare tutela alla vittima, già dall’emissione dei primi provvedimenti, in particolare fare in modo che la disciplina dell’affidamento dei figli minori o la regolamentazione del regime di frequentazione dei minori, rispetti quanto previsto dal richiamato art. 31 della Convenzione di Istanbul. La norma precisa che ogni provvedimento dovrà assicurare piena tutela alle vittime anche con l’intervento dei servizi socio assistenziali e sanitari, e con adeguata disciplina del diritto di visita tale da non compromettere la sicurezza delle vittime stesse (per esempio prevedendo visite protette, ovvero nei casi meno gravi evitando contatti diretti tra vittima e autore della violenza prevedendo che i minori vengano prelevati e ricondotti nell’abitazione della vittima della violenza non dal presunto autore della stessa ma da altri soggetti -parenti, operatori dei servizi- ovvero prevedendo che il prelievo dei minori e il loro accompagnamento avvenga presso l’istituto scolastico). È fatto espresso riferimento alla possibilità di adottare le misure previse dell’art. 342 bis c.c. che disciplina gli ordini di protezione. È inoltre espressamente previsto che nel caso di collocazione della vittima di violenza presso struttura protetta il giudice, quando opportuno, conferisca incarico ai servizi sociali e/o sanitari anche al fine di adottare adeguati progetti per il reinserimento sociale e lavorativo della vittima.

La Sezione II contiene le norme speciali destinate a trovare applicazione nei soli procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni.

L’articolo 473-bis.47 c.p.c. individua il tribunale territorialmente competente per i procedimenti di cui si è detto.

Il criterio principale, in caso di presenza di figli minori, è sempre quello della residenza abituale degli stessi. In mancanza, è competente il tribunale del luogo di residenza del convenuto. Nel caso di irreperibilità o residenza all’estero del convenuto, è competente il tribunale di residenza dell’attore; qualora, poi, anche l’attore risieda all’estero è competente qualunque tribunale della repubblica. I criteri residuali sono quelli già attualmente previsti dagli articoli 706 del codice di procedura civile e art. 4, comma 1, l. n. 898/1970, applicabili anche ai procedimenti di scioglimento dell’unione civile, in forza dell’art. 1, comma 25, l. n. 76/2016.

Nell’articolo 473-bis.12 c.p.c., che disciplina per tutte le ipotesi ricomprese nell’ambito di applicazione del rito unitario la forma dell’atto introduttivo e le connesse necessarie allegazioni, si è previsto al terzo comma che nei casi di domande di contributo economico o in presenza di figli minori, debbano essere allegati al ricorso le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, la documentazione attestante la titolarità di diritti reali su beni immobili e beni mobili registrati, nonché di quote sociali, gli estratti conto dei rapporti bancari e finanziari relativi agli ultimi tre anni. La norma di cui all’articolo 473-bis.48 c.p.c. intende estendere tale portata precettiva nell’ambito dei procedimenti della crisi familiare (procedimenti di separazione, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, di scioglimento dell’unione civile e di regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale, nonché di modifica delle relative condizioni) in via generale, tenuto conto che, anche in assenza di prole ovvero di richieste di contributo economico, l’assetto da stabilirsi comunque dipende da una valutazione del quadro economico sottostante, per la quale risulta necessario disporre della necessaria documentazione di riferimento. Ciò anche al fine di avere contezza dei presupposti fattuali in forza dei quali sono stati assunti determinati provvedimenti, e conoscere quindi i necessari dati per una eventuale futura modifica o variazione dell’assetto così determinato.

La norma di cui all’articolo 473-bis.49 c.p.c. dà attuazione a uno dei principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lett. bb), l. n. 206/2021, nella parte in cui si invita il legislatore delegato a “prevedere che nel processo di separazione tanto il ricorrente quanto il convenuto abbiano facoltà di proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, disponendo che quest’ultima sia procedibile solo all’esito del passaggio in giudicato della sentenza parziale che abbia pronunciato la separazione e fermo il rispetto del termine previsto dall'articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto queste domande qualora pendenti tra le stesse parti dinanzi al medesimo tribunale, assicurando in entrambi i casi l'autonomia dei diversi capi della sentenza, con specificazione della decorrenza dei relativi effetti”.

A seguito dell’entrata in vigore della l. 6 maggio 2015, n. 55, che ha previsto la riduzione dei termini per proporre domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio dalla data della comparizione dei coniugi nell’udienza presidenziale del procedimento di separazione, è emersa con sempre maggiore urgenza la necessità di dettare disposizioni che possano prevedere un coordinamento tra i due procedimenti, nonché ove opportuna la loro contemporanea trattazione.

Per dare risposta a questa esigenza, la norma in esame prevede, al primo comma, la possibilità di contemporanea proposizione di giudizio di separazione giudiziale e di divorzio contenzioso, in quanto come di recente affermato dalla Suprema Corte la contemporanea proposizione di domande di stato, tra le quali sussista rapporto di pregiudizialità, essendo necessario il passaggio in giudicato dell’una domanda perché ricorra la condizione per proporre l’altra, non è ostacolata dall’esistenza di un rapporto di pregiudizialità, potendo la seconda domanda essere decisa solo all’esito del passaggio in giudicato della prima (cfr. ex plurimis, le decisioni in merito alla contemporanea proposizione di domanda di disconoscimento di paternità e di accertamento giudiziale di paternità, tra le quali Cass. Civ., ord. 3 luglio 2018, n. 17392). La possibilità, sia per il ricorrente sia per il convenuto, di proporre contemporaneamente domanda di separazione e di divorzio nel medesimo giudizio, garantirà economie processuali, considerata la perfetta sovrapponibilità di molte delle domande consequenziali che vengono proposte nei due giudizi (affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, determinazione del contributo al mantenimento della prole) e, pur nella diversità della domanda, la analogia degli accertamenti istruttori da compiere ad altri fini (si pensi alle domande di contributo economico in favore del coniuge e di assegno divorzile per l’ex coniuge), con considerevole risparmio di tempo e di energie processuali. La possibilità prevista nel comma quarto della norma di definire il giudizio con la decisione su ciascuna domanda, nei diversi capi dell’unica sentenza (per esempio specifici capi su: addebito della separazione; determinazione di assegno di mantenimento per il coniuge debole con decorrenza dalla data della domanda della separazione fino alla data di passaggio in giudicato della pronuncia sulla status del divorzio - ovvero dalla data di proposizione della domanda di divorzio; determinazione di assegno divorzile con decorrenza dalla data di passaggio in giudicato della pronuncia sullo status di divorzio- ovvero dalla data di proposizione della domanda di divorzio; unica pronuncia per le domande sull’affidamento dei figli, sul loro mantenimento e sull’assegnazione della casa familiare) non priverà nessuna delle parti della pronuncia sulle domande formulate, pur garantendo il sopra richiamato risparmio di energie processuali e di procedimenti nei gradi successivi, in caso di impugnazione dei provvedimenti pronunciati.

Nel dettaglio, il primo comma della norma in esame prevede quindi la possibilità di proporre contemporanea domanda di separazione e di divorzio, precisando che il divorzio potrà essere pronunciato solo previa verifica dei presupposti richiesti dalla normativa vigente (“Negli atti introduttivi del procedimento di separazione personale le parti possono proporre anche domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e le domande a questa connesse. Le domande così proposte sono procedibili decorso il termine a tal fine previsto dalla legge, e previo passaggio in giudicato della sentenza che pronuncia la separazione personale”).

Mantenendo dunque ferma l’applicazione delle disposizioni in vigore che regolano dal punto di vista sostanziale il rapporto intercorrente tra l’istituto del divorzio e quello, allo stesso pregiudiziale (salvi ovviamente i casi di divorzio diretto) della separazione giudiziale, il divorzio potrà essere pronunciato, e le domande allo stesso accessorie (per es. domanda di assegno divorzile, di mantenimento del cognome del marito, o di liquidazione della quota di trattamento di fine rapporto) potranno essere decise, soltanto dopo che già sia stata pronunciata, nel medesimo giudizio, la sentenza parziale di separazione, previo accertamento che tale decisione sia passata in giudicato e che sia trascorso il tempo richiesto (allo stato, dopo le modifiche introdotte dalla l. 6 maggio 2015, n. 55, un anno) dalla comparizione delle parti dinanzi al giudice nel procedimento in esame (nel quale sono state proposte contemporaneamente le domande di separazione e divorzio). Qualora tali presupposti non dovessero essere sussistenti, la domanda di divorzio e le domande accessorie dovranno essere dichiarate improcedibili.

Il secondo e il terzo comma della norma in esame introducono un altro strumento di accelerazione finalizzato a concentrare l’istruttoria e a ridurre considerevolmente il numero dei procedimenti pendenti prevedendo la possibilità di procedere alla riunione di procedimenti tra le stesse parti di separazione e di scioglimento o cessazione del vincolo matrimoniale quando contemporaneamente pendenti dinanzi a uffici giudiziari diversi (secondo comma) ovvero davanti al medesimo ufficio (terzo comma). Accade, infatti, sempre più di frequente che, pendente un processo di separazione giudiziale, nel corso del quale viene pronunciata sentenza parziale di separazione, venga proposta domanda di divorzio dopo che sia intervenuto il passaggio in giudicato della decisione sulla separazione (ma prima che il processo si sia interamente concluso). La norma prevede dunque la possibilità di riunire tali procedimenti (“Se il giudizio di separazione e quello di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio sono proposti tra le stesse parti davanti a giudici diversi, si applica l’articolo 40. In presenza di figli minori, la rimessione avviene in favore del giudice individuato ai sensi dell’articolo 12, primo comma (competenza per territorio)”), soggettivamente ed oggettivamente connessi, con considerevole risparmio di energie processuali, potendo con la riunione essere trasfusa l’intera istruttoria già realizzata nel procedimento separativo all’interno del procedimento divorzile. Oltre a tale economia processuale, la riunione consente di ridurre il numero dei procedimenti pendenti dinanzi alle Corti superiori, in quanto, qualora impugnata la sentenza emessa all’esito della definizione del giudizio di primo grado sui procedimenti riuniti genererà un unico procedimento pendente in Corte da Appello ed in Cassazione, in luogo di due (impugnazione della separazione e successivamente del divorzio). La norma introduce poi nel terzo comma anche un espresso richiamo all’art. 274 c.p.c. (“Se i procedimenti di cui al secondo comma pendono davanti allo stesso giudice, si applica l’articolo 274”), che disciplina la riunione tra procedimenti connessi, disposizione che sarà applicabile nel caso di specie, rimettendo pertanto al giudice procedente la valutazione della opportunità della riunione, anche in considerazione delle fasi processuali dei due distinti giudizi.

L’ultimo comma (“La sentenza emessa all’esito dei procedimenti di cui al presente articolo contiene autonomi capi per le diverse domande e determina la decorrenza dei diversi contributi economici eventualmente previsti”) precisa che la sentenza emessa nei procedimenti nei quali o per scelta di una delle parti (comma primo), o per successiva riunione operata dal giudice (comma secondo e comma terzo) siano decise domande di separazione e di divorzio, nonché le domande accessorie all’una o all’altra domanda, che la decisione dovrà contenere specifici capi, al fine di stabilire l’esatta applicazione delle diverse statuizioni, in particolare anche dal punto di vista della loro dimensione temporale. Viene quindi specificamente indicata la necessità di puntualizzare la diversa decorrenza dell’assegno di mantenimento o di divorzio in favore del coniuge o dell’ex coniuge debole, stante la rilevanza statistica di tali domande, e al fine di evitare possibili sovrapposizioni di pronunce, con potenziali problemi di contraddittorietà di giudicati e di controversie nella fase esecutiva.

L’articolo 473-bis.50 c.p.c. attua i principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 23, lettere g) e r), l. n. 206/2021, nella parte in cui è disposto che “in assenza di limitazioni o provvedimenti di decadenza della responsabilità genitoriale, nell'assumere i provvedimenti circa l'affido dei figli minori il giudice indichi quali sono le informazioni che ciascun genitore deve obbligatoriamente comunicare all'altro” (lett. g) e che “nell'adottare i provvedimenti temporanei e urgenti il giudice possa formulare una proposta di piano genitoriale nella quale illustrare la complessiva situazione di vita del minore e le sue esigenze dal punto di vista dell'affidamento e dei tempi di frequentazione dei genitori, nonché del mantenimento, dell'istruzione, dell'educazione e dell'assistenza morale del minore, nel rispetto dei principi previsti dall'articolo 337-ter del codice civile;… all'interno del piano genitoriale siano individuati i punti sui quali vi sia l'accordo dei genitori e che il mancato rispetto delle condizioni previste nel piano genitoriale costituisce comportamento sanzionabile ai sensi dell'articolo 709-ter del codice di procedura civile” (lett. r)

La norma, da leggersi in collegamento con quella di cui all’articolo 473 bis.12 c.p.c. (che al quarto comma precisa che “Nei procedimenti relativi ai minori, al ricorso è allegato un piano genitoriale che indica gli impegni e le attività quotidiane dei figli relative alla scuola, al percorso educativo, alle attività extrascolastiche, alle frequentazioni abituali e alle vacanze normalmente godute”) prevede che, con i provvedimenti, anche temporanei, che statuiscono sull’affidamento della prole, il giudice indichi le informazioni che ciascun genitore deve comunicare all’altro e costituisce piana applicazione dei principi dell’affidamento, anche per le ipotesi di affidamento esclusivo o esclusivo rafforzato. Invero, anche in queste ultime due ipotesi il genitore non affidatario mantiene il generale potere/dovere di vigilanza (art. 337 quater, ultimo comma, c.c.), che può essere esercitato solo ove il genitore sia in possesso delle informazioni sulla vita del figlio. La previsione che sia il giudice a indicare specificatamente le informazioni che un genitore deve comunicare all’altro avrà un effetto deflattivo del contenzioso “satellitare”, così impedendo il sorgere di controversie aventi ad oggetto l’individuazione delle notizie sulla vita del figlio che ciascun genitore ha il diritto di avere dall’altro.

La seconda parte dell’articolo prevede che, nel formulare la propria proposta di piano genitoriale, il giudice tenga conto di quelli allegati dalle parti, pur potendosene discostare, in ragione degli ampi poteri officiosi di cui dispone. La violazione del piano genitoriale proposto dal giudice e accettato dai genitori, costituisce autonomo comportamento sanzionabile ai sensi dell’art. 473 bis.39 c.p.c.

L’articolo 473-bis.51 c.p.c. attua i principi di delega contenuti nell’art. 1, comma 17 lett. o), nella parte in cui è disposto di “prevedere che nei procedimenti di separazione consensuale, di istanza congiunta di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio le parti possono formulare rinuncia alla partecipazione all'udienza, confermando nelle conclusioni del ricorso la volontà di non volersi riconciliare con l'altra parte purché offrano una descrizione riassuntiva delle disponibilità reddituali e patrimoniali relative al triennio antecedente e depositino la relativa documentazione” nonché quelli di cui all’art. 1, comma 23 lett. hh) laddove è richiesto di “introdurre un unico rito per i procedimenti su domanda congiunta di separazione personale dei coniugi, di divorzio e di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, modellato sul procedimento previsto dall'articolo 711 del codice di procedura civile, disponendo che nel ricorso debba essere contenuta l'indicazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e degli oneri a carico delle parti, prevedendo la possibilità che l'udienza per il tentativo di conciliazione delle parti si svolga con modalità di scambio di note scritte e che le parti possano a tal fine rilasciare dichiarazione contenente la volontà di non volersi riconciliare” e di “introdurre un unico rito per i procedimenti relativi alla modifica delle condizioni di separazione ai sensi dell'articolo 711 del codice di procedura civile, alla revisione delle condizioni di divorzio ai sensi dell'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e alla modifica delle condizioni relative ai figli di genitori non coniugati, strutturato mediante presentazione di istanza congiunta e successiva decisione da parte del tribunale, prevedendo la fissazione dell'udienza di comparizione personale delle parti nei soli casi di richiesta congiunta delle parti ovvero nelle ipotesi in cui il tribunale ravvisi la necessità di approfondimenti in merito alle condizioni proposte dalle parti”.

In attualità i procedimenti su domanda congiunta prevedono tre modelli differenti:

- quello di cui al combinato disposto di cui agli articoli 158 del codice civile e 711 del codice di procedura civile, che si conclude con il decreto collegiale di omologazione delle condizioni della separazione consensuale. Ove il tribunale ritenga che le condizioni volute dai coniugi siano in contrasto con l’interesse dei figli, può suggerire ai coniugi le modifiche da apportare; in caso di rifiuto dei coniugi il tribunale può rifiutare l’omologazione della separazione che, pertanto, rimane improduttiva di effetti;

- quello di cui all’art. 4, comma 16 L. 898/70, applicabile, ex art 1, comma 25 l. n. 76/2016 allo scioglimento dell’unione civile, che si conclude con sentenza; ove il tribunale ritenga che le condizioni proposte dai coniugi siano in contrasto con l’interesse dei figli, dispone automaticamente, l’apertura del procedimento contenzioso secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 8, l. n. 898/70;

- quello, frutto di elaborazione giurisprudenziale, per le domande congiunte riguardanti le modalità di affidamento e mantenimento dei minori i cui genitori non sono legati da vincolo di coniugio. In questi casi la domanda si propone con ricorso e il tribunale, se non ravvisa contrasto tra le condizioni proposte dai genitori e l’interesse dei figli, provvede con decreto emesso in camera di consiglio in conformità con le domande delle parti; in alcuni casi la prassi prevede la preventiva convocazione delle parti, in altri casi no.

L’articolo in esame introduce, in ossequio con i principi di delega, un rito unitario anche per i procedimenti su domanda congiunta.

Il primo comma fissa come criterio di competenza territoriale quello della residenza o di domicilio dell’una o dell’altra parte, ponendosi in consonanza anche con il criterio generale dell’art. 473 bis.11 c.p.c. in ragione del fatto che i figli minori della coppia risiederanno o avranno domicilio presso l’una o l’altra parte. In presenza di minori collocati fuori dalla famiglia di origine il procedimento congiunto non potrà riguardare i provvedimenti a tutela dei figli, che dovranno essere richiesti al tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni con altro e diverso procedimento.

Il secondo comma disciplina i requisiti del ricorso, mediante il richiamo all’articolo 473 bis.12 c.p.c. Al ricorso non dovrà essere allegata la documentazione economica, prevista per il procedimento contenzioso, che viene sostituita dalle indicazioni delle parti circa le rispettive disponibilità reddituali e patrimoniali degli ultimi tre anni e degli oneri a loro carico. Si tratta di indicazione indispensabile sia per permettere al giudice di effettuare le doverose verifiche, sia per valutare l’eventuale fondatezza di successive richieste di modifica delle condizioni in precedenza concordate. Il comma precisa altresì, in ossequio a quanto previsto dalla giurisprudenza dominante, che le parti con il ricorso possono regolamentare in tutto in parte i loro rapporti patrimoniali, nel rispetto dell’autonomia negoziale (ex multis Cass. 5 maggio 2021, n. 11795; Cass. SS.UU. 29 luglio 2021, n. 21761). Viene infine prevista la possibilità per le parti di rinunziare all’udienza di comparizione personale delle parti in ottemperanza al principio di delega di cui all’articolo 1, comma 17 lett. o); in questo caso però i coniugi, secondo quanto indicato nel richiamato principio di delega, dovranno depositare la documentazione economica richiesta nel caso di procedimento contenzioso.

Il terzo comma disciplina il procedimento, sul modello previsto dall’attuale articolo 711 del codice di procedura civile, in attuazione del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 23, lett. hh).

Il quarto comma regola la fase decisoria, precisando che il collegio si pronunzia con sentenza. Rispetto al modello processuale attuale di cui all’articolo 711 c.p.c. (che si conclude con il decreto di omologa) si è preferito optare, per ragioni di coerenza sistematica, per l’adozione della forma della sentenza. La delega, del resto, si limita a prevedere che il rito unico per i procedimenti su domanda congiunta sia “modellato” sull’attuale “procedimento” per separazione consensuale, ma non impone che lo stesso debba necessariamente anche essere definito con provvedimento avente la medesima forma prevista per tale fattispecie giudiziale (decreto di omologazione) e non con sentenza. D’altra parte, la natura costitutiva della pronunzia di divorzio (v. da ultimo Cass. SS.UU. 6 luglio 2022, n. 21425) non rendeva possibile prevedere che il procedimento si potesse concludere con un decreto di omologazione delle condizioni concordate dalle parti. Il comma in esame prevede altresì che, in linea con il modello della separazione consensuale, ove il tribunale ritenga gli accordi dei genitori in contrasto con l’interesse dei figli, possa convocare le parti indicando le modificazioni da adottare e, in caso di inidonea soluzione, rigetti la domanda che potrà essere successivamente riproposta.

Il quinto comma disciplina, anche in questo caso in linea con quanto previsto con il principio di delega di cui all’art. 1, comma 23 lett. hh) il procedimento per le domande congiunte di modifica delle precedenti condizioni che diverge da quello disciplinato nei commi precedenti giacché prevede l’udienza di comparizione delle parti solo su loro richiesta congiunta o qualora il tribunale ritenga necessario ottenere chiarimenti in merito alle condizioni proposte. Occorre precisare che il procedimento di cui al quinto comma si applica anche alle domande congiunte di modifica delle condizioni della separazione giudiziale e non solo della separazione consensuale, come potrebbe desumersi dal richiamo letterale contenuto nel principio di delega che, ove attuato pedissequamente, si sarebbe risolto in una norma priva di ragionevolezza e comunque sia in contrasto con le esigenze di unitarietà del rito che sono chiaramente espresse nell’intera legge delega.

In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”, si è ritenuto opportuno, per esigenze sistematiche oltre che per consentire agli operatori del diritto una migliore individuazione e fruizione delle fonti di riferimento, provvedere a una complessiva risistemazione delle disposizioni processuali relative ai diversi procedimenti che con la riforma confluiranno nell’alveo del rito unitario per le persone, per i minorenni e per le famiglie. A tal fine si rende necessario anche il trasferimento “materiale”, all’interno delle nuove disposizioni e in particolare di una apposita Sezione III, delle norme processuali oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile.

Gli articoli da 473-bis.52 a 473-bis.58 c.p.c. operano quindi una sostanziale trasposizione all’interno del nuovo modello processuale delle disposizioni di cui agli articoli da 712 a 720-bis c.p.c., che vengono conseguentemente abrogati.

In particolare, l’articolo 473-bis.52 c.p.c. riproduce tendenzialmente il contenuto dell’articolo 712 c.p.c., ovviamente con la sostituzione delle previsioni relative ai requisiti di forma-contenuto della domanda, per i quali deve oggi farsi riferimento alle norme generali sul nuovo rito unitario a tal fine previste.

L’articolo 473-bis.53 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 713 c.p.c., prevedendo tuttavia espressamente, in ossequio alla struttura del nuovo rito, che il presidente abbia dapprima a nominare il giudice relatore, e quindi a fissare l’udienza di comparizione davanti a questo del ricorrente, dell’interdicendo o dell’inabilitando e delle altre persone indicate nel ricorso, le cui informazioni ritenga utili (secondo quanto già prevede l’articolo 713 c.p.c.).

Sempre seguendo quanto già l’attuale norma di riferimento dispone, il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate nel comma precedente; e il decreto è infine anche comunicato al pubblico ministero.

L’articolo 473-bis.54 c.p.c. sostituisce gli articoli 714 e 715 c.p.c., prevedendo che all’udienza il giudice relatore, con l’intervento del pubblico ministero, procede all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando, sente il parere delle altre persone citate interrogandole sulle circostanze che ritiene rilevanti ai fini della decisione, e può disporre anche d’ufficio l’assunzione di ulteriori informazioni, esercitando tutti i poteri istruttori previsti nell’articolo 419 c.c.

L’udienza per l’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando si svolge di regola in presenza. Nei casi in cui specifiche esigenze di protezione lo richiedano, e in cui l’interdicendo o l’inabilitando non può quindi comparire per legittimo impedimento o la comparizione personale può arrecargli grave pregiudizio, è peraltro stabilito che il giudice, con l’intervento del pubblico ministero, possa non soltanto recarsi per sentirlo nel luogo in cui si trova, ma altresì, valutata ogni circostanza, disporre che l’udienza si svolga mediante collegamento audiovisivo a distanza, individuando le modalità idonee ad assicurare l’assenza di condizionamenti.

L’articolo 473-bis.55 c.p.c. sostanzialmente riproduce il contenuto degli articoli 716 e 717 c.p.c., con sostituzione della formula “giudice istruttore” con “giudice relatore”, in ossequio alla struttura del nuovo rito unitario per le persone, i minorenni e le famiglie.

L’articolo 473-bis.56 c.p.c. (Impugnazione) riproduce il contenuto degli articoli 718 e 719 c.p.c.

L’articolo 473-bis.57 c.p.c. (Revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione) riproduce il contenuto dell’articolo 720 c.p.c.

L’articolo 473-bis.58 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 720 bis c.p.c., prevedendo che ai procedimenti in materia di amministrazione di sostegno si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni della presente sezione. Il giudizio di compatibilità dovrà poi tenere conto del fatto che la trama procedimentale relativa all’amministrazione di sostegno è disciplinata anche da alcune disposizioni contenute nel codice civile, negli articoli 404 e seguenti, e in particolare nell’articolo 407 c.c.

Sempre in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche delle norme processuali dedicate ai procedimenti di assenza e per la dichiarazione della morte presunta, oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile (articoli 721-729 c.p.c.).

Per esigenze di semplificazione, chiarezza e sistematicità, nel raccordo così operato alcune disposizioni, che disciplinavano segmenti analoghi del procedimento, sono state tra loro accorpate.

In questo senso l’articolo 473-bis.59 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 721 c.p.c.

L’articolo 473-bis.60 c.p.c. riproduce il contenuto degli articoli. 722, 723 e 724 c.p.c.

L’articolo 473-bis.61 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 725 c.p.c.

L’articolo 473-bis.62 c.p.c. riproduce il contenuto degli articoli 726, 727 e 728 c.p.c.

L’articolo 473-bis.63 c.p.c. riproduce il contenuto degli articoli 729, 730 e 731 c.p.c.

Sempre in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche delle disposizioni relative ai minori, agli interdetti e agli inabilitati, oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile (articoli 732-734 c.p.c.).

In questo senso l’articolo 473-bis.64 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 732 c.p.c.

L’articolo 473-bis.65 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 733 c.p.c.

L’articolo 473-bis.66 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 734 c.p.c.

Infine, sempre in attuazione delle indicazioni contenute nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021 (laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”), si è ritenuto opportuno trasporre all’interno delle nuove disposizioni sul rito unitario anche delle disposizioni relative ai rapporti patrimoniali tra coniugi, oggi contenute nel libro IV del codice di procedura civile (articoli 735-736 c.p.c.).

In questo senso l’articolo 473-bis.67 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 735 c.p.c.

L’articolo 473-bis.68 c.p.c. riproduce il contenuto dell’articolo 736 c.p.c.

Con riferimento all’articolo 473-bis.69 c.p.c. si osserva quanto segue. In occasione della sua introduzione, la normativa concernente gli ordini di protezione contro gli abusi familiari è stata inserita in parte nel codice civile (articoli 342 bis e 342 ter, per i profili sostanziali, in ordine ai presupposti e ai contenuti della tutela) e per altra parte nel codice di procedura civile (articolo 736-bis, per i profili processuali in senso stretto).

Essendo il titolo IV bis del Libro secondo dedicato alle norme per il procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, seguendo le indicazioni di un generale coordinamento e raccordo delle disposizioni vigenti, attraverso gli articoli 473-bis.69 c.p.c., 473-bis.70 c.p.c. e 473-bis.71 c.p.c., si è ritenuto di trasferire le disposizioni, con alcune lievi modifiche, all’interno del codice di procedura civile, nel titolo relativo, attraverso la introduzione di una quinta sezione, dal titolo “Degli ordini di protezione contro gli abusi familiari”.

L’articolo 473-bis.69 c.p.c. costituisce la riproduzione dell’articolo 342-bis c.c. La norma, nell’inciso finale del comma primo, risolve un profilo applicativo della disposizione del codice civile, ammettendo l’adozione dei provvedimenti anche quando la convivenza tra autore dell’illecito e vittima è cessata.

Al secondo comma, è stato introdotto un coordinamento con la competenza attribuita al tribunale per i minorenni, ai sensi degli articoli 333 c.c. e 38 disp. att. (“Quando la condotta può arrecare pregiudizio ai minori, i medesimi provvedimenti possono essere adottati, anche su istanza del pubblico ministero, dal tribunale per i minorenni”).

L’articolo 473-bis.70 c.p.c. riproduce, con lievi variazioni letterali, l’articolo 342-ter c.c.

In coerenza con l’articolo 48 della Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa in data 11 maggio 2011, ratificata dall’Italia con legge del 27 giugno 2013, n. 77, è stata eliminata la possibilità per il giudice di disporre l’intervento di un centro di mediazione familiare, secondo la previsione originaria dell’art. 342-ter c.c., essendo in tali ipotesi escluso ogni tentativo di accordo o mediazione che implichi la comparizione personale delle parti.

Essendo la misura il risultato di un intervento cautelare del giudice, si è preferito che l’effetto del versamento diretto all’avente diritto della somma che il datore di lavoro deve a titolo retributivo all’obbligato, sia il risultato dell’ordine di protezione e non di un’attività stragiudiziale.

All’articolo 473-bis.71 c.p.c. viene trasferita, con alcune lievi modifiche, la disciplina del procedimento degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, già contenuta nell’articolo 736-bis c.p.c.

L’istanza si propone, anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.

Viene quindi adottato un rito monocratico deformalizzato, che presenta analogie con il procedimento cautelare, con eventuale istruttoria e indagini sui redditi nelle forme più opportune, e in caso di urgenza con provvedimento senza immediato contraddittorio, salvo convalida all’udienza fissata, senza un richiamo espresso agli articoli 337 e ss. c.p.c., essendo adottata una regolamentazione autonoma (“Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo.

Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione”).

Il ricorso può essere dunque proposto sia in pendenza del procedimento di merito, innanzi al giudice che lo conduce, oppure ante causam. Questa la novità più significativa, in applicazione del principio direttivo del comma 23 lett. b) l. n. 206/2021.

Il provvedimento è reclamabile, secondo le forme del reclamo camerale (“Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, ai sensi del secondo comma, ovvero conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione precedentemente adottato nel caso di cui al terzo comma, è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 739. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato”).

Si prevede infine che per tutto quanto non previsto dalla norma, al procedimento si applicano gli articoli 737 e seguenti c.p.c. in quanto compatibili.

Quanto all’articolo 473-ter c.p.c., tenuto conto dell’applicazione del rito unitario ai procedimenti contenziosi, e in ossequio alle esigenze di riordino e coordinamento evidenziate dal principio contenuto nell’articolo 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, si è ritenuto opportuno introdurre una norma ricognitiva da applicare a tutti i procedimenti privi di una disciplina ad hoc e sino ad oggi tendenzialmente retti dalle norme relative al rito camerale.

 

Commi 34 e 35

La disposizione di cui al comma 34, lettera a), mantiene, benché modificata, una parte delle disposizioni contenute nell’articolo 475 c.p.c. (abrogato dalla successiva lettera b), in quanto essenziali sotto due profili: a) per la parte in cui si fa riferimento ai successori della parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione; b) per la previsione – non più contenuta nella formula – per la quale il titolo è messo in esecuzione da tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e da chiunque spetti, con l’assistenza del pubblico ministero e il concorso di tutti gli ufficiali della forza pubblica, quando ne siano legalmente richiesti. Venuta meno la formula, e considerando altresì che la disposizione contenuta nell’articolo 513, comma 2, c.p.c. è limitata all’espropriazione mobiliare, si è mantenuta la previsione dell’(attuale) articolo 475, comma 3 c.p.c., inserendola nell’articolo 474 c.p.c., norma d’esordio del libro dedicato all’esecuzione forzata [cfr. lett. a) del comma in esame].

Per quanto riguarda il comma 35, lettere da b) a e), e comma 36, si osserva quanto segue. L’articolo 1, comma 12, lettera a) della legge delega che prescrive al legislatore delegato di “prevedere che, per valere come titolo per l'esecuzione forzata, le sentenze e gli altri provvedimenti dell'autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale devono essere formati in copia attestata conforme all'originale, abrogando le disposizioni del codice di procedura civile e le altre disposizioni legislative che si riferiscono alla formula esecutiva e alla spedizione in forma esecutiva”.

Le disposizioni interessate da tale prescrizione sono principalmente gli articoli 475 e 476 c.p.c. Sennonché il riferimento a “formula esecutiva” e a “spedizione in forma esecutiva” è contenuto anche in altre norme del libro III, in alcune disposizione del libro IV, nonché in innumerevoli leggi speciali, soprattutto di ratifica e esecuzione di accordi e trattati internazionali

In tale contesto, si è mantenuta, benché modificata, una parte delle disposizioni contenute nell’articolo 475 c.p.c. [cfr. lett. b) del comma in esame], in quanto essenziali sotto due profili: a) per la parte in cui si fa riferimento ai successori della parte a favore della quale fu pronunciato il provvedimento o stipulata l’obbligazione; b) per la previsione – non più contenuta nella formula – per la quale il titolo è messo in esecuzione da tutti gli ufficiali giudiziari che ne siano richiesti e da chiunque spetti, con l’assistenza del pubblico ministero e il concorso di tutti gli ufficiali della forza pubblica, quando ne siano legalmente richiesti. Venuta meno la formula, e considerando altresì che la disposizione contenuta nell’articolo 513, comma 2, c.p.c. è limitata all’espropriazione mobiliare, si è mantenuta la previsione dell’(attuale) articolo 475, comma 3 c.p.c., inserendola nell’art. 474 c.p.c., norma d’esordio del libro dedicato all’esecuzione forzata [cfr. lett. a) del comma in esame].

La nuova disciplina dettata dalla legge delega implica, oltre alla modifica dell’articolo 475 c.p.c.: i) l’abrogazione dell’articolo 476 (lett. c), anche in considerazione della forma telematica delle copie del titolo (per titolo giudiziale e notarile), ii) la modifica degli articoli 478 c.p.c. e 479 c.p.c. [lett. d) ed e)]; iii) la modifica dell’ultimo comma dell’articolo 488 c.p.c., mantenendo comunque in capo al giudice la possibilità di richiedere al creditore l’esibizione dell’originale del titolo o della copia autenticata dal cancelliere o dal notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a ogni richiesta del giudice, anche in considerazione del fatto che vi sono in circolazione ancora molti titoli non in copia digitale; iv) l’abrogazione dell’ultimo comma dell’articolo 492 c.p.c., sostituito in virtù della modifica dell’articolo 492 bis c.p.c.

 

Comma 36

Un gruppo di norme dà attuazione ai criteri di cui alla lettera b) del comma 12, che prevede la sospensione del termine di efficacia del precetto durante l’espletamento delle attività disposte dall’art. 492 bis c.p.c., nonché alla lettera b) del comma 13 che autorizza interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai o ad altri professionisti dotati di specifiche competenze delle funzioni amministrative nella volontaria giurisdizione attualmente assegnate al giudice civile (oltre che al giudice minorile).

In virtù di dette previsioni si sono riformati l’articolo 492 c.p.c., inserendo un nuovo testo nell’ultimo comma, l’art. 492 bis, nonché gli articoli 155 bis, ter e quinques delle disp. att. c.p.c.

Quanto alle modifiche da apportare all’articolo 492-bis si è diversificata la disciplina dell’istituto secondo che l’istanza per le ricerche telematiche venga inoltrata dopo la notifica del precetto e dopo il decorso del termine dilatorio previsto dall’art. 482 c.p.c. ovvero prima.

Nella prima ipotesi, [in attuazione della lettera b) dell’art. 13 della legge delega] è stata soppressa la necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale, in quanto tale attività implica lo svolgimento di meri controlli formali, non diversi da quelli che l’ufficiale giudiziario già svolge prima di procedere al pignoramento. Peraltro, l’ufficiale giudiziario ha già il potere di ricercare i beni del debitore, come prescrive l’art. 492, quarto, quinto e settimo comma, c.p.c., nonché l’art. 513 c.p.c. Tale soppressione, quando il sistema delineato dall’art. 492 bis c.p.c. sarà effettivamente praticabile, avrà senza dubbio un notevole impatto positivo sul carico degli uffici giudiziari e in particolare sui presidenti di tribunale, dato che il numero delle richieste di autorizzazione (attualmente inoltrate ai sensi dell’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c.) è molto elevato (circa 90.000 nel 2021) e in costante crescita.

La disciplina delineata in tal caso prevede che, su istanza del creditore, l’ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, verificata la regolarità dell’istanza, munito del titolo esecutivo e del precetto, proceda alla ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare.

Diversamente, per l’ipotesi in cui la richiesta preceda la notifica del precetto, o quando ancora non è spirato il termine dilatorio dell’articolo 482, è mantenuta la previsione relativa alla necessità dell’autorizzazione da parte del presidente del tribunale, posto che in tali casi occorre valutare anche il presupposto dell’urgenza.

In ogni caso, il termine di cui all’art. 481, primo comma, rimane sospeso dalla proposizione dell’istanza, vuoi se formulata all’ufficiale giudiziario, ai sensi del primo comma, vuoi se formulata al presidente del tribunale (secondo comma).

La sospensione del termine opera per tutta la durata del subprocedimento di cui all’articolo 492-bis c.p.c., fino alla comunicazione dell’ufficiale giudiziario di non aver eseguito le ricerche per mancanza dei presupposti dell’istanza o al rigetto dell’istanza inoltrata al presidente del tribunale, ovvero fino alla comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma, nel caso in cui si sia proceduto con le ricerche.

La comunicazione da parte dell’ufficiale giudiziario – di nuova introduzione nel quarto comma- è necessaria per poter determinare con certezza il momento nel quale il termine dell’articolo 481, primo comma, inizia o riprende a decorrere. Inoltre, per evitare possibili contestazioni in sede di opposizione riguardo alla perenzione del precetto, è stato introdotto un ultimo comma all’articolo 492-bis c.p.c, in virtù del quale si prevede che, al fine della verifica del rispetto dei termini di cui all’articolo 481, primo comma, c.p.c., a pena di inefficacia del pignoramento, il creditore, nel caso di sospensione del termine di cui al terzo comma, con la nota d’iscrizione a ruolo depositi, con le modalità e nei termini previsti dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma, 557, secondo comma, l’istanza, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, nonché la comunicazione del verbale di cui al precedente quarto comma, ovvero la comunicazione dell’ufficiale giudiziario di cui al terzo comma o il provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza.

In conseguenza delle modifiche apportate alle succitate disposizioni, è altresì stato introdotto un nuovo ultimo comma all’articolo 492 c.p.c. (in sostituzione del precedente abrogato in seguito agli interventi operati in relazione alla formula esecutiva), nel quale si prevede che nell’ipotesi dell’articolo 492-bis c.p.c. l’atto o il verbale di pignoramento debba contenere l’indicazione della data di deposito dell’istanza di ricerca telematica dei beni, l’autorizzazione del presidente del tribunale, quando è prevista, e la data della comunicazione del processo verbale di cui al quarto comma dello stesso articolo, ovvero la data della comunicazione dell’ufficiale giudiziario di cui all’art. 492, terzo comma, c.p.c. o del provvedimento del presidente del tribunale di rigetto dell’istanza. Tale previsione, al pari di quella introdotta nell’ultimo comma dell’art. 492-bis, è volta ad evitare che il debitore, ignaro della sospensione del termine ex art. 481, proponga opposizione sostenendo l’intervenuta perenzione del precetto.

 

Comma 37

Ragioni di coerenza sistematica rispetto all’intervento di cui all’articolo 591ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare, hanno imposto di novellare gli istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (articolo 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (articolo 168 disp. att. c.p.c.).

 

Comma 38

Con i seguenti interventi normativi si è data attuazione alle disposizioni di cui alle lettere d) ed e) del comma 12 della legge delega, concernenti nomina e compiti del custode giudiziario nell’espropriazione forzata immobiliare; esse si muovono nel solco, già in passato praticato dal legislatore, della trasposizione in diritto positivo di prassi c.d. virtuose diffuse negli uffici giudiziari.

Con la delibera adottata all’esito della seduta del 7 dicembre 2021, nell’aggiornare “le linee guida funzionali alla diffusione di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari” già approvate con delibera del giorno 11 ottobre 2017, il Consiglio Superiore della Magistratura aveva favorevolmente apprezzato la prassi della nomina anticipata del custode giudiziario al momento (e contestualmente) alla nomina dell’esperto stimatore. Al proposito, l’organo di autogoverno dei magistrati aveva sottolineato l’opportunità di un supporto convergente e di un operato sinergico di professionalità distinte: l’una - quello dello stimatore – portatore di conoscenze e competenze specialistiche in ordine agli aspetti catastali, planimetrici, urbanistico-edilizi e di estimo; l’altra – quello del custode -, espressione di una formazione in discipline giuridiche, più idonea a cogliere le implicazioni legali salienti della connotazione urbanistica e dello stato di occupazione del cespite, soprattutto nella prospettiva di individuare eventuali situazioni opponibili alla procedura e, pertanto, da considerarsi (dall’esperto stimatore) quali fattori decrementativi del valore di collocazione del bene sul mercato. Aveva poi evidenziato che la coordinata attività dei due professionisti si concretava, nella sua migliore espressione, nell’esame della documentazione ipocatastale, indicando, quale concreta strada operativa, la compilazione di una check-list riepilogativa delle verifiche effettuate (concernenti anche profili di regolarità della procedura esecutiva), dalla quale far emergere, in uno stadio ancora iniziale dell’espropriazione, eventuali criticità inficianti l’ulteriore corso del procedimento.

Ulteriori ragioni, al fondo ispirate alla ricerca di una maggiore efficienza dell’espropriazione, erano state da più parti prospettate in favore dell’anticipazione della nomina del custode rispetto al momento (l’emissione della ordinanza di messa in vendita del bene) previsto dall’articolo 559 c.p.c.: la sostituzione del debitore nelle mansioni di custode (che egli ricopre ex lege dall’epoca di notifica dell’atto di pignoramento: art. 559, primo comma, c.p.c.) consente, per un verso, di assicurare alla procedura la riscossione di frutti e rendite cui il pignoramento dell’immobile si estende (articolo 2912 c.c.) e, dall’altro, permette al custode giudiziario di assolvere una funzione informativa – transattiva (assai diffusa nella prassi) nei confronti del debitore, cioè a dire un’attività informativa sulle possibili definizioni della procedura ancora praticabili senza addivenire alla liquidazione del compendio staggito (conversione del pignoramento, accesso al sovraindebitamento, chiusura con c.d. saldo e stralcio).

Le puntuali e specifiche disposizioni delle lettere d) ed e) del comma 12 non hanno ingenerato particolari difficoltà nell’elaborazione dell’articolato in parte qua attuativo: si è semplicemente trattato di riportare il contenuto già precettivo della legge delega all’interno del pertinente articolo 559 c.p.c.

Di quest’ultima norma, tuttavia, è parso opportuno un riordino che, senza minimamente incidere sulla sua portata dispositiva, superasse dubbi ermeneutici indotti dal difetto di coordinamento con il successivo articolo 560 c.p.c., come modificato dal legislatore nel 2019 e nel 2020.

Si è pertanto proceduto a modificare il secondo comma dell’articolo 559 c.p.c. con la previsione della nomina anticipata del custode (contestuale alla nomina dell’esperto), ribadendo (con l’effetto di assorbire il precedente disposto del quarto e del quinto comma) la ristretta cerchia dei soggetti abilitati all’incarico (da individuarsi nell’istituto vendite giudiziarie o in uno dei professionisti delegabili per le operazioni di vendita inseriti nell’elenco di cui all’articolo 179-ter disp. att. c.p.c.); è stata poi in incipit inserita la clausola di salvezza in forza della quale, in situazioni eccezionali e dall’àmbito applicativo limitatissimo («Salvo che la sostituzione nella custodia non abbia alcuna utilità ai fini della conservazione o della amministrazione del bene o per la vendita») al giudice dell’esecuzione è data facoltà di non provvedere alla sostituzione del debitore con un custode giudiziario.

Il successivo terzo comma recepisce i nuovi compiti del custode giudiziario (che si sommano a quelli analiticamente indicati nel D.M. n. 80/2009), ovvero il controllo, in ausilio all’esperto stimatore, della completezza della documentazione ex articolo 567 c.p.c., con l’aggiunta (apparsa necessaria) di un tempestivo report sull’esito di tale attività mediante relazione informativa in un termine che il giudice dell’esecuzione, nell’esercizio dei poteri di direzione della procedura, avrà cura di fissare.

Un ulteriore gruppo di norme riguarda l’ordine di liberazione, con riferimento al quale la legge delega [lettere f) ed h), del comma 12] interviene in una duplice direzione: a) sui presupposti e sui tempi dell’emissione del provvedimento; b) sulle modalità della sua attuazione.

È doveroso segnalare come la giurisprudenza di legittimità intenda, in maniera oramai pacifica, il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione ordina la liberazione dell'immobile pignorato regola generale nelle espropriazioni immobiliari, stante l’esplicita disciplina dei casi e dei tempi in cui è esclusa la sua emissione nei confronti del debitore e del suo nucleo familiare abitanti nel cespite staggito; ritenga pertanto l'ordine di liberazione strumento funzionale agli scopi del processo di espropriazione forzata e, in particolare, all'esigenza pubblicistica di garantire la gara per la liquidazione del bene pignorato alle migliori condizioni possibili, notoriamente connesse allo stato di immediata, piena e incondizionata disponibilità dell'immobile.

Quanto ai presupposti ed ai tempi di adozione dell’ordine di liberazione, la legge delega, confermando in sostanza l’impianto risultante dalle modifiche del 2019 e del 2020, distingue due fattispecie, correlate allo stato di occupazione dell’immobile pignorato, a seconda che quest’ultimo (al momento del pignoramento) sia occupato dal debitore a fini diversi dall’abitazione oppure da un terzo privo di titolo opponibile alla procedura (primo caso) ovvero sia abitato dal debitore (secondo caso).

Nel primo caso, l’intento del legislatore delegante è stato visto nell’affermazione della doverosità del provvedimento di liberazione, sottratto alla discrezionalità dell’organo giudicante, e nel chiaro contingentamento dei tempi di adozione dello stesso, con la previsione di un termine ne ultra quem.

Si è così introdotto il settimo comma dell’art. 560 c.p.c. (così formulato: «Il giudice dell’esecuzione, con provvedimento opponibile ai sensi dell’articolo 617, ordina la liberazione dell’immobile non abitato dall’esecutato e dal suo nucleo familiare oppure occupato da un soggetto privo di titolo opponibile alla procedura non oltre la pronuncia dell’ordinanza con cui è autorizzata la vendita o sono delegate le relative operazioni»): ricalca, quasi pedissequamente, la formula della legge delega, con l’uso di un presente deontico («ordina») e l’opportuna integrazione di una espressa specificazione regime di impugnazione (opposizione agli atti esecutivi) dell’ordine di liberazione, anche qui senza valenza innovativa, ma meramente ricognitiva di quanto già statuito dall’art. 560 c.p.c. prima delle riforme del 2019 e di quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di nomofilachia.

Nel secondo caso, le modifiche volute dal legislatore delegante sono assai circoscritte.

E’ stato infatti mantenuto l’ordito risultante dalle riforme del 2019/2020: il debitore che, al momento del pignoramento, occupi l’immobile staggito “non perde il possesso” dello stesso sino al decreto di trasferimento; la permanenza nell’occupazione del cespite è ope legis, non abbisogna cioè (come nel sistema anteriore) di una autorizzazione del giudice dell’esecuzione; a fronte di tale rilevante beneficio, sono posti a carico del debitore precisi doveri di collaborazione miranti al buon esito della procedura espropriativa, doveri estesi anche ai familiari conviventi, e l’adempimento continuo di tali obblighi rappresenta la condizione legittimante del permanere del debitore nel godimento dell’abitazione pignorata. Sono tipizzati i presupposti per l’adozione dell’ordine di liberazione, corrispondenti, in un quadro generale e d’insieme delle singole ipotesi, alla violazione di obblighi inerenti all’immobile (cioè a dire obblighi propter rem, non personali del debitore, seppur occasionati dall’immobile) e pregiudizievoli (idonei cioè a ledere l’interesse della procedura a realizzare il miglior risultato economico, diminuendo il valore dell’immobile o determinando una minore appetibilità di esso, o a recare danno alla posizione giuridica dell’aggiudicatario, provocando il sorgere di costi destinati a gravare a suo carico). In questa configurazione, l’ordine di liberazione non assume natura o veste sanzionatoria di qualsivoglia condotta non gradita del debitore, ma mira a garantire un corretto equilibrio tra gli interessi in gioco: da un lato, l’interesse pubblicistico, a liberare l’immobile per “vendere prima e vendere meglio”, realizzare cioè l’ottimale soddisfazione dei crediti azionati e, quindi, in ultima analisi, tutelare il credito; dall’altro l’interesse privatistico del debitore all’abitazione, avente natura di vero e proprio diritto fondamentale, come tale idoneo (secondo quanto affermato da Corte Cost. n. 128/2021) a comprimere (seppur in maniera temporanea) il pieno esercizio della tutela esecutiva.

Proprio l’individuazione della salvaguardia del diritto all’abitazione (secondo la citata pronuncia della Consulta, avente valenza di «diritto sociale», rientrante «fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione») come ratio della permanenza ex lege del debitore nell’immobile occupato a fini abitativi ha consentito di sciogliere il nodo sulla possibilità di attribuire il beneficio anche al debitore single: la natura individuale del diritto all’abitazione e l’esigenza di evitare ingiustificate differenziazioni di trattamento, difficilmente compatibili con il principio di eguaglianza, hanno indotto a non recepire stricto sensu la locuzione «convivente» adoperata dal legislatore delegante, in guisa da riconoscere la permanenza sino al trasferimento al debitore che occupi da solo l’immobile.

L’unico ritocco apportato dalla legge delega (e tradotto in una corrispondente interpolazione dell’attuale nono comma, previgente sesto comma) è consistito nella individuazione di una nuova situazione legittimante l’emissione dell’ordine di liberazione anticipata rispetto al trasferimento: il comportamento del debitore che rechi impedimento allo svolgimento delle attività degli ausiliari del giudice dell’esecuzione.

Quanto all’attuazione, la legge delega, con la lettera h) del comma 12, scioglie l’inestricabile groviglio di criticità applicative sollevate dalla formulazione, per vari versi atecnica, del sesto comma dell’articolo 560 c.p.c., come frutto delle plurime e mal coordinate interpolazioni delle leggi n. 12 del 2009 e n. 8 del 2020.

Si opera un ritorno al passato, cioè a dire un ripristino in parte qua della disposizione dell’articolo 560 c.p.c. introdotta dal d.l. n. 59 del 2016 (convertito dalla legge n. 119 del 2016) e poi travolta dalla legge n. 12 del 2019: con il nuovo decimo comma, il custode attua il provvedimento di liberazione dell’immobile pignorato secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l’osservanza delle formalità di cui agli articoli 605 e seguenti c.p.c., successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento nell’interesse dell’aggiudicatario o dell’assegnatario se questi non lo esentano.

Nell’ipotesi di immobile abitato dal debitore, con il nuovo ottavo comma si è precisato, dissipando plurime letture ermeneutiche dell’attuale vigente disposto, che l’ordine di liberazione costituisce provvedimento autonomo e separato, emesso (salvi i casi di ordine anticipato per comportamenti violativi del debitore) contestualmente alla pronuncia del decreto di trasferimento.

Il regime del nuovo ordine di liberazione è dunque perfettamente coerente con il suo disegno (condiviso unanimemente da dottrina e giurisprudenza) di provvedimento selfexecuting, cioè a dire autoesecutivo, con effetti diversi dal decreto di trasferimento (che, comunque, è e resta titolo esecutivo in favore dell’aggiudicatario da azionare nelle forme della procedura per rilascio ex articolo 605 e ss. c.p.c.), attuato dal custode secondo le disposizioni del giudice dell’esecuzione immobiliare, senza l’osservanza delle formalità di cui agli artt. 605 ss. del codice, con l’attribuzione al custode – in favore di una maggiore efficienza della procedura - di una ultrattività della funzione, limitata alla materiale liberazione di un immobile divenuto di proprietà di altri e, quindi, non più soggetto al munus custodiale.

Comma 39

Lettera a)

Ulteriore disposizione modificata è l’articolo 567 c.p.c. in virtù dell’articolo 1, comma 12, lettera c), della legge delega che detta il seguente criterio: « prevedere che il termine prescritto dal secondo comma dell'articolo 567 del codice di procedura civile per il deposito dell'estratto del catasto e dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni ovvero del certificato notarile sostitutivo coincide con quello previsto dal combinato disposto degli articoli 497 e 501 del medesimo codice per il deposito dell'istanza di vendita, prevedendo che il predetto termine può essere prorogato di ulteriori quarantacinque giorni, nei casi previsti dal terzo comma dell'articolo 567 del codice di procedura civile».

La modifica dell’art. 567 c.p.c., dunque, è destinata ad incidere sul “fattore tempo” del processo di espropriazione forzata. In virtù del richiamato criterio di delega si sono pertanto ridotti i termini per il deposito della documentazione di cui all’articolo 567, 2° comma, c.p.c. e per l’eventuale proroga. Benché il termine per il deposito dell’istanza di vendita e quello per il deposito della documentazione ipocatastale coincidano, deve escludersi che, in virtù la nuova formulazione della norma, da un lato, debba necessariamente depositarsi la documentazione unitamente all’istanza di vendita e dall’altro che il deposito della suddetta documentazione possa precedere l’istanza di vendita.

 

Lettere b) e c)

Particolare rilievo assume poi l’introduzione dell’istituto della c.d. vendita diretta, con l’inserimento degli articoli 568 bis e 569 bis c.p.c., in attuazione del criterio di cui alla lettera n) del comma 12 della legge delega.

