XVIII LEG - Schema di D.Lgs. - Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri

aggiornamento: 16 giugno 2022

Esame definitivo - Consiglio dei ministri 29 gennaio 2021

Esame preliminare - Consiglio dei ministri 30 ottobre 2020

Schema di decreto legislativo recante: "Disposizioni per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra stati membri, in attuazione della delega di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117"

Relazione illustrativa

Indice

Art. 1 - Modifiche all’articolo 1 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 2 - Modifiche all’articolo 2 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 3 - Modifiche all’articolo 6 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 4 - Modifiche all’articolo 7 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 5 - Modifiche all’articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 6 - Modifiche all’articolo 9 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 7 - Modifiche all’articolo 10 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 8 - Modifiche all’articolo 11 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 9 - Modifiche all’articolo 13 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 10 - Modifiche all’articolo 14 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 11 - Modifiche all’articolo 15 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 12 - Modifiche all’articolo 16 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 13 - Modifiche all’articolo 17 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 14 - Modifiche all’articolo 18 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 15 - Modifiche all’articolo 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 16 - Introduzione Modifiche all’articolo 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 17 - Modifiche all’articolo 19 della legge 22 aprile 2005, n. 69 (già Art. 15, comma 2)
Art. 18 - Modifiche all’articolo 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 19 - Termini per la decisione e provvedimenti in ordine alle misure cautelari
Art. 20 - Modifiche all’articolo 23 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 21 - Modifiche all’articolo 26 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 22 - Modifiche all’articolo 27 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 23 - Modlità di trasmissione degli atti tra uffici giudiziari (già Art. 21)
Art. 24 - Modifiche all’articolo 30 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 25 - Divieto di consegna o di estradizione successiva
Art. 26 - Modifiche all’articolo 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69
Art. 27 - Abrogazioni
Art. 28 - Norma transitoria
Art. 29 - Clausola di invarianza finanziaria



IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;

Visto l’articolo 14 della legge 23 agosto 1988, n. 400;

Vista la legge 4 ottobre 2019, n. 117, recante delega al Governo per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione europea - Legge di delegazione europea 2018, e, in particolare, l’articolo 6, che delega il Governo all’emanazione di uno o più decreti legislativi per il compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri;

Vista la legge 24 dicembre 2012, n. 234, recante norme generali sulla partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea;

Vista la decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri;

Vista la deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 30 ottobre 2020;

Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica;

Vista la deliberazione del Consiglio dei ministri, adottata nella riunione del 29 gennaio 2021;

Su proposta del Ministro per gli affari europei e del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministro dell’economia e delle finanze;
 

E M A N A
il seguente decreto legislativo


Art. 1
(Modifiche all’articolo 1 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 1 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 le parole: «nei limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i princìpi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo» sono soppresse;
b) il comma 3 è sostituito dal seguente: «3. L'Italia dà esecuzione al mandato d’arresto europeo in base al principio del mutuo riconoscimento, conformemente alle disposizioni della decisione quadro e della presente legge, sempre che il mandato di arresto europeo provenga da un’autorità giudiziaria e che, quando sia emesso al fine dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la sentenza da eseguire sia esecutiva.»;
c) dopo il comma 3 sono inseriti i seguenti:
«3-bis. Il mandato di arresto è eseguito dalle autorità competenti con la massima urgenza.
     3-ter. L’Italia non dà esecuzione ai mandati di arresto europei emessi da uno Stato membro nei cui confronti il Consiglio dell'Unione europea abbia sospeso l’attuazione del meccanismo del mandato di arresto europeo per grave e persistente violazione dei princìpi sanciti all'articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull'Unione europea ai sensi del punto (10) dei consideranda del preambolo della decisione quadro.».;
    d) dopo il comma 4-ter sono inseriti i seguenti:
«4-quater. L’Italia continua ad applicare gli accordi o intese, bilaterali o multilaterali, vigenti al momento dell'adozione della decisione quadro, quando essi contribuiscono ad una migliore e più efficace realizzazione delle finalità della decisione quadro e semplificano o agevolano ulteriormente la consegna delle persone ricercate.
4-quinquies. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, su proposta del Ministro della giustizia, il Governo notifica al Consiglio e alla Commissione l’elenco degli specifici accordi e intese, indicati al comma 4-quater, che l’Italia intende continuare ad applicare.».
 

Art. 2
(Modifiche all’articolo 2 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. L’articolo 2 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è sostituito dal seguente:

«ART. 2. - (Rispetto dei diritti fondamentali e garanzie costituzionali). - 1. L’esecuzione del mandato di arresto europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa.».


Art. 3
(Modifiche all’articolo 6 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1.  All’articolo 6 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) dopo il comma 1, è inserito il seguente: «1-bis. Quando è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale applicate all’esito di un processo in cui l’interessato non è comparso personalmente, il mandato di arresto europeo deve altresì contenere l’indicazione di almeno una delle seguenti condizioni:


    a) l’interessato è stato tempestivamente citato a mani proprie o con altre modalità comunque idonee a garantire se l’interessato è stato citato tempestivamente e personalmente, essendo informato inequivocabilmente che lo stesso era a conoscenza della data e del luogo del processo che ha portato alla decisione pronunciata in sua assenza in absentia e del fatto che tale decisione avrebbe potuto esser presa anche in sua assenza in absentia;
    b) se l’interessato, informato del processo a suo carico, è stato rappresentato nel processo conclusosi con la menzionata decisione da un difensore, nominato dallo stesso interessato o d’ufficio; 
    c) se l’interessato, ricevuta la notifica della decisione di cui si chiede l’esecuzione e informato del diritto di ottenere un nuovo processo o della facoltà di dare inizio al giudizio di appello, al quale ha abbia il diritto di partecipare e che consente consenta il riesame del merito della decisione, nonché, anche a mezzo dell’allegazione di nuove prove, la possibilità di una sua riforma della causa e l’allegazione di nuove prove che possono condurre alla riforma della decisione oggetto di esecuzione, ha dichiarato espressamente di non opporsi a tale decisione o non ha chiesto la rinnovazione del processo o proposto appello nei termini stabiliti;
    d) se l’interessato non ha ricevuto personalmente la notifica della decisione, ma la riceverà personalmente e senza indugio dopo la consegna nello Stato membro di emissione e, quindi, sarà espressamente informato sia del diritto di ottenere un nuovo processo o di proporre impugnazione per un giudizio di appello, al quale abbia diritto di partecipare e che consenta il riesame nel merito, nonché, anche a mezzo dell’allegazione di nuove prove, la possibilità di una riforma di detta decisione, sia dei termini entro i quali egli potrà richiedere un nuovo processo o proporre impugnazione per un giudizio di appello dei termini entro i quali potrà esercitare il diritto a un nuovo processo o la facoltà di dare inizio al giudizio di appello, in cui ha il diritto di partecipare e che consente il riesame del merito della causa e l’allegazione di nuove prove che possono condurre alla riforma della decisione oggetto di esecuzione»;

b) al comma 2, dopo le parole: «comma 1,» sono inserite le seguenti: «o l’indicazione della esistenza di almeno una delle condizioni quelle di cui al comma 1-bis,» e dopo la parola: «18» sono inserite le seguenti: «, 18-bis, 18-ter»;
c) i commi 3, 4, 5 e 6 sono abrogati.


Art. 4
(Modifiche all’articolo 7 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 7 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1 la parola: «darà» è sostituita dalla seguente: «dà» e, dopo le parole: «legge nazionale», sono aggiunte le seguenti: «, indipendentemente dalla qualificazione giuridica e dai singoli elementi costitutivi del reato»;
b) il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Ai fini di cui al comma 1, per i reati in materia di tasse e imposte, di dogana e di cambio, non è necessario che la legge italiana imponga lo stesso tipo di tasse o di imposte o contenga lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse, di imposte, di dogana e di cambio della legge dello Stato membro di emissione.»;
c) al comma 3:
1) le parole: «il fatto dovrà essere» sono sostituite dalle seguenti: «Il mandato di arresto europeo non è comunque eseguito se il fatto è» e la parola «non» è soppressa;
2) il secondo periodo è soppresso.


Art. 5
(Modifiche all’articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 8 della legge 22 aprile 2005, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 1 è sostituito dal seguente:
«1. In deroga all’articolo 7, comma 1, il mandato di arresto europeo è eseguito indipendentemente dalla doppia punibilità per i reati che, secondo la legge dello Stato membro di emissione, rientrano nelle categorie di cui all’articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro e sono puniti con una pena o una misura di sicurezza della libertà personale pari o superiore a tre anni.»;
b) i commi 2 e 3 sono abrogati.


Art. 6
(Modifiche all’articolo 9 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 9 della legge 22 aprile 2005, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, terzo periodo, le parole: «e la relativa documentazione di cui all’articolo 6 sono stati trasmessi» sono sostituite dalle seguenti: «è stato trasmesso»;
b) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dei capi I, II, IV e VIII del titolo I del libro IV del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per gli articoli 273, 274, comma 1, lettere a) e c), 280, 275, comma 2-bis, 278, 279, 297, nonché le disposizioni degli articoli 299 e 300, comma 4, del codice di procedura penale e dell’art. 19, commi 1, 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988 n. 448.».


Art. 7
(Modifiche all’articolo 10 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 10 della legge 22 aprile 2005, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, dopo le parole «è stata disposta.» è aggiunto il seguente periodo: «La persona richiesta in consegna è altresì informata che il consenso e la rinuncia, una volta resi, non sono revocabili.»;
b) il comma 4 è sostituito dal seguente:
«4. Il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, al termine delle attività previste al comma 1, dispone il deposito del mandato di arresto europeo e contestualmente fissa l’udienza in camera di consiglio per la decisione entro il termine di quindici giorni dall’esecuzione della misura, con decreto del quale dà immediata lettura alla persona richiesta, in una lingua alla stessa conosciuta, e al suo difensore. Il decreto è comunicato al procuratore generale immediatamente e, comunque, non oltre il giorno successivo. Si applicano le disposizioni dell’articolo 702 del codice di procedura penale.»
c) dopo il comma 4 è aggiunto il seguente:
«4-bis. Nei casi in cui la corte di appello non applica alla persona richiesta alcuna misura cautelare, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, all’esito della deliberazione adottata ai sensi dell’articolo 9, comma 4, fissa con decreto l’udienza per la decisione non oltre i quindici giorni successivi e dispone contestualmente il deposito del mandato di arresto. Il decreto è comunicato al procuratore generale e notificato alla persona richiesta in consegna e al suo difensore almeno cinque giorni prima dell’udienza. Si applicano le disposizioni dell’articolo 702 del codice di procedura penale.».


Art. 8
(Modifiche all’articolo 11 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 11, comma 2, della legge 22 aprile 2005, n. 69, le parole: «e della documentazione di cui ai commi 3 e 4 dell’articolo 6» sono soppresse.


Art. 9
(Modifiche all’articolo 13 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 13 della legge 22 aprile 2005, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, primo periodo, dopo le parole: «di fiducia» sono aggiunte le seguenti: «e a fornirle tutte le informazioni in merito alle facoltà indicate nell’articolo 10, comma 1»;
b) al comma 2, primo periodo, dopo le parole «in libertà» sono aggiunte le seguenti: «e procede agli adempimenti previsti dall’articolo 10, comma 4-bis» e, al secondo periodo, dopo la parola «10» sono inserite le seguenti: «e all’emissione del decreto di cui all’articolo 10, comma 4, di cui si dà lettura»;
c) al comma 3, il primo periodo è soppresso e al secondo periodo, dopo le parole «La segnalazione» sono aggiunte le seguenti: «della persona nel SIS effettuata dall’autorità competente».


Art. 10
(Modifiche all’articolo 14 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 14 della legge 22 aprile 2005, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:

    a) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti:
    «1. Quando sente la persona della quale è stata richiesta la consegna ai sensi degli articoli 10, comma 1, e 13, comma 1, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, se la persona esprime consenso alla consegna o rinuncia al beneficio di cui all’articolo 10, comma 1, raccoglie tali dichiarazioni alla presenza del difensore e, se necessario, dell’interprete. Del consenso e della rinuncia prestata è dato atto in apposito verbale, in cui sono riportate le circostanze e le modalità con le quali la persona richiesta in consegna ha dichiarato di avvalersi di tali facoltà. Quando la persona ha prestato consenso alla consegna, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, fissa nei quattro giorni successivi l’udienza in camera di consiglio per la decisione, con decreto del quale dà immediata lettura alla persona della quale è richiesta la consegna, in una lingua alla stessa conosciuta, e al suo difensore. Il decreto è comunicato al procuratore generale immediatamente e, comunque, entro le successive ventiquattro ore.
     
  2. Il consenso e la rinuncia possono essere espressi anche nel corso dell’udienza davanti alla corte d’appello fissata ai sensi dell’articolo 10, commi 4 e 4-bis, fino alla conclusione della discussione. In tale caso la corte raccoglie il consenso e la rinuncia, con le modalità descritte al comma 1, dopo avere fornito alla persona della quale è richiesta la consegna tutte le informazioni in merito alle facoltà indicate nell’articolo 10, comma 1, salvo che la persona le abbia già ricevute.»;

b) al comma 3, il secondo periodo è soppresso;
c) al comma 4, le parole «emessa senza ritardo e, comunque, non oltre dieci giorni,» sono soppresse e, dopo il primo periodo, è aggiunto il seguente: «Quando, per la necessità di acquisire le informazioni di cui all’articolo 16 o per altre circostanze oggettive, non è possibile adottare la decisione nel termine di cui al comma 1, il predetto termine può essere prorogato, con decreto del presidente della corte di appello, sino a tre giorni.»;
d) il comma 5 è sostituito dal seguente:
«5. La corte di appello, all’esito dell’udienza prevista ai commi 1, terzo periodo, e 4, secondo periodo, o di quella prevista all’articolo 10, commi 4 e 4-bis, dà immediata lettura dell’ordinanza. La lettura equivale a notificazione alle parti, anche se non presenti, che hanno diritto ad avere copia del provvedimento. L’ordinanza, decorso il termine per la proposizione del ricorso previsto dall’articolo 22, comma 5-bis, è immediatamente comunicata al Ministro della giustizia, che provvede a informare le competenti autorità dello Stato membro di emissione e altresì, quando non è stato presentato ricorso e l’ordinanza dispone la consegna, il Servizio per la cooperazione internazionale di Polizia. Quando è stato proposto ricorso, il Ministro della giustizia informa le competenti autorità dello Stato membro che l’avvenuta proposizione dell’impugnazione è il motivo che ha impedito l’adozione della decisione definitiva sull’esecuzione del mandato di arresto nel termine di dieci giorni successivi all’espressione del consenso.».



Art. 11
(Modifiche all’articolo 15 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 15 della legge 22 aprile 2005, n. 69, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al primo comma, primo periodo, le parole: «la documentazione e» sono soppresse e le parole: «può richiedere» sono sostituite dalle seguenti: «richiede con urgenza», al secondo periodo, le parole «non superiore ai trenta giorni» sono sostituite dalle seguenti: «tenendo conto della necessità di rispettare i termini stabiliti dall’articolo 14, comma 4, o dall’articolo 17, comma 2-bis, per l’adozione della propria decisione» e il terzo periodo è soppresso;
b) al secondo comma, le parole «al fine della decisione.» sono sostituite dalle seguenti «, rispettando i termini stabiliti dall’articolo 14, comma 4, o dall’articolo 17, comma 2-bis, per l’adozione della decisione.»


Art. 12
(Modifiche all’articolo 17 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 17 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 2, le parole: «entro il termine di sessanta giorni dall’esecuzione della misura cautelare di cui agli articoli 9 e 13» sono sostituite dalle seguenti: «nel più breve tempo possibile e, comunque, entro quindici giorni dall’esecuzione della misura cautelare di cui all’articolo 9 o, nel caso previsto dall’articolo 11, dall’arresto della persona ricercata» e il secondo e il terzo periodo sono soppressi;
b) dopo il comma 2 è inserito il seguente:
«2-bis. Quando, per la necessità di acquisire le informazioni di cui all’articolo 16 o per altre circostanze oggettive, non è possibile rispettare il termine indicato al comma 2, esso può essere prorogato con decreto del presidente della corte di appello sino a dieci giorni.»;
c) al comma 4, le parole: «se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se esiste una sentenza irrevocabile di condanna» sono soppresse;
d) il comma 7 è sostituito dal seguente:
«7. La sentenza, decorso il termine per la proposizione del ricorso previsto dall’articolo 22, comma 1, è immediatamente comunicata al Ministro della giustizia, che provvede ad informare le competenti autorità dello Stato membro di emissione e altresì, quando non è stato presentato ricorso e la decisione è di accoglimento, il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia».


Art. 13
(Modifiche all’articolo 18 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. L’articolo 18 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è sostituito dal seguente:

«ART. 18. - (Motivi di rifiuto obbligatorio della consegna). - 1. Fermo quanto previsto dagli articoli 1, commi 3 e 3-ter, 2 e 7, la corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi:
a) se il reato contestato nel mandato d’arresto europeo è estinto per amnistia ai sensi della legge italiana, quando vi è la giurisdizione dello Stato italiano sul fatto;
b) se risulta che nei confronti della persona ricercata, per gli stessi fatti, sono stati emessi, in Italia, sentenza o decreto penale irrevocabili o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o, in altro Stato membro dell’Unione europea, sentenza definitiva, purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna;
c) se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato.».


Art. 14
(Modifiche all’articolo 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. L’articolo 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 è sostituito dal seguente:

    «ART. 18-bis. - (Motivi di rifiuto facoltativo della consegna). - 1. Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale, la corte di appello può rifiutare la consegna nei seguenti casi:
    a) se il mandato di arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio, ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio;
    b) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo, nei confronti della persona ricercata è in corso un procedimento penale.
     
  2. Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna della persona ricercata che sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.».


Art. 15
(Introduzione dell’articolo 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. L’articolo 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69 è sostituito dal seguente:
    «ART. 18-bis. - (Motivi di rifiuto facoltativo della consegna). - 1. Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale, la corte di appello può rifiutare la consegna nei seguenti casi:
    a) se il mandato di arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio, ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio;
    b) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d’arresto europeo, nei confronti della persona ricercata è in corso un procedimento penale.
    2. Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, la corte di appello può rifiutare la consegna della persona ricercata che sia cittadino italiano o cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, sempre che disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno.». 


Art. 16
(Modifiche all’articolo 18-ter della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. 1.    Dopo l’articolo 18-bis della legge 22 aprile 2005, n. 69, è inserito il seguente: 
    «ART. 18-ter. – (Decisioni pronunciate in assenza). – 1. Quando il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza applicata all’esito di un processo in cui l’interessato non è comparso personalmente, la corte di appello può altresì rifiutare la consegna se il mandato di arresto europeo non contiene l’indicazione di alcuna delle condizioni di cui all’articolo 6, comma 1-bis, e lo Stato di emissione non ha fornito indicazioni su tali condizioni neppure a seguito della richiesta inoltrata ai sensi dell’articolo 16.
    2. Nei casi di cui al comma 1, la corte di appello può, comunque, dar luogo alla consegna se risulta provato con certezza che l’interessato era a conoscenza del processo o che si è volontariamente sottratto alla conoscenza del processo.
    3. Quando ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 1-bis, lettera d), la persona della quale è domandata la consegna, che non sia stata precedentemente informata del procedimento penale svoltosi nei suoi confronti, può chiedere la trasmissione di copia della sentenza su cui il mandato di arresto europeo si fonda. La richiesta non costituisce, in alcun caso, causa di differimento della procedura di consegna o della decisione di eseguire il mandato di arresto europeo. La corte di appello provvede all’immediato inoltro della richiesta all’autorità emittente.». 


Art. 17 (già Art. 15, comma 2)
(Modifiche all’articolo 19 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. L’articolo 19 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è sostituito dal seguente:
    «ART. 19. – (Garanzie richieste allo Stato membro di emissione in casi particolari). – 1. L’esecuzione del mandato d’arresto europeo da parte dell’autorità giudiziaria italiana, nei casi sotto elencati, è subordinata alle seguenti condizioni: 
    a) se il reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà personale a vita, l’esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che lo Stato membro di emissione preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena inflitta, su richiesta o trascorsi al massimo venti anni, oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura di sicurezza non siano eseguite; 
    b) se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini di un’azione penale nei confronti di cittadino italiano o di cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente nel territorio italiano da almeno cinque anni, l’esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata sottoposta al processo, sia rinviata nello Stato italiano per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente applicate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.».


Art. 18
(Modifiche all’articolo 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni: 
    a) i commi 1 e 2 sono sostituiti dai seguenti: 
    «1. Contro la sentenza di cui all’articolo 17, la persona interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso per cassazione, entro cinque giorni dalla conoscenza legale della sentenza, solo per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale.
    2. Il ricorso è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento. La presentazione del ricorso sospende l’esecuzione della sentenza di cui all’articolo 17, comma 1.»;
        b) al comma 3 la parola: «quindici» è sostituita dalla seguente: «dieci» e la parola: «cinque» è sostituita dalla seguente: «tre»;
        c) al comma 4, secondo periodo, la parola «quinto» è sostituita dalla seguente: «secondo»;
        d) al comma 5 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «, che, fuori dei casi di cui al comma 6, provvede ad informare le competenti autorità dello Stato membro di emissione ed altresì, quando la decisione è di accoglimento, il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia.»;
        e) dopo il comma 5, è inserito il seguente:
    «5-bis. Contro l’ordinanza di cui all’articolo 14, comma 5, la persona interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso per cassazione, entro tre giorni dalla conoscenza legale dell’ordinanza, solo per i motivi, contestualmente enunciati, di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 del codice di procedura penale. Il ricorso è presentato nella cancelleria della corte di appello che ha emesso il provvedimento, la quale lo trasmette alla corte di cassazione, con precedenza assoluta su ogni altro affare e comunque entro il giorno successivo, unitamente al provvedimento impugnato e agli atti del procedimento. La presentazione del ricorso sospende l’esecuzione della ordinanza di cui all’articolo 14, comma 4. La Corte, nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti, giudica in camera di consiglio sui motivi di ricorso e sulle richieste del procuratore generale senza intervento dei difensori e deposita la decisione con la contestuale motivazione a conclusione dell’udienza, provvedendo altresì, fuori dei casi di cui al comma 6, agli adempimenti indicati al comma 5.»;
        f) il comma 6 è sostituito dal seguente: 
    «6. Quando la corte di cassazione annulla con rinvio, gli atti sono trasmessi immediatamente, con precedenza assoluta su ogni altro affare e, comunque entro il giorno successivo al deposito della decisione completa di motivazione, al giudice di rinvio. Nei casi di cui al comma 1, il giudice di rinvio decide entro dieci giorni dalla ricezione degli atti, avvisando le parti con decreto notificato o comunicato almeno quattro giorni prima dell’udienza. Nei casi di cui al comma 5-bis, i termini di cui al secondo periodo sono ridotti della metà.».


Art. 19
(Termini per la decisione e provvedimenti in ordine alle misure cautelari)

  1. Dopo l’articolo 22 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è inserito il seguente: 
    «ART. 22-bis. - (Comunicazioni allo Stato membro emittente. Termini per la decisione e provvedimenti in ordine alle misure cautelari). - 1. Se la decisione definitiva sulla richiesta di consegna, in assenza di consenso, non interviene nei sessanta giorni successivi all’esecuzione della misura cautelare o all’arresto della persona ricercata o alla deliberazione di non applicare alcuna misura, la corte davanti alla quale pende il procedimento informa immediatamente del ritardo e delle ragioni che vi hanno dato causa il Ministro della giustizia, affinché ne sia data comunicazione all’autorità giudiziaria richiedente. Agli stessi fini, in presenza di consenso alla consegna, la corte di appello informa il Ministro della giustizia dei motivi che hanno impedito l’adozione della decisione nel termine di dieci giorni dalla data in cui il consenso è stato espresso. 
    2. Se, per circostanze eccezionali, la decisione definitiva sulla richiesta di consegna non interviene nei trenta giorni successivi alla scadenza dei termini di cui al comma 1, la corte davanti alla quale pende il procedimento informa immediatamente del ritardo e delle ragioni che vi hanno dato causa il Ministro della giustizia, il quale ne dà urgente comunicazione all’Eurojust.
    3. Alla scadenza dei termini previsti dal comma 2, la corte di appello valuta se la custodia cautelare applicata alla persona della quale è richiesta la consegna è ancora assolutamente necessaria per garantire l’esigenza di cui all’articolo 9, comma 4, e se la sua durata è proporzionata rispetto all’entità della pena oggetto dell’informazione richiamata all’articolo 6, comma 1, lettera f), disponendone, in caso contrario, la revoca o la sostituzione con altre misure cautelari, applicabili anche cumulativamente, ritenute comunque idonee a garantire che la persona non si sottragga alla consegna. 
    4. Quando il ritardo nella adozione della decisione definitiva sulla richiesta di consegna si protrae ingiustificatamente oltre la scadenza dei termini previsti dal comma 2 e, comunque, quando sono decorsi novanta giorni dalla scadenza di detti termini senza che sia intervenuta la decisione definitiva sulla consegna, la corte di appello revoca la misura della custodia cautelare e, se persiste l’esigenza di garantire che la persona non si sottragga alla consegna, applica, anche cumulativamente, le misure cautelari di cui agli articoli 281, 282 e 283 del codice di procedura penale e, nei confronti della persona minorenne, la misura di cui all’articolo 20 21 del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448.».


