XVIII LEG - Schema di D.Lgs. - Lotta al riciclaggio mediante il diritto penale

aggiornamento: 13 giugno 2022

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 4 novembre 2021

Esame preliminare - Consiglio dei ministri 5 agosto 2021

Schema di decreto legislativo recante: “Attuazione della direttiva (UE) 2018/1673, sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale”

Relazione illustrativa

 

Indice

Art. 1- Modifiche al codice penale
Art. 2 - Invarianza finanziaria

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;

Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Visti gli articoli 31 e 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea;

Vista la legge 22 aprile 2021, n. 53, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea – Legge di delegazione europea 2019-2020, e, in particolare, l’articolo 1, comma 1, allegato A), numero 2;

Vista la direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale;

Visto il codice penale, approvato con regio decreto 19 ottobre 1930, n. 1398;

Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 5 agosto 2021;

Acquisiti i pareri delle competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 4 novembre 2021;

Sulla proposta del Presidente del Consiglio dei ministri e del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'economia e delle finanze;

EMANA
il seguente decreto legislativo:

Art. 1
(Modifiche al codice penale)

  1. Al codice penale sono apportate le seguenti modificazioni:
    1. all’articolo 9, quarto comma, dopo la parola: « 321 », è inserito il segno di interpunzione: « , » ed è soppressa la congiunzione: « e »  e dopo la parola: « 346-bis », sono aggiunte le seguenti: «, 648 e 648-ter.1. »;
    2. all’articolo 240-bis, primo comma, le parole: «648, esclusa la fattispecie di cui al secondo comma» sono sostituite dalle seguenti: «648, esclusa la fattispecie di cui al quarto comma»;
    3. all’articolo 648:
      1. dopo il primo comma, sono aggiunti i seguenti: 
        «La pena è della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 300 a euro 6.000 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.
        La pena è aumentata se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale»;
      2. il secondo comma è sostituito dal seguente: «Se il fatto è di particolare tenuità, si applica la pena della reclusione sino a sei anni e della multa sino a euro 1.000 nel caso di denaro o cose provenienti da delitto e la pena della reclusione sino a tre anni e della multa sino a euro 800 nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione.»;
      3. al terzo comma, la parola «delitto», ovunque ricorra, è sostituita dalla seguente: «reato»;
    4. all’articolo 648-bis: 
      1. al primo comma sono soppresse le parole « non colposo »;
      2. dopo il primo comma, è aggiunto il seguente: «La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.»;
    5. all’articolo 648-ter: 
      1. dopo il primo comma, è aggiunto il seguente: 
        «La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.»;
      2. al terzo comma, la parola: «secondo» è sostituita dalla parola: «quarto»;
    6. all’articolo 648-ter.1:
      1. al primo comma sono soppresse le parole « non colposo »;
      2. dopo il primo comma, è aggiunto il seguente: «La pena è della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 quando il fatto riguarda denaro o cose provenienti da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi.»;
      3. il secondo comma è sostituito dal seguente: «La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.»;
      4. al terzo comma, le parole: «7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni» sono sostituite dalle seguenti: «416 bis.1.».

Art. 2
(Invarianza finanziaria)

  1. Dall’attuazione delle disposizioni del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  2. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dalle disposizioni del presente decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.

Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sarà inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.
 

 

Relazione illustrativa

Il presente intervento normativo è imposto dalla necessità di adeguare la normativa italiana alla direttiva (UE) 2018/1673 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2018, sulla  lotta al riciclaggio mediante il diritto penale. Tale necessità è ancor più attuale alla luce della avvenuta comunicazione da parte della Commissione europea dell’avvio, nei confronti della Repubblica italiana, di una procedura di infrazione ex articolo 258 T.F.U.E. (2021/0055) per mancato recepimento della direttiva predetta.

La direttiva - che consta di 16 articoli - mira a introdurre un livello minimo di armonizzazione delle norme penali previste dagli ordinamenti degli Stati membri in materia di riciclaggio, sia con riguardo alla tipizzazione delle condotte, sia in relazione al trattamento sanzionatorio (articolo 1, paragrafo 1).

Tra i dichiarati scopi della direttiva figura l’allineamento della normativa europea agli standard in materia di lotta al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo definiti dagli strumenti di vari organismi e organizzazioni internazionali, tra cui, in particolare, le raccomandazioni del Gruppo di azione finanziaria internazionale (GAFI) e la Convenzione del Consiglio d'Europa sul riciclaggio, la ricerca, il sequestro e la confisca dei proventi di reato e sul finanziamento del terrorismo. 

Sono tuttavia escluse dall’ambito di applicazione della direttiva le condotte di riciclaggio aventi ad oggetto beni derivanti da reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, oggetto di disciplina specifica nella direttiva 2017/1371/UE - c.d. direttiva PIF (articolo 1, paragrafo 2).

La direttiva va a sostituire le norme della precedente decisione quadro 2001/500/GAI, in quanto incompatibili. La decisione quadro rimane tuttavia applicabile agli Stati che non partecipano al nuovo strumento.

Il termine finale per il recepimento della direttiva è stato fissato al 3 dicembre 2020 (articolo 13).

