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Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 13 aprile 2010 - Ricorso n. 50163/08 - Trabelsi c. Italia

Traduzione a cura del Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, effettuata dall’esperto linguistico Rita Carnevali

ABSTRACT

CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTA' FONDAMENTALI  -    
Art. 3 Divieto di tortura e di trattamenti inumani o degradanti – Straniero condannato – Espulsione verso il paese d’origine – Rischio di tortura – Violazione. Art. 34 Diritto di ricorso individuale - Straniero condannato – Espulsione verso il paese d’origine – rischio di tortura - Inosservanza della misura cautelare della sospensione del provvedimento di espulsione ex art. 39 del Regolamento della Corte – Violazione dell’art. 34 della Convenzione.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato che l’esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di origine costituisce violazione dell’art. 3 della Convenzione, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio effettivo che l’individuo subisca trattamenti inumani o degradanti nel paese d’origine. Ha altresì stabilito che la mancata ottemperanza alla richiesta di sospensione cautelare del provvedimento avanzata dalla Corte in virtù dell’art. 39 del Regolamento della stessa costituisce violazione dell’art. 34 della Convenzione.
Il ricorrente, cittadino tunisino residente in Italia, era stato sottoposto alla misura della custodia cautelare con l’accusa di appartenere ad un gruppo fondamentalista islamico, ed era stato condannato dalla Corte d’Assise d’appello di Brescia alla pena di sette anni di reclusione. La sentenza precisava che dopo aver scontato la sua pena, il ricorrente sarebbe stato espulso dal territorio italiano conformemente all'articolo 235 c.p..
Su richiesta del ricorrente, il 18 novembre 2008 il Presidente della Seconda Sezione della Corte europea dei diritti dell'uomo decideva di indicare al governo italiano, ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, che era preferibile, nell'interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura, non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Il presidente richiamava l'attenzione del Governo sul fatto che l'inosservanza da parte di uno Stato contraente di una misura indicata ai sensi dell'articolo 39 del regolamento può comportare violazione dell'articolo 34 della Convenzione.
Il 3 dicembre 2008, il Ministero dell'Interno emetteva un decreto di espulsione nei confronti del ricorrente. Quest’ultimo veniva espulso verso la Tunisia il 13 dicembre 2008
Con il ricorso presentato alla Corte europea dei diritti dell'uomo il Trabelsi ha lamentato la violazione dell’art. 3 della Convenzione, allegando che la sua espulsione verso la Tunisia lo espone al rischio di essere torturato. Egli, premesso che diversi cittadini tunisini rimpatriati con l’accusa di terrorismo sono risultati non più reperibili, ha ricordato che le inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America hanno evidenziato la sussistenza della pratica della tortura in Tunisia. Il ricorrente ha, poi, denunciato la inattendibilità delle rassicurazioni rilasciate dalle autorità tunisine al Governo italiano.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, per quanto riguarda la condizione dei detenuti nelle carceri tunisine, ha richiamato la propria precedente sentenza del 28 febbraio 2008, emessa nel caso Saadi c. Italia (ricorso n. 37201/06), con cui aveva riconosciuto il rischio di tortura connesso al rimpatrio dei condannati per terrorismo internazionale, sulla base di testi, documenti internazionali e fonti di informazione attestanti la pratica di trattamenti disumani.
La Corte, infatti, aveva ritenuto che l'esistenza di testi interni e l'accettazione di trattati internazionali che garantiscono, normalmente, il rispetto dei diritti fondamentali non fossero sufficienti, da sole, a garantire una protezione adeguata contro il rischio di maltrattamenti, quando fonti affidabili rivelano l’esistenza di pratiche poste in essere dalle autorità, o da queste tollerate, palesemente contrarie ai principi della Convenzione.
Ciò premesso, la Corte ha ricordato che Amnesty International, nel rapporto 2008 relativo alla Tunisia, ha precisato che, benché numerosi detenuti si fossero lamentati per essere stati torturati mentre erano sottoposti a fermo di polizia, «le autorità non hanno praticamente mai condotto alcuna inchiesta né adottato una alcuna misura per portare in giudizio i presunti torturatori».
I giudici di Strasburgo, inoltre, richiamando la propria giurisprudenza, hanno constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti che difendono i diritti dell’uomo, quali Human Rights Watch.
Sotto altro profilo, i giudici hanno sottolineato l’inidoneità delle dichiarazioni del Ministero degli Affari Esteri tunisino ad escludere, in assenza di rapporti sanitari, la sottoposizione di Trabelsi a trattamenti contrari alla previsione dell’articolo 3 della Convenzione.
Ribadendo i principi enunciati nella sentenza Saadi, la Corte ha affermato che gli Stati, nel valutare l’eventualità dell’adozione di un provvedimento di espulsione, non possono mettere in bilanciamento il rischio che il soggetto da espellere sia sottoposto a trattamenti disumani e degradanti nel Paese di destinazione con la pericolosità sociale del medesimo individuo.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha quindi dichiarato che l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione.
Con riferimento, poi, alla richiesta di sospensione cautelare indirizzata all’Italia, la Corte ha richiamato il caso Mamatkoulov e Askarov c. Turchia, per riaffermare il principio secondo cui l’inottemperanza dello Stato alla richiesta di misure provvisorie inoltrata ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte determina la violazione dell’articolo 34 della Convenzione, dovendo considerarsi come una circostanza che impedisce alla Corte di esaminare efficacemente le ragioni del ricorrente. Nella specie, i giudici hanno rilevato che a causa di tale inosservanza, da un lato, il ricorrente non ha potuto articolare la propria difesa e, dall’altro, la decisione della Corte rischia di restare priva di effetto utile.
Sicurezza pubblica - Stranieri - Straniero condannato – Espulsione verso il paese d’origine – rischio di tortura – violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti di cui all’art. 3 CEDU – sotto il profilo del rischio di tortura nel caso di espulsione in Tunisia – violazione dell’art. 3 CEDU – sussiste. -
Sicurezza pubblica - Stranieri - Straniero condannato – Espulsione verso il paese d’origine – rischio di tortura - inosservanza della misura cautelare della sospensione del provvedimento di espulsione ex art. 39 del Regolamento della Corte – violazione del diritto di ricorso individuale di cui all’art. 34 CEDU – sussiste.
L’esecuzione di un ordine di espulsione di uno straniero verso il Paese di origine costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, quando vi sono circostanze serie e comprovate che depongono per un rischio effettivo che l’individuo subisca trattamenti inumani o degradanti nel paese d’origine.
La mancata ottemperanza alla richiesta di sospensione cautelare del provvedimento avanzata dalla Corte in virtù dell’art. 39 del Regolamento della stessa costituisce violazione dell’art. 34 CEDU.