Art. 20
(Modifiche all’articolo 23 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 23 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) al comma 1, dopo le parole «di emissione» sono inserite le seguenti «al più presto e, comunque,» e dopo la parola «ordinanza» è inserita la seguente «definitiva»;
    b) al comma 2, dopo il primo periodo è aggiunto il seguente: «Il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, sospende l’esecuzione del provvedimento anche quando riceve dall’autorità dello Stato membro di emissione, direttamente o tramite il Ministro della giustizia, la comunicazione della ricorrenza di cause di forza maggiore che impediscono la consegna entro il medesimo termine.
    c) al comma 4, il primo periodo è sostituito dal seguente: «Nei casi di cui ai commi 1 e 2, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, dà immediata comunicazione al Ministro della giustizia della cessazione delle ragioni che hanno imposto la sospensione dell’esecuzione o del ricevimento della comunicazione in ordine alla cessazione della causa di forza maggiore da parte dell’autorità dello Stato membro di emissione. Il Ministro, ricevuta tale comunicazione o quella, di cui informa il presidente della corte di appello, direttamente proveniente dall’autorità giudiziaria dello Stato di emissione circa la cessazione della causa di forza maggiore, concorda con l’autorità dello Stato membro di emissione una nuova data di consegna».


Art. 21
(Modifiche all’articolo 26 della legge 22 aprile 2005, n. 69
)

  1. All’articolo 26, comma 3, della legge 22 aprile 2005, n. 69, l’ultimo periodo è sostituito dal seguente: «La corte può rifiutare l’assenso unicamente quando ricorre uno dei casi di cui agli articoli 18, 18-bis e 18-ter».


Art. 22
(Modifiche all’articolo 27 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. All’articolo 27 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) al comma 2, lettera b), le parole «residente in Italia» sono sostituite dalle seguenti: «cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente nel territorio italiano da almeno cinque anni»;
    b) al comma 3, le parole «una persona residente in Italia» sono sostituite dalle seguenti: «un cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente nel territorio italiano da almeno cinque anni».


Art. 23 (già Art. 21)
(Modalità di trasmissione degli atti tra uffici giudiziari)

  1. Dopo l’articolo 27 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è inserito il seguente: 
    «ART. 27-bis. - (Modalità di trasmissione degli atti tra uffici giudiziari). - 1. Nei procedimenti relativi alla richiesta di esecuzione del mandato d’arresto europeo, con decreto del Ministro della giustizia è autorizzata la trasmissione con modalità telematica degli atti tra gli uffici giudiziari, secondo le disposizioni stabilite con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia, anche in deroga alle previsioni del decreto emanato ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010, n. 24. 
    2. La trasmissione degli atti si intende eseguita al momento del rilascio della ricevuta di accettazione da parte dei sistemi ministeriali, secondo le modalità stabilite dal provvedimento direttoriale di cui al comma 1. 
    3. Il decreto di cui al comma 1 è adottato previo accertamento da parte del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici. 
    4. Sino all’attivazione dei sistemi ministeriali e alla adozione del decreto del Ministro della giustizia di cui al comma 1, la trasmissione degli atti tra gli uffici giudiziari è consentita anche tramite posta elettronica certificata, secondo le modalità stabilite con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia da emanarsi entro quindici giorni dalla data di pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana».


Art. 24
(Modifiche all’articolo 30 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1. L’articolo 30 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è sostituito dal seguente:
    «ART. 30. – (Contenuto del mandato d’arresto europeo). – 1. Il mandato d’arresto europeo contiene le informazioni richieste nel modello di cui all’allegato annesso alla decisione quadro come modificato dall’articolo 2, paragrafo 3, della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009.
    2. Nel caso previsto dall’articolo 18-ter, comma 3, non appena riceve notizia della richiesta formulata dalla persona nei cui confronti il mandato di arresto europeo è stato emesso, il pubblico ministero inoltra copia della sentenza all’autorità dello Stato di esecuzione».

Art. 25
(Divieto di consegna o di estradizione successiva)

  1. Dopo l’articolo 31 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è inserito il seguente:
    «Art. 31-bis. - (Divieto di consegna o di estradizione successiva). - 1. La persona consegnata in esecuzione di un mandato di arresto europeo non può essere consegnata ad altro Stato membro in esecuzione di un mandato d’arresto europeo, né estradata verso uno Stato terzo, per un reato anteriore alla consegna medesima senza l’assenso dello Stato membro di esecuzione.
  2. Il divieto di cui al comma 1 non è applicabile alle richieste di consegna in esecuzione di un mandato d’arresto europeo, quando ricorre una delle condizioni previste dall’articolo 26, comma 2, lettere a), e) ed f)».

Art. 26
(Modifiche all’articolo 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69)

  1.  All’articolo 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69 sono apportate le seguenti modificazioni:
    a) al comma 2 le parole: «salvo per quanto previsto dal comma 3» sono soppresse;
    b) il comma 3 è abrogato.

Art. 27
(Abrogazioni)

  1. L’articolo 21 della legge 22 aprile 2005, n. 69 è abrogato.

Art. 28
(Norma transitoria)

  1. I procedimenti relativi alle richieste di esecuzione di mandati di arresto europeo in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto proseguono con l’applicazione delle norme anteriormente vigenti quando a tale data la corte d’appello abbia già ricevuto il mandato d’arresto europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata.

Art. 29
(Clausola di invarianza finanziaria)

  1. Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. 
  2. Le Amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti dal presente decreto con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
     

Relazione illustrativa

 

Sommario

 

1. Premessa...................................................................................................................................................................

3
2. La decisione quadro 2002/584/GAI........................................................................................................................

5

3. La legge n. 69 del 2005: inquadramento generale delle problematiche di compliance.........................................

7

4. Le modifiche alle disposizioni di principio e alle garanzie costituzionali della legge n. 69 – Articoli 1 e 2.............

9

4.2. Le disposizioni di principio..................................................................................................................................

11

5. La documentazione supplementare – Articoli 3, 6, lettera a), 7, lettera b), e 8......................................................

13

6. Le deviazioni dal principio del mutuo riconoscimento...........................................................................................

16

6.1. La verifica della doppia punibilità – Articoli 4, 5 e 26.........................................................................................

16

6.2. I motivi di rifiuto – Articoli 3, lettere a) e b), 13, lettera c), 14, 15 e 16.................................................................................................................................................................................

20

6.2.1. Le modifiche dei motivi di rifiuto obbligatorio previsti dalle lettere i) (difetto di imputabilità ratione aetatis) e m) (divieto di bis in idem) dell’articolo 18. La solo formale abrogazione del motivo di rifiuto di cui alla lettera o) (sentenza di non luogo a procedere) – Articolo 14.........................................................................................................................

23

6.2.2. La soppressione dei motivi di rifiuto previsti nell’articolo 18, lettere a), d), e), f), g), h), p), q) e s) – Articolo 14......

26

6.2.3. La soppressione dei motivi di rifiuto di cui all’articolo 17, comma 4, e all’articolo 18 lettere b) e c) (cause di non punibilità), n) (prescrizione), q) (mancanza motivazione nel mandato di arresto nazionale) e r) (immunità e privilegi) – Articoli 13, lettera d), e 14............................................................................................................................................

29

6.2.4. Le modifiche ai motivi di rifiuto facoltativo di cui all’articolo 18-bis, relativi ai mandati di arresto europei processuali ed esecutivi. In particolare, i motivi opponibili nel caso di mandato di arresto europeo (i) emesso nei confronti di cittadino UE residente o dimorante in Italia, ovvero (ii) basato su sentenza emessa in absentia. L’implementazione della facoltà dell’arrestato prevista dall’articolo 4-bis(2) della decisione quadro – Articoli 3, lettere a) e b), 15 e 16........................

32

6.2.5. Le modifiche alla disposizione in tema di garanzie richieste allo Stato di emissione nel caso di consegna di cittadini di altri Stati residenti  in Italia – Articolo 17...................................................................................................

40

7. La tempistica procedimentale. Il regime cautelare – Articoli 6 - 10, 12 - 13, 18 - 20, 23 -27.......................................................................................................................................................................................

47

8. L’intervento finalizzato al superamento dei contrasti giurisprudenziali relativi all’applicazione dell’articolo 31 della decisione quadro – Articolo 1, lettera d)...........................................................................................................................

60

9. Le ulteriori modifiche conseguenti alle osservazioni formulate dalle Commissioni parlamentari in tema di audizione della persona richiesta in consegna e di contenuto del mandato di arresto europeo e di consegna o estradizione successiva nella procedura attiva – Articoli 11, 24 e 25..............................................................................................

64

10. Disposizioni finali - Articoli 28 e 29.......................................................................................................................

65


1. Premessa.    

Il presente schema di decreto legislativo viene predisposto in esecuzione delle disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 4 ottobre 2019, n. 117 - Legge di delegazione europea 2018, con cui il Gover6no è stato delegato all’emanazione di uno o più decreti legislativi per il più compiuto adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri (di seguito, la «decisione quadro»).

In particolare, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 32 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, la norma di delega prevede i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici: 

  1. armonizzare le disposizioni della legge 22 aprile 2005, n. 69, alla decisione quadro 2002/584/GAI, sia in relazione alla procedura di consegna e agli obblighi di informazione che alla disciplina dei motivi di rifiuto, prevedendo in particolare quali motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo quelli indicati dall’articolo 4 della decisione quadro 2002/584/GAI, al fine di assicurare il principio del mutuo riconoscimento e la salvaguardia dei princìpi fondamentali dell’ordinamento, secondo quanto stabilito dall’articolo 1 e dal considerando (12) della decisione quadro, tenuto conto del principio di presunzione del rispetto dei diritti fondamentali da parte degli altri Stati membri, come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, e di quanto stabilito dal titolo I-bis del libro XI del codice di procedura penale; 
  2. brisolvere i contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione dell’articolo 31 della decisione quadro 2002/584/GAI, prevedendo che si possano continuare ad applicare gli accordi o intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento dell’adozione della decisione quadro se contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato. 

Nei commi 5 e 6, la norma detta, inoltre, disposizioni immediatamente precettive, attraverso le quali sono state ‘trasferite’ alle lettere a), b) e c) del nuovo articolo 18-bis della legge n. 69, intitolato ai Motivi di rifiuto facoltativo della consegna, le previsioni prima catalogate quali motivi di rifiuto obbligatorio alle lettere o), p) ed r) dell’originario articolo 18.

Il comma 4 della norma autorizza la modifica di dette disposizioni in sede di esercizio della delega.

Va segnalato che l’applicazione pratica del mandato di arresto europeo è stata oggetto di un’approfondita attività di revisione inter pares tra gli Stati membri, cui la Commissione prese parte in veste di osservatore, durante il quarto ciclo di valutazioni reciproche terminato nell’aprile 2009. All’esito di tali attività il gruppo di esperti all’uopo nominato emise un articolato rapporto, in cui furono puntualmente posti in risalto i non pochi (né di poco momento) aspetti di discrasia rilevati e che si concludeva «esortando fermamente l’Italia a conformare la legge di attuazione alla decisione quadro(1).

Nel febbraio 2014, inoltre, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione volta a sollecitare un riesame della decisione quadro.(2)

Pur avendo deciso di non dare seguito a tale sollecitazione(3) , la Commissione ha di recente proceduto ad un nuovo esame delle problematiche inerenti l’attuazione di detto strumento nell’ulteriore Relazione trasmessa al Parlamento europeo e al Consiglio nel luglio di quest’anno, in cui, nel rilevare che in alcuni Stati membri «il livello di attuazione della decisione quadro non è ancora soddisfacente», ha ripetutamente sottolineato che adotterà «ogni misura idonea a garantire la conformità alla direttiva quadro in tutta l’Unione europea, incluso, laddove necessario, l’avvio delle procedure di infrazione a norma dell’articolo 258 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea»(4).

Tanto delle raccomandazioni formulate nel citato rapporto di valutazione del 2009, quanto delle risultanze della Relazione della Commissione, si è tenuto conto nell’elaborazione del presente schema di decreto.

Deve infine darsi atto che, con nota C(2020)8405 del 03.12.2020, la Direzione generale giustizia e consumatori della Commissione europea ha notificato all’Italia ai sensi dell’art. 258 TFUE una lettera di messa in mora avente ad oggetto la decisione quadro 2002/584/GAI in materia di mandato d’arresto europeo e procedure di consegna tra gli Stati membri.

I rilievi della Commissione riguardano sia l’obbligo di adottare e trasmettere tutte le disposizioni nazionali necessarie a conformarsi alla normativa europea, sia la non conformità della legge 22 aprile 2005, n. 69 (legge MAE) rispetto a undici punti della decisione quadro.

 2. La decisione quadro 2002/584/GAI.

Così delineato il contesto entro cui il presente intervento normativo dev’essere inquadrato, al fine di fornire un sintetico riepilogo preliminare dei relativi contenuti appare utile prendere le mosse dai princìpi di base e dalle caratteristiche essenziali della decisione quadro in tema di mandato di arresto europeo, onde aver modo – in seguito – di evidenziare più agevolmente gli aspetti di divergenza e di frizione della nostra normativa interna, cui si è in precedenza fatto cenno.

La finalità della decisione quadro, adottata all’indomani dei tragici eventi dell’11 settembre 2001, è la sostituzione del tradizionale sistema estradizionale, basato sulla cooperazione intergovernativa, in vista dell’approntamento di un meccanismo di tipo pressoché integralmente giudiziario, di più snella attuazione e, dunque, di maggiore rapidità.

Lo strumento costituisce la prima attuazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni penali, eretto a «pietra angolare» della cooperazione giudiziaria sin dal Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 e fondato «sulla fiducia reciproca sviluppata attraverso i valori condivisi degli Stati membri concernenti il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e dei diritti umani, in modo che ciascuna autorità confidi nel fatto che le altre autorità applichino norme equivalenti di tutela dei diritti nei rispettivi ordinamenti giuridici penali».

Alla base del principio, per utilizzare una nota ed efficace espressione della dottrina internazionale, è «l’idea di uno Spazio europeo in seno al quale anche le decisioni giudiziarie rese in uno Stato membro possono circolare liberamente, nel senso che vanno riconosciute ed eseguite in qualunque altro Stato membro».

Difatti, come ripetutamente affermato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, il principio «implica, a norma dell’articolo 1, paragrafo 2, della decisione quadro, che gli Stati membri sono tenuti in linea di principio a dar corso a un mandato d’arresto europeo», dal momento che «devono eseguire un mandato siffatto ovvero possono rifiutarne l’esecuzione e subordinarla a condizioni soltanto nei casi elencati agli articoli da 3 a 5 della stessa decisione quadro»(5)

Non a caso, in conseguenza dell’affermarsi del principio, muta la stessa denominazione degli strumenti tipici della cooperazione, prima indicati come ‘richieste’ (o ‘domande’) e, ora, quali ‘mandati’ o, senz’altro, ‘ordini’.

Oltre alla sostanziale disintermediazione del rapporto di cooperazione rispetto al ruolo delle Autorità centrali (ora deputate, essenzialmente, allo svolgimento di compiti di assistenza amministrativa), discendono ulteriormente dal principio del mutuo riconoscimento:

  1. l’integrale assorbimento del provvedimento restrittivo interno, sulla base del quale il mandato di arresto europeo viene emesso, nel modulo, sintetico e ‘standardizzato’, allegato alla decisione quadro(6) ;
  2. l’attenuazione del tradizionale controllo di doppia punibilità (il cd. double criminality check)(7), che viene addirittura interdetto con riferimento a ben 32 categorie di gravi reati;
  3. la limitata opponibilità della cittadinanza quale motivo di rifiuto della consegna, ammesso unicamente a fronte di mandati di arresto europeo finalizzati all’esecuzione della pena (cd. mandati esecutivi) e solo a condizione che di detta esecuzione lo Stato membro si faccia direttamente carico.

E’ di intuitiva evidenza come il recepimento del principio e dei suoi corollari costituisca, già di per sé, decisivo fattore di snellimento e accelerazione delle tempistiche procedimentali rispetto a quelle proprie della cooperazione intergovernativa.

Ciononostante, in ragione della sua essenzialità, il perseguimento di detta finalità viene ulteriormente presidiato, nella decisione quadro, oltre che a mezzo della già segnalata ‘standardizzazione’ della modulistica, dall’enunciazione della regola generale secondo cui «[u]n mandato d’arresto europeo deve essere trattato ed eseguito con la massima urgenza»(8)e, soprattutto, da puntuali e stringenti previsioni che scandiscono la tempistica della decisione sulla consegna e l’esecuzione di quest’ultima entro termini serrati, neanche ipotizzabili nel precedente regime di tipo estradizionale(9).

3. La legge n. 69 del 2005: inquadramento generale delle problematiche di compliance. 

I seppur sintetici rilievi svolti circa i princìpi cardine della decisione quadro consentono, ora, di tracciare un quadro preliminare delle criticità ravvisabili nella normativa di implementazione interna dettata con legge n. 69 del 2005.

Dette criticità si concentrano essenzialmente sulla disciplina della procedura (passiva) di esecuzione del mandato di arresto europeo e possono così essenzialmente sintetizzarsi: 

  1. la normativa nazionale impone alle Autorità giudiziarie dello Stato di emissione l’invio di provvedimenti e atti ulteriori rispetto al mandato di arresto europeo, e cioè – nella sostanza – di tutta la (talora ponderosissima) documentazione ordinariamente richiesta nell’ambito delle procedure estradizionali;
  2. il principio del mutuo riconoscimento non appare integramente recepito in tutte le sue implicazioni, risultando – in particolare – da un lato ‘nazionalizzato’ il parametro normativo dettato per i casi di esclusione della verifica della doppia punibilità, dall’altro introdotti motivi di non esecuzione del mandato di arresto europeo non previsti, o non previsti come ‘obbligatori’, dalla decisione quadro; in alcuni casi, il motivo di rifiuto assume un’estensione maggiore di quella consentita dalla norma eurounitaria; in altri, sottende un sindacato di ‘merito’ sulla decisione nazionale posta alla base del mandato di arresto europeo (cui, naturalmente, risulta strumentale la debordante acquisizione documentale menzionata sub a)); in quello basato sulla difesa della cittadinanza (all’epoca classificato alla lettera r) dell’articolo 18), venivano in origine del tutto pretermessi i cittadini degli altri Stati membri ‘radicati’ in Italia, dei quali ci si ricordava però nella norma (speculare) immediatamente seguente, in cui la ‘condizione di rientro’ apponibile alla consegna veniva dilatata sino al punto dell’integrale equiparazione di regime coi cittadini extra-UE; ne risultava un regime in parte illegittimo, in parte – come si dirà – illogico(10)
  3. pressoché integralmente disallineata, rispetto alle previsioni della decisione quadro, appare infine la tempistica procedurale, con ulteriori connesse problematiche relative al regime cautelare in caso di inosservanza dei termini per la decisione sull’esecuzione, evento cui la normativa nazionale – in difformità dalle puntuali disposizioni della decisione quadro – riconnette sempre e immancabilmente la rimessione in libertà della persona richiesta in consegna.

Pur dovendo darsi atto del fatto che, a molteplici delle problematiche evidenziate, la giurisprudenza delle nostre corti, e in particolare quella della Corte di cassazione, ha saputo trovare risposte adeguate attraverso un ampio e sapiente utilizzo dei canoni ermeneutici della cd. interpretazione conforme(11), l’odierna ampia delega legislativa consente e impone di porvi rimedio in via definitiva, sì da scongiurare – tra l’altro – la prosecuzione della procedura di infrazione avviata dalla Commissione nei confronti del nostro Paese proprio nelle more dell’approvazione del presente decreto.

* * *

Ragioni di chiarezza e di ordine espositivo suggeriscono di illustrare le disposizioni del presente schema di decreto riorganizzandole intorno ai tre principali nuclei tematici appena più sopra elencati.

Pertanto, subito dopo aver trattato degli interventi di modifica riguardanti le disposizioni di principio e le garanzie costituzionali, oggetto degli articoli 1 e 2 della legge n. 69, saranno dapprima prese in considerazione le modifiche riguardanti il regime delle acquisizioni documentali ‘di supporto’, imposte – come detto – dalla nostra normativa interna.

Sarà quindi trattato il tema, sicuramente più ampio e articolato, riguardante le problematiche relative al menzionato controllo di doppia punibilità e ai motivi di rifiuto dell’esecuzione del mandato di arresto europeo.

Verranno successivamente illustrate le modifiche introdotte alla disciplina dei termini e alle conseguenze della loro inosservanza sul regime cautelare della persona richiesta in consegna.

Saranno infine esaminati l’intervento correttivo operato al fine di superare i contrasti giurisprudenziali manifestatisi in relazione all’applicazione dell’articolo 31 della decisione quadro (oggetto della lettera b) dei criteri di delega), nonché le disposizioni finali.

4. Le modifiche alle disposizioni di principio e alle garanzie costituzionali della legge n. 69 - Articoli 1 e 2.

Con gli articoli 1 e 2 dello schema di decreto vengono modificate le corrispondenti previsioni della legge n. 69 riguardanti, rispettivamente, le disposizioni di principio e le garanzie costituzionali.

L’intervento mira essenzialmente, oltre che a conferire maggiore precisione e organicità ai testi di dette previsioni, a garantirne una più completa e diretta armonizzazione rispetto ai contenuti della decisione quadro e, più in generale, al contesto normativo sovranazionale, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea.

4.1. Le garanzie costituzionali. 

Carattere logicamente pregiudiziale assumono le modifiche all’articolo 2 della legge n. 69.

4.1.1.  Al comma 1, la disposizione attualmente vigente richiama – in via sostanzialmente ‘incidentale’ – l’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea e il «punto (12) dei consideranda del preambolo della decisione quadro», per stabilire che  in conformità a dette previsioni «l’Italia darà esecuzione al mandato d’arresto europeo nel rispetto [...] a) [de]i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, in particolare dall’articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e dall’articolo 6 (diritto ad un processo equo), nonché dai Protocolli addizionali alla Convenzione stessa; [e] b) [de]i princìpi e [del]le regole contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al giusto processo, ivi compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, anche in relazione al diritto di difesa e al principio di eguaglianza, nonché quelli relativi alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni penali».

Al comma seguente si prevede, inoltre, che «[p]er le finalità di cui al comma 1, possono essere richieste idonee garanzie allo Stato membro di emissione».

4.1.2. L’articolo 2 del decreto sopprime la disposizione da ultimo richiamata e riformula la prima nei seguenti termini: «L’esecuzione del mandato di arresto europeo non può, in alcun caso, comportare una violazione dei principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato o dei diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione, dei diritti fondamentali e dei fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 del trattato sull’Unione europea o dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dai Protocolli addizionali alla stessa».

Le modifiche, pur strutturalmente difformi, rispondono alla comune finalità di assicurare il primato del diritto dell’Unione, in base al quale a uno Stato membro non è consentito «ostacolare l’applicazione di atti di diritto dell’Unione pienamente conformi alla Carta [di Nizza], sulla base del rilievo che essi non rispetterebbero i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione di tale Stato»(12).

Ne consegue, com’è ovvio, da un lato l’inammissibilità dell’apposizione di «garanzie» diverse da quelle previste nell’articolo 4 della decisione quadro (e, dunque, l’abrogazione del comma 2 della norma in esame)(13) , dall’altro la necessità di rimodulare il disposto della lettera b) in funzione del solo limite legittimamente opponibile all’applicazione del diritto dell’Unione, come detto costituito (non da semplici «principi» o «regole» ma unicamente) «dall’osservanza dei principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona»(14).

Con la modifica apportata al comma 1, inoltre, si è provveduto ad esplicitare in forma chiara e precisa il richiamo all’articolo 6 del TUE, attualmente affidato – come detto – ad un’impropria (oltre che incompleta) formula ‘incidentale’, nonché ad eliminare le altrettanto improprie (ma, specularmente, superflue) ‘puntualizzazioni’ interpolate nel riferimento ai diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione EDU(15).

Infine, l’abrogazione della previsione di cui al comma 3, concernente la sospensione dell’attuazione del meccanismo del mandato di arresto europeo a seguito della constatazione del Consiglio dell’Unione europea, è funzionale alla sua ricollocazione al comma 3-ter dell’articolo 1, cui è parso opportuno procedere per le ragioni che saranno poco più innanzi esposte.

4.2. Le disposizioni di principio.
 
4.2.1. Quanto alle modifiche introdotte dall’articolo 1 del decreto alle disposizioni di principio, la soppressione dell’inciso finale del comma 1 deriva, in parte, dalla modifica apportata al comma 1 dell’articolo 2 (in cui, come detto, sono stati ora richiamati tutti i «princìpi supremi» dell’ordinamento costituzionale), in parte dalla già menzionata impossibilità di limitare l’applicazione del diritto unionale invocando disposizioni costituzionali che non concretizzino detti «princìpi supremi» o che, quantomeno, ad essi non si ricolleghino.