L’articolo 3 si riferisce genericamente ai “reati di riciclaggio”, imponendo agli Stati membri di incriminare le seguenti condotte, ove dolose: 

  1. conversione o trasferimento di beni, effettuati essendo nella consapevolezza che i beni provengono da un'attività criminosa, allo scopo di occultare o dissimulare l'origine illecita dei beni medesimi o di aiutare chiunque sia coinvolto in tale attività a sottrarsi alle conseguenze giuridiche della propria condotta;
  2. occultamento o dissimulazione della reale natura, della provenienza, dell'ubicazione, della disposizione, del movimento, della proprietà dei beni o dei diritti sugli stessi nella consapevolezza che i beni provengono da un'attività criminosa;
  3. acquisto, detenzione o utilizzazione di beni nella consapevolezza, al momento della loro ricezione, che i beni provengono da un'attività criminosa.

È stata prevista, in via facoltativa, la possibilità per gli Stati membri di introdurre fattispecie colpose di riciclaggio, punendo le condotte sopra descritte nei casi in cui l'autore sospettava o avrebbe dovuto essere a conoscenza della provenienza criminosa dei beni.

La direttiva esclude espressamente che possa richiedersi, ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio, l'esistenza di una condanna (precedente o simultanea) per l'attività criminosa da cui provengono i beni. Non dovrà inoltre essere necessaria, al fine di accertare la provenienza da un’attività criminosa, la determinazione di tutti gli elementi fattuali o di tutte le circostanze relative al reato presupposto, ivi compresa l'identità dell'autore.

Il reato dovrà essere configurabile anche nel caso in cui la condotta presupposta sia stata realizzata nel territorio di un diverso Stato membro o di uno Stato terzo, a condizione che – ove posta in essere nello Stato procedente – la stessa condotta sarebbe qualificabile come reato presupposto. In tal caso, gli Stati membri possono tuttavia richiedere che la condotta sia considerata reato anche nello Stato in cui è stata realizzata (c.d. doppia incriminabilità), fatta eccezione per alcuni reati (in particolare: reati in materia di criminalità organizzata, racket, terrorismo, tratta di esseri umani e traffico di migranti, sfruttamento sessuale, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, corruzione).

L’ultimo comma dell’articolo 3 impone inoltre agli Stati membri di incriminare le condotte di autoriciclaggio, escluse quelle consistenti nell’acquisto, detenzione o utilizzazione dei beni.

L’articolo 2 definisce, tra l’altro, l’attività criminosa idonea a costituire reato presupposto di riciclaggio, includendovi qualsiasi tipo di coinvolgimento nella commissione di un reato punibile, conformemente al diritto nazionale, con una pena detentiva o con una misura privativa della libertà di durata massima superiore a un anno, ovvero - per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima di pena - di durata minima superiore a sei mesi. 

Lo stesso articolo, tuttavia, esclude l’applicabilità di tale soglia per una serie di reati, elencati in via tassativa, che sono considerati pertanto reati presupposto a prescindere dall’entità delle sanzioni previste. Si tratta, in particolare, dei reati in materia di: criminalità organizzata, racket, terrorismo, tratta di esseri umani e traffico di migranti, sfruttamento sessuale, traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope, traffico illecito di armi, corruzione, traffico illecito di beni rubati e altri beni, frode, falsificazione di moneta, contraffazione e pirateria di prodotti, reati ambientali, omicidio, lesioni fisiche gravi, rapimento, sequestro di persona e presa di ostaggi, rapina o furto, contrabbando, reati fiscali relativi a imposte dirette e indirette (conformemente al diritto nazionale), estorsione, contraffazione, pirateria, abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato, criminalità informatica. Ove si tratti di reati la cui normativa è stata oggetto di armonizzazione, l’articolo 2 richiama il corrispondente atto normativo UE.

L’articolo 4 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie per punire come reato anche il concorso, l’istigazione e il tentativo, in relazione a uno dei reati di riciclaggio e autoriciclaggio di cui all’articolo 3.

L’articolo 5 ha introdotto una minima armonizzazione sanzionatoria, prevedendo una pena detentiva comune non inferiore nel massimo a 4 anni, oltre a richiamare la consueta formula di effettività, proporzionalità e dissuasività della sanzione. Si è inoltre stabilito l'obbligo di prevedere sanzioni o misure addizionali, applicabili ove del caso. 

L’articolo 6 ha imposto agli Stati membri di prevedere due circostanze aggravanti: l’aver commesso il reato nell’ambito di un’organizzazione criminale, come definita ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI, e l’essere l’autore soggetto obbligato ai sensi della direttiva riciclaggio 2015/849/UE, avendo commesso il reato nell’esercizio della sua attività professionale.

È stata prevista solo come facoltativa l’introduzione da parte degli Stati membri di aggravanti fondate sul valore considerevole dei beni oggetto di riciclaggio o sulla provenienza dei beni da uno dei reati presupposto più gravi (gli stessi per i quali è esclusa la possibilità di richiedere la doppia incriminabilità).