La previsione, contenuta nella lett. n) del comma 12 del procedimento di vendita c.d. diretta promossa dal debitore, ha lo scopo di favorire una “liquidazione ‘virtuosa’ e rapida attraverso la collaborazione del debitore”, facendo attenzione a non allungare “infruttuosamente i tempi processuali” e ad evitare che siano perpetrate “frodi in danno dei creditori”.

L’idea, contenuta nella legge delega è quella di rendere interessante per l’acquirente l’acquisto del bene, in ragione della verifica giudiziale dei presupposti e, soprattutto, dell’assunzione dei costi del trasferimento e della cancellazione dei gravami a carico della procedura (come già avviene col provvedimento ex articolo 586 c.p.c.).

La legge delega stabiliva:

a) la previsione di una offerta minima legata all’esito del procedimento di stima;

b) una proposta di acquisto irrevocabile per un congruo periodo e garantita da
cauzione per dimostrare la serietà dell’offerta;

c) la possibilità che l’offerta fosse posta in competizione con eventuali altre;

d) la predeterminazione legislativa dei tempi di durata del procedimento di vendita;

e) la previsione che, nell’interesse del debitore e dell’acquirente, il trasferimento fosse compiuto dal giudice dell’esecuzione col provvedimento ex articolo 586 c.p.c., con la cancellazione dei gravami a spese della procedura ovvero che il trasferimento fosse operato con atto privato lasciando al giudice solo l’autorizzazione alla cancellazione dei gravami;

f) la facoltà di delegare a un professionista le operazioni garantendo il rispetto della tempistica
individuata;

g) l’immediata liberazione del bene oggetto di pignoramento da parte del debitore esecutato dopo la presentazione dell’offerta.

La delega poneva, però, una serie di criticità ed introduceva un meccanismo di nessun interesse per la parte debitrice, che non avrebbe mai avuto alcun interesse ad utilizzare l’istituto così come delineato nella legge delega.

Veniano, in primo luogo a due criticità, per così dire, sistematiche.

La prima è quella del rapporto tra questa nuova “vendita immobiliare” e l’udienza disciplinata dall’art. 569 c.p.c., che costituisce sostanzialmente l’unica udienza dell’espropriazione immobiliare. La proposizione dell’istanza non può certamente determinare il venire meno di tale udienza, giacché in questa il giudice dell’esecuzione, oltre a fissare i termini per la vendita ordinaria (articolo 569, 3° comma, c.p.c.), alla quale la vendita c.d. diretta sarebbe alternativa, nel contraddittorio delle parti, (a) svolge i necessari accertamenti prodromici alla vendita, tra cui quello di verificare che il creditore procedente abbia effettuato le notificazioni previste dall’articolo 498, 3° comma, c.p.c., (b) provvede sulle opposizioni agli atti, (c) determina, ai sensi dell’articolo 568 c.p.c., il prezzo base all’esito dell’iter dettato dall’articolo 173-bis, 3° e 4° comma, disp. att. c.p.c. ovvero delega il professionista a tale incombenza sempre all’esito del predetto iter, ai sensi dell’art. 591-bis, 3° comma, n. 1), c.p.c. (disposizione quest’ultima pressoché inutilizzata), (d) fissa l’udienza prevista dall’art. 499, 5° comma, c.p.c. Inoltre, l’udienza ex articolo 569 c.p.c. è “spartiacque” per l’intervento tempestivo dei creditori ai sensi degli articoli 499, 2° comma, 564 e 565 c.p.c., nonché per proporre l’opposizione all’esecuzione fondata su fatti antecedenti, ai sensi dell’articolo 615, 2° comma, seconda parte, c.p.c., quando nel corso della medesima viene disposta la vendita.

La seconda criticità è costituita dal “prezzo base” al di sotto del quale l’offerta della vendita c.d. diretta è inammissibile. Infatti, considerato che il prezzo base, come detto, è determinato dal giudice dell’esecuzione all’udienza ex art. 569 c.p.c., all’esito dell’iter scandito dall’articolo 173 bis, 3° e 4° comma, disp. att. c.p.c., nel termine ultimo per la proposizione dell’istanza per la vendita c.d. diretta (dieci giorni prima della udienza), il medesimo non è stato ancora determinato. Né l’ipotesi di sdoppiare l’udienza, fissando la prima solo per la determinazione del prezzo base, avrebbe pregio, considerato che ciò implicherebbe un’inutile e irrazionale perdita di tempo in ogni procedura solo in funzione della remota eventualità che il debitore proponga la predetta istanza. Del resto, nella prassi, i tempi di fissazione dell’udienza ex art. 569 c.p.c. sono scanditi dai tempi necessari all’esperto per la valutazione del compendio immobiliare oggetto dell’espropriazione forzata. Nemmeno è ipotizzabile prevedere che in caso di istanza per la vendita c.d. diretta (dieci giorni prima dell’udienza), in pieno iter per la determinazione del prezzo base (ai sensi dell’articolo 173 bis, 4° comma, le parti possono depositare all’udienza note purché queste siano state trasmesse all’esperto almeno 15 giorni prima, per consentire al medesimo di replicare in udienza), il “prezzo base” diventi quello determinato dall’esperto nella relazione di stima.

Di qui l’esigenza di prevedere che, da un lato, dopo la proposizione dell’istanza di vendita diretta da parte del debitore l’udienza di cui all’articolo 569 c.p.c. si tenga comunque, dall’altro, che l’offerta di acquisto depositata unitamente all’istanza del debitore non più tardi di 10 gg. prima dell’udienza debba essere integrata (unitamente alla cauzione) nel caso in cui, all’udienza, il prezzo base determinato dal giudice ai sensi dell’articolo 568 c.p.c. sia superiore al valore determinato nella perizia di stima e, conseguentemente, all’offerta.

Questa soluzione ha il pregio di superare entrambe le criticità in precedenza indicate, ma la vendita c.d. diretta, nella quale è prevista la pubblicità dell’offerta ai sensi dell’articolo 490 c.p.c. e la procedura competitiva tra più offerenti, non sarebbe molto diversa dalla vendita ordinaria di cui all’articolo 569, 3° comma, c.p.c., anche con riferimento ai tempi di attuazione, considerando, tra l’altro, che con la riforma il professionista delegato è tenuto in un anno ad esperire almeno tre tentativi di vendita.

Il procedimento avrebbe, quindi, una scarsissima appetibilità per il debitore in alternativa alla vendita ordinaria. Se poi si considera che la legge delega prevede la liberazione dell’immobile, ancorché abitato dal debitore con la sua famiglia, in termini ristrettissimi, a pena di decadenza dall’istanza, allora è evidente che le prospettive di impiego dell’istituto sarebbero del tutto nulle. Nel caso probabilissimo di accordo tra l’offerente e il debitore affinché quest’ultimo possa continuare ad abitare l’immobile con la sua famiglia, si verificherebbe l’assurdo che il medesimo sarebbe tenuto a lasciare l’immobile libero da persone e da cose, per poi rientrare dopo pochi mesi con le persone e le cose. Non si comprende per quale ragione il debitore dovrebbe preferire la vendita diretta, con offerta formulata al prezzo base e assoggettata alla procedura competitiva, in cui è tenuto entro trenta giorni a liberare l’immobile abitato con la sua famiglia, anziché la vendita ordinaria con offerta dell’interessato “non ostile” a prezzo minimo (ossia ridotto del 25% rispetto al prezzo base), che, a differenza della vendita diretta, meglio gli garantirebbe la permanenza nell’immobile, dal medesimo abitato con la sua famiglia, sino al decreto di trasferimento e, quindi, senza soluzione di continuità. Peraltro, l’obbligo del debitore istante, a pena di decadenza, di liberare entro trenta giorni l’immobile anche se abitato con la sua famiglia, in deroga a quanto stabilito dall’art. 560, 8° comma, c.p.c. pone seri dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina.

La soluzione adottata è quella di un procedimento di vendita diretta a prezzo base senza la procedura competitiva in caso di accordo dei creditori titolati e di quelli indicati dall’articolo 498 c.p.c., manifestato anche tacitamente mediante mancata opposizione; questa soluzione offre al debitore un istituto appetibile, alternativo alla vendita ordinaria, senza alterare gli equilibri e senza pregiudicare gli interessi delle parti nel processo esecutivo.

È pur vero che con l’offerente “non ostile” e l’accordo con i creditori, il debitore può sempre sottrarre il bene alla vendita forzata, previa rinuncia agli atti dei soli creditori titolati (contestuale alla vendita e al pagamento nelle loro mani), senza necessità di ricorrere alla vendita diretta; è anche vero, però, che tale iter è spesso complesso, lungo ed articolato e in alcuni casi il debitore, soprattutto quando i creditori sono istituti bancari o soggetti similari, incontra con questi serie difficoltà finanche alla interlocuzione. La procedura della vendita diretta senza opposizione dei creditori ha il pregio di smussare tali asperità: il creditore troverebbe la sua convenienza non soltanto nella vendita a prezzo base senza ribassi, nemmeno il primo ribasso costituito dal prezzo minimo, ma soprattutto, nella drastica riduzione dei tempi del processo. D’altro canto, però, si è ben consapevoli che l’accordo extraprocessuale con i creditori, “a saldo e stralcio”, avrebbe, al pari della procedura di sovraindebitamento, il pregio di esdebitare il debitore, mentre la vendita diretta con l’accordo dei creditori, manifestato mediante la mancata opposizione, raggiungerebbe tale obiettivo sole se il prezzo offerto sia sufficiente a soddisfare tutti i creditori.

Ad ogni modo, la vendita diretta con l’accordo dei creditori avrebbe il pregio di depotenziare anche l’iniziativa dilatoria del debitore, con la perdita del 10% della cauzione, considerando che in caso, appunto, di mancata opposizione dei creditori, l’espletamento della vendita, seguìto dal mancato versamento del saldo-prezzo, comporterebbe un rallentamento della procedura di non più di quattro o cinque mesi, a fronte dei 10/12 mesi della vendita diretta con procedura competitiva nel caso di opposizione dei creditori. Il che giustifica ulteriormente la mancata previsione della deroga alla disciplina prevista dall’articolo 560, 8° comma.

Lo scostamento dalla legge delega della vendita senza la procedura competitiva si ha solo con l’accordo dei creditori manifestato mediante la mancata opposizione.

Del resto, tale istituto è già previsto nell’ordinamento per la vendita esattoriale dall’articolo 52, comma 2 bis, d.p.r. 29 settembre 1972, n. 602, come modificato d.l. 21 giugno 2013, n. 69 (c.d. Decreto del fare), convertito in l. 9 agosto 2013, n. 98, ancorché con l’adesione espressa dell’Agente di Riscossione che, considerando l’art. 54, è l’unico creditore agente della procedura.

Se invece il creditore titolato o quello indicato dall’art. 498 c.p.c. si oppone alla vendita senza procedura competitiva, si ripristina il sistema previsto nella legge delega.

In tale ultima ipotesi, la disciplina della vendita con la procedura competitiva prevede termini che complessivamente non si discostano da quelli indicati nella legge delega, ancorché con una diversa distribuzione interna dovuta alla impossibilità materiale di effettuare la pubblicità entro quindici giorni dal provvedimento del giudice dell’esecuzione, come previsto dalla legge delega. Peraltro, il termine di trenta giorni successivo al termine per la presentazione delle offerte, previsto nella legge delega per convocare il debitore, i comproprietari, il creditore procedente, i creditori intervenuti, i creditori iscritti e gli offerenti per la deliberazione sull'offerta e, in caso di pluralità di offerte, per la gara tra gli offerenti, può essere ridotto, anche in considerazione delle modalità telematiche delle vendite, senza pregiudizio alcuno per le parti.

Al fine di accelerare la chiusura della procedura di vendita si è altresì previsto che, su istanza dell’aggiudicatario, il giudice dell’esecuzione possa autorizzare il trasferimento del diritto mediante atto notarile da trasmettere ad opera del notaio rogante nel fascicolo della procedura esecutiva. In tal caso spetta comunque al giudice il compito relativo alla cancellazione delle trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli.

Comma 40

Gli interventi hanno riguardato anche il subprocedimento di vendita; le plurime modifiche apportate riaffermano e consolidano il ruolo centrale svolto dal professionista delegato in tale segmento della espropriazione forzata.

Concerne anche (ma non solo) il professionista delegato la previsione della lettera g) del comma 12, ovvero l’introduzione di schemi standardizzati per la redazione degli avvisi di vendita (nonché della relazione di stima dell’esperto stimatore), tradotta nell’articolato attuativo nella interpolazione dell’articolo 570 c.p.c. e dell’articolo 173 quater disp. att. c.p.c. (nonché, per la relazione di stima dell’esperto, dell’articolo 173 bis disp. att. c.p.c.). La funzione della modifica è rivolta tanto al giudice dell’esecuzione, onde facilitare la necessaria interlocuzione con i propri ausiliari, tanto alla platea dei potenziali interessati all’acquisto dell’immobile staggito, dacché l’uniformità dei modelli adoperati senza dubbio agevola la lettura e la comprensione di due atti fondamentali per determinarsi all’offerta.

 

Comma 41

L’estensione alle procedure espropriative delle disposizioni in materia di antiriciclaggio di cui al d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231, predicata dalla lettera p) del comma 12, è stata realizzata (apportando le opportune modifiche agli articoli 585, 586 e 591 bis c.p.c., introducendo commi ad hoc oppure modificando i preesistenti) rispettando rigorosamente la previsione della legge delega, limitata esclusivamente all’applicazione agli aggiudicatari di beni immobili, oggetto di espropriazione forzata, degli obblighi previsti dal d.lgs. n. 231 del 2007 a carico del cliente.

Più in dettaglio, con le modifiche agli articoli 585 e 586 c.p.c., si è previsto che nel termine fissato per il versamento del saldo prezzo, l’aggiudicatario, con dichiarazione scritta resa nella consapevolezza delle responsabilità, civili e penali, previste per le dichiarazioni false o mendaci, fornisce al giudice dell’esecuzione o al professionista delegato le informazioni prescritte dall’art. 22 del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231. Non si è ritenuto di porre a carico del professionista compiti di controllo o verifica delle informazioni così acquisite, sia perché in tal senso non disponeva la legge delega, sia perché il d.lgs n. 231 del 2007 prevede una serie variegata di modalità di controllo delle dichiarazioni ad opera del professionista e di strumenti di indagine (alcuni assai incisivi) a disposizione di quest’ultimo, per cui (si ripete: in mancanza di indicazioni della legge delega) la scelta dell’uno o dell’altro metodo di controllo sarebbe stato esercizio di discrezionalità istituzionalmente non conferita al legislatore delegato.

 

Comma 42

Lettera a)

In forza delle disposizioni in materia di c.d. vendita diretta si è reso necessario integrare la disciplina della delega ex articolo 591 bis c.p.c. per adattarla al nuovo istituto, aggiungendo differenti previsioni secondo che la vendita avvenga senza opposizione dei creditori e conseguente procedura competitiva, o con l’opposizione dei medesimi.

È stato poi introdotto, sempre all’articolo 591 bis c.p.c., un nuovo comma quattordicesimo, allo scopo di collocare nella sede ritenuta più appropriata la disposizione attualmente contenuta al comma 9-sexies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Tale norma prevede che il professionista delegato a norma dell'articolo 591-bis del codice di procedura civile, entro trenta giorni dalla notifica dell'ordinanza di vendita, deposita un rapporto riepilogativo iniziale delle attività svolte; che a decorrere dal deposito del rapporto riepilogativo iniziale, il professionista deposita, dopo ciascun esperimento di vendita, un rapporto riepilogativo periodico delle attività svolte; che entro dieci giorni dalla comunicazione dell'approvazione del progetto di distribuzione, il professionista delegato deposita un rapporto riepilogativo finale delle attività svolte successivamente al deposito del rapporto di cui al periodo precedente. Tale disposizione è stata quindi spostata nell’articolo 591-bis c.p.c., con modifiche di mero drafting. L’ultimo periodo del nuovo quattordicesimo comma dell’articolo 591-bis c.p.c. precisa che i rapporti riepilogativi contengono i dati identificativi dell'esperto che ha effettuato la stima, con disposizione che ricalca quella attualmente contenuta al comma 9-septies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012.

 

Lettera b)

Assai importante è la previsione della lettera l) del comma 12 circa i rimedi avverso gli atti del professionista delegato. Quanto alle ragioni giustificatrici della novella, pare opportuno riportare per stralcio la relazione prodromica alla legge delega: «La proposta modifica è volta a rafforzare la stabilità del decreto di trasferimento. Infatti, in base al vigente articolo 591-ter c.p.c. (così come interpretato da Cass., sent. n. 12238/2019), il reclamo avverso l’atto del delegato (i cui atti non sono suscettibili di opposizione ex articolo 617 c.p.c.) non costituisce un mezzo di impugnazione da esperire entro un certo lasso di tempo, decorso il quale l’atto si stabilizza; al contrario, eventuali vizi nell’attività del delegato possono essere fatti valere proponendo opposizione avverso l’atto esecutivo conclusivo della fase liquidativa e, cioè, avverso il decreto di trasferimento. Ciò determina una nociva instabilità del provvedimento traslativo della proprietà del cespite staggito, la quale può essere eliminata stabilendo un termine entro il quale dolersi degli atti del delegato (e decorso il quale eventuali vizi antecedenti non potrebbero più essere denunciati) innanzi al giudice dell’esecuzione, la cui ordinanza potrebbe essere impugnata entro il termine decadenziale ex articolo 617 c.p.c., evitando qualsivoglia ripercussione dei vizi sul decreto ex articolo 586 c.p.c.». Le modifiche suggerite dalla legge delega appaiono senza dubbio funzionali allo scopo: esse eliminano i due principali problemi posti dalla disciplina del reclamo avverso gli atti del professionista delegato, ovvero la mancata indicazione del termine per la presentazione del reclamo e la previsione del reclamo al collegio come strumento di impugnazione dell’ordinanza del giudice dell’esecuzione. Il nuovo sistema prefigura un meccanismo di progressiva stabilizzazione degli atti del delegato alla vendita (e di sanatoria dei vizi del relativo subprocedimento) che si forma prima dell’emissione del decreto di trasferimento: l’atto si stabilizza se non è impugnato nei venti giorni successivi alla sua conoscenza e, in caso di impugnazione, il meccanismo di stabilizzazione è quello generale dell’opposizione ex art. 617 c.p.c. (ripristinando il rimedio analogo a quello previsto dalla disciplina anteriore alla riforma del 2015) e, quindi, al successivo controllo della Corte di Cassazione. Nella traduzione in articolato, per dissipare eventuali dubbi interpretativi, si è precisato che le modifiche interessano -seguendo pedissequamente la legge delega- il reclamo proposto da parti ed interessati avverso l’atto del professionista (e non già il reclamo motu proprio da questi sollevato al giudice dell’esecuzione, in quanto originato non da questioni di diritto bensì da mere difficoltà materiali), che il termine per il reclamo (venti giorni dal compimento dell’atto o dalla sua conoscenza) ha natura perentoria. Oltre all’art. 591-ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare (cui testualmente era riferita la legge delega), ragioni di coerenza sistematica hanno imposto di novellare nello stesso senso anche i corrispondenti e speculari istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (articolo 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (articolo 168 disp. att. c.p.c.).

Finalizzata ad un più celere svolgimento delle operazioni di vendita è poi la previsione della lettera i), dal duplice contenuto (durata annuale della delega, compimento in tale periodo di tempo di tre esperimenti di vendita). La disposizione della legge delega ha sollevato criticità operative: intesa alla lettera, cioè a dire come riferita all’intero corpus delle attività oggetto di delega analiticamente descritte dal num.1) al num. 13) dell’art. 591 bis, terzo comma, c.p.c., essa dava luogo ad una concreta irrealizzabilità, in quanto, pur ammettendo il felice esito del primo esperimento di vendita, i tempi occorrenti per il compimento delle varie attività (il versamento del saldo prezzo, l’emissione del decreto di trasferimento, la redazione e l’approvazione del progetto di distribuzione) sforavano di certo l’anno; d’altro canto, forti perplessità sono state sollevate dagli operatori circa la possibilità di tentare tre esperimenti di vendita in un anno, in ragione degli obbligatori tempi da accordare per la formulazione delle offerte di acquisto e per le tempistiche di prassi degli adempimenti pubblicitari. Nella consapevolezza di questi problemi, si è dato egualmente corso alla delega, intendendo la durata annuale, al di là del tenore letterale, nell’unico senso plausibile, cioè a dire come riferito alle operazioni di vendita in senso stretto: con il modificato primo comma dell’art. 591 bis c.p.c., si è pertanto statuito che con l’ordinanza che dispone la vendita il giudice dell’esecuzione fissi un termine finale per il completamento delle operazioni delegate, nella loro globalità intese, e disponga altresì lo svolgimento, entro il termine di un anno dall’emissione dell’ordinanza, di un numero di esperimenti di vendita non inferiore a tre, secondo i criteri stabiliti dall’articolo 591, secondo comma;, stabilendo le modalità di effettuazione della pubblicità, il luogo di presentazione delle offerte d’acquisto e il luogo ove si procede all’esame delle stesse, alla gara tra gli offerenti ed alle operazioni dell'eventuale incanto. Il concreto pericolo di non riuscire ad effettuare nell’anno i tre tentativi di vendita è salvaguardato dalla possibilità per il delegato di richiedere tempestiva proroga al giudice della esecuzione, fermo restando che non sono inficiati da nullità gli atti del subprocedimento compiuti oltre il termine accordato per gli stessi. Lo sforamento del termine ha infatti ripercussioni solo e soltanto sull’incarico al professionista, che può essere revocato (come nell’ipotesi di inosservanza delle direttive impartite) dal giudice dell’esecuzione, previo contraddittorio con l’interessato, secondo la regola posta dal novellato undicesimo comma dell’art. 591-bis c.p.c., che recepisce anche la previsione (più che altro un monito o raccomandazione per i giudici dell’esecuzione) della vigilanza del giudice dell’esecuzione sul regolare e tempestivo svolgimento delle attività delegate e sull’operato del professionista delegato, da realizzarsi mediante richiesta (in ogni momento) di informazioni sulle operazioni di vendita.

 

Comma 43

Un ampliamento delle funzioni del professionista delegato consegue all’attuazione della lettera m) del comma 12. Trasposizione positiva di prassi diffuse in molti uffici giudiziari (ed avallate come virtuose dal Consiglio Superiore della Magistratura nella delibera del 7 dicembre 2021 recante l’approvazione delle “linee guida funzionali alla diffusione di buone prassi nel settore delle esecuzioni immobiliari”), viene affidato al professionista delegato il potenziale svolgimento di tutta la fase della distribuzione del ricavato: non soltanto la predisposizione del piano di riparto (sulla scorta delle preventive istruzioni del giudice dell’esecuzione), ma anche la convocazione delle parti innanzi a sé per l’audizione e la discussione sul progetto, la cui approvazione, in caso di mancata comparizione o mancata contestazione, compete al professionista delegato, il quale avrà altresì cura di provvedere al materiale pagamento delle singole quote agli assegnatari. Sono stati così ridisegnati gli articoli 596, 597 e 598 c.p.c. nonché l’art. 591-bis, facendo salva in ogni caso la preventiva verifica del giudice dell’esecuzione sul progetto di distribuzione elaborato dall’ausiliario (onde apportare le opportune correzioni e integrazioni) e la competenza esclusiva del medesimo giudice in caso di insorgenza di controversie in fase distributiva; una serie di stringenti termini sono stati fissati, onde accelerare il momento conclusivo dell’espropriazione, per il compimento della verifica del giudice sul progetto, della fissazione della data per l’audizione delle parti innanzi il professionista delegato, per l’emissione dei bonifici o mandati di pagamento dopo l’approvazione del piano.

 

Comma 44

Il criterio di delega di cui alla lettera o) del comma 12 della legge delega, che prescrive al legislatore delegato di “prevedere criteri per la determinazione dell'ammontare, nonché del termine di durata delle misure di coercizione indiretta di cui all'articolo 614-bis del codice di procedura civile; prevedere altresì l'attribuzione al giudice dell'esecuzione del potere di disporre dette misure quando il titolo esecutivo è diverso da un provvedimento di condanna oppure la misura non è stata richiesta al giudice che ha pronunciato tale provvedimento”, impone diversi ordini di interventi sull’articolo 614-bis c.p.c..

Il primo concerne l’ammontare della somma che diviene dovuta – a seguito del provvedimento che la prevede – quando si verifichi l’inadempimento all’obbligo previsto nel titolo esecutivo.

A tal riguardo la previsione di cui al secondo comma del testo attualmente vigente è stata integrata con il richiamo al vantaggio che l’obbligato trae dall’inadempimento. È infatti pacifico che l’esecuzione indiretta ha la finalità di indurre l’obbligato all’adempimento volontario, in quanto l’inadempimento produce nella sua sfera giuridica conseguenze negative superiori ai vantaggi che egli trae dall’inadempimento. Pertanto, la misura coercitiva, per poter essere effettiva, deve essere commisurata principalmente a questo parametro. Il danno che l’inadempimento produce nella sfera giuridica dell’avente diritto assume invece un ruolo secondario, posto che l’esecuzione indiretta si aggiunge al – e non sostituisce il – risarcimento del danno prodotto dall’inadempimento.

Non è stato possibile determinare l’entità massima della sanzione pecuniaria, in quanto tale quantificazione esorbita da valutazioni di natura giuridica, investendo essenzialmente profili di politica legislativa. Se il governo riterrà opportuno, potrà valutare se inserire una determinazione quantitativa dei minimi / massimi della sanzione pecuniaria.

Un ulteriore intervento concerne la durata massima della misura coercitiva; in particolare si è integrato il primo comma della norma con un ultimo periodo, che consente al giudice di fissare un termine di durata della misura. Sembra evidente che una tale previsione ha rilevanza nei casi di inadempimento di un obbligo avente come contenuto una prestazione, mentre non ha rilevanza ove si tratti di un obbligo di astensione. In quest’ultimo caso, poiché la sanzione diviene operativa solo ove sia tenuto un comportamento contrario all’obbligo di astensione, non vi è necessità di assicurare che l’entità della somma da corrispondere non divenga esorbitante. Esemplificando: se ad un soggetto è fatto divieto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria, di chiudere a chiave un cancello o di suonare la tromba dopo le 23, non ha senso prevede un termine massimo di durata della misura esecutiva. In caso, invece, di obblighi positivi, può essere opportuno porre un limite massimo alla durata della misura coercitiva, e così alla somma complessiva che divenga dovuta. Non è infatti possibile che essa divenga perpetua. Esemplificando: se ad un soggetto è prescritto, sotto comminatoria di una sanzione pecuniaria pari a X euro per ogni giorno di ritardo, di consegnare un certo bene, non è concepibile che la sanzione pecuniaria assuma entità stratosferiche.

La seconda previsione della legge delega è volta a porre rimedio ad una lacuna della normativa vigente che attribuisce al solo giudice, che pronuncia la condanna, il potere di concedere la misura coercitiva: ciò che produce l’inconveniente di penalizzare i titoli esecutivi diversi dalle sentenze di condanna, che pure la recente legislazione ha equiparato ai titoli esecutivi giudiziali – si pensi solo alla disciplina della mediazione e della negoziazione assistita – onde rendere appetibili gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Lo stesso deve dirsi per il lodo arbitrale.

In ossequio alla legge delega, che imponeva di attribuire tale potere al giudice dell’esecuzione, la norma richiama le disposizioni di cui all’esecuzione per obblighi di fare. Dopo la notificazione del precetto, l’avente diritto presenta il ricorso al giudice dell’esecuzione competente, il quale – sentite le parti – provvede a determinare la misura esecutiva.

Avverso tale provvedimento resta ovviamente proponibile l’opposizione agli atti esecutivi, mentre l’opposizione all’esecuzione può essere utilizzata nelle ipotesi di cui all’art. 615 c.p.c., anche nelle forme dell’opposizione a precetto.

 

Comma 45

Il comma 45 contiene una mera disposizione di coordinamento, volta a coordinare la disposizione di cui all’articolo 654 c.p.c. con l’abolizione della formula esecutiva.

 

Comma 46

Lettera a)

In attuazione del principio contenuto nel comma 5, lett. R) si è estesa la applicabilità del procedimento di convalida, di licenza per scadenza del contratto e di sfratto per morosità, anche ai contratti di comodato di beni immobili e di affitto di azienda, entro tali limiti modificando dunque l’articolo 657 c.p.c.

 

Lettera b)

Il comma 46, lettera b, contiene una mera disposizione di coordinamento, volta a coordinare la disposizione di cui all’articolo 663 c.p.c. con l’abolizione della formula esecutiva.

 

Comma 47

Lettera a)

L’attribuzione di poteri cautelari in capo agli arbitri ha reso necessario un intervento di coordinamento anche in relazione alle norme che sino ad oggi erano integralmente deputate alla disciplina dei provvedimenti cautelari nell’ipotesi di devoluzione della causa in arbitrato. Si è dunque imposta una modifica dell’articolo 669-quinquies c.p.c., deputato a disciplinare la competenza cautelare in caso di clausola compromissoria, compromesso o pendenza del giudizio arbitrale. Sino ad oggi la norma prevede che nell’ipotesi di controversie oggetto di clausola compromissoria, compromesso in arbitri, anche non rituali, ovvero di pendenza del giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito. Rispetto a tale generale previsione si è quindi reso necessario l’inserimento di un inciso per cui la stessa opera “salvo quanto disposto dall’articolo 818” del codice di procedura civile.

 

Lettera b)

In attuazione del principio di delega (comma 17, lettera q) sono state apportate modifiche all’articolo 669-octies c.p.c. al fine di prevedere, al comma settimo, che il regime di non applicazione del procedimento di conferma previso dall’articolo 669-octies e dal primo comma dell’articolo 669-novies si applichi anche ai provvedimenti di sospensione dell’efficacia delle delibere assembleari, adottati ai sensi dell’articolo 1137, quarto comma del codice civile, fermo restando anche per questi casi, la facoltà di ciascuna parte di instaurare il giudizio di merito. Attualmente, infatti, ai provvedimenti cautelari con i quali il giudice sospende l’esecuzione delle deliberazioni assunte dagli organi di società (articolo 2378, quarto comma, c.c.) o di associazioni (articolo 23, ultimo comma, c.c.) non è riconosciuta natura anticipatoria della sentenza di merito con la conseguenza che essi perdono efficacia ove il giudizio di merito – nell’ambito del quale essi sono necessariamente proposti - si estingua. L’intervento ha, dunque, uno scopo deflattivo del contenzioso. Infatti, molto spesso, l’attore, dopo avere ottenuto, nell’ambito del giudizio di merito, il provvedimento cautelare con il quale è stata disposta la sospensione dell’esecuzione della deliberazione non ha un reale interesse alla decisione di merito diverso da quello costituito dalla necessità di “stabilizzare” gli effetti della decisione cautelare.

Pertanto, si rende opportuno coordinare il regime della efficacia di questi provvedimenti cautelari equiparandolo a quello previsto dall’art. 669-octies c.p.c. In questo modo, infatti, le parti saranno spinte ad abbandonare il giudizio di merito, senza che ciò incida sul provvedimento cautelare di sospensione dell’esecuzione della deliberazione. Conseguentemente sono state apportate modifiche all’ultimo comma dello stesso articolo, al fine di prevedere che l’estinzione del giudizio di merito non determina neppure l’inefficacia dei provvedimenti cautelari di sospensione dell’efficacia delle deliberazioni assembleari assunte da qualsiasi organo di associazioni, fondazioni o società”.

 

Lettera c)

In attuazione del principio di delega (comma 7, lettera r) è stato modificato il secondo comma dell’articolo 669-novies a fine di sopprimerne il periodo che stabilisce che, in caso di contestazione sulla intervenuta inefficacia di un provvedimento cautelare, la relativa questione sia definita con ordinanza anziché con sentenza.

Quanto al provvedimento che il giudice deve emettere, infatti, la disposizione vigente distingue tra l’ipotesi in cui non vi sia stata contestazione da parte del resistente da quella in cui questi intenda opporsi alla dichiarazione di inefficacia. Nel primo caso è previsto che il giudice emetta una ordinanza avente efficacia esecutiva con la quale dichiara che il provvedimento cautelare è divenuto inefficace (dando, anche, le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente). In caso di contestazione, invece, l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare provvede sull’istanza con sentenza provvisoriamente esecutiva.

La differenziazione operata dal vigente secondo comma dell’articolo 669-novies c.p.c. non appare sistematicamente corretta, in quanto tutti i provvedimenti che disciplinano situazioni giuridiche in via cautelare hanno forma di ordinanza, ed è fonte di notevole aggravio per l’attività giurisdizionale, obbligando il giudice alla concessione dei termini per la definizione del thema decidendum e del thema probandum e, infine, dei termini per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di repliche.

In attuazione della delega, dunque, si prevede che in entrambi i casi indicati dal primo comma il giudice, dopo avere convocato le parti e garantito il contraddittorio sull’istanza, provvede con ordinanza avente efficacia esecutiva.

 

Lettera d)

Per ragioni di coordinamento con gli interventi in materia di arbitrato, per l’ipotesi di revoca e modifica del provvedimento cautelare prevista dall’articolo 669-decies c.p.c. si è imposta una modifica del secondo comma, per il quale “Se la causa di merito è devoluta alla giurisdizione di un giudice straniero o ad arbitrato, ovvero se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale, i provvedimenti previsti dal presente articolo devono essere richiesti al giudice che ha emanato il provvedimento cautelare” con l’aggiunta dell’ulteriore inciso “ovvero agli arbitri nel caso previsto dall’articolo 818”. Si è dunque inteso riconoscere agli arbitri che hanno emanato un provvedimento cautelare - in ragione del potere loro attribuito dalle parti - del corrispondente potere anche di disporre l’eventuale revoca o modifica della misura cautelare in precedenza disposta, in presenza di mutamenti nelle circostanze o di allegazione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare, secondo quanto disposto dall’articolo 669-decies, primo comma, del codice di procedura civile.

 

Commi 48 e 49

La necessità di provvedere a un organico riordino della materia ha indotto ad abrogare le disposizioni processuali che il codice prevedeva per singoli procedimenti e a reintrodurle, siccome derogatorie delle norme speciali sul procedimento unitario, nelle nuove sezioni da II a VII del Capo II del Titolo IV bis del Secondo libro del codice di procedura civile, secondo quanto già esaminato. Sono stati, pertanto, abrogati il Capo III bis del Titolo I, Libro IV c.p.c. e i Capi I, II, III, IV, V e V bis del Libro IV, Titolo II, c.p.c.

 

Comma 50

In attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. oo), che invita a “prevedere che i provvedimenti adottati dal giudice tutelare, inclusi quelli emessi ai sensi dell’articolo 720-bis del codice di procedura civile in materia di amministrazione di sostegno, siano reclamabili al tribunale che decide in composizione monocratica per quelli aventi contenuto patrimoniale gestorio e in composizione collegiale in tutti gli altri casi; prevedere che del collegio non possa far parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato” si è inserito nell’articolo 739 c.p.c. un inciso per il quale il tribunale investito del reclamo pronuncia in camera di consiglio “in composizione monocratica quando il provvedimento ha contenuto patrimoniale o gestorio, e in composizione collegiale in tutti gli altri casi. Del collegio non può fare parte il giudice che ha emesso il provvedimento reclamato”.

 

Comma 51

Lettera a)

L’attuazione del principio di delega di cui alla lettera h) del quindicesimo comma dell’articolo unico è stata realizzata inserendo un ultimo periodo al terzo comma dell’articolo 810 c.p.c.

Il periodo si sviluppa in due parti. In primo luogo, impone alle autorità di nomina il rispetto di criteri che assicurino trasparenza, rotazione ed efficienza: saranno le singole autorità giudiziarie a concretizzare questi criteri, anche, se lo riterranno, con la predisposizione di elenchi. In ogni caso, nella sua seconda parte, il periodo impone una precisa modalità informativa, che consiste nella pubblicazione delle nomine sul sito dell’ufficio giudiziario, il che darà a tutti gli operatori la possibilità di verificare il rispetto dei criteri positivi indicati dalla norma.

Si è esclusa l’imposizione alle autorità di nomina di elenchi prefissati, nel rispetto della loro autonomia e per consentire un’opportuna flessibilità, in rapporto alle esigenze dei singoli giudizi arbitrali.

 

Lettera b)

Il principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. a, della l. 26 novembre 2021, n. 206, punta al rafforzamento delle garanzie di indipendenza e imparzialità degli arbitri, essenziali per lo sviluppo di questo istituto, attraverso alcuni strumenti concorrenti, che vengono quindi disciplinati dalla normazione delegata.

A tal fine, viene in primo luogo operato un significativo intervento sull’articolo 813 c.p.c., primo comma. Viene resa obbligatoria, a pena di nullità, la dichiarazione, da parte di ogni arbitro, delle eventuali circostanze che potrebbero essere suscettibili di valutazioni problematiche sul piano dell’indipendenza e dell’imparzialità. La mancanza della disclosure, peraltro richiesta già oggi da molti regolamenti di istituzioni di arbitrato amministrato e doverosa sul piano deontologico forense, impedisce il perfezionamento dell’accettazione e quindi l’assunzione dell’incarico. L’arbitro potrà dichiarare che non sussistono situazioni di incompatibilità e comunque segnalare fatti che, pur non apparendogli tali da impedire l’accettazione, devono essere sottoposti all’attenzione delle parti, in un quadro di piena trasparenza. Si prevede ovviamente che la dichiarazione debba essere ripetuta in caso di circostanze sopravvenute in pendenza del giudizio arbitrale.

L’eventuale omessa dichiarazione, che non fosse stata fatta oggetto di un immediato rilievo e anche l’eventuale omissione di circostanze rilevanti, è passibile di una forte sanzione: la parte interessata potrà chiedere la decadenza dell’arbitro all’autorità giudiziaria, nelle forme dell’articolo 813 bis, entro dieci giorni dall’accettazione compiuta senza la dichiarazione oppure dalla scoperta della circostanza rilevante non dichiarata.

 

Lettera c)

Sempre in attuazione del principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. a, della l. 26 novembre 2021, n. 206, e al fine dunque di rafforzare le garanzie di indipendenza e imparzialità degli arbitri viene aggiunto al primo comma dell’articolo 815 c.p.c. un ulteriore motivo di ricusazione, il n. 6 bis), reintroducendo una clausola aperta di ricusazione, consistente nell’emergere di gravi ragioni di convenienza, che possono incidere sull’indipendenza e l’imparzialità degli arbitri. Il sistema italiano già prevedeva, sino alla riforma del 2006, che la ricusazione degli arbitri potesse essere declinata mediante un rinvio integrale all’art. 51 del codice di procedura civile, tale da comprendere, dunque, accanto alle ipotesi di ricusazione per i motivi di astensione obbligatoria, anche i casi di cui all’art. 51, secondo comma, del codice di procedura civile, di astensione facoltativa da parte del giudice. La riforma del 2006 ha invece deciso di operare in modo differente, introducendo anche per l’arbitrato una serie di ipotesi tipizzate di ricusazione. L’intervento normativo in oggetto si propone dunque di operare un rafforzamento delle garanzie di imparzialità e indipendenza, essenziali per la realizzazione del giusto processo anche arbitrale, e venendo così ad allinearsi alle migliori prassi internazionali.

 

Comma 52

Lettera a)

L’attuazione del principio di delega di cui al comma 15, lett. g) (“disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”) è realizzata attraverso una serie di differenti interventi normativi.

L’importanza del tema era stata evidenziata in particolare da Corte cost. 19 luglio 2013, n. 223, con la quale il Giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 819-ter, secondo comma, del codice di procedura civile, “nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’articolo 50 del codice di procedura civile”. La pronuncia della Corte costituzionale aveva così segnato una tappa fondamentale nel percorso volto all’individuazione di un substrato comune tra arbitrato e giudizio ordinario e nella disciplina dei relativi rapporti (al quale aveva fatto seguito, nella stessa direzione, la di poco successiva Cass., ord. 24 ottobre 2013, n. 24153), ma rimaneva in concreto da determinare come attuare la translatio iudicii dall’arbitrato al giudizio ordinario, nonché da disciplinare l’ipotesi corrispondente e speculare.

In questa prospettiva si è posto il principio di delega in oggetto, la cui concreta attuazione è stata posta in essere innanzi tutto con una disposizione di carattere generale, inserita in un nuovo articolo 816-bis.1 c.p.c., ai sensi del quale “La domanda di arbitrato produce gli effetti sostanziali della domanda giudiziale e li mantiene nei casi previsti dall’articolo 819-quater”. Anche al fine di garantire la piena realizzazione degli effetti della translatio viene in tal modo colmata una lacuna nel sistema, in quanto la novella posta in essere con l. 5 gennaio 1994, n. 25, aveva introdotto una serie di disposizioni volte a disciplinare la produzione da parte della domanda di arbitrato di singoli effetti propri della domanda giudiziale (sulla prescrizione, la trascrizione e l’instaurazione del processo di merito dopo la concessione della misura cautelare) senza tuttavia prevedere la piena parificazione tra le due domande per la generalità degli effetti normalmente conseguenti alla domanda giudiziale. In questo senso, dunque, la nuova disposizione dà atto per tabulas che la parificazione deve considerarsi sussistente, e che gli effetti prodotti dalla domanda arbitrale vengono mantenuti anche nel caso di trasmigrazione del processo avanti al giudice ordinario, nelle ipotesi previste dal nuovo articolo 819-quater del codice di procedura civile.

 

Lettera b)

Un ulteriore, rilevante comparto della normativa in materia di arbitrato è quello della disciplina dei poteri cautelari da parte degli arbitri rituali.

A tal fine, le nuove disposizioni si pongono in attuazione del comma 15, lett. c) della delega, che invita il legislatore delegato a “prevedere l’attribuzione agli arbitri rituali del potere di emanare misure cautelari nell’ipotesi di espressa volontà delle parti in tal senso, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, salva diversa disposizione di legge; mantenere per tali ipotesi in capo al giudice ordinario il potere cautelare nei soli casi di domanda anteriore all'accettazione degli arbitri; disciplinare il reclamo cautelare davanti al giudice ordinario per i motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile e per contrarietà all’ordine pubblico; disciplinare le modalità di attuazione della misura cautelare sempre sotto il controllo del giudice ordinario”.

La legge delega ha tenuto conto delle argomentazioni che, anche in chiave critica, sono state in passato mosse dal punto di vista sistematico al generale divieto per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari, considerandolo superato, e ritenendo che un intervento in questo ambito fosse necessario per rispondere alla ormai pacificamente riconosciuta funzione di indispensabile complemento e completamento della tutela cautelare nell’ambito della tutela giurisdizionale e per realizzare il principio di effettività di quest’ultima (v. ad es. in ambito eurounitario la sentenza della Corte di Giustizia del 19 giugno 1990, C-213/89, Factortame Ltd.). Senza contare, poi, che la disciplina italiana dell’arbitrato restava di fatto isolata rispetto a quanto previsto negli ordinamenti europei che da tempo riconoscono in capo agli arbitri il potere di emanare provvedimenti cautelari e un intervento in questo ambito si pone anche nella prospettiva di rendere lo strumento arbitrale maggiormente attrattivo anche per soggetti e investitori stranieri.

In questa prospettiva, l’intervento normativo si pone oltre tutto in una direttrice di ideale prosecuzione con la linea di apertura delineata dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che, nel modificare l’articolo 818 c.p.c., aveva temperato l’originario divieto per gli arbitri di concedere sequestri o altri provvedimenti cautelari, stabilendo che lo stesso non dovesse più considerarsi assoluto, ma valere “salva diversa disposizione di legge”. Di fatto, tuttavia, la possibilità per gli arbitri di emanare provvedimenti cautelari è rimasta nell’ordinamento limitata al solo arbitrato societario e al potere per gli arbitri, in tale sede previsto, di disporre la sospensione cautelare delle delibere assembleari.

In concreto, il riconoscimento dei poteri cautelari al giudice privato non viene attuato in modo generalizzato, ritenendosi più opportuno introdurre una disciplina maggiormente prudenziale, volta a demandare tale prerogativa alle sole ipotesi di libera e consapevole scelta ad opera delle parti compromittenti.

In questo senso l’art. 818 c.p.c. viene dunque modificato prevedendo che: “Le parti, anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali, possono attribuire agli arbitri il potere di emanare misure cautelari con la convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale”.

In questo modo si stabilisce che il potere cautelare degli arbitri sia riconosciuto e delimitato alle sole ipotesi di previa espressa volontà delle parti, manifestata nella convenzione di arbitrato o in atto scritto successivo, purché anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale. L’individuazione di tale criterio temporale risponde all’esigenza di cristallizzare, prima dell’instaurarsi della litispendenza (in senso ampio) arbitrale, il perimetro dei poteri spettanti agli arbitri, così da attribuire maggiore certezza in proposito sia alle parti, sia agli stessi arbitri, che possono avere accettato la nomina anche sulla base di una determinata prefigurazione del complessivo svolgimento dell’iter processuale.

In analoga prospettiva e sempre tenendo conto che l’attribuzione del potere cautelare agli arbitri presuppone una differente organizzazione del giudizio, si è voluta sottolineare la possibilità che la scelta delle parti di fatto avvenga “anche mediante rinvio a regolamenti arbitrali”, così valorizzando la realtà delle istituzioni arbitrali e la loro capacità organizzativa nell’amministrare il procedimento.

Il riconoscimento di un potere cautelare in capo agli arbitri non poteva peraltro non essere contemperato e coordinato con l’attribuzione, sino ad oggi generale e di fatto ancora quasi esclusiva (con l’unica eccezione già accennata del potere cautelare degli arbitri di sospensione delle delibere assembleari nell’arbitrato societario), del potere cautelare in capo all’autorità giudiziaria. A tal fine, nell’articolo 818 c.p.c. sono state introdotte le ulteriori precisazioni per le quali “La competenza cautelare attribuita agli arbitri è esclusiva. Prima dell’accettazione dell’arbitro unico o della costituzione del collegio arbitrale, la domanda cautelare si propone al giudice competente ai sensi dell’articolo 669-quinquies”.

Le modifiche intendono evitare pericolose sovrapposizioni e duplicazioni di tutela, sostanzialmente riconoscendo che, mentre prima dell’instaurazione del processo arbitrale, la competenza a emanare provvedimenti cautelari continua a rimanere appannaggio esclusivo dell’autorità giudiziaria ordinaria, ai sensi dell’articolo 669-quinquies del codice di procedura civile, una volta che il processo arbitrale sia iniziato e l’organo arbitrale si sia regolarmente costituito (in modo tale da consentire una sollecita risposta alla richiesta di tutela cautelare formulata dalla parte), o comunque, nel caso di arbitro unico, questi abbia accettato la nomina, ove le parti abbiano inteso attribuire agli arbitri tale potere, lo stesso viene attribuito integralmente e in via esclusiva agli stessi arbitri. Non vi può dunque essere, in queste ipotesi, una potestas concorrente tra arbitri e giudici ordinari.

 

Lettera c)

Il riconoscimento in capo agli arbitri di poteri cautelari presuppone peraltro anche la simmetrica previsione di adeguate garanzie di verifica e controllo dell’operato degli arbitri. A tal fine, mediante l’introduzione dell’articolo 818-bis c.p.c. si è inteso dare attuazione al principio della delega volto prevedere in questo ambito la disciplina del reclamo cautelare.

A questo proposito, viene stabilito che il reclamo si svolga davanti al giudice ordinario e, a tal fine, tenuto conto che la delega individua come ragioni per l’impugnazione della misura cautelare quelle indicate dall’articolo 829 del codice di procedura civile, si è ritenuto che per analogia sistematica sia corretto individuare quale giudice del controllo anche della misura cautelare la corte d’appello.

Quanto all’individuazione concreta della corte d’appello, la stessa è stata effettuata facendo riferimento al distretto ove è la sede dell’arbitrato, seguendo un evidente parallelismo con tutti gli altri casi di ausilio giudiziario e supporto al procedimento arbitrale, per i quali la disciplina del codice di rito fa riferimento, in primis, all’autorità giudiziaria del luogo dove è stabilita la sede dell’arbitrato (come previsto ad esempio dagli articoli 810, 811, 813, 814, 815 del codice di procedura civile).

Per quanto poi riguarda l’ambito concreto di estensione del reclamo, nel nuovo articolo 818-bis del codice di procedura civile non è stata prevista alcuna limitazione in relazione alla possibile tipologia di provvedimento arbitrale, così comprendendo tanto i casi  di accoglimento quanto di rigetto della richiesta cautelare, ritenendosi che l’eventuale previsione della facoltà di reclamo unicamente per i casi di accoglimento della richiesta, oltre che non contemplata dalla legge delega, avrebbe potuto porsi in contrasto con i principi costituzionali, così come già dichiarato dalla Corte costituzionale con la sentenza 23 giugno 1994, n. 253, in relazione all’originaria limitata previsione dell’articolo 669 terdecies del codice di procedura civile.

Per altro verso (e come espressamente previsto dalla legge delega), la garanzia del reclamo viene dall’articolo 818-bis del codice di procedura civile limitata ai soli motivi di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di rito, in quanto compatibili, oltre che al caso della contrarietà all’ordine pubblico. Tale previsione intende porsi in conformità con l’ambito di impugnazione nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio, istituendo un parallelismo tra i possibili motivi di impugnazione del lodo, previsti nello specifico catalogo di errores in procedendo di cui all’articolo 829, primo comma, del codice di procedura civile, in quanto compatibili (e ciò tenuto conto che alcuni casi contemplati dalla norma appaiono estranei alla materia cautelare) e nella contrarietà all’ordine pubblico, di cui al terzo comma della stessa norma, e le possibili censure spendibili nei confronti del provvedimento interinale, che abbia accolto o rigettato la richiesta di misura cautelare. Anche a prescindere dal chiaro disposto della legge delega, non sarebbe stato logico, in effetti, attribuire in sede di reclamo cautelare un generale controllo di merito e con esso un sindacato più ampio di quello stabilito dal legislatore nei confronti del provvedimento decisorio finale del giudizio.

Ancora, l’avvenuto riconoscimento di poteri cautelari in capo agli arbitri impone anche di individuare la necessaria disciplina per l’attuazione dei provvedimenti stessi.

A questo riguardo, con l’introduzione dell’articolo 818-ter c.p.c. si è inteso dare specificazione e un più definito contenuto precettivo alla previsione, generale ma generica, contenuta nella legge delega, per la quale “Il giudice ordinario mantiene altresì la competenza per l’eventuale fase di attuazione della misura”. Si è così stabilito che “L’attuazione delle misure cautelari concesse dagli arbitri è disciplinata dall’articolo 669 duodecies e si svolge sotto il controllo del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato o, se la sede dell’arbitrato non è in Italia, il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Resta salvo il disposto degli articoli 677 e seguenti in ordine all’esecuzione dei sequestri concessi dagli arbitri. Competente è il tribunale previsto dal primo comma”.

In questo modo non soltanto si conferma l’idea per la quale le funzioni esercitate dagli arbitri sono sostanzialmente omologhe a quelle del giudice ordinario e che anche il provvedimento cautelare emanato dagli arbitri ha natura non differente da quella del corrispondente provvedimento emanato dal giudice ordinario, ma altresì che lo stesso deve dunque essere soggetto ad analoga disciplina anche con riferimento all’attuazione.

Il richiamo all’articolo 669-duodecies comporta dunque la previsione di una distinta modalità di attuazione, poiché, mentre con riferimento alle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro, l’esecuzione delle stesse avviene di fatto nelle forme previste dal libro terzo del codice di procedura civile, agli articoli 491 e seguenti in quanto compatibili, l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto obblighi di consegna, rilascio, fare o non fare avviene sempre sotto il controllo del giudice che ha emanato il provvedimento cautelare, il quale determina anche le modalità di attuazione, e laddove sorgano difficoltà o contestazioni dà con ordinanza i provvedimenti opportuni, sentite le parti. Questa stessa disciplina viene quindi applicata anche alle ipotesi dei provvedimenti cautelari emanati dagli arbitri, sia pure con riconoscimento dei necessari poteri già attribuiti agli arbitri stessi, sotto il controllo del tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata. Il mantenimento, in capo al giudice ordinario, dei poteri necessari per l’attuazione del provvedimento cautelare risponde del resto alla constatazione generale, e universalmente condivisa, per la quale gli arbitri, in quanto soggetti privati, pur chiamati a rendere attraverso il proprio giudizio una funzione equivalente a quella della giurisdizione di cognizione, rimangono sprovvisti di ius imperii e così privati della spendita di poteri coercitivi, ciò che rende pertanto necessario fare riferimento, per la fase di attuazione ed esecuzione della misura, al giudice ordinario.

La sostanziale trasposizione della disciplina dell’attuazione dei provvedimenti cautelari anche all’ipotesi delle misure cautelari, concesse dagli arbitri, ha poi reso opportuna, all’interno dell’articolo 818-ter del codice di procedura civile, la previsione espressa, per l’esecuzione dei sequestri eventualmente concessi dagli arbitri, della salvezza del disposto degli articoli 677 e seguenti del codice di rito in ordine, ovvero di quelle specifiche disposizioni che sono in generale deputate all’attuazione dei sequestri. Anche a tal fine si prevede peraltro che competente sia il tribunale previsto dal primo comma dell’articolo 818-ter, ovvero sempre il tribunale del luogo in cui la misura cautelare deve essere attuata.

 

Lettera d)

Ancora in attuazione del principio di delega di cui al comma 15, lett. g) (“disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”), quale raccordo sistematico, è introdotta una modifica anche nel già esistente articolo 819-ter c.p.c., prevedendo che sono impugnabili con il regolamento di competenza, a norma degli articoli 42 e 43 del codice di procedura civile, non soltanto la sentenza del giudice ordinario (come già previsto), ma altresì l’ordinanza (l’intervento è necessario, tenuto conto che a far tempo dal 2009 le pronunce sulla sola competenza da parte del giudice ordinario sono emanate in forma di ordinanza). Si è ritenuto di non operare una piena equiparazione tra arbitrato e processo ordinario, sotto questo profilo, considerata l’opportunità di limitare l’intervento del giudice in pendenza del procedimento arbitrale; l’impugnazione del lodo che declina la competenza con il regolamento necessario di competenza, invece, opera all’esito del procedimento arbitrale, consentendo una pronuncia definitiva in unico grado.