4.2.2. L’intervento sul comma 3 si è reso necessario, innanzitutto, al fine di recepire formalmente il mutuo riconoscimento quale principio-base che governa l’attuazione del mandato di arresto europeo, conformemente a quanto previsto dall’articolo 2(1) della decisione quadro.

Logicamente conseguente è l’ulteriore intervento correttivo a mezzo del quale stati espunti i riferimenti alla necessità che il mandato di arresto nazionale posto alla base di quello europeo fosse «sottoscritto da un giudice» e risultasse «motivato», prescrizioni entrambe apertamente incompatibili con il suddetto principio(16)

L’eliminazione di tali requisiti, sollecitata anche da una specifica Raccomandazione formulata nel Rapporto 2009 sull’Italia(17), si correla anche all’analoga soppressione d’ogni documentazione ‘di supporto’ del mandato di arresto europeo, richiesta dall’articolo 6 della legge n. 69, di cui a breve si passerà a trattare.

Essenzialmente di natura tecnica è, infine, l’ultima modifica apportata rispetto alla precedente formulazione della norma, che qualificava come «irrevocabile» la sentenza posta a fondamento della richiesta di consegna.

Come da tempo rilevato anche dalla giurisprudenza di legittimità(18), la disposizione appariva incoerente, oltre che con l’articolo 6, lettera c), della stessa legge n. 69, con la decisione quadro, che – all’articolo 8(1), lettera c) – richiede che il mandato di arresto europeo debba recare la «indicazione dell’esistenza di una sentenza esecutiva, di un mandato d’arresto o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza [...]».

Anche sotto tale profilo, s’è dunque risolta un’ulteriore problematica di disallineamento della normativa nazionale rispetto allo strumento eurounitario.

4.2.3. Alla medesima finalità da ultimo indicata risponde, altresì, l’inserimento del comma 3-bis nel corpo della norma che, nel prevedere l’obbligo delle Autorità nazionali di dare esecuzione al mandato di arresto «con la massima urgenza», implementa nella legislazione interna la corrispondente disposizione di cui all’articolo 17della decisione quadro.

Come accennato in chiusura del precedente capitolo, l’interpolazione e la riformulazione dell’ulteriore comma 3-ter è dovuta, invece, alla ritenuta opportunità di differenziare, anche dal punto di vista della collocazione testuale delle disposizioni, le ipotesi in cui, in singoli e specifici casi concreti, si appalesi la necessità di apprestare tutela a diritti e princìpi fondamentali di garanzia della persona richiesta in consegna, oggetto – come visto – delle previsioni tuttora contenute nell’articolo 2, dalla diversa situazione che si determina allorquando il Consiglio proceda alla constatazione della «grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea», cui consegue una vera e propria sospensione della «attuazione [del] meccanismo» del mandato di arresto europeo.

Proprio la distinzione fra le due ipotesi, infatti, costituisce la base logico-normativa della più recente evoluzione registratasi nella giurisprudenza della Corte di Lussemburgo in tema di tutela dei diritti fondamentali della persona nell’ambito delle procedure di consegna, cui si farà riferimento in sede di illustrazione delle modifiche apportate dal presente decreto alla disciplina dei motivi di rifiuto(19).


5. La documentazione supplementare - Articoli 3; 6, lettera a); 7, lettera b); 8.

L’articolo 6 della legge n. 69, delineato al primo comma il contenuto necessario del mandato di arresto europeo, dispone in quello successivo che, al fine di colmare eventuali carenze informative o, comunque, di verificare la ricorrenza di eventuali motivi che impongano il rifiuto della consegna (come pure la sottoposizione di quest’ultima alle garanzie/condizioni previste dall’articolo 19), la corte d’appello debba attivarsi per una richiesta di informazioni cd. suppletive alla Stato membro di emissione.

Al comma 3 la disposizione subordina la possibilità di consentire alla consegna «soltanto sulla base di una richiesta alla quale sia allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta stessa» e, al comma 4, prevede che al «mandato d’arresto» vadano altresì allegati i documenti usualmente richiesti per l’attivazione della tradizionale procedura estradizionale(20), ovvero:

  1. una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è domandata la consegna, con l’indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica;
  2. il testo delle disposizioni di legge applicabili, con l’indicazione del tipo e della durata della pena;
  3. i dati segnaletici ed ogni altra possibile informazione atta a determinare l’identità e la nazionalità della persona della quale è domandata la consegna.

Si stabilisce inoltre che, in mancanza di detta allegazione, la corte d’appello ne solleciti la trasmissione allo Stato membro di emissione tramite il Ministero della giustizia, cui andrà altresì comunicata la data dell’udienza camerale fissata per la decisione sulla consegna. Il Ministero della giustizia, oltre a veicolare la richiesta all’autorità giudiziaria emittente, dovrà anche informarla «che la ricezione del provvedimento e della documentazione costituisce condizione necessaria per l’esame della richiesta di esecuzione da parte della corte di appello», provvedendo in seguito alla ricezione degli atti, alla loro traduzione in lingua italiana e, infine, all’inoltro alla corte richiedente (comma 5).

E’ infine previsto che, in caso di mancata trasmissione degli atti, la corte d’appello sia tenuta a respingere la richiesta (comma 6).

Nell’impianto della legge, le previsioni riportate sono funzionali all’effettuazione di quel controllo di merito sul contenuto del mandato di arresto europeo cui s’è fatto cenno in premessa e che trova la sua concretizzazione più evidente nella verifica richiesta dalla nostra legge, per i mandati con finalità ‘processuale’, circa la sussistenza della motivazione del mandato di arresto nazionale (requisito già soppresso, come visto, dall’articolo 1, comma 2, dello schema di decreto) nonché, addirittura, dei «gravi indizi di colpevolezza(21)

Per quanto in precedenza visto, tali disposizioni, come pure quelle che impongono verifiche circa eventuali cause di non punibilità del fatto (consenso dell’avente diritto; esercizio di un diritto o adempimento di un dovere; caso fortuito o forza maggiore)(22), risultano tutte in aperto contrasto con il principio del mutuo riconoscimento.

Inoltre, quanto in particolare a quelle concernenti la documentazione supplementare qui oggetto di specifica attenzione, esse risultano altresì contrastare con specifiche previsioni della decisione quadro, che – all’articolo 8(1), lettera c) –  prevede solo la «indicazione», e non anche la «allegazione», del provvedimento restrittivo posto a fondamento della richiesta di consegna: ciò che, tra l’altro, costituisce un rilevante elemento di differenziazione che caratterizza l’euromandato rispetto dell’analogo modulo standard  che attiva e veicola il trasferimento dell’esecuzione delle sentenze penali in ambito UE (in tal caso denominato “certificato”), per il quale l’articolo 5 della decisione quadro 2008/909/GAI prevede invece espressamente che ad esso si accompagni «[l]a sentenza o una sua copia autenticata».

Va anche ricordato che la Corte di cassazione ha da tempo consolidato un’interpretazione in chiave teleologico-funzionale delle disposizioni in questione, legittimando la corte di appello a dare esecuzione al mandato di arresto europeo pur in mancanza della documentazione di supporto, almeno in tutte le ipotesi in cui «il controllo sulla motivazione (art. 17, comma quarto) e sui gravi indizi di colpevolezza (art. 18, lett. t)) po[tesse] essere comunque effettuato sul mandato di arresto europeo»(23).

Tale soluzione ermeneutica, in numerosi casi, ha consentito di arginare la gravissima e radicale conseguenza ricollegata dalla disciplina in esame alla mancata trasmissione della documentazione de qua da parte dell’Autorità di emissione, e cioè – come detto – il rifiuto dell’esecuzione del mandato. 

Tuttavia, non solo detta soluzione non appare suscettibile di operare nelle ipotesi in cui dal cd. formulario MAE non sia desumibile un adeguato ‘equivalente informativo’ alla documentazione richiesta e non pervenuta, ma soprattutto essa non può – ovviamente – in alcun modo rimediare all’ostacolo che, già a monte, la norma nazionale frappone alla speditezza d’attuazione insita nel meccanismo dell’euromandato: il quale ultimo, come detto, è destinato a sostituirsi, e non (paradossalmente) ad aggiungersi, al già gravoso corredo documentale tipico della procedura d’estradizione.

Di qui la necessità di provvedere, in conformità alla raccomandazione formulata dalla Commissione sin dalla conclusione (nel 2009) del quarto ciclo di peer review, all’integrale abrogazione dei commi da 3 a 6 dell’articolo 6 della legge n. 69, nonché delle ulteriori norme che alla documentazione ‘supplementare’ in essi contemplata fanno riferimento(24).

6. Le deviazioni dal principio del mutuo riconoscimento. 

6.1. La verifica della doppia punibilità - Articoli 4, 5 e 20. 

6.1.1. Come accennato in premessa, il principio di mutuo riconoscimento – consacrato all’articolo 2(1) della decisione quadro – comporta, in linea di principio, l’obbligo dello Stato membro che riceva il mandato di arresto europeo di dar ad esso esecuzione.

S’è pure già visto che il medesimo «elevato livello di fiducia reciproca», che è alla base di detto principio, ha altresì consentito agli Stati membri di obbligarsi a eseguire l’euromandato in assenza della verifica della doppia punibilità (il già menzionato double criminality check) con riferimento a 32 categorie di reati, elencate nell’articolo 2(2) della decisione quadro(25).

Per i reati non riconducibili a tali categorie, invece, la medesima decisione quadro consente il rifiuto dell’esecuzione dell’euromandato, prevedendo ulteriormente:

  1. che la verifica di doppia incriminazione abbia ad oggetto «i fatti per i quali è stato emesso il mandato d’arresto europeo» e che il riscontro, da essa presupposto, circa la sussistenza o meno nell’ordinamento interno del reato vada condotto «indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso» (articolo 2(4));
  2. che, laddove vengano in rilievo illeciti penali «in materia di tasse e di imposte, di dogana e di cambio», ai fini di detto riscontro non possa assumere rilievo la circostanza che «la legislazione dello Stato membro di esecuzione non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte o non contiene lo stesso tipo di normativa in materia di tasse, di imposte, di dogana e di cambio della legislazione dello Stato membro emittente» (articolo 4(1)).

6.1.2. Tali previsioni hanno trovato attuazione, in ambito nazionale, negli articoli 7 e 8 della legge n. 69, rispettivamente intitolati ai Casi di non punibilità e alla Consegna obbligatoria.

Al riguardo nel Rapporto 2009 sull’Italia si evidenziava come l’esclusione delle circostanze aggravanti dal calcolo della pena (minima) per cui è possibile la consegna di fatto «comporta[...] che il legislatore italiano richieda un più alto grado di "punibilità" rispetto a quanto previsto in virtù della decisione quadro, la quale in effetti su questo punto non si pronuncia»(26)

Gli esperti suggerivano, pertanto, di eliminare le previsioni di cui all’articolo 7, comma 1, e 8, comma 2, norme suscettibili di «causare problemi nei confronti di Stati di emissione la cui legislazione prevede una pena modesta per il reato di base ma in cui la pena applicabile imposta può essere inasprita a causa di circostanze aggravanti (per esempio furto che può essere aggravato da vari parametri, quali il valore dei beni rubati, ricorso alla violenza e/o ad armi, ecc.)».

Con specifico riguardo all’articolo 8, inoltre, si lamentava innanzitutto come la nostra normativa richiedesse una «[v]erifica de facto della doppia punibilità in tutti i casi», rilevando in particolare:

  • che «l’elenco dei 32 reati di cui all’articolo 8, comma 1 della legge italiana di attuazione è molto più dettagliato dell’elenco di 32 reati riportato nell’articolo 2, paragrafo 2 della decisione quadro»; 
  • che «[t]enuto conto dell’articolo 8, comma 2 [...](27), ne consegue che in quasi tutti i casi riguardanti i reati elencati nell’articolo 2, paragrafo 2 della decisione quadro, il giudice italiano deve verificare l’esistenza della doppia punibilità»;
  • che «alcuni operatori hanno persino affermato che esiste il rischio di una triplice verifica della punibilità in quanto le descrizioni che figurano nell’articolo 8, comma 1 della legge italiana di attuazione sarebbero ancor più restrittive di quelle del codice penale italiano».

Sulla base di tali rilievi, gli esperti incaricati della verifica concludevano che, nonostante gli operatori intervistati non avessero segnalato difficoltà sul piano applicativo, la disposizione potesse «eventualmente dar luogo a problemi di natura sostanziale», raccomandandone quindi l’allineamento alle previsioni della decisione quadro.

In secondo luogo, quanto alla previsione contenuta nel comma 3 della disposizione (definito una «curiosa eccezione»)(28) , pur prendendo atto della sua riferibilità ai princìpi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 364 del 1988, si osservava che «questa disposizione, che assomiglia a un motivo di rifiuto, non è contenuta nella decisione quadro», rilevando in particolare che essa pare «obbligare l’autorità di esecuzione italiana a effettuare un esame di merito del caso», ovvero ad un controllo «contrario al principio di reciproco riconoscimento e quindi non conforme alla decisione quadro».

Anche nella recente Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, come in precedenza accennato, la Commissione si sofferma le problematiche qui in esame (29)e, pur non formulando rilievi espressamente rivolti a singoli Stati membri (né, tantomeno, ‘raccomandazioni’), segnala anch’essa:

  • che, mentre «la maggioranza degli Stati membri ha recepito in modo letterale l’articolo 2, paragrafo 2» e alcuni di essi «hanno introdotto nella loro legislazione nazionale un riferimento diretto all’articolo 2, paragrafo 2», due Stati membri «hanno introdotto sostanziali modifiche dell’elenco dei 32 reati (ad esempio, restringendo il campo d’applicazione di determinate categorie o non recependo tutte le categorie)»;
  • che, quanto alla verifica della doppia incriminazione ai sensi dell’articolo 2(4) della decisione quadro, «in un numero limitato di Stati membri non è stato possibile riscontrare disposizioni pertinenti relative alla mancanza di doppia incriminazione quale motivo di non esecuzione», mentre per la maggior parte di essi non risulta «recepito esplicitamente l’obbligo di procedere alla verifica della doppia incriminazione per quanto riguarda il reato corrispondente ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione "indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso"».

Anche in tal caso viene, inoltre, specificamente segnalata la problematica relativa all’esclusione delle circostanze aggravanti dal computo della pena, di cui s’è appena più sopra detto nel riportare le conclusioni del Rapporto 2009 sull’Italia.

Le criticità in questione, infine, costituiscono oggetto di contestazione nella lettera di messa in mora sopravvenuta nel corso dell’approvazione del presente decreto, alla quale s’è fatto cenno in premessa.

6.1.3. Alla luce dei condivisibili rilievi sin qui sintetizzati, in esecuzione dei criteri di delega, si è ritenuto necessario intervenire al fine di armonizzare le previsioni contenute negli articoli 7 e 8 con quelle di cui all’articolo 2 della decisione quadro.

In particolare, con l’articolo 4 del decreto:

  • si è provveduto a recepire espressamente il criterio, peraltro già da tempo utilizzato dalla giurisprudenza nazionale(30), secondo cui, ai fini della verifica della doppia punibilità, non si tiene conto della qualificazione giuridica e dei singoli elementi costitutivi del reato (lettera a)), nonché a sopprimere – riformulando il comma 2 – l’inciso finale relativo alla necessaria «assimilabilità» delle tasse e delle imposte (lettera b));
  • è stata eliminata dal comma 3 la non consentita esclusione delle circostanze aggravanti dal calcolo relativo all’entità della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale, da effettuarsi ai fini della verifica del raggiungimento della soglia minima prevista per l’emissione del mandato d’arresto europeo (lettera c)).

Con l’articolo 5 del decreto, quindi, è stato modificato l’articolo 8. Oltre a sopprimersi la previsione relativa all’esclusione dal computo delle circostanze aggravanti, il riallineamento alla decisione quadro dell’elenco dei reati che danno luogo a ‘consegna obbligatoria’ è stato assicurato a mezzo di un integrale rinvio al citato articolo 2, paragrafo 2. Sono stati altresì abrogati i commi 2 e 3 della disposizione nazionale. 

6.1.4. Si ricollega, infine, alle modifiche appena descritte l’intervento di cui all’articolo 26 del decreto legislativo. Sempre in accoglimento di una specifica raccomandazione contenuta nel Rapporto del 2009 sull’Italia(31), è stata infatti abrogata la previsione, contenuta nelle disposizioni transitorie di cui all’articolo 40 della legge n. 69, che escludeva l’applicabilità fatti ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore delle disposizioni in tema di ‘consegna obbligatoria’.

6.2. I motivi di rifiuto - Articoli 3, lettere a) e b), 13, lettera d), 14, 15 e 16.

Come accennato in premessa, il principio del mutuo riconoscimento – consacrato all’articolo 2(1) della decisione quadro – comporta che, in linea di principio, il mandato di arresto europeo debba essere eseguito dallo Stato membro che lo riceve.

Tuttavia, l’obbligo gravante sullo Stato di esecuzione non è assoluto, giacché la stessa decisione quadro prevede espressamente dieci motivi di rifiuto (di cui tre ‘obbligatori’ e sette ‘facoltativi’) che ne circoscrivono l’ambito di effettiva operatività(32).

Quanto in particolare alla seconda categoria di motivi di rifiuto, va precisato che la facoltatività va riferita sia all’attività di recepimento della previsione da parte degli Stati membri, sia alla natura del potere decisionale che, in caso di recepimento, deve essere riconosciuto all’Autorità giudiziaria incaricata dell’esecuzione del mandato di arresto europeo (la quale ultima può, ovviamente, fare applicazione dei soli motivi di rifiuto implementati nell’ordinamento nazionale)(33).

E’ del tutto evidente che, a fronte della portata generale del principio del mutuo riconoscimento, le norme che contemplano i motivi di rifiuto rivestono natura eccezionale, con le altrettanto logiche implicazioni in termini di tipicità-tassatività (numerus clausus) e di necessaria adozione di canoni di stretta interpretazione(34).

La legge n. 69 ha introdotto motivi di rifiuto ulteriori e del tutto nuovi rispetto a quelli previsti dalla decisione quadro. Sino alla modifica apportata dalle disposizioni precettive della norma di delega ricordata in premessa, i suddetti motivi erano tutti previsti come obbligatori. Analoga opzione veniva prescelta per le garanzie che potevano essere richieste allo Stato di emissione in caso di processo in absentia(35), di reati punibili con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà «a vita» e di mandato di arresto europeo emesso nei confronti di cittadini o persone residenti nello Stato membro di esecuzione (quest’ultima, tra l’altro, inficiata da un evidente e problematico disallineamento dalla speculare previsione del motivo di rifiuto connesso alla cittadinanza e alla residenza)(36).

Prima della novella, l’articolo 18 della legge n. 69 prevedeva venti motivi di rifiuto obbligatorio della consegna, ora – per quanto detto – ridottisi a diciassette. 

Ulteriori cause di rifiuto venivano inoltre previste, e risultano tuttora contemplate, oltre che – come pure visto – in tema di invio della documentazione supplementare (articolo 6, comma 6) e di disciplina della doppia incriminazione (articoli 7, comma 1,  e 8, comma 3), in sede di disposizioni di principio e garanzie costituzionali (articoli 1, comma 3, e 2, comma 3), nonché con riferimento alla verifiche richieste all’atto della decisione sulla consegna circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza o, in caso di mandato di arresto europeo cd. esecutivo, circa la «esiste[nza di] una sentenza irrevocabile di condanna» (articolo 17, comma 4).

Nel Rapporto 2009 sull’Italia si raccomanda di «[l]imitare i motivi di rifiuto a quelli indicati nella decisione quadro e sopprimere pertanto l’articolo 18, comma 1, lettere b), c), e), f), g), s), t), u) e v) della legge 69/2005»(37) e di valutare l’eventualità «di sopprimere l’articolo 18, comma 1, lettere a) e d) e l’articolo 18, comma 1, lettera h) della legge 69/2005»  e «di rendere opzionali i motivi di rifiuto basati sull’articolo 4 della decisione quadro»(38) >.

Anche i profili in questione formano oggetto di contestazione nella lettera di messa in mora sopravvenuta nel corso dell’approvazione del presente decreto, cui s’è accennato in premessa.

Alle contestazioni relative alla necessità di prevedere come meramente facoltativi taluni motivi di rifiuto si è dato seguito con le più volte ricordate disposizioni precettive della legge di delega, mentre per quelle concernenti la soppressione dei motivi di rifiuto non previsti dalla decisione quadro – come a breve si dirà – si è provveduto con gli articoli 14 e 15 dello schema di decreto.

L’articolo 14 ripropone, infatti, i soli motivi di rifiuto consentiti dall’articolo 3 della decisione quadro, cui è parso opportuno adeguare la disposizione interna anche nell’ordine espositivo.

L’ampio intervento abrogativo degli altri motivi di rifiuto, alcuni dei quali ulteriori rispetto a quelli indicati dal Gruppo di esperti, trova giustificazione in ragioni talora solo in parte coincidenti, che pertanto appare opportuno illustrare partitamente.

Si esamineranno, in primo luogo, gli aspetti di interesse riguardanti i motivi obbligatori di rifiuto mantenuti nell’articolo 18, nonché quello previsto dalla lettera o) (sentenza di non luogo a procedere per la quale non sussistano i presupposti della revoca), che non è stato riprodotto e che si correla al divieto del ne bis in idem, alla base della causa di rifiuto riprodotta alla lettera b) della disposizione(39).

Verranno in seguito illustrate le ragioni della mancata riproposizione dei nove motivi di rifiuto che il legislatore del 2005 aveva variamente strutturato in relazione a princìpi o diritti di rilievo costituzionale o, ancora, ai princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano (lettere a), d), e), f), g), h), p), q) e s))(40) e, a seguire, quelle relative all’abrogazione dei residui motivi previsti dall’articolo 18 e, quindi, di quello contemplato all’articolo 17, comma 4(41).

Chiudono l’esposizione le modifiche apportate ai motivi di rifiuto facoltativo di cui all’articolo 18-bis e in tema di garanzie richieste allo Stato di emissione(42).

6.2.1. Le modifiche dei motivi di rifiuto obbligatorio previsti dalle lettere i) (difetto di imputabilità ratione aetatis) e m) (divieto di bis in idem) dell’articolo 18. La solo formale abrogazione del motivo di rifiuto di cui alla lettera o) (sentenza di non luogo a procedere) – Articolo 14

6.2.1.a. Premesso che nessuna modifica è stata apportata al motivo di rifiuto previsto in caso di estinzione per amnistia del reato contestato nel mandato d’arresto europeo, originariamente collocato alla lettera l) dell’articolo 18 e, ora, trasferito alla lettera a), nel nuovo testo della disposizione l’ipotesi di bis in idem, riclassificata alla lettera b), viene riproposta con talune modifiche essenzialmente ispirate da ragioni di maggiore precisione tecnica e, soprattutto, di chiarezza espressiva.

Attualmente, la norma si riferisce all’ipotesi in cui la persona richiesta in consegna, per gli stessi fatti alla base del mandato di arresto europeo, sia stata giudicata «con sentenza irrevocabile [...] da uno degli Stati membri dell’Unione europea purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro che ha emesso la condanna».

La riformulazione della disposizione(43), che non ha interessato i cd. requisiti di esecuzione previsti dall’articolo 54 C.A.A.S. (contemplati nella sua seconda parte), è essenzialmente funzionale – come detto – a rendere la norma maggiormente precisa e intellegibile e, in particolare, a eliminare due imprecisioni rilevabili nel testo attualmente vigente.

La prima, di carattere essenzialmente linguistico, derivante dall’indistinto riferimento alle sentenze emesse «da uno degli Stati membri dell’Unione europea», locuzione senza dubbio appropriata nel contesto normativo di una decisione quadro, ma non certo in quello di una disposizione nazionale: nel cui ambito, infatti, appare suscettibile di ingenerare equivoci circa l’effettiva inclusione dello Stato italiano, che – nella specie – l’interprete desume unicamente dalla mancata previsione di un motivo di rifiuto ad hoc per le decisioni pronunciate dalle Autorità giudiziarie nazionali.

La seconda imprecisione, del tutto analoga a quella già rilevata in sede di commento all’articolo 1, deriva dall’utilizzo dell’aggettivo «irrevocabile» per designare i provvedimenti suscettibili di effetto preclusivo, laddove, a tal fine, la decisione quadro li indica come «definitivi».

E’ pertanto apparso opportuno, come detto, procedere alla riformulazione della norma per riservare la connotazione da ultimo indicata alle sole sentenze emesse in altri Stati membri, riservando invece la prima ai soli provvedimenti decisori emessi in ambito nazionale suscettibili di assumerla, ovvero le sentenze e i decreti penali di condanna; per le sentenze di non luogo a procedere si è fatto riferimento alla (seppur non assoluta) stabilità che esse conseguono allorquando – per richiamare la formula dell’articolo 650 c.p.p. in tema di ‘esecutività’ – «non sono più soggette ad impugnazione».