L’articolo 7 ha previsto altresì la responsabilità delle persone giuridiche per i reati di riciclaggio e autoriciclaggio, ove commessi a vantaggio delle medesime da chiunque agisca a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica e detenga una posizione dirigenziale in seno alla persona giuridica stessa, sulla base, alternativamente, di un potere di rappresentanza della  persona giuridica, ovvero della facoltà di adottare decisioni per conto della persona giuridica, o ancora della facoltà di esercitare il controllo in seno alla persona giuridica. La responsabilità deve essere prevista anche se il reato è commesso da persona diversa dal soggetto qualificato, ma sottoposta all’autorità di quest’ultimo, qualora il comportamento sia stato reso possibile da un’omissione di vigilanza. 

Nei confronti delle persone giuridiche si è previsto un obbligo sanzionatorio più generico, senza introdurre una vera armonizzazione (articolo 8).

L’articolo 9 ha imposto agli Stati membri di assicurare l’applicazione dei provvedimenti di congelamento e confisca (conformemente alla direttiva 2014/42/UE) ai proventi derivanti dalla commissione dei reati di riciclaggio, nonché dei beni strumentali utilizzati o destinati ad essere utilizzati a tal fine. 

L’articolo 10 prevede che ciascuno Stato membro dovrà garantire la propria giurisdizione sui reati di riciclaggio commessi anche parzialmente sul proprio territorio e su quelli commessi da propri cittadini. Prevede altresì che lo Stato membro possa estendere la propria giurisdizione anche oltre tali casi, se l'autore del reato risiede abitualmente nel suo territorio ovvero se il reato è commesso a vantaggio di una persona giuridica stabilita nel suo territorio. In tal caso, lo Stato membro è tenuto a comunicare detta volontà alla Commissione.

Nel caso di coinvolgimento di più giurisdizioni, gli Stati membri sono tenuti a collaborare al fine di individuare un solo Stato che eserciti l’azione penale, tenendo conto dei seguenti criteri di collegamento:

  1. il territorio dello Stato membro in cui è stato commesso il reato;
  2. la cittadinanza o la residenza dell'autore del reato; 
  3. il paese d'origine della vittima o delle vittime; e 
  4. il territorio in cui è stato rinvenuto l'autore del reato. 

Se del caso, e conformemente all'articolo 12 della decisione quadro 2009/948/GAI (del 30 novembre 2009 sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali), la questione è deferita a Eurojust. 

All’articolo 11 è previsto l’obbligo per gli Stati membri di assicurare che le persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell'azione penale per i reati di riciclaggio dispongano di strumenti di indagine efficaci, quali quelli utilizzati nella lotta contro la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità.

L’articolo 12 prevede la sostituzione di talune disposizioni della decisione quadro 2001/500/GAI.

L’articolo 13 riguarda il recepimento da parte degli Stati membri.

L’articolo 14 disciplina le relazioni della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato di attuazione della direttiva da parte degli Stati membri e sull’efficacia delle nuove disposizioni nella lotta al riciclaggio, nonché sull’impatto sui diritti e le libertà fondamentali.

L’articolo 15 disciplina l’entrata in vigore della direttiva.

L’articolo 16 indica i destinatari della direttiva. 

Tanto premesso, si è ritenuto che l’ordinamento interno sia già largamente conforme alle disposizioni contenute nella direttiva (UE) 2018/1673 e che, pertanto, la trasposizione di quest’ultima richieda soltanto interventi di dettaglio, volti a estendere il campo di applicazione di alcune norme nazionali già esistenti. Peraltro, la direttiva lascia taluni margini di scelta agli Stati membri su determinati aspetti.

Venendo all'esame del decreto legislativo, si osserva quanto segue.

In relazione all’articolo 2 della direttiva, non si è ritenuto necessario introdurre una specifica norma contenente le definizioni, in ragione della strutturazione dell’intervento normativo, adottato secondo la tecnica della novellazione di disposizioni già presenti nell'ordinamento interno.
L’articolo 1 apporta le necessarie modifiche al codice penale sulla base delle previsioni di cui agli articoli 3, 6 e 10 della direttiva.
In particolare:

  1. rispetto all’articolo 3, va segnalato che il codice penale già punisce le condotte descritte nei paragrafi 1, lett. a), b) e c), e 5; si tratta delle fattispecie previste dagli articoli 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1. 

Al riguardo va precisato che la direttiva qualifica come reato di riciclaggio anche “l’acquisto, la detenzione o l’utilizzazione di beni nella consapevolezza, al momento della loro ricezione, che i beni provengono da un’attività criminosa” (articolo 3, paragrafo 1, lett. c) della direttiva): tali condotte, secondo il nostro ordinamento, sono riconducibili al delitto di ricettazione. Più precisamente, va anzitutto rimarcato che la disposizione qui esaminata della direttiva sembra chiaramente doversi intendere nel senso che le condotte successive di detenzione e utilizzazione possono acquisire rilevanza penale se e nella misura in cui il detentore o l’utilizzatore abbia previamente acquistato il bene nella consapevolezza della sua provenienza delittuosa. Tale lettura appare pienamente in linea con la consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 648 cod. pen., la quale risulta anzi ancor più repressiva: si presume infatti, ferma la possibilità di prova contraria, che il soggetto scoperto nel possesso ovvero nella detenzione di un bene di provenienza illecita, in presenza di indici obiettivi che portino a inferire la consapevolezza della medesima provenienza illecita, si sia reso responsabile delle presupposte condotte di “acquisto” o “ricezione”. Si pensi ai casi, piuttosto ricorrenti in giurisprudenza, del soggetto che venga sorpreso nel possesso di un’arma o di un motorino di provenienza delittuosa. A titolo esemplificativo, possono richiamarsi le recenti Cass., Sez. I, sentt. 28 maggio 2019, n. 37016, e 28 marzo 2019, n. 17415.

