Disegno di legge di conversione del DL 201/2002 - Misure urgenti per razionalizzare l'Amm. della giustizia - Relazione

Disegno di legge di conversione in legge del decreto-legge 11 settembre 2002, n. 201 recante: "Misure urgenti per razionalizzare l'Amministrazione della giustizia"

Articolato



Il presente schema di decreto legge raccoglie i più urgenti ed indifferibili interventi normativi che appare opportuno adottare nell'ambito di materie di competenza del Ministero della giustizia, sia con riferimento all'amministrazione della giustizia, anche in fase di esecuzione della pena, sia con riguardo ai servizi di protezione delle persone ritenute a rischio.

In considerazione del rilevante numero di ricorsi presentati alle Corti di appello per ottenere l'equa riparazione nelle ipotesi di presunta violazione del termine del ragionevole processo, delle disfunzioni registrate nell'ambito dei procedimenti di nomina dei giudici di pace, del sovraffollamento e della vetustà degli istituti penitenziari esistenti,del notevole carico di lavoro che grava sulla Corte di cassazione e, infine, dell'attuale preoccupante riemergere di gravi ed efferati atti di terrorismo interno, sussistono ragioni di straordinaria necessità ed urgenza, rispettivamente, di deflazionare il sovraccarico di lavoro delle Corti di appello in modo da evitare condanne in sede europea, di semplificare e accelerare la procedura concorsuale di nomina dei giudici di pace, di potenziare le strutture dell'Amministrazione penitenziaria, di razionalizzare i criteri di gestione del carico di lavoro della Suprema Corte e di rafforzare il sistema delle misure di protezione delle persone ritenute a rischio.

Si da conto, di seguito, dei principi ispiratori, delle scelte normative adottate e delle esigenze che esse tendono a soddisfare, con riguardo ai singoli interventi di riforma.

CAPO I
(Modifiche alla legge 24 marzo 2001, n.89 recante previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile).

Il capo I dello schema di decreto legge è dedicato alla materia di equa riparazione ed è finalizzato a recepire, per quanto possibile, le numerose e preoccupate osservazioni formulate dagli Uffici Giudiziari e dall'Avvocatura in merito al primo periodo di operatività del "rimedio interno" introdotto dalla legge 24 marzo 2001, n.89 recante la "Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile".

Le ragioni pressanti ed eccezionali che impongono di intervenire nuovamente sulla materia vanno individuate nella presentazione di un numero rilevante di ricorsi presso le Corti di appello che solo per l'anno 2001 sono pari a 1622 e che, allo stato, nei primi cinque mesi dell'anno 2002 sono pari a 2629 ; il costante e prevedibile aumento dei detti ricorsi determinerà nel prossimo futuro (si pensi ai 12.000 ricorsi pendenti dichiarati irricevibili da Strasburgo che, entro il 18 aprile u.s., dovevano essere ripresentati dinanzi le Corti di appello italiane) in capo agli organi di giustizia interni gravi problemi organizzativi e di funzionamento nonché serie preoccupazioni sul possibile impatto di tale contenzioso sugli organi sovranazionali di protezione dei diritti umani e cioè la Corte europea dei diritti dell'uomo ed il Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa.

L'intervento normativo si prefigge l'obiettivo di deflazionare il sovraccarico di lavoro in cui versano le Corti di appello attraverso alcune modifiche normative alla c.d. legge Pinto.

L'articolo 1 reca l'enucleazione di uno strumento di definizione amichevole delle controversie sul modello di quanto previsto dall'art. 38 lett. b) della Convenzione dei Diritti dell'Uomo; difatti, secondo il richiamato articolo, la Corte di Strasburgo "si mette a disposizione degli interessati per pervenire ad una regolamentazione amichevole della controversia sulla base del rispetto dei diritti dell'uomo come riconosciuti dalla Convenzione e dai suoi protocolli". Al riguardo, degna di menzione è la formula usata per l'accordo amichevole dinanzi la Corte di Strasburgo "questa dichiarazione non implica alcun riconoscimento da parte del Governo dell'esistenza di una violazione della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo nel presente caso".

