Schema di D.Lgs. - Disposizioni di modifica del libro XI del codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere. - Relazione

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 2 ottobre 2017

Esame preliminare - Consiglio dei ministri 21 luglio 2017

Schema di decreto legislativo recante disposizioni di modifica del libro XI del codice di procedura penale in materia di rapporti giurisdizionali con autorità straniere.


Articolato

La legge 21 luglio 2016, n. 149, all’articolo 4, reca la delega al Governo per la riforma del libro XI del codice di procedura penale, dedicato ai rapporti giurisdizionali con le autorità straniere e il cui complesso di norme è destinato ad operare in via residuale, solo cioè dove non sia prevista una diversa regolamentazione discendente da accordi internazionali.

La delega, da esercitarsi nel termine di un anno dall’entrata in vigore della legge, è volta a migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale e ad assicurare che l’assistenza giudiziaria da parte dell’Italia sia attuata in maniera rapida ed efficace.

Il testo in esame trae origine dall’elaborazione dei lavori di apposita commissione istituita presso il Ministero della giustizia e dei contributi, quindi, di esperti nella materia della cooperazione penale.

Come già rilevato, nell’illustrare il contenuto della legge di delega, «la riforma trova fondamento nell’unanime riconoscimento dell’inadeguatezza dell’attuale sistema normativo di assistenza giudiziaria, a fronte di una criminalità, specie quella organizzata, che ha esteso il raggio di azione ben oltre i confini del territorio di un singolo Stato, e sa ben sfruttare tutte le opportunità offerte dalla globalizzazione dei mercati e dalle nuove tecnologie di comunicazione e di gestione dell’informazione. La modifica di questo settore del codice di rito penale costituisce una priorità di azione anche nella prospettiva della ratifica di molte convenzioni internazionali, che in anni recenti hanno dato il segno di una sempre maggiore volontà di cooperazione nel contrasto ai fenomeni criminali. Appare opportuno, in chiave di semplificazione, introdurre regole speciali per la cooperazione tra le autorità degli Stati che non fanno parte dell’Unione europea, che andranno distinte dalla regolamentazione dei rapporti con i Paesi membri dell’Unione europea».

Alla luce di quanto sopra si è inteso operare modifiche in materia di assistenza giudiziaria, a quella parte cioè della cooperazione penale internazionale specificamente volta a disciplinare la raccolta della prova, sia sul versante passivo che su quello attivo.

In proposito la legge di delega elenca alla lettera c) dell’articolo 4 una serie di criteri al fine di disciplinare attività funzionali al riconoscimento e all’esecuzione delle richieste ricevute dall’estero. Al n.9) tuttavia impone di disciplinare le modalità di partecipazione dei soggetti che si trovino all’estero e che non possono essere trasferiti in Italia attraverso le varie forme di collegamento a distanza; nel caso dunque il legislatore sembra avere riguardo al versante attivo dei rapporti di cooperazione internazionale. Dedica ai nn.10), 11), 12) della medesima lettera c) criteri di delega per la disciplina di squadre investigative comuni con l’evidente proposito di regolare attività investigative del procuratore della Repubblica svolte all’estero. Al n.13) stabilisce criteri per lo scambio di informazioni e in particolare per l’utilizzabilità nei procedimenti interni di atti e documenti spontaneamente trasmessi dall’estero.

Non sono dunque estranei alla legge n. 149 del 2016 profili direttamente incidenti sulla regolamentazione in fase attiva dell’assistenza giudiziaria. D’altra parte ai nn. 1) e 2) dell’art. 4 si ribadisce la natura sussidiaria delle norme del codice di procedura penale sia nell’ambito dell’assistenza con i paesi extra UE che all’interno dell’Unione. Ai rapporti giudiziari in ambito UE sono dedicati singoli criteri di delega per la disciplina del mutuo riconoscimento (lettera f) e dunque anche con riguardo alle richieste di assistenza che provengono dalle autorità italiane e nemmeno si può tacere il dato costituito dalla ratifica della Convenzione di Bruxelles del 2000, contenuta nella medesima legge n.149 del 2016, e dalla recente attuazione della direttiva 2014/41/UE. Si tratta di atti normativi che disciplinano accanto alle competenze e alle modalità di riconoscimento ed esecuzione delle richieste, singoli atti di acquisizione della prova anche all’estero.

In siffatto quadro normativo, sopravvenuto all’adozione della legge di delega, appare del tutto razionale, laddove sia imposta in fase passiva la regolamentazione delle modalità di esecuzione delle richieste di assistenza giudiziaria nonché di singoli istituti (squadre investigative, trasferimento detenuti a fine di indagine, partecipazione a distanza), procedere alla revisione del codice di procedura penale per disciplinare i medesimi fenomeni sia sul versante attivo che su quello passivo.

Si tratta, peraltro, di regolamentazione già conosciuta dall’ordinamento interno in ragione della ratifica di singoli accordi internazionali che disciplinano la medesima materia.

La mancata implementazione del codice di procedura penale anche sotto questo aspetto si risolverebbe in un vuoto normativo, dacché istituti già normalmente praticati su base convenzionale ovvero in ragione di accordi di cooperazione o infine affidati in ambito UE agli strumenti attuativi di decisioni quadro e direttive, non verrebbero contemplati quando si tratti di richiedere attività di cooperazione in via sussidiaria, sulla base della disciplina del libro XI.

L’opzione di non intervenire anche in questo settore in altri termini si risolverebbe in una regolamentazione monca e del tutto frammentaria e priverebbe l’interprete e l’operatore anche delle norme di necessario adeguamento, alla sopravvenuta modifica di disciplina ovvero alla sua innovazione sul versante passivo.

Ma al di là degli argomenti di ordine logico-sistematico l’art. 4, comma 2, della legge n. 149 del 2016 espressamente stabilisce che “nella redazione dei decreti legislativi di cui al presente articolo il Governo tiene conto delle eventuali modificazioni della normativa vigente comunque intervenute fino al momento dell’esercizio della delega. I predetti decreti legislativi contengono altresì le disposizioni necessarie al coordinamento con le altre norme legislative vigenti nella stessa materia”.

La sopravvenuta emanazione del decreto legislativo recante norme per la compiuta attuazione della Convenzione di Bruxelles, l’attuazione della direttiva 2014/41/UE in materia di ordine di indagine penale, ispirate ai medesimi criteri di semplificazione delle procedure di assistenza e di favore per la diretta corrispondenza tra autorità giustificano l’intervento in esame e in particolare le disposizioni recate all’art. 7 dello schema di decreto, oltre che i necessari e singoli aggiustamenti al codice di procedura penale per adeguarlo al nuovo assetto dei rapporti di cooperazione, prefigurati dal legislatore delegante.

Si osserva ancora in via generale che alla materia della cooperazione in ambito europeo sono dedicati singoli criteri di delega ispirati al principio della depoliticizzazione del sistema dell’assistenza giudiziaria e della diretta corrispondenza tra autorità giudiziarie.

In questa prospettiva all’autorità giudiziaria è affidata, a garanzia dei singoli, la funzione di presidiare il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico ed è a essa riconosciuto il potere di rifiutare singole richieste se contrastanti con regole procedurali essenziali.

Quanto alla disciplina è espressamente stabilito nel novellando articolo 696 c.p.p. che la cooperazione in ambito euro-unitario è regolata dalle norme del Trattato dell’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nonché dai singoli strumenti di attuazione dei medesimi Trattati, oltre che dalle convenzioni internazionali.

Nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea soltanto in assenza di strumenti di attuazione dei Trattati o quando questi lascino agli Stati membri margini per introdurre disposizioni più specifiche, troveranno applicazione le convenzioni internazionali e le norme di diritto internazionale generale e, in via residuale, le norme del codice di rito.

Invece, nei rapporti con gli Stati che non siano membri dell’Unione europea, la cooperazione giudiziaria si dovrà svolgere nel rispetto delle convenzioni internazionali e delle norme di diritto internazionale generale e, in via residuale, nel rispetto delle disposizioni del libro XI del codice di procedura penale, con la precisazione che le richieste da esse regolate potranno essere rifiutate anche in difetto di adeguate “garanzie di reciprocità” (comma 4 dell’art. 696 c.p.p., come introdotto dall’articolo 2 dello schema di decreto).

Sul piano dell’integrazione, dell’armonizzazione e del riavvicinamento dei sistemi giuridici, l’obiettivo del rafforzamento della cooperazione giudiziaria e di polizia all’interno dell’Unione europea, è stato perseguito nella medesima materia con la recente attuazione di una serie di decisioni quadro: 2002/465/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa  alle  squadre  investigative comuni; 2003/577/GAI del Consiglio, del  22 luglio 2003,  relativa  all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti  di  blocco  dei  beni o di sequestro probatorio; 2005/214/GAI del Consiglio, del  24 febbraio 2005, sull'applicazione tra  gli  Stati  membri  dell'Unione europea del principio  del  reciproco  riconoscimento  alle  sanzioni pecuniarie; 2009/299/GAI del Consiglio, del  26 febbraio  2009,  che  modifica  le  decisioni  quadro 2002/584/GAI, 2005/214/GAI, 2006/783/GAI, 2008/909/GAI e 2008/947/GAI, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell'interessato al processo; 2009/829/GAI del Consiglio, del 23  ottobre  2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del  reciproco riconoscimento  alle  decisioni   sulle   misure   alternative   alla detenzione cautelare.

Si tratta cioè di un complesso di strumenti normativi, che trovano attuazione nei rapporti tra autorità giudiziarie europee, in gran parte ispirati al principio del mutuo riconoscimento, in funzione della più ampia circolazione in ambito europeo non solo delle decisioni giudiziarie, ma anche della prova; a superamento, infatti, del tradizionale sistema delle rogatorie, l’attuazione della direttiva 2014/41/UE doterà le autorità giudiziarie europee di uno strumento unitario funzionale alla raccolta della prova e degli atti investigativi sul territorio dell’Unione.