Quanto all’oggetto materiale del delitto di ricettazione (“cosa” di provenienza delittuosa), se è vero che la direttiva, all’articolo 2, n. 2, fa espresso riferimento, nel descrivere l’oggetto materiale di tutte le condotte rientranti nell’ampio concetto di “riciclaggio”, proprio ai “beni”, fornendone peraltro la definizione, è anche vero che la più recente giurisprudenza, con riferimento ai delitti contro il patrimonio, ha adottato una nozione ampia del concetto di cosa, chiarendo che “Integra il delitto di appropriazione indebita la sottrazione definitiva di "dati informatici" o "file" mediante copiatura da un "personal computer" aziendale, affidato all'agente per motivi di lavoro e restituito con "hard disk" "formattato", in quanto i "dati informatici", per fisicità strutturale, possibilità di misurarne le dimensioni e trasferibilità da un luogo all'altro, sono qualificabili come cose mobili ai sensi della legge penale”. (Cass. Sez.  2 – C.C. 7 novembre 2019 (dep. 10 aprile 2020), n. 11959 – Pres. Cammino – Rel. Di Paolo – P.M. Viola). 

Proprio tenendo conto dei condivisibili orientamenti giurisprudenziali (sia pur di merito) più recenti, non si è ritenuto di adeguare il tenore delle disposizioni relative ai reati di riciclaggio sia alla condizione (“introdurre nello schema in esame una precisazione di carattere normativo sulle cripto-valute, che analogamente ad altri beni possono costituire condotte di riciclaggio, garantendo in tal modo l’uniformità legislativa dell’intervento”) posta dalla 2° Commissione (Giustizia) del Senato della Repubblica, nel parere espresso in data 20 ottobre 2021, sia alle stesse osservazioni (“si valuti l’opportunità di introdurre una normativa che possa adeguare gli strumenti di controllo e di repressione dei reati in riferimento alle cripto-valute, che analogamente ad altri beni possono costituire condotte di riciclaggio, garantendo in tal modo l’uniformità legislativa dell’intervento”), di analogo contenuto rispetto alla condizione posta dal Senato, rese dalla 2° Commissione (Giustizia) della Camera dei Deputati, nel parere favorevole espresso in data 20 ottobre 2021, e dalla 14° Commissione (Politiche UE) del Senato, nel parere favorevole espresso in data 14 ottobre 2021, per le seguenti ragioni. 

Le criptovalute sono riconducibili alle “altre utilità” di cui all’articolo 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 c.p., essendo tra queste compresa qualsiasi entità economicamente valutabile (cfr. Corte d’Appello di Brescia, sez. I, 30 ottobre 2018); tra le criptovalute rientrano i bitcoin, che sono stati, tra l’altro, qualificati come beni ai sensi dell’art. 810 c.c. (cfr. Tribunale di Firenze, Sez. Fallimentare, sentenza 21 febbraio 2019, n. 18, nella quale è precisato che lo stesso legislatore, con la definizione di valuta virtuale contenuta nel decreto legislativo 90/2017, attuativo della direttiva 2015/849, modificando le definizioni dell’art. 1, comma 2, lett. qq, della legge antiriciclaggio, considera le criptovalute “beni” ai sensi dell’art. 810 c.c., in quanto oggetto di diritti).  

Pertanto, le operazioni compiute con valuta virtuale sono sussumibili nella sfera applicativa dei delitti in esame e non è necessario precisarlo nelle norme.

La disciplina normativa attualmente in vigore nel nostro ordinamento, relativa alla lotta al riciclaggio, ottempera pienamente a quanto disposto nel “considerando 6” della Direttiva, che dà atto che “l’uso delle valute virtuali presenta nuovi rischi e sfide nella prospettiva della lotta al riciclaggio. Gli Stati membri dovrebbero garantire che tali rischi siano affrontati in modo adeguato”. 

Quanto, invece, all’elemento soggettivo del delitto di ricettazione di cui all’articolo 648 del cod. pen. (“... al fine di procurare a sé o ad altri un profitto …”), sebbene l’art. 3, par. 1, della direttiva non richieda elementi finalistici di alcun tipo, non si è ritenuto necessario alcun intervento normativo, alla luce della ampia nozione di “profitto” impiegata dalla giurisprudenza di legittimità, che ricomprende in sé qualsivoglia utilità, non necessariamente coincidente con un provento patrimoniale, che il ricettatore abbia ritratto dalla propria condotta delittuosa.