L'esigenza di introdurre nel rimedio interno uno strumento di accordo transattivo discende da una serie di preoccupazioni manifestate dalla dottrina e dagli stessi operatori del diritto che, a pochi mesi dall'entrata in vigore della legge in esame, possono così -efficacemente- sintetizzarsi: "se il nuovo processo di riparazione non sarà oltre che celere, equo e giusto, ebbene allora prenderà corpo e strada la più controproducente e nociva delle possibilità: quella che talun pessimista aveva profilato come rischio per eccellenza di questo tipo di soluzioni spagnolesche. Ovvero lo sciupio di energie dei nostri organi (Corti territoriali, cancellerie per spedire su e giù i fascicoli, Corte dei Conti etc.), la ginnastica para-giudiziaria e tutto il resto, per poi vedere tutti coloro che si sentissero a tal punto beffati - da un eventuale processo ingiusto al quadrato - avviarsi per la solita vecchia strasse verso Strassburg, cui si sarebbe con tutto ciò cercato un po' goffamente di chiudere il passo, finendo con il dare tanto maggior risalto alle inadempienze del mondo giudiziario" (cfr. Consolo, strategie e profili critici della disciplina municipale della violazione del termine di ragionevole durata del processo, Corriere giuridico, 5, 2001; da ultimo, Didone, Equa riparazione e ragionevole durata del giusto processo, Milano, 2002).

Da ultimo, un utile spunto di riflessione ha offerto la sentenza della Suprema Corte a Sezioni Unite Penali del 14 giugno 2001, n.24287 in tema di riparazione per ingiusta detenzione. Difatti, alcune argomentazioni contenute nella richiamata pronuncia, possono essere utilizzate, mutatis mutandis, per tentare un inquadramento sistematico del diritto all'equa riparazione in esame.

In primo luogo, la Suprema Corte afferma che "l'azione prevista dagli artt. 314 e 315 c.p.p. non ha funzione risarcitoria in quanto diretta ad ottenere il ristoro delle sofferenze di ordine personale e familiare (morali e patrimoniali) derivanti ad un soggetto da un atto giudiziario pienamente legittimo". Tale inquadramento può essere utilizzato per la fattispecie del "delai raisonable", ma con le dovute cautele; invero, anche il diritto sancito dalla legge Pinto, come quello derivante dall'accertamento della subita ingiusta detenzione (artt. 314 e 315 c.p.p.) ha per oggetto l'equa riparazione (cfr. art.2, comma 1), però, il legislatore chiarisce che l'entità della riparazione comprende, senza esaurirsi in esso, anche il corrispettivo risarcitorio (si cfr. il richiamo dell'art. 2056 c.c. in tema di determinazione della riparazione liquidabile nel caso concreto contenuto, nel comma 3 dell'art. 2, che, a sua volta, rinvia agli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.). Del resto e non a caso, il termine "indennizzo" usato dal legislatore (art.3, comma 7) sta, per lo più, ad indicare compensazioni patrimoniali rispondenti a prevalenti criteri di equità, fuori della disciplina degli atti illeciti o comunque "in considerazione di un sacrificio consentito dalla legge" (cfr. Ciccarello, voce Indennità, EGI, Roma, 1989.

Inoltre, la Corte, a proposito del diritto ad ottenere l'indennità per ingiusta detenzione, spiega che "che la parte pubblica, a differenza del privato cittadino autore, per avventura, di un fatto causativo di danno, non potrebbe mai, in difetto di una specifica norma autorizzativa, provvedere spontaneamente e direttamente alla riparazione, prescindendo cioè dall'intervento del giudice. L'art. 314 c.p.p. riconoscendo il diritto all'equa riparazione pone lo Stato in una situazione di soggezione che, la pronuncia del giudice, sollecitata dalla parte privata, può trasformare in una situazione giuridica nuova connotata dalla nascita di un obbligo concreto e specifico. Obbligo che non preesiste, quindi, alla richiesta di riparazione; esso è creato dal giudice previo accertamento dei presupposti -come recita il titolo dell'articolo citato- per una decisione favorevole".

Alla luce della ricostruzione compiuta dalle Sezioni Unite della natura "necessaria" del procedimento che il cittadino deve intentare per ottenere l'indennizzo, si può, quindi, argomentare, che, lo Stato, in presenza di una norma esplicita, sarebbe autorizzato a provvedere ad una soluzione spontanea e diretta -sia giudiziale che extra giudiziale- delle controversie in materia di durata non ragionevole del processo.

Tanto premesso, esigenze sistematiche e di impatto legislativo suggeriscono, di introdurre un rimedio precontenzioso, quale condizione di procedibilità rispetto al procedimento per l'equa riparazione, attribuendo all'amministrazione (parte in causa nel potenziale giudizio instaurato dal cittadino per ottenere l'indennizzo da irragionevole ritardo del processo) per il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, la potestà di provvedere direttamente e spontaneamente ad una soluzione della controversia. Sicché l'amministrazione potrà formulare una proposta transattiva al cittadino, che ritenga leso il suo diritto alla durata ragionevole del processo, secondo lo schema contrattuale previsto dal codice civile agli artt. 1965 e ss. e secondo il procedimento all'uopo delineato dall'articolo in esame.