Al mutuo riconoscimento è dedicato l’art. 3 dello schema che introduce il “Titolo I-bis”, che consta di nove articoli.

Il nucleo fondamentale di disciplina è individuato dallo scopo di assicurare unitarietà e coerenza di indirizzo finalizzata all’adeguamento del sistema processuale agli obblighi già assunti. Si tratta di una serie di norme ricognitive dei principi cui si ispira il mutuo riconoscimento.

L’inclusione di un nucleo di disposizioni generali applicabili al mutuo riconoscimento, in apertura del libro XI, immediatamente dopo la disposizione dell’art. 696 relativa ai profili differenti della cooperazione giudiziaria, svolge una funzione in senso lato pedagogica e ha lo scopo di guidare l’interprete, ma anche il futuro legislatore, tra i criteri ispiratori delle disposizioni del diritto dell’Unione europea già emanate o che verranno emanate.

Infatti le autorità giudiziarie dovranno avvalersi di regimi diversi: l'assistenza giudiziaria tradizionale, da un lato, e il reciproco riconoscimento, dall'altro. Il primo regime ha dato luogo a numerosi protocolli e convenzioni. Vi si può ricorrere per tutti i casi, indipendentemente dal tipo di atto d'indagine o dal tipo di prova di cui si tratta. D'altro canto, si può ricorrere al reciproco riconoscimento solo per le parti contemplate da uno degli strumenti europei attualmente adottati.

Sotto questo profilo l’articolato si adegua alle diffuse direttive della legge di delega e introduce nel codice di rito gli articoli da 696-bis a 696-decies.

In via generale, la preventiva valutazione del Ministro della giustizia sulla richiesta di riconoscimento, al fine di verificare l’eseguibilità della decisione straniera in Italia, è sostituita dal meccanismo di diretta trasmissione tra autorità giudiziarie delle decisioni, con comunicazione al Ministro della giustizia nei casi e nei modi previsti dalla legge (articolo 4, comma 1, lett. f), n. 2, legge n. 149/2016- art.696-quater). Ciò in considerazione del fatto che il controllo sul rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato è preventivamente effettuato in relazione ai Paesi europei, salva la sussistenza del potere del Ministro della giustizia di garantire – nei casi e nei modi previsti dalla legge – l’osservanza delle condizioni eventualmente richieste in casi particolari per l’esecuzione all’estero o nel territorio dello Stato della decisione della quale è stato chiesto il riconoscimento (art. 4, comma 1, lett. f),  n. 3, legge n. 149/2016- art.696-sexies).

Premesso che le decisioni oggetto di reciproco riconoscimento possono riguardare anche le persone giuridiche (art. 4, comma 1, lett. f), n. 4, legge n. 149/2016 – art. 696-septies), la legge indica come ulteriori criteri direttivi:

la previsione che la decisione sul riconoscimento della decisione da eseguirsi nel territorio dello Stato sia adottata con la massima urgenza, e comunque in tempi e modalità tali da assicurarne la tempestività e l’efficacia e con regole speciali per l’esecuzione di decisioni al riconoscimento delle quali l’interessato abbia prestato consenso (art. 4, comma 1, lett. d), n. 5, legge n. 149/2016 - art. 696-octies);

la previsione che l’autorità giudiziaria italiana, nei casi stabiliti dalla legge, dia esecuzione alle decisioni giudiziarie degli altri Stati membri dell’Unione europea e che non possa essere sindacato il merito della decisione, il cui riconoscimento sia richiesto dall’autorità di un altro Stato membro dell’Unione Europea, salva l’osservanza delle disposizioni necessarie ad assicurare in ogni caso il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato, (art. 4, comma 1 lett. f), n. 6, legge n. 149/2016 - art. 696-quinquies);

la disciplina dell’impugnabilità delle decisioni di riconoscimento, senza pregiudizio della loro esecutività, salvi casi specifici (art. 4, comma 1 lett. f), n. 7, legge n. 149/2016 - art. 696-novies);

la previsione di idonei rimedi a tutela dei diritti dei terzi di buona fede, eventualmente pregiudicati dall’esecuzione della decisione (art. 4, comma 1 lett. f), n. 7, legge n. 149/2016 – art. 696-decies).

 

Nel corpo del testo si discorre di decisioni e di provvedimenti giudiziari al fine di eliminare ogni dubbio che al principio in esame sono ispirati anche quegli strumenti europei che contemplano atti investigativi del pubblico ministero come da ultimo la direttiva 2014/41/UE.

L’articolo 4 dello schema contiene modifiche in materia di estradizione.

L’ articolo 697 c.p.p. novellato prevede disposizioni generali e regolanti i poteri del Ministro della giustizia.

A questo riguardo la legge di delega si ispira all’esigenza di differenziare le aree di esercizio delle concorrenti potestà dell’autorità politica e dell’autorità giudiziaria, sì da evitare la sovrapposizione di valutazioni riferite ai medesimi parametri e, nel quadro di una più generale manovra di semplificazione e di accelerazione della relativa procedura, restringe i poteri del Ministro della giustizia alla tutela della sovranità, della sicurezza nazionale e di altri interessi essenziali dello Stato.

Come chiarisce il novellato  art. 697, l’estradizione resta lo strumento attraverso il quale disporre la consegna dell’imputato all’estero non solo ai fini della espiazione della pena ma anche in fase cautelare, “salvo che sia diversamente stabilito”; continueranno cioè ad applicarsi in ambito UE le norme sul mandato di arresto europeo ed è fatta salva, comunque, qualsiasi modalità diversa di consegna che potrebbe sorgere anche in futuro sotto altra etichetta.

L’art. 697 novellato disciplina dunque i poteri residui del Ministro della giustizia (commi 1-bis, 1-ter, 1-quater e 1-quinquies). Il comma 1-ter dà attuazione al criterio direttivo di cui al n. 2) della lettera d) dell’art. 4 della legge n.149 del 2016.

Si stabilisce in particolare che, se previsto da singoli accordi internazionali, il potere di rifiutare l’estradizione del cittadino possa essere esercitato tenuto conto “della gravità del fatto, della rilevanza degli interessi lesi dal reato e delle condizioni personali dell’interessato”, e sempre che il singolo accordo non disciplini esso stesso le condizioni e i casi di rifiuto. Restano fermi i poteri di rifiutare collegati alla salvaguardia degli interessi nazionali e della sicurezza.

L’ampliamento delle competenze dell’autorità giudiziaria si accompagna al rafforzamento delle garanzie difensive. In particolare viene modificato l’art.703 c.p.p. prevedendo espressamente che il procuratore generale presso la Corte d’appello provvede non più alla sola identificazione ma all’interrogatorio dell’estradando, il quale è assistito, oltre che da un interprete se necessario, dal difensore. Se infatti era prima previsto un obbligo preventivo di avviso si è ritenuto che il difensore sia la persona legittimata ad assistere l’interessato nelle sue determinazioni, in ragione delle loro conseguenze giuridiche, rispetto ad atti fondamentali della procedura riguardanti la rinuncia al principio di specialità o il consenso all’estradizione.

La espressa previsione dell’interrogatorio in questa fase, la cui necessità è stata sin qui esclusa dalla giurisprudenza, è funzionale all’attività di acquisizione probatoria preliminare attribuita al procuratore generale, tanto più in punto di identificazione quanto più certa dell’estradando. Omologa previsione è dettata nel novellato art. 717 c.p.p. laddove l’estradando si trovi sottoposto a misura coercitiva, secondo quanto previsto dagli artt. 714 e ss. c.p.p.

Le modifiche recate dall’art.4 riguardano il procedimento che viene semplificato, dal momento che il Ministro se ritiene di dare corso alla rogatoria, ove cioè non ricorrano ragioni ostative la cui valutazione è attribuita all’autorità politica e richiamate sopra, la trasmette al procuratore generale presso la Corte d’appello competente.

Al contempo sono abbreviati i termini entro i quali il procuratore generale deposita la sua requisitoria, tenuto conto del fatto che, ove previsto da convenzioni internazionali lo scambio informativo con le autorità dello Stato richiedente avviene per via di trasmissione diretta (comma 3 del novellato art. 703). È stabilito un termine, sia pure non perentorio, entro il quale la corte d’appello assume la propria decisione. L’art. 705 c.p.p. è modificato nel senso di esplicitare i motivi attinenti alla tutela dei diritti fondamentali che autorizzano il diniego dell’estradizione, cui sono affiancati quelli attinenti la persona stessa dell’estradando, dovendosi considerare ai fini della decisone anche le condizioni di salute e di età del soggetto, secondo quanto previsto dalla legge di delega.

L’art. 4 dello schema contiene, infine, minime modifiche lessicali in punto di sospensione e consegna temporanea, oltre che in materia di transito.  A tale ultimo riguardo le modifiche recate all’art. 712 c.p.p. sono destinate a trovare scarsa o nulla applicazione pratica, da qui la massima semplificazione sul piano procedurale, e ciò in ragione dell’ormai stabile utilizzo a questo scopo dei viaggi aerei, che escludono l’autorizzazione e che sono regolati dal comma 4 del medesimo art.712 non oggetto di alcuna modifica.

L’art. 5 reca modifiche in materia di estradizione dall’estero.

In attuazione degli espressi principi di delega contenuti ai n.11) e 12) della lettera d) dell’art.4 della legge n. 149 del 2016, viene disciplinata una particolare declinazione del principio di specialità e l’estensione dell’estradizione.

Ribadito infatti che il soggetto estradato non può essere sottoposto a misure restrittive della libertà per fatti anteriori diversi da quelli per i quali è stata richiesta l’estradizione, laddove convenzioni internazionali prevedano che il medesimo soggetto non debba essere giudicato, viene espressamente regolata la sospensione del relativo processo interno.