Secondo la Corte di Cassazione (Sez. 2, n. 21596 del 18/02/2016; Sez. 2, sentenza n. 38277 del 7/6/2019) il dolo del delitto di ricettazione è misto, perché generico quanto alla coscienza e volontà di ricevere cose provenienti da delitto, e specifico quanto al fine di trarne profitto per sé o per terzi.

Quanto alla componente specifica del predetto dolo, secondo l'orientamento assolutamente dominante in giurisprudenza, il profitto, il cui conseguimento integra il dolo specifico del reato di ricettazione, può̀ avere anche natura non patrimoniale (Sez. 2, n. 11083 del 12/10/2000, Rv. 217382, in fattispecie relativa all'acquisto di prodotti falsificati, usati per arredare le vetrine del negozio, con riguardo alla quale la S.C. ha ritenuto integrato l'elemento psicologico del delitto dal vantaggio conseguito attraverso l'abbellimento della vetrina, benché́ i beni falsificati ed usati per arredare la medesima - borse e ombrelli - fossero diversi dai beni - vini e liquori - commercializzati nel negozio; Sez. 2, n. 44378 del 25/11/2010, Rv. 248945, in fattispecie relativa alla detenzione di una camicia militare, recante scritte in caratteri ebraici, dell'esercito israeliano, considerata rappresentativa di Israele, e costituente provento di rapina perpetrata da giovani intenti a distribuire volantini di propaganda politica anti-israeliana; Sez. 2, n. 15680 del 22/03/2016, Rv. 266516, in fattispecie relativa all'acquisto di farmaci anabolizzanti provento del delitto previsto dall'art. 9 della legge 14 dicembre 2000 n. 376, al fine di farne uso personale per la modifica della struttura muscolare; Sez. 2, n. 3661 del 23/10/2018, dep. 2019, n.m., in fattispecie analoga a quella da ultimo indicata). Tale orientamento è stato da ultimo ribadito dalla Cassazione, Sez. 7, con l’ordinanza n. 37501 del 24/12/2020. 

In conclusione, il profitto nel delitto di ricettazione è configurabile ogni qualvolta, per effetto del reato, il patrimonio del soggetto agente si incrementi di un bene dal quale il medesimo possa trarre un vantaggio e, quindi, di un bene in sé idoneo a soddisfare un bisogno umano, sia esso di natura economica o spirituale.

In considerazione della definizione di “attività criminosa” di cui all’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva, si è reso, invece, necessario l’ampliamento dei reati presupposto dei “reati di riciclaggio” di cui al successivo articolo 3, in quanto la nozione di reato presupposto adottata dal nostro legislatore risulta più circoscritta: reati presupposto dei delitti di cui agli articoli 648 e 648-ter cod. pen. sono solo i delitti, con esclusione, quindi, di tutte le contravvenzioni; mentre reati presupposto dei delitti di cui agli articoli 648-bis e 648-ter.1 cod. pen. sono solo i delitti non colposi, con esclusione, quindi, dei delitti colposi e delle contravvenzioni.

Tale ampliamento è stato realizzato, in relazione ai delitti di riciclaggio ed autoriciclaggio, prevedendo la medesima disciplina sia in caso di delitti presupposto colposi che in caso di delitti presupposto non colposi (così come già previsto per i delitti di cui agli articoli 648 e 648 ter cod. pen.); si è invece introdotta una disciplina sanzionatoria differenziata (di minor rigore) in relazione alle singole fattispecie incriminatrici (articoli 648, 648-bis, 648-ter e 648-ter.1. cod.pen.), per il caso in cui il reato presupposto sia una contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi. 

Il limite edittale indicato nell’articolo 2, paragrafo 1 della direttiva viene introdotto solo qualora il reato presupposto sia una contravvenzione (il che connota di minor disvalore la fattispecie) e non se si tratta di delitti, in quanto la direttiva si limita a dettare norme minime relative alla definizione dei reati e alle sanzioni in materia di riciclaggio (art. 1 parafr. 1) e non preclude, quindi, disposizioni normative di portata più ampia, quanto a definizione della fattispecie incriminatrice o entità del trattamento sanzionatorio.

Nell’articolo 648, quarto comma, cod. pen., relativo all’ipotesi in cui il fatto sia di particolare tenuità, viene prevista la pena massima di tre anni di reclusione nel caso di denaro o cose provenienti da contravvenzione. Ciò non contrasta con la previsione di cui all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, che impone di punire i reati di riciclaggio con una pena detentiva massima non inferiore a quattro anni. Detto limite deve intendersi riferito ai reati – base, sicché non è imposto nel caso di specie, trattandosi di una circostanza attenuante. Del resto, esigenze di proporzionalità del trattamento sanzionatorio inducono alla prevista differenziazione della cornice edittale rispetto alla fattispecie base.