 

Lettera e)

L’art. 819-quater c.p.c. è la norma maggiormente deputata a disciplinare il fenomeno della translatio (che come già precisato costituisce attuazione del principio di delega di cui al comma 15, lett. g) “disciplinare la translatio iudicii tra giudizio arbitrale e giudizio ordinario e tra giudizio ordinario e giudizio arbitrale”) e in particolare la riassunzione della causa tra giudizio ordinario e arbitrato, in entrambi i sensi. A questo proposito, i primi due commi della norma dispongono, in modo simmetrico, che:

“Il processo instaurato davanti al giudice continua davanti agli arbitri se una delle parti procede a norma dell’articolo 810 entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza con cui è negata la competenza in ragione di una convenzione di arbitrato o dell’ordinanza di regolamento.

Il processo instaurato davanti agli arbitri continua davanti al giudice competente se la riassunzione della causa ai sensi dell’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del presente codice avviene entro tre mesi dal passaggio in giudicato del lodo che declina la competenza arbitrale sulla lite o dalla pubblicazione della sentenza o dell’ordinanza che definisce la sua impugnazione”.

Viene quindi prevista la possibilità, in tutte le ipotesi di declinatoria di competenza (dal giudice all’arbitro e dall’arbitro al giudice) di mantenere salvi gli effetti della domanda attraverso la predisposizione ad opera delle parti di tutte le attività necessarie all’instaurazione del processo. Nel caso in cui sia stato il giudice ordinario a declinare la competenza e occorra quindi instaurare il giudizio arbitrale, le parti saranno onerate a porre in essere le attività inerenti alla nomina degli arbitri, di cui all’articolo 810 del codice di procedura civile; nel caso inverso (quando cioè la declinatoria di competenza sia contenuta nel lodo o nella sentenza o ordinanza che definisce la sua impugnazione), le parti dovranno invece porre in essere la formale riassunzione della causa secondo quanto disposto dall’articolo 125 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. In entrambi i casi il termine per il compimento di tali attività è di tre mesi, in conformità a quanto previsto in via generale dallo stesso articolo 50 del codice di procedura civile, dal passaggio in giudicato della pronuncia declinatoria di primo grado (del giudice ordinario o dell’arbitro), ovvero dall’avvenuto definitivo compimento delle possibili impugnazioni.

Per valorizzare il significato della trasmigrazione del processo tra le due sedi, e in conformità tra l’altro a quanto già prevede l’articolo 59 l. n. 69/2009 per le ipotesi di translatio iudicii tra differenti ordini di giurisdizione, viene poi stabilito che “Le prove raccolte nel processo davanti al giudice o all’arbitro dichiarati non competenti possono essere valutate come argomenti di prova nel processo riassunto ai sensi del presente articolo”.

Infine, la nuova disposizione si preoccupa di disciplinare le conseguenze per il caso di mancata osservanza dei termini per la riassunzione. In queste ipotesi, trattandosi in sostanza di una inattività qualificata verso atti di impulso, si prevede che “L’inosservanza dei termini fissati per la riassunzione ai sensi del presente articolo comporta l’estinzione del processo”. Per tale ragione, il regime di rilevabilità resta quello di cui all’articolo 307, quarto comma del codice di procedura civile (“L’estinzione opera di diritto ed è dichiarata anche d’ufficio, con ordinanza del giudice istruttore ovvero con sentenza del collegio”) e gli effetti della dichiarazione di estinzione quelli previsti in via generale dall’articolo 310 del codice di procedura civile.

 

Comma 53

Ulteriore principio contenuto nella legge delega (comma 15, lett. d, l. 26 novembre 2021, n. 206) è quello di “prevedere, nel caso di decisione secondo diritto, il potere delle parti di indicazione e scelta della legge applicabile”. In attuazione di tale principio, nell’articolo 822 c.p.c. viene quindi introdotto un secondo comma, tale da prevedere che “Quando gli arbitri sono chiamati a decidere secondo le norme di diritto, le parti, nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale, possono indicare le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia. In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili”.

La modifica individua segnatamente, da un lato, il contesto e il momento temporale in cui può esercitarsi il potere delle parti di indicare le fonti straniere applicabili e, dall’altro, la tipologia della fonte richiamabile (anche in assenza di una precisa scelta delle parti).

Sotto il primo profilo, la scelta di consentire alle parti di esercitare tale potere “nella convenzione di arbitrato o con atto scritto anteriore all’instaurazione del giudizio arbitrale” risponde alla logica di individuare in via preventiva, rispetto alla litispendenza in senso ampio e all’instaurazione del giudizio, il diritto applicabile al merito della controversia (in simmetria con quanto disposto per le norme processuali dall’articolo 816-bis del codice di procedura civile) e in tal modo consentire agli arbitri di valutare se accettare o meno la nomina, in relazione a una vertenza per la cui risoluzione ritengano di essere in possesso delle necessarie competenze giuridiche. Senza contare che, diversamente ragionando e consentendo di modificare in corso di causa la legge applicabile al giudizio, si incorrerebbe anche nel rischio di un inutile dispendio di tutta l’attività processuale, necessariamente calibrata in funzione della legge applicabile alla fattispecie.

Sotto il secondo profilo, la nuova norma fa riferimento alla possibilità di indicare quali fonti applicabili “le norme o la legge straniera quale legge applicabile al merito della controversia”, perché è evidentemente al merito della controversia che occorre fare riferimento. Non soltanto la legge regolatrice del processo è infatti tipicamente la lex fori, ma oltre tutto, nel caso dell’arbitrato, il problema non ha una vera e propria ragion d’essere, essendo già prevista dalla legge (dal già richiamato articolo 816-bis del codice di procedura civile) la possibilità per le parti di stabilire “le norme” (evidentemente processuali) “che gli arbitrano debbono osservare nel procedimento”.

Quanto alla tipologia di fonti richiamabili dalle parti, si è preferita una dizione ampia (“le norme o la legge straniera”) in quanto notoriamente nell’ambito dell’esperienza arbitrale, soprattutto laddove caratterizzata da elementi di estraneità, assumono un fondamentale rilievo anche fonti differenti dalle leggi ordinarie statuali, quali in particolare la lex mercatoria, le norme modello UNCITRAL e altre ancora.

Infine, quale clausola finale di salvaguardia per l’ipotesi in cui le parti non abbiano a indicare alcuna fonte di riferimento, la norma precisa che “In mancanza, gli arbitri applicano le norme o la legge individuate ai sensi dei criteri di conflitto ritenuti applicabili”, in conformità al principio indicato nell’articolo 28 delle norme modello UNCITRAL.

 

Comma 54

La modifica dell’articolo 828 c.p.c. è disposta in attuazione del principio contenuto nella legge delega al comma 15, lettera e), che prevede di “ridurre a sei mesi il termine di cui all’articolo 828, secondo comma, del codice di procedura civile per la proposizione dell’impugnazione per nullità del lodo rituale, equiparandolo al termine di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile”.

In attuazione di tale previsione, il testo del secondo comma dell’articolo 828 del codice di procedura civile viene dunque modificato prevedendo che l’impugnazione del lodo “non è più proponibile decorsi sei mesi dalla data dell’ultima sottoscrizione”, anziché dalla data di un anno, come sino ad oggi avveniva. In questo senso, la modifica risponde all’esigenza di uniformare il c.d. termine lungo per l’impugnazione del provvedimento decisorio di primo grado (che deve essere previsto, per evidenti ragioni di certezza e di necessità di pervenire alla irretrattabilità del provvedimento in mancanza di notificazione dello stesso), sino ad oggi incongruamente diversificato tra sentenza e lodo.

Il termine lungo di cui all’articolo 327, primo comma, del codice di procedura civile è stato infatti abbreviato (prima di tale riforma era di un anno) per opera della legge n. 59/2009 di riforma del processo civile, ma analogo intervento non era stato sino ad oggi posto in essere per il lodo, probabilmente anche in modo del tutto involontario, né dal legislatore del 2009, né dal legislatore del 2006, che ha attuato la riforma del diritto dell’arbitrato. La parificazione del termine lungo per l’impugnazione del lodo e della sentenza risponde a meritevoli esigenze di allineare i due regimi e renderli uniformi, anche tenuto conto della ormai riconosciuta natura giurisdizionale del processo arbitrale e della sempre più stretta assimilazione - non soltanto quoad effectum ma altresì in relazione alla natura - tra i due provvedimenti decisori che pongono termine al giudizio.

 

Comma 55

Il principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. f, della l. 26 novembre 2021, n. 206, impone l’inserimento delle disposizioni sull’arbitrato societario all’interno del codice di procedura civile.

L’indicazione della legge di delega è solo quella di trasporre le norme esistenti, apportando una sola modificazione: prevedere cioè la reclamabilità dinanzi al giudice ordinario delle ordinanze con cui gli arbitri societari sospendono l’efficacia di delibere assembleari.

Si è quindi provveduto, in primo luogo, a inserire nel titolo VII del codice un apposito capo VI-bis e a rinumerare gli originari articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che ora diventano rispettivamente gli articoli 838-bis, 838-ter, 838-quater e 838-quinquies c.p.c.

Non era possibile, però, riprodurre le previgenti norme in modo automatico, perché esse contenevano numerosi rinvii interni ad articoli del codice, nel testo che tali articoli avevano al tempo del decreto legislativo citato. Le successive riforme hanno dato a questi articoli contenuti diversi, in genere estendendo al diritto comune dell’arbitrato regole che, inizialmente, valevano solo per l’arbitrato societario. Per rispettare rigorosamente ciò che il legislatore aveva voluto nel 2003, si è dunque corretto il secondo comma dell’articolo 838-ter; si è evitato di riprodurre nell’articolo 838-ter il terzo comma dell’art. 35; si è effettuato un riferimento al terzo (e non al secondo) comma dell’articolo 829 per consentire l’impugnazione secondo diritto del lodo societario nei casi regolati dall’articolo 838-quater; si è espunto nell’articolo 838-quater il secondo comma dell’articolo 36, a motivo dell’intervenuta abrogazione delle norme specifiche per l’arbitrato internazionale.

Il risultato complessivo è quello di una riscrittura formale delle norme, che non innova in alcun modo il portato delle disposizioni originariamente inserite negli articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5. Del resto, il principio di delega invita il legislatore delegato ad attuare un riordino organico della materia, il che necessariamente comporta l’operazione di restyling così effettuata.

Si è poi modificato, rispetto al testo dell’articolo 35, il quarto comma dell’articolo 838-ter, prevedendo che le ordinanze emesse dagli arbitri societari che, nell’esercizio di poteri cautelari, sospendono delibere assembleari, siano reclamabili dinanzi al giudice ordinario nei modi dell’articolo 818-bis: vale a dire, con lo stesso procedimento previsto per il reclamo delle misure cautelari concesse da arbitri comuni, in applicazione della normativa introdotta con la riforma.

 

Comma 56

La legge di delega, nel principio contenuto nell’articolo 1, comma 15, lett. b, della l. 26 novembre 2021, n. 206, intende risolvere un contrasto interpretativo insorto sotto la previgente disciplina, circa l’immediata esecutorietà o no, in pendenza del giudizio di opposizione, del decreto con cui il presidente della corte d’appello dichiara l’efficacia dei lodi stranieri. La scelta del legislatore è nel senso di disporre l’immediata esecutorietà.

In sede di norme delegate, si è quindi inserita l’espressa previsione dell’esecutorietà immediata nell’articolo 839, quarto comma, c.p.c.

L’attuazione della delega suppone però che si modifichi di conseguenza anche l’articolo 840 c.p.c. Infatti, nel contesto del procedimento di opposizione al riconoscimento e all’esecuzione del lodo straniero occorre menzionare non la possibilità di concedere la provvisoria esecutorietà, ma quella di eventualmente ottenere la sospensione dell’esecutività ora prevista ex lege. Di qui la modifica dell’articolo 840, secondo comma, assegnando il compito di disporre la sospensione dell’esecutività o dell’esecuzione del lodo, ove già intrapresa, al consigliere istruttore, che vi darà luogo in caso di gravi motivi. Va detto che si è consapevolmente scelto un meccanismo diverso da quello degli articoli 283 e 351 c.p.c. per ragioni di semplificazione e perché qui non ci si colloca in secondo, ma in unico grado di merito.

Sempre in attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 15, lett. b, della l. 26 novembre 2021, n. 206, si è ritenuto di modificare altresì l’articolo 840, quarto comma. La fattispecie è quella della sospensione non dell’esecuzione, ma del procedimento di opposizione, a motivo dell’impugnazione del lodo dinanzi ad un’autorità giurisdizionale estera. La richiesta di una cauzione a carico della controparte non spetta più alla sola parte che richiede l’esecuzione, ma anche all’altra parte, a seconda che l’esecutività del decreto di riconoscimento del lodo sia stata confermata o meno. Si è quindi preferita la più ampia dizione di parte interessata.

 

Comma 57

Il comma 57 reca la norma di copertura finanziaria per le disposizioni di cui al comma 29, lettera g).

 

Art. 4 – (Modifiche alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie)

 

Comma 1

Lettera a)

Nelle disp. att. c.p.c. viene introdotto un nuovo Titolo II, Capo I-bis, intitolato “Dei mediatori familiari”.

L’articolo 12 bis disp. att. c.p.c. disciplina l’elenco dei mediatori familiari, prevedendo che presso ogni tribunale sia istituito tale elenco.

Ai sensi dell’articolo 12 ter disp. att. c.p.c. l’elenco è tenuto dal presidente del tribunale ed è formato da un comitato da lui presieduto e composto dal procuratore della Repubblica e da un mediatore familiare, designato dalle associazioni professionali di mediatori familiari inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, che esercita la propria attività nel circondario del tribunale. Le funzioni di segretario del comitato sono esercitate dal cancelliere del tribunale. Si dà inoltre atto che l’elenco è permanente e che ogni quadriennio il comitato provvede alla sua revisione per eliminare coloro per i quali è venuto meno alcuno dei requisiti previsti nell'articolo 12-quater o è sorto un impedimento a esercitare l'ufficio. Infine, si fa presente che anche all’elenco dei mediatori familiari si applicano gli articoli 19, 20 e 21, relativi alla vigilanza e azione disciplinare, alle sanzioni e al procedimento disciplinare nei confronti dei consulenti tecnici, in quanto compatibili.

Ai sensi dell’articolo 12-quater disp. att. c.p.c. possono chiedere l’iscrizione nell’elenco coloro che sono iscritti da almeno cinque anni a una delle associazioni professionali di mediatori familiari, inserite nell’elenco tenuto presso il Ministero dello sviluppo economico, sono forniti di adeguata formazione e di specifica competenza nella disciplina giuridica della famiglia nonché in materia di tutela dei minori e di violenza domestica e di genere e sono di condotta morale specchiata.

Sulle domande di iscrizione decide il comitato previsto dall’articolo 12-ter. Contro il provvedimento del comitato è ammesso reclamo, entro quindici giorni dalla notificazione, al comitato previsto nell’articolo 5.

L’articolo 12-quinquies disp. att. c.p.c. disciplina le domande di iscrizione, prevedendo che coloro che aspirano all'iscrizione nell'elenco devono presentare domanda al presidente del tribunale, corredata dai seguenti documenti:

  1. estratto dell'atto di nascita;
  2. certificato generale del casellario giudiziario di data non anteriore a tre mesi dalla presentazione;
  3. certificato di residenza nella circoscrizione del tribunale;
  4. attestazione rilasciata dall’associazione professionale ai sensi dell’articolo 7 della legge 14 gennaio 2013, n. 4;
  5. i titoli e i documenti che l'aspirante intende allegare per dimostrare la sua formazione e specifica competenza.

Il presidente procede ai sensi dell’articolo 17, assumendo le opportune informazioni presso le competenti autorità.

L’articolo 12-sexies disp. att. c.p.c. prevede infine che per l'attività professionale del mediatore familiare, la disciplina della formazione, le regole deontologiche e le tariffe applicabili, siano demandate a un successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro dell’economia e delle finanze, nel rispetto delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 4. La finalità della disposizione è dunque quella di valorizzare l’esperienza dei mediatori familiari e delle loro associazioni riconosciute attualmente dalla legge, demandando al regolamento interministeriale più puntuali e specifiche determinazioni circa l’attività, la formazione e le correlate competenze necessarie, le regole deontologiche nonché la determinazione tramite tariffe degli onorari applicabili, in modo da assicurare buone pratiche e professionalità.

 

Comma 2

Lettera a)

I criteri di delega di cui all’articolo 1, comma 16, lettere a), b) e c), prevedono che la normativa in materia di consulenti tecnici debba essere modificata per “rivedere il percorso di iscrizione dei consulenti presso i tribunali” (lett. a), “distinguere le varie figure professionali, caratterizzate da percorsi formativi differenti anche per il tramite dell’unificazione o aggiornamento degli elenchi, favorendo la formazione di associazioni nazionali di riferimento” (lett. b), nonché per creare “un albo nazionale unico, al quale magistrati e avvocati possano accedere per ricercare le figure professionali più adeguate al singolo caso” (lett. c).

Nell’attuare tali criteri di delega, si è ritenuto di introdurre in un nuovo quarto comma all’articolo 13 disp. att. c.p.c. che demanda ad un decreto ministeriale adottato dal Ministro di giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze nonché del Ministro dello sviluppo economico, l’indicazione delle ulteriori categorie dell’albo (in aggiunta a quelle già elencate nel secondo comma dell’articolo 13) e i settori di specializzazione di ciascuna categoria.

Sul punto, si è ritenuto in via preliminare di non delegificare le categorie elencate nel terzo comma dell’articolo 13 che, insieme al successivo articolo 15, è stato oggetto di modifica ad opera dell’articolo 1, comma 34, della legge n. 206 del 2021 (che ha previsto l’inserimento di una settima categoria relativa alla neuropsichiatria infantile, psicologia dell’età evolutiva e psicologia giuridica o forense).

A garanzia, quindi, della stabilità delle disposizioni recentemente entrate in vigore, si è preferito demandare ad una norma di rango secondario la possibilità di ampliare le categorie di ciascun albo dei consulenti tecnici e di distinguere, all’interno di ciascuna categoria, le relative specializzazioni. Si tratta di un intervento che, introducendo una maggiore specializzazione tra i consulenti tecnici, potrà anche favorire forme di associazionismo a livello nazionale, in conformità a quanto previsto dalla legge delega.

Il suddetto decreto ministeriale dovrà tenere conto dell’attività già svolta, nella stessa materia, dalla Direzione Generale dei sistemi informativi automatizzati dal Ministero della giustizia.

 

Lettera b)

Le lettere a), b) e f) del comma 16 dell’articolo unico hanno ad oggetto, rispettivamente, la revisione del percorso di iscrizione all’albo dei consulenti tecnici, la distinzione dei percorsi professionali e formativi dei consulenti tecnici e la sospensione volontaria dall’albo per ragioni di salute, gravidanza o altre situazioni contingenti. Tali lettere sono state attuate attraverso la modifica dell’articolo 15 disp. att. c.p.c.

Più in particolare, al primo comma è stato previsto che l’iscrizione all’albo sia subordinata anche al rispetto dei requisiti previsti dal decreto ministeriale di cui all’articolo 13, quarto comma.

Inoltre, al sesto e al settimo comma, di nuova introduzione, si è ritenuto di demandare al predetto decreto ministeriale la disciplina relativa:

  • ai requisiti per l’iscrizione;
  • gli obblighi di formazione continua e ad eventuali altri obblighi da assolvere per il mantenimento dell’iscrizione, nonché alle modalità per la verifica del loro assolvimento;
  • ai casi di sospensione volontaria dall’albo, a tutela anche della salute, della gravidanza e di altre situazioni contingenti che possono verificarsi nel corso dell’anno lavorativo.

Si precisa che i requisiti per l’iscrizione, gli obblighi di formazione continua e gli altri obblighi da assolvere per il mantenimento dell’iscrizione, di cui alle lettere (i) e (ii), dovranno essere differenziati per ciascuna categoria dell’albo.

Inoltre, per ragioni di coordinamento, è stata modificata la rubrica dell’articolo in esame, in considerazione dei nuovi requisiti da rispettare per la permanenza nell’albo.

Non si è ritenuto di dare specifica attuazione:

  • alla parte del criterio di cui alla lettera a) del comma 16, che richiede di favorire “l’accesso alla professione anche ai più giovani”, per consentire alla normativa secondaria di prevedere criteri più analitici e organici al riguardo;
  • alla parte del criterio di cui alla lettera d) del comma 16, che prevede la soppressione degli “obblighi di cancellazione da un distretto all’altro”, considerato che si è preferito garantire una maggiore mobilità dei consulenti tecnici operando sul piano processuale anziché sull’organizzazione degli albi, ciascuno dei quali resta, pertanto, incardinato presso il relativo tribunale.

 

Lettera c)

Si è ritenuto di introdurre per esigenze di coordinamento, un nuovo punto 5-bis nel secondo comma dell’articolo 16 disp. att. c.p.c., per consentire al decreto ministeriale, di cui all’articolo 13, quarto comma, di prevedere la presentazione di ulteriori documenti a corredo della domanda di iscrizione all’albo, in considerazione dei nuovi requisiti introdotti nel precedente articolo 15.

Infine, alla luce delle forme di pubblicità introdotte agli articoli 23, secondo comma, e 24-bis, si è ritenuto di precisare che la domanda contiene altresì il consenso dell'interessato al trattamento dei dati comunicati al momento della presentazione dell'istanza di iscrizione, prestato in conformità alla normativa dettata in materia di protezione dei dati personali, anche ai fini della pubblicazione di cui ai predetti articoli.

 

Lettera d)

L’articolo 18 disp. att. c.p.c. è stato modificato in considerazione dell’esigenza di coordinare la revisione dell’albo con i nuovi requisiti di permanenza, onde rendere questi ultimi più effettivi e, al contempo, garantire ai soggetti cancellati dall’albo un rimedio contro il provvedimento di cancellazione.

Al primo comma si è, quindi, previsto che la revisione dell’albo sia effettuata dal comitato competente non più ogni quattro anni, ma ogni due anni.

Si è ritenuto, poi, di introdurre, in un nuovo secondo comma, la possibilità di proporre reclamo avverso il provvedimento di cancellazione dall’albo, da presentare al comitato previsto dall’articolo 5 disp. att. c.p.c. entro quindici giorni dalla notificazione dello stesso. Tale rimedio ricalca quello previsto dall’articolo 15, quinto comma, per opporsi ai provvedimenti sulle domande di iscrizione.

 

Lettera e)

Le modifiche all’articolo 22 disp. att. c.p.c. sono volte a recepire i criteri di cui ai commi 16, lettera d), e 17, lettera i), dell’articolo unico, in materia di mobilità dei consulenti tecnici e di conferimento dell’incarico al consulente tecnico da parte del giudice delle sezioni specializzate con competenza distrettuale.

Al primo comma, si è quindi introdotto un ultimo periodo che prevede che i giudici presso le sezioni specializzate dei tribunali con competenza distrettuale possano conferire l’incarico ai consulenti iscritti negli albi dei tribunali del distretto. Viene così ampliato il novero degli albi dei consulenti a cui tali giudici conferiscono, di regola, l’incarico, per rispecchiare la competenza distrettuale di specifiche sezioni specializzate.

Il secondo comma è stato modificato per alleggerire – ma non eliminare del tutto – gli incombenti processuali che il giudice deve rispettare nel caso in cui decida di conferire l’incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo. Invero, si è voluta mantenere una preferenza per l’affidamento dell’incarico ai consulenti iscritti nell’albo del tribunale a cui appartiene il giudice, anche per ragioni di spesa ed efficienza dell’amministrazione della giustizia, pur attuando il principio di una maggiore mobilità dei consulenti tecnici. Nello specifico, quindi, nel caso di conferimento di un incarico a un consulente iscritto in albo di altro tribunale o a persona non iscritta in alcun albo, il giudice non è più tenuto a sentire il presidente, ma deve soltanto comunicare a quest’ultimo il provvedimento motivato di conferimento dell’incarico.

Analoghe modifiche sono introdotte al terzo comma per il conferimento dell’incarico in grado di appello.

 

Lettera f)

La lettera g) del comma 16 dell’articolo unico prevede l’istituzione, presso le corti d’appello, di una commissione di verifica deputata al controllo della regolarità delle nomine. Si è ritenuto di non dare attuazione a tale criterio di delega, considerati i poteri di vigilanza già affidati al presidente del tribunale e al presidente della corte di appello dall’articolo 23 disp. att. c.p.c.

Coerentemente con la finalità di garantire la regolarità delle nomine, si è invece preferito prevedere all’articolo 23, secondo comma, che il potere di vigilanza dei capi degli uffici venga attuato attraverso l’annotazione, degli incarichi affidati e dei compensi liquidati dal giudice agli iscritti nell’albo, nei sistemi informatici regolamentati secondo le regole tecniche per l'adozione nel processo civile delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, e che gli incarichi e i compensi siano pubblicati sul sito dell’ufficio giudiziario.

 

Lettera g)

Si è data attuazione al criterio di cui alla lettera c) del comma 16 mediante l’istituzione di un elenco nazionale degli iscritti agli albi dei consulenti tecnici. Trattasi di un elenco con funzioni meramente ricognitive, che dovrebbe quindi riportare, seguendo la struttura degli albi presso ciascun tribunale, l’indicazione completa dei consulenti tecnici presenti sul territorio nazionale, suddivisi in categorie ed eventuali specializzazioni.

Sul punto, si è preferito non fare riferimento, a differenza della legge di delega, ad un albo nazionale, ritenendo che un elenco potesse rispondere in maniera più semplice, ma altrettanto efficace, all’esigenza di rendere pubblicamente e immediatamente consultabili, da giudici e avvocati, i nominativi e le competenze dei consulenti tecnici a livello nazionale.

Si è quindi introdotto un nuovo articolo 24 bis disp. att. c.p.c., a chiusura delle disposizioni in materia di consulenti tecnici nei procedimenti ordinari, con cui è stato previsto, al primo comma, che il predetto elenco sia istituito presso il Ministero della giustizia; che sia suddiviso per categorie e che contenga l’indicazione dei settori di specializzazione di ciascuna categoria; che nello stesso confluiscano le annotazioni dei provvedimenti di nomina, tramite i sistemi informatici di cui all’articolo 23, secondo comma.

Al secondo comma, si è previsto che tale elenco sia tenuto con modalità informatiche e che sia accessibile al pubblico attraverso il portale dei servizi telematici del Ministero della giustizia.

 

Comma 3

Lettera a)

La modifica dell’articolo 36 disp. att. c.p.c. è finalizzata ad adeguare la disposizione anche alla formazione del fascicolo telematico, attraverso l’accorpamento del terzo e quarto comma e l’eliminazione del riferimento agli elementi cartacei del fascicolo (copertina e facciata interna) e del numero progressivo da attribuirsi agli atti, non applicabile al fascicolo telematico. Viene inoltre aggiunto, in fine, un nuovo quarto comma, contenente una disposizione analoga a quella dettata dal comma 3 dell’articolo 9 del D.M. 21 febbraio 2011, n. 44 (recante “Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 , e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24”). E’ infatti apparso opportuno ribadire anche in una norma di rango primario la disposizione secondo la quale la tenuta e conservazione del fascicolo informatico equivale alla tenuta e conservazione del fascicolo d'ufficio su supporto cartaceo, fermi restando gli obblighi di conservazione dei documenti originali unici su supporto cartaceo, previsti dal codice dell'amministrazione digitale e dalla disciplina processuale vigente.

 

Lettera b)

La modifica dell’articolo 121 del c.p.c. ha comportato un ripensamento dell’articolo 46 disp. att. c.p.c.: detto articolo viene “modernizzato” e arricchito con nuove disposizioni che recepiscono e attuano i canoni della chiarezza e della sinteticità, introducendo criteri e limiti agli scritti difensivi da individuarsi con decreto adottato dal Ministro della giustizia, sentito il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense da aggiornarsi con cadenza almeno biennale seguendo analogo iter consultivo. È prevista una certa flessibilità che tenga conto del valore e della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti. In linea con quanto previsto dalla legge delega nell’articolo 1, comma 17, lettera e) è stato espressamente previsto che la violazione delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell’atto non comporta invalidità, ma può essere valutata dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo.

Nell’ultimo comma dell’articolo 46 si chiarisce che anche il giudice, nella redazione dei propri provvedimenti, è tenuto a rispettare i criteri contenuti nei commi precedenti.

La disposizione ha subito alcune modifiche redazionali successivamente al passaggio parlamentare in quanto, per mero errore materiale, era stata prevista l’introduzione di due nuovi commi con parziale riproduzione delle norme già contenute nei commi esistenti del medesimo articolo 46. È stato quindi necessario operare il raccordo fra commi esistenti e quelli di nuovo conio, al fine di mantenerne tutto il contenuto precettivo preesistente, senza duplicazione di precetti, aggiungendo successivamente le disposizioni nuove.

 

Comma 4

Lettera a)

All’articolo 81 bis disp. att. c.p.c. sono state apportate due modifiche. La prima consiste nella soppressione del primo periodo del primo comma, che impone al giudice la fissazione del calendario del processo, in quanto la relativa previsione è stata spostata nell’articolo 183 del codice, in modo da conferirle maggiore rilievo. La seconda costituisce specifica attuazione del principio di delega previsto dal comma 23, lettera f) dell’articolo 1 della legge delega, a mente del quale nel rito unificato in materia di persone, minori e famiglia la prima udienza deve essere fissata entro novanta giorni dal deposito del ricorso, e impone di prevedere «che il capo dell'ufficio giudiziario vigili sul rispetto di tale termine e ne tenga conto nella formulazione dei rapporti per la valutazione di professionalità».

 

Lettera b)

La modifica dell’articolo 87 disp. att. c.p.c., rubricato “Produzione dei documenti”, è stata resa necessaria a seguito dell’introduzione dell’obbligo di deposito telematico di tutti gli atti delle parti costituite a mezzo difensore, di cui si è fatta menzione nella norma attraverso il rinvio all’articolo 196-quater, che sostituisce il precedente riferimento al deposito “in cancelleria”. Il deposito con modalità telematiche rende impossibile la produzione dei documenti nel corso dell’udienza, cosicché è stato previsto di eliminare tale possibilità, sostituendola con la previsione secondo cui se nel corso dell’udienza emerge la necessità di produrre documenti, il giudice, su istanza di parte, può assegnare termine per il deposito degli stessi.

 

Comma 5

Per ragioni di coordinamento si è provveduto all’aggiornamento dei richiami normativi contenuti nel vecchio testo dell’articolo 123 bis disp. att. c.p.c.

 

Comma 6

Lettera a)

Nell’ambito delle disposizioni di attuazione sono stati abrogati gli articoli 134 (deposito del ricorso e del controricorso a mezzo della posta), 134-bis (residenza o sede fisica delle parti), 135 (invio di copie in formato analogico alle parti) e 137 disp. att. c.p.c. (deposito di copie in formato analogiche del ricorso e del controricorso), poiché contengono disposizioni tutte incompatibili con la disciplina sul processo civile telematico in Cassazione, che non richiede la spedizione degli atti a mezzo del servizio postale, né la domiciliazione fisica, né tanto meno il formato analogico degli atti e documenti.

 

Lettera b)

In stretta correlazione alle modifiche apportate agli articoli 47, 48 e 369 del codice di procedura civile, d semplificazione della trasmissione dei fascicoli alla Corte di cassazione quando è proposto regolamento di competenza, si è qui provveduto ad introdurre l’articolo 137 bis disp. att. c.p.c., onerando la cancelleria della corte di cassazione di acquisire, entro sessanta giorni dal deposito del ricorso – id est venti giorni dal deposito del controricorso –, direttamente il fascicolo d’ufficio tenuto dalla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o che ha sollevato il regolamento di competenza d’ufficio. Analogo onere di acquisizione del fascicolo d’ufficio a cura della cancelleria della Corte di cassazione lo si è previsto anche in riferimento al regolamento di giurisdizione (art. 41), nei casi di impugnativa delle decisioni dei giudici speciali o di conflitti di giurisdizione (art. 362) e nel caso di rinvio pregiudiziale (art. 363-bis).

Con l’art. 137 ter disp. att. c.p.c. di nuova introduzione è stata codificata la previsione della pubblicità, sul sito istituzionale della Corte, di una serie di atti del giudice di merito e del pubblico ministero. Ferma restando, infatti, la previsione della pubblicazione di tutti i provvedimenti (sentenze, ordinanze e decreti) della Cassazione sul suo sito web istituzionale, come già previsto dal comma 2 dell’art. 51 del d.lgs. n. 196 del 2003, si è stabilito che – con il supporto tecnico del Centro elettronico di documentazione della S.C. – i provvedimenti dei giudici di merito che dispongono il rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis, nonché tutti i decreti del primo presidente che dichiarano inammissibile il rinvio oppure rimettono gli atti alle sezioni unite o a quella semplice, siano pubblicati nel sito istituzionale della Corte (https://www.cortedicassazione.it), per assicurare la massima conoscenza a tutti gli operatori del diritto delle questioni pendenti. Inoltre, con una innovazione che richiama la disciplina prevista in sede di corti sovranazionali (si pensi alla pubblicità delle conclusioni scritte dell’avvocato generale innanzi alla Corte di Giustizia UE), si è previsto che siano parimenti pubblicati sul sito web della Corte, non solo i ricorsi nell’interesse della legge proposti ex art. 363 dal Procuratore Generale, ma anche tutte le sue conclusioni per i singoli ricorsi, naturalmente nei casi in cui siano state formulate per iscritto, attraverso le memorie ex art. 378 e quelle previste dall’art. 380-bis.1.

 

Lettera c)

L’adeguamento delle disposizioni sul giudizio di legittimità al deposito telematico obbligatorio degli atti e dei documenti di parte ha comportato l’eliminazione di ogni riferimento al deposito «in cancelleria», quale precisazione modale coerente con il deposito analogico degli atti e documenti di parte, ma non rispetto al deposito telematico, per cui l’atto o documento digitale (nativo o meno) va inserito, per l’appunto, nel fascicolo informatico e si rende visibile alla controparte processuale costituita in giudizio o a chi intenda costituirsi o intervenire nel giudizio stesso (art. 27 d.m. n. 44/2011). Tale soppressione ha interessato, tra l’altro, l’articolo 139 disp. att. (istanza di rimessione alle sezioni unite).

 

Lettera d)

Nell’ambito delle disposizioni di attuazione è stato abrogato l’articolo 140 disp. att. c.p.c. (deposito di copie in formato analogico delle memorie), poiché contiene disposizioni tutte incompatibili con la disciplina sul processo civile telematico in Cassazione, che non richiede la domiciliazione fisica, né il formato analogico degli atti e documenti.

 

Lettera e)

Si è ritenuto opportuno prevedere, con l’introduzione dell’articolo 140-bis disp. att. c.p.c., che la camera di consiglio si svolge in presenza, consentendo però al presidente del collegio – in considerazione delle specificità che caratterizzano la Corte di cassazione – di disporne lo svolgimento mediante collegamento audiovisivo a distanza, per esigenze di tipo organizzativo (si pensi, ad esempio, a casi di riconvocazione della camera di consiglio quando il collegio è composto da consiglieri che potrebbero essere impossibilitati a recarsi a Roma).

 

Lettera f)

All’articolo 143 disp. att. c.p.c., in materia di enunciazione del principio di diritto, è stato espunto il riferimento alla «sentenza di accoglimento», dal momento che il provvedimento decisorio della Corte può essere rappresentato anche dall’ordinanza.

 

Lettera g)

Si è ritenuto opportuno conservare la previsione di cui al vigente articolo 144-quater disp. att. c.p.c. – sia pur spostandola, per ragioni di coerenza sistematica, in un nuovo articolo 144-bis.1 disp. att. c.p.c. in quanto la disposizione era stata inserita nel capo dedicato alle disposizioni relative alle controversie di lavoro – dal momento che nonostante l’obbligo di deposito telematico degli atti di parte e l’inserimento nel fascicolo informatico di copia dei provvedimenti depositati in forma cartacea, non è possibile escludere che le nuove disposizioni trovino applicazione anche in relazione a ricorsi per cassazione proposti nell’ambito di procedimenti in cui parte degli atti processuali erano ancora in formato analogico e in cui quindi si rende necessaria l’acquisizione del fascicolo d’ufficio anche in tale formato.

 

Comma 7

Lettera a)

Il vigente articolo 144-quater disp. att. c.p.c. è stato abrogato in conseguenza dello spostamento della disposizione, per ragioni di coerenza sistematica, in un nuovo articolo 144 bis.1.

 

Lettera b)

Infine, sotto il profilo organizzativo, la disposizione di cui all’articolo 4, comma 7, lettera b, introduce nel corpo delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie il nuovo articolo 144-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato “Controversie in materia di licenziamento”, a tenore del quale il presidente di sezione ed il dirigente dell’ufficio giudiziario favoriscono e verificano la trattazione prioritaria dei procedimenti di cui al Capo I bis del titolo IV del libro II del c.p.c., prevedendosi altresì che in ciascun ufficio giudiziario siano effettuate estrazioni statistiche trimestrali che consentano di valutare la durata media dei processi di cui all’art. 441-bis del codice di procedura civile, in confronto con la durata degli altri processi in materia di lavoro.

 

Comma 8

La norma di cui al nuovo articolo 152-ter disp. att. c.p.c. (Procedimenti in camera di consiglio) riproduce il contenuto dell’art. 41 disp. att. c.c., che è stato abrogato. 

In attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 22, lett. a) della legge delega, e per evidenti esigenze di carattere sistematico, invero, nella riorganizzazione delle disposizioni relative alle persone, ai minorenni e alle famiglie si è ritenuto opportuno trasferire la norma, deputata a disciplinare il profilo della competenza per i provvedimenti previsti nell’articolo 145 del codice civile e le modalità di svolgimento del relativo procedimento, tra le disposizioni di attuazione del codice di rito dedicate al procedimento in materia di stato delle persone, minorenni e famiglie. Sempre per esigenze di coordinamento sistematico al richiamo all’art. 145 c.c. si è affiancato l’ulteriore richiamo al procedimento di cui all’art. 316 c.c., che merita di essere analogamente disciplinato. 

Per ragioni di coerenza sistematica si è ritenuto opportuno trasporre all’articolo 152-quater disp. att. c.p.c. (Ascolto del minore) il contenuto dell’abrogato art. 38-bis disp. att. c.c.

In relazione al principio contenuto nella delega che prevede che l’ascolto del minore debba essere audioregistrato, la norma di cui all’articolo 152-quinquies disp. att. c.p.c. (Registrazione audiovisiva dell’ascolto) affida a un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia la predisposizione delle regole tecniche necessarie per la registrazione audiovisiva, la sua conservazione e il suo inserimento nel fascicolo telematico.

La norma di cui all’articolo 152-sexies disp. att. c.p.c. (Indagini del consulente) contiene alcune disposizioni specifiche relative alla consulenza nel procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie, precisando che fermo quanto previsto dall’art. 90, il consulente tecnico nominato ai sensi degli articoli 473-bis.25 c.p.c. e 473-bis.44 c.p.c. del codice fissa il calendario delle operazioni peritali e lo comunica ai difensori e ai consulenti tecnici di parte se nominati. 

Il consulente può chiedere al giudice la proroga del termine per il deposito della relazione, con istanza motivata, su concorde richiesta delle parti o in caso di particolare complessità delle indagini. 

Unitamente alla relazione di cui all’articolo 195 del codice, il consulente deposita la documentazione utilizzata e i supporti contenenti le registrazioni audiovisive delle operazioni relative al minore.

La norma di cui all’articolo 152-septies disp. att. c.p.c. (Scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio) contiene alcune disposizioni specifiche relative al procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, che recepiscono i contenuti dell’art. 4, comma 3 e dell’art. 10, comma 1, l. divorzio, ora abrogati, sulla disciplina della comunicazione all’ufficiale dello stato civile della notizia della presentazione della domanda e della trasmissione della sentenza. 

In relazione alla previsione contenuta nell’articolo 473-bis.54 c.p.c. la norma di cui all’articolo 152-octies disp. att. c.p.c. (Esame da remoto dell’interdicendo o inabilitando) demanda a un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia l’individuazione e la regolamentazione delle modalità per l’eventuale collegamento da remoto dell’interdicendo, inabilitando o beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno ai fini del suo esame.

 

Comma 9

Lettere a) e b)

Si tratta di modifica apportata agli articoli 153 e 154 disp. att. c.p.c. a seguito dell’abrogazione della formula esecutiva.

 

Lettere c), d) ed e)

A causa delle modifiche apportate alla numerazione dei commi dell’art. 492 bis c.p.c., si sono inoltre apportate correzioni formali agli artt. 155-bis e 155-ter disp. att. c.p.c.

In forza del comma 22 lettera a) della legge delega, è stata altresì modificata la disciplina “transitoria” di questo istituto: vale a dire, l’ipotesi – allo stato unica praticabile su tutto il territorio nazionale – prevista dall’art. 155 quinquies disp. att. c.p.c., per la quale le ricerche telematiche ex art. 492 bis attualmente si effettuano attraverso la richiesta da parte del creditore interessato, autorizzato dal presidente del tribunale, ai gestori delle banche dati.

In tal caso, la disciplina delineata dal legislatore è differente da quella dell’art. 492 bis c.p.c., ma il problema relativo alla scadenza del termine ex art. 481, 1° comma, prima che possa concludersi la fase delle ricerche si pone ugualmente. Per questo motivo, si interviene anche sulla disciplina della suddetta disposizione di attuazione, seguendo la medesima ratio degli interventi operati sull’art. 492 bis c.p.c., ma delineando una disciplina ad hoc.

Anche in tal caso si è distinto a seconda che l’istanza sia depositata dopo la notifica del precetto, ovvero prima della medesima.

Nella prima ipotesi, in forza della previsione della legge delega ex art. 1 comma 13 lettera b), come dispone l’art. 492-bis riformato, l’istanza deve essere presentata all’ufficiale giudiziario addetto al tribunale del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede, il quale, verificata la regolarità dell’istanza, attesta l’impossibilità di effettuare le ricerche per il mancato funzionamento dell’accesso diretto alle banche dati. Dopo tale verifica, il creditore, munito della attestazione, può rivolgersi ai gestori delle banche dati per far svolgere le ricerche, senza necessità di autorizzazione da parte del presidente del tribunale.

Quando, invece, vi è pericolo nel ritardo e l’istanza precede la notificazione del precetto, per i motivi già illustrati a proposito dell’art. 492-bis, si è mantenuta la necessità di autorizzazione in capo al presidente del tribunale.

Poiché, come si è già sottolineato, anche in relazione alla disciplina qui in esame si pongono i medesimi problemi già illustrati in relazione all’art. 492-bis (nella formulazione ora in vigore) quanto al rispetto del termine previsto dall’art. 481, 1° comma, si è conseguentemente modificato l’art. 155-quinquies disp. att. c.p.c. anche sotto tale profilo, al fine della piena efficienza dell’istituto. Si è pertanto previsto che, laddove non occorra l’autorizzazione del presidente del tribunale, il termine di cui all’art. 481, 1° comma, rimanga sospeso per novanta giorni, decorrenti dal rilascio dell’attestazione dell’ufficiale giudiziario. Uguale sospensione di novanta giorni del termine ex art. 481, 1° comma, decorrenti dal provvedimento di autorizzazione, è prevista quando il precetto è notificato successivamente al provvedimento (di autorizzazione) del presidente del tribunale. Si prevede, inoltre, nel nuovo 4° comma della disposizione, che si applichino anche con riferimento alla disciplina in oggetto l’ultimo comma dell’art. 492 e l’ultimo comma dell’art. 492-bis c.p.c. (entrambi di nuova introduzione) per quanto compatibili.

 

Comma 10

Lettera a)

Ragioni di coerenza sistematica rispetto all’intervento di cui all’art. 591-ter c.p.c. in tema di espropriazione immobiliare, hanno imposto di novellare gli istituti concernenti l’espropriazione mobiliare: il reclamo avverso gli atti del professionista delegato o del commissionario (art. 534-ter c.p.c.) ed il reclamo contro l’operato dell’ufficiale incaricato della vendita (art. 168 disp. att. c.p.c.).

 

Lettera b)

L’articolo 169-quinquies disp. att. c.p.c., rubricato “Prospetto riepilogativo delle stime e delle vendite” è stato modificato attraverso l’aggiunta di un ultimo periodo, contenente la disposizione, attualmente collocata nel comma 9-septies del decreto-legge n. 179 del 2012, secondo la quale il prospetto riepilogativo contiene i dati identificativi dello stimatore e dell'ufficiale giudiziario che ha attribuito il valore ai beni pignorati a norma dell'articolo 518 del codice.

 

Comma 11

Lettera a)

Le modifiche all’articolo 173-bis disp. att. c.p.c. sono di adeguamento, per espungere il riferimento a mezzi di tecnologia ormai desueti, nonché per attuare il criterio di delega che prevede che gli atti del processo esecutivo debbano essere redatti secondo schemi standardizzati.

 

Lettera b)

Gli interventi hanno riguardato anche il subprocedimento di vendita; le plurime modifiche apportate riaffermano e consolidano il ruolo centrale svolto dal professionista delegato in tale segmento della espropriazione forzata.

Concerne anche (ma non solo) il professionista delegato la previsione della lettera g) del comma 12, ovvero l’introduzione di schemi standardizzati per la redazione degli avvisi di vendita (nonché della relazione di stima dell’esperto stimatore), tradotta nell’articolato attuativo nella interpolazione dell’art. 570 c.p.c. e 173-quater disp. att. c.p.c. (nonché per la relazione di stima dell’esperto, dell’art. 173-bis disp. att. c.p.c.). La funzione della modifica è rivolta tanto al giudice dell’esecuzione, onde facilitare la necessaria interlocuzione con i propri ausiliari, tanto alla platea dei potenziali interessati all’acquisto dell’immobile staggito, dacché l’uniformità dei modelli adoperati senza dubbio agevola la lettura e la comprensione di due atti fondamentali per determinarsi all’offerta.

 

Lettera c)

Si è modificato l’articolo 179-ter disp. att. c.p.c. recante la disciplina dell'elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita, come sostituito dall'art. 5 bis, primo comma, della legge 30 giugno 2016, n. 119, di conversione del decreto-legge 3 maggio 2016, n. 56. In particolare la disposizione vigente, rubricata “Elenco dei professionisti che provvedono alle operazioni di vendita”, demanda ad un decreto non regolamentare del Ministro della giustizia di stabilire: a) gli obblighi di prima formazione per ottenere l’iscrizione nell’elenco; b) gli obblighi di formazione periodica da assolvere ai fini della conferma dell’iscrizione; c) la composizione e le modalità di funzionamento della commissione preposta alla tenuta dell’elenco, all’esercizio della vigilanza sugli iscritti, alla valutazione delle domande di iscrizione e all’adozione dei provvedimenti di cancellazione dall’elenco.

Tale decreto, peraltro, non è mai stato emanato, essenzialmente in ragione dell’incompletezza della disciplina di rango primario, che non attribuiva copertura normativa ad alcuni aspetti essenziali della materia che non potevano dunque essere rimessi neppure alla regolazione secondaria, peraltro espressamente esclusa dall’articolo 179 ter che richiama un decreto non regolamentare (si pensi, senza pretesa di completezza alle modalità di esercizio del potere di vigilanza, ai presupposti per disporre la cancellazione dall’elenco, ai requisiti del primo popolamento, tutti elementi che non paiono ricompresi nel perimetro disciplinatorio dell’articolo 179 ter vigente e senza i quali concretamente la nuova disciplina non può operare).

Pertanto, dando attuazione al criterio di delega di cui all’articolo 1, commi 12 e 16, si è colta l’occasione per disciplinare nel dettaglio la materia direttamente con norma primaria stabilendo che le modalità di tenuta e formazione dell’elenco, attribuita ad un comitato presieduto dal Presidente del tribunale o da un suo delegato e composto da un giudice addetto alle esecuzioni immobiliari e da un professionista iscritto nell’albo professionale, designato dal consiglio dell’ordine, a cui appartiene il richiedente l’iscrizione nell’elenco. Sono state inoltre disciplinati nel dettaglio i requisiti necessari per la proposizione della prima domanda di iscrizione nell’elenco (comi 3, 4 e 5 dell’articolo novellato) e per la conferma della medesima (commi 6 e 7).

Il comma 10, infine, attribuisce al comitato il potere di disporre la sospensione fino a un anno e, in caso di gravi ovvero reiterati inadempimenti, la cancellazione dall’elenco dei professionisti ai quali in una o più procedure esecutive sia stata revocata la delega in conseguenza del mancato rispetto dei termini per le attività delegate, delle direttive stabilite dal giudice dell’esecuzione o degli obblighi derivanti dagli incarichi ricevuti. Si stabilisce altresì che i professionisti cancellati dall’elenco a seguito di revoca della delega non possono essere reinseriti nel triennio in corso e nel triennio successivo.

 

Lettera d)

Viene altresì novellato l’articolo 179-quater disp. att. c.p.c. prevedendo che a nessuno dei professionisti iscritti possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10 per cento di quelli affidati dall’ufficio e dal singolo giudice, in modo tale da garantire un’ampia rotazione dei professionisti iscritti all’elenco, evitando la concentrazione degli incarichi in capo a pochi professionisti.

 

Comma 12

Le disposizioni in materia di deposito con modalità telematiche attuano i seguenti criteri e criteri direttivi, dettati dal comma 17, lettere a), b) e c) dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021:

“a) prevedere che, nei procedimenti davanti al giudice di pace, al tribunale, alla corte d'appello e alla Corte di cassazione, il deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore abbia luogo esclusivamente con modalità telematiche, o anche mediante altri mezzi tecnologici, e che spetti al capo dell'ufficio autorizzare il deposito con modalità non telematiche unicamente quando i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti e sussista una situazione d'urgenza, assicurando che agli interessati sia data conoscenza adeguata e tempestiva anche dell'avvenuta riattivazione del sistema;

  1. b) prevedere che, in tutti i procedimenti civili, il deposito telematico di atti e documenti di parte possa avvenire anche con soluzioni tecnologiche diverse dall'utilizzo della posta elettronica certificata nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici;
  2. c) prevedere che, nel caso di utilizzo di soluzioni tecnologiche diverse dalla posta elettronica certificata, in tutti i procedimenti civili, il deposito si abbia per avvenuto nel momento in cui è generato il messaggio di conferma del completamento della trasmissione”.

Tali criteri di delega sono completati da quello previsto dalla lettera h) del medesimo comma 17, che impone di “introdurre, in funzione dell'attuazione dei principi e criteri direttivi di cui alla presente legge, misure di riordino e implementazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico”.

Inoltre, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera g) dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, che dispone di “rivedere la disciplina delle attestazioni di conformità di cui agli articoli 16-bis, comma 9-bis, 16-decies e 16-undecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, al fine di consentire tali attestazioni per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti con le stesse modalità”, sono state riviste le disposizioni relative all’attestazione di conformità già vigenti, contenute negli articoli indicati nella legge delega, completandole con un’ulteriore disposizione (il nuovo articolo 196-decies delle disposizioni di attuazione), finalizzata a consentire le attestazioni di conformità previste nelle disposizioni vigenti anche per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti con le stesse modalità, come previsto dalla lettera g) del comma 17 dell’articolo 1 della legge delega.

La delega in tali materie è stata attuata in parte attraverso la razionalizzazione e la modifica delle disposizioni vigenti, sulla base del criterio dettato dal comma 22, lettera a), della legge n. 206 del 2021 (“curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega, comprese le disposizioni del testo unico delle disposizioni di legge sulle acque e impianti elettrici, di cui al regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, in modo da renderle ad essi conformi, operando le necessarie abrogazioni e adottando le opportune disposizioni transitorie”) ed in parte attraverso l’introduzione di nuove norme, al fine di adeguare la disciplina nel rispetto dei criteri di delega innanzi citati.

Da un punto di vista sistematico, la delega relativa all’obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e alle modalità di tale deposito (comma 17, lettere a), b) e c) della legge n. 206 del 2021) è stata attuata, in primo luogo, attraverso l’abrogazione dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, attualmente contenente le principali disposizioni in materia di processo telematico, atteso che parte di tali disposizioni sono superate in virtù della generale previsione dell’obbligatorietà del deposito dei documenti e di tutti gli atti delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore. Le altre disposizioni contenute nell’articolo 16-bis, modificate sulla base dei criteri di delega, sono state principalmente raggruppate nel Titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, di nuova introduzione, intitolato “Disposizioni relative alla giustizia digitale”, interamente dedicato alle norme in materia di giustizia digitale. L’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 contiene anche, ai commi 9-quater, 9-quinquies e 9-sexies, disposizioni estranee alla materia del processo telematico, con le quale è introdotto l’obbligo, per alcuni ausiliari del giudice nelle materie esecutiva e concorsuale, di depositare rapporti riepilogativi. Tali commi sono stati abrogati e le relative disposizioni sono state collocate nei pertinenti articoli del codice di procedura civile (articolo 591-bis), delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile (169-quinquies) e della legge fallimentare (articoli 33, 119, 182 e 186-bis), nel rispetto del criterio di delega, di cui al comma 22, lettera a), della legge n. 206 del 2021, che impone il coordinamento con le disposizioni vigenti.

L’attuazione del criterio di delega in materia di attestazioni di conformità è anch’essa avvenuta attraverso l’abrogazione degli articoli 16-decies e 16-undecies del decreto-legge n. 179 del 2012 e la collocazione della disciplina negli stessi contenuta nel nuovo Titolo V ter delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, dedicato alla giustizia digitale, nonché l’introduzione di una nuova norma in materia di attestazione di conformità degli atti trasmessi all’ufficiale giudiziario (articolo 196-decies).

Sono stati inoltre modificati ulteriori articoli delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile (artt. 36 e 87), al fine di adeguarli alla nuova disciplina in materia di deposito telematico degli atti.