L'articolo in commento espressamente chiarisce che la comunicazione, insieme alla documentazione da cui deve essere corredata, inviata all'Avvocatura generale dello Stato è condizione di procedibilità della domanda di equa riparazione, domanda che non può essere formulata prima dei novanta giorni trascorsi dalla comunicazione stessa (art.1 commi 1 e 2).
Vengono chiariti, inoltre, i parametri a cui l'Avvocatura dello Stato dovrà attenersi nell'assunzione delle proprie determinazioni:

  1. parametri oggettivi quali durata, tipologia ed esito, anche potenziale, del procedimento svoltosi o ancora pendente;
  2. la condotta processuale della parte istante;
  3. gli indirizzi stabiliti in un emanando decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri;
  4. le specifiche indicazioni eventualmente ricevute dalle amministrazioni competenti (art. 1 commi 3 e 4).

Nell'articolo in esame si è scelto, inoltre, di escludere la materia dei procedimenti di competenza del giudice tributario dal ricorso all'accordo transattivo alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo che non prevede l'applicabilità della tutela dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per quei procedimenti aventi ad oggetto pretese dell'amministrazione finanziaria non suscettibili di avere ripercussioni di carattere penale sulla posizione del ricorrente -cfr. sentenza Ferrazzini, 12 luglio 2001-.

La Corte dei diritti dell'uomo, con la richiamata pronuncia, ha chiarito definitivamente l'inapplicabilità delle regole del giusto processo a tutti gli altri procedimenti diversi da quelli che hanno ad oggetto un'accusa in materia penale, i quali non rientrano neanche nella categoria dei procedimenti "aventi ad oggetto controversie, diritti o doveri di carattere civile". Il contenzioso fiscale, in altri termini, non rientra, secondo la giurisprudenza di Strasburgo, tra i rapporti di diritto civile dato il carattere peculiare che intercorre tra l'amministrazione fiscale e il contribuente (art.1 comma 2).

La norma, inoltre, chiarisce che il Ministero dell'economia e delle finanze provvede al pagamento della somma stabilita nell'accordo transattivo entro novanta giorni dalla conclusione dell'accordo medesimo, in armonia con il termine accordato dalla giurisprudenza di Strasburgo agli Stati membri per adempiere all'obbligo in caso di condanna (art. 1 comma 7). L'individuazione di un unico centro di pagamento presso il Ministero dell'economia e delle finanze, anziché la previsione di quattro uffici di pagamento distinti e dislocati, rispettivamente, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, della difesa, della giustizia e presso la Presidenza del Consiglio, sembra rispondere a finalità di rapidità e parità di trattamento dei soggetti danneggiati, tenuto conto che gli stessi rischierebbero, diversamente, di essere penalizzati dai non uniformi tempi occorrenti per l'accredito delle somme da parte del Ministero dell'economia alle amministrazioni interessate nonché dai tempi necessari alla predisposizione dei mandati di pagamento. Del resto, la previsione appare conforme alla disciplina contenuta nell'articolo 646 c.p.p. in tema di procedimenti di riparazione. Gli atti di transazione, infine, vengono esentati dal pagamento dell'imposta di registro (art.1, comma 9) al fine di incentivare il più possibile l'effettivo ricorso al rimedio transattivo precontenzioso.

Viene altresì stabilito che gli onorari per l'eventuale assistenza e consulenza prestate ai fini della definizione dell'accordo transattivo restano a carico di ciascuna parte.
Si è inteso precisare che all'Avvocatura dello Stato spetta l'onorario stabilito nei minimi della tariffa professionale ridotto ad un quarto al fine di contenere per quanto possibile la spesa a carico dell'Erario (art. 1 comma 10). E' opportuno rammentare che le liquidazioni a titolo di spese, onorari e diritti della parte vittoriosa (quasi sempre il cittadino) operate dalle Corti di appello all'esito del procedimento "Pinto" (spese e competenze liquidate mediamente in circa euro 800,00) gravano pesantemente sul complesso degli stanziamenti previsti a copertura finanziaria dell'equa riparazione come meglio illustrato in relazione tecnico-finanziaria.

Si è, altresì, stabilito che per l'espletamento della fase precontenziosa, introdotta dal presente articolo, da parte degli Uffici dell'Avvocatura dello Stato, le amministrazioni interessate provvedono, ai sensi dell'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n.241, alla provvista di locali e di attrezzature anche informatiche, nonché all'attribuzione, mediante comando o distacco di unità di personale amministrativo in possesso di specifiche professionalità. Lo strumento della conferenza di servizi, previsto dalla disposizione della richiamata legge sul procedimento amministrativo, consentirà una forma di cooperazione tra pubbliche amministrazioni (articolo 1, comma 11) .