La «misura privativa della libertà», richiamata nell’art. 2 della Direttiva, non è stata presa in considerazione in quanto non prevista dall’art. 17 del codice penale. Non è, del resto, possibile fare rientrare in tale categoria le sanzioni “paradentive” di competenza del giudice di pace penale, atteso il disposto degli artt. 52, 53 e 58 della legge n. 274 del 2000 (v. Corte cost., n. 2 del 2008); né possono rientrare in tale categoria le sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libertà controllata che, ai sensi dell’art. 57 della legge 24 novembre 1981, n. 689, si considerano per ogni effetto giuridico come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena sostituita. 

  1. Anche rispetto all’articolo 6, si sono resi necessari unicamente interventi puntuali su disposizioni preesistenti. 

L’introduzione delle circostanze di cui al paragrafo 2 è meramente facoltativa e, tra l’altro, la circostanza aggravante di cui alla lett. a) è già prevista nel nostro ordinamento nell’articolo 61 n. 7 cod. pen.. 

Anche a prescindere dall’esistenza nel nostro ordinamento delle aggravanti di cui agli articoli 61-bis e 416-bis.1 cod. pen., l’introduzione della circostanza aggravante di cui al paragrafo 1, lett. a) non appare necessaria, tenuto conto della seconda parte del considerando 15 della direttiva (“Gli Stati membri non dovrebbero avere l’obbligo di prevedere tali circostanze aggravanti allorché, nel diritto nazionale, i reati ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI del Consiglio ( 2 ) o i reati commessi da una persona fisica che agisce in quanto soggetto obbligato nell’esercizio della sua attività professionale sono punibili come reato distinto e possono comportare sanzioni più severe.”) e della attuale previsione nell’ordinamento nazionale di fattispecie di reato associative, tra cui quelle punite dall’art. 416 c.p. e dall’art. 416 bis cod. pen.

Dunque, nel caso di delitto di riciclaggio commesso nell’ambito di un’organizzazione criminale sarebbe comunque configurabile un concorso di reati, tale da determinare una pena in concreto più alta rispetto a quella irrogabile per il solo delitto di riciclaggio (cfr. Cass. Sez. Un., sent. n. 25191 del 27.2.2014).

Per le ragioni sopra esposte, non si è ritenuto di adeguare le disposizioni sul riciclaggio all’osservazione espressa dalla 14° Commissione del Senato (Politiche UE), in ordine all’introduzione della circostanza aggravante indicata nella direttiva (“si ritiene, inoltre, necessario introdurre l’aggravante di cui all’articolo 6, paragrafo1, lettera a), della direttiva in riferimento al reato commesso nell’ambito di un’organizzazione criminale ai sensi della decisione quadro 2008/841/GAI”).

Quanto alla circostanza aggravante di cui alla lettera b) del paragrafo 1, si è ritenuto di intervenire solo sulla fattispecie di ricettazione, in quanto per le altre fattispecie di “riciclaggio” è già prevista una specifica aggravante “quando il fatto è commesso nell’esercizio dell’attività professionale” (648 bis e 648 ter cod. pen.) o “quando i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale” (art. 648-ter.1 cod. pen.). Tale aggravante è in linea con la citata previsione della direttiva, che impone un aggravamento della pena se l’autore del reato è un soggetto obbligato ai sensi dell’articolo 2 della direttiva (UE) 2015/849 (del 20 maggio 2015, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario ai fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo) e ha commesso il reato nell’esercizio della sua attività professionale. In sostanza, la direttiva richiede, ai fini dell’aggravamento di pena, che il soggetto obbligato al rispetto della normativa antiriciclaggio abbia commesso il reato nell’esercizio della sua attività professionale. L’aggravante già esistente consente di aumentare la pena se il reato è stato commesso nell’esercizio di un’attività professionale, anche se l’autore non è soggetto obbligato nei sensi di cui sopra e presenta, quindi, un più ampio margine di operatività rispetto a quello previsto dalla direttiva. Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, le attività̀ professionali previste dall'aggravante in questione non sono solamente quelle per le quali è prevista l'iscrizione ad un particolare albo o una speciale abilitazione, ma qualsiasi attività̀ economica o finanziaria diretta a creare nuovi beni e servizi oppure attività di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo (v Sez. 2, Sentenza n. 3026 del 06/12/2016 Ud.  (dep. 20/01/2017) Rv. 269166 - 01). 

Giova precisare che l’aggravante prevista per l’autoriciclaggio, benché diversa, quanto a tenore letterale, da quella prevista per i reati di cui agli articoli 648-bis e 648-ter cod. pen., presenta la medesima sfera di applicazione, in quanto l’espressione attività professionale è tale da ricomprendere anche l’attività bancaria e finanziaria.         

  1. Per ragioni di adeguatezza e proporzionalità del trattamento sanzionatorio è stata riformulata all’articolo 648 (e, per richiamo, all’articolo 648-ter cod. pen.) la circostanza attenuante della particolare tenuità del fatto, sì da prevederne una incidenza differenziata nel caso in cui il reato presupposto sia una contravvenzione; per le stesse ragioni di adeguatezza e proporzionalità è stata anche aumentata la pena pecuniaria (da 516 a 1000 euro) nel caso di reato presupposto di matrice delittuosa, in modo da consentire un discostamento adeguato della pena rispetto al trattamento riservato all’ipotesi, di minor disvalore, di provenienza contravvenzionale del bene. Conseguentemente, nell’articolo 648-ter cod. pen. è stato modificato il riferimento al comma dell’articolo 648 (non più secondo comma, bensì quarto comma). Analogamente, nell’articolo 240-bis cod. pen. relativo ai casi di confisca il riferimento al comma secondo dell’articolo 648 cod. pen. è stato sostituito con il riferimento al comma quarto del medesimo articolo. 