Di qui la mancata riproposizione, nel nuovo testo, dello specifico motivo di rifiuto in precedenza contemplato dalla lettera o) dell’articolo 18 che, per come strutturato, legittimava la consegna nel caso di ricorrenza dei presupposti di «revocabilità» ex articolo 424 c.p.p., in contrasto con la nozione di «definitiva» dell’ordinamento e della giurisprudenza eurounitaria(44).

6.2.1.b. Di rilievo sostanziale è la modifica apportata al motivo di rifiuto di cui alla lettera i), relativo al difetto di imputabilità ratione aetatis della persona richiesta in consegna che, come noto, oltre al caso di non imputabilità dell’infraquattordicenne, contemplava altresì un ampio ventaglio di ulteriori ipotesi riferibili al minore degli anni 18, essenzialmente ricavate dalle previsioni contenute nella disciplina interna(45).

In ossequio al canone di tassatività dei motivi di rifiuto e della necessità di interpretare restrittivamente le relative norme, si è provveduto quindi a sopprimere integralmente le ipotesi suddette(46)

Per quanto possa apparir superfluo, va sottolineato come, pure a fronte della segnalata parziale soppressione di alcuni motivi di rifiuto, rimane in ogni caso ferma la necessità, ribadita anche nella clausola di salvezza inserita nell’articolo 18, che l’Autorità giudiziaria decida sull’esecuzione del mandato di arresto europeo assicurando il costante rispetto, oltre alle ‘regole’ indicate nell’articolo 1, commi 3 e 3-bis, anche dei diritti fondamentali e delle garanzie costituzionali indicati nell’articolo 2 della legge.

Ed infatti, com’è ovvio, tali diritti e tali garanzie, diversamente dalla (‘particolaristica’) regolamentazione nazionale di cui i segmenti normativi ora eliminati costituivano espressione, prevalgono sempre e comunque sulla decisione quadro e sullo stesso principio del mutuo riconoscimento, della cui operatività costituiscono, anzi, al tempo stesso, precondizione essenziale e invalicabile confine esterno di legalità sostanziale.

Quanto innanzi, con riferimento allo specifico motivo di rifiuto in questione, ha per conseguenza che, nonostante la (doverosa) neutralizzazione della pregressa aspirazione del legislatore nazionale ad un costante e pervasivo adattamento delle previsioni della decisione quadro al regime normativo interno (e non viceversa), le istanze di tutela a quest’ultimo sottese continueranno a porsi quale ineludibile parametro di legittimità delle decisioni sulla consegna ogniqualvolta le particolarità del caso evidenzino il rischio della possibile compromissione dei princìpi sovraordinati e assoluti che siano ad esse riferibili e che, proprio in quanto sovraordinati e assoluti, risultino comuni (o, comunque, legittimamente opponibili quali connotazioni essenziali e irrinunciabili dell’identità costituzionale della Repubblica italiana) all’ordinamento unionale, così come a quello dello Stato di emissione. 

Ciò significa, per limitarsi ad un unico esempio, che il giudice potrà e dovrà continuare a far riferimento all’articolo 24 della Carta di Nizza, che – tra l’altro – gli consente di verificare che lo Stato emittente assicuri il fondamentale principio di preminenza dell’«interesse superiore del minore».

Diverso discorso è quello che attiene alle modalità attraverso cui la verifica di rispetto dei diritti fondamentali della persona dev’essere svolta dall’autorità giudiziaria incaricata dell’esecuzione (cd. metodo Aranyosi), su cui si tornerà in chiusura del successivo paragrafo.

6.2.2. La soppressione dei motivi di rifiuto previsti nell’articolo 18, lettere a), d), e), f), g), h), p), q) e s) – Articolo 14.

L’articolo 18 prevede attualmente molteplici motivi di rifiuto (obbligatorio), tutti più o meno direttamente ricollegabili ai consideranda (12) e (13) della decisione quadro e/o a singoli diritti o princìpi fondamentali sanciti dalla Carta di Nizza, dalla Convenzione EDU o dalla nostra Costituzione o, ancora, riconducibili ai «princìpi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato»(47).

Nessuno di tali motivi di rifiuto rientra tra le ipotesi elencate dagli articoli 3, 4 e 4-bis della decisione quadro e, per tale ragione, essi non sono stati riproposti nel testo dell’articolo 18 così come riformulato dall’articolo 14 del decreto.

Al riguardo, alle considerazioni esposte a proposito dei princìpi di garanzia di cui articoli 1 e 2 della legge(48)e, da ultimo, riprese in riferimento al rifiuto di consegna per difetto di imputabilità, può qui unicamente aggiungersi come l’eliminazione delle citate previsioni, in una con la riaffermazione della immanente applicabilità delle disposizioni di principio e delle garanzie costituzionali appena citate, restituisce ai fondamentali diritti e princìpi di tutela della persona la potenzialità applicativa e capacità espansiva che è loro propria, affrancandole dall’ingiustificata, tecnicamente non condivisibile e, soprattutto, pericolosamente riduttiva indicazione casistica adottata dal legislatore del 2005: una tecnica di normazione che, come in precedenza notato in relazione alla riformulazione dell’articolo 2, richiamando l’uno piuttosto che l’altro dei diritti protetti dalla Convenzione EDU rischiava unicamente di occultare agli occhi dell’interprete il generale riconoscimento di quei diritti nell’ambito della procedura di consegna su mandato di arresto europeo.

Non è, del resto, certo un caso se, anche in epoca recente, la Commissione UE ha deciso di non dare seguito alla sollecitazione del Parlamento europeo che, tra i vari interventi di ‘adeguamento’ della decisione quadro (asseritamente) necessari, aveva segnalato le problematiche inerenti i diritti fondamentali.

Inoltre, è ben vero che l’«elevato livello fiducia reciproca fra gli Stati membri» è concetto recepito in termini stringenti dalla decisione quadro, al punto che al considerando (10) si prevede che l’attuazione del «meccanismo» del mandato di arresto europeo possa essere sospesa «solo in caso di grave e persistente violazione da parte di uno Stato membro dei principi sanciti all’articolo 6, paragrafo 1, del trattato sull’Unione europea, constatata dal Consiglio in applicazione dell’articolo 7, paragrafo 1, dello stesso trattato, e con le conseguenze previste al paragrafo 2 dello stesso articolo».

E purtuttavia, anche nell’ambito di un sistema così rigidamente informato al suddetto principio-cardine e alle sue implicazioni (soprattutto, come visto, in termini di tassatività dei motivi di rifiuto e di loro stretta interpretazione), le irrinunciabili istanze di protezione dei diritti fondamentali della persona hanno trovato immediata risposta e salvaguardia nelle decisioni della Corte di giustizia, che, pronunciandosi dapprima in materia di diritto d’asilo(49)e, in seguito, in tema di mandato di arresto europeo, ha difatti costantemente riaffermato la centralità della dignità dell’uomo quale principio fondante e prioritario, la cui tutela non può essere subordinata all’attesa di un’ufficiale formalizzazione dello stato di «grave e persistente inadempienza» da parte di singoli Stati membri al rispetto dei diritti primari della persona garantita dal Trattato e della Carta di Nizza.

In relazione alle drammatiche condizioni dei penitenziari di alcuni paesi, la Corte di giustizia ha strutturato un meccanismo di procedimentalizzazione degli scambi informativi tra Stato di esecuzione e Stato di emissione (cd. test Aranyosi), volto a consentire al primo dapprima di differire l’adempimento dell’obbligo di consegna e, all’esito, ovvero allorquando venga a mancare la prospettiva d’una risoluzione ‘in tempi ragionevoli’ della problematica, di «porre termine» alla procedura di consegna e, dunque, di liberarsi (legittimamente) dall’obbligo suddetto(50).

Il citato meccanismo procedurale, basato su un accertamento bifasico cui alla verifica dell’eventuale natura «sistemica o generalizzata» della violazione deve far seguito un accertamento – mirato e in concreto – sulla specifica situazione della persona interessata, è stato in tempi recenti replicato dalla Corte nell’affrontare le problematiche conseguenti al progressivo deterioramento della tenuta dei princìpi della Rule of law in altro Stato dell’Unione(51) .

In entrambe le circostanze, gli orientamenti espressi dalla Corte di Lussemburgo sono stati progressivamente recepiti e assimilati dalla nostra giurisprudenza(52), senza che siano emersi profili di sostanziale contrasto o frizione con i valori cardine dell’ordinamento costituzionale interno.

Anche nella più recente pubblicazione in argomento si riconosce che, alla luce dei più recenti sviluppi del quadro giurisprudenziale sovranazionale, «[l]a fiducia reciproca quale base della cooperazione giudiziaria non è più intesa come fiducia cieca quanto al fatto che gli Stati membri tutelino adeguatamente i diritti fondamentali e le autorità giudiziarie nazionali hanno la possibilità di porre in discussione ciò che in passato era un assunto strenuamente difeso dai giudici di Lussemburgo».

6.2.3. La soppressione dei motivi di rifiuto di cui all’articolo 17, comma 4, e all’articolo 18 lettere b) e c) (cause di non punibilità), n) (prescrizione), q) (mancanza motivazione nel mandato di arresto nazionale) e r) (immunità e privilegi) – Articoli 13, lettera d), e 14.

6.2.3.a. Quanto ai motivi di rifiuto di cui alle lettere b) e c) dell’attuale articolo 18 della legge n. 69, correlati – come in precedenza accennato – a ulteriori verifiche ‘di merito’ sull’eventuale ricorrenza di cause di non punibilità (consenso dell’avente diritto; esercizio di un diritto o adempimento di un dovere; caso fortuito o forza maggiore), valgono le considerazioni a suo tempo esposte in riferimento alle disposizioni in tema di documentazione supplementare(53), che vanno altresì richiamate in merito all’abrogazione della verifica sulla sussistenza della motivazione del provvedimento cautelare interno (articolo 18, lettera q)) e dei gravi indizi di colpevolezza (articolo 17, comma 4), rispettivamente disposte  dall’articolo 14  e dall’articolo 13, lettera d) dello schema di decreto(54).

6.2.3.b. Quanto al motivo di rifiuto di cui all’articolo 18, lettera n), concernente le ipotesi in cui «i fatti per i quali il mandato d’arresto europeo è stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena», si osserva che esso è previsto dall’articolo 10 della Convenzione europea di estradizione, talora interpretato dalla nostra giurisprudenza nel senso che vada applicata la ‘norma di miglior favore’ per l’interessato.

Anche svariati trattati bilaterali lo prevedono, in alcuni casi in termini strettamente analoghi alla Convenzione.

Il motivo non è invece contemplato dalla disciplina generale dettata dal codice di procedura penale, applicabile nei casi di estradizione cd. extraconvenzionale.

In taluni trattati bilaterali, come in quelli conclusi con il Canada (articolo III, lettera e)) e con gli Stati Uniti d’America (articolo VIII), la prescrizione assume rilievo solo alla stregua della legislazione dello Stato richiedente.

In epoca recante, a seguito di legge 19 luglio 2019, n. 66, l’Italia ha ratificato la Convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea, con Allegato, fatta a Dublino il 27 settembre 1996, il cui articolo 8 prevede la prescrizione dell’azione penale o della pena come motivo di rifiuto solo facoltativo, esercitabile allorquando i fatti su cui la domanda di estradizione è basata, secondo la legge dello Stato richiesto, rientrano nella sua giurisdizione.

Tale impostazione risulta recepita anche dalla decisione quadro che, all’articolo 4 n. 4), annovera la prescrizione tra i motivi di non esecuzione facoltativa del mandato di arresto europeo. 
Ebbene, premesso che – per quanto appena detto – l’attuale configurazione della prescrizione come motivo obbligatorio di rifiuto risulta in contrasto con le previsioni della decisione quadro, si è comunque ritenuto di non prevederla neanche come motivo facoltativo di rifiuto.

Ciò per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, infatti, attribuire all’Autorità giudiziaria la mera ‘facoltà’ di opporre il rifiuto, in assenza di parametri legali a fondamento della decisione, trasformerebbe di fatto in ‘arbitraria’ una scelta che la stessa decisione quadro, alla stregua dell’interpretazione datane dalla Corte di giustizia, struttura come ‘discrezionale’. Ne è conferma il fatto che, come detto, nell’estradizione accordata sulla base della mera cortesia internazionale, l’opposizione del motivo di rifiuto è rimessa alla valutazione del Ministro della giustizia, ovvero ad un organo di natura politico-amministrativa, e non all’Autorità giudiziaria.

Rilievo determinante ha, in ogni caso, assunto la considerazione secondo cui deve ritenersi comunque insussistente un interesse dello Stato ad accordare tutela all’aspettativa del soggetto ricercato di beneficiare delle previsioni nazionali in tema di prescrizione, laddove più favorevoli.

Rimangono, ovviamente, in ogni caso ferme le istanze di garanzia sottese al fondamentale principio del ne bis in idem, come già in precedenza segnalato(55).

6.2.3.c. Quanto al motivo di rifiuto di cui all’articolo 18, lett. r), anch’esso risulta estraneo alle previsioni di cui agli articoli 3 e 4 della decisione quadro, che alla materia dedica unicamente l’articolo 20 (riguardante, oltre alle «immunità» anche i «privilegi»), ove – per quanto qui di rilievo – si prevede, per la procedura passiva di consegna,  che «[s]e il ricercato beneficia di un privilegio o di un’immunità di giurisdizione o di esecuzione nello Stato membro di esecuzione, il termine di cui all’articolo 17 comincia a decorrere solo se e a partire dal giorno in cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione è stata informata del fatto che tale privilegio o immunità è revocato» (par. 1) e che, infine, «[s]e la revoca del privilegio o dell’immunità compete ad un’autorità dello Stato membro di esecuzione, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione le inoltra prontamente la richiesta», mentre «[s]e è [...] competente un’autorità di un altro Stato o organizzazione internazionale, spetta all’autorità giudiziaria emittente farne richiesta» (par. 2).

Tali previsioni sono integralmente riflesse nell’articolo 17, comma 3, della legge n. 69, così come modificato – in accoglimento di un’osservazione formulata dalla Commissione giustizia della Camera – dall’articolo 13 del presente decreto, più nel dettaglio illustrato nel capitolo 7 della presente relazione.

Le due discipline risultano, pertanto, perfettamente allineate nel prevedere che, sino al momento dell’eventuale revoca, non inizino a decorrere i termini per la decisione sulla consegna e che, nel frattempo, oltre ad informare l’autorità richiedente, la corte di appello debba unicamente provvedere ad inoltrare con immediatezza la richiesta di «esclusione» dell’immunità o del privilegio, allorquando la relativa competenza sulla spetti ad un organo dello Stato. 

Non potendosi, pertanto, assumere alcuna decisione sulla consegna sintantoché l’immunità non venga esclusa, si è provveduto all’abrogazione anche di tale motivo di rifiuto.

6.2.4. Le modifiche ai motivi di rifiuto facoltativo di cui all’articolo 18-bis, relativi ai mandati di arresto europei processuali ed esecutivi. In particolare, i motivi opponibili nel caso di mandato di arresto europeo (i) emesso nei confronti di cittadino UE residente o dimorante in Italia, ovvero (ii) basato su sentenza emessa in absentia. L’implementazione della facoltà dell’arrestato prevista dall’articolo 4-bis(2) della decisione quadro – Articoli 3, lettera a) e b), 15 e 16. 

a)    Premessa.

Con l’articolo 15 del decreto si propone una riformulazione del testo dell’articolo 18-bis della legge n. 69, introdotto dal comma 6 e intitolato ai motivi di rifiuto facoltativo della consegna. In tale disposizione, sono confluiti i motivi di rifiuto in precedenza previsti – come ‘obbligatori’ – dalle lettere o), p) e q) dell’articolo 18.

Avendo il legislatore delegante autorizzato la modifica delle previsioni contenute nell’articolo 18-bis, si è provveduto – nel rispetto del criterio di delega di cui alla lettera a) – dapprima ad introdurre nella disposizione taluni cambiamenti di natura essenzialmente formale e, quindi, ad apportare una significativa modifica al motivo di rifiuto opponibile in caso di richiesta di consegna riguardante il cittadino UE residente o dimorante in Italia.

Con l’articolo 16 del decreto, inoltre, si è introdotto un nuovo articolo 18-ter contenente la previsione di un motivo di rifiuto (naturalmente facoltativo) ricollegabile all’ipotesi di mandato di arresto europeo emesso per l’esecuzione di una sentenza emessa in absentia, che – anche dopo l’introduzione dell’articolo 4-bis della decisione quadro – risultava tuttora collocato nella lettera a) dell’articolo 19, ovvero tra le «garanzie» che, secondo tale norma, la corte di appello era è tenuta ad apporre alla decisione di consegna in alcuni casi determinati(56)

A tale secondo intervento si ricollega, da un lato, la (sostanziale) abrogazione della disposizione da ultimo citata attuata con l’articolo 17, dall’altro l’aggiornamento – ad opera dell’articolo 3, lettere a) e b) – delle previsioni in tema di contenuto del mandato di arresto europeo nella procedura passiva di consegna e di informazioni ‘suppletive’, contenute nell’articolo 6 della legge n. 69, già in precedenza esaminato(57).

Poiché, come rilevato in occasione dell’illustrazione delle modifiche apportate a tale ultima norma, lo schema di decreto prevede la soppressione dell’obbligo di acquisire il provvedimento interno su cui il mandato di arresto europeo si basa, e dunque – per quanto qui di interesse ricordare – della sentenza esecutiva, si è provveduto all’implementazione della previsione contenuta nell’articolo 4-bis(2) della decisione quadro, che riconosce alla persona ricercata il diritto di ricevere copia del suddetto provvedimento.

Giova sin d’ora premettere, quanto alla risistemazione formale del contenuto dell’articolo 18-bis, che l’intervento di modifica è stato attuato sviluppando il limite derivante dal ne bis in idem europeo al rifiuto per cd. litispendenza(58)e distinguendo, quindi, i motivi rilevabili a seconda che il mandato di arresto risulti emesso «al fine di esercizio di azioni giudiziarie in materia penale» (mandato di arresto europeo cd. processuale) o, invece, «ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale» (mandato di arresto europeo cd. esecutivo).

b)  I motivi di rifiuto opponibili nei casi di mandato di arresto europeo cd. processuale (articolo 18-bis, comma 1, della legge n. 69).

Per i casi di mandato di arresto europeo cd. processuale, collocati al comma 1 della disposizione, alle lettere a) e b) sono stati riprodotti, senza apportare alcuna modifica al testo originario delle disposizioni – il motivo di rifiuto connesso alla cd. territorialità(59)e, rispettivamente, quello della litispendenza(60).

A proposito di tale secondo motivo di rifiuto, va notato che la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente espresso, e di recente ribadito, l’orientamento secondo cui «quando la richiesta di consegna riguarda fatti commessi in parte nel territorio dello Stato, tale motivo è ravvisabile solo quando sussiste non un potenziale interesse dell’ordinamento interno ad affermare la giurisdizione, ma una situazione oggettiva, dimostrata dalla presenza di indagini sul fatto oggetto del mandato di arresto, sintomatica dell’effettiva volontà della Stato di affermare la propria giurisdizione»(61)(62).

Condividendosi le ragioni di fondo di tale orientamento, si è ritenuto non opportuno procedere all’implementazione degli ulteriori motivi di rifiuto facoltativo contemplati dall’articolo 4(3) della decisione quadro, che – riflettendo situazione di ‘stasi’ del procedimento interno – appaiono sostanzialmente assimilabili (oltre che, in larga parte, ricomprese) nel già citato motivo di cui alla lettera a)(63).

c)  Il rifiuto facoltativo di esecuzione in caso di cittadino UE residente o dimorante in Italia (articolo 18-bis, comma 2, della legge n. 69).

Per i casi di mandato di arresto europeo cd. esecutivo, è stato riprodotto il motivo di rifiuto facoltativo che il legislatore delegante aveva trasferito dalla lettera r) dell’articolo 18 alla lettera c) del nuovo articolo 18-bis.

La norma reca un’importante modifica richiedendo che, per rifiutare la consegna del cittadino di altro Stato membro dell'Unione europea, legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano, occorra che dette condizioni perdurino da almeno cinque anni(64).

Come osservato dalla Grande sezione della Corte di giustizia in un’importante pronuncia resa su un’identica norma in vigore nell’ordinamento dei Paesi Bassi, la scelta dello Stato membro di circoscrivere la portata dei motivi di rifiuto «non fa che rafforzare il sistema di consegna istituito da[lla] detta decisione quadro a favore di uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia»(65)

In tal modo, infatti, viene «agevola[ta] la consegna delle persone ricercate, conformemente al principio del reciproco riconoscimento sancito dall’art. 1, n. 2, della decisione quadro 2002/584, il quale costituisce il principio fondamentale istituito da quest’ultima».

Del resto, come osserva la Corte, «anche se il motivo di non esecuzione facoltativa stabilito all’art. 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584, al pari dell’art. 5, punto 3, della stessa, mira segnatamente a permettere di accordare una particolare importanza alla possibilità di accrescere le opportunità di reinserimento sociale della persona ricercata una volta scontata la pena cui essa è stata condannata [...], tale scopo, anche se importante, non può escludere che gli Stati membri, nell’attuazione di detta decisione quadro, limitino, nel senso indicato dal principio fondamentale enunciato al suo art. 1, n. 2, le situazioni in cui dovrebbe essere possibile rifiutare di consegnare una persona rientrante nella sfera di applicazione di detto art. 4, punto 6».

La Corte, inoltre, nel ricordare che lo stesso Governo olandese nel giudizio aveva rappresentato come l’intentio legis fosse quella di porre argine alla «grande inventiva [dimostrata dagli interessati] al fine di provare l’esistenza di un collegamento con la società olandese» (problematica, si noti, parimenti avvertita da Paesi che, come l’Italia, costituiscono meta ambita per i cittadini provenienti da taluni Stati membri), ha espressamente escluso un possibile contrasto della norma con il principio di non discriminazione tra cittadini UE, osservando che, proprio in considerazione della finalità perseguita dall’articolo 4(6) della decisione quadro (ovvero, come già detto, l’accrescimento delle opportunità di reinserimento sociale del condannato), risulta pienamente «legittimo per lo Stato membro di esecuzione perseguire siffatto obiettivo soltanto nei confronti delle persone che abbiano dimostrato un sicuro grado di inserimento nella società di detto Stato membro»: laddove, al contrario, «un cittadino comunitario che non ha la cittadinanza dello Stato membro di esecuzione e non è risieduto ininterrottamente in detto Stato per un determinato periodo di tempo presenta, in genere, più collegamenti con il proprio Stato membro di origine che con la società dello Stato membro di esecuzione».

Sotto il profilo della proporzionalità della differenza di trattamento rispetto all’obiettivo perseguito dal diritto nazionale, la Corte ha rilevato, inoltre, che così come «il principio secondo cui un mandato di arresto europeo non è eseguito contro un cittadino nazionale non risulta eccessivo», dal momento che la persona «presenta con il proprio Stato membro di origine un collegamento tale da garantire il suo reinserimento sociale dopo che la pena cui è stato condannato vi sarà stata scontata», identica considerazione si impone anche in relazione alla limitazione prevista per i cittadini degli altri Stati membri residenti «tenuto conto, in particolare, dei requisiti richiesti per rispondere all’esigenza dell’inserimento dei non cittadini nello Stato membro di esecuzione». D’altro canto, come pure osserva la Corte aderendo alle considerazioni dei governi dei Paesi Bassi e austriaco, «tale condizione di un soggiorno ininterrotto per una durata di cinque anni, come risulta dal diciassettesimo ‘considerando’ e dall’art. 16 della direttiva 2004/38, è stata appunto fissata come la durata oltre la quale i cittadini dell’Unione acquistano un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante»(66); e, inoltre, anche «la decisione quadro 2008/909 [...] consente agli Stati membri, nel contesto del suo art. 4, n. 7, lett. a), di facilitare maggiormente la comunicazione di una sentenza quando la persona condannata vive e risiede legalmente e ininterrottamente da almeno cinque anni nello Stato membro di esecuzione e vi conserverà un diritto di residenza permanente».

Alla stregua di tali considerazioni, si è dunque provveduto alla modifica del testo della norma nei termini indicati, in esecuzione del generale obiettivo che la lettera a) della norma di delega individua nella «armonizza[zione del]le disposizioni della legge 22 aprile 2005, n. 69, alla decisione quadro 2002/584/GAI».

Ed infatti, come emerge con chiarezza dalle parole della stessa Corte di giustizia dell’Unione europea, l’introduzione di una soglia quinquennale per la rilevanza delle condizioni di residente o dimorante del cittadino UE ai fini del rifiuto di esecuzione del mandato di arresto europeo risulta strettamente funzionale, da un lato, alla migliore attuazione del principio del mutuo riconoscimento e delle procedure di consegna, dall’altro a garantire l’effettiva rispondenza dei casi di rifiuto alla ratio sottesa alla previsione dell’articolo 4(6) della decisione quadro.

d) Il rifiuto facoltativo di esecuzione in caso di processo in absentia (articolo 18-ter, comma 2, della legge n. 69).

Come segnalato in premessa, una rilevante modifica è stata introdotta con riferimento alla disciplina dell’esecuzione del mandato di arresto europeo, allorquando quest’ultimo risulti basato su sentenza emessa all’esito di un processo celebrato in absentia.