Il regime transitorio dettato dal presente decreto legge (articolo 1, commi 12 e 13) risponde anch'esso a ragioni deflattive e consente, anche per i procedimenti pendenti, di addivenire all'accordo transattivo su diretta iniziativa dell'Avvocatura dello Stato del distretto di Corte di appello ove pende il giudizio.
La procedura così instaurata, determina innanzitutto una deflazione dei carichi di lavoro delle Corti d'Appello nonché una accelerazione nella risoluzione delle controversie. Peraltro, è ragionevole ritenere che la conclusione anticipata del processo determinerà un risparmio in termini di interessi da corrispondere agli aventi diritto.

L'articolo 2 reca la novella dell'articolo 3 della legge n. 89/2001. Per le stesse ragioni sopra meglio esposte, viene esclusa l'azionabilità del rimedio interno nelle ipotesi di procedimenti aventi ad oggetto pretese formulate nei confronti dell'amministrazione finanziaria, non suscettibili di avere ripercussioni di carattere penale sulla posizione del ricorrente, e si sottolinea la natura di decreto del provvedimento emesso dalla Corte di appello all'esito del procedimento di equa riparazione che, come tale, va motivato in maniera sintetica, anche solo con il richiamo di precedenti conformi, omesso ogni riferimento allo svolgimento dei fatti non strettamente necessario ai fini della decisione. E' evidente l'intento semplificatore perseguito. Infine, si tende di incentivare la definizione transattiva della controversia. In questa prospettiva, con l'aggiunta di un comma 6 bis all'articolo 3 della legge n.89/2001, si è ritenuto di attribuire al giudice, di fronte al quale le parti si recheranno una volta fallito il tentativo di accordo transattivo, un potere di valutazione delle posizioni assunte dalle parti nel corso delle trattative. Mediante tale potere si persegue un duplice scopo:

  1. indurre le parti ad esplicitare gli interessi che realmente sottostanno alla controversia ed a confrontarsi, quindi, su quesiti e non su posizioni predeterminate ed astratte;
  2. dare piena attuazione, nella regolamentazione delle spese, al principio di causalità del giudizio, sanzionando quei comportamenti che risultino aver dato causa al procedimento, laddove analogo o medesimo risultato poteva essere conseguito attraverso l'accordo transattivo.

L'articolo 3 mira, parallelamente a quanto previsto per l'accordo transattivo precontenzioso di cui al comma 7 dell'articolo 1 del presente decreto legge, a concentrare sul solo capitolo di spesa di cui all'articolo 7 della legge n.89/2001 ogni atto di esecuzione e, di conseguenza, ogni eventuale ricorso al commissario ad acta; è un esigenza imprescindibile per le ragioni di eguaglianza sostanziale sopra meglio indicate a proposito del richiamato comma.

CAPO II
(Misure urgenti per la nomina dei giudici di pace e per il supporto dell'attività di governo della magistratura)

Le disposizioni del decreto dedicate ai giudici di pace recepiscono l'avvertita esigenza di semplificare e accelerare il procedimento concorsuale di nomina di questa categoria di magistrati onorari.

La disciplina vigente ha infatti palesato, soprattutto in occasione della nomina dei giudici di pace di cui al bando di concorso D.M. 3 dicembre 1998 (4424 posti disponibili, e procedura ancora in corso a quasi 4 anni dal suo inizio), delle disfunzioni che sarebbero destinate a reiterarsi in vista delle ormai prossime procedure di reclutamento, da indire in conseguenza della scadenza del mandato dei giudici di pace attualmente in carica (288 in scadenza il 13.1.2003, e 2137 in scadenza il 15.3.2004).

Sussistono pertanto ragioni di necessità ed urgenza di razionalizzare la procedura di accesso alle funzioni di giudice di pace, in modo da evitare che le attuali procedure di reclutamento, ritardando il conferimento dei nuovi incarichi, concorrano ad aggravare il carico di lavoro di competenza dei giudici di pace in servizio rallentandone, di conseguenza, l' attività giudiziaria.