Non si è ritenuto di adeguare le disposizioni del codice penale relative alla confisca all’osservazione espressa dalla Commissione Politiche Europee (“per le fattispecie di cui agli articoli 648, 648- bis, 648- ter, 648-ter.1 del codice penale si ritiene necessario introdurre, ove non già disposto, la confisca per equivalente”), in quanto la confisca per equivalente è già prevista dall’articolo 648- quater, secondo comma, c.p. (disposizione introdotta dal D.Lgs. n. 231 del 2007, come aggiornato dal D.Lgs. n. 90 del 2017), per i delitti previsti dagli articoli 648- bis, 648- ter e 648- ter.1. Non si è ritenuto di estendere tale confisca anche al delitto di ricettazione di cui all’articolo 648 c.p., considerato che trattasi di fattispecie criminosa di minore gravità rispetto alle altre.

  1. Sempre per ragioni di omogeneità e proporzionalità del trattamento sanzionatorio del delitto di autoriciclaggio rispetto al delitto di riciclaggio è stata prevista una circostanza attenuante comune (in luogo di quella ad efficacia speciale già esistente) nel caso in cui il denaro, i beni o le altre utilità provengano da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
  2. Sostituendo la parola “delitto” con la parola “reato”, nell’ultimo comma dell’articolo 648 cod. pen., la configurabilità del delitto di ricettazione indipendentemente dalla sussistenza di una causa di non punibilità dell’autore del delitto presupposto o di una causa di improcedibilità di tale delitto, già prevista dall’ultimo comma dell’articolo 648 cod. pen. e richiamata dalle disposizioni di cui agli articoli 648-bis, 648-ter e 648-ter.1 cod. pen., è stata ampliata per ricomprendere i casi in cui reato presupposto sia una contravvenzione.
  3. L’intervento normativo in esame ha costituito l’occasione per sostituire nell’articolo 648-ter.1 cod. pen. il riferimento all’articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni (abrogato dall’articolo 7 del decreto legislativo n. 21/2018) con il riferimento all’articolo 416 bis.1 cod. pen. (in linea con quanto previsto dal successivo articolo 8 del decreto legislativo medesimo).  
  4. Rispetto all’articolo 10, par. 1, della direttiva, un adeguamento dell’ordinamento interno si è reso necessario soltanto in relazione alla lett. b, in quanto nessun problema pone l’ipotesi di giurisdizione prevista dalla lett. a) del paragrafo 1 della direttiva, a fronte del principio di ubiquità sancito dall’articolo 6 del cod. pen. per tutti i reati e, quindi, anche per quelli in esame.
    In particolare, al fine di assicurare la giurisdizione per i reati di cui agli articoli 3 e 4 della direttiva commessi dal cittadino all’estero, è stata esclusa la condizione di procedibilità prevista dall’articolo 9, comma 2, cod. pen. in ordine ai reati di cui agli articoli 648 e 648 ter.1 cod. pen., i soli per i quali è attualmente necessaria la richiesta del Ministro della giustizia, in considerazione dei limiti edittali. 
  5. Non si è ritenuto di intervenire sulla fattispecie incriminatrice di autoriciclaggio di cui all’articolo 648- ter. 1 cod. pen, dal momento che il riferimento all’impiego dei beni in “attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative” appare, alla luce della consolidata interpretazione della giurisprudenza di legittimità, in linea con quanto previsto dall’art. 3, par. 5, della direttiva. La Cassazione privilegia una nozione ampia di attività economica o finanziaria, ricomprendendo in essa anche l’ulteriore trasferimento del bene di provenienza illecita (es. una cessione una tantum), non inquadrabile in una stabile e organizzata attività economica o commerciale. Ad esempio, Cass., Sez. II Penale, 5 Luglio 2018, n. 38422, ritiene rilevanti i trasferimenti e le sostituzioni che avvengano attraverso la re-immissione nel circuito economico-finanziario ovvero imprenditoriale. In tema impiego di denaro, beni ed altre utilità di provenienza illecita, di cui all’art. 648-ter c.p., “la nozione di attività economica o finanziaria è desumibile dagli artt. 2082, 2135 e 2195 del codice civile e fa riferimento non solo all’attività produttiva in senso stretto, ossia a quella diretta a creare nuovi beni o servizi, ma anche a quella di scambio e di distribuzione dei beni nel mercato del consumo, nonché ad ogni altra attività che possa rientrare in una di quelle elencate nelle menzionate norme del codice civile e questi sono i parametri da utilizzare anche per valutare la configurabilità del delitto di cui all’art. 648 ter 1 c.p. che, infatti, fa anch’esso riferimento alle medesime nozioni di attività economica o finanziaria”. (Fattispecie in tema di reimmissione nel mercato di valori bollati fraudolentemente ottenuti; nella prospettazione accusatoria disattesa dal tribunale del riesame e avallata, invece, dalla Corte di cassazione, il profitto del reato di truffa viene acquisito dall'autore del reato già con l'apprensione del bene, sicché la reimmissione nel mercato dei valori bollati fraudolentemente ottenuti integra necessariamente un quid pluris rispetto al reato presupposto, già consumato, e la dissimulazione della provenienza dei beni costituisce l'ulteriore disvalore - rispetto al reato presupposto - della condotta di reimmessione nel mercato degli stessi). Nello stesso senso, Cass. 2016 n. 33076 e Cass. 2013 n. 5546, rv 258204.