Si è pure già detto che, ai fini in esame, le disposizioni cui fare riferimento sono contenute negli articoli 3, lettere a) e b), 16 e 17 dello schema di decreto. 

Le ragioni di tale articolato intervento di modifica sono state già in precedenza accennate allorquando si è ricordato che la decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio del 26 febbraio 2009 ha soppresso la previsione concernente le garanzie relative ai processi in absentia prevista dall’articolo 5, n. 1 della decisione quadro sul mandato di arresto europeo e vi ha contestualmente introdotto l’attuale articolo 4-bis.

Con tale norma, come detto, è stato previsto un motivo facoltativo di rifiuto opponibile nell’ipotesi in cui l’Autorità di emissione non fornisca alcune specifiche indicazioni, puntualmente elencate nella disposizione, volte a ‘garantire’ all’Autorità di esecuzione che l’interessato è stato posto in grado di partecipare al processo o, in alternativa, che – comunque – gli sarà riconosciuto il diritto di richiedere un nuovo processo o, quantomeno, a proporre «un ricorso in appello cui [...] ha il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, e può condurre alla riforma della decisione originaria». 

Va notato che, nel contesto di tale intervento, nessuna modifica è stata apportata alla disposizione della decisione quadro che delinea il contenuto del mandato di arresto europeo (e, cioè, l’articolo 8), essendo stato direttamente modificato il modulo ad essa allegato, in cui si è stato inserito il campo contraddistinto dalla lettera d), destinata appunto ad accogliere le informazioni richieste all’Autorità di emissione in caso di mandato di arresto europeo basato su sentenza («esecutiva») emessa a seguito di processo in absentia. Tale tecnica di intervento è stata resa possibile dalla circostanza che l’articolo 8 della decisione quadro contiene un esplicito rinvio al modulo suddetto.

Ebbene, come pure già segnalato, nell’attuare tale disposizione il legislatore del 2016 ha introdotto le nuove previsioni dell’articolo 4-bis della decisione quadro nell’articolo 19 della legge n. 69, continuando a disciplinare la problematica in termini di «garanzie» che lo Stato di emissione deve fornire (e, tra l’altro, interpolandovi un improprio riferimento al «certificato» previsto dalla decisione quadro 909/2008/GAI per il cd. trasferimento dei detenuti in ambito UE). 

La più diretta ed evidente conseguenza di tale impostazione si coglie nel fatto che, in mancanza di una previsione volta a riconoscere al giudice un ‘potere discrezionale’ di valutazione in caso di mancata prestazione delle suddette garanzie, quest’ultima ha – di fatto – continuato a rilevare come causa obbligatoria di rifiuto di esecuzione.

Di qui, dunque, la necessità di un ulteriore intervento di riallineamento normativo.

Per illustrare compiutamente i contenuti di quest’ultimo, occorre ancora premettere che, a differenza dell’articolo 8 della decisione quadro, l’articolo 6 della nostra legge nazionale non contiene alcun riferimento al modulo da compilarsi all’atto dell’emissione del mandato di arresto europeo.

Ebbene, con la modifica prevista nell’articolo 3 dello schema di decreto, si è quindi interpolato, dopo il comma 1 dell’articolo 6, un nuovo comma 1-bis, all’interno del quale sono confluite le disposizioni prima contenute ai numeri da 1) a 4) dell’articolo 19, comma 1, lettera a), relative alle cd. garanzie. In accoglimento di un’osservazione formulata dalla Commissione giustizia della Camera, oltre ad operarsi alcune modifiche di carattere puramente formale volte a favorire una migliore intellegibilità del testo da parte degli operatori nazionali, la disposizione concernente l’avvenuta citazione dell’imputato per il processo è stata più compiutamente allineata al disposto dell’articolo 4-bis(1), lettera a), con l’inserimento anche dell’ipotesi in cui, pur se non notificata «a mani proprie», detta citazione risulti effettuata «con altre modalità comunque idonee a garantire inequivocabilmente che [l’imputato] era a conoscenza della data e del luogo del processo che ha portato alla decisione pronunciata in sua assenza e del fatto che tale decisione avrebbe potuto esser presa anche in sua assenza» (lettera a).

Inoltre, si è proceduto ad un adattamento del comma 2, concernente – come a suo tempo visto – l’acquisizione delle ‘informazioni suppletive’, a mezzo della cui sollecitazione la corte di appello dovrà invitare l’autorità di emissione a colmare le lacune riscontrate nella compilazione del campo d) del modulo o a fornire le ulteriori delucidazioni eventualmente necessarie (lettera b).

All’articolo 16 è stato invece delineato conformemente alla nuova configurazione ‘strutturale’ dell’articolo 4-bis della decisione quadro, il motivo facoltativo di rifiuto correlato al mancato riscontro delle garanzie da accordarsi in caso di processo in assenza.

Si è pertanto previsto che, laddove il mandato di arresto europeo non contenga l’indicazione di alcuna delle condizioni di cui all’articolo 6, comma 1-bis, e lo Stato di emissione non abbia provveduto a riscontrare (o abbia riscontrato solo parzialmente) la richiesta di integrazione all’uopo formulata dalla corte di appello, quest’ultima sia legittimata rifiutare l’esecuzione del mandato di arresto europeo. In conseguenza dell’accoglimento del rilievo formulato dalla Commissione giustizia della Camera sopra ricordato, si è previsto che, in mancanza di dette indicazioni, la corte di appello possa comunque accordare la consegna quando «risulta provato con certezza che l’interessato era a conoscenza del processo o che si è volontariamente sottratto alla conoscenza del processo». Sono state in tal modo selezionate, oltre che rese esplicite, le sole ipotesi di processo in absentia previste dall’articolo 420-bis, comma 2, del codice di procedura penale compatibili con le modifiche apportate dall’articolo 3 del decreto al comma 1-bis dell’articolo 6 della legge n. 69. 

Infine, il comma 3 della norma, come anticipato, riconosce all’imputato – che non abbia, in precedenza, ricevuto personalmente la notifica decisione azionata con il mandato di arresto europeo – la facoltà di richiedere alla corte di acquisire detta decisione dall’Autorità di emissione. L’intervento di modifica, la cui necessità discende – ovviamente – dall’avvenuta abrogazione dell’articolo 6, comma 3 della legge n. 69(67), è completata dalla previsione dell’obbligo della corte di provvedere «all’immediato inoltro della richiesta all’autorità emittente» e dalla neutralizzazione («in ogni caso») della possibile incidenza negativa dell’esercizio della suddetta facoltà sulla serrata tempistica prevista per la conclusione del procedimento. 

In tal modo, come detto, si è provveduto all’implementazione nel nostro sistema dell’articolo 4-bis(2) della decisione quadro.

Con l’articolo 17, infine, in conseguenza delle modifiche illustrate (e, segnatamente, dell’eliminazione della previsione in tema di processo in absentia), viene riproposto il testo dell’articolo 19, riclassificando le residue «garanzie» originariamente previste, ora anche numericamente allineate a quelle catalogate nell’articolo 5 della decisione quadro a seguito della novella apportatavi dalla decisione quadro 2009/299.

6.2.5. Le modifiche in tema di garanzie richieste allo Stato di emissione nel caso di consegna di cittadini di altri Stati residenti o dimoranti in Italia – Articolo 17. 

Sempre con l’articolo 17 del decreto legislativo, oltre ad alcuni cambiamenti di natura puramente formale(67-bis), sono state apportate due ulteriori modifiche alle previsioni relative dell’articolo 19(68), entrambe riguardanti la ‘condizione di rientro’ – ora prevista dalla lettera b) della norma – che la corte di appello deve apporre in caso di accoglimento di richieste di consegna su mandato di arresto europeo avanzate nei confronti di cittadini italiani o cittadini di altri Stati comunque ‘radicati’ sul territorio nazionale.

Le modifiche condividono, altresì, l’identica finalità di razionalizzazione del sistema e, pertanto, di miglioramento del grado di armonizzazione dell’ordinamento nazionale al principio del mutuo riconoscimento e alle disposizioni della decisione quadro 2002/584. 

La prima modifica consiste dell’esclusione, dall’ambito di applicazione della norma, dei cittadini appartenenti a Stati non UE.

La seconda nell’inserimento della ‘soglia di rilevanza temporale’ di cinque anni, già illustrata a proposito della disposizione di cui all’(attuale) articolo 18-bis, comma 2, della legge n. 69. Trattandosi, come detto, di disposizione sostanzialmente ‘speculare’ a quella in esame, appare opportuno rinviare alle osservazioni già esposte in detta.

Se la necessità di riallineamento normativo appena illustrata discende da una nuova previsione introdotta dal presente decreto, quella cui si fa fronte con la prima modifica affonda invece le sue radici nelle scelte dal legislatore del 2005.

Come si è infatti accennato nelle premesse della presente relazione(69), l’articolo 19 costituisce una delle (non frequentissime, per il vero) evenienze in cui una disposizione della decisione quadro risulta pressoché integralmente riprodotta nella legge n. 69.

L’affermazione, tuttavia, neanche in tale circostanza sottende un giudizio positivo sull’opzione normativa a suo tempo operata.

Ciò per una pluralità di ragioni, due delle quali particolarmente significative.

In primo luogo, come si è più volte avuto modo di sottolineare, la richiesta di «garanzie» ad uno Stato membro costituisce, in un sistema basato sulla fiducia reciproca e sul principio mutuo riconoscimento, la negazione della prima e un’eccezione al secondo, che di quest’ultimo limita la portata espansiva, rallenta la tempistica e la dinamica di funzionamento, rischia – negli specifici casi – di vanificare del tutto la finalità pratica.

In secondo luogo, la ripetuta connotazione ‘speculare’ della norma rispetto all’omogeneo motivo di rifiuto esibisce un’apparente armonia logica, nell’invero non del tutto usuale piena equiparazione tra cittadini UE e cittadini extra UE.

Nell’impostazione del legislatore del 2005, infatti, le due categorie venivano assoggettate al medesimo regime. Per entrambe veniva esclusa, nei casi di mandato di arresto europeo esecutivo, la possibilità di scontare in Italia la pena, mentre a fronte di un mandato di arresto europeo processuale era imposta l’apposizione della ‘condizione di rientro’.

La solo apparente ragionevolezza dell’egual trattamento garantito a chi non possegga la cittadinanza italiana emerge a fronte della comune ratio dei due istituti appena menzionati, che è alla base della loro più volte sottolineata caratteristica di ‘specularità’.

Tanto il rifiuto della consegna, quanto l’apposizione della condizione di rientro, risultano infatti funzionali a garantire al destinatario del mandato di arresto europeo di mantenere – nei limiti del possibile – i propri legami (familiari, affettivi, lavorativi, culturali e d’ogni altra natura) nel paese di residenza: in tal modo, infatti, si preservano le condizioni di un futuro reinserimento sociale del reo.

E’, però, altrettanto chiaro che tale finalità non può perseguita secondo criteri di scelta divergenti a seconda della natura del provvedimento ‘sottostante’ al mandato di arresto europeo.

Tanto più che, nel mantenere l’obbligatorietà della consegna dei cittadini degli altri Stati in caso di mandato di arresto europeo esecutivo e nel prescegliere il regime condizionato nell’ipotesi di mandato di arresto europeo processuale, si generano conseguenze pratiche fortemente contradditorie.

E ciò perché il ‘non cittadino’ che abbia commesso un reato nella giurisdizione di altro Stato membro, laddove già condannato, sarà consegnato allo Stato richiedente, perché possa ivi scontare la pena inflittagli. Se, invece, il medesimo Stato membro richieda l’esecuzione di una misura cautelare emessa per il medesimo reato nei confronti della stessa persona, quest’ultima sarà consegnata per la sola celebrazione del processo (talora non inverosimilmente destinato a protrarsi per il tempo necessario alla dissoluzione di quel fascio di legami di varia natura in cui si concretizza il concetto di ‘radicamento’), dovendo tuttavia in seguito rientrare in Italia per scontare la pena irrogatagli in caso di condanna.

A tale situazione ha posto riparo, seppur parzialmente, la Corte costituzionale con la sentenza n. 227 del 2010, già in precedenza ricordata.

Con tale sentenza, l’evidenziata disarmonia normativa è stata elisa con riferimento alla posizione degli altri cittadini UE, ora in tutto equiparati – ai fini che occupano – ai cittadini italiani.

Essa permane, invece, rispetto ai cittadini di Stati terzi, che risultano tuttora esposti ai rischi connessi all’intermettente tutela delle finalità di reinserimento sociale del reo, che si è appena descritta.

Va aggiunto che, nella primavera del corrente anno, la Corte di cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18-bis della legge n. 69 «nella parte in cui non prevede il rifiuto facoltativo della consegna del cittadino di uno Stato non membro dell'Unione europea che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, sempre che la Corte di appello disponga che la pena o la misura di sicurezza irrogata nei suoi confronti dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno».

E’ di interesse notare che la questione risulta sollevata in un procedimento avente ad oggetto la richiesta di consegna di un cittadino albanese, a carico del quale l’Autorità giudiziaria di uno Stato membro ha emesso un mandato di arresto europeo per l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna alla pena dell’ergastolo (oltre che ad una multa di importo elevato).

Nel provvedimento impugnato la corte di appello ha ritenuto di rifiutare la consegna e, contestualmente, di procedere al riconoscimento e alla messa in esecuzione della summenzionata sentenza di condanna, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata del disposto dell’articolo 18, lettera r), della l. n. 69 del 2005 (all’epoca ancora vigente), volta ad evitare un’irragionevole disparità di trattamento rispetto al regime previsto dall’articolo 19, primo comma, lettera c).

La Corte di cassazione, pur censurando la soluzione ermeneutica proposta dalla corte d’appello ritenuta debordante – in quanto incompatibile con il tenore letterale della norma – rispetto ai limiti propri dell’interpretazione conforme a Costituzione, ha fatto tuttavia propri i dubbi di costituzionalità evocati nel provvedimento, articolando ulteriori censure di costituzionalità in riferimento ai parametri costituzionali che si sono in precedenza ricordati.

Ebbene, la circostanza che il più autorevole consesso giurisdizionale della Repubblica dubiti della ragionevolezza dei meccanismi di funzionamento della normativa sul mandato di arresto europeo, in relazione alla diversa rilevanza del ‘radicamento’ della persona richiesta in consegna a seconda della natura processuale o esecutiva del suddetto mandato, evidenzia l’estrema delicatezza del tema.

E ciò, naturalmente, a prescindere sia dalle marcate peculiarità del caso concreto (in cui il condannato potrebbe dover scontare sino all’ultimo giorno della sua esistenza all’interno di un penitenziario, non avendo pertanto in concreto alcuna possibilità di fruire delle opportunità di reinserimento derivatigli dal rifiuto della consegna), sia da qualsiasi rilievo condizionato dal significativo impatto che un accoglimento della questione sollevata dalla Corte di legittimità potrebbe sortire sulle residue capacità di tenuta del sistema penitenziario italiano, sino a pochi anni addietro monitorato dalla Corte di Strasburgo per problematiche connesse ad una grave situazione di sovraffollamento carcerario.

Ciò che, infatti, unicamente conta nella presente sede è, per un verso, l’esigenza di porre rimedio al segnalato profilo di vistosa contraddittorietà che emerge ad una pur sommaria analisi dell’impianto normativo, per altro verso, l’individuazione di una soluzione appropriata, rispettosa dei molteplici e rilevanti valori che si intrecciano e si sovrappongono nella ricerca di una risoluzione della questione in esame.

Quest’ultima potrebbe considerarsi astrattamente suscettibile di essere affrontata nella prospettiva auspicata nell’ordinanza di rimessione alla Consulta, la cui eventuale decisione di accoglimento comporterebbe il definitivo superamento dell’aporia sistematica innescata dalle scelte a suo tempo operate nell’implementazione della decisione quadro. Ne conseguirebbe, infatti, una totale equiparazione nel trattamento delle posizioni dei cittadini italiani, dei cittadini degli altri Stati membri e, infine, dei cittadini appartenenti a Stati terzi.

Una simile soluzione, se si appalesa davvero difficilmente compatibile con la costante diversità dei regimi cui le categorie indicate sono soggette (godendo, in particolare, i soli cittadini UE del diritto di stabilimento, di libera circolazione e, più in generale, del diritto alla parità di trattamento), risulta addirittura impercorribile ove riguardata nell’ottica degli obblighi derivanti dalla decisione quadro.

Ciò in quanto, com’è ovvio, essa comporta un ampliamento dei motivi di rifiuto dell’esecuzione e, dunque, come più volte ripetuto, una riduzione dell’ambito di operatività del principio di mutuo riconoscimento: tanto più che l’alternativa costituita dall’eliminazione della garanzia di rientro, sicuramente legittima alla stregua della natura meramente facoltativa dell’opzione definita dall’articolo 5 della decisione quadro (la quale implica, per consequenzialità logica, anche la possibilità di opzioni anche solo parziali, e cioè nella specie limitate a singole categorie di soggetti residenti), sortisce un effetto diametralmente opposto, di segno positivo, sulla valutazione del grado di “armonizzazione” del sistema nazionale rispetto al più volte citato principio-cardine e all’elevato grado «fiducia reciproca» che esso sottende, come richiesto dalla lettera a) delle norme di delega.

E’, dunque, sulla base di tali considerazioni che, nell’adempiere al citato criterio direttivo, con l’articolo 17, dello schema di decreto si è prevista la limitazione ai soli cittadini UE legittimamente ed effettivamente residenti in Italia da almeno cinque anni della garanzia di rientro prevista dall’articolo 19, lettera b) della legge n. 69 (nella stesura finale del decreto è stato eliminato, infatti, il refuso costituito dal riferimento alla condizione dei soggetti ‘dimoranti’, per i quali l’articolo 5, nr. 3, della decisione quadro non consente di apporre la condizione).

6.2.6. Le modifiche in tema di transito – Articolo 22. 

Nei pareri resi, le Commissioni giustizia della Camera e del Senato hanno entrambe richiesto di valutare l’opportunità di allineare la disciplina del transito, di cui all’articolo 27 della legge n. 69, alle modifiche introdotte alla consegna dei ‘non cittadini’ dagli articoli 15 e 17 del decreto, che si sono sin qui illustrate.

In proposito si è evidenziato che detta disciplina attribuisce al Ministro della giustizia il potere di rifiutare la richiesta di transito della persona da consegnarsi ad altro Stato membro in esecuzione di un mandato di arresto europeo se:

  1. non ha ricevuto informazioni circa l'identità e la cittadinanza della persona oggetto del mandato d'arresto europeo, l’esistenza di un mandato d'arresto europeo, la natura e la qualificazione giuridica del reato e la descrizione delle circostanze del reato, compresi la data e il luogo di commissione; 
  2. il ricercato è cittadino italiano o residente in Italia e il transito è richiesto ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale (cd. mandato di arresto europeo esecutivo). 

Quando invece il transito del cittadino o della persona residente in Italia è richiesto in vista dell’esercizio dell’azione penale (cd. mandato di arresto europeo processuale), l’articolo 27 della legge n. 69 riconosce al Ministro della giustizia la facoltà di «subordinare il transito alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata in Italia per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione».

Come visto, lo schema di decreto apporta rilevanti modifiche all’esecuzione dei mandati di arresto europei emessi nei confronti di persone che non siano in possesso della cittadinanza italiana ma che risiedano stabilmente nel nostro Paese, prevedendosi in particolare che:

  • per i cittadini di altri Stati UE, il rifiuto della consegna a fronte di un mandato di arresto europeo esecutivo è consentita unicamente se le persone risiedano o dimorino legittimamente ed effettivamente in Italia da almeno cinque anni, mentre la subordinazione della consegna alla condizione di ‘rinvio’ in Italia nei casi di mandato di arresto europeo processuale è prevista – come appena visto – per i soli residenti;
  • per i cittadini extracomunitari, invece, non è invece consentito né il rifiuto di consegna per i mandati di arresto europei cd. esecutivi, né la subordinazione della consegna alla condizione di "rinvio" in Italia.

Di qui l’esigenza di un riallineamento a tali princìpi anche delle ricordate disposizioni in materia di transito.

Apparendo il rilievo integralmente condivisibile, con l’articolo 22 del decreto è stato modificato l’articolo 27 della legge n. 69, limitandosi la facoltà di rifiuto ai soli cittadini UE legittimamente ed effettivamente residenti nel territorio italiano da almeno cinque anni.

7. La tempistica procedimentale. Il regime cautelare – Articoli 6 - 10, 12 - 13, 18 - 20, 23 e 27.

L’articolo 17 della decisione quadro disciplina i termini e le modalità per l’adozione della decisione di esecuzione del mandato di arresto europeo, stabilendo innanzitutto che il mandato di arresto europeo debba essere «trattato ed eseguito con la massima urgenza» (par. 1)(70)

La tempistica per l’assunzione della decisione viene definita in termini estremamente stringenti e differenziati a seconda che «il ricercato» abbia o meno acconsentito alla consegna richiesta dallo Stato di emissione.

Nel primo caso, la decisione definitiva dev’essere assunta «entro 10 giorni dalla comunicazione del consenso» (par. 2), negli altri «entro 60 giorni dall’arresto del ricercato» (par. 3). 

E’ prevista la possibilità di prorogare di 30 giorni i termini suddetti. La proroga può essere disposta al ricorrere di «casi particolari». Del differimento, e delle relative ragioni, l’autorità giudiziaria competente per la decisione sull’esecuzione dovrà «immediatamente» notiziare quella che ha emesso il mandato di arresto europeo (par. 4). 

La disposizione stabilisce, inoltre, che «fintanto che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non prende una decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo, essa si accerterà che siano soddisfatte le condizioni materiali necessarie per la consegna effettiva» (par. 5). 

Si prevede infine che, laddove ricorrano «circostanze eccezionali» che impediscano di rispettare (anche) i termini prorogati, lo Stato membro di esecuzione dovrà darne notizia all’Eurojust, indicando pure in questo caso i motivi del ritardo (par. 4).

La normativa interna si discosta, sotto svariati profili, dalle previsioni appena sintetizzate.

Al riguardo, è sufficiente in questa sede osservare:

  1. che l’attuale formulazione dell’articolo 17 della legge n. 69 consente alla corte di appello di assumere la decisione sulla consegna “utilizzando” entrambi i termini previsti dalla corrispondente previsione contenuta nella decisione quadro (ovvero sia quello “ordinario” di sessanta giorni, sia quello di trenta giorni in caso di proroga), sicché, qualora la corte effettivamente se ne avvalga, l’eventuale successiva proposizione del ricorso per cassazione comporta l’inevitabile superamento di detti limiti;
  2. che, per tale evenienza, l’articolo 21 della legge prevede che «la persona ricercata [sia] posta immediatamente in libertà»;
  3. che la medesima conseguenza risulta prevista nel caso in cui non vengano rispettati i più brevi termini previsti dall’articolo 14 per l’ipotesi in cui il ricercato presti il consenso, con l’ulteriore particolarità che – risultando (implicitamente) escluso ex articolo 22, comma 2, l’effetto sospensivo del ricorso per cassazione – la persona richiesta potrà essere comunque consegnata.

Al fine di rendere conforme tale disciplina a quella dettata dalla decisione quadro si è, dunque, reso innanzitutto necessario rimodulare ex novo le cadenze procedimentali, sì da fare in modo che, quantomeno laddove non ricorrano «circostanze» eccezionali, il termine complessivo massimo di novanta giorni (quaranta nei casi di consenso dell’interessato) possa essere rispettato: obiettivo che si è conseguito con le disposizioni degli articoli 7, 9, 10, 12, 13 e 18 dello schema, che saranno oggetto di successiva, puntuale, illustrazione.

In secondo luogo, si è dettata un’autonoma disciplina dei termini di durata della misura custodiale eventualmente applicata nei confronti della persona richiesta, che pur assumendo a riferimento quelli dettati per l’assunzione della decisione sulla consegna da parte della corte d’appello, elimina qualsiasi automatismo tra il superamento di detti termini e la perdita di efficacia di detta misura. 

Il regime cautelare eventualmente in essere nei confronti della persona richiesta in consegna è stato, dunque, svincolato dal rigoroso quanto non consentito automatismo, stabilito dall’articolo 21 della legge, che lo riconnetteva ai termini previsti (solo) ai fini dell’assunzione della decisione della corte di appello sulla consegna(71).