Le modifiche proposte mirano a conseguire un impatto deflattivo sul sistema di reclutamento, limitando sia geograficamente che numericamente il numero di domande presentabili, in modo da snellire il successivo iter valutativo delle candidature da parte dei Consigli giudiziari e del Consiglio superiore della magistratura ed accelerando, pertanto, l'immissione in ruolo dei nuovi giudici di pace.
I problemi che presenta la procedura concorsuale allo stato prevista possono così riassumersi:

  • il numero delle domande da valutare è elevatissimo (70.000 per 4424 posti nel citato esempio); 
  • non è previsto alcun limite alla presentazione di domande per ciascun aspirante (un candidato ha presentato 450 domande);
  • la procedura di valutazione e nomina risulta complessa, e si registrano pure numerose rinunce da parte dei candidati proposti.

Il presente intervento normativo si pone l'obiettivo di incidere sul procedimento di ammissione al tirocinio degli aspiranti giudici di pace, con l'obiettivo di porre rimedio alle citate cause dei ritardi.

Si prevede, pertanto, di bandire i posti vacanti non più a livello nazionale, ma a livello distrettuale, così da radicare maggiormente sul territorio la partecipazione dei candidati.

Si pone quindi un limite al numero massimo di domande proponibili in distretti di corte d' appello diversi, che si ritiene congruo fissare in 3 per anno solare, e si limita a 6 il numero delle sedi che possono essere richieste in ciascuno di tali distretti, anche in considerazione della frequenza e della periodicità delle pubblicazioni di posti vacanti, una volta che il sistema sia andato a regime.

Unitamente agli interventi sopra illustrati di adeguamento della normativa concorsuale, si rende necessario ed urgente intervenire per supportare la struttura di Segreteria del Consiglio Superiore della Magistratura che, a fronte del raddoppio negli ultimi anni dei magistrati onorari (attualmente circa 9.000), non ha visto aumentare le unità di personale addette agli incombenti amministrativi connessi ad una corretta e tempestiva gestione degli adempimenti conseguenziali.

Con il presente provvedimento non si propone, peraltro, un aumento dell'organico del personale di segreteria. Assicurando risposta ad una sentita esigenza, acuita dalla recente riduzione del numero dei Consiglieri, si prevede infatti l' incremento da 10 a 26 delle unità assumibili con contratto a tempo determinato, avente scadenza entro la fine della consiliatura in cui è stato stipulato e non convertibile in contratto a tempo indeterminato, consentendo la possibilità di utilizzare le unità di personale anche per le necessità di segreteria dei Consiglieri.

In tal modo, da un lato viene garantito un miglior servizio a questi ultimi i quali, assistiti da personale di fiducia e che li può seguire per tutta la durata della consiliatura, possono dedicarsi appieno alle loro alte funzioni, dall'altro può essere recuperato alle esigenze della Segreteria il personale che, seppure in numero ridotto ed in modo non continuativo, assiste ora i Consiglieri.

Con l'occasione, anche per accelerare la procedura di reclutamento, viene individuato nel Comitato di Presidenza l'organo competente ad autorizzare la stipula dei contratti e nel Segretario Generale quello competente all'esecuzione.

Per consentire, infine, un agile completamento della struttura della Segreteria, si prevede la proroga di sei mesi del termine, attualmente fissato in un anno, entro il quale il Consiglio può avvalersi della procedura di cui all'art. 33 del D.L.vo 3 febbraio 1993 n. 29 (ora art. 30 del D.L.vo 30 marzo 2001 n. 165), riservando il provvedimento al Comitato di Presidenza.

Come previsto dalla normativa su cui si interviene, le assunzioni avverranno nei limiti della disponibilità di bilancio del Consiglio, sicché la modifica non comporta la necessità di una norma di copertura finanziaria.

All'articolo 4, capo II del presente provvedimento si propone di inserire nell'art. 4 della legge n. 374/91 la previsione che al Presidente della corte d'appello competa la pubblicazione del bando relativo alle sedi vacanti nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e sul sito internet del Ministero della Giustizia, e che gli interessati non possono presentare più di tre domande di ammissione al tirocinio per anno solare in distretti diversi, disponendosi che non possano essere indicate più di sei sedi per ciascun distretto.