L’art. 721 c.p.p. viene quindi modificato in attuazione della legge di delega che stabilisce: prevedere che nell'estradizione dall'estero il principio di specialità operi  come  causa  di  sospensione  del  procedimento  e dell'esecuzione della pena,  anche  ai  fini  delle  altre  procedure giurisdizionali finalizzate  alla  consegna  di  persona  imputata  o condannata; prevedere che tale sospensione non precluda il compimento di atti urgenti e l'assunzione di prove  non  rinviabili  o  comunque idonee a determinare  il  proscioglimento  dell'estradato  per  fatti anteriori alla consegna; prevedere che alla garanzia del principio di specialità', salvo che norme convenzionali lo escludano,  la  persona estradata  possa  rinunciare,  dopo  la   consegna,   solo   mediante dichiarazione raccolta dal giudice; prevedere  che  la  rinuncia  sia irrevocabile, salva la sopravvenienza di fatti nuovi che  modifichino la situazione esistente al momento della rinuncia stessa.

Alla luce del principio di delega che discorre di estradizione dall’estero, si è intervenuti sul solo testo dell’art. 721 e non anche di quello dell’art. 699 c.p.p. In ragione dei diversi tipi di “specialità” desumibili dalle convenzioni, il novellato testo del codice innalza il livello minimo di garanzia, come già determinato dal comma 1 dell’art. 721, se la convenzione internazionale preveda che l’estradando non possa essere giudicato per un fatto anteriore diverso da quello per il quale è stata richiesta l’estradizione. Nel caso infatti, ove sia stata esercitata l’azione penale è ordinata la sospensione del processo dal giudice, con provvedimento ricorribile per cassazione. L’intervenuta sospensione non preclude l’adozione delle prove funzionali al proscioglimento.

Scopo della norma in esame è quello di impedire che la pendenza del processo possa costituire l’occasione per l’esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà personale. In altri termini resta fermo il principio che la specialità preclude l’adozione di provvedimenti limitativi della libertà, non anche che non si possa sottoporre a processo l’estradando per fatto anteriore, sempre che la sospensione del processo non sia prevista da convenzione internazionale e sempre che non ricorrano le condizioni per le quali la garanzia non opera. Ne discende che non è preclusa attività di indagine anche solo, per es., in funzione della raccolta di indizi gravi di reato ai fini dell’ottenimento di un titolo cautelare.

È cioè ammissibile porre in essere tutta l’attività necessaria all’emissione del provvedimento di custodia cautelare strumentale alla richiesta di estensione dell’estradizione. Sarebbe infatti paradossale che il principio impedisse la richiesta di estensione che rappresenta conseguenza logica della specialità e che per poter essere fruita necessita tuttavia della medesima documentazione di quella principale: id est un provvedimento restrittivo che peraltro può essere emesso soltanto quando sussistano i presupposti.

Quanto poi al superamento del principio i casi individuati sono quelli che potremmo definire usuali in quanto di regola ricorrenti anche in sede pattizia, si è così stabilito che, oltre al consenso dello Stato richiesto (estradizione suppletiva) e alle consuete ipotesi di purgazione dell’estradizione, il principio non sia applicabile quando l’estradato vi abbia rinunciato; questa possibilità, invero, non viene solitamente considerata dalle convenzioni, nondimeno, posto che la giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che tale rinuncia sia possibile, si è ritenuto di disciplinarla evitando così delle interpretazioni discutibili che hanno a suo tempo determinato contrasti interpretativi. Non solo: la scelta de qua è stata effettuata dal legislatore delegante. Si è così stabilito che la menzionata rinuncia debba essere espressa alla necessaria presenza del difensore e che sia irrevocabile salvo l’insorgenza di fatti nuovi che mutino la situazione di fatto esistente al momento del consenso.

Strettamente collegata alle previsioni in esame è la disposizione di cui al successivo art. 721-bis c.p.p. come introdotto dalla lettera c) dell’art. 5 dello schema di decreto.

Si stabilisce, infatti, (come da delega: prevedere che, ai fini della richiesta di estensione dell'estradizione, possa essere adottata un'ordinanza che dispone la custodia cautelare, l'esecuzione della quale resta sospesa fino alla concessione dell'estradizione suppletiva e che è revocata anche d'ufficio nel caso di rifiuto della medesima) il potere di richiedere ordinanza applicativa della custodia immediatamente revocata in caso di rifiuto dell’estensione dell’estradizione. L’ordinanza, come detto, esclusivamente funzionale all’estensione dell’estradizione non può comunque essere eseguita; la sua esecuzione è cioè sospesa fin quando non intervenga la decisione dello Stato richiesto. Quando l’estradizione è concessa è inoltre previsto, a tutela ulteriore del diritto della libertà personale, che la medesima ordinanza debba essere confermata per potere darsi ad essa esecuzione e ciò la fine di verificare se sussistano ancora le esigenze cautelari; nelle more della decisione esse potrebbero infatti essere venute meno o comunque affievolite.

All’art. 722 c.p.p. come modificato dallo schema di decreto è previsto che il periodo di detenzione all'estero è computato a ogni effetto ai fini della custodia cautelare.

Si è inteso così aderire al dettato della Corte costituzionale che ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 722 c.p.p.

Come osservato dalla Corte nella sentenza n. 253 del 2004, «il testo originario [dell’art.722] prevedeva che la detenzione all’estero a fini estradizionali fosse computata nella durata della custodia cautelare secondo le regole generali, e quindi anche ai fini della decorrenza dei termini di fase». Tuttavia le modifiche legislative all’art. 304 c.p.p. e l’introduzione di termini finali di fase, ha determinato la Corte a evidenziare che: «le vicende legislative degli artt. 722 e 304, comma 6, cod. proc. pen.; la decisione di questa Corte che, con riferimento all’art. 3 Cost., ha affermato, al fine di ritenere sussistente il legittimo impedimento a comparire, che la detenzione dell’imputato all’estero, concretando comunque “un fatto materiale di impossibilità a comparire”, non può essere “assunta a ragionevole presupposto di una diversità di trattamento” rispetto alla detenzione in Italia (sentenza n. 212 del 1974); la recente pronuncia (n. 21035 del 2003) con cui le Sezioni unite della Corte di cassazione, conformemente a precedenti relativi alla piena fungibilità tra la custodia cautelare sofferta in Italia e quella subita all’estero, hanno affermato che anche la detenzione all’estero a fini di estradizione costituisce legittimo impedimento a comparire, in quanto a nulla rileva che l’imputato non abbia prestato il consenso all’estradizione, sono tutti elementi che concorrono a dimostrare l’illegittimità costituzionale della disciplina censurata». 

Ne è derivato che, «affermata l’equivalenza tra detenzione cautelare all’estero in attesa di estradizione e custodia cautelare in Italia, evidenti motivi di razionalità e coerenza interna del sistema impongono di applicare alla custodia cautelare all’estero la medesima disciplina prevista per la durata dei termini di custodia cautelare in Italia. In particolare, rientrando anche la detenzione all’estero tra i motivi di legittimo impedimento a comparire che determinano la sospensione del decorso dei termini di custodia cautelare previsti dall’art. 304, comma 1, lettera a), c.p.p., non vi è alcuna ragione che possa giustificare per la detenzione all’estero una disciplina diversa da quella prevista dagli artt. 303 e 304, comma 6, c.p.p. per la durata dei termini massimi della custodia cautelare in Italia». 

Si è previsto pertanto che la custodia all’estero è computata ai sensi dell’art. 303 c.p.p. che disciplina i termini di fase, fermo quanto stabilito in materia di termine massimo di durata della custodia.

L’art. 5 dello schema contempla infine la previsione che la custodia all’estero è equiparata anche in relazione ai casi in cui possa dare luogo alla riparazione per ingiusta detenzione come previsto dalla legge delega (art. 4 lettera d), n.10, della legge n. 149 del 2016).

L’art. 6 dello schema di decreto reca modifiche agli articoli 723, 724, 725, 726-ter del codice di procedura penale in materia di rogatorie e introduce gli articoli 726-quater, 726-quinquies, 726- sexies c.p.p. dedicati a forme specifiche di assistenza, già comunemente operanti in ambito UE oltre che in forza di singoli accordi internazionali.

Sono in particolare ridefiniti all’art. 723 c.p.p. i poteri del Ministro della giustizia, prevedendo l’esercizio delle prerogative nei limiti stabiliti dai singoli strumenti normativi in vigore all’interno dell’Unione. Nei rapporti con i paesi extra UE, sono fatti salvi gli interessi essenziali dello Stato, ma anche poteri di inibizione ogni volta che non sia adeguatamente garantita la reciprocità ovvero il rispetto di diritti fondamentali, ivi comprese le garanzie di immunità del testimone e ciò in coerenza con quanto sopra rilevato in punto di depoliticizzazione delle richieste di assistenza internazionale.

Pertanto, è stato previsto il potere di non dare corso alla rogatoria di un'autorità straniera soltanto in caso di pericolo per la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato con riguardo ai rapporti con Stati differenti da quelli dell’Unione Europea. 

In ambito europeo, al contrario, tale potere è esercitato nei casi e nei limiti stabiliti dalle convenzioni in vigore tra gli Stati ovvero dagli atti adottati dal Consiglio e dal Parlamento dell’Unione europea. E’ evidente che il processo di integrazione giudiziaria in corso in ambito europeo ha imposto di limitare la possibilità di forme di “rivalutazione” dei rapporti tra Stati differenti ed ulteriori rispetto a quelle già oggetto di accordi.