Sotto questo aspetto, con l’abrogazione dell’articolo 21 della legge (art. 22) e l’introduzione in essa del nuovo articolo 22-bis (art. 17), nonché con l’elisione dall’articolo 13 della prevista caducazione della misura cautelare in caso di ritardo nel pervenimento del mandato di arresto o della segnalazione della persona nel SIS (art. 9), si è adeguato l’assetto normativo alla interpretazione che del diritto unionale ha fornito la Corte di Giustizia, con particolare riferimento:

  • alla necessità di assicurare il rispetto dell’articolo 6 della Carta di Nizza (che prevede che ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza) e dell’articolo 52, paragrafo 1, della medesima Carta (che riconosce che possano essere apportate limitazioni all’esercizio di diritti come quelli sanciti dall’articolo 6 della medesima, purché tali limitazioni siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale di detti diritti e libertà e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui);
  • alla conseguente necessità che la protrazione della custodia della persona ricercata per un periodo la cui durata totale superi il tempo necessario all’esecuzione del mandato possa giustificarsi, in conformità dell’articolo 6 della Carta, soltanto a condizione che il procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo sia stato condotto con sufficiente diligenza e, pertanto, che la durata della custodia non risulti eccessiva;
  • alla concorrente e non meno pressante esigenza, posta dagli articoli 12 e 17, paragrafo 5, della decisione quadro, che l’autorità giudiziaria, anche laddove concluda di essere tenuta a porre fine alla custodia del ricercato,  disponga comunque, unitamente alla messa in libertà “provvisoria” di tale persona, qualsiasi misura ritenuta necessaria a evitare che quest’ultima si dia alla fuga, assicurandosi che permangano le condizioni materiali necessarie alla sua effettiva consegna fino a che non venga adottata una decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo(72)

Le modifiche che, in ragione dei due profili sopra evidenziati e di altri singoli aspetti di dettaglio (comunque anch’essi finalizzati alla più compiuta ed integrale implementazione delle previsioni della decisione quadro), sono apportate alla sequenza procedimentale per l’adozione della decisione definitiva sull’esecuzione del mandato di arresto europeo, vengono di seguito illustrate, seguendo l’ordine progressivo delle disposizioni che ad esse si riferiscono.

L’articolo 6 apporta modifiche all’articolo 9 della legge n. 69 del 2005, contenente disposizioni in materia di ricezione del mandato di arresto e di misure cautelari.

In particolare, oltre ad eliminarsi – come in precedenza detto(73) - ogni riferimento alla documentazione aggiuntiva della quale era richiesta la trasmissione ad opera dello Stato emittente il mandato di arresto, si ridefinisce l’ambito delle disposizioni in materia di misure cautelari personali che devono osservarsi, in quanto applicabili.

Tale intervento, compiuto con la sostituzione del comma 2 dell’articolo 9:

  1. richiama, fissando comunque un limite di applicabilità, le sole disposizioni contenute nei capi I, II, IV e VIII del titolo I del libro IV del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari, al fine di rendere palese l’applicabilità alla persona della quale è richiesta la consegna delle sole misure cautelari coercitive, e, in relazione ad esse, l’esclusione della disciplina codicistica in materia di estinzione e di impugnazione;
  2. amplia il catalogo delle disposizioni codicistiche che, seppure collocate nei capi richiamati, non possono comunque ritenersi applicabili per le misure cautelari coercitive applicate alla persona della quale è richiesta la consegna, includendo, affianco a quelle già contemplate dalla disposizione originaria (artt. 273, commi 1 e 2, 274, commi 1, lettera a) e c), e 280 c.p.p.), anche quelle del comma 3 dell’articolo 273, e degli articoli 275, comma 2-bis, 278, 279 e 297 c.p.p.;
  3. richiama, sempre nel limite della loro applicabilità, le specifiche disposizioni degli articoli 299 e 300, comma 4, del codice di procedura penale, nonché dell’articolo 19, commi 1, 2 e 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 448, relativo alle misure cautelari personali per i minorenni.

L’articolo 7 interviene sull’articolo 10 della legge 22 aprile 2005, n. 69.

In primo luogo, si stabilisce chiaramente il carattere irrevocabile delle dichiarazioni con le quali la persona acconsente alla propria consegna o rinuncia al principio di specialità, così superando i dubbi in merito alla irrevocabilità della rinuncia che la formulazione adottata all’articolo 14 dal legislatore del 2005 aveva ingenerato. 

Inoltre, al fine di contenere al massimo i tempi per la decisione si riduce da venti a quindici giorni il termine per la celebrazione dell’udienza di decisione sulla consegna e si stabilisce che il decreto di fissazione di tale udienza sia letto in udienza, così da evitare eventuali ritardi conseguenti a difetti di notifica e scongiurare, stante la presenza dell’interprete, anche l’insorgere di difficoltà della sua comprensione da parte della persona della quale è richiesta la consegna. 

Con l’inserimento di un comma aggiuntivo, il 4-bis, infine, si impone analoga celerità anche alla decisione sulla consegna nel caso la corte non abbia ritenuto di applicare alcuna misura cautelare, stabilendo identici termini per la fissazione dell’udienza di decisione e prevedendo che il relativo decreto sia in tal caso emesso contestualmente alla decisione in materia cautelare. Stante la mancata applicazione di misure cautelari coercitive alla persona richiesta, solo la rapidità del procedimento può, infatti, garantire l’effettività dell’eventuale decisione sulla consegna, obiettivo imposto dall’articolo 12 della decisione quadro.

L’articolo 8 interviene sull’articolo 11 della legge n. 69 del 2005, che disciplina l’arresto della persona della quale è richiesta la consegna.

Con la soppressione del riferimento, contenuto al comma 2, alla documentazione che l’articolo 6 della legge n. 69 del 2005, nella sua formulazione originaria, prevedeva fosse trasmessa unitamente al mandato di arresto da parte delle autorità dello Stato membro richiedente, si esclude che la comunicazione dell’avvenuto arresto della persona richiesta allo Stato membro avvenga anche al fine di ricevere detta documentazione, e si allinea in tal modo l’articolo 11 alle modifiche apportate all’articolo 6 della legge.

L’articolo 9 modifica le disposizioni dettate dall’articolo 13 della legge n. 69 del 2005 per quanto attiene alla convalida dell’arresto.

L’intervento è volto, in primo luogo, ad allineare a quanto previsto dall’articolo 10, così come modificato, le informazioni e gli avvertimenti che anche la persona arrestata ad iniziativa della polizia giudiziaria deve ricevere in ordine alla facoltà di esprimere il consenso alla consegna e alla facoltà di rinunciare al principio di specialità: ciò, in ragione dell’articolo 13 della decisione quadro, che impone che tali dichiarazioni siano raccolte da un’autorità giudiziaria e che siano espresse non solo volontariamente, ma anche con piena consapevolezza delle conseguenze che comportano.

In secondo luogo, perseguendo le medesime finalità acceleratorie del procedimento poste alla base dell’intervento operato sull’articolo 10 della legge n. 69 del 2005, si fa rimando per la fissazione dell’udienza alle disposizioni di questo stesso articolo, come modificato.

In particolare, si stabilisce che, nel caso in cui sia disposta l’immediata liberazione della persona arrestata, si proceda agli adempimenti previsti dall’articolo 10, comma 4-bis (ovvero all’immediata fissazione con decreto dell’udienza di decisione nei successivi quindici giorni) e che, nel caso in cui si proceda alla convalida dell’arresto, unitamente al provvedimento in materia cautelare debba essere emesso, dandone lettura, anche il decreto di cui all’articolo 10, comma 4,  ovvero il decreto di fissazione dell’udienza di decisione.

Quanto, infine, all’eliminazione della previsione che stabilisce, in caso di mancato pervenimento del mandato di arresto o della segnalazione della persona nel SIS nei dieci giorni successivi all’adozione della misura cautelare, la perdita di efficacia della misura cautelare applicata, si tratta di una elisione conseguente alla già ricordata necessità di armonizzare tutta la disciplina delle misure cautelari alle disposizioni dell’articolo 12 della decisione quadro che non contempla in alcuna fase del procedimento, per addivenire all’adozione di una decisione definitiva sulla consegna, l’obbligo di «rilascio della persona», a differenza di quanto stabilito, invece, in caso di violazione dei termini per la consegna dall’articolo 23. 

L’automatica caducazione della misura cautelare conseguente a ritardi nella trasmissione da parte dell’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente di tale documentazione confligge, infatti, con l’essenziale esigenza di garantire che la persona della quale è richiesta la consegna non si dia alla fuga: e ciò considerando che a quel ritardo può porsi rimedio anche utilizzando i termini previsti per le informazioni o gli accertamenti integrativi dall’articolo 16 della legge.

L’articolo 10 interviene a modificare la disciplina relativa al consenso alla propria consegna manifestato dalla persona richiesta, prevista dall’articolo 14 della legge n. 69 del 2005.

Il primo ambito di intervento attiene alla riduzione dei tempi necessari per l’adozione della decisione definitiva sulla consegna, al fine di garantire che essa possa essere assunta, come indicato dall’articolo 17, paragrafo 2, della decisione quadro, nei termini di dieci giorni dall’espressione del consenso, anche laddove la corte ravvisi la necessità di richiedere informazioni aggiuntive all’autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione.

Mantenendo e, anzi, elevando il grado di garanzie che devono accompagnare le dichiarazioni in merito al consenso alla consegna, si è stabilito, sostituendo il comma 1 dell’articolo 14, che, sia nel caso in cui il consenso è in sede di convalida dell’arresto eseguito dalla polizia giudiziaria (art. 13, comma 1), sia nel caso in cui il consenso è raccolto quando la persona è sentita dopo l’esecuzione della misura cautelare adottata a suo carico (art. 10, comma 1), il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, disponga la fissazione dell’udienza nei successivi quattro giorni dall’espressione del consenso; sempre al fine di accelerare la procedura, si è inoltre previsto che del decreto di fissazione sia data lettura in udienza alla persona interessata, in una lingua da lei compresa, e al suo difensore, nonché comunicazione al procuratore generale immediatamente o, comunque, entro le successive ventiquattro ore.

L’incremento delle garanzie, al quale si accennava in premessa, circa le modalità e condizioni che devono accompagnare l’espressione del consenso alla propria consegna eventualmente manifestato dalla persona richiesta, deriva dall’eliminazione, operata con la sostituzione integrale del comma 2 dell’articolo 14 della legge, della possibilità di rendere tale dichiarazione in carcere, necessaria in quanto l’articolo 13, paragrafo 1, della decisione quadro prevede sia l’autorità giudiziaria a raccogliere il consenso, mentre lo spostamento dell’avvertimento in ordine all’irrevocabilità del consenso, ad opera dell’articolo 7, nell’articolo 10, comma 1, della legge n. 69 del 2005 ha imposto la soppressione del comma 3 dell’articolo 14 che tale avvertimento pure contemplava. 

Mirano a conseguire il medesimo risultato acceleratorio anche la modifica del comma 4 e la sostituzione del comma 5 dell’articolo 14 della legge n. 69 del 2005, disposte, rispettivamente, con la lettera c) e d) dell’articolo in commento.

Con la modifica del comma 4, oltre ad eliminare la previsione del termine di dieci giorni per la pronuncia dell’ordinanza, si stabilisce che l’udienza di decisione, con contestuale adozione dell’ordinanza decisoria, possa essere differita di tre giorni per il caso in cui una qualsiasi circostanza oggettiva, o la stessa necessità di acquisire informazioni ulteriori, abbia impedito di emettere la decisione sulla consegna all’udienza celebrata nei  quattro giorni successivi all’espressione del consenso.

Anche la sostituzione del comma 5 dell’articolo 14 della legge n. 69 del 2005, mira a conseguire il medesimo risultato acceleratorio: si prevede infatti che la corte di appello dia immediata lettura dell’ordinanza con la quale decide sulla consegna della persona. E ciò sia nel caso di celebrazione dell’udienza di discussione a seguito di una dichiarazione di consenso alla consegna raccolta dal presidente della corte di appello o dal magistrato da lui delegato nel corso della convalida dell’arresto o dopo l’esecuzione dell’ordinanza cautelare, sia nel caso in cui il consenso è reso solo all’udienza di discussione.

Il secondo ambito di intervento riguarda la comunicazione alle competenti autorità dello Stato emittente della decisione definitiva o dell’impugnazione di quella decisione, ipotesi, quest’ultima, la cui limitata ricorrenza, stante l’irrevocabilità del consenso manifestato alla consegna, può essere effettivamente ricondotta a quei casi particolari per i quali l’articolo 17, paragrafo 4, della decisione quadro consente una proroga di trenta giorni del termine per l’adozione della decisione definitiva.

L’articolo 12 interviene sull’articolo 16 della legge n. 69 del 2005 che detta la disciplina delle informazioni e degli accertamenti integrativi il cui invio la corte di appello, nel caso ritenga insufficienti quelli già inoltratile, può richiedere allo Stato membro di emissione.

L’intervento opera un riallineamento degli atti che la corte di appello deve valutare nell’ambito della procedura del mandato di arresto: a tal fine, conformemente all’intervento operato sull’articolo 6 della legge, anche qui è stato eliminato il riferimento alla «documentazione» che pure l’articolo 16 conteneva.
Inoltre, si sostituisce, per il caso di ritenuta insufficienza delle informazioni, la facoltà della corte di appello di richiedere alle autorità dello Stato emittente ulteriori informazioni con la previsione della doverosità di tale richiesta, della quale è rimarcata l’urgenza, come previsto dall’articolo 15, paragrafo 2, della decisione quadro.

L’articolo 13 interviene sull’articolo 17 della legge n. 69 del 2005, modificandone i commi 2, 3 e 4 e sostituendo il comma 7.

Eccezion fatta per l’intervento operato sul comma 3 della disposizione, del quale si dirà in seguito, le modifiche apportate intendono perseguire, in primo luogo, quell’accelerazione dei tempi del procedimento necessaria per rispettare il termine per l’adozione della decisione definitiva sulla esecuzione del mandato di arresto europeo, che l’articolo 17, paragrafo 2, della decisione quadro indica in «60 giorni dall’arresto del ricercato».

A tal fine, la modifica disposta sul comma 2 dell’articolo 17, oltre a rimarcare la necessità che la decisione da parte della corte di appello sia adottata «nel più breve tempo possibile», riduce da sessanta a quindici giorni il termine per l’adozione della decisione sulla consegna, di cui specifica il dies a quo, individuandolo in quello dell’esecuzione della misura cautelare disposta o dell’avvenuto arresto della persona ricercata, mentre l’operata introduzione del comma 2-bis nell’articolo 17 chiarisce che, nel caso in cui ricorra la necessità di acquisire informazione, il termine per l’adozione della decisione potrà essere prorogato di dieci giorni. 

Inoltre, in coerenza con l’intervento già operato sul comma 3 dell’articolo 6 della legge n. 69 del 2005, si è escluso che l’ambito del giudizio in ordine alla esecuzione del mandato di arresto europeo ad opera della corte di appello possa estendersi all’esistenza di gravi indizi di colpevolezza o di una sentenza di condanna irrevocabile a carico della persona della quale la  consegna è richiesta, provvedendo a sopprimere la locuzione che, nel comma 4 dell’articolo 16 della legge n. 69 del 2005, tale vaglio imponeva.

Con la sostituzione del comma 7 dell’articolo 17, si è provveduto a chiarire, in considerazione del carattere non definitivo della sentenza emessa, che la prevista comunicazione al Ministro della giustizia sarà effettuata solo dopo l’avvenuto esaurimento del termine per proporre impugnazione, sì da consentire al Ministro di procedere all’informazione al Servizio per la cooperazione internazionale di polizia solo nel caso in cui l’eventuale disposta consegna sia ormai definitiva.

Il comma 3 della disposizione è stato modificato a seguito delle osservazioni formulate dalla Commissione giustizia della Camera, volta a sollecitare un più puntuale adeguamento della disposizione nazionale all’articolo 20 della decisione quadro. In particolare, si è rilevato che, discostandosi dalla previsione eurounitaria, l’articolo 17 della legge n. 69 non menziona espressamente i privilegi e, quanto alle immunità, richiede che esse siano «riconosciut[e] dall’ordinamento italiano»; inoltre, sembrerebbe non essere stato recepito l’obbligo di inoltrare «prontamente» la richiesta di revoca dell’immunità o del privilegio, mancanza che si rileva anche nell’articolo 29 della legge, relativo alla procedura attiva di consegna.

Il primo e il terzo rilievo sono stati condivisi e si è conseguentemente provveduto al richiesto riallineamento del testo normativo alla citata previsione della decisione quadro. Si è altresì previsto che la corte di appello debba comunque dare avvisto all’autorità emittente nei casi in cui la persona richiesta in consegna benefici di un’immunità o di un privilegio riconosciuti nell’ordinamento italiano.

Non si è, invece, ritenuto possibile aderire al secondo rilievo, in quanto è la stessa norma eurounitaria a riferirsi alla circostanza che la persona richiesta in consegna goda di un privilegio o di un’immunità «nello Stato membro di esecuzione»: né, d’altro canto, appare possibile ipotizzare l’applicazione di cause personali di esenzione dalla giurisdizione penale che non trovino riconoscimento nel nostro sistema giuridico.

Analogamente, non si è dato corso alla modifica suggerita con riguardo all’articolo 29, dal momento che l’articolo 20 della decisione quadro utilizza l’avverbio «prontamente» unicamente al paragrafo 1, in riferimento alle sole autorità dello Stato membro di esecuzione e, dunque, alla procedura passiva di consegna.

L’articolo 18 modifica l’articolo 22 della legge n. 69 del 2005, che disciplina il ricorso per cassazione avverso la decisione sulla consegna, sostituendo integralmente i commi 1, 2 e 6, apportando modifiche ai commi 3, 4, e 5 e, infine, aggiungendo un ulteriore comma, il 5-bis alla citata disposizione.

L’intervento provvede a innovare profondamente il giudizio di cassazione sotto vari profili.

Il primo di essi riguarda l’eliminazione della possibilità di impugnazione nel merito della decisione sulla consegna e la semplificazione dei ricorsi, operata limitando la facoltà di ricorrere in cassazione ai soli casi previsti dalle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’articolo 606 c.p.p.

Tale modifica – disposta, per il ricorso avverso la sentenza emessa dalla corte di appello, dal comma 1, lett. a), e, per il ricorso proposto avverso l’ordinanza pronunciata dalla corte di appello nel caso di consenso alla consegna, dal comma 5 bis dell’articolo in commento – si pone in linea con la significativa riduzione del materiale sottoposto al vaglio di detta corte e dei ridisegnati confini della sua valutazione.

Un secondo ambito di intervento ha riguardato l’adeguamento della tempistica del giudizio in cassazione e dell’eventuale giudizio di rinvio alle scadenze contingentate che la decisione quadro impone per l’assunzione della decisione definitiva sulla consegna.

A tal fine, mediante la sostituzione del comma 2 dell’articolo 22 della legge, si è ridotto a 5 giorni il termine per il ricorso e si è individuato come luogo di sua presentazione esclusivamente la cancelleria della corte di appello che ha emesso la sentenza; inoltre, si è stabilito che la trasmissione del ricorso, del provvedimento impugnato e degli atti del procedimento avvenga, con precedenza assoluta su ogni altro affare, al più entro il giorno successivo alla sua presentazione. 

In aggiunta, con le modifiche apportate, ad opera delle lettere b) e c) dell’articolo in commento, sui commi 3 e 4 dell’articolo 22 della legge n. 69 del 2005 sono stati ridotti sia il termine per la decisione da parte della corte di cassazione (da quindici a dieci giorni dal ricevimento degli atti) sia quello per la notificazione della data dell’udienza alle parti (da cinque a tre giorni), ed analoga riduzione, da cinque a tre giorni, ha subito anche il termine per il deposito della motivazione della decisione da parte della corte di cassazione, nei casi in cui essa non possa essere depositata in udienza contestualmente alla lettura del dispositivo.

La lettera e) dell’articolo in commento dispone analoghe modalità procedurali ma tempi di introduzione e decisione ancor più accelerati per il ricorso avverso l’ordinanza con cui la corte di appello, in caso di consenso, decide sulla consegna: in particolare, il termine per la presentazione del ricorso è ridotto a tre giorni e a sette giorni il termine per la celebrazione dell’udienza, non partecipata, all’esito della quale la decisione, completa di motivazione, dovrà essere adottata.

L’innovazione sostanziale più significativa consiste nell’attribuzione alla presentazione del ricorso per cassazione l’effetto di sospendere l’esecuzione dell’ordinanza con cui la corte di appello assume la decisione sulla consegna, quando la persona richiesta ha espresso il proprio consenso: si è in tal modo garantita l’effettività del vaglio richiesto sull’ordinanza emessa dalla corte di appello, altrimenti impedito dal sopraggiungere dell’esecuzione della consegna.

Con la lettera f) dell’articolo in commento, si sostituisce il comma 6 dell’articolo 22 della legge n. 69 che detta la disciplina per il giudizio di rinvio dopo l’annullamento, stabilendo stretti termini per l’adozione della decisione da parte del giudice del rinvio (rispettivamente dieci giorni nel caso l’annullamento riguardi la sentenza, cinque nel caso riguardi l’ordinanza) e, conseguentemente, anche tempi ridotti per l’avviso o la comunicazione alle parti della data fissata per l’udienza.

L’articolo 19 inserisce nel testo della legge n. 69 del 2005 l’articolo 22-bis «Comunicazioni allo Stato membro emittente. Termini per la decisione e provvedimenti in ordine alle misure cautelari».

Il comma 1 prevede l’obbligo per la corte, di appello o di cassazione, davanti alla quale il procedimento è pendente alla scadenza del termine di sessanta giorni per l’assunzione della decisione definitiva in assenza di consenso, o alla corte di appello davanti alla quale il procedimento, nel quale la persona ha acconsentito alla consegna, è pendente alla scadenza del termine di dieci giorni successivi a quella dichiarazione (nei casi di ordinanza tempestivamente adottata, l’onere informativo ricorrerà solo dopo la decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso, come disposto dal comma 5 dell’articolo 10 della legge n. 69 del 2005, sostituito per effetto della già illustrata lettera d) del comma 1 dell’articolo 10), di informare immediatamente del ritardo sull’emissione della decisione definitiva e delle sue cause il Ministro della giustizia, affinché questi ne dia comunicazione all’autorità giudiziaria dello Stato membro emittente.

Identica informazione è imposta, dal comma 2 della disposizione, alla corte davanti alla quale pende il procedimento, allo scadere della proroga di trenta giorni dei termini per l’assunzione della decisione definitiva: ma in tale evenienza, che può ricorrere per circostanze «eccezionali», il Ministro è tenuto a darne comunicazione all’Eurojust.

I commi 3 e 4 disciplinano le possibili conseguenze sulla custodia cautelare in corso a carico della persona della quale è richiesta la consegna che quei ritardi nell’assunzione della decisione definitiva possono produrre, tenendo conto del principio fissato dall’articolo 12, secondo periodo, della decisione quadro («In qualsiasi momento è possibile la rimessa in libertà provvisoria, conformemente al diritto interno dello Stato membro di esecuzione, a condizione che l’autorità competente di tale Stato membro adotti le misure ritenute necessarie ad evitare che il ricercato si dia alla fuga»).

Esclusa dunque l’adeguatezza a tale principio dell’articolo 21 della legge n. 69 del 2005, di cui l’articolo 22 dello schema dispone l’abrogazione, si è provveduto a disciplinare la durata delle misure cautelari custodiali, alla luce dei principi esposti nella parte introduttiva del presente paragrafo.

Per il caso in cui alla scadenza dei termini prorogati la decisione definitiva non sia ancora intervenuta e la persona della quale è richiesta la consegna sia sottoposta a misure cautelari custodiali, il comma 3 prevede che la corte di appello proceda a valutare l’assoluta necessità delle suddette misure al fine di evitare che la persona si sottragga alla consegna, nonché l’effettiva congruità del protrarsi della loro durata, alla luce dell’entità della sanzione che l’autorità giudiziaria dello Stato emittente ha indicato, nel mandato di arresto, essere stata applicata o poter essere applicata, in ragione dei limiti edittali previsti per il reato nel proprio ordinamento. Nel caso tale valutazione si concluda negativamente, la corte potrà revocare la custodia cautelare in corso o sostituirla, qualora ritenga ancora sussistente l’esigenza di garantire che la persona non si sottragga alla consegna, con misure cautelari meno gravose, applicabili anche cumulativamente.

Il comma 4 detta un’identica disciplina sia per il caso di ritardo ingiustificato nella assunzione della decisione definitiva alla scadenza della proroga di trenta giorni dei termini ordinari, sia per l’ipotesi che la decisione definitiva sulla consegna non sia assunta neppure decorsi novanta giorni dalla scadenza dei termini prorogati.

Per entrambe le evenienze, la disposizione prevede che sia disposta la revoca delle misure cautelari custodiali ancora in corso a carico della persona richiesta, salvo che la corte ritenga persistente il rischio che costei possa sottrarsi alla consegna: in tal caso, si prevede l’applicabilità, anche congiunta, nel caso si tratti di persona maggiorenne, delle misure cautelari di cui agli articoli 281, 282 e 283 del codice di procedura penale, mentre, qualora si tratti di persona minorenne, l’applicabilità esclusivamente della misura delle prescrizioni.

L’articolo 20 interviene sull’articolo 23 della legge n. 69 del 2005 modificandolo in due ambiti.

Ed invero, sotto un primo profilo, una volta che – come rilevato nell’illustrare l’articolo 16 – è stato riconosciuto effetto sospensivo anche al ricorso per cassazione presentato avverso l’ordinanza della corte di appello, s’è reso necessario chiarire che la consegna potrà avvenire solo nel momento in cui detto provvedimento sia divenuto definitivo.