L'articolo 5 contiene le modifiche necessarie per il miglior funzionamento della struttura di Segreteria del C.S.M.
Dall'attuazione del presente decreto non scaturiscono nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

CAPO III
(Interventi urgenti per il potenziamento delle strutture dell'Amministrazione penitenziaria)

Le modifiche concernenti la fase di esecuzione della pena, ed in particolare il potenziamento delle strutture dell'Amministrazione penitenziaria, appaiono improrogabili alla luce delle gravi e preoccupanti condizioni in cui versano i detenuti nelle strutture carcerarie.
Il ricorso alla decretazione di urgenza nella presente materia deve ritenersi opportuna in considerazione della straordinaria necessità ed urgenza di potenziare le strutture dell'Amministrazione penitenziaria, tenuto conto dell'inefficienza e vetustà degli istituti penitenziari esistenti e del sovraffollamento delle carceri. Come è noto, anche per la diffusione datane dagli organi di stampa, il patrimonio edilizio destinato all'esecuzione della pena, di cui dispone attualmente il Ministero della Giustizia, è costituito da 205 istituti penitenziari, con una capacità complessiva di 41.730 posti, suddivisi in:

Case circondariali n. 110
Case circondariali reclusione femminili n. 6
Case circondariali con sezioni di Case di reclusione n. 51
Case di reclusione con sezioni di Case circondariali n. 2
Case di reclusione n. 20
Ospedali psichiatrici giudiziari n. 6
Case circondariali per tossicodipendenti n. 2
Case di lavoro n. 2
Sezioni Case circondariali n. 6
Semilibertà n. 1

La dimensione quantitativa della popolazione detenuta si attesta, allo stato, intorno ad una media di 56.000 unità, di gran lunga superiore alla complessiva potenzialità ricettiva degli istituti penitenziari, che, seppur compendiata nella soglia regolamentare innanzi indicata (41.730 posti), non dovrebbe, in ogni caso, travalicare il limite di tollerabilità di 59.438 posti. Tale limite di tollerabilità, ripartito per regioni in base alla distribuzione territoriale degli istituti di pena, è stato ampiamente superato in quattro realtà locali quali la Campania, la Toscana, il Veneto ed il Molise e quasi ragguagliato in Lombardia, Piemonte e Lazio.

Il sovraffollamento delle carceri, da un lato, rappresenta una condizione di difficile, e talvolta insopportabile, convivenza (il numero dei suicidi, relativamente all'anno in corso, è pari a circa 40 detenuti) e, dall'altro, contribuisce ad accrescere lo stato di degrado delle strutture carcerarie, specie ove si tratti di edifici di epoca remota.

Nell'ultimo decennio parte degli istituti penitenziari è stata rinnovata a seguito del varo del programma di edilizia penitenziaria previsto dalla legge 12 dicembre 1971, n.1133, realizzando 81 nuovi istituti, avviando la ristrutturazione integrale di altri (Genova Casa circondariale, Alessandria Casa reclusione, Roma Regina Coeli Casa circondariale, Massa Casa di reclusione, Venezia Casa circondariale, La Spezia Casa circondariale, Trieste Casa circondariale).

La gestione dell'attività, denominata "Nuova edilizia", nel cui ambito viene data attuazione al programma di potenziamento e risanamento del patrimonio edilizio penitenziario, è attribuita al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti che ne cura le fasi della realizzazione: progettazione - appalto - esecuzione - collaudo dei lavori.
L'attività è finanziata con fondi erogati da leggi specifiche sui capitoli di bilancio del menzionato Ministero, gestiti direttamente da tale Dicastero, sulla base di un programma deliberato, congiuntamente con il Ministero della Giustizia.

Lo stato di attuazione del programma è condizionato dalle risorse finanziarie.
L'utilizzo dei fondi, per lo più insufficienti, non è stato sempre agevole, a causa di continue rimodulazioni disposte dalle leggi finanziarie, con significative ricadute in termini di slittamento di parte delle quote annuali già assentite o, talvolta, di blocco degli impegni.
Le procedure tradizionali, affidate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rendono oltremodo lunghi i tempi di realizzazione delle opere, rallentando l'attuazione dei programmi.
Incoraggianti prospettive derivano dal recepimento, nelle fonti normative primarie, dell'opportunità di avvalersi delle nuove forme di finanziamento (locazione finanziaria, leasing, project financing), dando spazio all'autonomia negoziale privata per la realizzazione di nuove strutture.

La legge finanziaria 2001 (legge 23 dicembre 2000, n.388), all'articolo 145, comma 34, lettera c, autorizza il Ministro della giustizia a valersi, per la sostituzione dei vecchi istituti penitenziari, dei menzionati istituti della locazione finanziaria, della permuta e della finanza di progetto.

Pur trattandosi di procedure da poco introdotte nella Pubblica amministrazione, tali forme di finanziamento senz'altro postulano una maggiore dinamicità dell'azione privata, non soggetta ai molteplici vincoli della normativa vigente in materia di lavori pubblici e in grado, in virtù di procedimenti semplificati e celeri, di assicurare in tempi brevi, 3-4 anni, la progettazione e costruzione di un istituto penitenziario di 300-500 posti.