Si è ritenuto opportuno mantenere la disposizione ora trasfusa al comma 5 dell’art.723 c.p.p. nello schema di decreto (Il ministro non dà corso alla rogatoria quando risulta evidente che gli atti richiesti sono espressamente vietati dalla legge o sono contrari ai principi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano. Il ministro non dà altresì corso alla rogatoria quando vi sono fondate ragioni per ritenere che considerazioni relative alla razza, alla religione, al sesso, alla nazionalità, alla lingua, alle opinioni politiche o alle condizioni personali o sociali possano influire negativamente sullo svolgimento o sull'esito del processo e non risulta che l'imputato abbia liberamente espresso il suo consenso alla rogatoria) e per garantire un effettivo coordinamento tra l’attività del Ministro e l’a.g. è stato previsto al comma 7 - in caso di esercizio del potere sopra descritto - che il Ministro dia comunicazione alle autorità giudiziarie interessate.

In questa prospettiva si è inteso così dare attuazione ai criteri direttivi indicati dalla lettera c) n.1) dell’art. 4 della legge n. 149 del 2016.

Sul piano della semplificazione del procedimento, l’art. 724 c.p.p. novellando individua nel procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto l’organo esecutivo delle richieste di rogatoria, se la richiesta ha per oggetto acquisizioni probatorie che prescindono dal necessario intervento del giudice; in questo senso è disposto anche se la richiesta provenga da un’autorità amministrativa (art. 726-ter c.p.p.).  Solo se gli atti richiesti debbano compiersi davanti al giudice ovvero non possano svolgersi senza l’autorizzazione del giudice, il procuratore della Repubblica distrettuale interpella senza ritardo il giudice per le indagini preliminari del tribunale del capoluogo del distretto.

Viene così superato il precedente modello fondato sulla competenza della Corte d’appello secondo i criteri dettati dalla legge delega e in particolare dalla lettera c), n.2), dell’art. 4 della legge di delega.

Si tratta di una rilevante novità, fondata sul rilievo, già illustrato in sede di adozione della legge di delega, per il quale «la ricognizione del quadro normativo vigente e delle prassi applicative conduce a ritenere che il sistema italiano di disciplina delle rogatorie c.d. passive, e cioè dell’esecuzione delle richieste di altri Stati di raccolta di prove, sia “troppo pesante”». In particolare si deve rilevare come l'attuale sistema dell'offerta italiana di assistenza giudiziaria sia in termini generali contrassegnato: dalla sostanziale estraneità al suo concreto svolgimento degli uffici del p.m., pure legittimati a richiedere l'assistenza giudiziaria straniera; dalla sostanziale duplicazione degli interlocutori che si offrono all'autorità straniera (ciò che è paradossalmente più visibile nei sistemi di relazione ove sono consentite ed astrattamente favorite le relazioni dirette) nell'ambito degli scambi di assistenza giudiziaria che sempre di più connotano le indagini, in fatto collegate, relative a reati che coinvolgono le giurisdizioni di entrambi gli stati interessati; dalla difficoltà per un giudice come la corte d'appello di governare materie ed esigenze investigative affidate ordinariamente alle competenze di organi diversi (si pensi al caso nel quale sia richiesta dall'autorità straniera la trasmissione della documentazione di atti d'indagine ancora riservati l'esistenza dei quali sia stata indirettamente rivelata dal p.m. all'atto di un'autonoma domanda di assistenza giudiziaria ovvero l'esecuzione di atti che possano compromettere indagini preliminari in contestuale svolgimento); dalla rigidità di un meccanismo di esecuzione modellato sull’idea di prova da assumere in contraddittorio e sui fini propri del giudizio, e di fatto sovrabbondante e ingiustificato allorquando la domanda di assistenza giudiziaria miri ad obiettivi di mera acquisizione informativa o anche di ricerca della prova secondo procedure ordinariamente affidate anche al p.m.

A questo riguardo, il meccanismo della trasmissione diretta all’autorità giudiziaria competente, già previsto da numerosi accordi internazionali, va sicuramente privilegiato, in funzione della più efficiente e rapida esecuzione della rogatoria. E in questa prospettiva valgono gli strumenti di cooperazione giudiziaria previsti dalla Convenzione di Bruxelles del 2000 e soprattutto dalla direttiva 2014/41/UE.

Secondo tale modello si è configurata anche la materia dell’assistenza giudiziaria disciplinata dal codice di rito e segnatamente dal novellando art. 724 c.p.p., che prevede che all’esecuzione si provveda di regola con decreto motivato del procuratore della Repubblica, senza ritardo. È espressamente disciplinata l’attribuzione a un solo ufficio delle richieste eseguibili in più distretti, secondo il criterio del loro maggior numero ovvero del loro maggiore rilievo investigativo e all’uopo è regolata la materia del potenziale conflitto tra uffici requirenti. Quando invece insorgano questioni circa la competenza di più giudici a dare esecuzione alla richiesta, esse sono risolte dalla Corte di cassazione secondo le regole generali sul conflitto di competenza in esecuzione dell’espresso principio di delega di cui al numero 4) della lettera c) dell’art. 4 della legge n.149 del 2016. In questo caso le indicazioni della delega sono assolutamente dettagliate e tassative.

E’ stata poi richiamata (direttamente dalla delega) la disciplina del comma 5 relative alle ipotesi- già previste dalla precedente versione della norma – riguardanti i casi nei quali l'esecuzione della rogatoria è negata e con riguardo alla previsione di sospensione della esecuzione ove essa possa pregiudicare indagini o procedimenti penali in corso nello Stato.

E’ stato infine confermato l’obbligo, per rogatorie che si riferiscono ai reati di cui all'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater c.p.p. di comunicazione di copia al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

Quanto alle modalità di esecuzione l’art. 725 c.p.p. rinvia alla legge processuale interna, salva l’osservanza della forme richieste dall’autorità straniera che non siano contrarie ai principi dell’ordinamento. Gli strumenti di diritto internazionale prevedono sempre più frequentemente che l’autorità giudiziaria dello Stato richiesto si attenga alle formalità ed alle procedure espressamente indicate dall’autorità richiedente, da qui il limite del rispetto di principi non rinunciabili eventualmente ostativi all’adozione dell’atto con le forme richieste.

Gli articoli 726-quater, 726-quinquies, 726-sexies c.p.p., introdotti dall’art. 6 dello schema di decreto, disciplinano forme di assistenza per l’assunzione di atti peculiari di indagine o di prova e segnatamente: il trasferimento temporaneo di detenuti a fine di indagine (è escluso che il mezzo sia funzionale ad assicurare una privazione della libertà ai fini cautelari); l’audizione del testimone, anche professionale (periti, consulenti), dell’imputato o indagato mediante videoconferenza; l’audizione del testimone mediante teleconferenza.

Il trasferimento temporaneo di detenuti, menzionato al n.14) della lettera c) dell’art. 4, perché si preveda il necessario intervento del Ministro, sentita l’autorità giudiziaria, è istituto già noto (art. 11 legge 23 febbraio 1961, n. 215, di ratifica della Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale) ed è condizionato all’espresso consenso della persona interessata. Il necessario nulla osta dell’autorità giudiziaria che ha disposto il titolo o che ha la sorveglianza del soggetto detenuto tiene conto dell’età o delle condizioni di salute fisica o mentale della persona da trasferire, per il tempo strettamente necessario all’espletamento dell’atto richiesto. 

L’art. 726-quinquies c.p.p. contiene la disciplina per l’audizione mediante videoconferenza o altra trasmissione audiovisiva disposta ove prevista da singoli accordi internazionali e sempre che essa non sia funzionale ad aggirare principi fondamentali dell’ordinamento ovvero, nel caso di imputati o indagati, ove manchi il loro consenso.

La legge di delega n. 9) della lettera c) dell’art. 4 stabilisce espressamente di disciplinare le modalità e le condizioni di utilizzabilità della partecipazione a distanza all’udienza dell’imputato, del testimone o del perito, attraverso le varie forme di collegamento a distanza dei soggetti che si trovino all’estero e che non possono essere trasferiti in Italia. La norma sembra quindi presupporre la pendenza in Italia di un procedimento penale e una richiesta di assistenza all’estero per l’attivazione del collegamento a distanza.

La partecipazione a distanza dell’imputato detenuto è già contemplata dalle disposizioni vigenti e in fase attiva si è dato attuazione alla delega con l’introduzione dell’art. 729-quater c.p.p.

Si è provveduto tuttavia a disciplinare la “partecipazione” a distanza anche quando la richiesta provenga da uno stato estero, quando cioè non si versi nell’ipotesi testuale contemplata dal citato n. 9) della lettera c), dal momento che la delega impone comunque criteri di semplificazione delle procedure passive, individuate dall’art. 4, lettera c) nn.1), 3) e 6), e l’istituto in esame è stato di recente disciplinato dal decreto legislativo 21 giugno 2017, n. 108, recante norme di attuazione della direttiva 2014/41/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa all'ordine europeo di indagine penale, nonché su base convenzionale mediante ratifica e attuazione (d.lgs. n. 52 del 2017) della più volte citata Convenzione di Bruxelles.

Ove le norme convenzionali tacciano trova applicazione quanto stabilito dal codice di procedura penale. L’eventuale attuazione della legge delega sula base di un rigido criterio testuale avrebbe condotto a disciplinare l’istituto solo in fase attiva, con conseguente irrazionalità della disciplina che non avrebbe contemplato regole nel caso di richieste dall’estero funzionali al collegamento a distanza.

Dal momento che la disciplina di nuova introduzione ripete i contenuti dei decreti legislativi da ultimo citati, al fine di dare coerenza alla assistenza prestata, nel caso è imposto il coordinamento con le norme vigenti nella stessa materia (art. 4, comma 2, della legge di delega). Si tratta infatti di omologare le discipline vigenti in ambito UE (sistema dell’ordine di indagine), su base convenzionale (Bruxelles 2000) e in via sussidiaria mediante le modifiche al codice di procedura penale oggetto dello schema di decreto in esame.             