Il secondo ambito di intervento deriva dai rilievi ricevuti in conseguenza della non corretta trasposizione nel diritto interno della disciplina in ordine al differimento della consegna, che l’articolo 23, paragrafo 3, della decisione quadro, prevede possa essere disposto anche se la causa di forza maggiore che impedisca la tempestività della consegna è addotta dallo Stato membro emittente e non solo dallo Stato membro di esecuzione.

Sono state, inoltre, adeguate a tale evenienza anche le procedure informative che consentono al Ministro della giustizia di concordare la data di consegna con l’autorità dello Stato membro di emissione.

L’articolo 23 inserisce nella legge n. 69 del 2005 l’articolo 27-bis, rubricato «Modalità di trasmissione degli atti tra uffici giudiziari».

In considerazione dei tempi ridottissimi che connotano il procedimento giudiziario nella procedura passiva di consegna e tenuto conto dell’avvenuta eliminazione, con il codice dell’amministrazione digitale, della possibilità di ricorso al fax per la trasmissione di documenti fra pubbliche amministrazioni, si è reso necessario prevedere modalità di trasmissione degli atti fra uffici giudiziari che riducessero il più possibile i tempi di ricezione degli atti da parte dell’ufficio al quale essi sono destinati.

A tal fine, si è pertanto previsto che, nei procedimenti relativi alla richiesta di esecuzione del mandato d’arresto europeo, gli uffici giudiziari, con decreto del Ministro della giustizia siano autorizzati a ricorrere a modalità telematiche per la trasmissione degli atti ad altri uffici giudiziari e che, nelle more dell’adozione del suddetto decreto, possibile solo a seguito delle verifiche di funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici, la trasmissione degli atti possa avvenire anche con posta elettronica certificata.

In accoglimento di un’osservazione formulata dalla Commissione giustizia della Camera, al fine di superare quanto prima l’impiego della pec e, al tempo stesso, di favorire la massima tempestività nell’adozione dei conseguenti adeguamenti normativi, anche la predisposizione del regime transitorio è stata affidata ad un provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia da emanarsi entro quindici giorni dalla pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale.

L’articolo 27 dispone, infine, l’abrogazione dell’articolo 21 della legge n. 69 del 2005, che, sotto la rubrica «Termini per la decisione», stabiliva l’immediata remissione in libertà della persona ricercata quale conseguenza diretta della mancata adozione, da parte della corte di appello, della decisione in ordine alla consegna della persona richiesta entro i termini imposti.

L’abrogazione è imposta dalla inconciliabile diversità di tale disciplina con gli obblighi imposti dalla decisione quadro(74) e con la nuova regolamentazione che, proprio per rispettare detti obblighi, è stata introdotta dalle disposizioni del presente schema in relazione sia ai termini per l’adozione della decisione da parte della corte di appello (articoli 10 e 12) sia alle conseguenze sulla custodia cautelare in corso a carico della persona richiesta in caso di ritardi nell’adozione della decisione definitiva (articolo 17).

8. L’intervento finalizzato al superamento dei contrasti giurisprudenziali relativi all’applicazione dell’articolo 31 della decisione quadro – Articolo 1, lettera d).

Come ricordato in premessa, con l’articolo 6, comma 3, lettera b), della legge 4 ottobre 2019, n. 117, è stata altresì conferita specifica delega al fine di «risolvere i contrasti giurisprudenziali sull’interpretazione dell’articolo 31 della decisione quadro 2002/584/GAI, prevedendo che si possano continuare ad applicare gli accordi o le intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento dell’adozione della decisione quadro se contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato».

Al riguardo, deve premettersi che la disposizione dell’articolo 31 della decisione quadro 2002/584, sotto la rubrica «Relazioni con gli altri strumenti giuridici», stabilisce: 

«1. Fatta salva la loro applicazione nelle relazioni tra Stati membri e paesi terzi, le disposizioni contenute nella presente decisione quadro sostituiscono, a partire dal 1° gennaio 2004, le corrispondenti disposizioni delle convenzioni seguenti applicabili in materia di estradizione nelle relazioni tra gli Stati membri:
a) convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, il relativo protocollo addizionale del 15 ottobre 1975, il relativo secondo protocollo aggiuntivo del 17 marzo 1978 e la convenzione europea per la repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977 per la parte concernente l’estradizione;
b) accordo tra gli Stati membri delle Comunità europee sulla semplificazione e la modernizzazione delle modalità di trasmissione delle domande di estradizione del 26 maggio 1989;
c) convenzione relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea del 10 marzo 1995; e
d) convenzione relativa all’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea del 27 settembre 1996;
e) titolo III, capitolo 4, della convenzione del 19 giugno 1990 di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni.
2. Gli Stati membri possono continuare ad applicare gli accordi o intese bilaterali o multilaterali vigenti al momento dell’adozione della presente decisione quadro nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre gli obiettivi di quest’ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato.
Gli Stati membri possono concludere accordi o intese bilaterali o multilaterali dopo l’entrata in vigore della presente decisione quadro nella misura in cui questi consentono di approfondire o di andare oltre il contenuto di quest’ultima e contribuiscono a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato, segnatamente fissando termini più brevi di quelli dell’articolo 17, estendendo l’elenco dei reati di cui all’articolo 2, paragrafo 2, riducendo ulteriormente i motivi di rifiuto di cui agli articoli 3 e 4 o abbassando la soglia di cui all’articolo 2, paragrafo 1 o 2.
Gli accordi e le convenzioni di cui al secondo comma non possono in alcun caso pregiudicare le relazioni con gli Stati membri che non sono parti degli stessi.
Gli Stati membri notificano al Consiglio e alla Commissione entro tre mesi dall’entrata in vigore della presente decisione quadro gli accordi e le intese esistenti di cui al primo comma che vogliono continuare ad applicare.
Gli Stati membri notificano inoltre al Consiglio e alla Commissione, entro tre mesi dalla firma, i nuovi accordi o le nuove intese come previsto al secondo comma.».

In considerazione del tenore letterale del criterio della delega, è evidente che il richiamo deve essere inteso solo alla disposizione del paragrafo 2, 1 comma, dell’articolo 31, essendo tutte le altre palesemente inconferenti. 

Ebbene, sotto il profilo meramente procedurale, deve osservarsi che l’implementazione normativa conseguente all’esercizio della delega non consente di rispettare i termini della prescrizione, dettata dal comma 4 del paragrafo 2 dell’articolo 31, che imponeva agli Stati membri la notifica al Consiglio e alla Commissione, entro i tre mesi successivi al 7 agosto 2002 - data di entrata in vigore della decisione quadro 2002/584 - degli accordi e delle intese bilaterali o multilaterale dei quali avessero voluto continuare a fare applicazione.

A prescindere dal rilievo sopra esposto, e venendo al contrasto giurisprudenziale in ordine alla possibilità o meno di applicazione degli accordi o intese bilaterali o multilaterali previgenti all’entrata in vigore della decisione quadro, nel caso le disposizioni in essi contenute contribuiscano a semplificare o agevolare ulteriormente la consegna del ricercato, può osservarsi quanto segue.

Nei quindici anni trascorsi dall’entrata in vigore della legge 22 aprile 2005, n. 69, con la quale tardivamente il diritto interno è stato conformato alla decisione quadro 584/2002, certamente più volte la giurisprudenza si è trovata di fronte alla questione se poter o meno ricorrere alla disposizione dell’articolo 31, paragrafo 2, comma 1, della decisione.

Ed ha risolto il dubbio affermando costantemente l’operatività di tale disposizione e, conseguentemente, ha ritenuto che, proprio per effetto dell’articolo 31, la valutazione in ordine all’esecuzione dei mandati di arresto europeo ricevuti dalle autorità giudiziarie tedesche non potesse prescindere dalle previsioni dell’Accordo bilaterale aggiuntivo con la Germania, stipulato il 24 ottobre 1979 e ratificato in Italia con la legge 11 dicembre 1984.

Tale Accordo, il solo che potesse considerarsi funzionale ad agevolare ulteriormente la consegna della persona ricercata rispetto alle previsioni della decisione-quadro, era preordinato a facilitare tra le Parti l’applicazione della Convenzione europea di estradizione del 1957, poiché, all’articolo II, limitava l’incidenza del motivo di rifiuto facoltativo dell’articolo 7 della citata Convenzione quando la domanda di consegna aveva ad oggetto anche reati non soggetti alla giurisdizione dello Stato di rifugio, consentendo anche in tal caso di disporre l’estradizione, qualora ritenuto opportuno che a giudicare di tutti i reati fosse l’autorità giudiziaria dello Stato richiedente.

A fronte della disposizione dell’articolo 18, comma 1, lettera p), della legge n. 69 del 2005 - che, prima della modifica operata con le disposizioni immediatamente precettive della stessa legge che ha fornito il criterio di delega in esame, contemplava un motivo di rifiuto obbligatorio della consegna da parte delle autorità giudiziarie italiane per i casi in cui il mandato di arresto europeo ricevuto avesse oggetto reati considerati dalla legge italiana commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio -, la giurisprudenza ha ritenuto che, nei rapporti con la Germania, prevalesse, in quanto ancora applicabile proprio in forza dell’articolo 31, paragrafo 2, comma 1, della decisione quadro, la previsione dell’articolo II di quell’Accordo.

Più che riportare il percorso argomentativo seguito per addivenire a tali conclusioni – fondato essenzialmente: sull’irrilevanza dell’assenza di un richiamo esplicito all’articolo 31 della decisione quadro, poiché la legge n. 69 del 2005, a mente di quanto sancito dal primo dei suoi articoli, è volta a dare attuazione nell’ordinamento interno alla decisione quadro; sull’irrilevanza della mancata notifica dell’Accordo in questione al Consiglio ed alla Commissione, in quanto al mancato rispetto di tale formalità non è previsto consegua alcun effetto di non ultrattività di simili intese; sul conforto che doveva trarsi dalla decisione quadro 2009/948/GAI del Consiglio, del 30 novembre 2009, sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo 15 febbraio 2016 n. 29 – quel che qui interessa è rimarcare come esso sia stato condiviso in maniera costante dalla giurisprudenza di legittimità(75)

Un diverso approccio al tema sembra, peraltro, esser stato seguito in un’unica recente sentenza emessa dalla Sesta Sezione della Corte di cassazione, nella cui motivazione si legge che «la l. n. 69 del 2005, pur essendo attuativa della decisione quadro del 2002, non richiama espressamente il principio sancito dall’art. 31, che fa, comunque, salve le intese bilaterali o multilaterali volte a semplificare le procedure di consegna, cosicché non può assumere rilevanza quanto previsto dall’art. 7 della Convenzione europea di estradizione in merito al carattere facoltativo di tale motivo di rifiuto»(76)

In proposito, deve considerarsi che la questione sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione riguardava, in realtà, un mandato di arresto europeo emesso da un’autorità giudiziaria non tedesca, ma spagnola. 

Stante l’inesistenza di accordi o intese fra la Spagna e l’Italia agevolatori della consegna della persona ricercata, la Corte ha, allora, inteso esaminare, escludendola, anche la possibilità che, per il tramite della disposizione dell’articolo 31 della decisione quadro, potesse trovare ancora applicazione l’articolo 7 della Convenzione europea di estradizione,  e ciò nonostante la suddetta Convenzione sia inclusa nell’elenco di quelle le cui disposizioni sono sostituite, nelle relazioni fra gli Stati membri, dalle norme introdotte dalla decisione quadro (articolo 31, comma 1, lettera a).

Può anche aggiungersi che l’utilità di un esplicito richiamo all’articolo 31, paragrafo 2, comma 1, della decisione quadro sembra essersi in concreto ulteriormente ridotta per effetto di quanto stabilito dall’articolo 6, comma 5, della stessa legge n. 117 del 2019, che – come visto – ha ricondotto la cd. litispendenza fra i motivi facoltativi di rifiuto della consegna. 

Tanto premesso, non può tuttavia prescindersi dal fatto che il legislatore delegante non ha inteso lasciare al Governo alcun margine di discrezionalità in ordine all’attuazione del criterio di delega in questione, come risulta dal chiaro tenore testuale del medesimo.

Conseguentemente, in ossequio all’indicazione vincolante ricevuta, si è intervenuti sull’articolo 1 della legge n. 69 per inserirvi i commi 4-quater e 4-quinquies, a mezzo dei quali si è – rispettivamente – previsto:

  • che il nostro Paese continuerà ad applicare gli accordi o intese, bilaterali o multilaterali, vigenti al momento dell'adozione della decisione quadro, quando essi contribuiscano ad una migliore e più efficace realizzazione delle finalità della decisione quadro e semplifichino o agevolino ulteriormente la consegna delle persone ricercate;
  • che, entro trenta giorni dall’entrata in vigore del presente decreto, su proposta del Ministro della giustizia, il Governo provvederà a notificare al Consiglio e alla Commissione l’elenco degli specifici accordi e intese che si intende continuare ad applicare.

9. Le ulteriori modifiche conseguenti alle osservazioni formulate dalle Commissioni parlamentari in tema di audizione della persona richiesta in consegna e di contenuto del mandato di arresto europeo e consegna o estradizione successiva nella procedura attiva – Articoli 11, 24 e 25.

Ulteriori modifiche sono state apportate allo schema originario di decreto a seguito delle osservazioni formulate dalle Commissioni giustizia della Camera e del Senato.

a) In accoglimento di un rilievo formulato dalla Commissione giustizia della Camera, con l’articolo 11 si provvede a sopprimere l’inciso «e al fine di consentire le indagini urgenti dalla stessa ritenute necessarie», con cui l’articolo 15, comma 1, della legge n. 69 pare circoscrivere l’obbligo della corte di appello di dare esecuzione all’eventuale richiesta dell’autorità di emissione del mandato di arresto europeo di procedere all’audizione della persona richiesta in consegna prima della decisione.

L’intervento appare opportuno dal momento che l’inciso suddetto risulta sostanzialmente superfluo e, in ragione della sua formulazione testuale, si presta ad essere interpretato nel senso che la norma nazionale subordini l’accoglimento della richiesta di audizione ad una verifica non consentita dagli articoli 18 e 19 della decisione quadro.

Inoltre, recependo un’ulteriore sollecitazione, proveniente – in tal caso – da entrambe le Commissioni, si è altresì modificato il comma 2 della medesima disposizione, in modo da consentire alla corte di appello di delegare per l’effettuazione dell’audizione – oltre che un proprio componente – anche altra autorità giudiziaria, come previsto dall’articolo 19(3) della decisione quadro.

Peraltro, diversamente da quanto prospettato dalle Commissioni, che avevano suggerito di individuare detta autorità nel «giudice per le indagini preliminari del luogo ove la persona richiesta in consegna si trova», si è preferito prevedere che, quando quest’ultima si trovi fuori distretto, per l’incombente in questione possa essere delegato il presidente del tribunale territorialmente competente, così come del resto già avviene per l’espletamento dell’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto, sulla base dell’articolo 13, comma 1, della legge n. 69.

b) Le ulteriori due modifiche apportate alla formulazione originaria del decreto riguardano la procedura attiva di consegna.

Con il nuovo articolo 24, accogliendo una sollecitazione proveniente da entrambe le Commissioni parlamentari, si è provveduto a una riscrittura della disposizione sul contenuto del mandato di arresto europeo (articolo 30), ora linearmente definito attraverso un rinvio diretto all’allegato annesso alla decisione quadro come modificato dall'articolo 2, paragrafo 3), della decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009. Al comma 2, è stato altresì previsto l’obbligo del pubblico ministero di inoltrare all’Autorità di esecuzione copia della sentenza eventualmente richiesta dal condannato, laddove ricorra la situazione già esaminata a proposito dell’inserimento del comma 3 dell’articolo 18-ter (v. supra 6.2.4., sub d)).

Inoltre, in accoglimento dello specifico rilievo formulato dalla Commissione giustizia della Camera circa la necessità di recepire anche nella fase attiva della procedura le previsioni di cui all’articolo 28 della decisione quadro, è stato inserito l’articolo 25 del decreto, che al primo comma pone il divieto di consegna o estradizione successiva in mancanza di assenso dello Stato di prima consegna e, al secondo, prevede le usuali eccezioni al ‘principio di specialità’, richiamando le condizioni indicate all’articolo 26, comma 2, lettere a), e) ed f) della legge n. 69 (mancato allontanamento dal territorio dello Stato nei quarantacinque giorni successivi alla scarcerazione definitiva, o rientro dopo l’allontanamento; consenso prestato dalla persona richiesta, eventualmente anche prima della consegna originaria). 

10. Disposizioni finali - Articoli 28 e 29. 

L’articolo 28 contiene la norma transitoria con la quale si è regolata la disciplina dei procedimenti aventi ad oggetto le richieste di esecuzione dei mandati d’arresto che, alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, risultino pendenti nelle corti di appello o davanti alla Corte di cassazione.

Per temperare gli effetti che l’immediata applicazione delle nuove norme avrebbe potuto determinare, si è previsto che esse non siano applicabili per i procedimenti in cui, alla data di loro entrata in vigore, si sia già avviata la sequenza procedimentale che si conclude con la decisione definitiva sull’esecuzione del mandato d’arresto europeo.

Si è inoltre stabilito, al fine di evitare l’insorgere di eventuali contrasti interpretativi, che s’intendano a tal fine pendenti i procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni, la corte di appello abbia già ricevuto il mandato d’arresto europeo o la persona richiesta in consegna sia stata già arrestata ad iniziativa della polizia giudiziaria.

L’articolo 29 reca, infine, la clausola di invarianza finanziaria.

 

 

 

NOTE

1. V. Relazione di valutazione sul quarto ciclo di valutazioni reciproche "l’applicazione pratica del mandato di arresto europeo e delle corrispondenti procedure di consegna tra stati membri" - Relazione sull’Italia, doc. 5832/1/09 REV 1 del 23 febbraio 2009: https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-5832-2009-REV-2/en/pdf. La raccomandazione riportata nel testo si legge a pag. 64 del rapporto (nel prosieguo indicato, per brevità, come Rapporto 2009 sull’Italia).

2. V. 19 Risoluzione del Parlamento europeo del 27 febbraio 2014 recante raccomandazioni alla Commissione sul riesame del mandato d’arresto europeo [2013/2109(INL)] (GU C 285 del 29.8.2017, pag.135): https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52014IP0174&from=IT.

3. Cfr. Relazione sul seguito dato alla risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione sul riesame del mandato di arresto europeo, SP(2014) 447: https://oeil.secure.europarl.europa.eu/oeil/popups/ficheprocedure.do?lang=en&reference=2013/2109(INL).

4. Relazione della commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sull’attuazione della decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, COM(2020) 270 final: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/HTML/?uri=CELEX:52020DC0270&from=IT.

5. V. Corte di giustizia (sezione II), sentenza del 30 maggio 2013, causa C 168/13 PPU, Jeremy F., punto 36 (corsivo e sottolineatura aggiunti). Sulla eccezionalità/tassatività dei motivi di rifiuto e delle ‘condizioni’, si tornerà ampiamente in seguito: v. capitolo 6 della presente relazione.

6. Il mandato di arresto europeo, pertanto, viene di frequente indicato anche come eurordinanza o euromandato.

7. Secondo cui l’autorità competente dello Stato membro di esecuzione deve verificare se gli elementi di fatto alla base del reato, nell’ipotesi in cui si fossero verificati nello Stato membro di esecuzione, sarebbero di per sé penalmente perseguibili anche nel territorio di quest’ultimo: sul punto, v. Corte di giustizia, sentenza dell’11 gennaio 2017, causa C-289/15, Grundza (punto 38). In proposito, appare soprattutto necessario ricordare come i dubbi avanzati circa la compatibilità con il principio di legalità dell’articolo 2(2) della decisione quadro siano stati respinti dalla Corte di giustizia sin dalla sentenza della Grande Sezione in data 3 maggio 2007, causa C 303/05, Advocaten voor de Wereld VZW, così massimata sul punto: «Il principio della legalità dei reati e delle pene (nullum crimen, nulla poena sine lege), che fa parte dei principi generali del diritto alla base delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, è stato parimenti sancito da diversi trattati internazionali, in particolare dall’art. 7, n. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Tale principio implica che la legge definisca chiaramente i reati e le pene che li reprimono. Questa condizione è soddisfatta quando il soggetto di diritto può conoscere, in base al testo della disposizione rilevante e, nel caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici, gli atti e le omissioni che chiamano in causa la sua responsabilità penale. A tal proposito, l’art. 2, n. 2, della decisione quadro 2002/584, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, nella parte in cui sopprime il controllo della doppia incriminazione per le categorie di reati menzionati in tale disposizione, non è invalido per violazione del richiamato principio di legalità dei reati e delle pene. Infatti, la decisione quadro non è volta ad armonizzare i reati in questione per quanto riguarda i loro elementi costitutivi o le pene di cui sono corredati. Se è vero che il citato art. 2, n. 2, della decisione quadro sopprime il controllo della doppia incriminazione per le categorie di reati menzionate in tale disposizione, la loro definizione e le pene applicabili continuano a rientrare nella competenza dello Stato membro emittente, il quale, come peraltro recita l’art. 1, n. 3, della stessa decisione quadro, deve rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 TUE e, di conseguenza, il principio di legalità dei reati e delle pene».

8. Così l’articolo 17(1) della decisione quadro. Alla necessità di procedere con «urgenza» fa, altresì, espressamente riferimento l’articolo 15(2) in relazione alla richiesta da rivolgersi all’Autorità di esecuzione per l’acquisizione delle cd. informazioni supplementari.

9. Cfr., ancora, i successivi paragrafi (2) - (5) e (7) della decisione quadro nonché, quanto alla consegna, il successivo articolo 23.

10. Sul primo aspetto è intervenuta la Corte costituzionale che, con sentenza n. 227 del 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69, «nella parte in cui non prevede il rifiuto di consegna anche del cittadino di un altro Paese membro dell’Unione europea, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano, ai fini dell’esecuzione della pena detentiva in Italia conformemente al diritto interno»: v., sul punto, il capitolo 6 (in particolare, par. 6.2.5).

11. Corte di giustizia, sentenza del 16 giugno 2005, Pupino, causa C-105/03.

12. V. Corte di giustizia (Grande Sezione), sentenza del 26 febbraio 2013, causa C-399/11, Melloni, punto 58.

13. Principio pacifico nella giurisprudenza della Corte di giustizia, che – come si vedrà anche in seguito – riguarda, oltre alle cd. condizioni (recte, ‘garanzie’), anche i motivi di rifiuto della consegna: v., in epoca recente, la già citata sentenza della Corte di giustizia del 25 luglio 2018, LM, causa 216/18, punti 41 - 42. L’abrogazione della condizione di cui all’articolo 2, comma 2, era stata altresì sollecitata nel Rapporto 2009 sull’Italia (v. par. 7.3.2.7., pag. 71, e Raccomandazione n. 19, pag. 77).

14. C. Cost., ordinanza del 26 gennaio 2017, n. 24, punto 2 (caso Taricco).

15. L’integrale richiamo dei diritti consacrati nella Convenzione risulta tuttora necessario poiché, in attesa che l’Unione europea vi aderisca, essa non può allo stato ancora considerarsi «un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione», e ciò «anche se, come confermato dall’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati e corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli conferiti dalla suddetta Convenzione»: cfr., da ultimo, la sentenza della Corte di giustizia (Grande Sezione) del 20 marzo 2018, causa C‑524/15, Menci, punto 22.

16. Sul primo aspetto, come ricordato anche dalla Commissione nella recente relazione al Parlamento europeo e al Consiglio, «[l]a Corte di giustizia ha stabilito che l'espressione "autorità giudiziaria" di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della decisione quadro non si limita a designare i soli giudici o organi giurisdizionali di uno Stato membro, ma deve essere interpretata in senso più ampio e ricomprendere le autorità che partecipano all'amministrazione della giustizia penale nello Stato membro in questione»: ne consegue che «le procure costituiscono autorità giudiziarie emittenti, a condizione che non siano esposte al rischio di essere soggette, direttamente o indirettamente, a ordini o a istruzioni individuali da parte del potere esecutivo, quale un ministro della Giustizia, nell'ambito dell'adozione di una decisione relativa all'emissione di un mandato d'arresto europeo». Sempre la Corte di giustizia ha chiarito che l'espressione in questione non si presta, invece, a ricomprendere anche i servizi di polizia o gli organi del potere esecutivo di uno Stato membro (ad es., un ministero della Giustizia). Quanto al secondo profilo, si Si tenga altresì conto, sin d’ora, che la mancanza di motivazione è prevista quale motivo di rifiuto (obbligatorio) dall’articolo 18, lettera q) (già t)) della legge n. 69, disposizione soppressa dall’articolo 14 del decreto, come meglio si dirà in seguito.

17. V. par. 7.3.2.6., pag. 70, e Raccomandazione n. 18, pag. 77.

18. Quantomeno a partire da sez. VI, sentenza n. 28806 del 09-10/07/2008, rv. 240329 - 01 (per la conforme evoluzione successiva, cfr. ex multis, sez. VI, sentenza n. 42159 del 16-29/11/2010, rv. 248689 - 01, sez. 6, sentenza n. 2745 del 19-23/01/2012, rv. 251787 – 01, nonché, da ultimo, sez. VI, 11 - 16 giugno 2020, n. 18352, relativa a mandato di arresto europeo emesso dall’autorità giudiziaria del Portogallo.