La legge di bilancio 2001 non ha stanziato, al riguardo, appositi fondi nello stato di previsione della Giustizia e, pertanto, non è stato sin qui possibile avviare alcun intervento tra quelli individuati con il decreto ministeriale 30 gennaio 2001.

Con il presente intervento normativo, in forza dell'articolo 6, capo III, si darebbe inizio, in tempi contenuti, alle procedure per la realizzazione di due nuovi istituti penitenziari, da costruire in sostituzione di quelli dismessi, utilizzando allo scopo i fondi di cui all'art. 78, Tab. B della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (legge finanziaria 2002).
Sulla scorta della stima dei costi della relazione tecnica (che segue in calce) e degli importi disponibili in tabella B nel triennio 2002/2004, sarebbe immediatamente possibile sia l'avvio delle procedure per l'affidamento, secondo le procedure consuete, della costruzione di due nuovi padiglioni detentivi presso l'istituto penitenziario di Milano Bollate, sia l'acquisizione di due nuove strutture, utilizzando lo snello strumento negoziale della locazione finanziaria. Il costo complessivo ammonterebbe a euro 93.328.000, considerati gli importi necessari per la realizzazione di due padiglioni, pari a euro 17.584.000, ed i cinque canoni annuali di locazione, pari a euro 15.148.800 annui.

Per l'impiego di tali fondi è stato predisposto l'allegato schema di decreto legge con la precisa indicazione delle modalità della spesa. In particolare, in tale articolato, è stata prevista l'autorizzazione ad assumere impegni pluriennali corrispondenti ai canoni derivanti dai contratti di locazione finanziaria.
Il competente dipartimento del Ministero curerà, con particolare attenzione, le varie fasi delle procedure contrattuali prescelte per contenere al minimo possibile i tempi tecnici necessari per la realizzazione e l'acquisizione della disponibilità delle opere.

CAPO IV (Modifiche all'articolo 67 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante ordinamento giudiziario)

L'articolo 67 del regio decreto 30 gennaio 1941, n.12 (Disposizioni generali di ordinamento giudiziario) è dedicato alla costituzione dei collegi giudicanti, a sezioni semplici ed a sezioni unite, della Corte suprema di Cassazione. La disposizione reca la disciplina per la composizione qualitativa e quantitativa dei collegi, disponendo che le sezioni semplici giudicano col numero invariabile di cinque votanti e le sezioni unite con quello di nove votanti e che la scelta dei magistrati che compongono le sezioni unite (civili o penali) deve essere effettuata rispettando il criterio di appartenenza al settore civile ovvero a quello penale.
A differenza della normativa dedicata alle sezioni unite, relativamente alle quali si dispone che la presidenza del collegio è tenuta dal primo presidente della Corte di Cassazione, dal presidente aggiunto della Corte ovvero dai presidenti delle sezioni civili (articolo 66 del regio decreto n.12 del 1941), nessuna regola è dettata, sul punto, per il funzionamento delle sezioni semplici.

Ragioni di tendenziale omogeneità del sistema e di razionale gestione del carico di lavoro delle singole sezioni della Suprema Corte rendono opportuno l'inserimento, nell'ambito dell'ordinamento giudiziario, di un criterio di designazione del presidente dei collegi delle sezioni semplici. L'intervento normativo riveste i caratteri della indifferibilità e dell'urgenza visto il considerevole carico di lavoro della Suprema Corte che impone, senza ulteriori rinvii, l'adozione di criteri di distribuzione delle funzioni che consentano uno snellimento ed una accelerazione dei tempi di giudizio.

L'articolo 7, del capo IV, introduce un criterio di individuazione del presidente dei collegi delle sezioni semplici basato su profili oggettivi di professionalità dei magistrati, dovendo attribuirsi la funzione ai presidenti delle sezioni ovvero i magistrati con maggiore anzianità nell'esercizio delle funzioni di legittimità presso la sezione.

CAPO V (Modifiche al decreto legge 6 maggio 2002, n.83 convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2002, n.133 recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza personale ed ulteriori misure per assicurare la funzionalità degli uffici dell'Amministrazione dell'interno)

Il decreto legge 6 maggio 2002, numero 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2002, numero 133, nell'intento di dare una rapida ed efficace risposta alle esigenze insorte in seguito al riemergere di gravi ed efferati fatti di terrorismo interno nel settore delle misure di protezione delle persone ritenute a rischio, ha dettato una riforma organica dei relativi servizi.