Le modalità pratiche dell’audizione, nonché le eventuali misure relative alla protezione della persona da ascoltare, sono concordate dall’autorità giudiziaria con l’autorità richiedente; quest’ultima conduce l’audizione, secondo il proprio diritto interno, in presenza dell’autorità nazionale che è assistita se del caso da un interprete. Al termine dell’atto, il processo verbale deve essere trasmesso all’autorità richiedente. E’ stato infine previsto un richiamo alla disciplina italiana per sanzionare la condotta del soggetto che, sentito con le forme e modalità sopra descritte, rifiuti di testimoniare pur avendone l’obbligo o dichiari il falso.

L’art. 726-sexies c.p.p., richiamando per quanto compatibile la disciplina dell’articolo precedente, prevede la possibilità che la audizione della persona che si trova nel territorio dello Stato che deve essere ascoltata in qualità di testimone o di esperto dalle autorità competenti di altro Stato, se la persona non può comparire, o la sua comparizione non è opportuna, possa essere condotta mediante teleconferenza.

Due sono i casi nei quali tale possibilità viene prevista: laddove la persona non possa comparire ovvero laddove la sua comparizione non sia opportuna. E’ lasciato quindi un margine di valutazione all’autorità di esecuzione in ordine alla possibilità di dare luogo alla audizione con tale modalità. Non si può non rilevare, nondimeno, come gli attuali strumenti di comunicazione video rendano improbabile l’utilizzo effettivo di tale istituto, che non appare contrario ai principi fondamentali dell’ordinamento ed è destinato a operare esclusivamente quando l’autorità nazionale è oggetto di richiesta di assistenza.

L’art. 7 dello schema contiene modifiche in materia di rogatorie all’estero e quindi in fase attiva. Sulla giustificazione dell’intervento si rinvia a quanto sostenuto sopra.

Viene rimodulato, all’art. 727 c.p.p., il procedimento, secondo che le richieste di assistenza siano rivolte a Stati UE ovvero extra UE, con differente potere di inibitoria attribuito al Ministro della giustizia. Decorso il termine entro il quale tale potere può essere esercitato la richiesta può essere trasmessa. Nel caso di trasmissione diretta contemplato da singoli accordi l’autorità giudiziaria è comunque tenuta a dare comunicazione in favore del Ministro ai fini dell’esercizio dei suoi poteri.

Al comma 9 dell’art.727 c.p.p.  viene riformulata l’ipotesi di deroga convenzionale al principio della lex loci. L’autorità richiedente ha l’obbligo di indicare le forme e gli elementi essenziali perché l’atto richiesto sia utilizzabile secondo l’ordinamento interno. Il mancato rispetto delle forme e delle modalità predette dà luogo a inutilizzabilità solo ove espressamente previsto dalla legge processuale, come stabilito dal novellando art. 729 c.p.p..

Tale ultimo articolo non menziona la disposizione, criticata in dottrina, circa l’inutilizzabilità degli atti assunti in violazione delle norme convenzionali riguardanti l’acquisizione e la trasmissione di atti e documenti, in ragione delle modifiche allo stesso art. 696 c.p.p.  recate dallo schema. D’altra parte il ruolo della prassi internazionale e delle regole interpretative delle convenzioni nella materia è assorbente, come rilevato peraltro dalla Corte Costituzionale, sent. n.315/2002.

L’intervento si spiega dunque in ragione delle modifiche che la legge di delega impone con riguardo ai poteri del Ministro della giustizia in fase passiva, prevedendo l’esercizio delle prerogative nei limiti stabiliti dai singoli strumenti normativi in vigore all’interno dell’Unione europea. Nei rapporti con i paesi extra UE, sono fatti salvi gli interessi essenziali dello Stato, ma anche poteri di inibizione ogni volta che non sia adeguatamente garantita la reciprocità ovvero il rispetto di diritti fondamentali, ivi comprese le garanzie di immunità del testimone e ciò in coerenza con quanto sopra rilevato in punto di depoliticizzazione delle richieste di assistenza internazionale.

Le modifiche inoltre all’art. 696 c.p.p. che non menziona più l’inutilizzabilità degli atti assunti in violazione delle norme convenzionali riguardanti l’acquisizione e la trasmissione di atti e documenti, la necessità di provvedere in materia di utilizzabilità degli atti spontaneamente trasmessi dalle autorità straniere (n. 13 della lettera c) dell’art. 4 della legge di delega); la circostanza che in ambito UE sia oggi regolata espressamente la possibilità di assumere atti alle condizioni stabilite dall’autorità richiedente e secondo le norme del diritto interno di queste e che ciò sia contemplato da numerosi accordi internazionali, costituiscono il complesso di fattori che giustifica la necessità di coordinare gli interventi modificativi del codice di procedura penale al diritto interno sopravvenuto e allo stato delle leggi che hanno ratificato accordi internazionali recanti disposizioni del tutto analoghe.   

L’art. 729-bis c.p.p. disciplina la possibilità di acquisire al fascicolo del pubblico ministero atti oggetto di scambio spontaneo di informazioni, secondo il criterio contenuto nella legge di delega (n.13 lettera c) dell’art.4). Il riferimento al fascicolo del pubblico ministero è sufficientemente indicativo del fatto che la prassi, ampiamente diffusa dello scambio di informazioni tra autorità investigative, non vietata e conforme alla consuetudine internazionale, ha il suo ambito di elezione nell’indagine penale. Il rispetto degli eventuali vincoli di utilizzabilità disposti dall’autorità che ha tramesso atti o informazioni non incide comunque sul disposto del vigente art. 78 disp. att. c.p.p. che regolamenta l’ingresso nel processo della documentazione degli atti di un procedimento penale straniero. La giurisprudenza è infatti attestata sul principio che possono essere legittimamente utilizzati ai fini della decisione, a seguito di accordo delle parti per la loro acquisizione al fascicolo del dibattimento, atti contenuti nel fascicolo del P.M, non affetti da inutilizzabilità cd. "patologica".

Gli articoli 729-ter e 729-quater c.p.p., pure introdotti dall’art.7 dello schema, disciplinano sul versante attivo il trasferimento temporaneo del detenuto a fine di indagine o di assunzione di una prova e l’audizione di testimoni, periti e imputati in video conferenza nonché la partecipazione di questi ultimi al processo con le medesime modalità (si veda a tale ultimo proposito il criterio di delega di cui al n. 9 della lettera c), dell’articolo 4, garantite quanto alla assistenza difensiva mediante rinvio all’art. 205-ter disp.att. c.p.p.: la persona sottoposta alle indagini e l’imputato devono essere assistiti da un difensore presente nel luogo di esecuzione. Alla necessaria assistenza si accompagna il fatto che indagato o imputato devono essere informati dall’autorità giudiziaria e da quella richiesta dei diritti e delle facoltà che sono loro riconosciuti da entrambi gli ordinamenti.

Sono stati, inoltre, disciplinati nel dettaglio gli avvisi e le facoltà delle persone che devono essere sentite, in sintonia con i principi generali del codice di rito nonché le modalità di esecuzione e di formalizzazione dell’attività. Le modalità pratiche dell’audizione, nonché le eventuali misure relative alla protezione della persona da ascoltare, sono concordate tra autorità giudiziarie. Perché possa essere avanzata richiesta funzionale alla videoconferenza è necessario che la persona da ascoltare si trovi all’estero e che motivi particolari di impossibilità ne impediscano l’audizione diretta.

Non è regolata la conferenza telefonica di testimoni e periti in quanto si tratta di modalità di assunzione della prova non contemplata dall’ordinamento interno.

Per le medesime ragioni sopra illustrate (vedi pag.10-11) si è ritenuto di dover disciplinare anche la procedura attiva per il trasferimento dei detenuti (contemplato dai recenti decreti legislativi nn. 52 e 108 del 2017) quando sia cioè l’autorità italiana a richiedere la presenza del detenuto sul territorio nazionale, dal momento che per i medesimi motivi già illustrati una attuazione meramente testuale della delega avrebbe dato luogo ad aporie e irrazionalità del sistema, laddove non tenesse conto del diritto sopravvenuto.

L’art. 729-quinquies c.p.p. regola le squadre investigative comuni nei rapporti con i paesi UE secondo le disposizioni di legge già vigenti (decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 34 di attuazione della decisione quadro 2002/465/GAI del 13 giugno 2002), Il decreto legislativo in parola disciplina anche il regime di utilizzabilità degli atti.  Le relative disposizioni sono richiamate anche con riguardo all’eventuale previsione dell’istituto in accordi con paesi extra UE. In tal caso è contemplato un obbligo di comunicazione al Ministro della giustizia.

Gli articoli 8 e 9 dello schema recano modifiche alle disposizioni del codice di procedura penale che regolano il riconoscimento della sentenze penali straniere e all’esecuzione all’estero dei provvedimenti emessi dall’autorità giudiziaria.

Si tratta di modifiche essenzialmente volte a semplificare e accelerare il procedimento relativo, mediante previsione di termini entro i quali deve intervenire la decisione camerale della Corte d’appello e della Corte di cassazione.

Il medesimo fine di semplificazione è perseguito dalle modifiche all’art.737-bis c.p.p.  in materia di sequestro stabilendo che alle indagini a ciò funzionali procede il procuratore distrettuale secondo quanto stabilito in materia di rogatoria.  Sono inoltre attribuiti al Ministro poteri in ordine al rispetto delle condizioni poste dall’autorità straniera, secondo analoga previsione della direttiva UE in materia, di recente attuazione (si veda anche l’art.742-bis c.p.p. - art. 9 dello schema).

L’art. 10 dello schema introduce disposizioni funzionali a prevenire conflitti relativi all'esercizio   della giurisdizione nei procedimenti penali e dunque a pervenire a una soluzione «concordata», in caso di litispendenza internazionale.