Fatto
In data 1° aprile 2003, il sig. Trabelsi era stato arrestato e posto in detenzione provvisoria con l’accusa di appartenere ad un gruppo fondamentalista islamico in Italia, nonché per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
In data 15 luglio 2006 il ricorrente era stato condannato dal Tribunale di Cremona a 10 anni di carcere con ordine di espulsione a fine pena, mentre la Corte d’Assise d’appello di Brescia, con sentenza confermata dalla Corte di Cassazione, aveva ridotto a 7 anni la condanna, annullando la parte relativa all'immigrazione clandestina.
La pena era stata poi ridotta di circa 15 mesi dal Tribunale di sorveglianza di Pavia in data 14 novembre 2008.
A seguito dell’espulsione in Tunisia da parte delle autorità italiane il 13 dicembre 2008, contro il sig. Trabelsi veniva eseguita una condanna già emessa in contumacia a 10 anni per terrorismo.
Prima di questa data, precisamente il 18 novembre 2008, su richiesta del ricorrente, in applicazione dell’articolo 39 del Regolamento della Corte europea dei diritti dell’uomo, il Presidente della Decima Sezione aveva espresso al Governo italiano l’auspicio che non si procedesse all’espulsione del ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine, nell’interesse delle parti e della corretta conduzione del procedimento dinanzi alla Corte e visti i rischi di trattamenti contrari all'articolo 3 CEDU in Tunisia.
Con il ricorso alla Corte EDU, il sig. Trabelsi, premesso che diversi cittadini tunisini rimpatriati con l’accusa di terrorismo sono risultati non più reperibili, ricordava che le inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America hanno svelato la sussistenza della pratica della tortura in Tunisia. Il ricorrente contestava, inoltre, la tesi secondo cui la situazione relativa al rispetto dei diritti umani in Tunisia sarebbe nel tempo migliorata e denunciava la non attendibilità delle rassicurazioni rilasciate dalle autorità tunisine al Governo italiano.
In particolare, il sig. Trabelsi adiva la Corte per la violazione dell’art. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e dell’art. 34 (ricorsi individuali) CEDU.