Come innanzi anticipato, si è scelto di collocare le disposizioni in materia di deposito telematico e attestazioni di conformità nelle disposizioni di attuazione, attraverso l’inserimento di un nuovo Titolo V-ter disp. att. c.p.c., intitolato “Disposizioni relative alla giustizia digitale”. Le disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile sono state ritenute la sede più appropriata per contenere il nuovo corpo normativo in materia di giustizia digitale, in ragione della funzione accessoria rispetto alle norme codicistiche, dalle stesse rivestita. Al contempo, l’introduzione di tale nuovo titolo ha lo scopo di raccogliere, in un unico contesto normativo, tutte le disposizioni in materia di giustizia digitale, tanto allo scopo di armonizzare e rendere coerente la materia del processo digitale, quanto al fine di consentirne l’agevole modifica nel momento in cui si dovessero rendere necessari futuri interventi, tanto più probabili in quanto si tratta di materia in rapida evoluzione in conseguenza dell’evolversi delle tecnologie.

La creazione del nuovo Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione di codice di procedura civile è stata ritenuta preferibile rispetto alla collocazione della disciplina in materia di processo telematico nel codice di procedura civile. Con riferimento alle norme sul deposito telematico, l’inserimento delle stesse nelle disposizioni di attuazione rende infatti possibile introdurre, in un’unica disposizione (l’articolo 196-quater), una norma generale in tema di obbligatorietà del deposito telematico degli atti di parte e dei provvedimenti del giudice (quanto a questi ultimi, limitatamente a quelli previsti dal libro IV, titolo I, capo I del codice di procedura civile, i soli per i quali attualmente vige il regime dell’obbligatorietà di tale modalità di deposito), conducendo ad una disciplina più razionale e rendendo più agevole un’eventuale modifica della disposizione nel caso in cui, in futuro, si volesse estendere l’obbligo di deposito telematico dei provvedimenti del giudice. Deve infatti sottolinearsi che la delega in materia di obbligatorietà del deposito telematico è limitata agli atti e documenti delle parti che sono in giudizio a ministero di un difensore, mentre, quanto ai provvedimenti del giudice, l’unica possibilità di intervento da parte del legislatore delegato è quella consentita dalla lettera h) del comma 17 dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, in tema di riordino. Ove, quindi, si fosse optato per la modifica del codice di procedura civile, sarebbe stata necessaria l’introduzione di una disposizione, da collocarsi nel libro I (“Disposizioni generali”), titolo VI (“Degli atti processuali”), capo I (“Delle forme degli atti e dei provvedimenti”), sezione I (“Degli atti in generale”), dopo l’articolo 121 c.p.c., riferita all’obbligo di deposito telematico degli atti di parte, e di una diversa disposizione nell’ambito della disciplina del procedimento di ingiunzione, contenuta nel libro IV (“Dei procedimenti speciali”), titolo I (“Dei procedimenti sommari”), capo I (“Del procedimento di ingiunzione”), dal contenuto analogo all’attuale comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Quest’ultima soluzione è apparsa meno razionale rispetto a quella prescelta, rendendo inoltre più complessi gli interventi di modifica ove si addivenga, in futuro, alla generalizzata obbligatorietà del deposito telematico dei provvedimenti giudiziari.

La limitazione della delega ai soli documenti e atti “delle parti che sono in giudizio con il ministero di un difensore” impedisce inoltre di estendere, in sede di attuazione della delega, l’obbligatorietà del deposito telematico ai casi in cui la parte stia in giudizio personalmente.

Come già rilevato, le modifiche di maggiore incisività alle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile risiedono nella creazione di un nuovo Titolo V-ter, intitolato “Disposizioni relative alla giustizia digitale”, nell’ambito del quale le norme in materia di deposito telematico e attestazioni di conformità sono state distribuite in un Capo I, “Degli atti e dei provvedimenti”, in un Capo II, “Della conformità delle copie agli originali” e in un Capo III, “Dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza”.

Il Capo I contiene gli articoli 196-quater, 196-quinquies, 196-sexies e 196-septies.

L’articolo 196-quater disp. att. c.p.c., rubricato “Obbligatorietà del deposito telematico di atti e di provvedimenti”, dispone al primo comma: “Nei procedimenti civili davanti al tribunale, alla corte di appello, alla Corte di cassazione e al giudice di pace il deposito degli atti processuali e dei documenti, ivi compresa la nota di iscrizione a ruolo, da parte dei difensori e dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria ha luogo esclusivamente con modalità telematiche. Con le stesse modalità le parti depositano gli atti e i documenti provenienti dai soggetti da esse nominati. Il giudice può ordinare il deposito di copia cartacea di singoli atti e documenti per ragioni specifiche”. Il primo periodo costituisce attuazione del criterio direttivo dettato dall’articolo 1, comma 17, lettera a) della legge n. 206 del 2021; al fine di prevenire possibili dubbi interpretativi, si è chiarito che rientra nell’obbligo di deposito telematico anche la nota di iscrizione a ruolo. Il secondo e il terzo periodo costituiscono trasposizione di disposizioni attualmente contenute ai commi 1 e 9 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012.

Il secondo comma contiene la disposizione attualmente dettata, per il tribunale, dal comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e prevede pertanto che nel procedimento di cui al libro IV, titolo I, capo I del codice civile, escluso il giudizio di opposizione, il deposito dei provvedimenti del giudice ha luogo con modalità telematiche. L’eliminazione del riferimento ai soli procedimenti davanti al tribunale, contenuto nel comma 4 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n, 179 del 2012, costituisce indiretta trasposizione, con riferimento a tale aspetto e previa effettuazione delle necessarie modifiche (su cui si veda infra), della norma attualmente contenuta al comma 6 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, che prevede l’applicabilità, agli uffici giudiziari diversi dai tribunali, anche delle disposizioni di cui al comma 4 del decreto-legge n. 179 del 2012 a decorrere dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti con i quali il Ministro della giustizia accerta la funzionalità dei servizi di comunicazione. Pertanto, in attuazione del criterio di delega relativo al riordino e all’implementazione del processo civile telematico (comma 17, lettera h)) si è provveduto, in primo luogo, ad inserire in un solo articolo (il 196-quater delle disposizioni di attuazione) tutte le disposizioni in materia di obbligatorietà del deposito telematico; in secondo luogo, ad eliminare il riferimento ai soli procedimenti di ingiunzione davanti al tribunale, in tal modo prevedendo l’obbligo di deposito dei provvedimenti del giudice anche ai procedimenti di ingiunzione innanzi al giudice di pace. Al contempo è stata fissata, attraverso l’inserimento di una norma transitoria nel decreto legislativo, la data del 30 giugno del 2023 per l’entrata in vigore delle disposizioni dettate dall’articolo 196-quater per i procedimenti davanti al giudice di pace.

Il terzo comma dell’articolo 196-quater precisa che il deposito con modalità telematiche è effettuato nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici, come attualmente previsto dal comma 1 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012.

Con il quarto comma si prevede che il capo dell’ufficio autorizza il deposito con modalità non telematiche quando i sistemi informatici del dominio giustizia non sono funzionanti e sussiste una situazione di urgenza, dandone comunicazione attraverso il sito istituzionale dell’ufficio, nonché che con la medesima forma di pubblicità provvede a comunicare l’avvenuta riattivazione del sistema. La disposizione, che costituisce l’estensione di quella contenuta al comma 4, secondo periodo, dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, nonché adattamento al criterio di delega di quella contenuta al comma 8 del medesimo articolo, costituisce attuazione del criterio di delega di cui all’ultima parte del comma 17, lettera a), della legge n. 206 del 2021 (“spett[a] al capo dell'ufficio autorizzare il deposito con modalità non telematiche unicamente quando i sistemi informatici del dominio giustizia non siano funzionanti e sussista una situazione d'urgenza, assicurando che agli interessati sia data conoscenza adeguata e tempestiva anche dell'avvenuta riattivazione del sistema”).

In attuazione del criterio di delega di cui alla lettera h) del comma 17, che impone l’introduzione di misure di riordino e implementazione delle disposizioni in materia di processo civile telematico, è stata riportata anche in una norma di rango primario, collocata all’articolo 196-quinquies disp. att. c.p.c., la disposizione contenuta all’articolo 15 del decreto del Ministro della giustizia n. 44 del 2011, al fine di colmare la lacuna derivante dall’assenza di una legge che prevedesse il valore legale del deposito degli atti del processo da parte di magistrati e personale, al di fuori dei casi di obbligatorietà. Al di là di mere modifiche di drafting, l’unica modifica sostanziale rispetto alla norma regolamentare è costituita dall’eliminazione del riferimento all’apposizione della firma del cancelliere, in coerenza con quanto attualmente disposto dal comma 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e, successivamente all’entrata in vigore del presente schema di decreto legislativo, dal nuovo articolo 196-octies delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile.

L’articolo 196-quinquies, rubricato “Dell’atto del processo redatto in formato elettronico” prevede pertanto che se l’atto del processo è redatto in formato elettronico dal magistrato o dal personale degli uffici giudiziari e degli uffici notificazioni, esecuzioni e protesti ed è sottoscritto con firma digitale, è depositato telematicamente nel fascicolo informatico; che in caso di atto formato da organo collegiale l’originale del provvedimento è sottoscritto con firma digitale anche dal presidente; che quando l’atto è redatto dal cancelliere o dal segretario dell’ufficio giudiziario questi vi appone la propria firma digitale e ne effettua il deposito nel fascicolo informatico; che se il provvedimento del magistrato è in formato cartaceo, il cancelliere o il segretario dell’ufficio giudiziario ne estrae copia informatica secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare e provvede a depositarlo nel fascicolo informatico. Il quinto comma contiene una disposizione relativa al procedimento di correzione dell’errore materiale, disponendo che se il provvedimento di correzione di cui all’articolo 288 del codice è redatto in formato elettronico, il cancelliere forma un documento informatico contenente la copia del provvedimento corretto e del provvedimento di correzione, lo sottoscrive digitalmente e lo inserisce nel fascicolo informatico.

L’articolo 196-sexies disp. att. c.p.c., rubricato “Perfezionamento del deposito con modalità telematiche”, detta la regola generale in materia di perfezionamento del deposito (attualmente contenuta al comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012), disponendo che quest’ultimo si ha per avvenuto nel momento in cui è generata la conferma del completamento della trasmissione secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare concernente la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici ed è tempestivamente eseguito quando la conferma è generata entro la fine del giorno di scadenza. La norma precisa che si applicano le disposizioni di cui all'articolo 155, quarto e quinto comma, del codice di procedura civile e che se gli atti o i documenti da depositarsi eccedono la dimensione massima stabilita nelle specifiche tecniche del direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del ministero della giustizia, il deposito può essere eseguito mediante più trasmissioni.

La disposizione costituisce attuazione dei criteri di delega di cui al comma 17, lettere b) e c) della legge n. 206 del 2021. Più in particolare, l’attuazione di tali criteri avviene attraverso la modifica della regola generale, di rango primario, sul perfezionamento del deposito, attualmente riferita al solo deposito a mezzo posta elettronica certificata (cfr. articolo 16-bis, comma 7, del decreto-legge n. 179 del 2012: “[i]l deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia”) in modo da renderla applicabile anche a tecnologie diverse rispetto alla posta elettronica certificata ed il rinvio alla normativa, anche regolamentare, per le regole tecniche di dettaglio relative al perfezionamento del deposito telematico. Tale soluzione presenta il vantaggio di consentire al Ministero della giustizia di individuare la tecnologia utilizzabile nel momento in cui sia disponibile, e di aggiornare conseguentemente le norme tecniche con decreto ministeriale. È stato, in ogni caso, ritenuto opportuno mantenere in una norma di rango primario (il nuovo articolo 196-sexies disp. att. c.p.c.) la regola generale sul perfezionamento del deposito e sulla sua tempestività, sia in ragione dell’importanza del principio (si confronti, ad esempio, l’articolo 149 c.p.c., che disciplina il momento perfezionativo della notifica a mezzo posta), sia perché, ove il comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 venisse abrogato senza che la regola generale in ordine al momento perfezionativo del deposito fosse riportata in una norma di legge, si verrebbero verosimilmente a determinare incertezze interpretative.

In altri termini, il nuovo articolo 196-sexies disp. att. c.p.c. contiene una disposizione più generale rispetto a quella attualmente vigente, di cui al comma 7 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, e riprende la formulazione della legge delega, dettando una norma di principio la cui precisa declinazione tecnica viene lasciata alle disposizioni di natura regolamentare (attualmente contenute nel D.M. n. 44 del 2011). La modifica della norma primaria, attraverso il generico riferimento alla generazione della conferma del completamento della trasmissione e non più alla ricevuta di avvenuta consegna, specificamente riferita al deposito a mezzo posta elettronica certificata, costituisce attuazione del criterio di delega di cui al comma 17, lettera c) (“prevedere che, nel caso di utilizzo di soluzioni tecnologiche diverse dalla posta elettronica certificata, in tutti i procedimenti civili, il deposito si abbia per avvenuto nel momento in cui è generato il messaggio di conferma del completamento della trasmissione”), in quanto, eliminando il riferimento alla posta elettronica certificata, consente di modificare la disciplina regolamentare prevedendo soluzioni diverse dalla pec. Al contempo, tale opzione non determina alcun vuoto normativo, atteso che la regola tecnica in ordine al momento perfezionativo del deposito a mezzo posta elettronica certificata continua ad essere contenuta nell’articolo 11 del D.M. n. 44 del 2011 (“1. I documenti informatici di cui agli articoli 11 e 12 [atti del processo in forma di documento informatico e documento informatico] sono trasmessi da parte dei soggetti abilitati esterni e degli utenti privati mediante l'indirizzo di posta elettronica certificata risultante dal registro generale degli indirizzi elettronici, all'indirizzo di posta elettronica certificata dell'ufficio destinatario, secondo le specifiche tecniche stabilite ai sensi dell'articolo 34. 2. I documenti informatici di cui al comma 1 si intendono ricevuti dal dominio giustizia nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia. 3. Nel caso previsto dal comma 2 la ricevuta di avvenuta consegna attesta, altresì, l'avvenuto deposito dell'atto o del documento presso l'ufficio giudiziario competente (…)”.).

L’articolo 196-septies disp. att. c.p.c., rubricato “Copia cartacea di atti telematici”, reca la disposizione attualmente contenuta al comma 9 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. La sua trasposizione nel titolo V-ter delle disposizioni di attuazione del c.p.c. costituisce pertanto attuazione del criterio di delega relativo al riordino delle disposizioni in materia di processo civile telematico, di cui al comma 17, lettera h) della legge n. 206 del 2021. La norma prevede che con decreto il Ministro della giustizia stabilisce misure organizzative per l’acquisizione di copia cartacea degli atti depositati con modalità telematiche, per la riproduzione su supporto analogico degli atti depositati con le predette modalità e per la gestione e la conservazione delle predette copie cartacee e che con il medesimo decreto sono altresì stabilite le misure organizzative per la gestione e la conservazione degli atti depositati su supporto cartaceo a norma dell’articolo 196-quater, primo comma, terzo periodo, e quarto comma.

Il Capo II del titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, intitolato “Della conformità delle copie agli originali”, reca le norme in materia di attestazione di conformità, tanto attualmente contenute nei commi 2 e 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012 e negli articoli 16-decies e 16-undecies del medesimo decreto-legge (collocate nelle disposizioni di attuazione del c.p.c. nell’ambito dell’esercizio della delega sul riordino delle norme in materia di processo civile telematico, di cui alla lettera h) del comma 17 dell’articolo 1 della legge delega), quanto di nuova introduzione (l’articolo 196-decies), in attuazione del criterio di delega di cui al comma 17, lettera g).

Il capo si compone di quattro articoli, dal 196-octies al 196-undecies.

L’articolo 196-octies disp. att. c.p.c., rubricato “Potere di certificazione di conformità delle copie degli atti e dei provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico o allegati alle comunicazioni e notificazioni di cancelleria” riprende, con minime modifiche, la norma contenuta al comma 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. La disposizione prevede che “[l]e copie informatiche, anche per immagine, di atti processuali di parte e degli ausiliari del giudice nonché dei provvedimenti di quest'ultimo, presenti nei fascicoli informatici o trasmessi in allegato alle comunicazioni telematiche, equivalgono all'originale anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all'originale. Il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale possono estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche degli atti e dei provvedimenti di cui al primo comma e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti contenuti nel fascicolo informatico ovvero allegati alle comunicazioni telematiche. Le copie analogiche e informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico o dall’allegato alla comunicazione telematica e munite dell'attestazione di conformità hanno la stessa efficacia probatoria dell’atto che riproducono. Il duplicato informatico di un documento informatico deve essere prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine. Le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano agli atti processuali che contengono provvedimenti giudiziali che autorizzano il prelievo di somme di denaro vincolate all'ordine del giudice.”. Rispetto al comma 9-bis dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, l’articolo 196-octies include anche il liquidatore giudiziale tra i soggetti ai quali è attribuito il potere di attestazione ed estende quest’ultimo potere anche agli atti allegati alle comunicazioni telematiche, colmando alcune lacune esistenti nel comma 9-bis ed esercitando in tal modo la delega relativa all’implementazione delle norme in materia di processo civile telematico.

L’articolo 196-novies disp. att. c.p.c., rubricato “Potere di certificazione di conformità di copie di atti e di provvedimenti” contiene, al primo comma, la disposizione attualmente dettata dall’articolo 16-decies del decreto-legge n. 179 del 2012 e, al secondo comma, la regola relativa al potere di attestazione contenuta al comma 2 dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012. Analogamente a quanto previsto all’articolo 196-octies, il potere di attestazione della conformità della copia è stato esteso al liquidatore giudiziale. La disposizione prevede pertanto che “[i]l difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, ed il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale, quando depositano con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto processuale di parte o di un provvedimento del giudice formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia al predetto atto. La copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto o del provvedimento. Il difensore, quando deposita nei procedimenti di espropriazione forzata la nota di iscrizione a ruolo e le copie informatiche conformi degli atti indicati dagli articoli 518, sesto comma, 543, quarto comma e 557, secondo comma, del codice, attesta la conformità delle copie agli originali”.

Con l’articolo 196-decies disp. att. c.p.c., di nuova introduzione, è stata esercitata la delega di cui al comma 17, lettera g) dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, con particolare riferimento alla finalità di consentire le attestazioni di conformità per tutti gli atti trasmessi con modalità telematiche all'ufficiale giudiziario o dal medesimo ricevuti con le stesse modalità. La norma, rubricata “Potere di certificazione di conformità delle copie trasmesse con modalità telematiche all’ufficiale giudiziario”, prevede quindi che il difensore, il dipendente di cui si avvale la pubblica amministrazione per stare in giudizio personalmente, il consulente tecnico, il professionista delegato, il curatore, il commissario giudiziale e il liquidatore giudiziale, quando trasmettono all’ufficiale giudiziario con modalità telematiche la copia informatica, anche per immagine, di un atto, di un provvedimento o di un documento formato su supporto analogico e detenuto in originale o in copia conforme, attestano la conformità della copia all’atto detenuto e che la copia munita dell'attestazione di conformità equivale all'originale o alla copia conforme dell'atto, del provvedimento o del documento.

L’articolo 196-undecies disp. att. c.p.c., rubricato “Modalità dell’attestazione di conformità”, contiene, con modifiche di mero drafting, la disposizione attualmente dettata dall’articolo 16-undecies del decreto-legge n. 179 del 2012. La norma prevede pertanto, al primo e secondo comma, che l'attestazione di conformità della copia analogica, prevista dalle disposizioni del capo II del titolo V-ter, dal codice di procedura civile e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, è apposta in calce o a margine della copia o su foglio separato, congiunto materialmente alla medesima e che l'attestazione di conformità di una copia informatica è apposta nel medesimo documento informatico. Il terzo comma specifica che nel caso previsto dal secondo comma, l'attestazione di conformità può alternativamente essere apposta su un documento informatico separato e l'individuazione della copia cui si riferisce ha luogo esclusivamente secondo le modalità stabilite nelle specifiche tecniche stabilite dal direttore generale per i sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia; se la copia informatica è destinata alla notifica, l'attestazione di conformità è inserita nella relazione di notificazione. Il comma quarto precisa che i soggetti di cui agli articoli 196-octies, 196-novies e 196-decies, che compiono le attestazioni di conformità previste dalle predette disposizioni, dal codice di procedura civile e dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, sono considerati pubblici ufficiali ad ogni effetto.

Il Capo III del Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, intitolato “Dell’udienza con collegamenti audiovisivi a distanza”, contiene l’articolo 196-duodecies disp. att. c.p.c., rubricato “Udienza con collegamenti audiovisivi a distanza”, attraverso il quale si completa l’attuazione della delega contenuta al comma 17, lettera l) della legge n. 206 del 2021, relativa alle udienze svolte con collegamenti audiovisivi a distanza. La norma detta infatti puntuali disposizioni in ordine alla modalità di tenuta di tali udienze al fine di assicurarne il regolare svolgimento e di risolvere possibili questioni interpretative.

Nel dettaglio, l’articolo 196-duodecies disp. att. c.p.c. dispone che l’udienza di cui all’articolo 127-bis del codice è tenuta con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e ad assicurare l’effettiva partecipazione delle parti e, se l’udienza non è pubblica, la sua riservatezza, prevedendo altresì l’applicazione delle norme contenute nell’articolo 84 delle medesime disposizioni di attuazione, in tema di svolgimento delle udienze. Prevede altresì che nel verbale si dà atto della dichiarazione di identità dei presenti i quali assicurano che non sono in atto collegamenti con soggetti non legittimati e che non sono presenti soggetti non legittimati nei luoghi da cui sono in collegamento. È altresì disposto che i presenti mantengono attiva la funzione video per tutta la durata dell’udienza e che agli stessi è vietata la registrazione dell’udienza.

Si specifica che il luogo dal quale il giudice si collega è considerato aula d’udienza a tutti gli effetti (in tal modo consentendo al giudice la possibilità di collegarsi anche da un luogo diverso dall’ufficio giudiziario) e che l’udienza si considera tenuta nell'ufficio giudiziario davanti al quale è pendente il procedimento.

Il quinto comma prevede che i collegamenti audiovisivi a distanza per lo svolgimento dell’udienza e le modalità attraverso le quali è garantita la pubblicità dell’udienza in cui si discute la causa sono individuati e regolati con provvedimenti del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Con riferimento a tali provvedimenti, il decreto legislativo contiene una disposizione transitoria con la quale è disposto che nelle more della loro adozione i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continuano ad essere regolati dal decreto del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia del 20 marzo 2020, previsto dall’articolo 83, comma 7, lettera f), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27.

 

Capo III Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e alle disposizioni per l’attuazione al codice di procedura penale

 

Art. 5 – (Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale)

 

Comma 1 – (Modifiche al codice penale)

Nell’ambito delle dichiarazioni disciplinate dall’articolo 4-bis del D.L. n. 132 del 2014, il principio di delega di cui alla lettera t), n. 2, del comma 4, prevede che la falsità delle dichiarazioni rese dagli informatori possa comportare conseguenze penali. La riserva prevista dall’articolo 3 bis del codice penale, per la quale nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell'ordinamento solo se modificano il codice stesso, impone di inquadrare la nuova fattispecie incriminatrice in tale corpo normativo.

L’articolo 371-ter c.p., commi terzo e quarto, sanziona le false dichiarazioni rese al difensore nell’ambito dell’attività svolta ai sensi dell’articolo 4-bis del D.L. n. 132 del 2014.

Il comma terzo prevede che chi rende false dichiarazioni nella procedura di acquisizione di dichiarazioni disciplinata dal menzionato articolo 4-bis del D.L. 132 del 2014 è punito con la stessa pena prevista per chi rende false dichiarazioni al difensore che svolge indagini difensive in sede penale.

Il comma quarto, in armonia con quanto prevede il secondo comma dell’articolo 371-ter del codice penale, a mente del quale il procedimento penale per false dichiarazioni è sospeso fino alla sentenza di primo grado ovvero all’adozione del provvedimento di archiviazione della sentenza di non luogo a procedere nel processo nel quale le dichiarazioni sono state assunte, prevede che anche il procedimento penale per le false dichiarazioni rese nella procedura di negoziazione è sospeso fino alla conclusione della procedura stessa. Quando la procedura si conclude senza accordo, il processo penale è sospeso fino a quando non sia stata pronunciata sentenza di primo grado nel giudizio successivamente instaurato, nel quale una delle parti si sia avvalsa della facoltà di cui all’articolo 4-bis, comma 6, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, ovvero fino a quando tale giudizio sia dichiarato estinto. Tale disciplina è finalizzata a consentire all’informatore di ritrattare prima che le sue dichiarazioni siano utilizzate, così escludendo che si perfezioni il reato. Il meccanismo di sospensione consente inoltre di attendere che la procedura di negoziazione o il processo davanti al giudice, in cui sono rese o utilizzare le dichiarazioni false si concludano prima di avviare il procedimento penale finalizzato ad accertare la falsità di tali dichiarazioni delle quali, evidentemente, deve essere stato fatto uso.

Si è ritenuto, invece, di non esercitare la delega contenuta nell’articolo 1, comma 4, lettera t, n. 2), in ordine all’applicabilità dell’articolo 642, secondo comma, del codice di procedura civile alla parte che si sottrae all’interrogatorio, non essendo risultato possibile costruire una disciplina generale che consenta alla parte di ottenere l’esecuzione provvisoria di un decreto ingiuntivo a fronte della sottrazione della controparte all’interrogatorio e considerato il rischio di abusi legati all’introduzione di una simile possibilità. Non è stata, infine, esercitata la delega contenuta nel successivo n. 4), in ossequio all’autonomia dell’ordine professionale forense.

 

Comma 2 – (Modifiche al codice di procedura penale)

La modifica all’articolo 282-bis c.p.p. si rende necessaria in attuazione delle indicazioni contenute nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206 del 2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti”.

L’articolo 282-bis del codice di procedura penale è stato introdotto dalla legge 4 aprile 2001, n. 154, e disciplina la misura dell’allontanamento dalla casa familiare.

Al quarto comma, il richiamo all’ordinanza presidenziale di cui all’articolo 708 del codice di procedura civile, resa nel giudizio di separazione tra i coniugi, deve essere soppresso stante l’avvenuta abrogazione di tale norma e l’intera riscrittura della disciplina del processo di separazione giudiziale mediante le norme del nuovo rito unitario in materia di persone, minorenni e famiglie (nel combinato tra le disposizioni generali e le disposizioni speciali). Non si ritiene peraltro necessario sostituire l’inciso soppresso, in quanto la norma prosegue con un richiamo onnicomprensivo, che di fatto costituisce una clausola generale (“provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli”) e dunque ben può applicarsi anche ai provvedimenti emanati nel nuovo rito unitario a tutela dei coniugi e della prole, non soltanto nel giudizio di separazione, ma più in generale in tutti i procedimenti relativi alla crisi familiare.

 

Art. 6 – (Modifiche alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale)

 

Il criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 23 demanda al legislatore delegato il compito di prevedere, nel caso in cui siano allegati comportamenti di violenza domestica o di genere, che siano assicurate “le necessarie modalità di coordinamento con altre autorità giudiziarie, anche inquirenti”. D’altro lato, il monitoraggio sull’articolo 64-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (introdotto dall’articolo 14 della legge n. 69 del 2019) condotto nel 2021 dal Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero ha evidenziato come gli obblighi informativi che la legislazione vigente pone a carico degli attori del processo penale non abbiano raggiunto lo scopo che il legislatore si prefiggeva, per una serie di cause quali la mancata specifica predeterminazione legislativa del soggetto tenuto alla comunicazione e, soprattutto, la mancata conoscenza, da parte del soggetto (pubblico ministero o giudice penale) tenuto alla segnalazione, del presupposto indicato dalla legge, e cioè la pendenza di un procedimento di separazione o comunque di un procedimento civile relativo all’esercizio della responsabilità genitoriale; il problema principale, in altri termini, è risultato essere quello della reciproca conoscenza del dato e del suo scambio. Tali problemi potranno in parte essere risolti tramite l’estensione dell’utilizzo della Consolle del pubblico ministero da parte delle Procure della Repubblica, che tramite l’accesso telematico ai registri di cancelleria civile del tribunale consente di appurare la pendenza di procedimenti che vedono coinvolti l’indagato e la persona offesa, si è ritenuto di proporre – unitamente agli altri interventi già esaminati nell’ambito delle norme di cui alla sezione I del capo III – una modifica della disposizione sopra indicata, volta a ridurre gli inconvenienti sin qui rilevati.

In particolare, l’articolo 64-bis disp. att. c.p.p. viene modificato innanzitutto nella sua rubrica, non più relativa alla sola “trasmissione” di atti al giudice civile, ma anche alle “comunicazioni”. Nel merito, si prevede che quando procede per reati commessi in danno del coniuge, del convivente o di persona legata da una relazione affettiva, anche ove cessata, e risulti che sono pendenti procedimenti relativi alla separazione personale dei coniugi, allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio e allo scioglimento dell’unione civile, ovvero alla responsabilità genitoriale (e di tale pendenza il pubblico ministero potrà avere notizia direttamente dalla persona offesa ovvero, quando il procedimento sia pendente presso lo stesso tribunale, mediante una verifica tramite l’utilizzo della Consolle di cui sopra) il pubblico ministero deve senza ritardo darne notizia al giudice che procede il quale sarà così messo in condizione di richiedere le informazioni e gli atti di indagini ostensibili (salvo, naturalmente, che si tratti di atti coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice di procedura penale); lo stesso compito grava sul pubblico ministero quando procede per reati commessi in danno di minori dai genitori, da altri familiari o da persone comunque con loro conviventi, nonché dalla persona legata al genitore da una relazione affettiva, anche ove cessata, ed è pendente un procedimento civile o minorile relativo alla responsabilità genitoriale, al suo esercizio e al mantenimento del minore. Il nuovo comma 1-bis della norma prevede poi che una volta accertata la pendenza di uno dei procedimenti di cui si è detto, il pubblico ministero debba trasmettere al giudice civile o al tribunale per i minorenni che procede “copia delle ordinanze che applicano misure cautelari personali o ne dispongono la sostituzione o la revoca, nonché copia dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e degli atti di indagine non coperti dal segreto di cui all’articolo 329 del codice”. Allo stesso modo, la cancelleria del giudice penale dovrà trasmettere al giudice civile copia della sentenza che definisce il processo o del decreto di archiviazione.

 

Capo IV Modifiche alle leggi speciali

Sezione I Modifiche in materia di Mediazione, Negoziazione assistita e Arbitrato

 

Art. 7 – (Modifiche al decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28)

 

Comma 1

Lettera a)

L’articolo 2, comma 2, d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato, con l’aggiunta delle parole “e di conciliazione” al fine di chiarire che esso ricomprende anche le procedure di conciliazione, previste per legge, nelle carte dei servizi elaborate e pubblicizzate dai soggetti pubblici o privati che erogano servizi pubblici procedure non solo di reclamo. La modifica è pertanto necessaria per armonizzare la disciplina vigente con l’evoluzione delle carte dei servizi che tende ad ampliare gli strumenti di tutela per gli utenti in caso di violazione degli standard di qualità garantiti, includendo il procedimento di conciliazione.

La modifica appare necessaria anche nel contesto del principio di delega di cui all’articolo 1, comma 4, lett. c), della legge delega (che impone l’ampliamento dei casi di ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla procedura di mediazione), in quanto volto a chiarire che le disposizioni del d.lgs. n. 28 del 2010 non precludono alle parti di avvalersi di tali procedure.

 

Lettera b)

Gli interventi sull’articolo 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 hanno imposto di effettuare un richiamo ad esso nell’articolo 3, comma 1, d.lgs. n. 28 del 2010 al fine di chiarire che il procedimento di mediazione, secondo il regolamento dell’organismo, deve comunque essere conforme all’articolo 8.

L’articolo 3, comma 2, è stato modificato al fine di chiarire che il regolamento dell’organismo deve assicurare anche l’indipendenza del mediatore, in coordinamento con le modifiche introdotte all’articolo 14.

Infine, al comma 4 si è previsto che la previsione di far svolgere la mediazione con modalità telematiche, contenuta nel regolamento dell’organismo di mediazione, debba essere conforme a quanto previsto dal nuovo articolo 8-bis.

 

Lettera c)

Conformemente al criterio di cui al comma 4, lettera e), relativo al riordino della procedura di mediazione, sono state introdotte modifiche all’articolo 4 del d.lgs. n. 28 del 2010.

Nello specifico, al comma 1 è stato precisato che la domanda di mediazione è presentata da una delle parti all’organismo di mediazione competente, individuato sulla scorta dei criteri dettati dalla legge o su accordo delle parti. Si è poi ritenuto di sopprimere la distinzione tra domanda e istanza di mediazione (quest’ultima relativa al documento contenente la domanda), di scarsa utilità pratica ma foriera di confusione, e di fare riferimento, in maniera uniforme in tutto il decreto legislativo n. 28 del 2010, alla domanda di mediazione.

Al comma 2 è stato, quindi, pure soppresso il riferimento all’istanza, e inserito un riferimento alla domanda di mediazione.

Il comma 3 è stato modificato per coordinamento con la nuova numerazione dei commi dell’articolo 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.

 

Lettera d)

Il principio di delega impone l’ampliamento dei casi di ricorso obbligatorio, in via preventiva, alla procedura di mediazione. Si è quindi modificato l’articolo 5 d.lgs. n. 28 del 2010, lasciandovi la disciplina relativa alla mediazione come condizione di procedibilità stabilita ex lege per alcune categorie di controversie, e spostando in altri articoli la disciplina relativa alla mediazione demandata e alla mediazione prevista dallo statuto o dell’atto costitutivo dell’ente.

L’ampiezza delle modifiche ha imposto una sostituzione dell’articolo 5, che prevede quanto segue.

Il comma 1 individua le controversie in relazione alle quali si richiede alle parti di esperire il tentativo di mediazione, a condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Oltre alle categorie già previste, sono aggiunte le controversie in materia di contratti di associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

La restante disciplina contenuta nel precedente comma 1-bis è stata in parte soppressa e in parte sostituita con una nuova e più razionale collocazione delle relative disposizioni.

Non si è ritenuto di inserire interventi di carattere generale per l’armonizzazione di tutta la normativa applicabile in materia di procedure stragiudiziali e la sua collocazione in un testo unico sugli strumenti complementari alla giurisdizione, come previsto dalla lett. b), comma 4, articolo 1 della legge delega, considerato che quest’ultima subordina tale attività normativa al monitoraggio, da svolgere nell’arco di un quinquennio, da effettuare sull’area di applicazione della mediazione obbligatoria.

Al comma 2 trova più chiara collocazione quanto precedentemente previsto nel secondo e quarto periodo del comma 1-bis, in ordine ai rapporti tra la procedura di mediazione obbligatoria e il processo. Il comma ribadisce, quindi, che il previo esperimento della mediazione nei casi di cui al comma 1 è condizione di procedibilità della domanda giudiziale e che quando tale condizione non è rispettata e viene proposta domanda giudiziale, la relativa eccezione deve essere sollevata, a pena di decadenza e non oltre la prima udienza, dalla parte convenuta, fermo restando il potere di rilievo officioso in capo al giudice, da esercitarsi entro la prima udienza.

Si è inoltre precisato che quando la mediazione non risulti esperita, oppure risulti esperita ma non conclusa, il giudice debba fissare una successiva udienza dopo la scadenza del termine massimo di durata della procedura di mediazione, fissato dall’articolo 6.

È stato meglio chiarito, rispetto al testo previgente, che il giudice, a tale successiva udienza, se constata che la condizione di procedibilità non è stata soddisfatta, dichiara l’improcedibilità della domanda.

Il comma 3 riprende quanto previsto nel primo periodo del previgente comma 1-bis e prevede che le parti, per assolvere alla condizione di procedibilità di cui al comma 1, possono anche esperire le procedure specificamente previste nelle lettere da a) a d).

Il comma 4 prevede che quando l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, tale condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo di conciliazione.

Il comma 5 sancisce il principio secondo cui la pendenza della condizione di procedibilità non preclude il ricorso al giudice per chiedere l’adozione di procedimenti cautelari e urgenti, né preclude la trascrizione della domanda giudiziale.

Il comma 6 indica i casi in cui non opera la condizione di procedibilità prevista dal comma 1. Rispetto al testo previgente, sono state apportate modifiche di coordinamento dovute all’inserimento della disciplina della mediazione demandata dal giudice nell’articolo 5-quater, ed è stata inserita la disposizione contenuta nella lettera h) finalizzata a chiarire che tra le azioni giudiziali che non sono precluse dalla pendenza della condizione di procedibilità ai sensi del comma 1 è compresa anche l’azione inibitoria prevista dall’articolo 37 del codice del consumo, di cui al d.lgs. n. 206 del 2005.

 

Lettera e)

In attuazione dei criteri di delega e dell’esigenza di un intervento sistematico, sono stati introdotti gli articoli da 5-bis a 5-sexies, illustrati di seguito.

Nei casi di mediazione obbligatoria, quando il procedimento è iniziato nelle forme del ricorso per decreto ingiuntivo, rispetto alle quali non vige la regola della improcedibilità che opera, invece, solo nell’eventuale fase di opposizione, come richiesto dal legislatore delegante con il criterio di cui alla lettera d) del comma 4, è stata individuata la parte che è tenuta a soddisfare la condizione di procedibilità, una volta sollevata la relativa eccezione. L’articolo 5-bis d.lgs. n. 28 del 2010 è stato aggiunto per attuare tale principio di delega.

Si stabilisce che quando una delle azioni previste dall’articolo 5, comma 1, è proposta con ricorso monitorio, in caso di opposizione al decreto ingiuntivo, l’onere di avviare la procedura di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. La conseguenza processuale a carico della parte che non adempie a tale onere consiste, ove il giudice ne verifichi l’inerzia, nella declaratoria di improcedibilità della domanda proposta in sede monitoria e nella conseguente revoca del decreto ingiuntivo opposto, e liquidazione delle spese.

Si è inoltre previsto, per scongiurare problemi interpretativi, che in tali ipotesi il giudice possa procedere al rilievo di improcedibilità (entro la prima udienza) solo dopo avere provveduto, se tale richiesta è stata formulata entro la prima udienza, sulle istanze di adozione dei provvedimenti provvisori di cui agli articoli 648 e 649 del codice di procedura civile sulla provvisoria esecutorietà del decreto opposto.

Con riferimento all’articolo 5-ter, in attuazione del criterio di delega contenuto nella lettera h), sono state introdotte modifiche alla disciplina applicabile all’amministratore di condominio, al fine di rendere più efficiente la relativa partecipazione al procedimento di mediazione.

L’articolo 5-ter, rubricato “Legittimazione in mediazione dell’amministratore di condominio”, è stato introdotto al fine di prevedere che l’amministratore possa attivare un procedimento di mediazione, aderirvi e parteciparvi, sottoponendo all’approvazione dell’assemblea, a seconda dei casi, il verbale contenente il testo dell’accordo di conciliazione individuato dalle parti, o la proposta conciliativa del mediatore. L’assemblea dovrà quindi manifestare la propria volontà di aderirvi, (con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile) entro il termine fissato nella proposta di accordo, decorso inutilmente il quale la conciliazione s’intende come non conclusa.

L’articolo 5-quater d.lgs. n. 28 del 2010 colloca in apposito articolo la disciplina della mediazione demandata dal giudice, precedentemente disciplinata dal comma 2 dell’articolo 5 che, a seguito degli interventi di razionalizzazione previsti, si prevede sia dedicato alla disciplina dei casi di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale nelle controversie elencate nel relativo comma 1 e ai rapporti con il processo.

Il comma 1 chiarisce, rispetto all’originaria formulazione, che il giudice, quando demanda le parti in mediazione, deve provvedere con ordinanza motivata, nella quale potrà dare atto delle circostanze considerate per l’adozione del provvedimento e fissare la successiva udienza. Oltre al riferimento alla natura della causa, allo stato dell’istruzione e al comportamento delle parti, si è ritenuto di inserire una clausola di chiusura (“ogni altra circostanza”) idonea a consentire al giudice di dare adeguata e piena motivazione della decisione di demandare le parti in mediazione. Si è altresì ritenuto, anche in coordinamento con le modifiche apportate alla fase conclusiva del processo ordinario, di prevedere che il giudice possa demandare le parti in mediazione fino alla precisazione delle conclusioni.

Il comma 2 precisa che la mediazione demandata dal giudice è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, con applicazione, anche in questo caso, della disciplina dettata all’articolo 5, commi 4 (che prevede che la condizione di procedibilità si considera avverata quando le parti non raggiungono l’accordo al primo incontro), 5 (che fa salva la concessione delle misure cautelari ed urgenti, nonché la trascrizione della domanda giudiziale, in pendenza della condizione di procedibilità) e 6 (che disciplina il diverso operare della condizione di procedibilità consistente nell’esperimento del tentativo di mediazione nei particolari procedimenti ivi elencati).

Il comma 3 prevede espressamente che il mancato esperimento della procedura di mediazione, accertato dal giudice all’udienza fissata nell’ordinanza di mediazione demandata, comporta la dichiarazione di improcedibilità della domanda giudiziale.

Con riferimento all’articolo 5-quinquies d.lgs. n. 28 del 2010, il criterio di delega di cui alla lettera o) prevede la valorizzazione ed incentivazione della mediazione demandata dal giudice. In attuazione di tale criterio, si è ritenuto necessario, in primo luogo, intervenire in ottica di riordino e razionalizzazione della disciplina processuale della mediazione demandata; in secondo luogo, sono state introdotte precise disposizioni in materia di formazione del magistrato, tracciabilità e valutazione delle ordinanze di mediazione demandata e delle controversie definite ad esito del successivo procedimento di mediazione; in terzo luogo, è stata introdotta la possibilità per il capo dell’ufficio giudiziario di promuovere progetti di collaborazione con soggetti esterni agli uffici giudiziari al fine di incentivare l’uso della mediazione. L’articolo 5-quinquies si compone dei seguenti quattro commi.

Il comma 1 disciplina i doveri del magistrato nella cura della propria formazione e aggiornamento in materia di mediazione, con la frequentazione di corsi, anche decentrati, organizzati dalla Scuola superiore di magistratura. Nel rispetto dell’autonomia istituzionale e organizzativa della Scuola superiore di magistratura viene rimessa a tale ente l’individuazione di una adeguata offerta formativa periodica, così come viene lasciata all’autonomia e responsabilità del singolo magistrato la scelta di partecipare a tali corsi.

Il comma 2 disciplina gli incentivi al magistrato che sceglie di curare una specifica formazione in materia di mediazione e che in concreto utilizza lo strumento della mediazione demandata per la migliore definizione del contenzioso pendente. Si prevede espressamente, con richiamo ai criteri previsti dall’articolo 11 del d.lgs. n. 160 del 2006, che tali attività siano indicative dell’impegno, capacità e laboriosità del magistrato, rilevanti sul piano delle valutazioni previste dal citato decreto legislativo.

Il comma 3 prevede che le ordinanze di mediazione demandata siano oggetto di specifica rilevazione statistica, necessaria al fine della concreta applicazione dei criteri di valutazione di professionalità del magistrato prevista dal comma 2, in modo tale da consentire di associare l’adozione dell’ordinanza di mediazione demandata con l’abbandono della stessa lite, quale elemento indicatore dell’intervenuta soluzione della controversia mediante composizione stragiudiziale in sede di mediazione.

Il comma 4, nell’ottica di valorizzare tutti i rapporti di collaborazione istituzionale necessari per dare impulso alla cultura della mediazione, prevede che il capo dell’ufficio giudiziario, nell’ambito dei propri compiti, possa promuovere progetti di collaborazione in questa materia con altri soggetti, senza aggiuntivi oneri per la finanza pubblica. Tale disposizione è formulata in modo ampio, al fine di rispettare la discrezionalità organizzativa dei capi degli uffici, cui è rimessa la scelta in concreto di modi e tempi per il suo esercizio.

Nel contesto generale del riordino della procedura di mediazione (previsto dalla lettera e) del comma 4) si è deciso di collocare in un apposito articolo 5-sexies del d.lgs. n. 28 del 2010 la vigente disciplina della mediazione obbligatoria alla quale le parti si vincolano con apposita espressione di volontà, inserendola in apposita clausola contrattuale o statutaria.

L’articolo 5-sexies viene, quindi, introdotto per dare adeguata e più razionale collocazione al soppresso comma 5 dell’articolo 5, e disciplina l’ipotesi in cui le parti, con apposita clausola contrattuale o statutaria, si impegnino a esperire, prima di adire il giudice, la procedura di mediazione. L’articolo riprende quanto previsto dal comma soppresso ma chiarisce che, in caso di inerzia delle parti nel soddisfare la condizione di procedibilità, il giudice debba dichiarare l’improcedibilità della domanda.

 

Lettera f)

L’articolo 6, comma 1, d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato per rafforzare l’efficacia della procedura conformemente a quanto richiesto dal comma 4, lettera e), dell’unico articolo della legge delega al fine di prevedere che il termine massimo di durata della procedura di mediazione può essere prorogato di ulteriori tre mesi, su accordo delle parti, a condizione che la richiesta di proroga intervenga prima della scadenza di tale termine.

Le modifiche apportate al comma 2 sono di mero coordinamento con le modifiche apportate all’articolo 5.

Infine, al comma 3, si è ritenuto necessario precisare il dovere delle parti di comunicare al giudice la proroga del termine per concludere il procedimento di mediazione, così da consentire al giudice di adottare i provvedimenti conseguenti rispetto al giudizio avanti a sé pendente.

 

Lettera g)

Le modifiche all’articolo 7 del d.lgs. n. 28 del 2010 sono di mero coordinamento con le modifiche introdotte all’articolo 5 e con le nuove disposizioni dell’articolo 5-quater.

 

Lettera h)

L’attuazione del criterio di delega di cui alle lettere e), f), i) e p) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega ha comportato modifiche di ampia portata in quanto ha imposto il riordino delle disposizioni concernenti la procedura di mediazione, allo specifico fine di favorire la partecipazione delle parti e l’effettivo confronto sulle questioni controverse, regolando altresì le conseguenze della mancata partecipazione alla procedura di mediazione. Più in particolare, i principi di delega intendono conferire alla procedura di mediazione una concreta effettività, in modo che le parti che vi aderiscono, fin dal primo incontro, insieme al mediatore, si dedichino concretamente alla ricerca della migliore e stabile soluzione del conflitto che le contrappone.

L’articolo 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato quindi sostituito al fine di collocarvi i fondamentali principi che regolano la procedura avanti al mediatore.

Il comma 1 prevede gli adempimenti del responsabile dell’organismo di mediazione, una volta ricevuta la domanda di mediazione. È stato reso più flessibile e meno stringente il termine per il primo incontro tra le parti, da tenersi tra i venti e i quaranta giorni dal deposito della domanda, al fine di evitare che la tempistica eccessivamente ridotta ostacoli una adeguata preparazione del primo incontro e, da parte dell’organismo, l’individuazione del mediatore ritenuto idoneo ad occuparsi della controversia. Sono stati inoltre meglio precisati gli oneri di comunicazione a carico dell’organismo successivi alla ricezione della domanda di mediazione, in modo che alle parti arrivino immediatamente tutte le informazioni utili per il più efficace avvio della procedura. È stata conservata la previsione che, nelle controversie tecnicamente complesse, l’organismo possa nominare uno o più mediatori ausiliari.

Il comma 2 è stato introdotto allo scopo di dare adeguata collocazione alla previgente disposizione di cui al soppresso comma 6 dell’articolo 5, secondo la quale la comunicazione della domanda di mediazione alla controparte produce sulla prescrizione gli stessi effetti della domanda giudiziale e impedisce, per una volta, la decadenza. Al fine, inoltre, di evitare che eventuali lentezze procedurali dell’organismo di mediazione possano danneggiare gli interessi delle parti che ricorrono alla mediazione che quindi, già solo per questo, possono essere indotte a non avvalersi di tale procedura, si prevede che la parte che presenta la domanda possa provvedere autonomamente alla comunicazione alla controparte al fine di avvalersi dell’effetto interruttivo della prescrizione o dell’impedimento della decadenza, senza esonero degli obblighi di comunicazione che continuano a gravare sull’organismo di mediazione.

Il comma 3 riprende quanto precedentemente previsto al comma 2 dell’articolo 8, precisando che il procedimento di mediazione si svolge senza formalità presso la sede dell’organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell’organismo.

Il comma 4, in attuazione del criterio di cui alla lettera f), stabilisce che le parti, in linea di principio, sono tenute a partecipare personalmente alla procedura di mediazione ma, in presenza di giustificati motivi, possono delegare un proprio rappresentante, a condizione che sia informato sui fatti e che sia munito dei poteri per conciliare la lite. Tale possibilità è solo in apparente contrasto con il principio di partecipazione effettiva e attiva alla procedura in quanto rappresenta, invece, un ulteriore strumento partecipativo utilizzabile da chi, per varie ragioni (ad esempio salute, età, impegni inderogabili concomitanti con gli incontri fissati dal mediatore) non potrebbe partecipare di persona agli incontri fissati dal mediatore rischiando di far fallire la mediazione ovvero di prolungarne eccessivamente la durata.

L’espressa previsione della possibilità di partecipare mediante un delegato ha reso necessario stabilire in modo chiaro che il mediatore deve verificare la sussistenza dei poteri rappresentativi delle persone comparse davanti a lui e darne atto a verbale.

Il comma 5, al fine di riordinare e razionalizzare le disposizioni in tema di procedimento di mediazione, attribuisce idonea collocazione al principio secondo cui, nei casi di mediazione obbligatoria per legge, ossia nelle ipotesi di cui all’articolo 5, comma 1, e quando la mediazione è demandata dal giudice, ciascuna parte deve essere assistita dal proprio avvocato.

Il comma 6, in attuazione della lettera e), ha ripreso la previsione (di cui al previgente comma 3), secondo cui il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia, ed è stato integrato al fine di precisare le attività e gli oneri che gravano sulle parti della procedura di mediazione e sullo stesso mediatore il quale, in linea generale, è tenuto preliminarmente a informare le parti, nel primo incontro, sulle modalità di svolgimento della mediazione ed è tenuto ad adoperarsi affinché sia raggiunto un accordo di conciliazione. Allo stesso tempo si richiamano espressamente i doveri di leale cooperazione nel rispetto del canone della buona fede, che gravano sulle parti e sui loro avvocati al fine di realizzare l’effettivo confronto sulle questioni controverse. Si è inoltre stabilito che del primo incontro è redatto verbale a causa del mediatore, sottoscritto da tutti i partecipanti.

Tale disposizione sottolinea e ribadisce l’importanza del primo incontro, non più finalizzato a una mera informativa alle parti sulla procedura, la cui funzione è stata invece potenziata e sono previsti specifici oneri a carico del mediatore anche finalizzati a far constare l’eventuale soddisfacimento della condizione di procedibilità, e del relativo verbale.

Il comma 7 contiene la previsione (precedentemente collocata nel comma 4 dell’articolo 8) che il mediatore può avvalersi di esperti, i cui compensi sono stabiliti nel regolamento di procedura dell’organismo. Inoltre, in attuazione del principio di cui alla lettera i), è stata aggiunta la previsione che le parti, al momento della eventuale nomina dell’esperto, possano accordarsi per stabilire che la relazione da questi redatta possa essere prodotta nell’eventuale processo davanti al giudice. L’accordo di produrre la relazione nell’eventuale giudizio deroga ai limiti di utilizzabilità del documento formato nella procedura di mediazione, derivanti dal dovere di riservatezza sancito dall’articolo 9. In caso di produzione, si è previsto che tale documento venga valutato ai sensi dell’articolo 116, primo comma, del codice di procedura civile.

Tale disposizione, in armonia con le generali finalità della delega in materia di mediazione, concorre a incentivare le parti ad avvalersi di tale procedura, proprio in quanto consente, se non si raggiunge l’accordo di conciliazione, di avvalersi delle attività tecniche svolte durante la procedura stragiudiziale.

 

Lettera i)

L’inserimento dell’articolo 8-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010 attua il principio di delega contenuto nella lettera p) per disciplinare la mediazione in modalità telematica.

Il comma 1 prevede, per gli atti del procedimento di mediazione svolto in modalità telematica, che si debbano rispettare le disposizioni del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 e che la loro trasmissione può avvenire avvalendosi di sistemi di posta elettronica certificata o altri servizi elettronici di recapito certificato.

Il comma 2 individua gli standard tecnici che devono essere rispettati nel caso in cui gli incontri del procedimento di mediazione si svolgano con sistemi audiovisivi a distanza e si prevede che le parti possano optare per la partecipazione agli incontri in forma mista.

Il comma 3 regola la formazione e sottoscrizione, con modalità digitale, del documento contenente il verbale e l’eventuale accordo di conciliazione, da parte del mediatore, oltre che delle parti e, nei casi previsti dalla legge, dagli avvocati che li assistono.

Il comma 4 prevede che il documento sottoscritto ai sensi del comma 3, dopo essere stato firmato dal mediatore, sia poi ritrasmesso alle parti, agli avvocati (ove nominati) e alla segreteria dell’organismo.

Il comma 5 stabilisce che l’organismo di mediazione procede alla conservazione ed esibizione dei documenti del procedimento di mediazione svolto con modalità telematiche osservando le disposizioni di cui all’articolo 43 del codice dell’amministrazione digitale.

 

Lettera l)

L’articolo 9 del d.lgs. n. 28 del 2010 viene modificato allo scopo di razionalizzare le disposizioni in tema di procedimento di mediazione. In particolare, si modifica il comma 1, al fine di chiarire che il dovere di riservatezza deve essere osservato da chiunque partecipi alla procedura di mediazione.

 

Lettera m)

L’articolo 11 del d.lgs n. 28 del 2010 viene modificato in attuazione del principio di cui alla lettera e) e in tale articolo è collocata la disciplina della fase conclusiva del procedimento di mediazione.

Il comma 1 individua alcuni specifici oneri di verbalizzazione a carico del mediatore, con riferimento all’ipotesi in cui l’accordo sia o non sia raggiunto. Viene mantenuta la previsione del testo attualmente vigente, in ordine al persistere, qualora le parti non raggiungano un accordo, della facoltà del mediatore di formulare comunque una proposta di conciliazione che deve essere allegata al verbale, informando le parti delle possibili conseguenze derivanti dal rifiuto della proposta ai sensi dell’articolo 13.