La regolamentazione sul trasferimento dei procedimenti trova la sua fonte nella lettera g) dell’art. 4 della legge n. 149 del 2016. La norma in esame detta criteri per il trasferimento all’estero di procedimenti prevedendo: la necessità di interpellare al riguardo il Ministro della giustizia, il quale può esercitare un potere di diniego; che il trasferimento verso un’altra giurisdizione sia “giustificata da più stretti legami territoriali con il fatto per il quale si procede o con le fonti di prova”.

Il quadro che però emerge dalle iniziative dell’Unione europea, peraltro in linea con altre analoghe del Consiglio d’Europa, è tale da avere fatto ritenere non più procrastinabile l’introduzione di una regola da cui consegue la necessità di prevedere a livello nazionale una ‘cessazione’ del procedimento penale pendente ma pure l’esigenza di rispettare compiutamente l’altro principio fondamentale del ne bis in idem, assurto, come è ben noto, quale principio guida non solo nell’Unione ma anche a livello internazionale. Seppure la Suprema Corte, sulla scia di una ormai risalente decisione dei giudici della Consulta, abbia sinora escluso la configurabilità del ne bis in idem quale norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta, riconoscendone l’operatività esclusivamente nei rapporti tra gli Stati aderenti agli strumenti convenzionali che espressamente lo contemplano, non può tuttavia escludersi che in futuro venga riconosciuta a tale principio la natura di norma di diritto internazionale generale o di rango consuetudinario ai sensi dell’articolo 10 Cost., proprio in considerazione dell’inclusione dello stesso in un numero sempre maggiore di strumenti sovranazionali.

E che il principio del divieto di doppio giudizio assuma rilievo fondamentale nell’ordinamento europeo è stato più volte ribadito anche dalla Corte di giustizia europea, che lo ha ritenuto uno dei cardini che assicura la libertà di circolazione delle persone all’interno dello spazio europeo: nessun cittadino comunitario, in sostanza, si sentirebbe libero di circolare se venisse perseguito o arrestato per un fatto per il quale è stato già giudicato nel suo o in altro Paese dell’Unione europea.

Tuttavia l’Unione europea già da tempo aveva rilevato come il principio ne bis in idem riceva più efficace rispetto qualora vengano eliminate le condizioni che dànno origine ai cd. processi paralleli: fermarsi a uno stadio precedente costituisce una evidente ragione di economia processuale perché consente di evitare che vengano pronunciate sentenze che si risolvono a posteriori come inutiliter datae siccome in contrasto con il principio in questione. Da qui l’approvazione della decisione quadro 2009/948/GAI, “sulla prevenzione e risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali”, alla quale l’Italia ha dato esecuzione con il d.lgs. n. 29 del 15 febbraio 2016.

Le disposizioni relative assumono carattere di specialità e la loro applicazione è fatta comunque salva nei rapporti in ambito UE.

L’esperienza giudiziaria conosce casi di non promovimento dell’azione penale allorché per gli stessi fatti e nei confronti della stessa persona un’altra giurisdizione stia procedendo.

D’altra parte alcune convenzioni ratificate ed accordi sovranazionali prevedono già la possibilità di un trasferimento dei procedimenti.

Ed invero, seppure l’Italia non abbia ancora ratificato la Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti, firmata a Strasburgo il 15 maggio 1972, sono attualmente in vigore diverse Convenzioni multilaterali ed Accordi bilaterali che prevedono tale possibilità, e che incontrano difficoltà applicative proprio per la mancanza di una dettagliata disciplina interna.

Si pensi, tra le convezioni multilaterali maturate in ambito CoE, alla Convenzione sull’assistenza giudiziaria in materia penale sottoscritta a Strasburgo il 20 aprile 1959, il cui articolo 21 prevede la possibilità di una denuncia a fini di perseguimento in altro Stato Parte della Convenzione, ma anche a quelle maturate in ambito O.N.U., come la Convenzione delle Nazioni unite contro la criminalità organizzata, sottoscritta a Palermo nel dicembre 2000, la cui ratifica è stata autorizzata con L. 146 del 16 marzo 2006, il cui articolo 21 contiene una disposizione analoga a quella contenuta nell’articolo 21 della Convenzione di Strasburgo, nonché a diversi accordi bilaterali  conclusi dall’Italia, contenenti analoghe previsioni.

La mancata adozione di una normativa dettagliata, in sede di ratifica delle predette convenzioni multilaterali ed accordi bilaterali, rende invero opportuno dotarsi di una disciplina organica che preveda criteri per l’assunzione della decisione relativa al trasferimento dei procedimenti, sia attivo che passivo e che, soprattutto, ne disciplini gli effetti nell’ordinamento interno.

Nell’elaborare tale normativa si è cercato di prevedere norme coerenti, da un lato, con quelle introdotte in sede di implementazione della Decisione Quadro 2009/948/GAI e, dall’altro, con le norme introdotte in subiecta materia in sede di ratifica degli Accordi aggiuntivi alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, conclusi con la Svizzera, l’Austria e la Germania.

In particolare, si è inteso prevedere un adeguato meccanismo che consenta il trasferimento dei procedimenti, tenendo conto del principio dell’obbligatorietà dell’azione penale per il trasferimento “attivo”.

Lo strumento infatti è contemplato al fine di prevenire contrasti e a disciplinare conflitti anche potenziali di giurisdizione. Come rilevato in dottrina “il mai avvenuto abbandono del quesito sul che fare nel caso in cui più autorità giudiziarie possiedano la legittimazione ad occuparsi di uno stesso fatto di rilevanza penale secondo la legge di ordinamenti diversi, ha trovato risposta nelle forme della cosiddetta giurisdizione concordata ovvero della competenza delegata o per rappresentazione che costituiscono il risultato di un accordo tra gli organi interessati ai due procedimenti pendenti in idem. Esempi di questi meccanismi sono presenti in Convenzioni mirate a specifici settori di criminalità o in testi normativi destinati ad operare in un futuro spazio giudiziario europeo gestito da organi comunitari, in cui si prevede che, verificata la sussistenza della competenza giurisdizionale in idem di più Stati in base a criteri di collegamento diversi, si giunga ad individuare concordemente, mediante consultazioni preliminari, una sola autorità che eserciti l'azione penale”.

Il presente intervento normativo intende dotare quindi il sistema di un minimo contenuto di disciplina destinato a trovare attuazione, al di là di quelle dettate in ambito UE dalla citata decisione quadro, ove non diversamente disposto dalle singole convenzioni internazionali e consentire, oltre le assunzioni in Italia di procedimenti già iniziati all’estero, anche forme controllate di rinuncia alla giurisdizione in favore dell’autorità straniera. E ciò alle condizioni generali stabilite dall’art.746-bis c.p.p. e dunque dell’esistenza di più stretti legami territoriali con il fatto oggetto di procedimento o con le prove, in ipotesi riconosciuti in capo all’autorità dello Stato estero.

A questo riguardo, tenuto anche conto del contenuto degli accordi già in vigore è previsto che al trasferimento e all’assunzione si possa comunque fare luogo solo prima che l’azione penale sia esercitata e sono individuati i criteri di prossimità territoriale che autorizzano trasferimento o assunzione dei procedimenti. 

L’articolo 746-ter c.p.p. disciplina le ipotesi di trasferimento dall’estero e quindi di assunzione nello Stato di un procedimento penale. Tale disposizione mira a risolvere i molteplici problemi che tale trasferimento può determinare, sia in relazione alla tutela degli interessi della persona offesa, sia in relazione agli effetti di tale trasferimento su eventuali misure reali o personali adottate all’estero.

Va preliminarmente evidenziato che tale disciplina non presuppone la sussistenza di ipotesi di litispendenza, a differenza di quanto previsto dalla Decisione quadro prima menzionata, il cui presupposto è l’esistenza di ‘procedimenti paralleli’, e risulta pertanto ricoprire un ambito di applicazione di maggior ampiezza.

Si è ritenuto di introdurre una disciplina coerente con quella derivante dagli articoli 6 e ss. del codice penale.

Ferma restando, quindi, la possibilità di un trasferimento del procedimento dall’estero ai sensi dell’articolo 6 del codice penale (e pertanto non solo quando il reato è stato interamente commesso in Italia, ma anche quando quivi l’azione o l’omissione sia stata commessa ovvero si sia verificato l’evento che è conseguenza dell’azione o dell’omissione), nonché nei casi in cui sia espressamente prevista la giurisdizione italiana in relazione a fatti commessi all’estero (cfr., ad es. l’ art. 604 c.p.),  il trasferimento del procedimento sarà possibile, a fronte della richiesta dello Stato estero, mediante trasmissione al pubblico ministero presso il giudice competente. La trasmissione equivale evidentemente a richiesta del Ministro di procedere, ove la stessa sia richiesta nei casi previsti dagli artt. 8, 9, 10 e 11 del codice penale.

Ove invece le norme sovranazionali prevedano il rapporto diretto tra autorità giudiziarie, “il pubblico ministero dà tempestiva comunicazione al Ministro della giustizia del provvedimento di assunzione, reso all’esito delle consultazioni con l’autorità giudiziaria dello Stato estero”.

In relazione alla persona offesa si è ritenuto di adottare una normativa coerente con quella attualmente vigente ed introdotta in sede di ratifica di alcune delle convenzioni internazionali che prevedono il trasferimento dei procedimenti (ed in particolare dei menzionati accordi aggiuntivi alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, conclusi con la Svizzera, l’Austria e la Germania).

È stato così previsto che la decisione che dispone il trasferimento del procedimento in Italia debba essere notificata alla persona offesa, con avviso della facoltà di proporre querela, se questa è richiesta.