Diritto
La Corte, per quanto riguarda la condizione dei detenuti nelle carceri tunisine, ha richiamato la precedente sentenza del 28 febbraio 2008, Saadi c. Italia (ricorso n. 37201/06), con cui aveva riconosciuto il rischio di tortura connesso al rimpatrio dei condannati per terrorismo internazionale, sulla base di testi, documenti internazionali e fonti di informazione attestanti la pratica di trattamenti disumani.
La Corte, infatti, aveva ritenuto che l'esistenza di testi interni e l'accettazione di trattati internazionali che garantiscono, normalmente, il rispetto dei diritti fondamentali non fosse sufficiente, da solo, a garantire una protezione adeguata contro il rischio di cattivi trattamenti, quando fonti affidabili rivelano l’esistenza di pratiche poste in essere dalle autorità, o da queste tollerate, palesemente contrarie ai principi della Convenzione.
Ciò premesso, la Corte ha ricordato che Amnesty International, nel rapporto 2008 relativo alla Tunisia, ha precisato che, benché numerosi detenuti si fossero lamentati per essere stati torturati durante il fermo, «le autorità non hanno praticamente mai condotto alcuna inchiesta né adottato una qualsiasi misura per citare in giudizio i presunti torturatori».
I giudici di Strasburgo, inoltre, richiamando la propria giurisprudenza, hanno posto in luce l’assenza di qualunque certezza circa la competenza dell’avvocato generale alla direzione generale dei servizi giudiziari nel fornire assicurazioni in nome dello Stato (v., mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina ricorso n. 2440/07).
Sotto altro profilo, i giudici hanno sottolineato l’inidoneità di tali dichiarazioni ad escludere, in assenza di certificazioni mediche, la sottoposizione di Trabelsi a trattamenti contrari alla previsione dell’articolo 3 della Convenzione.
Ribadendo i principi enunciati nella sentenza Saadi, la Corte ha affermato che gli Stati parti della Convenzione, nel valutare l’eventualità dell’adozione di un provvedimento di espulsione, non possono mettere in bilanciamento il rischio che il soggetto da espellere sia sottoposto a trattamenti disumani e degradanti nel Paese di destinazione con la pericolosità sociale del medesimo individuo.
In merito alla presunta violazione dell’art. 8 CEDU, la Corte non ha ritenuto di esaminare separatamente tale motivo di doglianza, poiché ha già accertato che l’espulsione del sig. Trabelsi costituisce violazione dell’art. 3 CEDU, non essendoci alcun dubbio sul fatto che il governo convenuto si conformerà alla presente decisione.
Con riferimento, poi, alla richiesta cautelare indirizzata all’Italia, la Corte ha richiamato il caso Mamatkoulov e Askarov c. Turchia, per riaffermare il principio secondo cui l’inottemperanza dello Stato alla richiesta di misure provvisorie inoltrata ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte determina la violazione dell’articolo 34 della Convenzione.
Ne deriva che essa deve considerarsi come una circostanza che impedisce alla Corte di esaminare efficacemente le ragioni del ricorrente.
Nella specie, i giudici hanno rilevato che a causa di tale inosservanza, da un lato, Mourad Trabelsi non ha potuto articolare la propria difesa e, dall’altro, la decisione della Corte rischia di restare priva di effetto utile.
Per questi motivi la Corte ha condannato lo Stato italiano al pagamento in favore del ricorrente della somma di 15.000 euro a titolo di risarcimento per i danni morali, nonché al pagamento della somma di 6.000 euro per spese di giudizio.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO
Art. 3 CEDU – Divieto di trattamenti disumani o degradanti
Art. 8 CEDU – Diritto al rispetto della vita privata e familiare
Art. 34 CEDU – Ricorsi individuali
PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Art. 3 CEDU – relativamente al rischio che un’espulsione esponga un soggetto a trattamenti disumani e degradanti nel Paese di destinazione: Saadi c. Italia (ricorso n. 37201/06), Ben Khemais c. Italia (ricorso n. 246/07), Chahal c. Regno Unito, sentenza del 15 novembre 2006.
Art. 34 CEDU – in ordine all’inosservanza della sospensione cautelare ai sensi dell’art. 39 del Regolamento della Corte EDU: Mamatkulov e Askarov c. Turchia, sentenza del 4 febbraio 2005; Ben Khemais c. Italia (ricorso n. 246/07). 

                                      
CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
  SECONDA SEZIONE
 CAUSA TRABELSI c. ITALIA
  (Ricorso n. 50163/08)
      SENTENZA
  STRASBURGO - 13 aprile 2010

La presente sentenza diverrà definitiva nelle condizioni definite nell’articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche formali.
Nella causa Trabelsi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:
    Françoise Tulkens, presidente,
    Ireneu Cabral Barreto,
    Vladimiro Zagrebelsky,
    Danutė Jočienė,
    Dragoljub Popović,
    András Sajó,
    Işıl Karakaş, giudici,
e da Françoise Elens-Passos,  cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 23 marzo 2010,
Rende la seguente sentenza, adottata in tale data :