Al comma 2 sono stabilite le formalità e i tempi per la formalizzazione della proposta di conciliazione ad opera del mediatore, al fine di consentire alle parti di esaminarla e valutarla con un adeguato margine di tempo prima di manifestare la volontà di aderirvi o di rifiutare. Per ragioni di riservatezza nell’eventuale successivo procedimento giudiziale inter partes, è stato previsto che la proposta del mediatore non possa contenere alcun riferimento alle dichiarazioni rese o alle informazioni acquisite nel corso del procedimento.

Il comma 3 costituisce una norma di coordinamento con l’articolo 15-septies, comma 4, al fine di procedimentalizzare e semplificare la procedura di liquidazione del compenso dell’avvocato che assiste una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

Il comma 4 stabilisce le regole per la formazione del verbale conclusivo della procedura, sia con riferimento alla necessità di allegarvi, quale parte integrante, l’eventuale accordo, ma anche di stabilire chi debba sottoscrivere il verbale e il dovere del mediatore di curarne il celere deposito presso l’organismo, oltre alla previsione degli oneri di verbalizzazione che gravano sul mediatore.

Il comma 5 stabilisce che il verbale contenente l’eventuale accordo deve essere redatto in formato digitale o, se in formato analogico, in tanti originali quante sono le parti, oltre a un originale da depositare presso l’organismo di mediazione. Tale disposizione ha lo scopo di agevolare l’utilizzo di tale documento da parte di coloro che hanno partecipato alla procedura di mediazione.

Il comma 6 sancisce l’obbligo per l’organismo di mediazione di rilasciare copia del verbale contenente l’eventuale accordo alle parti che lo richiedono, nonché di conservare copia degli atti dei procedimenti di mediazione trattati per almeno tre anni decorrenti dalla loro conclusione.

Il comma 7 ribadisce, con diversa collocazione, quanto originariamente previsto dal comma 3 il cui contenuto viene riformulato, nell’ottica del riordino delle norme sul procedimento di mediazione, per meglio definire le condizioni per procedere alla trascrizione dell’accordo di conciliazione, oltre a ribadire che l’accordo può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti o per il ritardo nel loro adempimento.

 

Lettera n)

La lettera g) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega contiene un criterio di delega volto ad incentivare la conclusione di accordi da parte delle amministrazioni pubbliche, disponendo che per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.

Oltre alle modifiche all’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è stato inserito l’articolo 11-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010, al fine di effettuare un espresso richiamo alla nuova disposizione della legge n. 20 del 1994 applicabile nei casi di accordo conciliativo sottoscritto, in sede di mediazione, dalle amministrazioni pubbliche.

 

Lettera o)

L’articolo 12 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato oggetto di modifiche di chiarimento e coordinamento.

Al comma 1, al fine di evitare interpretazioni potenzialmente pregiudizievoli per le parti, si è chiarito che l’accordo sottoscritto dalle parti della mediazione e dei agli avvocati, costituisce titolo esecutivo quando le stesse sono assiste “dagli avvocati”, così sostituendo l’attuale espressione “da un avvocato” che potrebbe indurre l’interprete a ritenere che un simile accordo possa essere stipulato, sottoscritto ed avere efficacia esecutiva, anche quando più parti siano assistite da un solo avvocato.

Si è inoltre chiarito, con apposito coordinamento con l’articolo 8-bis, che tra le modalità di sottoscrizione a tal fine consentite sono comprese anche quelle previste da tale disposizione.

Il comma 1-bis è stato quindi inserito per contenere, in collocazione separata, la diversa disciplina dei casi in cui, al di fuori dalle ipotesi del comma 1, l’omologa dell’accordo avviene, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale.

Il comma 2 precisa, mediante una formulazione più corretta rispetto al testo previgente, che l’omologazione dell’accordo conferisce a quest’ultimo la qualità di titolo esecutivo per procedere a espropriazione forzata, esecuzione in forma specifica e iscrizione di ipoteca giudiziale.

 

Lettera p)

L’articolo 12-bis del d.lgs. n. 28 del 2010 viene inserito per attuare il principio di cui alla lettera e) e contiene, collocate in un unico articolo, le disposizioni sulle conseguenze processuali della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al procedimento di mediazione.

Il comma 1 prevede, riportando con diversa collocazione la disposizione di cui all’articolo 8, comma 4-bis del testo vigente, che il giudice possa desumere argomenti di prova, ai sensi dell’articolo 116, secondo comma del codice di procedura civile, dalla mancata partecipazione di una parte, senza giustificato motivo, al primo incontro della procedura di mediazione cui la controparte l’ha invitata.

Il comma 2, riprendendo il principio previsto dal secondo periodo del vigente comma 4-bis dell’articolo 8, disciplina le conseguenze della mancata partecipazione nei casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda. In tale ipotesi si prevede che la mancata e ingiustificata partecipazione comporti la condanna della parte costituita, a versare all’erario una somma di importo corrispondente al doppio del contributo unificato dovuto per il giudizio instaurato dopo l’infruttuoso tentativo obbligatorio di mediazione. Rispetto alla disposizione vigente, oltre a una diversa e più razionale collocazione, si è previsto un aumento della sanzione irrogata a questo titolo al fine di disincentivare comportamenti elusivi del principio del tentativo obbligatorio di mediazione, procedura astrattamente idonea a evitare che le parti, per la medesima controversia ricorrano al giudice.

Il comma 3 prevede che, nei casi di cui al comma 2, su istanza di parte, con il provvedimento che definisce il giudizio, il giudice possa altresì condannare la parte soccombente al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata in misura non superiore nel massimo alle spese di lite maturate dopo la infruttuosa conclusione del procedimento di mediazione, dovuta alla mancata partecipazione della medesima parte soccombente.

Il comma 4 prevede una speciale conseguenza processuale connessa all’ingiustificata partecipazione alla procedura di mediazione da parte delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165 o da parte di soggetti sottoposti a un’autorità di vigilanza.

In tali ipotesi il giudice segnala la mancata partecipazione, nel primo caso, al pubblico ministero presso la Corte dei conti e nel secondo caso, all’autorità di vigilanza.

Tale segnalazione consente l’eventuale adozione, nei confronti dei soggetti che ingiustificatamente hanno omesso di coltivare una procedura di mediazione obbligatoria, di eventuali sanzioni connesse al danno che tale comportamento possa avere causato all’amministrazione o al soggetto vigilato.

 

Lettera q)

L’articolo 13 del d.lgs. n. 28 del 2010 viene modificato per attuare il principio di delega di cui alla lettera e) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega.

La rubrica viene modificata allo scopo di chiarire che tale disposizione regola il regime delle spese processuali nel caso di rifiuto della proposta di conciliazione, mentre il nuovo articolo 12-bis disciplina la diversa materia delle conseguenze processuali della mancata partecipazione alla procedura di mediazione.

Il comma 1, nel penultimo periodo, contiene un intervento di coordinamento dovuto alla modifica apportata all’articolo 96 del codice di procedura civile, con l’aggiunta di un quarto comma, il cui contenuto non sarebbe coerente con il richiamo operato dal vigente comma, che ha lo scopo di precisare che l’eventuale condanna della parte al pagamento della somma prevista dal primo periodo del comma 1, non esclude la possibilità che la stessa parte sia condannata, ricorrendone i presupposti, per lite temeraria.

Dunque, per effetto delle descritte modifiche, l’articolo 12-bis contiene la disciplina delle conseguenze scaturiscono dalla mancata e ingiustificata partecipazione alla procedura di mediazione, mentre l’articolo 13 contiene la disciplina delle conseguenze che possono derivare alla parte che, pur avendo partecipato alla procedura di mediazione, ha rifiutato la proposta conciliativa il cui contenuto ha poi trovato riscontro nel provvedimento giurisdizionale.

 

Lettera r)

L’articolo 14 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato in attuazione del principio di cui alla lettera m), nell’ottica di potenziare i requisiti di qualità e trasparenza del procedimento di mediazione, prevedendo, al comma 2, lettera a), che il mediatore sia obbligato a sottoscrivere, per ciascun affare per il quale è designato, una dichiarazione di indipendenza, oltre che di imparzialità.

La lettera b) del medesimo comma è stata modificata al fine di prevedere l’obbligo, in capo al mediatore, di comunicare, al responsabile dell’organismo e alle parti, tutte le circostanze sopravvenute nel corso della procedura, idonee a incidere sulla sua indipendenza e imparzialità.

Inoltre alla lettera c) è imposto l’ulteriore onere al mediatore di formulare le proposte di conciliazione nel rispetto del limite dell’ordine pubblico e delle norme imperative, mentre alla lettera d) quello di corrispondere immediatamente a ogni richiesta organizzativa del responsabile dell’organismo.

 

Lettera s)

L’articolo 15 del d.lgs. n. 28 del 2010, dedicato alla mediazione nell’azione di classe, è stato modificato esclusivamente allo scopo di aggiornare il testo alle disposizioni nel frattempo adottate, che hanno dato diversa collocazione alla disciplina dell’azione di classe, portandola all’interno del codice di procedura civile, in particolare, per quanto qui di rilievo, nell’articolo 840-bis.

 

Lettera t)

Il principio di delega di cui all’articolo 1, comma 4, lettera a), in relazione alle procedure alternative di risoluzione delle controversie, prevede tre ambiti di intervento: il riordino, semplificazione e ampliamento degli incentivi fiscali, l’estensione del patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione e negoziazione assistita e l’ampliamento delle categorie di beneficiari e l’aumento degli incentivi fiscali. Tali misure sono finalizzate a favorire e incentivare il ricorso e la diffusione delle forme complementari di risoluzione delle controversie che si realizzano con la composizione transattiva della controversia in tal modo contribuendo, quale ulteriore conseguenza, alla deflazione del contenzioso giudiziario.

L’attuazione di tali ampi e complessi criteri di delega è stata effettuata mediante interventi di modifica degli articoli 17 e 20 del d.lgs. n. 28 del 2010 e mediante l’inserimento di un nuovo capo II-bis nel d.lgs. n. 28 del 2010 contenente la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui le parti, in ottemperanza al dovere di esperire un tentativo di mediazione, definiscono la controversia senza ricorrere al giudice.

Per quanto riguarda il patrocinio a spese dello Stato, il principio di delega è interpretato, conformemente alle previsioni di spesa e di copertura finanziaria della legge n. 206 del 2021, nel senso di prevedere l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure di mediazione e di negoziazione assistita, nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale (che, in attuazione del principio contenuto nell’articolo 1, comma 4, lettera c), sono estesi per la mediazione alle controversie in materia di contratti di associazione in partecipazione, di consorzio, di franchising, di opera, di rete, di somministrazione, di società di persone e di subfornitura).

All’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 206 del 2021, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 10 del 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 74, comma 2, e 75, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» (nel prosieguo, TUSG), nella parte in cui non prevedono che il patrocinio a spese dello Stato sia applicabile anche all’attività difensiva svolta nell’ambito dei procedimenti di mediazione di cui all’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 28 del 2010, quando nel corso degli stessi è stato raggiunto un accordo, nonché dell’art. 83, comma 2, TUSG, nella parte in cui non prevede che, in tali fattispecie, alla liquidazione in favore del difensore provveda l’autorità giudiziaria che sarebbe stata competente a decidere la controversia.

L’intervento è volto quindi a colmare tale lacuna, introducendo un meccanismo che consenta l’accesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui la mediazione sia condizione di procedibilità della domanda giudiziale e sia raggiunto l’accordo prima di adire l’autorità giudiziaria.

Si è ritenuto di non collocare tale intervento all’interno del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» (nel prosieguo, TUSG), ma nel d.lgs. n. 28 del 2010.

Nel sistema del TUSG, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si struttura in due fasi: in una prima fase, viene deliberata l’ammissione in via anticipata e provvisoria della parte non abbiente al beneficio ad opera del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati; in una seconda fase, l’autorità giudiziaria che procede, all’esito della lite, conferma l’ammissione provvisoria e provvede alla liquidazione del compenso considerando quantità e qualità dell’attività processuale svolta dal difensore, applicando i pertinenti parametri legati al valore della controversia, con falcidia del 50% e con obbligo del rispetto del valori medi. Una volta effettuata la liquidazione e adottato il decreto di pagamento, il sistema prevede che appositi uffici procedano all’erogazione delle somme e stabilisce che lo Stato proceda all’azione di recupero di tali somme nei confronti della parte processuale rimasta totalmente o parzialmente soccombente rispetto alla parte ammessa al beneficio.

Tale complessivo sistema appare difficilmente adattabile alle ipotesi nelle quali la parte non abbiente è tenuta ad avviare una procedura di risoluzione alternativa delle controversie (negoziazione assistita o mediazione) che si concluda con l’accordo prima dell’avvio di un’azione giudiziale. In tale ipotesi, infatti, la controversia è risolta senza necessità di proporre domanda giudiziale e, alla conclusione del procedimento, non risulterà possibile individuare una parte “soccombente” in senso tecnico-processuale nei confronti della quale avviare un’azione di recupero delle spese di lite corrisposte, in forza del patrocinio a spese dello Stato.

Si deve poi considerare che l’eventuale previsione di un apposito procedimento che imponga alla parte non abbiente e al suo difensore, a conclusione della procedura di mediazione, di adire l’autorità giurisdizionale al solo scopo di ottenere la liquidazione del compenso, si pone in contrasto con i generali obiettivi di semplificazione e celerità che la legge n. 206 del 2021 si prefigge di raggiungere anche nel settore degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

Si ritiene, per queste ragioni, che il principio di delega non possa essere attuato mediante novella del TUSG in considerazione degli evidenziati aspetti di asistematicità rispetto al vigente sistema della liquidazione giudiziale. Si è pertanto previsto l’inserimento nel d.lgs. n. 28 del 2010 del capo II-bis, i cui articoli da 15-bis a 15-duocecies contengono la speciale disciplina del patrocinio a spese dello Stato per le controversie per le quali l’esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità ex lege, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, l’assistenza dell’avvocato è obbligatoria e la procedura si conclude con la conciliazione senza ricorso al giudice.

In proposito si evidenzia che la collocazione della disciplina della ammissione al beneficio e della determinazione, liquidazione, riconoscimento ed erogazione del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte ammessa al patrocinio dello Stato in una procedura di mediazione, in un testo normativo diverso dal TUSG, non risulta incompatibile, in termini sistematici, con la citata sentenza della Corte Costituzionale n. 10 del 2021 che, al punto 11, ha precisato che “[r]imane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio”.

La disciplina speciale adottata in attuazione della delega è destinata, infine, ad essere applicata nei casi nei quali, a causa delle circostanze del caso concreto, la procedura di mediazione non ha comportato, durante il suo intero svolgimento, di svolgere una parte della lite in sede giurisdizionale. Tale differente ambito di applicazione delle due discipline induce a non intervenire sul vigente TUSG.

Tanto premesso, la disciplina attuativa del principio di delega in esame riproduce le disposizioni del TUSG che costituiscono espressione dei principi generali del patrocinio a spese dello Stato in materia civile e che sono compatibili con la specificità della fattispecie regolata in attuazione della delega legislativa.

In particolare, sono state riproposte le stesse condizioni di accesso al beneficio della parte non abbiente, non essendovi ragioni per adottare una disciplina differenziata per il caso in cui la richiesta del patrocinio a spese dello Stato è necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale o a una procedura alternativa, che deve essere obbligatoriamente instaurata prima di adire il giudice.

L’articolo 15-bis del d.lgs. n. 28 del 2010 è dedicato alla istituzione del patrocinio in queste ipotesi, così colmando il vuoto di tutela evidenziato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 10 del 2022. Il comma 2 indica i casi di esclusione dal beneficio, come delineati nel TUSG, in quanto costituenti, salvo specifica eccezione, ipotesi presunte di abuso dello strumento.

L’articolo 15-ter del d.lgs. n. 28 del 2010 fissa, in conformità alle disposizioni vigenti, il limite di reddito per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 15-quater del d.lgs. n. 28 del 2010, al comma 1, stabilisce il contenuto necessario dell’istanza di ammissione e al comma 1 prevede espressamente la possibilità, per chi si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di farne richiesta al fine di proporre domanda di mediazione o di partecipare alla relativa procedura.

Il comma 2 riprende, in quanto compatibile, la disciplina del TUSG sulla redazione e sottoscrizione dell’istanza per l’ammissione, prevedendo poi che nell’istanza siano indicate le ragioni di fatto e di diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere con la procedura di mediazione. Benché la procedura di mediazione non sia equiparabile al processo che si svolge davanti al giudice, in quanto non comporta una valutazione di fondatezza o infondatezza delle contrapposte pretese e non si conclude con un provvedimento assimilabile a una pronuncia giurisdizionale, si è ritenuto di mantenere questo requisito negli esatti termini previsti dal TUSG, in quanto indispensabile per consentire all’organo competente a ricevere l’istanza a valutare la meritevolezza del beneficio richiesto dalla parte non abbiente. Anche sotto questo profilo, ferme restando le differenze intrinseche tra mediazione e processo, non vi è ragione di adottare una disciplina differenziata.

Tale valutazione, che opera su un piano diverso da quello del procedimento di mediazione, ha la diversa e specifica finalità di prevenire che il beneficio sia strumentale al perseguimento di pretese manifestamente infondate, e di consentire la verifica dell’ulteriore condizione di accesso alla misura che, nel caso della mediazione, consiste nella necessaria riconducibilità della pretesa alle controversie per le quali la mediazione è prevista dalla legge come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Il comma 3 disciplina le modalità di attestazione, per lo straniero o l’apolide, della condizione reddituale. Si è tenuto conto delle modifiche, già intervenute, sull’articolo 79 del TUSG, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 157 del 2021 che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, nel caso in cui, per causa non imputabile, risulti impossibile presentare la certificazione dell’autorità consolare competente di produrre (con conseguente inammissibilità della richiesta) una dichiarazione sostitutiva secondo le norme vigenti.

L’articolo 15-quinquies del d.lgs. n. 28 del 2010 individua il Consiglio dell’ordine degli avvocati competente nel Consiglio che ha sede nel luogo dove si trova l’organismo di mediazione competente ad esperire la procedura.

Si è mantenuto il meccanismo, già previsto dal TUSG, dell’ammissione anticipata e provvisoria da parte di tale organo, in considerazione del fatto che l’ammissione definitiva, come chiaramente indicato all’articolo 15-bis, è condizionata alla dimostrazione del raggiungimento dell’accordo di conciliazione.

In caso contrario, infatti, la parte ammessa in via provvisoria, avendo soddisfatto la condizione di procedibilità, è legittimata a presentare domanda giudiziale e, in tal caso, la liquidazione del compenso al difensore della parte non abbiente avviene secondo le regole del TUSG.

L’articolo 15-sexies del d.lgs. n. 28 del 2010, nell’ottica della tutela effettiva del diritto al patrocinio, individua il rimedio giudiziale esperibile in caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilità della domanda di ammissione, avverso il provvedimento emesso dal Consiglio dell’ordine degli avvocati. Si tiene conto del fatto che, nelle ipotesi regolate, non è previsto l’esperimento della domanda davanti al giudice.

L’articolo 15-septies del d.lgs. n. 28 del 2010 disciplina gli effetti dell’ammissione anticipata al beneficio e la procedura di conferma dell’ammissione anticipata.

Il comma 1 contiene la clausola generale di validità dell’ammissione anticipata per l’intera procedura di mediazione.

Il comma 2 stabilisce che la parte ammessa al patrocinio non è tenuta a versare all’organismo di mediazione le indennità previste dall’articolo 17, commi 3 e 4. Per completezza si evidenzia che per tali indennità non esigibili dalla parte non abbiente, l’articolo 20 attribuisce, in conformità ad apposito principio di delega, un corrispondente credito di imposta all’organismo di mediazione.

I commi 3 e 4 disciplinano le condizioni per la conferma dell’ammissione anticipata, che deve essere attivata dall’avvocato che assiste la parte non abbiente che è tenuto a tal fine a documentare il raggiungimento dell’accordo, atto che, ai sensi dell’articolo 11, comma 3, deve contenere l’indicazione del suo valore, indispensabile per la determinazione del corretto parametro di liquidazione del compenso. In tal modo, la procedura di liquidazione viene snellita e limita eventuali controversie avanti al Consiglio dell’ordine sulla corretta individuazione del parametro da applicare. Il Consiglio dell’ordine è tenuto a svolgere, in base a tale comma, oltre alla verifica formale di completezza della documentazione a corredo dell’istanza, anche una valutazione di congruità del compenso, determinato in conformità all’articolo 15-octies, e a confermare in caso di esito positivo l’ammissione tramite apposizione del visto di congruità sulla parcella, trasmettendone copia all’ufficio finanziario competente per le verifiche di competenza.

Il comma 5 riproduce il divieto, per l’avvocato della parte ammessa al beneficio, di percepire dal cliente compensi o rimborsi e sanziona con la nullità eventuali patti contrari e viene richiamato l’articolo 85, comma 3, TUSG che stabilisce che la violazione di tale divieto costituisce “grave illecito disciplinare professionale”.

L’articolo 15-octies del d.lgs. n. 28 del 2010 disciplina la determinazione del compenso autoliquidato dal difensore, da sottoporre al vaglio di congruità di cui all’articolo 15-septies, rimandando a un decreto ministeriale per l’individuazione degli importi spettanti all’avvocato a titolo di onorario e di spese nonché delle modalità con cui l’avvocato deve compilare la dichiarazione di autoliquidazione. Si mira a introdurre così un sistema chiaro e procedimentalizzato, che ponga il Consiglio dell’ordine in condizione di operare senza complicazioni, avendo a disposizione anche il documento contenente l’accordo di conciliazione, tutti i controlli di conformità prodromici alla adozione del provvedimento di conferma dell’ammissione anticipata e alla verifica di congruità del compenso prevista dal comma 4 dell’articolo 15-septies.

La norma prevede altresì, in un’ottica di semplificazione, accelerazione ed effettività del riconoscimento del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte in una procedura di mediazione, che il professionista possa accedere a forme di riconoscimento diverse dalla materiale erogazione delle somme, quali il riconoscimento di un credito di imposta e la possibilità di compensare tale credito con altri crediti che il professionista vanta nei confronti dell’Erario, sulla scorta di quanto attualmente prevede l’articolo 1, commi 778 e 779, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

L’articolo 15-novies del d.lgs. n. 28 del 2010 disciplina i casi di revoca del provvedimento di ammissione e i rimedi contro tale decisione. Si tratta di norma di chiusura necessaria, che stabilisce in che modo si procede a revoca nei casi in cui sia accertato che una parte ha fruito del beneficio pur non avendone diritto.

Il comma 1 prevede quindi che ove sia accertata dalle autorità competenti l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione, ne sia data notizia al Consiglio dell’ordine che ha adottato il provvedimento di ammissione.

Il comma 2, nella medesima prospettiva, prevede che siano comunicate al medesimo organo anche le modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali che escludono il diritto di essere ammessi al beneficio ponendosi a carico della parte non abbiente l’onere di comunicare al proprio avvocato eventuali modifiche reddituali sopravvenute idonee a incidere sulle condizioni di ammissione. Si tratta di una necessaria norma di chiusura del sistema, considerando la brevità del termine di durata della procedura di mediazione e la prevedibile rarità dei casi in cui in concreto, in tale breve spazio di tempo, sopravvengano mutamenti del reddito, rispetto alla dichiarazione dell’anno precedente, tali da mettere in discussione il mantenimento del diritto al beneficio.

Il comma 3 prevede che il Consiglio dell’ordine, ricevuta una di queste comunicazioni ed effettuate le verifiche ritenute necessarie, procede alla revoca del provvedimento di ammissione, da comunicare all’interessato, all’avvocato e all’organismo di mediazione.

Il comma 4 individua il rimedio giurisdizionale attivabile per contestare la revoca, con richiamo della procedura attualmente prevista dal TUSG.

L’articolo 15-decies del d.lgs. n. 28 del 2010 riproduce le sanzioni attualmente previste dall’articolo 125 TUSG per chi effettua false attestazioni per ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio e, come previsto anche nel TUSG, attribuisce alla Guardia di finanza il compito di effettuare, nel contesto dei programmi annuali di controllo fisale, anche i controlli dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 15-undecies del d.lgs. n. 28 del 2010 contiene infine le disposizioni di copertura finanziaria per l’attuazione delle descritte disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato nella procedura di mediazione.

 

Lettera u)

Nella rubrica del Capo III è stato inserito riferimento agli enti di formazione per riflettere la nuova disciplina introdotta sul punto.

 

Lettera v)

L’articolo 16 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato modificato con l’aggiunta del comma 1-bis, che opera una revisione e inserisce nella norma primaria i requisiti necessari perché gli organismi di mediazione siano abilitati a gestire i relativi procedimenti ed essere quindi iscritti nel registro previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 28 del 2010.

In particolare sono stati individuati in modo specifico i requisiti comprovanti la serietà, costituiti dalla onorabilità dei soci, amministratori, responsabili e mediatori degli organismi, dalla previsione, nell’oggetto sociale o nello scopo associativo, dello svolgimento, da parte dell’organismo, in via esclusiva, di attività consistente nell’erogazione di servizi di mediazione, conciliazione o risoluzione alternativa delle controversie e di formazione nei medesimi ambiti, oltre a una dichiarazione di impegno a non prestare servizi di mediazione conciliazione e risoluzione di controversie in tutti i casi nei quali l’organismo stesso ha un interesse nella lite.

Il comma 1-ter contiene l’individuazione dei requisiti comprovanti l’efficienza, consistenti nella adeguatezza e trasparenza dell’organizzazione, anche per quanto concerne gli aspetti amministrativi e contabili, nella capacità finanziaria, nella qualità dei servizi erogati, della qualificazione professionale del responsabile dell’organismo e degli stessi mediatori.

Il comma 3 è stato modificato al fine di prevedere che nel regolamento che l’organismo di mediazione allega alla domanda di iscrizione nel registro, siano espressamente indicate non solo le tabelle delle indennità spettanti agli organismi, ma anche i relativi criteri di calcolo.

Il comma 4-bis è stato modificato esclusivamente al fine di aggiornare il riferimento normativo al codice deontologico forense. È stato sostituito il riferimento all’articolo 55-bis con il riferimento corretto all’articolo 62 di tale codice.

Il comma 5 è stato modificato esclusivamente al fine di coordinare il testo vigente con l’introduzione del nuovo articolo 16-bis, dedicato alla disciplina degli enti di formazione, il cui elenco, effettivamente istituito con il D.M. n. 180 del 2010 adottato in attuazione del comma 5, dovrà essere tenuto in conformità dei nuovi specifici criteri per l’iscrizione degli enti di formazione.

 

Lettera z)

L’articolo 16-bis del d.lgs. n. 28 del 2010, in attuazione delle lettere l) e n), del comma 4 dell’unico articolo della legge delega è stato introdotto al fine di individuare i requisiti necessari per l’iscrizione degli enti di formazione nell’elenco istituito e tenuto presso il Ministero della giustizia.

Si è scelto di adottare, quanto ai requisiti di serietà ed efficienza, gli stessi criteri previsti per gli organismi di mediazione, non essendovi ragione di prevedere una disciplina differenziata.

Il comma 1 fissa il principio secondo cui l’iscrizione all’elenco degli enti di formazione è condizionato alla dimostrazione dei requisiti di serietà ed efficienza, come definiti dall’articolo 16, commi 1-bis e 1-ter.

Il comma 2 contiene, in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera n), la previsione di uno specifico e ulteriore requisito richiesto come condizione per l’iscrizione, o per il suo mantenimento, costituito dall’obbligo, per l’ente di formazione, di nominare un responsabile scientifico di chiara fama e esperienza nel settore, cui sono attribuiti specifici compiti, e che deve assicurare la qualità della formazione erogata dall’ente, la sua completezza, oltre che l’adeguatezza e l’aggiornamento del percorso formativo offerto, che non può essere disgiunto dalla stessa competenza dei formatori. Proprio nell’ottica di responsabilizzare gli enti di formazione a reperire, attraverso il responsabile, i formatori dotati della migliore esperienza è stata espressamente prevista la possibilità di valorizzare anche le competenze maturate all’estero. Inoltre, il responsabile della formazione ha lo specifico onere di comunicare costantemente al Ministero della giustizia, i programmi formativi via via predisposti, completi dei nominativi dei formatori scelti per il loro svolgimento.

Il comma 3 prevede inoltre che con decreto ministeriale siano individuati i più specifici requisiti di qualificazione richiesti ai mediatori e ai formatori per iscriversi negli elenchi tenuti presso il Ministero della giustizia o per mantenere tale iscrizione dopo l’entrata in vigore delle modifiche apportate al decreto legislativo n. 28 del 2020 e al D.M. n. 180 del 2010. La completa attuazione delle modifiche apportate all’articolo 16 e con l’introduzione del nuovo articolo 16-bis sarà completata, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo di attuazione della legge delega, apportando le pertinenti modifiche al DM n.180 del 2010 al fine di prevedere, tra l’altro, che per l’iscrizione nel registro, occorre partecipare ad un corso di formazione iniziale per mediatori e ad un numero minimo di procedure di mediazione presso un organismo di mediazione, che coloro che non hanno conseguito una laurea in discipline giuridiche attestano adeguata preparazione attraverso la partecipazione a specifici corsi formativi nelle discipline giuridiche, che dopo l’iscrizione nel registro, i mediatori sono tenuti all’aggiornamento permanente mediante la partecipazione a corsi di formazione; che per mantenere l’iscrizione nel registro, gli avvocati iscritti all’albo sono tenuti ad adempiere a specifici obblighi minimi di formazione, che dopo l’iscrizione nell’elenco, i formatori sono tenuti all’aggiornamento permanente mediante la partecipazione a corsi di formazione, che le attività di formazione possono svolgersi in presenza o mediante collegamento audiovisivo da remoto, che il responsabile scientifico degli enti di formazione, nell’adempimento dei compiti di cui all’articolo 16-bis, comma 2, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 218, possa svolgere appositi compiti quali: approvare i programmi erogati dall’ente unitamente ai nomi dei formatori incaricati e ai calendari di svolgimento dei corsi di formazione, certificare l’equivalenza della formazione di aggiornamento eventualmente svolta dai formatori presso enti e istituzioni con sede all’estero, certificare per singole attività formative l’idoneità di formatori anche stranieri non accreditati dal Ministero della giustizia, rivedere i parametri per la determinazione dell’onorario e delle spese spettanti all’avvocato ai sensi dell’articolo 15-octies, comma 1, nonché per la revisione delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle indennità spettanti agli organismi di mediazione. Tali interventi, coerenti con i principi di delega, considerati anche gli ambiti regolati dal DM n.180 del 2010, trovano adeguata collocazione nella normativa secondaria.

 

Lettera aa)

L’articolo 17 del d.lgs. n. 28 del 2010 è stato sostituito, in attuazione del principio di cui alla lettera a) del comma 4.

Il comma 1 (che recepisce quanto precedentemente contenuto nel comma 2 dell’articolo 17) sancisce il principio, compatibile con i principi della legge delega in materia, secondo cui documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.

Il comma 2 dispone che il verbale contenente l’accordo di conciliazione è l’atto esente da imposta di registro ed eleva (rispetto al previgente comma 3) il limite di esenzione da cinquantamila a centomila euro.

Il comma 3 attua il principio di delega avente ad oggetto la riforma delle spese di avvio della procedura di mediazione e delle relative indennità, e stabilisce che ciascuna parte è tenuta a versare, al momento della presentazione della domanda di mediazione o dell’adesione, le spese di avvio della procedura di mediazione e le spese di mediazione per il primo incontro, precisando che quando la mediazione si conclude senza l’accordo al primo incontro, le parti non sono tenute a corrispondere importi ulteriori.

Viene quindi meno, quale aspetto di particolare rilievo della riforma del regime delle spese e indennità di mediazione, oltre che di rafforzamento della sua effettività e qualità, il principio della sostanziale gratuità del primo incontro di mediazione.

Il comma 4 introduce un ulteriore principio secondo cui sono previsti importi specifici e differenziati nel caso in cui il primo incontro si concluda con un accordo e nel diverso caso in cui la procedura di mediazione richieda lo svolgimento di più incontri. Il comma pone a carico degli organismi di mediazione, al fine di migliorare la trasparenza della procedura, l’onere di rendere noti, nel proprio regolamento, gli importi che sono richiesti a questo titolo.

Il comma 5 prevede i contenuti del decreto ministeriale di cui all’articolo 16, comma 2, riportando quanto già previsto dal previgente comma 4 e aggiungendo, alla lettera c), che il decreto ministeriale deve anche fissare e disciplinare le indennità per le spese di avvio e per le spese di mediazione previste per il primo incontro che, come osservato in precedenza, a seguito della riforma dovranno essere sempre corrisposte e, alla lettera f), che il medesimo decreto deve anche fissare i criteri per la determinazione del valore dell’accordo di conciliazione, elemento necessario per la semplificazione della determinazione del compenso spettante all’avvocato che assiste la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato nei casi in cui all’articolo 5, comma 1, e in armonia con quanto si prevede all’articolo 15-septies, comma 4.

Il comma 6, in accordo con la nuova disciplina del patrocinio a spese dello Stato prevista per le procedure di mediazione di cui all’articolo 5, comma 1, e 5-quater, precisa che la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato non è tenuta a versare né spese di avvio, né spese di mediazione (per il primo incontro e per gli incontri ulteriori). Il relativo importo, come indicato in relazione agli interventi operati sull’articolo 20, comma 4, può essere recuperato dall’organismo di mediazione mediante richiesta di riconoscimento di un corrispondente credito di imposta.

Il comma 7 mantiene la previsione di un onere in capo al Ministero della giustizia di monitorare le “mediazioni concernenti i soggetti esonerati dal pagamento dell’indennità di mediazione”, già contenuta nel previgente comma 6, mentre si è ritenuto di sopprimere la parte relativa alla determinazione delle indennità spettanti agli organismi di mediazione, divenuta incompatibile con la nuova disciplina in materia di patrocinio a spese dello Stato nel procedimento di mediazione.

Il comma 8 contiene il principio di rideterminazione triennale dell’ammontare delle indennità previste per gli organismi di mediazione.

Il comma 9 contiene la norma di copertura finanziaria.

 

Lettera bb)

La legge delega, oltre alla semplificazione di tutte le procedure per il riconoscimento di tali crediti, prevede l’incremento del vigente ammontare dell’esenzione dall’imposta di registro sugli accordi di conciliazione; il riconoscimento per le parti della procedura di mediazione, di un credito di imposta commisurato al compenso corrisposto all’avvocato, un credito di imposta per il contributo unificato versato per il giudizio estinto a seguito di accordo raggiunto in sede di mediazione. È inoltre previsto un credito di imposta per gli organismi di mediazione, commisurato all’indennità non esigibile dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato.

All’articolo 20 del del d.lgs. n. 28 del 2010 sono quindi state apportate puntuali modifiche per recepire gli specifici criteri dettati in tale ambito dalla legge delega.

La rubrica è stata modificata per renderla coerente con il nuovo contenuto dell’articolo, che prevede non solo un ampliamento dei crediti di imposta riconosciuti alle parti della procedura di mediazione, ma anche un credito di imposta per la prima volta riconosciuto a favore degli organismi di mediazione.

Il comma 1 viene interamente riformulato al fine di prevedere l’aumento dell’importo massimo del credito d’imposta riconosciuto alla parte per l’indennità corrisposta all’organismo di mediazione (che viene portato da cinquecento a seicento euro). Tale importo, secondo quanto prevedono i commi 3 e 4 dell’articolo 17, introdotti in attuazione di appositi principi di delega, comprende le spese di avvio e le spese del primo incontro di mediazione e degli eventuali ulteriori importi a seconda che il primo incontro si concluda con un accordo o che la procedura prosegua con incontri ulteriori.

Nel medesimo comma viene introdotto un nuovo credito d’imposta in favore delle parti, riconoscibile nei soli casi in cui casi in cui la mediazione è condizione di procedibilità della domanda nelle controversie di cui all’articolo 5, comma 1, e quando il giudice demanda le parti in mediazione (restando quindi esclusa l’ipotesi di mediazione su clausola contrattuale o statutaria di cui al nuovo articolo 5-sexies in quanto si tratta di un’ipotesi nella quale la condizione di procedibilità deriva dalla volontà delle parti). Tale credito di imposta è commisurato al compenso corrisposto dalla parte al proprio avvocato, nei limiti previsti dai parametri forensi, per l’assistenza nella procedura di mediazione, nel limite di euro seicento.

Il comma 2, per assicurare il rispetto della copertura finanziaria, fissa il tetto massimo all’importo complessivo di cui la parte può beneficiare a titolo di credito d’imposta nei casi previsti dal comma 1. Si prevede, dunque, che per tali crediti alla parte può essere riconosciuto un credito di imposta fino ad euro seicento per procedura e un tetto massimo annuale fino a euro duemilaquattrocento per le persone fisiche, e fino a euro ventiquattromila per le persone giuridiche. Si è scelto di introdurre un tetto massimo annuale differenziato per le persone fisiche e per le persone giuridiche in considerazione del fatto che, anche a causa dello svolgimento di molte attività in forma associata, le persone giuridiche sono più frequentemente coinvolte in procedure di mediazione, con conseguente diritto a vedersi riconoscere i crediti d’imposta di nuova introduzione (è sul punto sufficiente considerare le materie per le quali è prevista, ed è stata ampliata, la condizione di procedibilità ai sensi dell’articolo 5, comma 1). La fissazione di un tetto differenziato ha lo scopo di evitare che le risorse a copertura di tali interventi siano assorbite in maniera sproporzionata dai crediti di imposta delle persone giuridiche, fattore che potrebbe ostacolare le finalità del principio di delega, ossia diffondere la cultura della mediazione anche nelle controversie che vedono come parti le persone fisiche.

L’ultimo periodo del comma ribadisce la regola, contenuta nella precedente formulazione del comma 1, secondo cui, in caso di insuccesso della mediazione, i crediti di imposta sono ridotti della metà. Sotto questo profilo non vengono apportate innovazioni al regime vigente.

Il comma 3 è stato introdotto al fine di attuare il principio di delega avente ad oggetto il riconoscimento di un ulteriore credito d’imposta a beneficio della parte, commisurato al contributo unificato versato per il giudizio estinto a seguito della conclusione di un accordo di conciliazione. In tal caso il limite massimo esigibile è stato fissato in euro cinquecentodiciotto (importo corrispondente a quanto dovuto a titolo di contributo unificato per i processi civili di valore indeterminabile). La collocazione di tale beneficio fiscale in questo comma trova la sua ragione nel fatto che si tratta di importo non assoggettato al limite massimo previsto dal comma 2.

Il comma 4 è stato introdotto al fine di attuare il principio di delega avente ad oggetto il riconoscimento di un credito d’imposta in favore degli organismi di mediazione. Il beneficio è riconosciuto quando partecipa alla procedura di mediazione una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato che, per effetto dell’ammissione, non è tenuta a versare alcuna indennità all’organismo di mediazione, al quale spetta, invece, in misura corrispondente, un credito di imposta per il quale è previsto un limite annuale di euro ventiquattromila.

Il comma 5 prevede che venga adottato, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle disposizioni attuative della legge n. 206 del 2021, un decreto ministeriale finalizzato a disciplinare le procedure che dovranno essere seguite per il riconoscimento dei crediti d’imposta sopra descritti, anche per quanto concerne l’individuazione della documentazione da esibire a corredo della richiesta e dei controlli sull’autenticità della stessa, e per definire le modalità di trasmissione in via telematica all’Agenzia delle entrate dell’elenco dei beneficiari e dei relativi importi a ciascuno comunicati. Infine, i commi 6 e 7 contengono le disposizioni di copertura finanziaria per l’attuazione delle disposizioni contenute nell’articolo 20.

 

Art. 8 – (Modifiche alla legge 14 gennaio 1994, n. 20)

 

La lettera g) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega contiene un criterio volto ad incentivare la conclusione di accordi da parte delle amministrazioni pubbliche, disponendo che per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dà luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.

L’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), è stato pertanto modificato con l’aggiunta del comma 1-01.bis, al fine di prevedere che la responsabilità contabile dei rappresentanti delle amministrazioni pubbliche che concludono un accordo di conciliazione nei soli casi di dolo e colpa grave, definita quest’ultima come “negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti”.

È stato inoltre inserito, nel d.lgs. n. 28 del 2010, l’articolo 11-bis al fine di effettuare un espresso richiamo alla nuova disposizione della legge n. 20 del 1994 che trova applicazione nei casi di accordo conciliativo sottoscritto, in sede di mediazione, dalle amministrazioni pubbliche.

Il principio di delega, che si ricollega al potere transattivo della pubblica amministrazione, fa espresso riferimento all’accordo di conciliazione che può essere raggiunto dai rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, laddove se ne ravvisi la convenienza economica, tanto nel corso di un procedimento di mediazione quanto nel corso di un procedimento giudiziale, introducendo in tali ipotesi una limitazione della responsabilità per danno erariale, che viene circoscritta ai casi di colpa particolarmente grave, rappresentata dalla negligenza inescusabile e dall’irragionevolezza, oltre che per dolo.

Una limitazione della responsabilità per danno erariale, di cui all’art. 1 della legge n. 20 del 1994, è già stata introdotta dall’art. 21 del decreto-legge n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020, e successivamente con il decreto-legge n. 77 del 2021, convertito dalla legge n. 108 del 2021, che ha previsto, nell’ambito della disciplina legata all’emergenza pandemica, che, per i fatti commessi fino al 30 giugno 2023, il funzionario è tenuto a rispondere solo dei danni conseguenti ad una condotta dolosamente posta in essere voluta, ferma restando la responsabilità per quelli causati da omissione o inerzia.

Il principio di delega attuato dalla presente norma si pone su un piano diverso rispetto al cosiddetto scudo erariale introdotto dalla normativa emergenziale, che ha lo scopo di disincentivare quelle inefficienze che possono derivare dal timore dei funzionari pubblici di incorrere in responsabilità, e che ha portato alla sostanziale, sebbene temporanea, eliminazione della responsabilità contabile per colpa grave. La finalità della presente norma, invece, non è legata principalmente ad esigenze di de-burocratizzazione o di de-giurisdizionalizzazione quanto a quella di favorire l’utilizzo degli strumenti privatistici e del potere transattivo da parte della pubblica amministrazione nell’ambito dell’attività non autoritativa e dei diritti disponibili.

Per questo l’attuazione di tale principio di delega ha imposto di modificare l’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994 n. 20, che disciplina l’azione di responsabilità per tutti i soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti, e di aggiungere una disposizione che espressamente garantisce al funzionario che partecipa ad un procedimento di mediazione la possibilità di raggiungere un accordo conciliativo senza il timore di incorrere nella responsabilità contabile. Tale limitazione opera, in conformità alla legge delega, a condizione che il funzionario abbia agito nel rispetto dei criteri di adeguatezza e di proporzionalità, nonché di logicità e razionalità che devono sempre caratterizzare l’agire della pubblica amministrazione. Si evidenzia, inoltre che, analoga limitazione di responsabilità si applica al funzionario che concilia la controversia che pende innanzi all’autorità giudiziaria, sia con l’adesione alla proposta formulata dal giudice ai sensi dell’art. 185-bis sia attraverso la conciliazione giudiziale.

Con l’attuazione del principio di delega nei termini esposti risulta tendenzialmente precluso al giudice contabile di valutare le scelte discrezionali del funzionario pubblico, in generale sottratte al sindacato giurisdizionale purché non irragionevoli ed irrazionali, che lo abbiano indotto a conciliare la controversia attraverso una transazione palesemente vantaggiosa, ovviamente nel rispetto dell’iter procedimentale previsto e degli obblighi di motivazione del provvedimento che autorizza l’accordo.

La legge delega e la sua attuazione tengono conto, infine, della interpretazione delle norme sulla responsabilità contabile da parte della giurisprudenza (cfr. Corte Conti, Sez. giur. Umbria, sentenza 24 febbraio 2022 n. 9) che valuta favorevolmente le delibere dell’amministrazione che autorizzano gli accordi transattivi in materia di diritti disponibili, una volta accertata la ragionevole proporzionalità tra costi e benefici, che servano ad evitare oppure a definire una controversia.

 

Art. 9 – (Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 132)

 

Comma 1

Lettera a)

Nell’ottica della semplificazione della procedura si è proceduto a eliminare, alla rubrica del Capo II (e ovunque ricorresse) la possibilità che le parti possano essere assistite da “uno o più” avvocati, così da uniformare il procedimento alle ipotesi di cui agli articoli 2-ter, 4-bis, 4-ter e 6, nelle quali è previsto che vi sia almeno un avvocato per parte.

 

Lettera b)

Per esigenze sistematiche, considerato l’inserimento di una più compiuta disciplina relativa al patrocinio a spese dello Stato, si è ritenuto di suddividere il Capo II in due sezioni; la sezione I è dedicata alla procedura di negoziazione assistita.

 

Lettera c)

Il primo comma è stato modificato in accordo con l’eliminazione della possibilità che le parti possano essere assistite da “uno o più” avvocati.

La legge n. 206 del 2021 prevede che anche le controversie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, fermo restando quanto prevede, l’articolo 412-ter possano essere oggetto di negoziazione assistita. L’articolo 2, comma 2, lettera b), d.l. n. 132 del 2014 è stato quindi modificato in attuazione di tale principio, al fine di eliminare la previsione che, nel testo previgente, escludeva espressamente la possibilità di ricorrere alla negoziazione assistita nelle controversie in materia di lavoro.

Si è introdotto un comma 2-bis al fine di prevedere la possibilità, con il consenso delle parti espresso nella convenzione di negoziazione assistita, di acquisire dichiarazioni di terzi su fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia nonché dichiarazioni della controparte sulla verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli alla parte nel cui interesse sono richieste (disciplinate, rispettivamente, negli articoli 4-bis e 4-ter). Il medesimo comma prevede, poi, che la negoziazione assistita possa avvenire con modalità telematiche, con il consenso delle parti, con riferimento sia alla formazione e alla trasmissione degli atti, sia all’effettuazione degli incontri con collegamento da remoto.

Infine, il comma 7-bis è stato inserito al fine di prevedere che, come richiesto dal criterio di cui alla lettera r), al fine di favorire e semplificare la procedura, le parti possano ricorrere, per la stipula della convenzione, ad apposito modello elaborato dal Consiglio nazionale forense.

 

Lettera d)

L’articolo 2-bis d.l. n. 132 del 2014 è stato inserito a fine di disciplinare le modalità di svolgimento della negoziazione assistita con mezzi telematici.

Al comma 1 si prevede che ciascun atto del procedimento, incluso l’accordo, debba essere formato e sottoscritto in conformità alla disciplina di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82. Sono anche disciplinate le modalità di trasmissione degli atti, consistenti nella posta certificata o recapito certificato qualificato, secondo quanto previsto dalla normativa anche regolamentare sulla trasmissione e ricezione dei documenti informatici.

Al comma 2 si prevede la possibilità per le parti di partecipare alla negoziazione assistita da remoto, con sistemi di collegamento che assicurino la reciproca udibilità e visibilità delle parti collegate. Si è precisato inoltre che il procedimento può essere svolto in modalità telematica anche solo parzialmente.

Il comma 3 espressamente esclude l’acquisizione per via telematica delle dichiarazioni dei terzi di cui all’articolo 4-bis da farsi necessariamente in modalità analogica e in presenza delle parti e degli informatori, per evidenti motivi di verifica della genuinità delle dichiarazioni e di assicurare al terzo la piena verificabilità delle modalità con cui le sue dichiarazioni vengono acquisite. Tale divieto non opera, invece, per le dichiarazioni confessorie di cui all’articolo 4-ter, che possono essere acquisite sia in modalità analogica che su documento informatico. In tal caso l’atto deve essere sottoscritto digitalmente dalla parte e dall’avvocato che l’assiste nella sua formazione. In caso di sottoscrizione analogica la firma dell’avvocato vale anche quale certificazione dell’autografia della parte assistita, certificazione non richiesta per l’atto firmato digitalmente dalla parte.

Il comma 4 prevede che, quando le parti sottoscrivono l’accordo con modalità analogica, la loro firma deve essere certificata dagli avvocati con firma digitale o altra tipo di firma elettronica qualificata o avanzata, nel rispetto della normativa applicabile.

L’articolo 2-ter del d.l. n. 132 del 2014 è stato inserito per disciplinare tale nuova ipotesi di negoziazione assistita nelle controversie di cui all’articolo 409 c.p.c., attraverso un procedimento alternativo a quello previsto dall’articolo 412 ter c.p.c., con la garanzia della difesa tecnica dell’avvocato che assiste ciascuna parte e con l’ulteriore garanzia della possibilità della parte che ritiene di avvalersene, di essere assistita da un consulente del lavoro, precisando altresì, secondo quanto previsto dai criteri di delega, che all’accordo così raggiunto si applica l’articolo 2113, quarto comma, del codice civile. Accogliendo le proposte della Commissione giustizia del Senato e della Camera formulate nei pareri espressi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge delega, poi, si è previsto che tale accordo debba essere trasmesso a uno degli organismi deputati alla certificazione dei contratti di lavoro previsti dall’articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276.

 

Lettera e)

L’articolo 3, comma 6, d.l. n. 132 del 2014 viene abrogato per essere sostituito dalla disciplina di cui agli articoli 11-bis e seguenti, inseriti in una nuova sezione II.

 

Lettera f)

La modifica contenuta nell’articolo 4, comma 1, d.l. n. 132 del 2014 inerente alla citazione dei soli commi primo, secondo e terzo, dell’articolo 96 del codice di procedura civile costituisce un intervento di coordinamento con le modifiche apportate alla norma in questione, il cui comma quarto, di nuova introduzione non è pertinente al contesto del comma di cui si discute.

 

Lettera g)

I criteri di cui alle lettere s) e t) del comma 4 dell’unico articolo della legge delega prevedono la possibilità di svolgere attività istruttoria stragiudiziale nell’ambito della negoziazione assistita.

Per dare attuazione a tali principi sono stati inseriti due nuovi articoli che disciplinano, rispettivamente, l’acquisizione delle dichiarazioni dei terzi e l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie, e sono state apportate modifiche all’articolo 371-ter del codice penale che prevede e punisce il reato di false dichiarazioni rese al difensore nell’ambito delle indagini difensive nel corso del procedimento penale.

Va preliminarmente evidenziato che la finalità principale delle disposizioni che consentono alle parti di svolgere attività istruttoria nell’ambito della negoziazione assistita è di metterle in condizione di acquisire tutti gli elementi che possono condurre, nel miglior modo, alla composizione della lite. I criteri di delega prevedono anche che tale attività istruttoria possa essere utilizzata in giudizio, ma si deve evidenziare che tale possibilità non costituisce lo scopo principale dell’innovazione in tema di istruttoria nelle procedure di negoziazione.

Si deve poi evidenziare che l’accordo delle parti sulla possibilità di acquisire le dichiarazioni, risultante dalla convenzione, è idoneo a superare gli obblighi di riservatezza di cui all’articolo 9, comma 3, del D.L. 132/2014 relativamente a tali dichiarazioni, rimanendo ovviamente riservate tutte le altre dichiarazioni rese e le informazioni acquisite nel corso del procedimento.

L’articolo 4-bis del d.l. n. 132 del 2014 è stato introdotto al fine di disciplinare l’acquisizione delle dichiarazioni di terzi su invito di ciascun avvocato e in necessaria presenza degli avvocati che assistono le altre parti.

Il comma 1 prevede che l’invito deve contenere l’indicazione specifica dei fatti sui quali il terzo è chiamato a rendere le dichiarazioni, che devono essere specificamente individuati e rilevanti in relazione all’oggetto della controversia. Si è ritenuto di specificare che le dichiarazioni devono essere assunte presso lo studio professionale dell’avvocato che rivolge l’invito o presso il Consiglio dell’ordine.

Il comma 2 prevede che l’informatore deve essere previamente identificato ed è invitato a dichiarare eventuali rapporti di parentela o di natura personale o professionale con le parti o un interesse nella causa. L’informatore deve inoltre essere preliminarmente avvisato della qualifica dei soggetti dinanzi ai quali rende le dichiarazioni e dello scopo della loro acquisizione, della facoltà di non rendere dichiarazioni, della facoltà di astenersi ai sensi dell’articolo 249 del codice di procedura civile, delle responsabilità penali conseguenti alle false dichiarazioni, del dovere di mantenere riservate le domande che gli sono rivolte e le risposte date e delle modalità di acquisizione e documentazione delle dichiarazioni.

Il comma 3 precisa che non può rendere dichiarazioni chi non ha compiuto il quattordicesimo anno di età e chi si trova nella condizione prevista dall’articolo 246 del codice di procedura civile.

Il comma 4 prevede che il verbale debba contenere, le domande rivolte all’informazione e le dichiarazioni da quest’ultimo rese, le sue generalità e quelle degli avvocati, unitamente all’attestazione che gli sono stati rivolti gli avvertimenti di cui al comma 2.

Il comma 5 prevede che il verbale così redatto, sottoscritto dall’informatore e dagli avvocati è consegnato in originale all’informatore e a ciascuna delle parti. La consegna di un originale all’informatore è misura necessaria a sua tutela per le eventuali responsabilità che possono essergli contestate.

Il comma 6 stabilisce che il documento redatto ai sensi del comma 5 fa piena prova di quanto gli avvocati attestano essere avvenuto in loro presenza, può essere prodotto in giudizio e valutato dal giudice ai sensi dell’articolo 116, primo comma, del codice di procedura civile. Il giudice può sempre disporre che l’informatore sia escusso come testimone.

Il comma 7 prevede che, quando la negoziazione si conclude senza l’accordo, la mancata adesione dell’invito da parte dell’informatore o il rifiuto di rendere le dichiarazioni consente alla parte che ne ha interesse di chiederne l’audizione davanti al giudice, nell’ambito di un procedimento in cui si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 693, 694, 695, 697 698 e 699 del codice di procedura civile in materia di procedimenti di istruzione preventiva.