19. V. par. 6.2.2., in fine.

20. V., infatti, l’art. 700 del codice di procedura penale.

21. Cfr. articolo 17, comma 4, della legge, anch’esso soppresso in parte qua dall’articolo 13, lettera d), del decreto (v. par. 6.2.3.).

22. Si vedano i motivi di rifiuto di cui all’articolo 18, lettere b) e c), della legge (v., ancora, par. 6.2.3.).

23. Cfr. sez. VI, sentenza n. 4054 del 23/01/2008, dep. 25/01/2008, rv. Ced 238394 – 01.

24. V. le modifiche rispettivamente apportate dagli articoli 6, lettera a), 7, lettera b), e 8 dello schema di decreto agli articoli 9, comma 1, 10, comma 3, e 11, comma 2, della legge n. 69. La modifica apportata dall’articolo 3, lettera a) del decreto all’articolo 19 della legge n. 69, in tema di garanzie richieste allo Stato di emissione, sarà illustrata nel par. 6.2.5. della presente relazione.

25. Come opportunamente segnalato nella Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio, pubblicata nello scorso mese di luglio, «[a]lcune delle categorie dei 32 reati sono state armonizzate in una certa misura a livello dell’UE a norma dell’articolo 83 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea», quali – ad esempio – alcuni reati in materia di contraffazione dell’euro e di altre monete, di terrorismo, di criminalità informatica e di tratta di esseri umani (v. pag. 13, al richiamo di nota 62).

26. V. pagg. 69 - 70.

27. Secondo cui «[l]’autorità giudiziaria italiana accerta quale sia la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna, secondo la legge dello Stato membro di emissione, e se la stessa corrisponda alle fattispecie di cui al comma 1».

28. «Se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato d’arresto europeo».

29. V., in particolare, il paragrafo 3.7., pagg. 12 - 14.

30. Ed infatti: «Costituisce jus receptum che per soddisfare la condizione della doppia punibilità prevista dalla legge 22 aprile 2005, n. 69, art. 7, comma 1, non è necessario che lo schema astratto della norma incriminatrice dell’ordinamento straniero trovi il suo esatto corrispondente in una norma dell’ordinamento italiano, ma è sufficiente che la concreta fattispecie sia punibile come reato in entrambi gli ordinamenti, a nulla rilevando l’eventuale diversità, oltre che del trattamento sanzionatorio, anche del titolo e di tutti gli elementi richiesti per la configurazione del reato (sez. VI, n. 22249 del 03/05/2017, Bernard Pascale, rv. 269918-01). [...] In conformità a tale orientamento, in tema di guida in stato di ebbrezza, è stato affermato che il giudice deve operare una valutazione del disvalore dell’azione proprio ordinamento prescindendo da una comparazione assoluta delle fattispecie criminose: pertanto, rispetto alla guida in stato di ebbrezza, comportamento genericamente riconosciuto contrastante con le norme dello Stato, non può assumere rilevanza la graduazione tra illecito amministrativo e sanzione penale, prevista nel nostro territorio sulla base dei valori di mg/l di alcool accertati sulla persona sottoposta a controllo, trattandosi di libero esercizio della discrezionalità normativa da parte del singolo Stato membro, che non condiziona la sussistenza di disvalori comuni di riferimento, su cui si basa il presupposto della doppia punibilità (Sez. F., n. 32963 del 30/08/2011, Jakubowski, non mass.)» [così, in tempi recenti, Cass. pen., sez. VI, sentenza 13 - 14 marzo 2019, n. 11494].

31. V. Raccomandazione 12 a pag. 77, nonché par. 7.3.2.12 a pag. 73.

32. Si vedano gli articoli 3, 4 e 4-bis della decisione quadro.

33. Cfr. Corte di giustizia, sentenza del 5 settembre 2012, Lopes Da Silva Jorge, C-42/11: «[...] il sistema di tale decisione quadro, come risulta segnatamente dall’articolo 4 della medesima, lascia agli Stati membri la facoltà di consentire, in situazioni specifiche, alle autorità giudiziarie competenti di decidere che una pena inflitta debba essere eseguita nel territorio dello Stato membro di esecuzione (sentenza del 21 ottobre 2010, B., C-306/09, Racc. pag. I-10341, punti 50 e 51)» (punto 30). V. anche sentenza del 29 giugno 2017, Popławski, C-579: «[d]alla formulazione stessa dell’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 risulta che, come ha rilevato l’avvocato generale al paragrafo 30 delle sue conclusioni, qualora uno Stato membro abbia scelto di recepire tale disposizione nel diritto interno, l’autorità giudiziaria di esecuzione tuttavia deve disporre di un potere discrezionale riguardo alla questione se si debba rifiutare o meno di dare esecuzione al MAE» (punto 21). Già ben prima di queste decisioni, nel Rapporto del 2009 sull’Italia si era osservato quanto segue: «Pur sapendo che l’Italia non è l’unico Stato membro ad aver convertito alcuni motivi di rifiuto da facoltativi in obbligatori, il gruppo di esperti giudica tale conversione contraria alla lettera e allo spirito della decisione quadro, la quale, all’articolo 4, fa esplicito riferimento all’ "autorità giudiziaria dell’esecuzione" quale organo competente per applicare a sua discrezione i motivi facoltativi di rifiuto: convertendo i motivi da facoltativi in obbligatori il legislatore italiano ha privato le autorità italiane di esecuzione del potere discrezionale di applicare o meno detti motivi» (par. 7.3.2.1., pag. 67).

34. Quanto alla tassatività dei motivi di rifiuto, v. le pronunce della Corte di giustizia del 6 ottobre 2009 (Wolzenburg, C-123/08, punto 57) e del 5 aprile 2016 (Aranyosi e Căldăraru, C-404/15 e C-659/15 PPU, punto 80). In relazione alla necessità di un’interpretazione restrittiva delle relative previsioni, v. le sentenze del 29 giugno 2017 (Popławski, C-579/15, punto 19) e del 10 agosto 2017 (Tupikas, C-270/17 PPU, punto 50).

35. Cfr. articolo 5 della decisione quadro e articolo 19 della legge n. 69 del 2005. Si rammenta che con la decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio del 26 febbraio 2009 è stata soppressa la previsione concernente le garanzie relative ai processi in absentia (di cui al n. 1 del citato articolo 5) e contestualmente introdotto, all’articolo 4-bis, un motivo facoltativo di rifiuto opponibile nell’ipotesi in cui l’Autorità di emissione non fornisca alcune indicazioni –elencate nella norma – volte, nella sostanza, ad assicurare la garanzia della effettiva partecipazione dell’interessato al procedimento interno o, in caso contrario, il suo diritto a richiedere un nuovo processo o, quantomeno, a proporre «un ricorso in appello cui [abbia] il diritto di partecipare e che consente di riesaminare il merito della causa, comprese le nuove prove, e può condurre alla riforma della decisione originaria». Tale modifica è stata recepita nell’ordinamento interno dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 31, con cui si è provveduto alla sostituzione dell’articolo 19, lettera a), della legge n. 69, senza tuttavia provvedere all’inserimento del motivo di rifiuto (facoltativo) previsto dall’articolo 4-bis della decisione quadro.

36. V. supra, cap. 3, al richiamo di nota 10.

37. V. le Raccomandazioni nn. 9 e 11, riportate a pag. 76 del Rapporto. Con riferimento alla prima di esse, giova ricordare che, a seguito della modifica apportata dalla legge delega, i motivi di rifiuto originariamente indicati alle lettere t), u) e v) dell’articolo 18 risultano ora riportati alle lettere q), r) e s) della medesima disposizione.

38. V. la Raccomandazione n. 12, a pag. 76 del Rapporto, nonché i rilievi di cui al par. 7.3.2.1. (sub d)), a pag. 67.

39. V. par. 6.2.1.

40. V. par. 6.2.2.

41. V. par. 6.2.3.

42. V., rispettivamente, par. 6.2.4. e 6.2.5.

43. «[S]e risulta che nei confronti della persona ricercata, per gli stessi fatti, è stata emessa, in Italia, sentenza irrevocabile, decreto penale irrevocabile o sentenza di non luogo a procedere non più soggetta a impugnazione o, in altro Stato membro dell’Unione europea, sentenza definitiva purché, in caso di condanna, la pena sia stata già eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato che ha emesso la condanna».

44. Per il concetto di sentenza «definitiva» in ambito UE, si vedano le sentenze: 11 febbraio 2003, Gözütok e Brügge, cause riunite, C 187/01 e C 385/01; 28 settembre 2006, Van Straaten, causa C 150/05; 22 dicembre 2008, Turanský, causa C 491/07; 16 novembre 2010, Mantello, C 261/09; Grande Sezione 29 giugno 2016, Kossowski, causa C‑486/14. Come precisato dalla Corte sin dalla sentenza del 28 settembre 2006, Gasparini (causa C-467/04, «[i]l principio del ne bis in idem, sancito all’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen [...], si applica a una decisione di un giudice di uno Stato contraente, pronunciata in seguito all’esercizio di un’azione penale, con cui un imputato viene definitivamente assolto in ragione della prescrizione del reato che ha dato luogo al procedimento penale» (dispositivo 1). Quanto alla riconducibilità della sentenza di non luogo a procedere al novero delle sentenze definitive, si veda la sentenza del 5 giugno 2014, M, C‑398/12, pronunciata in relazione all’omonimo provvedimento decisorio previsto nell’ordinamento belga, in cui risulta disciplinato in termini del tutto corrispondenti a quelli dettati dal nostro codice di rito nazionale.

45. Ovvero: «quando il reato per cui si procede è punito con una pena inferiore nel massimo a nove anni, o quando la restrizione della libertà personale risulta incompatibile con i processi educativi in atto, o quando l’ordinamento dello Stato membro di emissione non prevede differenze di trattamento carcerario tra il minore di anni 18 e il soggetto maggiorenne o quando, effettuati i necessari accertamenti, il soggetto risulti comunque non imputabile o, infine, quando nell’ordinamento dello Stato membro di emissione non è previsto l’accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere».

46. Cfr., in tema, la già citata sentenza della Grande sezione del 23 gennaio 2018, Piotrowski, causa C-367/16, secondo cui «per rifiutare la consegna di un minore oggetto di un mandato d’arresto europeo, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve accertarsi unicamente che tale minore non abbia raggiunto l’età minima per essere penalmente perseguito o condannato in forza del diritto dello Stato membro di esecuzione, per gli stessi fatti che sono alla base del mandato d’arresto europeo» (punto 42). Viceversa, «in assenza di qualsiasi riferimento esplicito in tal senso, la formulazione dell’articolo 3, punto 3, della decisione quadro 2002/584 non consente di sostenere un’interpretazione secondo cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione dovrebbe rifiutare la consegna di un minore oggetto di un mandato d’arresto europeo sulla base di una valutazione della situazione particolare di tale minore e dei fatti all’origine del mandato emesso nei suoi confronti, alla luce delle condizioni supplementari, relative a una valutazione personalizzata, alle quali è subordinata in concreto la responsabilità penale di un minore, per tali fatti, nello Stato membro di esecuzione» (punto 17). Ed invero tale lettura della norma contrasterebbe, come rilevato nel testo, innanzitutto con il principio di riconoscimento reciproco e con le sue implicazioni in termini di tassatività dei motivi di rifiuto e, dunque, di stretta interpretazione delle relative previsioni (punti 45 - 51). In secondo luogo, la postulata «valutazione personalizzata» della situazione del minore «potrebbe riguardare elementi che, come nel caso di cui al procedimento principale, sono di natura soggettiva, quali la personalità, l’ambiente e il grado di maturità del minore interessato, o di natura oggettiva, quali la recidiva e l’esistenza di misure di protezione dei minori già adottate, il che porterebbe, in realtà, ad effettuare un vero e proprio riesame nel merito dell’analisi già svolta nell’ambito della decisione giudiziaria adottata dallo Stato membro emittente, che è alla base del mandato d’arresto europeo»: ciò che, evidentemente, «infrangerebbe e priverebbe di ogni effetto utile il principio di riconoscimento reciproco, il quale implica che esista una reciproca fiducia nel fatto che ciascuno degli Stati membri accetta l’applicazione del diritto penale vigente negli altri Stati membri, anche quando l’attuazione del proprio diritto nazionale porterebbe a una soluzione diversa, e quindi non consente all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di sostituire la propria valutazione sulla responsabilità penale del minore oggetto di un mandato d’arresto europeo a quella già effettuata, nello Stato membro emittente, nell’ambito della decisione giudiziaria sulla quale si basa tale mandato» (punto 52). Infine, «[u]na siffatta possibilità sarebbe [...] incompatibile con l’obiettivo di facilitare e accelerare la cooperazione giudiziaria, perseguito dalla decisione quadro 2002/584» (punto 53, ove si richiamano anche la già menzionata sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru, C 404/15 e C 659/15 PPU, punto 76, e la sentenza del 25 gennaio 2017, Vilkas, punto 31.

47. Si tratta, in particolare, dei motivi di rifiuto relativi: alla cd. clausola di non discriminazione (lettera a)); ai diritti di associazione e di libera manifestazione del pensiero a mezzo della stampa o con altri mezzi di comunicazione (lettera d)); ad alcune garanzie della libertà personale (limiti massimi della carcerazione preventiva: lettera e); motivazione del provvedimento cautelare alla base del mandato di arresto europeo: lettera q)); al divieto di estradizione per reati politici (lettera f)) o in presenza del rischio di sottoposizione della persona richiesta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti (lettera h)); al princìpi del cd. fair trial (lettera g)); alla tutela del rapporto di genitorialità (stato di gravidanza della persona richiesta in consegna, ovvero presenza di prole convivente di età inferiore a tre anni: p)); all’impossibilità di esecuzione di sentenze contenenti «disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato» (lettera s)).

48. V. sub 4.1.

49. Sentenza 21 dicembre 2011, cause riunite C-411/10 e C-493/10, N.S. e a.

50. Cfr. la già citata sentenza della Corte di giustizia del 5 aprile 2016, cause riunite C-404/15 e C-659/15, Aranyosi e Căldăraru, relativa alle condizioni di detenzione in Romania, nonché la sentenza del 25 luglio 2018, causa C-220/18, Generalstaatsanwaltschaft (Condizioni di detenzione in Ungheria). A tali decisioni ha fatto seguito, sempre con riferimento alle condizioni dei penitenziari rumeni, la sentenza 15 ottobre 2019, causa C-128/18, Dorobantu.

51. Cfr., ancora, la sentenza della Grande sezione del 25 luglio 2018, causa C-216/18, cit.

52. Cfr., per le problematiche connesse alle condizioni di detenzione, l’amplissimo filone di decisioni sviluppatosi nella giurisprudenza della Corte di cassazione a partire da sez. VI, sentenza n. 23277 del 01-03/06/2016, rv. 267296-01. Barbu; in relazione alla seconda tematica, v. da ultimo sez. VI, sentenza n. 15924 del 21-26/05/2020, rv. 278889-01

53. V. capitolo 5 della presente relazione.

54. Di significativo interesse i rilievi contenuti nel Rapporto 2009 sull’Italia a proposito del requisito dei gravi indizi di colpevolezza: «Questa condizione, che introduce il requisito della "probable cause" è palesemente in contraddizione con il principio di reciproco riconoscimento e di conseguenza con la decisione quadro. Per quanto attiene alla colpevolezza, l’autorità italiana di esecuzione dovrebbe basarsi sulla valutazione effettuata dalla competente autorità emittente: questa verifica non spetta all’autorità italiana di esecuzione. Il gruppo di esperti è consapevole che l’applicazione di questa disposizione è stata resa meno rigida dalla Corte di Cassazione; ritiene tuttavia che si tratti di una grave violazione della lettera e dello spirito della decisione quadro [“a serious infringement of the text and spirit of the Framework Decision”] e raccomanda pertanto al legislatore italiano di allineare su questo punto la legge 69/2005 alla decisione quadro» (par. 7.3.2.3., pagg. 68 - 69).

55. V. par. 6.2.1.a. e, in particolare, la già citata sentenza del 28 settembre 2006, Gasparini, causa C-467/04, ove – a giustificazione della riconducibilità al principio del ne bis in idem anche alle sentenze che dichiarano la prescrizione – si rileva quanto segue: «[l]a proposizione principale contenuta nell’unica frase che costituisce il detto art. 54 non fa, infatti, alcun riferimento al contenuto della sentenza diventata definitiva. Essa non è applicabile unicamente alle sentenze che pronunciano una condanna. Inoltre, non applicare l’art. 54 nell’ipotesi di assoluzione definitiva dell’imputato per prescrizione del reato che ha dato luogo al procedimento, comprometterebbe il conseguimento dell’obiettivo di tale disposizione che consiste nell’evitare che una persona, per il fatto di esercitare il suo diritto alla libera circolazione, sia sottoposta a procedimento penale per i medesimi fatti sul territorio di più Stati membri. Una tale persona deve dunque essere considerata come giudicata con sentenza definitiva ai sensi di questa disposizione» (così le massime sui punti 24 e 27-30 della decisione). Come inoltre rilevato dalla Corte con specifico riferimento all’applicazione del principio nell’ambito delle procedure di esecuzione del mandato di arresto europeo, neanche «la decisione quadro 2002/584 [...] non osta all’applicazione del principio ne bis in idem nel caso di un’assoluzione definitiva per prescrizione del reato. L’attuazione della facoltà, prevista all’art. 4, punto 4, della detta decisione quadro [di rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo, in particolare se l’azione penale è caduta in prescrizione secondo la legislazione dello Stato membro di esecuzione e i fatti rientrano nella competenza di tale Stato membro in virtù del suo proprio diritto penale] non è, infatti, subordinata all’esistenza di una sentenza basata sulla prescrizione. L’ipotesi secondo cui la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro è disciplinata dall’art. 3, punto 2, della detta decisione quadro, decisione che enuncia un motivo di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo» (punto 31). Si tratta, anche in questo caso, di princìpi noti e applicati nella giurisprudenza nazionale: cfr. sez. VI, sentenza n. 14719 del 07-12/05/2020, rv. 278849-01 (punto 12 del Considerato in diritto).

56. V., sul punto, quanto rilevato al par. 6.2., in nota 35.

57.V. il capitolo 5 della presente relazione.

58. La quale, infatti, non può avere rilievo allorquando «il mandato d’arresto europeo concerne l’esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell’Unione europea», come del resto previsto dalla lettera a) dell’articolo 18-bis.

59. La previsione, in principio collocata alla lettera p) dell’articolo 18 e in seguito transitata alla lettera b) del nuovo articolo 18-bis, continua infatti ad essere così formulata: «Se il mandato di arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio, ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio». La disposizione riproduce, pressoché testualmente, quella contenuta nell’articolo 4, n. 7 della decisione quadro.

60. Cfr. articolo 4, n. 2 della decisione quadro.

61. Così sez. VI, sentenza n. 27992 del 13/06/2018, H., rv. 273544-01, richiamata – dopo l’introduzione dell’articolo 18-bis – da sez. VI, sentenza n. 5929 del 11/02/2020, rv. 278329-01.

62. Così, ad esempio, sez. VI, sentenza n. 15866 del 04/04/2018 Cc., Rv. 272912-01.

63. «Se le autorità giudiziarie dello Stato membro dell'esecuzione hanno deciso di non esercitare l'azione penale per il reao oggetto del mandato d'arresto europeo oppure di porvi fine, o se la persona ricercata ha formato oggetto in uno Stato membro di una sentenza definitiva per gli stessi fatti che osta all'esercizio di ulteriori azioni».

64. Si rammenta che le nozioni di residenza e di dimora cui fa riferimento la decisione quadro costituiscono nozioni comunitarie, che – in quanto tali – richiedono una interpretazione autonoma ed uniforme. Dette nozioni sono state precisate dalla Corte di giustizia della sentenza del 17 luglio 2008, Kozlowsky, C-66/08, la quale ha identificato la “residenza” con una residenza effettiva nello Stato dell’esecuzione e la “dimora” con un soggiorno stabile di una certa durata in quello Stato, che consenta di acquisire con tale Stato legami d’intensità pari «a quelli che si instaurano in caso di residenza» (punto 46). La Corte, al riguardo, ha evidenziato la necessità che il giudice nazionale effettui una valutazione complessiva degli elementi oggettivi che caratterizzano la situazione del ricercato, come la durata, la natura e le modalità del suo soggiorno, nonché i legami familiari ed economici instaurati nello Stato dell’esecuzione (punti 48 e 54). Ha richiesto, inoltre, la valutazione anche dell’esistenza di un interesse legittimo del condannato a che la pena sia scontata in quello Stato (punto 44). Nella medesima sentenza sono state, infine, indicate alcune circostanze (nessuna delle quali, di per sé, decisiva) cui il giudice nazionale può utilmente far riferimento ai fini della verifica richiesta, quali – ad esempio – un periodo continuativo di dimora o la violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno nello Stato dell’esecuzione (punto 50).

65. Cfr. sentenza del 6 ottobre 2009, Wolzenburg, causa C-123/08, punto 58, da cui sono tratti anche gli ulteriori passaggi riportati tra virgolette nel testo.

66. La direttiva 2004/38 sulla libera circolazione è stata recepita in Italia con il D.lgs. n.30/2007 che, in tema di carta di soggiorno permanente per cittadini UE, all’articolo 14 dispone quanto segue: «1. Il cittadino dell'Unione che ha soggiornato legalmente ed in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale ha diritto al soggiorno permanente non subordinato alle condizioni previste dagli articoli 7, 11, 12 e 13. 2. Salve le disposizioni degli articoli 11 e 12, il familiare non avente la cittadinanza di uno Stato membro acquisisce il diritto di soggiorno permanente se ha soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio nazionale unitamente al cittadino dell'Unione. 3. La continuità del soggiorno non è pregiudicata da assenze che non superino complessivamente sei mesi l'anno, nonché da assenze di durata superiore per l'assolvimento di obblighi militari ovvero da assenze fino a dodici mesi consecutivi per motivi rilevanti, quali la gravidanza e la maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un Paese terzo. 4. Il diritto di soggiorno permanente si perde in ogni caso a seguito di assenze dal territorio nazionale di durata superiore a due anni consecutivi».

67. Che, come visto, prevedeva l’obbligatoria trasmissione di copia della sentenza sulla cui base il mandato di arresto europeo è stato emesso.

67-bis.Tra le quali si segnala, in particolare, la sostituzione della locuzione «dopo essere stata ascoltata», con cui – nella versione italiana della decisione quadro – era stata tradotta la formula in lingua inglese «after being heard». E’ infatti da sempre pacifico che l’espressione vada intesa «nel senso che la persona consegnata deve essere restituita una volta celebrato il processo a suo carico nello Stato di emissione, e non già quando sia adempiuta la sola attività di audizione, avente finalità difensiva» (ex ceteris, sez. VI, sent. 12338 del 21-23/03/2007, Compagnin, rv. 235949 – 01). Per tale ragione, nella nuova formulazione dell’articolo 19, lettera b), della legge n. 69 si è preferito precisare che, in caso di condanna, la persona consegnata debba essere ‘rinviata’ in Italia «dopo essere stata sottoposta al processo».

68. La condizione di rientrò prevista dalla norma risulta ora così formulata: «se il mandato di arresto europeo è stato emesso ai fini di un'azione penale nei confronti di cittadino italiano o di cittadino di altro Stato membro dell’Unione europea legittimamente ed effettivamente residente o dimorante nel territorio italiano da almeno cinque anni, l’esecuzione del mandato è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione».

69. V. capitolo 3, al richiamo di nota 10.

70. Sul punto, si rinvia al paragrafo 4.2.3 della presente relazione.

71.Sulla impossibilità, per il legislatore nazionale, di riconnettere alla mera scadenza dei termini la rimessione in libertà della persona richiesta in consegna e la mancata adozione delle misure eventualmente necessarie ad assicurare le «condizioni materiali» dell’esecuzione del mandato di arresto europeo, si vedano le seguenti decisioni della Corte di giustizia: sentenza della Seconda Sezione del 30 maggio 2013, Jeremy F., causa C 168/13 PPU; sentenza della Grande Sezione del 16 luglio 2015, Lanigan, causa C 237/15 PPU; sentenza della Prima Sezione, 12 febbraio 2019, TC, C 492/18 PPU.

72. Su tali aspetti, fra le altre, cfr. in particolare la già citata sentenza della Corte di Giustizia (Grande Sezione), 16 luglio 2015, causa C 237/15 PPU, Lanigan, par. 55-63.

73. V. il capitolo 5 della presente relazione.

74. Si rinvia a quanto esposto in premessa, in questo stesso paragrafo, e alla nota 72.

75. Cfr. sez. VI, sentenza n. 13868 del 22/03/2018, rv. 272776; sez. VI, sentenza n. 42536 del 09/10/2014, rv. 260727; sez. VI, sentenza n. 5750 del 04/02/2014, rv. 258632; sez. VI, sentenza n. 20281 del 24/04/2013, rv. 257024; sez. VI, sentenza n. 45524 del 20/12/2010, rv. 248717.

76. Cfr. sentenza n. 27992 del 13 giugno 2018, Rv. 273544-01.

 


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