Il comma 3, analogamente alle normative di attuazione degli Accordi su menzionati, prevede la conservazione dell’efficacia della querela eventualmente presentata dinanzi all’autorità straniera, nel caso in cui tale condizione di procedibilità sia richiesta da entrambi gli ordinamenti.

Ove tale condizione sia prevista solo dall’ordinamento italiano, il termine per la presentazione della stessa inizierà a decorrere dalla data della notifica della decisione sul trasferimento del procedimento.

Per le misure cautelari adottate nel procedimento oggetto di trasferimento si è ritenuto opportuno richiamare la disciplina dettata dall’articolo 27 c.p.p., così consentendo una valutazione da parte dell’autorità giudiziaria italiana in ordine alla sussistenza dei presupposti delle stesse in base ai principi dell’ordinamento interno ed in particolare ai sensi degli articoli 292, 317 e 321 c.p.p.; si è ritenuto tuttavia di ampliare il termine ivi previsto a 30 giorni, in considerazione della necessità di traduzione degli atti del procedimento trasferito, che caratterizza tali casi rispetto a quelli di trasferimento interno.

Il periodo di custodia cautelare sofferto all’estero sarà computato ai sensi e per gli effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 c.p.p.. Per il computo dei termini di fase si è fatto rinvio al comma 2 dell’articolo 303 c.p.p. Tale soluzione è apparsa conforme ai principi dettati dalla Corte costituzionale con sentenza 22 luglio 2005, n. 299, relativa al comma 2 dell’articolo 303 c.p.p., nonché con sentenza 21 luglio 2004, n. 253, relativa all’articolo 722 c.p.p..

Ispirandosi al principio di economicità processuale si è inoltre ritenuto di optare per la soluzione della conservazione dell’efficacia degli atti di acquisizione probatoria (conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo n. 29 del 15 febbraio 2016 prima citato), purché gli stessi non contrastino con i principi fondamentali dell’ordinamento italiano.

E’ stata infine prevista la tempestiva comunicazione all’Autorità straniera, da parte del Ministro, delle decisioni assunte in relazione alla richiesta di trasferimento, al fine di permettere all’Autorità straniera l’adozione dei provvedimenti che consentano la definizione del procedimento interno e la conseguente cessazione della litispendenza (creatasi a seguito della decisione interna favorevole al trasferimento ovvero preesistente) e, conseguentemente, prevenendo il realizzarsi di un bis in idem.

L’articolo 746-quater c.p.p. prevede le ipotesi di trasferimento all’estero di procedimenti penali.

La disciplina è più stringente rispetto alla procedura ‘passiva’, comportando una sostanziale rinuncia all’esercizio del potere punitivo dello Stato, soluzione che è apparsa, d’altro canto, coerente con le indicazioni ricavabili dalla legge delega.

Nelle ipotesi in cui l’autorità giudiziaria, alla luce criteri individuati dalle disposizioni di natura generale di cui all’art. 746-bis c.p.p., ritenga la sussistenza delle condizioni per disporre il trasferimento all’estero del procedimento (nel caso in cui sia previsto il rapporto diretto tra autorità giudiziarie), comunicherà tale decisione al Ministro, che potrà esercitare il potere di diniego quando possono essere compromessi la sovranità, la sicurezza o altri interessi essenziali dello Stato, nonché quando vi è ragione di ritenere sussistenti motivi di discriminazione.

Nel caso in cui le norme sovranazionali prevedano il rapporto tra Autorità centrali, l’autorità giudiziaria che ritiene di procedere al trasferimento del procedimento trasmetterà richiesta motivata al Ministro.

Il Ministro provvederà ad adottare le decisioni di propria competenza nel termine di 30 giorni dalla ricezione degli atti e ad informare tempestivamente l’autorità giudiziaria della decisione assunta.

Il procedimento è sospeso dal momento della trasmissione al Ministro e sino alla comunicazione della decisione assunta, restando comunque possibile l’espletamento degli atti urgenti o irripetibili.

A seguito della comunicazione della trasmissione all’estero del procedimento penale ovvero, nel caso di trasmissione diretta, del mancato esercizio del potere di diniego da parte del Ministro, il giudice emette provvedimento di archiviazione. Quando l’azione penale non è esercitata nello Stato estero si applica l’articolo 414 c.p.p..

Tali ultime disposizioni intendono risolvere il principale problema collegato alla disciplina del trasferimento attivo di procedimenti, tenuto conto del principio costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale. È evidente che, se le Convenzioni in materia prevedono il trasferimento del dell'azione penale, il procedimento «ceduto» deve trovare una via di definizione interna. Tale definizione può essere rappresentata soltanto dal decreto di archiviazione.

Come già osservato in dottrina “quanto alla formula praticabile, nella impossibilità di ricavarla dalle fattispecie tipiche di archiviazione, ci si può riferire a quella del difetto di giurisdizione (art. 20 c.p.p.), utilizzata anche nei casi di mancanza di talune condizioni di procedibilità quali, ad esempio, la richiesta o l'istanza ex art. 9, comma 2, c.p., la cui insussistenza impedisce il valido esercizio del potere giurisdizionale. Il che non significa che il provvedimento che ricorra a questa formula disponga per una radicale e irrevocabile rinuncia alla giurisdizione. Sulla scorta delle Convenzioni considerate, il trasferimento del procedimento ovvero la delega ad avviarlo risultano di fatto condizionati all'adempimento degli obblighi processuali da parte dell'autorità dello Stato impegnato dall'accordo. È sufficiente al riguardo la lettura di alcune disposizioni pattizie là dove dispongono che, in quell'evenienza, «lo Stato richiedente riprende il suo diritto di poursuite»”.

In questa prospettiva, infatti, è previsto che ove l’azione penale non sia esercitata all’estero, il pubblico ministero possa chiedere la riapertura delle indagini, secondo il disposto dall’art. 414 c.p.p.

È stabilito inoltre che la riapertura è ammessa quando l’azione penale non sia esercitata all’estero entro i termini convenuti all’atto del trasferimento anche al fine di evitare inerzie una volta assunta la decisione e di impedire una rinuncia sine die all’azione penale interna. Al fine di superare ogni incertezza circa la formula prescelta è stabilito che la riapertura delle indagini è consentita alla condizione che l’esercizio dell’azione penale in Italia non sia preclusa per il divieto di un secondo giudizio.

Un consimile meccanismo, d’altra parte, è già contemplato nei casi di giurisdizione del Tribunale internazionale. Ci si riferisce alla legge 2 agosto 2002, n. 181 - Disposizioni in materia di cooperazione con il competente Tribunale internazionale per gravi violazioni del diritto umanitario commesse nel territorio del Ruanda e Stati vicini- che all’art. 4 sotto la rubrica “Riapertura del procedimento nazionale”, stabilisce: «1. Il procedimento penale dinanzi all'autorità giudiziaria italiana è riaperto quando ricorre una delle seguenti ipotesi: a) se il procuratore del Tribunale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 17 dello statuto, di non formulare l'atto di accusa; b) se il giudice del Tribunale internazionale decide, ai sensi dell'articolo 18 dello statuto, di non confermare l'atto di accusa; c) se il Tribunale internazionale dichiara la propria incompetenza. 2. Qualora ricorra una delle ipotesi indicate nel comma 1, il giudice per le indagini preliminari autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero; in tale caso i termini per le indagini iniziano a decorrere nuovamente. Se è stata già esercitata l'azione penale, il giudice per le indagini preliminari ovvero il presidente del tribunale provvede alla rinnovazione dell'atto introduttivo della fase o del grado nei quali è stato deciso il trasferimento del processo penale a favore del Tribunale internazionale».

In altri termini il meccanismo predisposto consente, a fronte del mancato raggiungimento degli scopi per i quali il trasferimento è stato accordato, di riappropriarsi della giurisdizione attraverso l'autorizzazione alla riapertura delle indagini (art. 414 c.p.p.) quando sia accertato che l’autorità dello Stato estero non ha esercitato i poteri consensualmente riconosciuti ovvero delegati.

Come già rilevato in dottrina «l'omissione delle iniziative dell'autorità straniera necessarie alla instaurazione e alla prosecuzione del procedimento, può essere d'altra parte inquadrata tra le condizioni di procedibilità atipiche (art. 345, comma 2, c.p.p.), così da rendere possibile al pubblico ministero che ha chiesto e ottenuto l'archiviazione per «difetto di giurisdizione» (i.e. per mancanza di quella condizione di procedibilità), di esercitare l'azione penale nel momento in cui quella condizione sopravviene (art. 345, commi 1 e 2, c.p.p.) senza che sia necessario prevedere uno specifico caso di sospensione ex art. 50, comma 3, c.p.p. che si renderebbe se mai necessario qualora il trasferimento del procedimento avvenisse, diversamente dai casi qui considerati, in una fase successiva all'esercizio dell'azione».

L’art. 11 dello schema di decreto contiene clausola di invarianza finanziaria.

Si è inteso aderire alle osservazioni poste dalla II Commissione della Camera dei Deputati e dalla 2a Commissione del Senato della Repubblica, che hanno espresso parere favorevole con alcune osservazioni.

In ragione delle osservazioni svolte dalla II Commissione della Camera è stato dunque in primo luogo modificato il testo dell’articolo 3 dello schema di decreto, nella parte in cui introduce l’articolo 696-bis del codice di procedura penale. In particolare il comma 1, di detto articolo è sostituito con il seguente: «1. Il principio del mutuo riconoscimento è disciplinato dalle norme del presente titolo e dalle altre disposizioni di legge attuative del diritto dell’Unione europea».