L’articolo 4-ter del d.l. n. 132 del 2014 disciplina l’acquisizione delle dichiarazioni confessorie di una parte della convenzione di negoziazione.

Il comma 1 prevede che, quando ciò è previsto nella convenzione di negoziazione assistita, ciascun avvocato possa invitare la controparte a rendere per iscritto dichiarazioni su fatti sfavorevoli alla parte dichiaranti e favorevoli all’altra parte. L’invito deve indicare specificamente i fatti rilevanti in relazione all’oggetto della controversia. Le dichiarazioni sono poi sottoscritte dalla parte e dall’avvocato che la assiste, anche ai fini della certificazione dell’autografia della firma qualora le dichiarazioni siano rese in forma analogica.

Il comma 2 stabilisce che il documento contenente la dichiarazione fa piena prova di quanto l’avvocato attesta essere avvenuto in sua presenza e può essere prodotto in giudizio, con la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale ai sensi dell’articolo 2735 del codice civile.

Il comma 3 prevede che il rifiuto ingiustificato della parte invitata a rendere le dichiarazioni viene valutato dal giudice ai fini delle spese del giudizio e ai sensi dell’articolo 96, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile.

 

Lettera h)

L’articolo 5 del d.l. n. 132 del 2014 viene modificato con l’inserimento di un nuovo comma 1-bis al fine di prevedere che l’accordo che compone la controversia deve anche contenere l’indicazione del relativo valore. La modifica è necessaria per razionalizzare e semplificare la procedura di quantificazione del compenso, mediante l’individuazione, in apposito atto, del parametro di liquidazione, secondo quanto previsto dall’articolo 11-septies.

 

Lettera i)

Sono state introdotte, conformemente ai criteri contenuti nella lettera u) del comma 4, articolo 1, della legge delega, modifiche all’articolo 6 in materia di convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio, di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, di affidamento e mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, e loro modifica, e di alimenti.

L’articolo 6, comma 2, d.l. n. 132 del 2014 è stato modificato al fine di prevedere espressamente o che il nullaosta e l’autorizzazione da parte del Procuratore della Repubblica siano comunicati agli avvocati di tutte le parti dell’accordo, allo scopo di consentirne il deposito presso il Consiglio dell’ordine e la comunicazione allo stato civile. Sono disciplinate le modalità telematiche di trasmissione alla Procura della Repubblica degli accordi in materia di famiglia; il Procuratore, a sua volta, procede con modalità digitali e telematiche.

Il comma 2-bis è stato inserito per disciplinare le modalità telematiche di invio dell’accordo al Procuratore della Repubblica per il nullaosta e l’autorizzazione e per la trasmissione alle parti del provvedimento firmato digitalmente dal Procuratore stesso.

Il comma 3 è stato modificato al fine di chiarire che gli eventuali patti contenenti trasferimenti immobiliari contenuti negli accordi di negoziazione assistita indicati nel comma stesso, hanno effetti obbligatori.

Il comma 3-bis è stato introdotto al fine di prevedere che quando la negoziazione assistita ha ad oggetto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell’unione civile, le parti possono stabilire, nell’accordo, la corresponsione di un assegno in unica soluzione. In tal caso la valutazione di equità è effettuata dagli avvocati, mediante certificazione di tale pattuizione, ai sensi dell’articolo 5, ottavo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898.

Il comma 3-ter è stato inserito al fine di prevedere che la successiva trasmissione al Consiglio dell’ordine, al fine del deposito e conservazione dell’accordo munito di nullaosta e autorizzazione, avvenga in modalità telematica, con richiamo alle norme del codice dell’amministrazione digitale, e che il Consiglio provveda al rilascio di copia conforme degli accordi alle parti e agli avvocati che li hanno sottoscritti.

 

Lettera l)

Il principio di delega è interpretato, conformemente alle previsioni di spesa e di copertura finanziaria della legge n. 206 del 2021, nel senso di prevedere l’estensione del patrocinio a spese dello Stato alle procedure, sia di mediazione che di negoziazione assistita, nei casi nei quali il loro esperimento è condizione di procedibilità della domanda giudiziale; ossia, per le procedure di negoziazione assistita, nelle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di veicoli e natanti, e per le domande di pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti cinquantamila euro, fuori dai casi in cui si applica l’articolo 5, comma 1-bis, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28.

L’articolo 3, comma 6, del D.L. 132 del 2014 del testo vigente, disciplina il caso in cui, a fronte della sussistenza di una ipotesi di negoziazione assistita quale condizione di procedibilità (come prevista dal comma 1 del medesimo articolo) almeno una delle parti si trovi nelle condizioni per essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato. La norma in questione prevede che, in tal caso, la parte non abbiente sia esentata dall’obbligo di corrispondere il compenso al proprio avvocato ma, allo stesso tempo, non disciplina la procedura che deve essere seguita per la formale ammissione e, al termine, per il riconoscimento d4el compenso all’avvocato. In sostanza, quindi, la disciplina vigente prevede la sostanziale gratuità della prestazione dell’avvocato nei casi di assistenza al non abbiente in una procedura di negoziazione assistita, quando essa è condizione di procedibilità della domanda.

L’intervento normativo, in coerenza con il criterio di delega, è quindi volto a superare tale assetto normativo e a introdurre una disciplina che assicuri l’accesso effettivo al patrocinio a spese dello Stato alla parte non abbiente che debba stipulare una convenzione di negoziazione assistita nei casi in cui essa è prevista dalla legge come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, e che consenta al difensore di vedersi riconoscere un compenso per le prestazioni rese in tale procedura.

Conseguentemente, l’attuazione del principio di delega di cui alla lettera a) impone di intervenire sul citato articolo 3, comma 6 per disporre l’abrogazione di tale comma.

Si è inoltre ritenuto di non collocare la nuova disciplina sul patrocinio a spese dello Stato in materia di negoziazione assistita obbligatoria all’interno del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo A)» (nel prosieguo, TUSG), ma direttamente nel D.L. 132 del 2014.

Nel sistema del TUSG, infatti, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si struttura in due fasi: in una prima fase, viene deliberata l’ammissione in via anticipata e provvisoria della parte non abbiente al beneficio ad opera del Consiglio dell’ordine degli avvocati; in una seconda fase, l’autorità giudiziaria che procede, all’esito della lite, conferma l’ammissione provvisoria e provvede alla liquidazione del compenso considerando quantità e qualità dell’attività processuale svolta dal difensore, applicando i pertinenti parametri legati al valore della controversia, con falcidia del 50% e con obbligo del rispetto del valori medi. Una volta effettuata la liquidazione e adottato il decreto di pagamento, il sistema prevede che appositi uffici procedano all’erogazione delle somme e stabilisce che lo Stato proceda all’azione di recupero di tali somme nei confronti della parte processuale rimasta totalmente o parzialmente soccombente rispetto alla parte ammessa al beneficio.

Tale complessivo sistema appare difficilmente adattabile alle ipotesi nelle quali la parte non abbiente è tenuta ad avviare una procedura di negoziazione assistita che si concluda con l’accordo prima dell’avvio di un’azione giudiziale. In tale ipotesi, infatti, la controversia è risolta senza necessità di proporre domanda giudiziale e, alla conclusione del procedimento, non risulterà possibile individuare una parte “soccombente” in senso tecnico-processuale nei confronti della quale avviare un’azione di recupero delle spese di lite corrisposte, in forza del patrocinio a spese dello Stato. Si deve poi considerare che l’eventuale previsione di un apposito procedimento che imponga alla parte non abbiente e al suo difensore, a conclusione della procedura di negoziazione, di adire l’autorità giurisdizionale al solo scopo di ottenere la liquidazione del compenso, si pone in contrasto con i generali obiettivi di semplificazione e celerità che la legge n. 206 del 2021 si prefigge di raggiungere anche nel settore degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie.

In proposito si evidenzia che la collocazione della disciplina della ammissione al beneficio e della determinazione, liquidazione, riconoscimento ed erogazione del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte ammessa al patrocinio dello Stato in una procedura di negoziazione, in un testo normativo diverso dal TUSG, non risulta incompatibile, in termini sistematici, con la sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2021 che, al punto 11, ha precisato che “[r]imane ferma, ovviamente, la facoltà del legislatore di valutare, nella sua discrezionalità, eventualmente anche in sede di attuazione della legge delega prima richiamata, l’opportunità di introdurre, nel rispetto dei suddetti principi costituzionali, una più compiuta e specifica disciplina della fattispecie oggetto dell’odierno scrutinio”.

La disciplina speciale adottata in attuazione della delega è destinata, infine, ad essere applicata nei casi nei quali la procedura di negoziazione non ha comportato, durante il suo intero svolgimento, di svolgere una parte della lite in sede giurisdizionale. Tale differente ambito di applicazione delle due discipline induce a non intervenire sul vigente TUSG.

Tanto premesso, la disciplina attuativa del principio di delega in esame riproduce le disposizioni del TUSG che costituiscono espressione dei principi generali del patrocinio a spese dello Stato in materia civile e che sono compatibili con la specificità della fattispecie regolata in attuazione della delega legislativa.

In particolare, sono state individuate le medesime condizioni di accesso al beneficio della parte non abbiente, non essendovi ragioni per adottare una disciplina differenziata per il caso in cui la richiesta del patrocinio a spese dello Stato è necessaria per accedere alla tutela giurisdizionale o a una procedura alternativa, che deve essere obbligatoriamente instaurata prima di adire il giudice.

La proposta prevede, pertanto, l’inserimento nel D.L. n. 132 del 2014, all’interno del capo II in materia di procedura di negoziazione assistita dagli avvocati, della apposita sezione II contenente la disciplina del patrocinio a spese dello Stato per le controversie per le quali l’esperimento del procedimento di negoziazione assistita è condizione di procedibilità e la procedura si conclude con la conciliazione.

L’articolo 11-bis d.l. n. 132 del 2014 è dedicato alla istituzione del patrocinio in queste specifiche ipotesi e indica, al comma 2, i casi di esclusione dal beneficio, come delineati nel TUSG, in quanto costituenti, salvo specifica eccezione, casi che la legge presume possano essere indicative di un abuso dello strumento.

L’articolo 11-ter d.l. n. 132 del 2014 fissa, in conformità alle disposizioni vigenti, il limite di reddito per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 11-quater d.l. n. 132 del 2014 stabilisce il contenuto necessario dell’istanza di ammissione e, al comma 1, prevede espressamente la possibilità, per chi si trova nelle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, di farne richiesta al fine di stipulare una convenzione di negoziazione assistita e partecipare alla relativa procedura.

Il comma 2 riprende, in quanto compatibile, la disciplina del TUSG sulla redazione e sottoscrizione dell’istanza per l’ammissione, prevedendo poi che nell’istanza siano indicate le ragioni di fatto e di diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere con la procedura di negoziazione assistita.

Benché la procedura di negoziazione assistita non sia equiparabile al processo che si svolge davanti al giudice, in quanto non comporta una valutazione di fondatezza o infondatezza delle contrapposte pretese e non si conclude con un provvedimento assimilabile a una pronuncia giurisdizionale, si è ritenuto di mantenere questo requisito negli esatti termini previsti dal TUSG, in quanto indispensabile per consentire all’organo competente a ricevere l’istanza a valutare la meritevolezza del beneficio richiesto dalla parte non abbiente. Anche sotto questo profilo, ferme restando le differenze intrinseche tra negoziazione assistita e processo, non vi è ragione di adottare una disciplina differenziata.

Tale valutazione, indipendente dal procedimento di negoziazione, ha la diversa finalità di prevenire che il beneficio sia strumentale al perseguimento di pretese manifestamente infondate e di consentire la verifica dell’ulteriore condizione di accesso alla misura che, nel caso della negoziazione assistita, consiste nella necessaria riconducibilità della pretesa alle controversie per le quali tale procedura di risoluzione alternativa è prevista dalla legge come condizione di procedibilità della domanda giudiziale.

Il comma 3 disciplina le modalità di attestazione, per lo straniero o l’apolide, della condizione reddituale. Si è tenuto conto delle modifiche, già intervenute, sull’articolo 79 del TUSG, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 157 del 2021 che ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui non consente al cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, nel caso in cui, per causa non imputabile, risulti impossibile presentare la certificazione dell’autorità consolare competente, di produrre (con conseguente inammissibilità della richiesta) una dichiarazione sostitutiva secondo le norme vigenti.

L’articolo 11-quinquies d.l. n. 132 del 2014 individua nel Consiglio dell’ordine che ha sede del luogo in cui ha sede il tribunale che sarebbe competente a conoscere della controversia, il Consiglio competente a ricevere l’istanza di ammissione. Si è mantenuto il meccanismo, già previsto dal TUSG, dell’ammissione anticipata e provvisoria da parte di tale organo, in considerazione del fatto che l’ammissione definitiva, come previsto dall’articolo 11-bis, è condizionata alla dimostrazione del raggiungimento dell’accordo di conciliazione. Ove invece la parte ammessa in via provvisoria, avendo soddisfatto la condizione di procedibilità ma senza raggiungere un accordo, è legittimata a presentare domanda giudiziale e, in tal caso, la liquidazione del compenso al difensore della parte non abbiente avviene secondo le regole del TUSG.

L’articolo 11-sexie d.l. n. 132 del 2014, nell’ottica della tutela effettiva del diritto al patrocinio, individua il rimedio giudiziale esperibile in caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilità della domanda di ammissione da parte Consiglio dell’ordine. Si tiene conto del fatto che, nelle ipotesi regolate, non è previsto l’esperimento della domanda davanti al giudice.

L’articolo 11-septies d.l. n. 132 del 2014 disciplina gli effetti dell’ammissione anticipata al beneficio e la procedura di conferma dell’ammissione anticipata. Il comma 1 contiene la clausola generale di validità dell’ammissione per l’intera procedura di negoziazione assistita e pone a carico della parte non abbiente l’onere di comunicare al proprio avvocato eventuali modifiche reddituali sopravvenute idonee a incidere sulle condizioni di ammissione. Si tratta di una necessaria norma di chiusura del sistema, considerando la brevità del termine di durata della procedura di negoziazione assistita e la prevedibile rarità dei casi in cui in concreto, in tale breve spazio di tempo, sopravvengano mutamenti del reddito, rispetto alla dichiarazione dell’anno precedente, tali da mettere in discussione il mantenimento del diritto al beneficio.

I commi 2 e 3 disciplinano la fase di conferma dell’ammissione anticipata, che deve essere attivata dall’avvocato che assiste la parte non abbiente, che è tenuto a documentare il raggiungimento dell’accordo contenente, ai sensi dell’articolo 5, comma 1-bis, l’indicazione del relativo valore, al fine di individuare il parametro di liquidazione del compenso. In tal modo, la procedura di liquidazione viene snellita e limitata la possibilità che sorgano sul punto eventuali controversie avanti al Consiglio. Tale organo è tenuto a svolgere, oltre alla verifica formale di completezza della documentazione a corredo dell’istanza, anche la valutazione di congruità del compenso, determinato dallo stesso professionista in conformità all’articolo 11-octies, con conferma, in caso di esito positivo di tali verifiche, dell’ammissione anticipata mediante apposizione del visto di congruità sulla parcella, e trasmissione di copia di tale documento all’ufficio finanziario competente per le verifiche di competenza.

Il comma 4 riproduce il divieto, per l’avvocato della parte ammessa al beneficio, di percepire dal cliente compensi o rimborsi e sanziona con la nullità eventuali patti contrari, richiamando a tal fine l’articolo 85, comma 3, TUSG (che stabilisce che la violazione di tale divieto costituisce “grave illecito disciplinare professionale”).

L’articolo 11-octies d.l. n. 132 del 2014 prevede che per la determinazione del compenso autoliquidato dal difensore, da sottoporre al vaglio di congruità di cui all’articolo 11-septies, sia adottato un decreto ministeriale che individui gli importi spettanti all’avvocato a titolo di onorario e di spese nonché delle modalità specifiche della procedura. Si intende introdurre un sistema chiaro e procedimentalizzato, che ponga il Consiglio dell’ordine, l’avvocato e gli uffici coinvolti nella procedura in condizione di operare in modo semplice e disponendo della documentazione necessaria, a partire dal documento comprovante l’accordo di conciliazione, e di porre in essere i controlli di conformità prodromici all’adozione del provvedimento di conferma dell’ammissione anticipata e alla verifica di congruità del compenso prevista dal comma 3 dell’articolo 11-septies.

La norma prevede altresì, in un’ottica di semplificazione, accelerazione ed effettività del riconoscimento del compenso maturato dall’avvocato che ha assistito una parte in una procedura di negoziazione assistita, che il professionista possa accedere a forme di riconoscimento diverse dalla materiale erogazione delle somme, quali il riconoscimento di un credito di imposta e la possibilità di compensare tale credito con altri crediti che il professionista vanta nei confronti dell’Erario, sulla scorta di quanto attualmente prevede l’articolo 1, commi 778 e 779 della legge 28 dicembre 2015, n. 208.

L’articolo 11-novies d.l. n. 132 del 2014 disciplina i casi di revoca dell’ammissione e i rimedi contro tale decisione. Si tratta di una norma di chiusura necessaria, che stabilisce in che modo si procede alla revoca nei casi in cui sia accertato che una parte ha fruito del beneficio pur non avendone diritto.

Il comma 1 prevede quindi che ove sia accertata dalle autorità competenti l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione, ne sia data notizia al Consiglio dell’ordine che ha deliberato l’ammissione.

Il comma 2, nella medesima prospettiva, prevede che siano comunicate al medesimo organo anche le modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali che escludono il diritto di essere ammessi al beneficio.

Il comma 3 prevede che il Consiglio dell’ordine, ricevuta una di queste comunicazioni ed effettuate le verifiche ritenute necessarie, procede alla revoca del provvedimento di ammissione, da comunicare all’interessato e all’avvocato.

Il comma 4 individua il rimedio giurisdizionale attivabile per contestare la revoca, con richiamo della procedura attualmente prevista dal TUSG.

L’articolo 11-decies d.l. n. 132 del 2014 riproduce le sanzioni attualmente previste dall’articolo 125 TUSG per chi effettua false attestazioni per ottenere o mantenere l’ammissione al patrocinio e, come previsto anche nel TUSG, attribuisce alla Guardia di finanza il compito di effettuare, nel contesto dei programmi annuali di controllo fisale, anche i controlli dei soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

L’articolo 11-undecies d.l. n. 132 del 2014 contiene infine le disposizioni di copertura finanziaria per l’attuazione delle descritte disposizioni relative al patrocinio a spese dello Stato nella procedura di negoziazione assistita.

 

Art. 10 –(Abrogazioni in materia di affiliazione commerciale e arbitrato societario)

Comma 1

L’ampliamento del ricorso obbligatorio alla mediazione in relazione ai contratti di franchising impone altresì di abrogare l’articolo 7 della legge 6 maggio 2004, n. 129, recante “Norme per la disciplina dell’affiliazione commerciale”, che prevede che per le controversie in materia di franchising le parti hanno la facoltà e non l’obbligo, prima di adire l’autorità giudiziaria, di effettuare un tentativo di conciliazione presso la camera di commercio nel cui territorio ha sede l’affiliato.

 

Comma 2

Il principio di delega di cui alla lettera f) del comma 15 impone l’inserimento delle disposizioni sull’arbitrato societario all’interno del codice di procedura civile.

L’indicazione della legge di delega è solo quella di trasporre le norme esistenti, apportando una sola modificazione: prevedere cioè la reclamabilità dinanzi al giudice ordinario delle ordinanze con cui gli arbitri societari sospendono l’efficacia di delibere assembleari.

Si è quindi provveduto a inserire nel titolo VII del codice un apposito capo VI bis e ad abrogare gli originari articoli 34, 35, 36 e 37 del decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 5, che ora diventano rispettivamente gli articoli 838 bis, 838 ter, 838 quater e 838 quinquies.

 

Sezione II

Modifiche in materia di processo civile telematico

 

Art. 11 – (Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221)

 

L’articolo 11 contiene le modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, prevedendo l’abrogazione degli articoli 16-bis, 16-septies, 16-decies e 16-undecies d.l. n. 179 del 2012. Quanto all’articolo 16-bis del medesimo decreto-legge n. 179 del 2012, il comma 1 è stato abrogato in quanto ricompreso nella disposizione introdotta all’articolo 196-quater, primo e terzo comma, disp. att. c.p.c., relativa all’obbligo di deposito telematico. In attuazione del principio di delega sul riordino ed implementazione del processo civile telematico (comma 17, lettera h)), anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni (ai quali attualmente non è applicabile l’obbligo di deposito telematico, in virtù delle disposizioni contenute negli ultimi due periodi del comma 1 dell’articolo 16-bis) si applica il regime generale che prevede l’obbligo di deposito telematico degli atti: la modifica, rispetto all’attuale disciplina, è attuata attraverso l’abrogazione degli ultimi due periodi del comma 1 dell’art. 16-bis e la previsione, in una norma transitoria nello schema di decreto legislativo, dell’applicazione anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni degli articoli 196-quater e 196-sexies disp. att. c.p.c. a decorrere dalla data del 30.6.2023. Il comma 1-bis dell’articolo 16-bis è abrogato in quanto superato dalla generalizzata obbligatorietà del deposito degli atti processuali di cui all’articolo 196-quater disp. att. c.p.c.; il comma 2 è abrogato in quanto ricompreso nel generale obbligo di deposito telematico degli atti e dei documenti delle parti che stanno in giudizio a mezzo difensore, di cui al medesimo articolo 196-quater, mentre gli ultimi due periodi sono trasfusi nel secondo comma dell’articolo 196-novies disp. att. c.p.c. Il comma 3 è abrogato in quanto ricompreso nel generale obbligo di deposito telematico degli atti e dei documenti dei soggetti nominati o delegati dall’autorità giudiziaria, dettato dall’articolo 196 quater disp. att. c.p.c.; il comma 4 è abrogato in quanto la disposizione nello stesso attualmente contenuta è inserita nell’art. 196-quater, comma secondo, disp. att. c.p.c.; il comma 5 è abrogato in quanto superato dalla generalizzata introduzione del processo telematico e attualmente privo di effetti; il comma 6 in quanto inserito (opportunamente adattato, quanto alle decorrenze, tenuto conto del grado di informatizzazione dei diversi uffici), in una norma transitoria nel decreto legislativo; il comma 7 è abrogato in quanto la regola, modificata al fine di dare attuazione alla delega, viene spostata nel nuovo 196-sexies disp. att. c.p.c.; il comma 8 è abrogato in quanto il contenuto è stato riformulato all’art. 196-quater, comma quarto, disp. att. c.p.c. Il comma 9 è abrogato in quanto, quanto al primo periodo, esso è stato riportato nell’articolo 196-quater, primo comma, terzo periodo, disp. att. c.p.c.; quanto al secondo e terzo periodo, sono stati trasfusi nell’articolo 196-septies disp. att. c.p.c.; il comma 9-bis, in quanto trasfuso nel nuovo art. 196 octies disp. att. c.p.c.; il comma 9-ter, in quanto superato dall’obbligo generalizzato di deposito telematico di cui all’articolo 196 quater disp. att. c.p.c.; il comma 9-quater è abrogato in attuazione della delega sul riordino, con inserimento delle relative disposizioni negli articoli della legge fallimentare: in particolare, la disposizione di cui al primo periodo del comma 9-quater viene aggiunta al primo comma dell’articolo 119 della legge fallimentare, dopo il primo periodo, mentre la disposizione di cui al secondo periodo del comma 9-quater viene inserita nell’articolo 182, sesto comma, della legge fallimentare, dopo il primo periodo. Il comma 9-quinquies è abrogato in attuazione della delega sul riordino, con inserimento delle relative disposizioni nell’articolo 186-bis, ottavo comma (ultimo), della legge fallimentare; il comma 9-sexies è abrogato in attuazione della delega sul riordino, con inserimento della disposizione, modificata in attuazione della legge delega, all’art. 591-bis c.p.c. Il comma 9-septies è abrogato in attuazione della delega sul riordino; in particolare, la disposizione contenuta al primo e secondo periodo è stata trasposta in una norma autonoma nello schema di decreto legislativo; il terzo periodo è stato inserito, quanto alle procedure esecutive immobiliari, nella disposizione introdotta nell’articolo 591-bis c.p.c.; quanto alle procedure concorsuali, nell’articolo 33, comma 5, della legge fallimentare; le disposizioni contenute nel quarto e quinto periodo sono state inserite nell’articolo 169-quinquies disp. att. c.p.c. Il comma 9-octies è abrogato in quanto ricompreso nel principio generalizzato di chiarezza e sinteticità degli atti. L’articolo 16-septies è abrogato per esigenze di coordinamento, in quanto la disciplina del tempo delle notificazioni a mezzo posta elettronica certificata è stata inserita come secondo e terzo comma dell’articolo 147 del codice di procedura civile. L’articolo 16-decies è abrogato in quanto riportato all’articolo 196-novies, primo comma, disp. att. c.p.c; l’articolo 16-undecies in quanto trasfuso all’articolo 196-undecies disp. att. c.p.c.

 

Art. 12 – (Modifiche alla legge 21 gennaio 1994, n. 53)

 

L’articolo 12 contiene le modificazioni apportate alla legge 21 gennaio 1994, n. 53.

La lettera a) modifica l’articolo 3-bis l. n. 53 del 1994 prevedendo l’inserimento del comma 1-bis, ai sensi del quale la notificazione alle pubbliche amministrazioni è validamente effettuata, fermo restando quanto previsto dal regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611, in materia di rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato, presso l’indirizzo individuato ai sensi dell’articolo 16-ter, comma 1-ter, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221; sostituendo, al comma 2, il riferimento all’articolo 16-undecies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 con quello all’articolo 196-undecies delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, introdotto con il presente decreto legislativo, e aggiungendo al comma 3 le parole: «, fermo quanto previsto dall’articolo 147 bis del codice di procedura civile». Più in particolare, si è ritenuto di inserire un nuovo comma 1-bis nell’articolo 3-bis della legge n. 53 del 1994, per meglio chiarire che le disposizioni introdotte dal successivo articolo 3-ter non comportano deroghe alle disposizioni contenute nell’articolo 16-ter, comma 1-ter, del decreto-legge n. 179 del 2012, in materia di notifiche via posta elettronica certificata alle amministrazioni pubbliche e all’indirizzo a tal fine utilizzabile. Al comma 2 è stato poi aggiornato il richiamo dall’articolo 16-undecies del decreto-legge n. 179 del 2012 all’articolo 196-undecies disp. att. c.p.c., in considerazione della diversa collocazione della norma ad esito dell’opera di riordino eseguita in materia di attestazione di conformità. Al comma 3, infine, si è precisato che in materia di perfezionamento della notifica resta salvo quanto previsto dall’articolo 147-bis c.p.c., introdotto per recepire la declaratoria di incostituzionalità dell’articolo 147 c.p.c. (cfr. Corte Cost., sent. n. 75 del 2019).

La lettera b) introduce l’articolo 3-ter l. n. 53 del 1994, con il quale si è inteso dare attuazione ai criteri di cui all’articolo 1, comma 20, lettere da a) a c) della legge delega (“a) prevedere, quando il destinatario della notificazione è un soggetto per il quale la legge prevede l'obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi o quando il destinatario ha eletto domicilio digitale ai sensi dell'articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, iscritto nel pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all'iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese ai sensi dell'articolo 6-quater del medesimo codice, che la notificazione degli atti in materia civile e stragiudiziale sia eseguita dall'avvocato esclusivamente a mezzo di posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici; b) prevedere che, quando la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata non sia possibile o non abbia esito positivo per causa imputabile al destinatario, l'avvocato provveda alla notificazione esclusivamente mediante inserimento, a spese del richiedente, nell'area web riservata di cui all'articolo 359 del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, che la notificazione si abbia per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l'inserimento e che, solo quando la notificazione non sia possibile o non abbia esito positivo per cause non imputabili al destinatario, la notificazione si esegua con le modalità ordinarie; c) prevedere che, quando la notificazione deve essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata o mediante inserimento nell'area web riservata, sia vietato all'ufficiale giudiziario eseguire, su richiesta di un avvocato, notificazioni di atti in materia civile e stragiudiziale, salvo che l'avvocato richiedente dichiari che il destinatario della notificazione non dispone di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi ovvero che la notificazione a mezzo di posta elettronica certificata non è risultata possibile o non ha avuto esito positivo per cause non imputabili al destinatario”). Al primo comma si è quindi previsto l’obbligo, in capo all’avvocato, di notificare gli atti giudiziali in materia civile e gli atti stragiudiziali con modalità telematica quando il destinatario è soggetto obbligato a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata risultante dai pubblici elenchi, ovvero nel caso in cui, pur non essendo obbligato, il destinatario abbia esercitato la facoltà di eleggere domicilio digitale ai sensi dell’articolo 3-bis, comma 1-bis, del codice dell’amministrazione digitale. Il secondo comma prevede che se per causa imputabile al destinatario è impossibile eseguire la notificazione o questa non ha esito positivo (ad esempio, perché la casella di posta del destinatario è piena), l’avvocato è tenuto ad eseguire la notificazione mediante inserimento nell’area web riservata prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, dichiarando la sussistenza di uno dei presupposti per l’inserimento. In tale ipotesi, la notificazione si ha per eseguita nel decimo giorno successivo a quello in cui è compiuto l’inserimento. Tale ipotesi è stata tuttavia circoscritta ai soli casi in cui il destinatario sia soggetto tenuto per legge ad iscriversi nel registro INI-PEC (in particolare, imprese o professionisti), dal momento che a tali soggetti si rivolge la piattaforma di cui si è detto. Nel caso in cui, invece, il destinatario sia soggetto non tenuto ad iscriversi ad INI-PEC ma che volontariamente ha eletto il proprio domicilio digitale, sarebbe stato possibile prevedere l’impiego della diversa piattaforma di cui all’articolo 26, comma 6, del decreto-legge n. 76 del 2020; si è tuttavia ritenuto preferibile, sia pur a costo di un leggero discostamento dal principio di delega, prevedere che in questi casi la notifica avvenga nelle forme ordinarie, in considerazione della particolare delicatezza del procedimento notificatorio, che deve tendere ad assicurare quanto più possibile che il destinatario abbia effettiva conoscenza dell’atto. Come previsto dal comma 3, poi, la notificazione potrà eseguirsi con le modalità ordinarie quando la causa dell’impossibilità di effettuare la notifica con modalità telematiche non sia imputabile al destinatario.

La lettera c) modifica l’articolo 4, comma 2, della l. n. 53 del 1994, aggiungendo la disposizione secondo la quale per le notificazioni in materia civile e degli atti stragiudiziali, la facoltà prevista dal primo periodo può essere esercitata fuori dei casi di cui all’articolo 3-ter, commi 1 e 2. La norma ha funzione di coordinamento con gli interventi in materia di notifiche in materia civile e degli atti stragiudiziali, in particolare al fine di chiarire che la facoltà, a determinate condizioni, di eseguire la notificazione con consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario, è esercitabile soltanto laddove non operi l’obbligo per l’avvocato di eseguire la notifica via posta elettronica certificata o mediante inserimento nell’area web prevista dall’articolo 359 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, di cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14.

 

Art. 13 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

 

L’articolo 13 dello schema reca modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, al fine di dare attuazione a quanto previsto nella lettera f) del comma 17 dell’unico articolo della legge delega, la quale mira ad estendere, razionalizzandole e semplificandole, le modalità di versamento del contributo unificato, privilegiando i mezzi di pagamento telematici anche facendo tesoro dei risultati ottenuti con l’applicazione della normativa emergenziale. Ed invero, nella fase pandemica è stata prevista, con più disposizioni che si sono succedute nel tempo, l’obbligatoria corresponsione di tale onere tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82 (comma 3 dell’articolo 221 del decreto-legge 34-2021, sostanzialmente sovrapponibile a quella di cui al comma 11 dell’art. 83 decreto-legge n. 18 del 17 marzo 2020, ma analogo principio era già contenuto nel comma 6 dell’articolo 2 del decreto-legge 8 marzo 2020 n. 11, successivamente abrogato dall'art. 1, comma 2, L. 24 aprile 2020, n. 27). L’adempimento si pone in linea con la completa digitalizzazione del processo civile telematico in tutti i suoi aspetti, compreso quello fiscale. Il successo di tale esperienza ha portato il legislatore a stabilizzare tali modalità, valutando anche il superamento di alcune modalità non telematiche e, pertanto, non attuando quanto previsto al punto 1.3 della lettera f) del comma 17 della legge delega. La piattaforma tecnologica, infatti, che allo stato è stata realizzata tramite il sistema PagoPA, consente per vero più metodi di pagamento (telematici e non), anche tramite contante presso i gestori del servizio, tutti utilizzabili a scelta dall’utenza e che consentano di associare, telematicamente, in modo univoco ciascun versamento ad un solo ed individuato procedimento. Questo sistema, a differenza di quello che avviene tramite la compilazione del modello F23 attraverso il servizio home banking del singolo utente, consente di ridurre drasticamente il rischio di plurimi utilizzi delle stesse marche o valori bollati per l’iscrizione a ruolo di diversi procedimenti e al contempo sgrava le cancellerie da ogni onere di “abbinamento” dei pagamenti del contributo unificato ai relativi procedimenti giudiziari. I metodi che rientrano fra quelli di PagoPA sono i seguenti: pagamento on-line tramite il Portale dei Servizi Telematici (PST), sia nella sezione ad accesso riservato sia nella sezione pubblica (senza bisogno di eseguire ‘login’); pagamento on-line presso un Punto di Accesso (PDA); pagamento tramite canali fisici o on-line messi a disposizione dalle banche: sportelli fisici (anche con contanti), strumenti di home banking per pagoPA, app IO. In questo caso è necessario solo avere a disposizione il numero univoco di versamento e il QR code corrispondente che vengono generati collegandosi all’area pubblica del PST/ pagamenti pagoPA e selezionando l’opzione ‘paga dopo’.

Per realizzare le finalità di cui sopra, l’articolo 13 apporta diverse modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115.

La principale modifica riguarda l’articolo 192 (lettera e) dell’articolo 13) il cui primo comma viene interamente sostituito e riscritto in termini simili alle disposizioni della fase emergenziale; più specificatamente si prevede in modo stabile che il contributo unificato per i procedimenti dinanzi al giudice ordinario e al giudice tributario sia di regola corrisposto mediante pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all'articolo 5, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

In attuazione di quanto previsto dal numero 5 della lettera f) del comma 17 dell’unico articolo della legge delega si è previsto (al nuovo comma 1-bis dell’articolo 192) che il pagamento del contributo unificato non effettuato tramite la piattaforma tecnologica non libera la parte dagli obblighi su di essa gravanti e la relativa istanza di rimborso deve essere proposta, a pena di decadenza, entro trenta giorni dal predetto pagamento.

Il nuovo comma 1-ter prevede che per i procedimenti dinnanzi al giudice tributario, le previsioni relative alla telematizzazione del pagamento del contributo unificato acquistino efficacia sessanta giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del provvedimento con cui il direttore della direzione sistema informativo della fiscalità del Ministero dell’economia e delle finanze attesta la funzionalità del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005. Della pubblicazione di tale provvedimento in Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana è data immediatamente notizia sul sito istituzionale dell’amministrazione interessata (comma 1-quater).

È stata poi inserita una norma transitoria all’interno dello stesso articolo 192 (comma 1-quinquies) che prevede che per i procedimenti innanzi al giudice ordinario, le nuove disposizioni acquistino efficacia a decorrere dal 1° gennaio 2023.

Il nuovo comma 1-sexies dell’articolo 192 prevede che se è attestato, con provvedimento pubblicato sul sito istituzionale del Ministero della giustizia o del Ministero dell’economia e delle finanze, il mancato funzionamento del sistema di pagamento tramite la piattaforma tecnologica di cui all'articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005, il contributo unificato vada corrisposto mediante bonifico bancario o postale, ai sensi del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 9 ottobre 2006, n. 293; la prova di tale versamento dovrà fornirsi con l’originale della ricevuta, regolarmente sottoscritta.

Oltre alla conseguente abrogazione dell’articolo 191 (lettera c), comma 1, dell’articolo 13), sono state allineate a tali previsioni quelle relative ai procedimenti speciali e quindi l’articolo 18 bis, relativo al contributo da versarsi per la pubblicazione sul portale delle vendite pubbliche, l’articolo 30 che riguarda le anticipazioni forfettarie versate all’erario dai privati nel processo civile, l’istanza per l'assegnazione o la vendita di beni pignorati, l’articolo 32 relativo alle anticipazioni da versarsi agli ufficiali giudiziari per il servizio di notificazione,

Inoltre, per esigenze di coordinamento e semplificazione (comma 22 dell’unico articolo della legge delega) si è uniformata anche la modalità di pagamento dei diritti di copia, di certificato e le spese per le notificazioni a richiesta d'ufficio nel processo civile: l’articolo 196, comma 1, è stato modificato prevedendo che anche tali oneri siano corrisposti tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82  (lettera f), comma 1, dell’articolo 13).

Infine, all’articolo 197 (lettera g), comma 1, dell’articolo 13), relativo al pagamento delle spettanze degli ufficiali giudiziari relative a notifiche a richiesta di parte nel processo civile, penale amministrativo contabile e tributario, è stato aggiunto un comma 1 bis il quale prevede che a decorrere dal 1° giugno 2023 anche tali spettanze debbano essere corrisposte tramite la piattaforma tecnologica di cui all’articolo 5, comma 2, del codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.

 

Art. 14 - (Modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267)

 

L’articolo 14 contiene le modifiche al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, recante “Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa”. Nell’esercizio del criterio di delega relativo al riordino delle disposizioni in materia di processo civile telematico, per lo più contenute all’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, si è proceduto, come innanzi evidenziato, a creare il nuovo Titolo V-ter delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile e disposizioni transitorie, nel quale sono confluite numerose disposizioni attualmente contenute all’articolo 16-bis. I commi 9-quater, 9-quinques, 9-sexies e 9-septies dell’articolo 16-bis istituiscono l’obbligo di depositare rapporti riepilogativi nell’ambito delle procedure concorsuali e dei procedimenti di esecuzione forzata, dettando la relativa disciplina. Nel rispetto del criterio di delega previsto dal comma 22, lettera a), del comma 1 della legge n. 206 del 2021 (“curare il coordinamento con le disposizioni vigenti, anche modificando la formulazione e la collocazione delle norme del codice di procedura civile, del codice civile e delle norme contenute in leggi speciali non direttamente investite dai principi e criteri direttivi di delega”), tali disposizioni sono state inserite, oltre che nell’articolo 591-bis del codice di procedura civile e nell’articolo 169-quinquies delle disposizioni di attuazione, anche nella legge fallimentare, alla quale si riferiscono.

È stata pertanto inserita, al quinto comma dell’articolo 33 della legge fallimentare, in tema di rapporto riepilogativo del curatore, la disposizione (attualmente dettata dal comma 9-septies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012) secondo la quale il rapporto contiene i dati identificativi dello stimatore; all’articolo 119, primo comma, la regola che prevede unitamente all'istanza di chiusura del fallimento il curatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma e all’articolo 182, sesto comma, la norma secondo cui conclusa l'esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, il liquidatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma (tali norme sono attualmente contenute al comma 9-quater dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012). Infine, all’articolo 186-bis è stato aggiunto, in fine, un ottavo comma, al fine di trasferire nella pertinente disposizione della legge fallimentare l’obbligo attualmente dettato dal comma 9-quinquies dell’articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, ai sensi del quale “ogni sei mesi successivi alla presentazione della relazione di cui all'articolo 172, primo comma, il commissario giudiziale redige un rapporto riepilogativo secondo quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma, e lo trasmette ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma. Conclusa l'esecuzione del concordato, deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma”.

 

Sezione III

Modifiche in materia di processo di primo grado e consulenti tecnici d’ufficio

Art. 15 - (Modifiche alle leggi speciali conseguenti all’introduzione del rito semplificato e alla riduzione dei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale)

 

Comma 1 – (Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n. 89)

L’attuazione della delega con l’adozione del rito semplificato di cognizione e l’abrogazione del rito sommario, oltre alla previsione di nuovi moduli decisori semplificati e accelerati sia in primo grado che nel giudizio d’appello impone di effettuare interventi di coordinamento sulla legge 24 marzo 2001, n.89 in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo.

L’articolo 1-ter, dedicato alla disciplina dei rimedi preventivi, ai sensi dell’art. 1-bis della stessa legge, è stato modificato al fine di coordinare i riferimenti al rito sommario di cognizione e al fine di inserire, tra i rimedi preventivi, la proposizione dell’istanza di decisione a seguito di trattazione orale anche ai sensi dell’articolo 275, commi secondo, terzo e quarto, oltre che dell’articolo 350-bis davanti alla corte d’appello.

 

Comma 2 – (Modifiche alla legge 8 marzo 2017, n. 24)

L’attuazione della delega, sia in relazione alla riforma del procedimento di mediazione, disciplinato dal decreto legislativo n. 28 del 2010, sia in relazione all’adozione del rito semplificato di cognizione e alla abrogazione del rito sommario, hanno imposto modifiche di coordinamento anche alla legge 8 marzo 2017, n. 24 recante disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie.

Sono state quindi apportate modifiche al comma 2 dell’articolo 8 al fine di correggere il riferimento al comma 1-bis (che è stato soppresso a seguito di integrale sostituzione dell’articolo) dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 29 in materia di mediazione. Il riferimento corretto è al comma 1 di tale articolo.

Il comma 3 è stato modificato al fine di coordinarne il testo con l’abrogazione del rito sommario di cognizione con il rito semplificato, e operare i corretti riferimenti normativi.

 

Comma 3 - (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150)

L’attuazione della delega con l’adozione del rito semplificato di cognizione e l’abrogazione del rito sommario impongono di effettuare interventi di coordinamento su molti articoli del d.lgs. 1° settembre 2011, recante disposizioni complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi dell'articolo 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69.

L’art. 1, recante le definizioni, è stato modificato per coordinare il testo del comma 1, lettera c) all’introduzione del rito semplificato e alla sua nuova collocazione all’interno del codice di rito.

L’articolo 3 è stato modificato, anche nella rubrica, al medesimo fine.

Al comma 3 sono state apportate le modifiche necessarie anche per coordinare il testo con le modifiche apportate anche al procedimento davanti alla corte d’appello che prevedono la nomina di un consigliere istruttore per la trattazione della causa.

All’articolo 4 sono state apportate modifiche finalizzate a coordinare il comma 2 con il nuovo sistema di introduzione della domanda nelle forme del rito ordinario di cognizione. In particolare, va rammentato che in attuazione della delega, si prevede che la domanda debba essere proposta con atto di citazione e fissazione di un’udienza rispetto alla quale decorrono automaticamente i termini per il deposito delle memorie integrative, a norma dell’art. 171-ter. La prima udienza di comparizione, sempre regolata dall’art. 183, il cui testo è stato integralmente riscritto, è dedicata, nel nuovo rito, alla trattazione vera e propria e alla ammissione dei mezzi di prova. La fase delle verifiche preliminari è stata anticipata a un momento anteriore alla data dell’udienza ex art. 183, immediatamente successivo alla scadenza del termine di costituzione del convenuto.

Il decreto legislativo n.150 del 2011 prevede, per i procedimenti specificamente individuati nel capo III l’adozione obbligatoria del rito sommario di cognizione, sostituito con il nuovo rito semplificato. Coerentemente con tale impostazione in ordine alla obbligatorietà di un rito alternativo rispetto a quello ordinario di cognizione, il testo vigente del comma 2 dell’articolo 4 prevede che il giudice, entro la prima udienza, proceda al mutamento del rito da ordinario a sommario di cognizione tutte le volte che rileva che una delle cause indicate nel capo III, è stata instaurata nelle forme del procedimento ordinario.

Al fine di rendere coerente ed effettivo tale controllo preliminare, con il nuovo rito ordinario, il comma 4 è stato quindi modificato al fine di prevedere che tale controllo e l’eventuale mutamento del rito debbano essere pronunciati dal giudice nella fase delle verifiche preliminari. Diversamente, ove il mutamento del rito avenisse ancora alla prima udienza di trattazione, la scelta del legislatore verrebbe nella sostanza elusa, in quanto il mutamento interverrebbe quando ormai le parti hanno depositato, nei più ampi termini e alle diverse condizioni previste dall’art. 171-ter, le memorie integrative, in molti casi vanificando la stessa possibilità di rispettare le scansioni processuali previste per le singole controversie del capo III.

Tutti gli articoli, da 14 a 29, sono stati modificati per coordinarli con l’introduzione del rito semplificato.

Il solo articolo 14 è stato altresì modificato, a comma 2, in attuazione di un diverso principio di delega (comma 6, lettera a) che prevede la riduzione dei casi in cui il tribunale decide in composizione collegiale. Si è pertanto ritenuto di attribuire alla decisione del tribunale in composizione monocratica la decisione sulle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato, che deve essere trattata con il rito semplificato di cognizione.

 

Comma 4 – (Modifiche al decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, convertito, con modificazioni, dalla legge 1° dicembre 2018, n. 132)

Seguendo le indicazioni della Corte Costituzionale, si è creato un meccanismo che renda maggiormente possibile e vantaggioso il coinvolgimento dei terzi nel processo convenzionale, tramite la previsione di un onere informativo posto a carico dell’Agente di governo: in forza delle indicazioni di cui al comma 10, lettera e) ed f) della legge delega è stato aggiunto un nuovo comma all’articolo 15 del decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113, come modificato dalla legge di conversione 1º dicembre 2018, n. 132 prevedendo che l’Agente del Governo comunichi a tutte le parti del processo che ha dato luogo alla sentenza sottoposta all’esame della Corte europea dei diritti dell’uomo e al pubblico ministero la pendenza del procedimento davanti alla Corte stessa.

 

Art. 16 - (Modifiche alle leggi speciali in materia di albi dei consulenti tecnici d’ufficio esercenti le professioni sanitarie)

 

Comma 1 – (Modifiche al decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158)

Al fine di garantire l’aggiornamento dell’albo dei consulenti di cui all’articolo 13 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile si è ritenuto, al quinto comma dell’articolo 3 D.L. 13.9.2012, n. 158, di prevedere che tale aggiornamento avvenga con cadenza almeno biennale. In tal modo, si è voluta garantire una idonea e qualificata rappresentanza di esperti delle discipline specialistiche dell'area sanitaria,

 

Comma 2 – (Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179)

Al fine di coordinare la disciplina contenuta nell’articolo 16-novies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 con le modifiche introdotte agli articoli 23, secondo comma, e 24 bis, secondo comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, con particolare riferimento alla pubblicità degli albi e dell’elenco nazionale dei consulenti tecnici, è stato inserito un ultimo periodo al quarto comma, nel quale si è previsto che resta fermo quanto disciplinato dai suddetti articoli, per come modificati.

 

Sezione IV

Modifiche in materia di impugnazioni

 

Art. 17 – (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

 

L’articolo 17 contempla le disposizioni con cui si interviene sulle norme di ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12.

In particolare, alla lettera a) si prevede l’abrogazione dell’art. 67-bis, che dettava i criteri per la composizione dell’attuale sesta sezione civile della Corte di cassazione, in conseguenza della soppressione della sezione stessa attuata mediante la riscrittura dell’articolo 376 del codice di procedura civile.

Con la lettera b) si interviene sull’articolo 76, relativo alle attribuzioni del pubblico ministero presso la Corte suprema di cassazione, anche in questo caso in conseguenza della soppressione della apposita sezione prevista dall’articolo 376 (la “sesta sezione civile”), innanzi alla quale era precluso, dal 2016, l’intervento del procuratore generale. Tramite la novella si è sostanzialmente ripristinata la formula originaria del ’41, a tenore della quale il pubblico ministero conclude in tutte le udienze pubbliche, sia civili che penali, innanzi alla Corte di cassazione, essendo definitivamente venuto meno il c.d. “rito camerale di sesta”, alla quale come detto il procuratore generale rimaneva estraneo. Naturalmente, viene ribadito, al secondo comma dell’art. 76, che nei procedimenti trattati in camera di consiglio, che si svolgono sempre in assenza delle parti, il pubblico ministero formula le sue conclusioni scritte nei casi previsti dalla legge. In particolare, ai sensi dei novellati artt. 380 bis e 380 ter le conclusioni scritte – nel termine di venti giorni prima dell’adunanza camerale – saranno facoltative in tutti i procedimenti in camera di consiglio e necessarie nei soli regolamenti di competenza e di giurisdizione, procedimenti questi che tradizionalmente – fin dall’introduzione del codice del ’40 – si sono celebrati in camera di consiglio, sempre preceduti dalle conclusioni scritte del P.M. apposte in calce al ricorso (si veda il testo originario dell’art. 138 disp. att. c.p.c.). L’intervento in udienza pubblica – sia presso le Sezioni Unite, sia presso le sezioni semplici – rimane naturalmente obbligatorio, e si articola in forma “mista”, scritta (sempre eventuale, salvo che nei casi di rinvio pregiudiziale) e orale (necessaria).

 

Art. 18 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115)

 

L’articolo 18 dà attuazione alla previsione contenuta nella lettera e) del comma 9 della legge n. 206 del 2021, relativa al procedimento accelerato per la definizione dei ricorsi per cassazione che appaiano inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, ai sensi della quale la parte ricorrente che, ricevuta comunicazione della proposta di definizione del ricorso, non chieda la decisione del merito così determinando l’estinzione del procedimento, sia esonerata dal pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione previsto dall’articolo 13, comma 1-quater, del testo unico delle spese di giustizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. Si è quindi prevista l’introduzione, nell’articolo ora citato, di un comma 1-quater.1 ai sensi del quale le disposizioni dettate dal comma precedente non si applicano nell’ipotesi in cui il ricorso per cassazione venga dichiarato estinto ai sensi dell’articolo 380 bis (norma che detta ora la disciplina del procedimento accelerato di cui si è detto).

 

Art. 19 - (Modifiche al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104)

 

L’articolo 19 reca una mera disposizione di coordinamento delle norme di attuazione del codice del processo amministrativo di cui all’allegato 2 al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, in conseguenza della soppressione delle disposizioni degli articoli 47 e 369 del codice di procedura civile che prevedevano l’onere del ricorrente di chiedere, con apposita istanza, alla cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato o del quale si contesta la giurisdizione la trasmissione del fascicolo d’ufficio alla cancelleria della Corte di cassazione. Si è quindi espunto dall’articolo 1 delle norme di attuazione del c.p.a. il riferimento al terzo comma dell’articolo 369, e si è per converso inserito quello al nuovo articolo 137 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, il quale prevede che sia onere della cancelleria della Corte di cassazione acquisire il fascicolo d’ufficio presso il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.

 

Art. 20 - (Modifiche al decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221)

 

Ulteriore novella di mero coordinamento è quella prevista dall’articolo 20, il quale interviene sull’articolo 16-sexies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, relativo al «domicilio digitale», espungendo il riferimento alle previsioni di cui all’articolo 366 del codice di procedura civile, in conseguenza della soppressione del diverso regime in materia di comunicazioni e le notificazioni previsto per il procedimento per cassazione, reso uniforme a quello generale.

 

Sezione V

Modifiche in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo

 

La Sezione V rubricata “Ulteriori interventi in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo” è composta da 6 articoli e contiene diverse disposizioni in materia di volontaria giurisdizione e processo esecutivo.

Con riguardo alla volontaria giurisdizione l’articolo 1, comma 13, lett. b) prescrive di “prevedere interventi volti a trasferire alle amministrazioni interessate, ai notai e ad altri professionisti dotati di specifiche competenze alcune delle funzioni amministrative, nella volontaria giurisdizione, attualmente assegnate al giudice civile e al giudice minorile, individuando altresì gli specifici ambiti e limiti di tale trasferimento di funzioni”.

Costituiscono attuazione di tale criterio di delega gli articoli 21, 22 e 23 del presente schema.

 

Art. 21 – (Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione)

 

Con riguardo all’articolo 21 si evidenzia quanto segue.

Tra i settori oggetto di possibile trasferimento di funzioni è stato individuato quello delle autorizzazioni alla stipula di atti pubblici e scritture private autenticate nelle quali intervenga un minore o un soggetto beneficiario di misure di protezione.

In particolare, si è ritenuto, in virtù di esigenze di semplificazione particolarmente avvertite nella quotidianità dei traffici di consentire al notaio rogante il rilascio delle autorizzazioni in questione, pur prevedendosi opportuni contrappesi e bilanciamenti.

In particolare la disposizione in commento è rubricata “Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione” e prevede al primo comma che le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell’amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante.

Ai fini dell’istruttoria, il notaio può farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalità, presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall’inventario, se redatto e nell’ipotesi in cui l’istanza di autorizzazione a vendere riguardi l’oggetto di un legato di specie, deve essere sentito il legatario (comma 2); è inoltre previsto che, ove per effetto della stipula dell’atto debba essere riscosso un corrispettivo nell’interesse del minore o di un soggetto sottoposto a misura di protezione, il notaio determini le cautele necessarie per il reimpiego del medesimo (comma 3).

Il provvedimento autorizzatorio reso dal notaio deve essere comunicato, a cura del notaio stesso, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale ed al pubblico ministero presso il medesimo tribunale (comma 4). Ciò tanto ai fini dell’assolvimento delle formalità pubblicitarie (ad es. annotazione nel registro delle tutele), quanto per consentire la modifica o la revoca da parte del giudice tutelare, sul modello dell’articolo 742 c.p.c. (e fatti salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca; cfr. comma 6) e l’impugnazione da parte del pubblico ministero.

Il provvedimento autorizzatorio reso dal notaio può essere impugnato innanzi all’autorità giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale e acquista efficacia, decorsi 20 giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste senza che sia stato proposto reclamo. Non è consentito al notaio concedere la provvisoria esecutività del provvedimento (che potrà invece essere chiesta all’autorità giudiziaria) e restano in ogni caso riservate all’autorità giudiziaria, in ragione della particolare delicatezza, le autorizzazioni relative al promuovere, al rinunciare, al transigere o compromettere in arbitri giudizi, nonché alla continuazione dell’impresa commerciale.