Il decreto legge numero 83 del 2002 citato, ha previsto in particolare l'istituzione, nell'ambito del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno, di un Ufficio centrale interforze per la sicurezza (UCIS), organo competente, in via esclusiva ed in forma coordinata, alla direzione unitaria ed al raccordo della azione di prevenzione e tutela delle persone ritenute a rischio, che si avvale, a fini consultivi, di una Commissione centrale consultiva presieduta dal proprio Direttore e composta da rappresentanti delle Forze di polizia e degli organismi di sicurezza particolarmente qualificati nel settore. Il decreto legge numero 83 del 2002 ha inoltre previsto la creazione, presso gli Uffici territoriali del Governo, quali referenti territoriali dell'UCIS, di appositi Uffici provinciali per la sicurezza personale.

Nel testo del decreto legge numero 83 del 2002 risultante in seguito alle modifiche apportate in sede di conversione, tra gli uffici, reparti ed unità specializzate cui è affidato il compito della esecuzione dei servizi di protezione e vigilanza delle persone ritenute a rischio, non figurano peraltro quelli del Corpo di polizia penitenziaria; Corpo che pur costituisce, ai sensi dell'articolo 16, comma 3, della legge 1° marzo 1981, numero 121, recante il "Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza" ed ai sensi degli articoli 1, comma 3 e 5, comma 3, della legge 15 dicembre 1990, numero 395, recante l'"Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria", una forza di polizia, la quarta per importanza operante nel nostro Paese, che può essere chiamata a concorrere nell'espletamento di servizi di ordine e sicurezza pubblica e che, in particolare, ha sinora efficacemente ed utilmente svolto, sulla scorta delle previsioni normative sopra citate e grazie alla specifica preparazione ed addestramento ricevuti, rilevanti compiti di protezione di soggetti ritenuti a rischio, con particolare riferimento a soggetti appartenenti all'Amministrazione della giustizia.

La piena idoneità del personale del Corpo di polizia penitenziaria ai fini dell'esecuzione di servizi di protezione e vigilanza di persone ritenute a rischio, è stata sino ad ora assicurata dalla frequenza di corsi finalizzati a conferire specifica preparazione ed addestramento nel settore; la frequenza di tali corsi, di cui si intende peraltro prevedere l'intensificazione, ha assicurato ed assicurerà il possesso, in capo agli appartenenti al Corpo, di un bagaglio professionale specifico più che idoneo.
Il presente intervento normativo intende dunque in primo luogo prevedere, estendendo in tale senso il dettato dell'articolo 2, comma 6, del decreto legge numero 83 del 2002, che i servizi di protezione dei soggetti ritenuti a rischio, possano essere svolti, oltre che "dagli uffici, dai reparti ed unità specializzate della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri e, qualora necessario, del Corpo della Guardia di Finanza", come prevede il testo attuale della disposizione citata, anche, qualora necessario e limitatamente ai servizi di protezione e vigilanza delle persone ritenute a rischio appartenenti all'Amministrazione della giustizia, dalle corrispondenti articolazioni del Corpo di polizia penitenziaria.

La necessità ed urgenza dell'intervento appaiono evidenti ove si considerino l'attuale scenario dell'ordine e della sicurezza pubblica determinatosi in seguito ai recenti, gravi ed efferati fatti di terrorismo interno, scenario che richiede, in linea generale, un pronto ed efficace rafforzamento del sistema delle misure di protezione delle persone ritenute a rischio secondo le linee di fondo già tracciate dal decreto legge numero 83 del 2002 di cui il presente intervento costituisce una integrazione e, in particolare, le gravi ed immediate conseguenze che la cessazione dell'impiego del personale del Corpo di polizia penitenziaria nella esecuzione dei servizi di protezione e vigilanza dallo stesso sino ad ora svolti in misura assai rilevante nei confronti dei soggetti ritenuti a rischio appartenenti all'Amministrazione della giustizia, potrebbe determinare sulla sicurezza dei medesimi.

L'esecuzione, qualora necessario (e limitatamente alla tutela della sicurezza dei soggetti sopra indicati), da parte del personale del Corpo di polizia penitenziaria, di servizi di protezione e di vigilanza, comporta poi, per evidenti conseguenti ragioni, la necessità di prevedere, in modo espresso, la possibilità di assegnare all'UCIS personale appartenente al suddetto Corpo.

In ordine agli oneri di spesa a carico dello Stato, i capi I, II, IV, V non richiedono ulteriori risorse finanziarie, mentre il capo III comporta un costo totale pari a euro 93.328.000, come stimato nella relazione tecnica che si allega.

In ottemperanza al disposto dell'art. 77 della Costituzione, il decreto legge di cui sopra viene ora presentato alle Camere per la conversione in legge.