Come osservato nel relativo parere, l’originaria stesura dello schema di decreti disponeva che il principio del mutuo riconoscimento previsto dal diritto dell’Unione europea è disciplinato «dalle norme del presente titolo e dalle altre disposizioni di legge in quanto con esse compatibili». La Commissione ha correttamente rilevato: «l’inciso “in quanto con esse compatibili” appare foriero di dubbi interpretativi, per possibili effetti abrogativi di norme preesistenti di attuazione di disposizioni del diritto dell’Unione europea diverse da quelle delineate dal nuovo titolo I bis del codice di procedura penale. Ritenuto che un effetto simile è escluso dalla natura meramente ricognitiva della disposizione di cui al comma 1 del citato articolo  696-bis del codice di procedura penale, si suggerisce, pertanto, modificare la disposizione in modo che risulti  inequivocabile che  la ratio della norma è esclusivamente quella  di fornire una definizione del principio del mutuo riconoscimento come declinato dagli articoli seguenti (diretta corrispondenza tra autorità, salvezza dei diritti fondamentali dell’ordinamento, limiti al sindacato del provvedimento da eseguire) e dalle disposizioni di legge attuative del diritto dell’Unione europea. Una tale riformulazione consentirebbe di allineare il tenore della norma con il contenuto del successivo articolo 696-septies del codice di procedura penale che, in riferimento al mutuo riconoscimento delle decisioni riguardanti la responsabilità da reato degli enti, prevede l’applicazione delle disposizioni del codice di procedura penale, nonché di quelle contenute in altre disposizioni di legge attuative del diritto dell’Unione europea, senza riconoscere alcuna prevalenza alle norme contenute nel nuovo titolo I bis del libro XI del  medesimo codice».

La modifica effettuata consente di superare gli analoghi rilievi svolti dalla 2a Commissione del Senato. Chiarita infatti la natura della previsione di cui all’art.696-bis, la primazia del diritto europeo in materia non è dubbia per quanto sul piano meramente lessicale le norme del Titolo I-bis siano richiamate prima di quelle attuative del diritto dell’Unione (vedi lettera c) del relativo parere). Ed infatti l’art.696-septies dispone: In materia di mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie riguardanti la responsabilità da reato degli enti, nei rapporti con gli Stati membri dell’Unione europea, si osservano le norme di questo titolo nonché quelle contenute in altre disposizioni di legge attuative del diritto dell’Unione europea, non diversamente dall’attuale tenore letterale dell’art.696-bis.   

È stato inoltre modificato il testo dell’articolo 7, comma 1, lettera a), dello schema di decreto legislativo, nella parte relativa all’articolo 729-ter c.p.p. che disciplina il trasferimento in Italia, a fini di indagine, di persone detenute all’estero. La Commissione II della Camera ha rilevato quanto segue: «A tale riguardo, dovrebbe essere valutata l’opportunità, al comma 5 del richiamato articolo, di eliminare il riferimento allo Stato “estero”. Tale ultimo aggettivo, infatti, collocato dopo la parola “Stato”, appare frutto di un semplice refuso, dal momento che è del tutto evidente che la disposizione si riferisce effettivamente allo Stato italiano, nel cui territorio la persona detenuta e temporaneamente trasferita si è trattenuta oltre i termini stabiliti».

All’articolo 8, comma 1, lettera f), n. 3, dello schema di decreto legislativo, si è ritenuto opportuno, sempre in adesione delle osservazioni delle Commissione II della Camera, chiarire meglio sul piano lessicale il tenore della disposizione modificata dell’art.735 comma 6 c.p.p., prevedendo espressamente che “resta fermo quanto previsto dall’articolo 733 comma 1-bis”, già richiamato. La versione originaria del testo faceva “salvi gli effetti di cui all’articolo 733, comma 1-bis.”.

La II Commissione della Camera ha inoltre rilevato che agli articoli 744 e 745 – non modificati dallo schema di decreto – rispettivamente in materia di limiti dell’esecuzione della condanna all’estero e di richiesta di misure cautelari all’estero, compare ancora la denominazione «Ministero di grazia e giustizia».  Al riguardo, sono previste ulteriori due lettere d) ed e) all’articolo 9 comma 1 dello schema di decreto legislativo, al fine di armonizzare le citate disposizioni alla vigente denominazione del Ministero della giustizia.

All’articolo 743, comma 2, come modificato dall’articolo 9, comma 1, lettera c), dello schema di decreto, si prevedeva che “la corte delibera con sentenza, osservate le forme previste dall’articolo 127, con le modalità di cui all’articolo 734”. Al riguardo, secondo quanto osservato dalla II Commissione della Camera il richiamo operato all’articolo 734 non deve riguardare le modalità, poiché già l’articolo 743 rinvia all’articolo 127, ma soltanto ai termini indicati dalla medesima norma.

Con riguardo alle osservazioni della Commissione 2a del Senato (lettera a) del parere) si è provveduto a modificare l’art.2 dello schema di decreto, stabilendo all’art.696 comma 4 c.p.p., “in ogni caso” il potere del Ministro di non dare corso alle richieste di cooperazione (assistenza, estradizione, riconoscimento ecc.) in mancanza di idonee garanzie di reciprocità. Contestualmente il riferimento a tale potere è stato espunto dal testo modificato dell’art.697 c.p.p. (art.4 comma 1 lettera a) n.2) dello schema di decreto), in quanto appare corretto il rilievo che la previsione della possibilità che il Ministro della giustizia non dia corso alla domanda di estradizione quando lo Stato non dia idonee garanzie di reciprocità appare, in questa sede, pleonastica ed astrattamente fuorviante sul piano interpretativo. Il potere del Ministro della giustizia di non dare corso a tutte le domande di cooperazione giudiziaria (e quindi anche alle domande di estradizione) quando lo Stato estero non dia idonee garanzie di reciprocità è, infatti, previsto in via generale dal nuovo comma 4 dell’articolo 696 del codice di procedura penale, come sostituito dall’articolo 2 dello schema di decreto in esame. A sua volta tale previsione costituisce attuazione del criterio di delega di cui alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 4 della legge n. 149 del 2016, ai sensi del quale il Governo avrebbe dovuto esercitare la delega in questione prevedendo «in ogni caso, il potere del Ministro della giustizia di non dare corso alle domande di assistenza giudiziaria, alle richieste in materia di estradizione, nonché  alle altre richieste riguardanti i rapporti con le autorità straniere relativi all’amministrazione della giustizia in materia penale, quando lo Stato richiedente non dia idonee garanzie di reciprocità».

È stata valutata l’osservazione di cui alla lettera b) del parere della Commissione 2a del Senato ma non si è intervenuto sul testo dello schema di decreto, perché la stessa legge di delega si premura di far salva la competenza della Corte di appello ai fini della garanzia giurisdizionale nei rapporti con paesi extra UE in tema di riconoscimento delle sentenze. La lettera f) dell’art.4 della legge 149/2016 va interpretata nel senso che la garanzia giurisdizionale deve essere conservata nei rapporti con paesi UE, non anche che debba prevedersi in maniera vincolante la competenza della Corte d’appello in vista della futura adozione di strumenti di diritto europeo che disciplinassero la materia, ché tale sarebbe l’effetto della proposta avanzata con il parere in esame. Al riguardo prescrivere in via generale la competenza della Corte d’appello con la clausola “salvo che sia diversamente stabilito” pure proposta dalla Commissione renderebbe vieppiù evidente la natura superflua di una simile previsione. D’altra parte inserire nel corpo dell’art.696 bis la previsione di una competenza in via generale della Corte d’appello “salvo che non sia diversamente stabilito” contraddice le scelte operate non solo con il presente schema di decreto (vedi le modifiche all’art.724 c.p.p.) ma anche quelle di recente adottate proprio per dare attuazione a disposizioni europee ispirate al principio del mutuo riconoscimento, per es. in tema di ordine di indagine europeo.

Analogamente non può essere accolta l’osservazione di cui alla lettera d) del parere della Commissione 2a del Senato. Lo schema di decreto all’articolo 4 lettera f) modifica l’art.705 c.p.p. esplicitando quali siano gli atti e trattamenti inumani che impediscono l’estradizione verso l’estero già indicati dall’art.698 c.p.p., cui la norma modificata faceva mero rinvio. Il divieto di estradizione per reati politici è espressamente stabilito dall’art.698 c.p.p. senza che sia necessario inserire un ulteriore riferimento ad essi nel corpo dell’art.705 c.p.p.

Quanto alla specificazione richiesta con la lettera e) del parere, essa appare superflua dal momento che il comma 1 dell’art.724 c.p.p. (art.6 dello schema di decreto) menziona il procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto; il giudice per le indagini preliminari menzionato al successivo comma 2, non può quindi che essere quello del tribunale presso il quale è incardinato l’ufficio di procura individuato come autorità di esecuzione dalla norma in esame.

Quanto infine alle proposte, elaborate alla lettera g) del parere della Commissione 2a del Senato, di modifica dell’art.729-quinquies c.p.p. e contestualmente dell’art.6 del d.lgs. n.34 del 2016 (art.7 lettera d) dello schema di decreto), regolanti le squadre investigative comuni, si deve osservare che la norma del codice rinvia alle modalità e condizioni stabilite dalla legge per la loro costituzione e dunque al citato decreto legislativo.

In punto di utilizzabilità degli atti è previsto che “gli atti compiuti all'estero dalla squadra investigativa comune hanno la stessa efficacia degli atti corrispondenti compiuti secondo le disposizioni del codice di procedura penale e sono utilizzabili secondo la legge italiana”.  La proposta di prevedere che essi “non contrastino con i principi fondamentali dell’ordinamento”, assumerebbe un valore pleonastico, dal momento che gli atti devono essere raccolti secondo quanto previsto dal codice di procedura penale e sottostanno al medesimo regime di utilizzabilità ed efficacia probatoria stabiliti dalla legge nazionale, senza dunque che possano invocarsi principi, rinvenibili in Costituzione o comunque diffusamente nello stesso codice che trova già applicazione nel caso.

Si segnala infine che la Commissione V della Camera ha espresso parere favorevole.