Merita da ultimo osservare che la nuova disposizione non esclude la competenza giurisdizionale in ordine al rilascio dell’autorizzazione: si viene di fatto a creare un doppio binario, talchè l’interessato potrà alternativamente rivolgersi al notaio o al giudice.

 

Art. 22 (Modifiche alla legge 16 febbraio 1913, n. 89)

 

La devoluzione ai notai di competenze in materia di volontaria giurisdizione non è però limitata al settore delle autorizzazioni sopra esaminato.

In particolare, l’articolo 22 attribuisce al notaio rogante, in aggiunta al presidente del tribunale, la competenza in ordine alla nomina dell’interprete del non udente.

 

Art. 23 – (Modifiche alla legge 7 marzo 1996, n. 108)

 

L’articolo 23 novella l’articolo 17 della legge 7 marzo 1996, n. 108, e attribuisce al notaio una competenza concorrente in materia di riabilitazione del protestato.

 

Art. 24 – (Modifiche al decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150)

 

L’articolo 24, comma 1, lett. a), novella l’articolo 13 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, e attribuisce al notaio una competenza concorrente in materia di riabilitazione del protestato.

L’articolo 24, comma 1, lett. b) e c) dello schema attua, invece, il criterio di cui all’articolo 1, comma 14, della legge 206/2021 che testualmente delega il governo a: “a) modificare l'articolo 30 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, specificando che si svolgono in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera e quelli volti ad ottenere in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera ai sensi degli atti indicati di seguito: 1) regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000; 2) regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari; 3) regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi; 4) regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate; 5) regolamento (UE) n. 650/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e all'accettazione e all'esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo; b) prevedere che nei procedimenti di cui alla lettera a) il giudice provveda con decreto motivato, avverso il quale può essere promosso ricorso ai sensi della lettera c); c) prevedere che i ricorsi avverso le decisioni rese nei procedimenti di cui alla lettera a), nonché i giudizi sulle domande di diniego del riconoscimento promosse ai sensi degli atti indicati nei numeri da 1) a 5) della lettera a) siano trattati con il rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, o con altro rito ordinario semplificato; d) prevedere che le domande di diniego del riconoscimento o dell'esecuzione previste dal regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile, siano trattate con il rito sommario di cognizione di cui agli articoli 702-bis e seguenti del codice di procedura civile, o con altro rito ordinario semplificato; e) prevedere che, fatti salvi i procedimenti di cui agli articoli 615 e seguenti del codice di procedura civile, si applichi il rito sommario di cognizione, o altro rito ordinario semplificato, ai procedimenti di diniego del riconoscimento o dell'esecuzione e di accertamento dell'assenza di motivi di diniego del riconoscimento previsti dagli atti di seguito indicati: 1) regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale; 2) regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione); 3) regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori; f) prevedere che i ricorsi di cui agli atti indicati nelle lettere a), c) ed e) siano promossi innanzi alla corte d'appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti da tali atti; g) prevedere che le decisioni della corte d'appello rese sui ricorsi di cui alle lettere a), c) ed e) siano impugnabili innanzi alla Corte di cassazione; h) prevedere che i criteri di cui alle lettere da a) a g) si estendano, con gli opportuni adattamenti, ai procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività di una decisione straniera o in via principale l'accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di una decisione straniera, o il diniego di tale riconoscimento, allorché l'efficacia di tali decisioni si fondi su una convenzione internazionale”.

L’articolo 30-bis del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150, è stato introdotto per determinare il rito applicabile alle controversie di cui all’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, ovverosia quelle aventi ad oggetto la mancata ottemperanza o la contestazione del riconoscimento di una sentenza straniera o di un provvedimento straniero di volontaria giurisdizione, ovvero l'accertamento dei requisiti del riconoscimento ai fini della successiva azione esecutiva. La sopra indicata legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato è stata nel tempo in parte superata dalla sopravvenuta normativa europea elaborata in tema di cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali in forza delle previsioni di cui all’art. 81 del TFUE. Quest’ultima disposizione, fondata sul principio di reciproca fiducia fra gli Stati membri e quindi di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali, ha quindi delegato le Istituzioni europee a legiferare in materia di cooperazione giudiziaria civile. Tale cooperazione ha incluso l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, fra le quali diversi regolamenti che disciplinano, seppur con una metodologia settoriale e poco omogenea, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione. Le norme europee in tale materia, contenute in diversi atti derivati, prevalgono quindi su quelle contenuta nella legge 31 maggio 1995, n. 218 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, la quale, in ossequio al principio di specialità, prevede espressamente all’art. 2 il valore residuale della normativa interna rispetto alle disposizioni che derivano da accordi internazionali. Tale principio è rafforzato, inoltre, dalla previsione Costituzionale ex art. 117, comma 1, volta al rispetto degli obblighi internazionali da parte del legislatore, che discendono anche dal TFUE e dalla normativa europea derivata, salvo il limite dei principi supremi dell’ordinamento (cd. teoria dei contro-limiti).

Da quanto premesso deriva che le norme processuali contenute negli atti normativi in materia di cooperazione giudiziaria in materia civile fanno parte del nostro ordinamento come norme di diritto processuale internazionale, ridimensionando in modo significativo la portata delle corrispondenti norme della legge 31 maggio 1995, n. 218, la quale assume oggi un ruolo complementare e sussidiario rispetto alle norme europee di analogo contenuto. L’articolo 67 di quest’ultima, pertanto, si applica in via residuale alle sentenze straniere che non rientrano nel perimetro di disciplina degli atti normativi europei, i quali dettano regole anche procedurali per le controversie sul riconoscimento e l’esecuzione delle sentenze. Tali regole, tuttavia, non sono esaustive quanto ai riti nazionali applicabili alle varie fasi.

Il presente intervento è dunque sorto, innanzitutto, dall’esigenza di chiarire quali siano i riti processuali esperibili nelle diverse procedure europee previste dai regolamenti che contengono norme sul riconoscimento e l’esecuzione dei titoli nazionali di rilievo europeo; le scelte processuali sono state operate tenendo conto delle peculiarità delle varie fasi di cui alle procedure europee stesse.

In secondo luogo, è stato necessario estendere detti riti processuali agli analoghi procedimenti aventi ad oggetto decisioni straniere che producono effetti in Italia in forza delle disposizioni di convenzioni internazionali, bilaterali o multilaterali, siano esse internazionalmente in vigore per l’Italia oppure in vigore per l’Unione e vincolanti per l’Italia ai sensi dell’art. 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Lo scopo è quello di estendere anche a tali decisioni, per ragioni di uniformità, le previsioni stabilite negli analoghi procedimenti di matrice europea, restando implicitamente salva la possibilità di un loro adattamento alle eventuali specificità procedurali contenute nelle convenzioni in di volta in volta rilevanti.

Resta ferma, in via residuale subordinata, ove non trovino applicazione le nuove norme processuali, la previsione contenuta nell’articolo 30 che fa rinvio all’articolo 67 della legge 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato.

Nell’attuare i principi di delega contenuti nel comma 14 della legge delega, va segnalato che, anziché modificare l’articolo 30 come previsto dalla lettera a) di tale comma, si è ritenuto di introdurre un nuovo articolo 30-bis per ragioni di mero drafting, risultando maggiormente chiara in questo modo la distinzione fra le fonti regolamentatrici dei vari procedimenti (europea ed internazionale nel nuovo articolo 30-bis e residuale-nazionale nell’esistente articolo 30) e al contempo più agevole la lettura, essendo numerosi i nuovi commi contenuti nell’articolo 30-bis. Inoltre, si è ritenuto di chiarire i principi che governano le scelte della delega in relazione ai vari procedimenti, anche al fine di non limitarne eccessivamente l’operatività rispetto agli atti normativi indicati ma di potenzialmente immaginarne l’applicazione anche rispetto ad eventuali futuri interventi normativi di analogo contenuto.

L’articolo 30-bis, comma 1, prevede quindi, in via generale, lo svolgimento in camera di consiglio, in assenza di contraddittorio, per i procedimenti volti ad ottenere la dichiarazione di esecutività e in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di decisioni emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri in conformità al diritto dell’Unione europea, che non sono immediatamente esecutive ma necessitano di exequatur.

Sono poi specificatamente indicati gli atti normativi europei che espressamente escludono la necessità di integrare il contraddittorio:

               1) regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (cfr. articoli 28 e seguenti per la procedura di rilascio dell’exequatur; cfr. articolo 21, paragrafo 3, e articoli 30 e seguenti per il procedimento di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               2) regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (cfr. articoli 26 e 30 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articoli 23, paragrafo 2 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               3) regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi (articoli 42 e 47 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articolo 36, paragrafo 2, e articolo 47 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               4) regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate (cfr. articoli 42 e 47 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articolo 36, paragrafo 2, e articolo 47 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento);

               5) regolamento n. 650/2012 del Parlamento europeo de del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo (articoli 43 e 48 per la procedura di rilascio dell’exequatur; articolo 39, paragrafo 2, e 48 per le domande di accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento).

L’articolo 30-bis, comma 2, estende l’applicazione delle norme interne in materia di procedimenti in camera di consiglio (articoli 737 e 738 del codice di procedura civile) ai procedimenti di cui al primo comma del medesimo articolo, in assenza di diverse indicazioni da parte del legislatore europeo ed in ossequio alla delega [comma 14, lettere a) e b)], con la differenza che avverso il decreto motivato, invece del reclamo previsto dall’articolo 739 del codice di procedura civile, va promossa - entro 60 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione del decreto (dies a quo indispensabile anche in assenza di delega, al fine di evitare una asistematica impugnabilità sine die) - con ricorso nelle forme del rito semplificato di cognizione, in quanto il legislatore delegante [comma 14, lettera c)], seguendo le indicazioni delle disposizioni europee, ha inteso uniformare il rito per impugnare le decisioni emesse nei procedimenti di cui al primo comma a quello previsto per le domande di diniego del riconoscimento (degli stessi titoli non immediatamente esecutivi, come disciplinati dagli atti normativi indicati al comma 1) promosse in via principale.

Al riguardo si fa implicitamente riferimento alle seguenti disposizioni europee che disciplinano i ricorsi avverso le decisioni emesse nei procedimenti di cui al primo comma espressamente richiedendo il contraddittorio fra le parti:

               - articolo 32 del regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari;

               - articolo 49 del regolamento (UE) 2016/1103 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali tra coniugi;

               - articolo 49 del regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate;

               - articolo 50 del regolamento (UE) 650/2012 del Parlamento europeo de del Consiglio, del 4 luglio 2012, relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e all’accettazione e all’esecuzione degli atti pubblici in materia di successioni e alla creazione di un certificato successorio europeo.

L’articolo 30-bis, comma 3, in attuazione del comma 14 lettera c) della legge delega, prevede che anche i giudizi sulle domande di diniego del riconoscimento promosse ai sensi degli atti indicati nei numeri da 1 a 5 del comma 1 siano trattati con il rito semplificato di cognizione in quanto sono le stesse norme europee o a non sancire il divieto di presentare osservazioni o a prevedere che per la trattazione degli stessi debba essere integrato il contraddittorio (in questo senso peraltro si è pronunciata la Corte di giustizia nella sentenza 11 luglio 2008, causa C-195/08 PPU, Inga Rinau, punti 104, 105, 106, per i procedimenti di non riconoscimento azionati ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 3 del regolamento (CE) 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale: “l’oggetto del procedimento di non riconoscimento mira ad un giudizio negativo, che, per sua natura, esige il contraddittorio”).

L’articolo 30-bis, comma 4, in attuazione del comma 14, lettere d) ed e), si occupa invece di titoli che, in forza di normativa europea specifica, non richiedono exequatur per circolare nello spazio giudiziario europeo e, con formulazione analoga a quella del comma 1, stabilisce in via di principio che si svolgono con il rito semplificato di cognizione i procedimenti di diniego del riconoscimento o dell’esecuzione e di accertamento dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento di decisioni già immediatamente esecutive emesse dalle autorità giurisdizionali degli Stati membri in conformità al diritto dell’Unione.

Sono poi specificatamente indicati gli atti normativi europei che espressamente prevedono la necessità di integrare il contraddittorio:

               1) regolamento (UE) n. 1215/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (articoli 46 e seguenti: diniego dell’esecuzione; articolo 36, paragrafo 2: attestazione dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento; articolo 45, paragrafo 4: diniego del riconoscimento);

               2) regolamento (UE) n. 606/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, relativo al riconoscimento reciproco delle misure di protezione in materia civile (l’articolo 13 non reca il divieto di presentare osservazioni);

               3) regolamento (UE) 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 2015, relativo alle procedure di insolvenza (rifusione) (articolo 32, paragrafo 2);

               4) regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio, del 25 giugno 2019, relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori (articolo 30, paragrafo 3: attestazione dell’assenza di motivi di diniego del riconoscimento; articolo 40: diniego del riconoscimento; art. 59: diniego dell’esecuzione).

Si è ritenuto superfluo inserire l’inciso, presente nel comma 14, lettera e), “fatti salvi i procedimenti di cui agli articoli 615 e seguenti del codice di procedura civile”, in quanto l’eventuale cumulo di doglianze relative al riconoscimento o all’esecuzione del titolo straniero con altri motivi di contestazione del medesimo titolo, può già risolversi, in modo peraltro più duttile, con una valutazione del giudice procedente in merito al rito (ordinario o semplificato) più adatto al caso di specie, ferma restando in astratto la possibilità di agire con il rito semplificato.

L’articolo 30-bis, comma 5, attua le previsioni del comma 14, lettera h) e tratta dei casi in cui una decisione straniera produca effetto in Italia in forza delle disposizioni di una convenzione internazionale, bilaterale o multilaterale, sia essa internazionalmente in vigore per l’Italia oppure in vigore per l’Unione e vincolante per l’Italia ai sensi dell’art. 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Lo scopo è quello di estendere anche ai procedimenti che hanno ad oggetto la dichiarazione di esecutività o in via principale l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento, o il diniego di tale riconoscimento, anche a tali decisioni (che non sono immediatamente esecutive come quelle di cui al comma 4), per ragioni di uniformità, il rito semplificato di cognizione, salva la possibilità di un loro adattamento alle eventuali specificità delle convenzioni in di volta in volta rilevanti. Ad esempio, la Convenzione concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale conclusa a Lugano il 30 ottobre 2007, pur essendo un atto multilaterale siglato fra Unione Europea da un lato e Svizzera, Norvegia e Islanda dall’altro, espressione del multilateralismo dell’UE ha di fatto contenuto analogo a quello di cui al regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000 concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (Regolamento Bruxelles I) e, pertanto, alle relative procedure andranno estesi i principi di cui al comma 1 dell’articolo 30-bis, non avendo le decisioni natura immediatamente esecutiva.

L’articolo 30-bis, comma 6, in attuazione del comma 14, lettera f), della legge delega, prevede che i procedimenti previsti dagli atti di cui ai commi 1, 3 e 5 debbano essere promossi innanzi alla corte d’appello territorialmente competente ai sensi delle disposizioni e nei termini previsti dai medesimi atti o, in mancanza, ai sensi dell’articolo 30, in quanto alcuni atti normativi europei dettano criteri speciali che prevalgono rispetto alla normativa processuale nazionale (cfr. ad esempio l’articolo 44, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio, del 24 giugno 2016, che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell'esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate).

Non è stato richiamato il comma 4 in quanto si è interpretato il richiamo alla “salvezza” delle procedure di opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi anche riferito al giudice competente (tribunale), essendo per vero assai frequenti i casi di proposizione di doglianze di varia natura riferite allo stesso titolo e risultando pertanto non opportuno creare doppi binari paralleli di procedimenti in gradi diversi aventi ad oggetto lo stesso titolo esecutivo.

È poi previsto che le decisioni della corte d’appello rese all’esito dei i procedimenti previsti dagli atti di cui ai commi 1, 3 e 5 siano impugnabili innanzi alla Corte di Cassazione per i motivi previsti dall’articolo 360 del codice di procedura civile.

Poiché gli atti europei e le convenzioni internazionali estendono il regime della circolazione delle decisioni giudiziarie ad altri atti, muniti di determinate caratteristiche tipizzate, si è ritenuto opportuno per ragioni di coordinamento (comma 22 della legge delega) inserire un ultimo comma all’articolo 30-bis, comma 7, il quale prevede che ai procedimenti disciplinati dal presente articolo ed aventi ad oggetto gli atti pubblici, le transazioni giudiziarie e gli accordi stragiudiziali stranieri si applichino le disposizioni del presente articolo nei limiti e alle condizioni previste dal diritto dell’Unione e dalle convenzioni internazionali.

 

Art. 25 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396)

 

Costituisce attuazione del criterio di delega di cui all’articolo 1, comma 13, lett. b) anche l’articolo 25. Tale norma, sempre, nell’ottica di una esigenza di semplificazione, modifica gli artt. 95, 98 e 99 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, recante il Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127.

In particolare, si è ritenuto, con la specificazione introdotta all’articolo 95, comma 1, di lasciare alla competenza dell’A.G., tra le altre cose, la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito “al di fuori dei casi di cui all’articolo 98, comma 2-bis”, e di trasferire all’ufficiale dello stato civile, con l’inserimento del comma 2-bis all’articolo 98, l’attività, essenzialmente vincolata, di ricostituzione di un atto distrutto o smarrito nelle sole ipotesi in cui costui disponga di prove documentali della formazione e dei contenuti essenziali dell’atto.

Inoltre, con l’introduzione, all’articolo 98, comma 1, del secondo periodo, si è inteso ampliare l’attività di correzione dell’ufficiale dello stato civile, estendendola anche agli atti formati, quando emerga la discordanza tra le indicazioni in essi riportate e quelle risultanti da altri documenti rilasciati dalle autorità competenti.

Infine, si è previsto, attraverso la modifica dell’articolo 99, che le disposizioni di cui all’articolo 98 si applichino anche agli atti di competenza dell’autorità diplomatica o consolare, e che, in tal caso, il ricorso in opposizione venga proposto al tribunale nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile in cui è stato registrato o avrebbe dovuto essere registrato l’atto.

 

Art. 26 – (Ulteriori disposizioni in materia di esecuzione forzata)

 

L’articolo 26 dello schema di decreto legislativo contiene infine alcune disposizioni di coordinamento, adeguando la disciplina contenuta in diverse leggi speciali, ed in particolare nel codice di giustizia contabile (art. 212 d.lgs 26 agosto 2016, n. 174), nel codice del processo amministrativo (art. 115 e 136 del D.lgs. 2 luglio 2010, n. 104), nelle disposizioni in tema di accordo sui compensi professionali in sede di consiglio dell’ordine avvocati (art. 29 l. 31 dicembre 2012, n. 247), ed infine nell’ambito delle misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19 (art. 23, comma 9 bis d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, conv. l. 18 dicembre 2020, n. 176), al principio dell’abolizione della formula esecutiva.

Infine, poiché il numero delle norme in vigore nell’ordinamento che prevedono la formula esecutiva o la spedizione in forma esecutiva è molto elevato, si è altresì inserita nello schema di decreto legislativo una specifica disposizione che ne preveda l’abrogazione in via generale, ferme restando, quanto all’esecutività delle sentenze, dei provvedimenti e degli atti stranieri, le disposizioni di cui agli articoli 30 e 30-bis del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150.

La lettera q) del comma 12 della legge delega prevede, infine, l’istituzione presso il Ministero della giustizia della banca dati per le aste giudiziali, contenente i dati più significativi relativi alle vendite giudiziarie (i dati identificativi degli offerenti, i dati identificativi del conto bancario o postale utilizzato per versare la cauzione e il prezzo di aggiudicazione, nonché le relazioni di stima). Nel tradurre in articolato la previsione (articolo 26, comma 7), si è ritenuto di rimettere al decreto ministeriale attuativo l’individuazione delle concrete modalità sia per l’acquisizione delle informazioni indicate nella legge delega sia per l’inserimento e la catalogazione dei dati stessi nella banca dati. L’istituzione della banca dati consente: agli utenti abilitati di fruire delle informazioni in esso contenute, in un’ottica di trasparenza e comoda fruibilità delle stesse; all’autorità giudiziaria, civile e penale, di ottenere le informazioni ritenute necessarie; alle autorità centrali di comparare l’andamento complessivo di un settore nevralgico per l’economia e per la tutela del credito e, quindi, di effettuare scelte di politica legislativa o di politica economica con maggiore consapevolezza. A tal fine, si ritiene utile suggerire la creazione di ulteriori voci, quali l’indicazione, in un apposito campo, del prezzo di stima e del prezzo base, nonché della data di emanazione dell’ordinanza di vendita e della data di aggiudicazione nonché del numero dei tentativi di vendita effettuati e dei costi della procedura, valore complessivo dei crediti azionati, per consentire, attraverso la consultazione della banca dati, la valutazione dei seguenti dati: a) tempo intercorrente tra la data di emanazione dell’ordinanza di vendita e la data dell’aggiudicazione; b) differenza tra il prezzo di aggiudicazione del bene, il prezzo base e quello di stima iniziale (ove diverso); c) percentuale di soddisfacimento del credito in relazione al prezzo di aggiudicazione; d) incidenza dei costi della procedura sul prezzo di aggiudicazione. Si segnala, inoltre, che l’acquisizione dei dati potrebbe essere effettuata direttamente dal Siecic, in automatico, mediante l’implementazione del database, ove, però, venga reso obbligatorio l’utilizzo dei rapporti riepilogativi dei professionisti delegati (e dei curatori fallimentari), mediante la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale delle specifiche tecniche emanate dal Ministero della Giustizia nel 2017. In tal modo, sarà possibile l’effettiva acquisizione, da parte di tutti gli Uffici, nella banca dati ministeriale delle informazioni contenute nei suddetti rapporti periodici. Si rammenta, a tal fine, che il Csm è intervenuto anche con apposita delibera dell’11.3.2020 (Obbligo di presentazione dei rapporti riepilogativi iniziali, semestrali e finali delle attività svolte ex art. 16-bis, comma 9-sexies D.L. n. 179/2012, conv. con l. n. 221/2012 incombente sui professionisti delegati nelle esecuzioni immobiliari ai sensi dell’art. 591-bis cpc). Qualora venga reso obbligatorio l’utilizzo del format ministeriale, trattandosi di un file strutturato in formato xml, che contiene i dati per l’alimentazione del database Siecic, la compilazione dello stesso consentirà l’automatico popolament0 della banca dati, mediante il raccordo della stessa col Siecic.

 

Sezione VI

Modifiche relative al procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie

 

Art. 27 – (Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898)

 

Comma 1

Lettera a)

L’art. 3, comma 1, n. 2, lett. b), l. 1° dicembre 1970, n. 898 contiene i necessari adeguamenti alle nuove disposizioni introdotte in attuazione dei principi della legge delega. È stato così espunto sia il riferimento alla “avvenuta” udienza di comparizione, poiché la stessa può essere ora sostituita nei procedimenti congiunti, su istanza congiunta delle parti, dal deposito di note scritte, ed è stato parimenti eliminato il riferimento alla comparizione “innanzi al presidente del tribunale”, perché nell’applicazione del nuovo rito unitario i coniugi compariranno davanti al giudice relatore dallo stesso designato.

Infine, in corrispondenza delle modifiche già introdotte per l’ipotesi del cumulo di domande di separazione e divorzio all’interno dello stesso procedimento è stato ribadito il principio, già previsto nell’art. 473 bis.49 c.p.c., per il quale “Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la domanda di separazione personale e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quest’ultima è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati”.

 

Lettera b)

L’art. 4 l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato interamente abrogato in quanto contenente disposizioni processuali per il giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oggi interamente sostituite dalle nuove norme sul rito uniforme, e in parte trasposte nell’art. 152 septies disp. att. c.c.

 

Lettera c)

L’art. 5, 9° comma, l. 1° dicembre 1970, n. 898, per il quale “I coniugi devono presentare all'udienza di comparizione avanti al presidente del Tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune. In caso di contestazioni il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull'effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”, è stato abrogato, essendo le relative indicazioni assorbite e rese generali dal secondo comma dell’art. 473 bis.2 c.p.c.

 

Lettera d)

L’art. 8 l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato interamente abrogato in quanto contenente disposizioni processuali per il giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oggi interamente sostituite dalle nuove norme sul rito uniforme e in particolare dagli artt. 473 bis.36 c.p.c. e 473 bis.37 c.p.c.

 

Lettera e)

L’art. 9, primo comma, l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato interamente abrogato in quanto contenente disposizioni processuali per il giudizio di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oggi interamente sostituite dalle nuove norme e in particolare, quanto al principio della modificabilità delle condizioni di divorzio, dall’art. 473 bis.29 c.p.c. e quanto al procedimento dalle nuove norme sul rito uniforme.

 

Lettera f)

L’art. 10, comma 1, l. 1° dicembre 1970, n. 898 è stato abrogato in quanto, per ragioni di coerenza sistematica anche con l’avvenuta trasposizione nell’art. 152 septies disp. att. c.c. della disciplina relativa alla comunicazione del ricorso all’ufficiale dello stato civile, si è ritenuto analogamente di inserire in tale norma anche la previsione in esame, relativa alla trasmissione della sentenza.

 

Art. 28 – (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184)

 

Comma 1

Lettera a)

La lett. gg) della delega dispone la riforma “della disciplina dei procedimenti per la tutela e l’affidamento dei minori previsti dal codice civile e dalla legge 4. maggio 1983 n. 184” prevedendo, in particolare: “1) cause di incompatibilità con l’assunzione dell’incarico di consulente tecnico d’ufficio nonché con lo svolgimento delle funzioni di assistente sociale nei procedimenti che riguardano l’affidamento dei minori, per coloro che rivestono cariche rappresentative in strutture o comunità pubbliche o private presso le quali sono inseriti i minori, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o che prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono, nonché per coloro il cui coniuge, parenti dell’unione civile, convivente, parente o affine entro il quarto grado svolge le medesime funzioni presso le citate strutture o comunità; apportare modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, per adeguare le ipotesi di incompatibilità ivi previste per i giudici onorari a quelle previste dal presente numero; 2) introdurre il divieto di affidamento dei minori a persone che sono parenti o affini entro il quarto grado del giudice che ha disposto il collocamento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento nonché il divieto di collocamento dei minori presso strutture o comunità pubbliche o private nelle quali rivestono cariche rappresentative, o partecipano alla gestione complessiva o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito o fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono, persone che sono parente o affine entro il quarto grado, convivente, parte dell’unione civile o coniuge del giudice che ha disposto il collocamento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento”.

Per quanto concerne anzitutto il divieto di affidamento, è stato previsto l’inserimento del comma 1 quater all’art. 2 L. 4 maggio 1983 n. 184, che vieta l’affidamento di minori a coloro i quali siano parenti o affini entro il quarto grado del giudice cha ha adottato il provvedimento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento.

Il fondamento di tale divieto è da ravvisare nell’esigenza di assicurare maggiore trasparenza nei procedimenti relativi all’affidamento di minori, scongiurando il rischio che gli stessi possano essere affidati a persone conviventi o legate da vincoli di parentela, coniugio o derivanti dall’unione civile, all’autorità che ha adottato il provvedimento di affidamento o a coloro i quali hanno svolto nel procedimento funzioni aventi ad oggetto un’attività di osservazione e valutazione della situazione familiare (consulente tecnico d’ufficio o assistente sociale).

In ordine al divieto di inserimento, è stato altresì inserito il comma 2 bis all’art. 2 L. 4 maggio 1983, n. 184 che sancisce il divieto di inserimento del minore presso strutture o comunità pubbliche o private nelle quali rivestono cariche rappresentative, o partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, o prestano a favore di esse attività professionale, anche a titolo gratuito, o fanno parte degli organi di società che le gestiscono, persone che sono parenti o affini entro il quarto grado, convivente, parte dell’unione civile o coniuge del giudice che ha adottato il provvedimento, del consulente tecnico d’ufficio o di coloro che hanno svolto le funzioni di assistente sociale nel medesimo procedimento.

Ancora, le modifiche legislative in tema di affidamento etero-familiare e di inserimento in comunità mirano ad assicurare ai minori privi temporaneamente di un ambiente familiare idoneo e quindi allontanati dai propri genitori e parenti, maggiore tutela e attenzione, in attuazione del comma 23, lett. gg) della delega che prevede la riforma della disciplina dei procedimenti per la tutela e l’affidamento dei minori previsti dal codice civile e dalla legge 4 maggio 1983 n. 184.

 

Lettera b)

In tema di affidamento etero-familiare le modifiche all’art. 4 L. 4 maggio 1983, n. 184 prevedono che il predetto affidamento possa essere prorogato solo se la sospensione dello stesso possa arrecare un pregiudizio “grave” al minore e previa segnalazione al pubblico ministero al quale il servizio sociale dovrà dare tempestiva comunicazione prima del decorso del termine. Il legislatore ha quindi determinato un presupposto ancor più rigoroso per la proroga dell’allontanamento del minore dal proprio nucleo familiare, individuato in un notevole danno derivante al minore dalla sospensione dell’affidamento.

È altresì sancito che ai fini della decisione di cui all’art 4, commi 4, 5 bis e 5 ter, il giudice debba garantire il contraddittorio tra le parti e il curatore speciale, se nominato, e debba procedere all’ascolto del minore secondo le nuove disposizioni in materia.

Il legislatore delegato ha modificato il comma 5 dell’art. 4 disponendo la cessazione dell’affidamento al decorso del termine ivi previsto, salvo che il giudice abbia diversamente disposto nel provvedimento di affidamento di cui ai commi 1 e 2 del medesimo articolo.

Per quanto concerne i minori inseriti in comunità, il legislatore delegato al comma 7 dell’art. 4 L. 4 maggio 1983, n. 184 ha previsto che le disposizioni contenute nell’art. 4 si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato, ma decorsi dodici mesi il giudice verifica nel contraddittorio delle parti l’andamento del programma di assistenza, l’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza e l’opportunità della prosecuzione dell’inserimento.

Tale ultima modifica ha l’obiettivo di evitare le lunghe istituzionalizzazioni e di garantire un più attento monitoraggio dei minori collocati in strutture e per tale motivo maggiormente vulnerabili.

La legge delega nel richiamare l’istituto dell’affidamento dei minori al Servizio Sociale ha poi recepito gli orientamenti dapprima consolidatisi innanzi ai tribunali per i minorenni, in seguito dai tribunali ordinari e da ultimo recepiti dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass, ord. 10 dicembre 2018, n. 31902) che hanno individuato nell’affidamento ai servizi sociali un importante strumento di sostegno in presenza di carenze in entrambi i genitori tali da rendere necessario un intervento pubblico a tutela del minore.

La richiesta di una disciplina dettagliata deriva dalle criticità che sono emerse da prassi applicative assai difformi sul territorio nazionale, dovute da vari fattori quali l’assenza di una disciplina dettagliata, la mancanza di una reale vigilanza sull’applicazione di tale misura, la presenza di diversi livelli di assistenza e di prestazioni da parte dei servizi sociali.

L’istituto dell’affidamento al Servizio Sociale trova infatti la sua origine ed il suo fondamento giuridico nell’art 25 comma 1 n. 1) del R.D 1404/34 che prevede, quale alternativa al collocamento del minore in comunità, l’affidamento al Servizio Sociale dei c,d. minori “irregolari”, ovvero i procedimenti amministrativi di competenza dei tribunali per i minorenni, e nell’art 26 co. 3 che estende tale misura ai provvedimenti civili limitativi della responsabilità genitoriale (“La misura di cui all'art. 25, n. 1, può altresì essere disposta quando il minore si trovi nella condizione prevista dall'art. 333 del Codice civile”).

A fronte di una genericità non tanto dei presupposti indicati nell’art 26 citato nelle situazioni di cui all’art 333 c.c., quanto delle modalità attuative, negli anni si è assistito, nelle prassi più sensibili, a un tentativo di dare una cornice giuridica e dei confini maggiormente comprensibili e garantiti a tale istituto. Per decenni, infatti, nei provvedimenti i tribunali si limitavano a disporre genericamente l’affidamento del minore al Comune senza ulteriori specificazioni, così lasciando indefinito quali fossero i compiti ed i poteri del Servizio Sociale, chi dovesse prendere le decisioni, come si formassero le decisioni e quali doveri e diritti permanessero in capo ai genitori.

Affidamento al Servizio Sociale che veniva e viene disposto sia in presenza di provvedimenti che mantenevano il minore collocato presso i genitori o uno dei due genitori, sia in presenza di collocamenti eterofamiliari (comunità, comunità di tipo famigliare, famiglie affidatarie o parenti del minore). A seconda del tipo di collocamento, l’affidamento al Servizio Sociale si deve infatti plasticamente adattare dovendo indicare quali decisioni spettano al soggetto collocatario, quali in capo al servizio Sociale e quali in capo ai genitori.

Inoltre, era ed è assai frequente da parte dei tribunali per i minorenni che, soprattutto nelle prime fasi di collocamento eterofamiliare, il tribunale scelga di affidare comunque il minore al Servizio Sociale, non essendo ancora pronte, sia la famiglia affidataria che la famiglia di origine, ad un rapporto diretto, così come invece previsto dall’art 5 comma 1 secondo il quale la famiglia affidataria assume le decisioni “tenendo conto delle indicazioni dei genitori” con una interlocuzione e con una serenità che, nei c.d. affidi “giudiziali” (ovvero disposti senza il consenso dei genitori), non può essere disposta e pretesa senza mettere a rischio la serenità degli affidatari e del minore stesso, e che costituisce, piuttosto, un obiettivo del progetto di tutela e sostegno.

Altra prassi adottata da alcuni tribunali per i minorenni, benché non prevista, ma tenendo conto delle pronunce della Corte di Strasburgo, è stata quella di individuare un termine anche per l’affidamento al Servizio Sociale (in analogia a quanto previsto dall’art 4.4 l. 184/83 per l’affido famigliare), nonché l’invio di relazioni periodiche (in analogia a quanto previsto dall’art 4.3 l. 184/1983).

È per tali ordini di ragioni che la contestuale previsione di un riordino e un raccordo della disciplina dell’adozione di cui alla legge 184/983, dell’introduzione di una disciplina autonoma dell’affidamento al servizio Sociale e di “puntuali disposizioni per re­golamentare l’intervento dei servizi socio-as­sistenziali”, rendono naturale e sistematicamente logico il collocamento della nuova disciplina sull’affidamento al Servizio Sociale all’interno della legge sull’adozione, perché è proprio nella disciplina sull’affidamento eterofamiliare di cui agli articoli 4 e 5 l. 184/1983 che la giurisprudenza di merito ha individuato i riferimenti fondamentali per fornire una cornice giuridica e maggiori garanzie ad un intervento da un lato necessario, ma altresì così invasivo e delicato da essere stato non a caso oggetto di censure e condanne dell’Italia da parte della Corte di Strasburgo.

Sui presupposti dell’affidamento all’ente non si è ritenuta necessaria una descrizione dettagliata in quanto il fondamento rimane l’articolo 333 del codice civile e, quindi, la presenza di una situazione di pregiudizio e non un semplice stallo dovuto alla conflittualità dei genitori o all’impossibilità di raggiungere un accordo. Si sono invece richiamati gli articoli 1 e 2 della legge 184/1983 ed il principio di gradualità dagli stessi previsto, per rimarcare che l’affidamento all’ente risponde al criterio di stretta necessità e deve seguire ad una sperimentata impossibilità di garantire il benessere del minore attraverso misure di sostegno meno invasive, fatta salva ovviamente la presenza di situazioni così gravi da rendere necessaria e indifferibile l’adozione immediata di tale misura così come previsto dall’art 2, comma 3, l. 184/1983.

A differenza del provvedimento di cui all’art 333 codice civile, nella quale il Giudice indica al genitore le prescrizioni cui attenersi per garantire il benessere del minore, con l’affidamento al Servizio Sociale il Giudice – analogamente a quanto già previsto dall’art 5.1 l. 184/1983 - limita la responsabilità genitoriale affidandola, nei limiti che specificamente indica, ad un soggetto terzo il quale decide non “previo il consenso” dei genitori, ma “tenendo conto” dell’opinione dei genitori (art 5 bis, comma 3). Nel raccordare la legge sull’adozione alla nuova disciplina sull’ascolto del minore e sul ruolo del curatore speciale, si è previsto, non solo nel nuovo articolo 5 bis, ma anche negli articoli 4 e 5, che il Servizio Sociale e la famiglia affidataria assumano le decisioni relative al minore tenendo conto anche delle opinioni del minore e del curatore speciale e del tutore, se nominati.

Mettendo a frutto la positiva esperienza dei giudici tutelari nell’articolazione dei decreti di nomina degli amministratori di sostegno non si sono indicate le singole tipologie di decisione, ma i soggetti che devono interloquire a seconda delle varie decisioni da adottare nell’interesse del minore, così consentendo al giudice di adattare il provvedimento a seconda delle varie tipologie di collocamento sopra indicate e alla natura degli incarichi affidati all’ente e che dallo stesso devono essere assolti. Evidente, ad esempio, che l’ordinaria amministrazione spetterà ai genitori (o al genitore) collocatario, mentre spetterà alla famiglia affidataria o alla comunità se si è disposto un collocamento eterofamiliare. Altrettanto evidente che su tutte le decisioni di straordinaria amministrazione (si pensi alle decisioni sanitarie, piuttosto che all’indirizzo scolastico), se non sono indicate espressamente come affidate al servizio sociale, le stesse non potranno essere assunte senza il consenso dei genitori, salvo non siano stati sospesi dall’esercizio della responsabilità o specificatamente limitati su tale singolo aspetto della vita del minore.

Come premesso, si è pertanto prevista come necessaria l’indicazione della periodicità delle relazioni di aggiornamento e la durata dell’affidamento per evitare che si dispongano, sia da parte dei tribunali per i minorenni, che dai tribunali ordinari, affidamenti senza termini.

Per garantire maggiore efficienza nel rapporto tra autorità giudiziaria e servizi, nonché per garantire trasparenza e chiarezza nel rapporto tra le parti, con il comma 4 si è previsto – coerentemente con le previsioni e le finalità della legge 241/90 - l’obbligo per i servizi sociali di indicare il responsabile del progetto di affido in modo tale da consentire al giudice, all’affidatario, al genitore, al curatore, di individuare agevolmente l’interlocutore dei servizi cui rivolgersi.

Come già evidenziato in precedenza, la Corte di Strasburgo è intervenuta in passato censurando la legislazione italiana per l’inefficacia del sistema di vigilanza sull’operato dei servizi sociali (soprattutto in tema di diritto di visita). Critica che coinvolge soprattutto gli affidamenti ai servizi disposti con provvedimenti che definiscono il procedimento. Con il comma 5 si è pertanto esplicitamente previsto l’invio del provvedimento all’autorità preposta alla vigilanza.

La previsione di cui al comma 6 riguarda principalmente gli affidamenti ai servizi sociali disposti dal tribunale ordinario all’esito dei procedimenti di separazione/divorzio o di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. La modifica di tali provvedimenti spetta alle parti private non essendo previsto dalla legge delega un potere autonomo del pubblico ministero in tal senso. Non è raro che siano gli stessi servizi sociali che, dopo un certo periodo di tempo, ritengano eccessiva o inefficace la misura disposta, ma le parti non si attivino, per le ragioni più varie, non ultime quelle economiche, per la modifica del provvedimento. Così come può capitare, per altro verso, che, anche decorsi ventiquattro mesi, la situazione di pregiudizio non sia rientrata ed il servizio sociale (o il curatore con poteri sostanziali), reputino necessario mantenere l’affidamento al servizio sociale non essendo ancora in grado i genitori di gestire il minore senza un soggetto terzo che mitighi il conflitto o rimedi all’incomunicabilità della coppia genitoriale e che vigili sull’equilibrio psicologico faticosamente raggiunto dal minore. Dovendo al contempo evitare gli affidi sine die ed il verificarsi situazioni di stallo o di ripresa della conflittualità, in vista della scadenza del termine previsto, e non potendo il pubblico ministero ordinario chiedere una modifica o una proroga dell’affidamento, ragioni sistematiche impongono – anche perché si è in presenza di una situazione di permanente potenziale pregiudizio per il minore – la competenza del tribunale per i minorenni che potrà intervenire a seguito del ricorso del pubblico ministero a tal fine sollecitato dal servizio sociale. Tale disciplina è stata raccordata con le novità introdotte nell’articolo 4 in tema di proroga dell’affidamento eterofamiliare.

Con il comma 7 si è raccordato l’istituto dell’affidamento all’ente con quanto previsto dall’art. 473 bis.38 in tema di attuazione dei provvedimenti.

Le novità introdotte con l’art 5 bis l. 184/1983, nonché alcune criticità emerse nella prassi, hanno pertanto reso necessario un raccordo e un’integrazione della disciplina degli articoli 4 e 5 della legge 184/1983.

Si è in particolare reso necessario aggiornare tali articoli alla luce del già frequente ricorso all’affidamento al servizio sociale in occasione dei provvedimenti di allontanamento del minore dal nucleo familiare con esplicito richiamo, pertanto, all’art 5 bis (art. 4, comma 2). Così come, all’art 4, comma 1, si è aggiunto il riferimento all’ipotesi, originariamente non prevista, dell’affidamento esclusivo.

Nell’art 4, comma 4, si è meglio articolato, anche per venire incontro alle critiche della Corte di Strasburgo, il meccanismo di proroga degli affidamenti eterofamiliari e dell’affidamento al Servizio Sociale (attraverso il richiamato a tale comma contenuto nell’art 5 bis, comma 7) in modo tale da garantire un periodico controllo da parte dell’autorità giudiziaria.

In un’ottica di efficienza, ed anche in questo caso per raccordare la disciplina dell’affidamento eterofamiliare con l’affidamento all’ente, ed in particolare con quello disposto dal tribunale ordinario all’esito delle procedure separative, nonché mettendo a frutto alcune prassi consolidatesi nella giurisprudenza di merito di alcuni tribunali per i minorenni e accolte con favore dagli operatori dei servizi e dalle parti, si è prevista l’introduzione al comma 5, oltre all’ipotesi già prevista della revoca dell’affidamento in forza di provvedimento dell’autorità giudiziaria, anche l’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria predetermini la durata dell’affidamento e prevede la cessazione automatica dell’efficacia dello stesso senza necessità di un ulteriore provvedimento. Da un lato tale soluzione ha un evidente effetto deflattivo, non rendendo necessario un nuovo intervento dell’autorità giudiziaria, dall’altro si è rivelata soluzione che favorisce una maggiore collaborazione da parte dei genitori e una minor diffidenza verso l’intervento dei Servizi avendo un orizzonte temporale certo. Resta fermo ovviamente il potere di iniziativa del Pubblico ministero minorile qualora permanga la situazione di pregiudizio e non si ritengano raggiunti gli obiettivi posti a fondamento del provvedimento limitativo della responsabilità genitoriale.

L’art 4, comma 5 quater, l. 184/1983 è stato aggiornato per renderlo sistematicamente coerente con le novità introdotte in tema di ruolo del curatore speciale e in tema di ascolto del minore.

L’art 4, comma 7, l. 184/1983, che estende per quanto compatibili, la disciplina dell’affidamento eterofamiliare ai collocamenti di tipo comunitario, è stato integrato con un esplicito riferimento alla procedura per la proroga di tale soluzione al fine di garantire, anche in termini di contraddittorio, un maggior controllo da parte dell’autorità giudiziaria.

 

Lettera c)

Anche l’art 5 l. 184/1983, è stato aggiornato con i richiami all’affidamento al servizio sociale ed alla figura del curatore speciale (art 5, comma 1).

 

Lettera d)

Nella legge 4 maggio 1983, n. 184 viene introdotto l’art. 5-bis l. 184/1983, che disciplina l’affidamento del minore al servizio sociale. Viene a tal fine previsto che possa essere disposto l’affidamento al servizio sociale del luogo di residenza abituale quando il minore si trova in una situazione di limitazione della responsabilità genitoriale (“nella condizione prevista dall’articolo 333 del codice civile”) e gli interventi di cui all’articolo 1, commi 2 e 3, si sono rivelati inefficaci o i genitori non hanno collaborato alla loro attuazione, fatto salvo quanto previsto all’articolo 2, comma 3.

È in ogni caso fondamentale che con il provvedimento con cui dispone la limitazione della responsabilità genitoriale e affida il minore al servizio sociale, il tribunale abbia a dettare una puntuale disciplina, indicando:

  1. il soggetto presso il quale il minore è collocato;
  2. gli atti che devono essere compiuti direttamente dal servizio sociale dell’ente locale, anche in collaborazione con il servizio sanitario, in base agli interventi previsti dall’articolo 4, comma 3;
  3. gli atti che possono essere compiuti dal soggetto collocatario del minore;
  4. gli atti che possono essere compiuti dai genitori;
  5. gli atti che possono essere compiuti dal curatore nominato ai sensi dell’articolo 333, secondo comma, del codice civile;
  6. i compiti affidati al servizio sociale ai sensi dell’articolo 5, comma 2;
  7. la durata dell’affidamento, non superiore a ventiquattro mesi;
  8. la periodicità, non superiore a sei mesi, con la quale il servizio sociale riferisce all’autorità giudiziaria che procede ovvero, in mancanza, al giudice tutelare, sull’andamento degli interventi, sui rapporti mantenuti dal minore con i genitori, sull’attuazione del progetto predisposto dal tribunale.

Il terzo comma della norma stabilisce che il servizio sociale, nello svolgimento dei compiti a lui affidati e nell’adozione delle scelte a lui demandate, debba comunque tener conto delle indicazioni tanto dei genitori che non siano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità genitoriale quanto del minore stesso, nonché, ove siano stati nominati, del curatore e del curatore speciale.

Ai sensi del quarto comma, entro quindici giorni dalla notifica del provvedimento il servizio sociale comunica il nominativo del responsabile dell’affidamento al tribunale, ai genitori, agli esercenti la responsabilità genitoriale, al curatore se nominato e al soggetto collocatario.

Il quinto comma dispone che se l’affidamento al servizio sociale è disposto con il provvedimento che definisce il giudizio, la decisione debba essere comunicata al giudice tutelare del luogo di residenza abituale del minore, per la vigilanza sulla sua attuazione.

Ai sensi del sesto comma, il giudice competente per l’attuazione, su istanza del servizio sociale, adotta i provvedimenti opportuni nell’interesse del minore.

Infine, il settimo comma della norma prevede che si applicano le disposizioni in materia di inefficacia e di proroga dell’affidamento di cui all’articolo 4, commi 4, 5 e 5-quater.

 

Art. 29 – (Altre modifiche alle leggi speciali in materia di persone, minorenni e famiglie)

 

Comma 1 – (Modifiche al Regio Decreto-Legge 20 luglio 1934, n. 1404)

La norma apporta una modifica all’art. 6-bis R. D. L. 20 luglio 1934, n. 1404 per adeguare le ipotesi di incompatibilità ivi previste per i giudici onorari e contiene a tal fine un’integrazione, in ossequio all’indicazione contenuta nel comma 23, lett. gg) n. 1, l. n. 206/2021, precisandosi tra le cause di incompatibilità alla funzione di giudice onorario minorile anche l’assunzione di cariche rappresentative in strutture “o comunità pubbliche o private” ove vengono inseriti i minori da parte dell’autorità giudiziaria, che partecipano alla gestione complessiva delle medesime strutture, che prestano a favore di esse attività professionale anche a titolo gratuito o che fanno parte degli organi sociali di società che le gestiscono.

La disposizione mira quindi a evitare il pericoloso conflitto di interesse tra strutture di accoglienza e giudice anche onorario minorile che ha disposto l’inserimento del minore in comunità.

 

Comma 2 – (Modifiche alla legge 31 maggio 1995, n. 218)

L’articolo in esame dà attuazione al principio di delega contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. cc) in cui è disposto che nei procedimenti di separazione personale e di scioglimento del matrimonio le parti possano, sino alla prima udienza di comparizione, concludere un accordo sulla legge applicabile alla separazione e al divorzio secondo quanto previsto dal regolamento n. 2010/2010/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio ed alla separazione personale. Il principio di delega richiama espressamente gli artt. 8 e 9 del regolamento, che a loro volta richiamano l’art. 5, norma che disciplina la possibilità per le parti di concludere un accordo sulla legge applicabile alla separazione ed al divorzio.

L’attuazione del riportato principio di delega impone di modificare l’intero art. 31 della legge n. 218 del 1995, norma da ritenere peraltro implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore del regolamento dell’Unione Europea che disciplina la materia e che, essendo atto normativo sovraordinato nella gerarchia delle fonti, prevale sulla norma interna.

Il primo comma dell’articolo in esame precisa, dunque, che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio sono regolati dalla legge designata dal regolamento n. 2010/1259/UE del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo ad una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale, e successive modificazioni.

Il secondo comma della norma prevede espressamente la possibilità per le parti di concludere accordo sulla designazione della legge applicabile alla separazione e al divorzio mediante scrittura privata ovvero anche nel corso del procedimento, secondo quanto previsto dell’art. 5 del regolamento citato, che rimette alle norme di ogni Stato partecipante alla cooperazione rafforzata di riconoscere tale possibilità.

In virtù di tale richiamo deve ritenersi che la designazione della legge applicabile su accordo delle parti non è libera ma è disciplinata dai criteri dettati dal richiamato articolo 5 che consente ai coniugi di individuare la legge applicabile tra quattro criteri tra loro alternativi: a) legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi al momento della conclusione dell’accordo; b) legge dello Stato dell’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora al momento della conclusione dell’accordo; c) legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza al momento dell’accordo; d) legge del foro.

L’articolo in esame, in attuazione del principio di delega, prevede infine che tale accordo, quando concluso nel corso del procedimento, può intervenire sino alla conclusione dell’udienza di comparizione delle parti, momento in cui si cristallizza il thema decidendum, con necessità di definire quale sarà la legge applicabile al giudizio. Inoltre, viene espressamente previsto che l’accordo sulla designazione della legge applicabile possa essere concluso con dichiarazione resa dalle parti, personalmente o a mezzo di un procuratore speciale, e inserita nel verbale di udienza in piena coerenza con i requisiti formali dettati dall’art. 7 del regolamento, che richiede la forma scritta, la datazione e la sottoscrizione dell’accordo.

 

Comma 3 – (Modifiche alla legge 4 aprile 2001, n. 154)

In attuazione del principio contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. a), ultima parte, l. n. 206/2021, laddove si fa presente che l’introduzione di un rito unitario per le persone, per i minorenni e le famiglie comporterà la prevedibile necessità di “abrogazione, riordino, coordinamento, modifica ed integrazione delle disposizioni vigenti” deve essere disposta l’abrogazione dell’art. 8 della legge 4 aprile 2001, n. 154.

La norma disciplina, infatti, i rapporti tra il procedimento speciale per l’emanazione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari e i procedimenti di separazione o divorzio, dettando a tal fine una limitazione temporale sia (al primo comma) per la stessa possibilità di emanazione degli ordini di protezione, sia (al secondo comma) relativamente all’efficacia dell’ordine di protezione.

Al riguardo, se da un lato l’avvenuta abrogazione delle norme relative al procedimento di separazione personale (artt. 706 ss. c.p.c.) e di quelle relative al procedimento di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (in particolare l’art. 4 l. 1° dicembre 1970, n. 898) già di per sé rende inattuabili i richiami contenuti nella disposizione, la sua integrale abrogazione è giustificata dal fatto che, nel nuovo impianto costituito dal rito unitario in materia di persone, minorenni e famiglie, gli ordini di protezione potranno essere sempre emanati, senza condizioni o limitazioni temporali, all’interno del processo di separazione, divorzio o altro processo della crisi familiare, e ciò in forza del principio contenuto nell’art. 1, comma 23, lett. b) l. n. 206/2021, che invita

“b) nei procedimenti di cui alla lettera a) , prevedere che in presenza di allegazioni di violenza domestica o di genere siano assicurate: su richiesta, adeguate misure di salvaguardia e protezione, avvalendosi delle misure di cui all’articolo 342 -bis del codice civile…” aggiungendo, alla fine della stessa lettera, “prevedere esplicitamente, inoltre, che i provvedimenti di cui agli articoli 342 -bis e seguenti del codice civile possono essere richiesti ed emessi anche dal tribunale per i minorenni e quando la convivenza è già cessata”. In attuazione di tali principi, dunque, il nuovo art. 473 bis.46 Provvedimenti del giudice, dispone che “Quando all’esito dell’istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore, tra cui quelli previsti dall’articolo 473 bis.70, e disciplina il diritto di visita individuando modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza”, consentendo così al giudice della crisi familiare di adottare sempre, laddove in presenza dei relativi presupposti, gli ordini di protezione contro gli abusi familiari.

Ciò, del resto, costituisce conferma di un principio già riconosciuto anche dalla Suprema Corte, volto a favorire il principio di concentrazione delle tutele. Come è stato in particolare sottolineato da Cass., 22 giugno 2017, n. 15482, in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, ai sensi dell’art. 342 bis e 342 ter c.c., l’attribuzione della competenza al tribunale in composizione monocratica, stabilita dall’art. 736 bis, comma 1, c.p.c., non esclude la vis attractiva del tribunale in composizione collegiale chiamato a statuire sul conflitto familiare in un procedimento avanti già incardinato avanti ad esso. Una diversa opzione ermeneutica, facente leva sul solo tenore letterale delle citate disposizioni, ne tradirebbe invero la ratio, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esige una tutela urgente, il rischio di decisioni intempestive o contrastanti e incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziali diversi.

 

Comma 4 - (Modifiche alla legge 10 dicembre 2012, n. 219)

In attuazione del principio di delega di cui all’art. 1 comma 23, lett. ll), l’art. 3, comma 2, l. 10 dicembre 2012, n. 219, è abrogato, essendo i relativi contenuti stati riorganizzati e trasposti nella nuova e uniforme disciplina relativa alle garanzie patrimoniali, contenuta negli artt. 473 bis. 36 e 473 bis.37.