  6. Con riferimento all’articolo 3 paragrafo 3 lettera c) della direttiva (che richiede che gli Stati membri adottino le misure necessarie per garantire che i reati di riciclaggio siano configurabili anche nel caso di beni provenienti da una condotta posta in essere nel territorio di un altro Stato membro o di Stato terzo, qualora tale condotta costituisca reato per l’ordinamento nazionale), non si ritiene necessario un intervento di adeguamento in quanto l’ordinamento italiano già assicura che ciò avvenga. Infatti, la Corte di Cassazione ha statuito, in ordine al delitto commesso all'estero dallo straniero come presupposto del reato di cui all'art. 648 c.p., che "Ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione è irrilevante che il delitto cui esso accede sia stato commesso in Italia oppure all'estero, e non è richiesto che la provenienza delle cose ricettate sia delittuosa per l'ordinamento giuridico dello stato estero, mentre è necessario che essa sia considerata tale dal nostro ordinamento giuridico. Pertanto, anche nel caso in cui le cose o il denaro, che siano state acquistate, ricevute od occultate nello stato italiano con la consapevolezza della loro illecita provenienza, provengano da delitto commesso all'estero, ad opera e in danno di uno straniero, sussiste il delitto di cui all'art 648 c.p. se il fatto presupposto sia considerato, secondo il nostro ordinamento giuridico, delitto perseguibile di ufficio: (Cass. Sez. 2, n. 87 del 17.1.68, dep. 23.4.68, rv. 107659). In seguito, la giurisprudenza ha esteso il concetto di delitto presupposto di ricettazione a qualsiasi delitto anteriore, ancorché non accertato giudizialmente, magari per difetto di una condizione procedibilità (cfr. Cass. Sez. 2, n. 28.6.79, dep. 7.1.80; Cass. Sez. 2, n. 549 del 29.6.81, dep. 23.1.82; Cass. Sez. 2, n. 3031 del 20.1.82, dep. 20.3.82; Cass. Sez. 1, n. 2179 del 20.1.83, dep. 17.3.83; Cass. Sez. 2, n. 3211 del 12.3.98, dep. 10.3.99; Cass. Sez. 5, n. 5801 del 24.2.82, dep. 11.6.82; Cass. Sez. 2, n. 10418 del 13.5.83, dep. 3.12.83; Cass. Sez. 2, n. 4469 dell'8.2.85, dep. 9.5.85; Cass. Sez. 2, n. 3392 del 16.12.83, dep. 12.4.84; Cass. Sez. 2, n. 4429 del 13.1.84, dep. 12.5.84; Cass. Sez. 2, n. 8730 del 12.4.84, dep. 18.10.84; Cass. Sez. 6, n. 4077 del 20.11.89, dep. 21.3.90; Cass. Sez. 4, n. 11303 del 7.11.97, dep. 9.12.97). E condizioni di procedibilità sono anche quelle previste dall'art.10 cod. pen. riguardo a delitto commesso all'estero da uno straniero ai danni di un cittadino (nella fattispecie, art. 473 cod. pen. ai danni di una società italiana come la Martini Alviero), di guisa che la loro mancanza - alla stregua della summenzionata giurisprudenza - non incide sulla configurabilità del delitto presupposto ai fini dell'art. 648 cod. pen. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22343 del 04/05/2010 Ud.  (dep. 11/06/2010) Rv. 247527 – 01). La mancanza di una condizione di procedibilità (nella specie, di quella prevista dall'art. 10 cod. pen. in relazione alla commissione all'estero, da parte di uno straniero, del delitto di cui all'art. 473 cod. pen. ai danni di un cittadino italiano) non incide sulla configurabilità del delitto presupposto ai fini della sussistenza del delitto di ricettazione.  Nello stesso senso v. anche Corte di Cassazione, sent. n. 23679 del 7.8.2020.

Come sopra anticipato, l’articolo 11 della direttiva prevede l’obbligo per gli Stati membri di assicurare che le persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell'azione penale per i reati di riciclaggio dispongano di strumenti di indagine efficaci, quali quelli utilizzati nella lotta contro la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità. Al riguardo, non si ritiene necessario un intervento di adeguamento, in quanto l’ordinamento italiano già assicura efficaci strumenti di indagine, quali le intercettazioni di conversazioni o comunicazioni previste dagli articoli 266 e 267 del codice di procedura penale.

L’articolo 2 contiene la clausola di invarianza finanziaria.