 

Comma 5 – (Modifiche al decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162)

L’art. 315 bis c.c. individua la cornice generale del diritto del minore a essere ascoltato, prevedendo che il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano. La presenza di questo principio generale, che discende dalle numerose norme sovranazionali in materia, fa ritenere necessario, in attuazione del criterio di delega contenuto nell’art. 1, comma 22, lett. dd), della l. n. 206/2021, che attribuisce al legislatore delegato il compito di attuare “il riordino delle disposizioni in materia di ascolto del minore, anche alla luce della normativa sovranazionale di riferimento”, che venga colmata una lacuna presente nella disciplina della negoziazione assistita in materia familiare.

Come noto, l’art. 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, nell’introdurre e disciplinare l’istituto della negoziazione assistita in materia familiare non ha previsto alcuna disposizione in materia di ascolto del minore. La scelta normativa è coerente con il principio per il quale il primo luogo di ascolto del minore è nella famiglia, e i primi soggetti obbligati a garantire l’ascolto del figlio sono i genitori; per tali ragioni, allorquando tra i genitori vi è accordo per disciplinare consensualmente la crisi familiare e la fase della dissoluzione del rapporto, sia matrimoniale che di fatto, in merito alle condizioni dell’affidamento e mantenimento del minore, l’ascolto è adempimento che nella maggior parte dei casi può apparire superfluo, poiché sono gli stessi genitori, che nella fisiologica rappresentanza del minore e nella capacità di comprendere i suoi bisogni e le sue istanze, dovranno farsi portatori del di lui interesse.

Questa considerazione di carattere generale, tuttavia, non vale a escludere in assoluto la necessità o quanto meno l’opportunità di procedere all’ascolto del minore anche nell’ambito della negoziazione assistita.

Tale necessità può sorgere in particolare nei casi in cui nell’effettuare il controllo di rispondenza dell’accordo di negoziazione assistita agli interessi dei figli minori, il procuratore della Repubblica, al quale tale controllo è demandato dall’art. 6, comma 2, del decreto legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ritenga di non concedere l’autorizzazione prescritta e conseguentemente di trasmettere l’accordo al presidente del tribunale che deve fissare, entro i successivi trenta giorni dalla trasmissione, la comparizione delle parti. In questa fase pare quindi opportuno demandare al presidente del tribunale, chiamato a intervenire per verificare, nel contraddittorio con le parti, quale sia la migliore soluzione nell’interesse del minore, di procedere anche all’ascolto diretto del minore.

La disposizione in esame tende dunque proprio a colmare questa lacuna, prevedendo con la modifica dell’art. 6, comma 2, del d.l. n. 132/2014, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 162/2014, che il procuratore della Repubblica, quando ritenga che l’accordo raggiunto dalle parti non risponda all’interesse dei figli ovvero, in ogni caso, che sia opportuno procedere al loro ascolto, trasmette l’accordo, entro cinque giorni al presidente del tribunale, il quale, come la norma già stabilisce, fissa entro i successivi trenta giorni la comparizione delle parti. In questo contesto, una volta investito della richiesta del pubblico ministero, il presidente del tribunale può quindi procedere all’ascolto diretto del minore secondo le regole ordinarie, tenendo conto che l’ascolto è previsto per il minore che ha già compiuto gli anni dodici, ovvero anche di età inferiore laddove capace di discernimento, e deve avere luogo salvo che ciò sia in contrasto con il suo interesse ovvero manifestamente superfluo. Quest’ultima ipotesi si può ad esempio realizzare laddove il minore sia stato già ascoltato in altri contesti e siano acquisiti agli atti le risultanze dell’ascolto, ovvero se il profilo di dubbio che ha spinto il procuratore della Repubblica a investire il presidente del tribunale attenga a profili economici per i quali nessun apporto potrebbe avere la diretta audizione del minore.

La disposizione in esame, oltre a colmare le lacune indicate, ha il fine di agevolare la circolazione degli atti di negoziazione assistita in materia familiare in ambito internazionale e in particolare dell’Unione europea, in quanto tanto nel regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale (che ha abrogato il regolamento (CE) n. 1347/2000), quanto nel nuovo regolamento (UE) 2019/1111 del Consiglio del 25 giugno 2019 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, e alla sottrazione internazionale di minori (rifusione), l’ascolto del minore è requisito necessario per permettere la piena circolazione degli atti disciplinanti l’affidamento dei minori, in ambito europeo e internazionale. La presenza di una disciplina che non consenta in assoluto di procedere all’ascolto (come nella attuale formulazione del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162) rappresenta un potenziale ostacolo alla circolazione di questi atti, ostacolo che l’intervento normativo in esame intende superare.

 

Comma 6 – (Modifiche alla legge 20 maggio 2016, n. 76)

In attuazione del criterio di delega di cui all’art. 1 comma 22, lett. a), sono apportate modifiche all’art. 1, comma 25 l n. 76 del 2016 disciplinante il procedimento di scioglimento dell’unione civile.

Sono stati eliminati i riferimenti a norme abrogate dal decreto legislativo, ovvero da precedenti disposizioni di legge (art. 12 sexies abrogato dall’art. 7, comma 1, lett. b) D.lgs n. 21/18) ed è stato fatto espresso richiamo alle norme del rito unitario, applicabile anche ai procedimenti che riguardano lo scioglimento dell’unione civile, di cui all’introdotto Titolo IV bis del libro secondo del codice di rito.

Resta implicito che il richiamo alle norme del codice comporta altresì il richiamo alle relative disposizioni di attuazione.

 

Sezione VII

Modifiche in materia di tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie

 

Art. 30 – (Modifiche al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12)

 

L’articolo 30 contempla disposizioni con cui si interviene sulle norme di ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 al fine di dare attuazione ai principi di delega contenuti nel comma 24 dell’articolo 1 della legge n. 206 del 2021, relativi all'istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, ispirati dall’esigenza unanimemente avvertita di unificare le competenze in tali materie.

Nell’intento del legislatore delegante, la modifica ordinamentale proposta avrà positivi effetti sul numero di procedimenti: la concentrazione delle competenze in un’unica autorità giudiziaria consentirà di ridurre il numero complessivo dei procedimenti civili pendenti, dal momento che oggi accade spesso che questi siano instaurati contemporaneamente sia davanti al tribunale per i minorenni (il riferimento è in particolare ai giudizi ex articoli 330 e seguenti del codice civile), sia davanti al tribunale ordinario. Inoltre, la creazione di un unico tribunale altamente specializzato, con sezione distrettuale e più sezioni circondariali, permetterà l’adozione di orientamenti interpretativi uniformi nell’intero distretto, assicurando maggiore prevedibilità delle decisioni, con certa riduzione del contenzioso, potendo la prevedibilità dell’esito dei procedimenti (in particolari di quelli che non presentano particolari difficoltà) stimolare le parti a raggiungere accordi all’esito della crisi della relazione familiare, da concludere anche al di fuori delle aule giudiziarie, anche grazie al ricorso alle convenzioni di negoziazione assistita in materia familiare di cui all’articolo 6 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162. L’attribuzione alla costituenda sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie del ruolo di giudice di secondo grado, competente per le impugnazioni avverso i provvedimenti emessi in primo grado dalle sezioni circondariali, avrà un notevole effetto deflattivo sui procedimenti iscritti nelle corti di appello, le cui sezioni specializzate in materia di famiglia e minori vedranno ridotto il carico di lavoro in maniera rilevante, così da consentire di liberare risorse per affrontare la definizione dell’arretrato pendente. Infine, la previsione – ad opera dei principi di delega di cui al precedente comma 23 della legge n. 206 – di un unico rito per la trattazione delle controversie civili in materia di persone, minori e famiglie, ispirato al principio di concentrazione, avrà l’effetto di ridurre notevolmente i tempi di definizione dei futuri procedimenti civili che verranno proposti dinanzi all’istituendo tribunale, effetto sicuramente amplificato dalla creazione di una magistratura, giudicante e requirente, altamente specializzata, assegnata in via esclusiva alla trattazione della materia.

Al momento le competenze civili in materia di minori e famiglia sono distribuite tra il tribunale per i minorenni e il tribunale ordinario, con sovrapposizioni di accertamenti, duplicazioni di procedimenti e possibile rischio di adozione di provvedimenti contrastanti. Si pensi ai casi di condotte gravemente pregiudizievoli per la prole o di violenza domestica poste in essere da un genitore in danno dell’altro. Tali fattispecie, nella prassi, generano diversi procedimenti che allo stato pendono dinanzi a due autorità giudiziarie e sono seguiti da due diversi uffici di Procura, quella ordinaria e quella minorile. In molti casi viene, infatti, istaurato: un procedimento, spesso su iniziativa del pubblico ministero minorile, dinanzi al tribunale per i minorenni ex articoli 330 e 333 c.c. a tutela del minore che abbia subito condotte pregiudizievoli o violenza, anche nella forma della violenza assistita; un procedimento dinanzi al tribunale ordinario per la disciplina dell’affidamento della prole (che potrà essere di separazione, divorzio o affidamento del figlio quando nato da genitori non coniugati), nel quale è interveniente necessario il pubblico ministero ordinario. Il coordinamento di questi procedimenti è difficile e, in applicazione della normazione vigente, non evita il rischio di giudicati potenzialmente contrastanti e di duplicazione di accertamenti istruttori, di comparizioni delle parti e di ascolti del minore dinanzi alle diverse autorità giudiziarie.

L’unicità della materia e l’esigenza, avvertita anche in campo sovranazionale, di formare magistrati, giudicanti e requirenti, avvocati ed operatori specializzati nella materia delle persone, dei minori e delle famiglie, impongono di prevedere l’istituzione di un unico organo giudicante e di un unico organo requirente, competente per ogni procedimento che riguardi queste materie.

Tra le possibili scelte organizzative, il legislatore delegante ha voluto privilegiare la creazione di un tribunale specializzato che possa proseguire la positiva esperienza maturata dal tribunale per i minorenni nel settore del penale minorile, considerato un modello da seguire per l’efficacia del recupero dei minorenni, e superando, con la concentrazione di ogni procedimento civile dinanzi ad un’unica autorità giudiziaria, le pregresse difficoltà realizzatesi a causa della suddivisioni di competenze, in parte sovrapponibili, tra tribunali ordinari e tribunali per i minorenni. Il modello organizzativo prescelto dal legislatore delegante si articola nella creazione di un unico tribunale che verrà realizzato in ogni sede di corte di appello e di sezione distaccata di corte di appello, con una distribuzione territoriale sostanzialmente sovrapponibile a quella degli attuali tribunali per i minorenni. L’unitario tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie avrà un’articolazione distrettuale e tante articolazioni circondariali quanti sono, nell’ambito del distretto, i tribunali ordinari. Nell’intento del legislatore delegante, la creazione di un unitario tribunale specializzato con le diverse articolazioni, distrettuale e circondariale, permetterà di conservare le specificità del tribunale per i minorenni ma di assicurare, oltre alla concentrazione delle tutele oggi frammentate, la prossimità rispetto all’utenza, altro requisito fondamentale per la corretta gestione del contenzioso che attiene a diritti fondamentali delle persone e delle famiglie, e di liberare risorse per rendere immediatamente reclamabili tutti i provvedimenti provvisori con contenuto decisorio, molti dei quali possono avere immediato effetto nella crescita dei minori e nella vita delle persone coinvolte nel procedimento.

La soluzione organizzativa proposta consente di razionalizzare le risorse, in quanto la presenza di pubblici ministeri e di giudici altamente specializzati, assegnati in via esclusiva alla trattazione dei procedimenti relativi alle persone, ai minori ed alle famiglie, permetterà di prevedere che tutte le decisioni attribuite alla competenza delle sezioni circondariali possano essere assunte dal tribunale in composizione monocratica. Le reclamabilità innanzi alla sezione distrettuale dei provvedimenti provvisori di contenuto decisorio (con esclusione, quindi, dei provvedimenti meramente istruttori, di nomina del consulente tecnico d'ufficio o che dispongano altri accertamenti) adottati dal giudice della sezione circondariale assicurerà il vaglio della decisione da parte di altro giudice dello stesso tribunale, altamente specializzato.

A livello di tecnica normativa, si è ritenuto preferibile intervenire con una novella sulle norme attualmente in vigore che disciplinano il tribunale per i minorenni, anziché redigere ex novo un testo normativo “autosufficiente”, in quanto la delega prevede espressamente che si debba «riorganizzare il funzionamento e le competenze del tribunale per i minorenni», e non istituire un ufficio giudiziario del tutto nuovo, e in quanto comunque sarebbe stato necessario prevedere il coordinamento sia con le norme di ordinamento giudiziario, all’interno del quale il “nuovo” tribunale è comunque destinato a trovare collocazione e anche al fine di assicurare il raccordo del nuovo tribunale con gli altri uffici giudiziari ordinari, sia con quelle recate dal regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835, alcune delle quali destinate a rimanere in vigore.

Nel dare attuazione ai principi di delega si è quindi intervenuti, in primo luogo, sulle norme di ordinamento giudiziario previste dal regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12. A tal fine, si è seguito lo stesso schema già previsto nell’ordinamento giudiziario con riguardo alla struttura del tribunale ordinario, in cui ad un primo articolo che individua la sede del tribunale (articolo 42) seguono un articolo dedicato alla composizione del tribunale (articolo 42-bis) e uno dedicato alle funzioni e attribuzioni dell’ufficio (articolo 43) e, successivamente, dopo le norme dedicate alle funzioni dei giudici, sono inserite le norme che prevedono la costituzione delle sezioni (articolo 46), le attribuzioni del presidente del tribunale (articolo 47), le disposizioni circa la direzione delle sezioni (articolo 47-bis), quelle sulla istituzione dei posti di presidente di sezione (47-ter) e, infine, quelle relative alle attribuzioni del presidente di sezione (articolo 47-quater) e alla composizione dell’organo giudicante (articolo 48).

 

Comma 1

Lettera a)

In particolare, alla lettera a) dell’articolo 30 si interviene sull’articolo 43 dell’ordinamento giudiziario, relativo alle funzioni e attribuzioni del tribunale ordinario, espungendo il riferimento all’esercizio delle funzioni di giudice tutelare, che vengono trasferite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

 

Lettera b)

La lettera b) interviene sull’articolo 49, relativo alla «Costituzione e giurisdizione del tribunale per i minorenni», nel quale oltre ad un cambio meramente terminologico, consistente nella sostituzione dell’espressione «tribunale per i minorenni» con quella «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie», si è specificato che questo costituisce, come si è accennato, un ufficio unitario che al suo interno si articola in una sezione distrettuale e in più sezioni circondariali, in maniera non dissimile da quanto accadeva nei tribunali ordinari con le sezioni distaccate, poi soppresse con il decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155. La sezione distrettuale – come attualmente il tribunale per i minorenni - ha sede nel capoluogo del distretto e ha competenza sull’intero territorio di questo, mentre le sezioni circondariali sono costituite in ogni città sede di tribunale ordinario compreso nel distretto e hanno competenza sul corrispondente circondario. Presso la città sede del distretto, quindi, opereranno contestualmente – così come, mutatis mutandis, avviene oggi – la sezione distrettuale e la sezione circondariale. Aderendo all’invito in questo senso formulato dalla Commissione giustizia del Senato e della Camera nell’ambito dei pareri resi ai sensi dell’articolo 1, comma 2 della legge n. 206 del 2021, nell’espressione «una o più sezioni distaccate circondariali» contenuta nel primo comma è stata espunta la parola «distaccate», potenzialmente foriera di dubbi interpretativi.

 

Lettera c)

Tramite la lettera c) si è poi novellato l’articolo 50, relativo alla composizione del tribunale per i minorenni, disciplinando la composizione dell’istituendo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. In particolare, si è previsto che questo sia diretto da un presidente, e che possano essere istituiti posti di presidente di sezione nei tribunali a cui sono addetti più di dieci giudici, in ogni caso rispettando la proporzione di uno a dieci già prevista, per il tribunale ordinario, dal primo comma dell’articolo 47-ter. Quanto ai giudici, si è previsto – in attuazione di specifici princìpi di delega – che questi debbano essere dotati di specifiche competenze nelle materie attribuite al tribunale, esercitino le loro funzioni in via esclusiva e siano esonerati dall’applicazione del «limite dell'assegnazione decennale nella funzione», come specificamente previsto dal principio di delega previsto dalla lettera f) del comma 24 al fine di garantire la loro specializzazione. Nell’ottica di assicurare la funzionalità dell’unitario tribunale, la razionale distribuzione delle risorse e l’uniformità degli orientamenti e delle prassi, poi, si è previsto che i magistrati assegnati al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie possano essere assegnati, tramite la ben nota procedura tabellare, congiuntamente a più sezioni (ad es. la sezione distrettuale e una sezione circondariale, o più sezioni circondariali), in attuazione del criterio di delega di cui alla lettera g del comma 24). Rispetto alla delega si è preferito parlare di «assegnazione», anziché di «applicazione», per sottolineare il fatto che tale previsione può dipendere anche da una ben precisa scelta organizzativa, e non solo dalla necessità di fare fronte ad esigenze contingenti. Si è di conseguenza reso necessario specificare che in tal caso il singolo magistrato avrà una pluralità di sedi di servizio, che coincideranno con quelle in cui esercita le proprie funzioni; ciò al fine di evitare ripercussioni, ad esempio, sull’obbligo di risiedere nel Comune in cui è ubicata la sede di servizio o sul diritto a percepire un’indennità di missione. Come accade per le sezioni del tribunale ordinario, poi, si è previsto che nell’ambito della pianta organica del tribunale debbano essere le tabelle di organizzazione dell’ufficio a prevedere il numero di giudici assegnati alle singole sezioni, in considerazione delle esigenze di servizio. Le sezioni circondariali, infatti, sono sostanzialmente equiparabili alle preesistenti sezioni distaccate del tribunale ordinario, per le quali non era previsto un numero minimo di giudici; e nel territorio nazionale vi sono circondari il cui carico di lavoro nelle materie attribuite alla competenza del nuovo tribunale può essere sostenuto anche da un numero ridotto di magistrati. Infine, si è previsto che – come nell’attuale tribunale per i minorenni, e secondo quanto previsto dalla legge delega – del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie facciano parte anche dei componenti privati, che assumono la denominazione di «giudici onorari esperti».

 

Lettera d)

La lettera d) introduce, dopo l’articolo 50, una serie di nuovi articoli che hanno la finalità di disciplinare le attribuzioni del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, quelle del presidente e dei presidenti di sezione, il riparto degli affari tra la sezione distrettuali e le sezioni circondariali, in attuazione, tra gli altri, del criterio di delega di cui alla lettera e), con cui si demanda al legislatore delegato di «determinare le competenze del presidente della sezione distrettuale e del presidente della sezione circondariale».

L’articolo 50.1 o.g. prevede, specularmente a quanto previsto dall’articolo 43 per il tribunale ordinario, le funzioni e le attribuzioni del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie secondo le previsioni contenute nella legge delega, specificando che in ogni caso – come espressamente previsto, e a fugare possibili dubbi interpretativi – non rientrano nella competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie i procedimenti aventi ad oggetto la cittadinanza, l'immigrazione e il riconoscimento della protezione internazionale.

L’articolo 50.2 o.g. prevede che il presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie dirige l’ufficio e lo rappresenta, ed esercita le funzioni in via generale attribuite al presidente del tribunale ordinario, sentiti i presidenti delle sezioni circondariali.

L’articolo 50.3 o.g. specifica che la sezione distrettuale è diretta dal presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, il quale quindi oltre a svolgere le funzioni proprie del presidente dell’intero ufficio giudiziario svolgerà le funzioni di direzione, coordinamento e vigilanza in relazione ad una sezione specificamente individuata. Attualmente, la circolare del CSM sulle tabelle prevede che quando il tribunale ordinario è organizzato in sezioni il presidente «ha la facoltà di riservare a se stesso la direzione di una sezione predeterminata»; nel nuovo tribunale, per la sua particolare struttura organizzativa – e al fine di limitare l’istituzione di posti semidirettivi – ciò costituirà la regola. Le sezioni circondariali, invece, possono essere dirette da un presidente di sezione – il quale può essere incaricato di dirigere anche più di una sezione – ovvero, per quelle in cui non sia prevista l’istituzione di un posto di presidente di sezione, da un coordinatore designato tramite la procedura tabellare. In particolare, la disposizione inserita nel secondo comma dell’articolo 50 o.g. indica i presupposti perché all’interno del singolo tribunale possano essere istituiti dei posti di presidente di sezione; le norme di cui al secondo e terzo comma dell’articolo qui in esame prevedono invece a chi spetti la direzione delle sezioni circondariali, nelle diverse ipotesi configurabili. Le funzioni del presidente di sezione (distrettuale o circondariale che sia) coincidono con quelle che l’articolo 47-quater o.g. attribuisce alla corrispondente figura presso il tribunale ordinario, con un particolare accento sull’attività volta ad assicurare l’uniformità degli orientamenti e delle prassi, che costituisce uno degli aspetti qualificanti del nuovo ufficio. Ciò senza che venga meno il generale potere di vigilanza e di coordinamento attribuito al presidente dell’ufficio giudiziario, i cui poteri ben potranno essere ulteriormente scanditi dalla normazione secondaria dettata dal Consiglio Superiore della Magistratura. Si è infine espressamente previsto, in parallelo con quanto detto a proposito dell’attività del presidente del tribunale, che i presidenti di sezione collaborino con questo nell’attività di direzione dell’ufficio.

L’articolo 50.4 o.g. – parallelamente a quanto previsto per il tribunale ordinario dall’articolo 48 – dà attuazione agli specifici princìpi di delega contenuti nelle lettere l), m) ed n) del comma 24. Si è quindi previsto che la sezione circondariale giudica in composizione monocratica; che nella materia civile la sezione distrettuale giudica in composizione collegiale, con collegio composto da tre magistrati; che nella materia penale, nella materia delle adozioni disciplinata dai titoli II, III e IV della legge 4 maggio 1983, n. 184 e nelle altre materie attribuite alla sua competenza (in primis, quella relativa ai procedimenti amministrativi previsti dagli articoli 25 e seguenti del regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835) la sezione distrettuale giudica in composizione collegiale con collegio composto – come attualmente il tribunale per i minorenni – da due giudici togati e due giudici onorari esperti. In proposito, si è ritenuto che l’ordine del giorno approvato in Parlamento con cui si è impegnato il Governo a prevedere la composizione collegiale del tribunale nella materia dei procedimenti de potestate previsti dagli articoli 330 e seguenti del codice civile non fosse di per sé sufficiente a superare la stringente previsione della legge delega con cui si impone al legislatore delegato di «stabilire che, nei procedimenti civili che rientrano nelle loro rispettive competenze, secondo quanto previsto nelle lettere b) e c), le sezioni circondariali giudichino in composizione monocratica», ma fosse a tal fine necessario un espresso intervento normativo. Ad oggi questo non è intervenuto, ma si confida che possa sopravvenire prima dell’entrata in vigore delle disposizioni recate dal decreto legislativo attuativo della delega.

L’articolo 50.5 o.g. – anche in questo caso in analogia a quanto all’epoca previsto dal soppresso articolo 48-quater per le sezioni distaccate di tribunale – individua la ripartizione degli affari tra sezione distrettuale e sezioni circondariali, prevedendo, secondo i princìpi di delega contenuti nelle lettere b), c), l) ed m) del comma 24, che presso la sezione circondariale siano trattati i procedimenti attualmente attribuiti alla competenza del tribunale per i minorenni dall’articolo 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile, quelli di cui all’articolo 403 del codice civile e quelli in materia di affido familiare previsto dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, nonché quelli in materia di autorizzazione all’ingresso o alla permanenza nel territorio dello Stato del familiare del minore previsti dall’articolo 31 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, stante l’analogia con gli altri procedimenti e in considerazione del fatto che in tali procedimenti, di non particolare complessità, più che la trattazione centralizzata è opportuno garantire la prossimità del giudice competente. Sono inoltre attribuiti alla sezione circondariale tutti i procedimenti in materia di stato e capacità delle persone, famiglia, unione civile, convivenze e minori attualmente attribuiti alla competenza del tribunale ordinario e quelli attribuiti al giudice tutelare, tra cui quelli volti alla protezione degli adulti vulnerabili. Si è infine specificato che sono attratte alla competenza della sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie anche le domande di risarcimento del danno connesse per l’oggetto o per il titolo con i procedimenti di cui si è detto. In proposito si osserva che la legge delega contempla l’attribuzione al “nuovo” tribunale delle domande di risarcimento del «danno endo-familiare», espressione che si sta diffondendo nella prassi ma della cui stessa utilità alcune voci dottrinali dubitano. Tale espressione - mai impiegata in precedenza dal legislatore – indica, in buona sostanza, quelle voci di danno derivanti dalla violazione dei doveri di assistenza morale e materiale tra coniugi o tra genitori e figli. Piuttosto che fare uso di una categoria ancora di incerto inquadramento dottrinale, si è preferito fare riferimento ad un concetto – quello di causa connessa per l’oggetto o per il titolo con le domande aventi ad oggetto i rapporti sopra indicati – ormai consolidato e tale da escludere che possano essere attratte alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie anche domande risarcitorie connesse solo soggettivamente, e che non trovano quindi diretto fondamento nel rapporto di natura “familiare” in senso lato.

Sono viceversa attribuiti alla sezione distrettuale, con norma di chiusura, i procedimenti civili di primo grado diversi da quelli sopra indicati e attualmente di competenza del tribunale per i minorenni, i quali maggiormente necessitano di gestione centralizzata (si pensi ai procedimenti di adozione, a quelli di sottrazione internazionale di minori o alla materia dei minori stranieri non accompagnati), nonché quelli penali minorili comprese le competenze del giudice di sorveglianza per i minorenni e gli altri procedimenti attualmente attribuiti al tribunale per i minorenni quali, ad esempio, i procedimenti amministrativi previsti dall’articolo 25 r.d.l. n. 1404 del 1934. Nel fare ciò si è volutamente impiegata un’espressione volta ad attribuire in via residuale alla sezione distrettuale le controversie che non siano state oggetto di specifica individuazione, al fine di prevenire quanto più possibile eventuali vuoti normativi in relazione alle controversie oggi attribuite alla competenza del tribunale per i minorenni.

Sempre nella materia civile, poi, in attuazione del principio di cui alla lettera o) del comma 24 sono attribuite alla sezione distrettuale, come si accennava in premessa, le impugnazioni avverso i provvedimenti definitivi e i provvedimenti temporanei aventi contenuto decisorio emessi dalla sezione circondariale; in proposito il legislatore delegato ha ritenuto che ciò presumibilmente determinerà un’accelerazione dei tempi di definizione del giudizio, stante il notorio carico gravante sulle corti di appello. Più nel dettaglio, le disposizioni di carattere processuale (e non ordinamentale) volte ad individuare in maniera più specifica quali siano i provvedimenti impugnabili davanti alla sezione distrettuale dovranno essere predisposte in un secondo momento, modificando le previsioni che in questa occasione, in attuazione di quanto previsto dal comma 23 dell’articolo 1 della legge delega, vengono introdotte con il nuovo titolo IV bis del libro II del codice di procedura civile. Per espressa previsione della legge delega, infatti, in un primo momento deve essere introdotto il rito unificato destinato a regolare i procedimenti di cui si tratta, e solo in un secondo momento entreranno in vigore le disposizioni che istituiscono il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. A ciò si provvederà con l’apposito decreto legislativo recante norme di coordinamento previsto dall’articolo 1, comma 25 della legge n. 206 del 2021, con il quale sarà data attuazione anche agli altri principi di delega previsti dal comma 24 ma aventi natura prettamente processuale piuttosto che ordinamentale, quali quello di cui alla lettera p), volto a prevedere la possibilità di proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione avverso i provvedimenti provvisori emessi ex articoli 330 e 333 c.c. dalla sezione distrettuale all’esito di reclamo proposto nei confronti del provvedimento della sezione circondariale, quelli previsti dalle lettere r) e s) relativi al rito da applicare e quelli volti a disciplinare la partecipazione alle udienze da remoto da parte dei giudici applicati ad una sezione diversa da quella di appartenenza e da parte del rappresentante del pubblico ministero.

La medesima norma specifica poi, all’ultimo comma, che la ripartizione degli affari tra la sezione distrettuale e la sezione circondariale o tra diverse sezioni circondariali dello stesso tribunale non dà luogo a questioni di competenza, in conseguenza della loro natura di mere articolazioni interne dell’unitario tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Nell’ambito del codice di procedura civile o delle relative disposizioni di attuazione saranno poi inserite, sempre con il decreto previsto dal comma 25 dell’articolo 1 della legge delega, le norme volte a disciplinare le questioni inerenti all’attribuzione del processo all’una o all’altra sezione, sulla falsariga di quanto in origine previsto per gli analoghi conflitti tra sede centrale e sezione distaccata del tribunale o tra diverse sezioni distaccate.

 

Lettere e)-i)

Le lettere e), f), g), h) e i) modificano gli articoli 50-bis, 51, 54, 58 e 70 dell’ordinamento giudiziario apportandovi modifiche di coordinamento, in quanto con riferimento alle competenze penali e di sorveglianza dell’attuale tribunale per i minorenni la legge delega prevede che non siano apportate innovazioni. Per quanto riguarda, in particolare, l’articolo 58, la legge n. 206 del 2021 non reca alcuna disposizione circa l’attuale sezione di corte d'appello per i minorenni. Questa viene comunque rinominata in «sezione per le persone, per i minorenni e per le famiglie» in quanto ad essa saranno attribuiti, oltre ai procedimenti di appello avverso i provvedimenti emessi in primo grado dalla sezione distrettuale nella materia minorile, i procedimenti in unico grado attualmente di competenza della corte quali, ad esempio, la delibazione delle sentenze ecclesiastiche di nullità del matrimonio e la dichiarazione di esecutorietà delle sentenze e dei provvedimenti di volontaria giurisdizione pronunciati all’estero. Si è inoltre ritenuto opportuno inserire nel medesimo articolo 58, al fine di riunire tutte le disposizioni in un unico corpo normativo, la disposizione attualmente prevista dal r.d. n. 1404 del 1934 secondo cui alla sezione specializzata devono essere tabellarmente assegnati, ove possibile, magistrati dotati di specifica esperienza nelle materie a questa attribuite; norma che è coerente con le esigenze di specializzazione dei magistrati incaricati della trattazione dei procedimenti di cui si discute. Ai criteri di delega volti a prevedere l’anzianità di servizio necessaria a svolgere le funzioni giudicanti, requirenti, direttive e semidirettive presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie si è invece data attuazione intervenendo nell’appropriata sedes materiae, ovvero il decreto legislativo n. 160 del 2006, come di seguito si dirà.

 

Lettera l)

La lettera l), infine, introduce nell’ordinamento giudiziario il nuovo articolo 70-ter, volto a disciplinare le funzioni dell’ufficio del pubblico ministero presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie precisando che questo ha sede nel capoluogo del distretto, così escludendo, secondo quanto desumibile dalla lettera t) del comma 24, che debbano essere costituiti uffici circondariali del pubblico ministero. Con la stessa norma si sono recepite nell’ambito dell’ordinamento giudiziario le disposizioni sulle funzioni del pubblico ministero minorile attualmente previste dal R.D.L. n. 1404 del 1934. Sarebbe stato invero opportuno disciplinare in maniera più specifica i poteri del pubblico ministero presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la sua azione, ma si è ritenuto che la delega conferita non lo consentisse.

 

Art. 31 – (Modifiche al regio decreto-legge 20 luglio 1934, n. 1404, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 maggio 1935, n. 835)

 

L’articolo 31 introduce nel r.d.l. n. 1404 del 1934 le necessarie modifiche, abrogando disposizioni ormai superate o in questa sede recepite nell’ambito dell’ordinamento giudiziario e coordinando il testo alla luce delle disposizioni introdotte dal presente decreto legislativo.

 

Art. 32 – (Modifiche al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160)

 

L’articolo 32 interviene sull’articolo 10 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, al fine di dare attuazione ai princìpi di delega previsti dalle lettere d), f), u) e v) che richiedono di stabilire l’anzianità di servizio necessaria per svolgere le funzioni di giudice, di presidente della sezione distrettuale, di presidente della sezione circondariale di procuratore della Repubblica e di sostituto procuratore presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Inserendo, infatti, nell’articolo 11 le figure professionali del nuovo tribunale con l’individuazione delle relative funzioni, grazie al combinato disposto con le disposizioni già contenute nell’articolo 12, commi 2, 3 e 5 del decreto legislativo n. 160 del 2006 viene stabilito che per lo svolgimento delle funzioni di giudice e di sostituto procuratore sia sufficiente la sola delibera di conferimento delle funzioni giurisdizionali al termine del periodo di tirocinio (funzioni giudicanti e funzioni requirenti di primo grado); che per ricoprire le funzioni di presidente della sezione circondariale sia necessario il conseguimento della seconda valutazione di professionalità, analogamente a quanto previsto per le funzioni di presidente di sezione presso il tribunale ordinario (funzioni semidirettive giudicanti di primo grado); che per la nomina a presidente del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e a procuratore della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie sia necessario aver conseguito la quarta valutazione di professionalità, come richiesto per gli analoghi incarichi direttivi presso i tribunali di maggiori dimensioni e presso i tribunali di sorveglianza (funzioni direttive elevate di primo grado).

Per quanto riguarda, in particolare, l’anzianità richiesta per svolgere le funzioni giudicanti e requirenti presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, si è ritenuto necessario consentire che siano assegnati a tali uffici anche magistrati ordinari al termine del tirocinio. Diversamente, sarebbe stato estremamente difficoltoso (se non impossibile) coprire i posti previsti in pianta organica, come hanno dimostrato tutte le esperienze che nel recente passato hanno introdotto specifici requisiti di anzianità per svolgere, ad esempio, le funzioni di pubblico ministero o di magistrato di sorveglianza. Del resto, una volta terminata la fase transitoria e compiuto il passaggio al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie dei magistrati già in servizio che svolgono o hanno svolto funzioni nelle materie della famiglia e dei minori, la specializzazione dei magistrati di nuova nomina non potrà che essere assicurata (così come avviene, ad esempio, per la sorveglianza) tramite lo svolgimento del tirocinio mirato e il successivo conferimento delle funzioni presso il tribunale di nuova istituzione, dal momento che essi non avranno altro modo di iniziare a svolgere funzioni giudiziarie nelle materie di cui si tratta.

È viceversa rimandata ad un apposito decreto legislativo volto a disciplinare in via generale l’ufficio per il processo l’attuazione dei princìpi di delega in proposito previsti dalle lettere h) e i) del comma 24 della legge n. 206. Nell’ambito dell’attuazione della delega in materia di digitalizzazione sono invece dettate le disposizioni relative all’informatizzazione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie (lettera bb).

 

Art. 33 – (Modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448)

 

L’articolo 33 interviene sul decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, recante le disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni con modifiche di mero coordinamento, dal momento che la legge delega prevede che non vengano apportate modifiche alle norme che disciplinano il procedimento penale minorile e quello di sorveglianza.

 

Art. 34 – (Modifiche al decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121)

 

L’articolo 34, infine, apporta modifiche di coordinamento all’articolo 23 del decreto legislativo 2 ottobre 2018, n. 121, relativo alla composizione del consiglio di disciplina competente ad irrogare le sanzioni disciplinari nei confronti dei condannati minorenni.

 

 

CAPO V

Disposizioni transitorie, finali e finanziarie 

 

Sezione I Disposizioni in materia di processo civile 

 

Articoli 35-40

 

Il capo V contempla le disposizioni transitorie e finali, oltre a quelle di copertura finanziaria. Esso è diviso in tre sezioni.

La prima sezione è relativa al processo civile.

In via generale, l’articolo 35 prevede al comma 1, al fine di consentire un avvio consapevole, da parte degli operatori, delle novità normative, che le disposizioni recate dal decreto legislativo hanno effetto a decorrere dal 30 giugno 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data, con la precisazione – a fugare possibili dubbi interpretativi – che ai procedimenti pendenti a quella data continuano ad applicarsi le disposizioni anteriormente vigenti. Così facendo, ci si è assicurati che l’abrogazione delle norme preesistenti e l’applicazione delle nuove norme (si pensi, ad esempio, all’abrogazione del c.d. “rito Fornero” e alle nuove disposizioni in tema di procedimenti di impugnazione dei licenziamenti) operino contestualmente.

Il comma 2 ha la funzione di “saldare” la normativa emergenziale in tema di obbligo di deposito telematico, udienze da remoto e trattazione scritta, avente scadenza al 31 dicembre 2022, con la disciplina introdotta in questa occasione, e procede di pari passo con la progressiva “informatizzazione” degli uffici allo stato esentati dall’applicazione delle norme sul processo telematico. Così, si prevede che negli uffici già informatizzati (tribunali, corti di appello e Corte di cassazione) la nuova disciplina operi già dal 1° gennaio 2023, ad eccezione di quella che riguarda le amministrazioni che stanno in giudizio in persona di loro funzionari.

Il comma 3 prevede che le norme in materia di obbligo di deposito telematico nei procedimenti davanti al Giudice di Pace e al tribunale superiore delle acque pubbliche si applicheranno a partire dal 30 giugno 2023, ferma restando la possibilità di anticipare, con appositi decreti non regolamentari del Ministro della giustizia, l’applicazione di tali disposizioni a specifici uffici o specifiche tipologie di procedimenti.

Il comma 4 prevede invece che per i procedimenti pendenti davanti a uffici giudiziari diversi da quelli di cui ai commi 2 e 3 le norme in materia di deposito obbligatorio degli atti si applichino al momento dell’entrata in vigore dei decreti con cui il Ministro della giustizia accerta la funzionalità dei relativi servizi.

Il comma 5 prevede, per quanto riguarda i giudizi di impugnazione, che la nuova disciplina si applichi alle impugnazioni proposte avverso le sentenze depositate successivamente al 30 giugno 2023, in modo da non differire troppo in là nel tempo l’applicazione delle nuove norme (che altrimenti si sarebbero applicate alle impugnazioni nei procedimenti introdotti in primo grado dopo la data indicata, e quindi a distanza di alcuni anni).

Il comma 6 contiene un’eccezione per quanto concerne  la disciplina inerente la Corte di cassazione, in quanto si è ritenuto opportuno prevedere l’applicazione delle nuove norme ai ricorsi notificati successivamente al 1° gennaio 2023 e l’applicabilità anche ai giudizi pendenti delle novità specificamente indicate nella norma (quali, ad esempio, l’abolizione della c.d. “sezione sesta”, il nuovo giudizio accelerato per la definizione dei ricorsi inammissibili o manifestamente infondati, il nuovo rito dei procedimenti in camera di consiglio), stante l’urgenza di intervenire per assicurare la funzionalità della Corte.

Il comma 8, invece, prevede l’applicazione delle norme in materia di rinvio pregiudiziale alla Corte di cassazione, introdotte con il nuovo articolo 363 bis, anche ai giudizi di merito pendenti alla data del 30 giugno 2023, auspicando che queste possano da subito contribuire a prevenire il proliferare di procedimenti vertenti su una identica questione di diritto.

Il comma 9, al fine di evitare dubbi interpretativi, precisa che anche per i procedimenti arbitrali le nuove disposizioni si applicheranno dopo il 30 giugno 2023.

Il comma 10, infine, prevede che fino all’adozione dei provvedimenti previsti dall’art. 196-duodecies, comma quinto, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, introdotto dal presente decreto legislativo, i collegamenti da remoto per lo svolgimento delle udienze civili continueranno ad essere regolati dal decreto del direttore generale dei sistemi informativi del Ministero della giustizia del 20 marzo 2020.

L’articolo 36 fissa la data del 30 giugno 2023 per l’applicazione delle disposizioni che apportano modifiche al codice penale, che introducono il reato di false dichiarazioni al difensore nell’ambito della procedura di negoziazione assistita, e prevede l’applicazione delle modifiche apportate alle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale ai procedimenti iscritti successivamente a quella data, in tema di comunicazioni a carico del pubblico ministero in relazione a procedimenti che abbiano ad oggetto fattispecie di reato di violenza domestica.

L’articolo 37 riporta l’elenco delle disposizioni delle leggi speciali abrogate perché incompatibili con quelle introdotte con il decreto legislativo. L’articolo 38 apporta modifiche all’art. 3 al decreto legislativo 26 ottobre 2020, n. 152 connesse alle modifiche apportate all’articolo 492-bis del codice di procedura civile ed in attuazione del criterio di cui al comma 22 dell’articolo 1 della legge delega. L’articolo 3 del decreto legislativo di adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del regolamento (UE) n. 2014/655 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, che istituisce una procedura per l'ordinanza europea di sequestro conservativo dei conti bancari al fine di facilitare il recupero transfrontaliero dei crediti in materia civile e commerciale.- Il testo dell’art. 3 del citato decreto legislativo è stato nuovamente allineato allo spostamento delle previsioni precedentemente contenute nel secondo comma dell’articolo 492-bis e ora confluite nel nuovo quarto comma.

L’articolo 39 rimanda ad un provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia la formazione, la tenuta e l’aggiornamento dell’elenco nazionale dei consulenti tecnici, previsto dal nuovo articolo 24 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile.

L’articolo 40 contiene una disposizione finalizzata a disciplinare il monitoraggio dei dati contenuti nei rapporti riepilogativi finali previsti per le procedure concorsuali e di esecuzione forzata, a fini di elaborazione, anche statistica, da parte del Ministero della giustizia

 

Sezione II

Disposizioni in materia di mediazione e negoziazione assistita

 

Articoli 41 - 44

 

La II sezione del capo dedicato alle disposizioni transitorie e finali concerne la disciplina della mediazione e della negoziazione assistita.

In particolare, l’articolo 41 precisa che le modifiche apportate alla disciplina della mediazione e alla negoziazione assistita si applicano a decorrere dal 30 giugno 2023, al fine di consentire, nelle more, l’adozione dei decreti ministeriali attuativi previsti dalle disposizioni in precedenza indicate. Per il resto, l’art. 41 è destinato a disciplinare le modalità e i tempi entro i quali tanto gli organismi di mediazione iscritti al registro istituito presso il Dipartimento per gli affari di giustizia del Ministero della giustizia alla data di entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della delega, quanto gli enti di formazione iscritti nell’apposito elenco alla medesima data, devono adeguarsi ai nuovi requisiti.

L’articolo 42 viene inserito per dare attuazione al principio di delega che impone al Ministero della giustizia di procedere a un monitoraggio degli interventi in materia di mediazione anche al fine di verificare, decorsi cinque anni, l’opportunità di mantenere o meno il principio del ricorso obbligatorio alla mediazione in alcune materie.

L’articolo 43 prevede inoltre il monitoraggio sul rispetto dei vari limiti di spesa da parte del Ministero della giustizia, autorizzato, in caso di scostamenti, ad operare aumenti del contributo unificato.

Con l’articolo 44, è stata introdotta una norma di coordinamento dovuta alle modifiche apportate all’art. 5 del decreto legislativo n.28 del 2010, il cui comma 1-bis del testo previgente è stato abrogato. Ogni precedente riferimento a tale disposizione deve intendersi al comma 1 dell’art. 5 nel testo modificato.

 

Sezione III 

Disposizioni in materia di istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie 

 

Articoli 45-49

 

La sezione III contiene, infine, le prime disposizioni di attuazione e transitorie indispensabili per il primo avvio del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e della relativa procura, secondo i criteri previsti dalla legge delega alle lettere z) e aa) del comma 24. Disposizioni che prevedono, in considerazione della complessità (anche logistica) dell’intervento, una partenza graduale dei nuovi uffici, e che ben potranno essere modificate, ampliate e integrate con il decreto legislativo appositamente previsto dal comma 25 della legge delega.

In primo luogo, con l’articolo 45 si è ovviamente prevista la determinazione delle piante organiche dei nuovi tribunali e delle nuove procure, per le quali in particolare si dovrà tenere conto delle maggiori competenze attribuite all’ufficio rispetto a quelle attualmente gravanti sulle procure minorili: a queste si aggiungeranno, infatti, tutte le competenze in materia di affari civili attualmente attribuite al pubblico ministero presso il tribunale ordinario. Sul punto, è stata riportata la previsione della legge delega secondo cui la rideterminazione delle piante deve avvenire nell'ambito delle attuali dotazioni organiche del personale di magistratura, del personale amministrativo, dirigenziale e non dirigenziale, e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, ma non è stata inserita  la disposizione, pure contenuta nella legge delega, secondo cui le nuove piante organiche dovrebbero essere predisposte entro un anno dall’entrata in vigore del decreto stesso: dall’interlocuzione avuta con il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi è infatti emerso che la soluzione predicata dalla legge n. 206 del 2021 è scarsamente praticabile, in quanto – considerato che nella maggior parte dei tribunali il medesimo giudice svolge funzioni sia in materia di famiglia che in altre materie civili e a volte penali – sottrarre risorse ai tribunali ordinari potrebbe portare questi alla paralisi; cosa tanto più inaccettabile in considerazione del fatto che, com’è noto, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza impone il raggiungimento, entro il 2024, di sensibili percentuali di riduzione del numero di procedimenti arretrati. D’altro lato, la previsione di piante organiche con una dotazione di personale aggiuntiva rispetto all’attuale dotazione complessiva che, come si è detto, è condizione necessaria per assicurare la funzionalità tanto del nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie quanto dell’esistente tribunale ordinario, presuppone necessariamente che prima vengano stanziate le risorse necessarie. Il mancato inserimento del termine per l’adozione delle nuove piante organiche è quindi finalizzato a far sì che l’amministrazione possa disporre di un congruo lasso di tempo per ottenere i necessari stanziamenti.

L’articolo 46 è volto a disciplinare il passaggio al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie del personale di magistratura e amministrativo attualmente in servizio presso il tribunale per i minorenni e la relativa procura, nonché di quello in servizio presso la corte d'appello e il tribunale ordinario e che svolge le proprie funzioni, anche non in via esclusiva, nelle materie attribuite all’istituendo tribunale. A tal fine, si è mutuata pressoché integralmente la disciplina dettata dall’articolo 5 del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 («Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 14 settembre 2011, n. 148») con riguardo ai magistrati e al personale amministrativo in servizio presso gli uffici giudiziari soppressi in quell’occasione, prevedendo:

  1. Che una volta istituite le piante organiche, i magistrati assegnati al tribunale per i minorenni e alla procura presso il tribunale per i minorenni entrano di diritto a far parte dell'organico del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e delle procure della Repubblica presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie istituiti presso le medesime sedi, anche in soprannumero riassorbibile con le successive vacanze;
  2. Che i magistrati di appello e i magistrati assegnati al tribunale ordinario possano essere assegnati, a loro domanda, al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le funzioni da loro svolte, anche in via non esclusiva, e che nel caso in cui gli aspiranti siano in numero superiore ai posti previsti nella pianta organica, è rappresentato dalla maggiore esperienza maturata nelle materie di competenza del costituendo tribunale;
  3. Che l’assegnazione così disposta non costituisce trasferimento ad altro ufficio giudiziario o destinazione ad altra sede, salvo al diritto ai trattamenti previsti, ricorrendone i presupposti, nel caso in cui ad essa consegua la fissazione della residenza in una sede di servizio diversa da quella precedente;
  4. Che i giudici onorari addetti al tribunale per i minorenni sono addetti di diritto al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie cui sono trasferite le funzioni;
  5. Che il personale amministrativo assegnato ai tribunali per i minorenni e alle procure presso i tribunali per i minorenni può, previo interpello e a domanda, essere assegnato alle sezioni distrettuali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in sovrannumero e con diritto di priorità su altri candidati; in particolare, la previsione dell’interpello si rende necessaria, come emerso dall’interlocuzione con il Dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, in quanto - a differenza di quanto avvenuto in sede di revisione della geografia giudiziaria – in questo caso non si ha una semplice soppressione dell’ufficio esistente, ma la sua trasformazione in un nuovo ufficio, e la rigida applicazione delle previsioni contenute nella legge delega potrebbe comportare che il nuovo tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie abbia la medesima dotazione organica del vecchio tribunale per i minorenni e non sia quindi in grado di fare fronte alle maggiori competenze a lui attribuite;
  6. Che nelle sezioni circondariali presterà servizio il personale che risponderà ad appositi interpelli pubblicati dal Ministero della giustizia, con diritto di priorità in favore del personale che nel corso della carriera abbia prestato servizio presso sezioni incaricate della trattazione di affari ora attribuiti alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie.

L’articolo 47 è dedicato ai magistrati titolari di funzioni dirigenziali presso il tribunale per i minorenni e la procura minorile, nonché presso le sezioni del tribunale ordinario cui sono assegnate le materie trasferite al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Si è in proposito previsto, anche in questo caso ripetendo la disciplina già dettata dall’articolo 6 del decreto legislativo n. 155 del 2012:

  1. che a far data dal 1° gennaio 2025 i magistrati titolari delle funzioni di presidente del tribunale per i minorenni e procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni assumano le funzioni di presidente e procuratore degli uffici cui sono trasferite le relative funzioni;
  2. che a far data dal 1° gennaio 2030 i presidenti di sezione dei tribunali ordinari, assegnati a sezioni che svolgono funzioni nelle materie attribuite alla competenza del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in via non esclusiva, sono destinati, a loro domanda, alle funzioni di presidente di sezione presso il corrispondente tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, anche in questo caso assicurando prevalenza, in caso di aspiranti in numero superiore ai posti disponibili, ai magistrati di maggiore esperienza nelle materie;
  3. che l’assegnazione al nuovo ufficio non costituisce conferimento di nuove funzioni direttive o semidirettive. Il periodo di svolgimento delle funzioni presso il tribunale per i minorenni, il tribunale ordinario e le relative procure si cumula con quello presso il tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e la relativa procura della Repubblica.

L’articolo 48, relativo al personale di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica presso il tribunale per i minorenni riproduce letteralmente l’articolo 7 del decreto legislativo n. 155 del 2012, prevedendo che il personale è di diritto assegnato o applicato alle sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica cui sono trasferite le funzioni degli uffici soppressi, e che ciò non costituisce nuova assegnazione o applicazione ovvero trasferimento.

L’articolo 49 è poi dedicato alla sorte dei procedimenti attualmente pendenti, con il quale si dettano le disposizioni volte ad assicurare la sopra menzionata gradualità nell’avvio del nuovo tribunale, ispirato alle analoghe disposizioni introdotte allorché furono soppressi gli uffici di pretura e introdotto il giudice unico di primo grado. In particolare, il primo comma prevede, in attuazione della previsione contenuta nella lettera cc) del comma 24 della legge delega, che le norme relative all’istituzione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie avranno efficacia decorsi due anni dalla data della pubblicazione del decreto legislativo in Gazzetta ufficiale. Si prevede inoltre:

  1. che le disposizioni previste dal decreto si applicano ai procedimenti introdotti successivamente alla data ora indicata;
  2. che i procedimenti civili, penali e amministrativi pendenti davanti al tribunale per i minorenni alla data di efficacia delle disposizioni proseguono davanti alla sezione distrettuale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti;
  3. che i procedimenti civili pendenti davanti al tribunale ordinario alla data di efficacia del presente decreto sono definiti da questo sulla base delle disposizioni anteriormente vigenti. L’impugnazione dei provvedimenti, anche temporanei, è regolata dalle disposizioni introdotte dal presente decreto. I procedimenti civili pendenti alla data del 1° gennaio 2030 proseguono davanti alla sezione circondariale del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie;
  4. che sino al 31 dicembre 2029, al fine di assicurare la completa definizione delle misure organizzative relative al personale e ai locali, il funzionamento delle sezioni circondariali del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie può essere assicurato anche avvalendosi in coassegnazione del personale amministrativo di altri uffici del distretto individuato con provvedimenti del direttore generale del personale e della formazione, sentiti gli uffici interessati, e per il personale di magistratura ordinaria e onoraria, meriante applicazione di istituti di flessibilità individuati dal Consiglio superiore della magistratura;
  5. che l’udienza fissata davanti al tribunale per i minorenni per una data successiva a quella di efficacia delle disposizioni e quella fissata davanti al tribunale ordinario per una data successiva al 1° gennaio 2030 si intende fissata davanti al tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie per i medesimi incombenti, e che i procedimenti sono trattati dagli stessi magistrati ai quali erano in precedenza assegnati, salva l’applicazione dell’articolo 174, secondo comma, del codice di procedura civile.

 

Sezione IV 

Disposizioni di coordinamento, finanziarie e finali

 

Articoli 50, 51 e 52

 

L’articolo 50 detta una norma finale di coordinamento volta a sostituire, in tutta la legislazione vigente, le parole «tribunale per i minorenni» con le parole «tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie».

Il principio di delega di cui alla lettera bb), volto a prevedere la completa informatizzazione del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie, trova infine attuazione nell’ambito della complessiva disciplina della digitalizzazione del processo, secondo quanto si è detto con riguardo all’avvio del processo civile telematico dei tribunali per i minorenni. Una volta che si sarà provveduto a tale incombente, infatti, il neoistituito tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie erediterà dagli uffici “madre” (rispettivamente, il Tribunale per i Minorenni per le sezioni distrettuali e il Tribunale Ordinario per le sezioni circondariale) i sistemi informatici già in uso, che saranno armonizzati a cura del Ministero della giustizia.

L’articolo 51 reca, da ultimo, le disposizioni inerenti alla copertura finanziaria per gli interventi previsti. In particolare, questi non comporteranno nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, dal momento che le voci di spesa hanno già trovato copertura secondo quanto previsto dall’articolo 1, commi 39 e 40 della legge n. 206 del 2021.

L’articolo 51 contiene le disposizioni finanziarie finali e precisa che, salvo quanto espressamente previsto dagli articoli, 3, comma 57; 7, comma 1, lettere t), aa) e 9, comma 1, lettera l) per i quali si provvede ai sensi dell’articolo 1, commi 39 e 40 della legge n. 206 del 2021, dalle altre disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Si prevede altresì che le amministrazioni interessate provvedono ai relativi adempimenti nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente.

L’articolo 52 contiene disposizioni relative all’entrata in vigore. In particolare, è prevista l’entrata in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione del decreto legislativo in Gazzetta Ufficiale.