PROCEDURA
1.  All'origine della causa vi è un ricorso (no 50163/08) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino tunisino, il signor Mourad Trabelsi ("il ricorrente"), ha adito la Corte il 20 ottobre 2008 ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo delle libertà fondamentali ("La Convenzione").
2.  Il ricorrente è rappresentato dall'avvocato G. de Carlo, del foro di Milano. Il governo italiano ("il Governo") è stato rappresentato dal suo agente, signora E. Spatafora, e dal suo agente aggiunto, signor N. Lettieri.
3.   Il ricorrente sostiene in particolare che l’aver messo in esecuzione la decisione di espellerlo lo ha esposto al rischio di tortura ed ha infranto il suo diritto di ricorso individuale.
4.  Il 30 marzo 2009, il presidente della seconda sezione ha deciso di comunicare il ricorso al Governo. Ha inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa come consentito dall’articolo 29 § 3 della Convenzione.

IN FATTO
I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE
5.  Il ricorrente è nato nel 1969 e risiede a Cremona.
6.  Il ricorrente risiede regolarmente in Italia dal 1986. E’ coniugato con una cittadina tunisina ed ha tre figli in tenera età nati in Italia.
A.  Le indagini a carico del ricorrente e la decisione di espellerlo
7.  Il 1° aprile 2003, il ricorrente, sospettato di appartenere ad un gruppo fondamentalista islamico e di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, fu arrestato e sottoposto a custodia cautelare in carcere.
8.  Con la sentenza del 15 luglio 2006, la corte d'assise di Cremona ritenne il ricorrente colpevole e lo condannò a dieci anni e sei mesi di reclusione. La sentenza precisava che dopo aver scontato la sua pena, il ricorrente sarebbe stato espulso dal territorio italiano conformemente all'articolo 235 del codice penale.
9.  In seguito all'appello del ricorrente, la corte d'assise d'appello di Brescia lo prosciolse relativamente al capo di imputazione di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e ridusse la pena a 7 anni di reclusione.
10.  Questa condanna fu confermata dalla Corte di cassazione e divenne definitiva.
11.  Nel frattempo, con la sentenza del 26 gennaio 2005, il tribunale militare di Tunisi aveva condannato in contumacia il ricorrente a dieci anni di reclusione per aver aderito, in tempo di pace, ad una organizzazione terroristica.
12.  Il 3 ottobre 2008, il ricorrente presentò al magistrato di sorveglianza di Pavia una domanda volta ad ottenere una riduzione della pena. Il 14 novembre 2008, il giudice accolse la domanda del ricorrente e ridusse la sua pena di 485 giorni.
13.  Su richiesta del ricorrente, il 18 novembre 2008 il presidente della seconda sezione ha deciso di indicare al governo italiano, ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, che era preferibile, nell'interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura, non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Il presidente ha richiamato l'attenzione del Governo sul fatto che l'inosservanza da parte di uno Stato contraente di una misura indicata ai sensi dell'articolo 39 del regolamento può comportare violazione dell'articolo 34 della Convenzione (vedere Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, §§ 128-129 e punto 5 del dispositivo, CEDH 2005-I).
14.  Il 28 novembre 2008, la Commissione per i rifugiati di Milano respinse la domanda di asilo politico del ricorrente, pur affermando l'opportunità di concedergli un permesso di soggiorno speciale per ragioni umanitarie, tenuto conto della decisione della Corte di Strasburgo del 18 novembre 2008.
15.  Il 4 dicembre 2008, il rappresentante del ricorrente ha informato la cancelleria della Corte che il suo cliente era stato condotto in un centro di permanenza temporanea di Milano in vista dell'esecuzione della sua espulsione verso la Tunisia.
16.  Lo stesso giorno, il cancelliere della seconda sezione ha inviato via fax alla rappresentanza permanente dell'Italia Strasburgo e ai ministeri dell’Interno (ufficio UCARLI e Direzione centrale dell'immigrazione della polizia di frontiera) e della Giustizia (Ufficio estradizioni e rogatorie), il seguente messaggio:
 « In una comunicazione inviata dall’avvocato G. De Carlo il 4 dicembre 2008 (allegata) riguardante il ricorso citato a margine, risulta che il ricorrente sarebbe stato informato della conferma della decisione di espellerlo verso la Tunisia.
Con lettera del 18 novembre 2008 (qui allegata), il vostro Governo era stato informato che, in applicazione dell'articolo 39 del regolamento della Corte,  il Presidente della seconda Sezione della Corte aveva deciso di indicargli che nell'interesse delle parti e del buon svolgimento della procedura innanzi a quest’ultima, era preferibile non espellere il ricorrente verso la Tunisia fino a nuovo ordine. Questa misura provvisoria non è mai stata revocata. Il Presidente, informato delle nuove circostanze, ha confermato che tale indicazione era ancora in vigore nonostante questa espulsione sarebbe basata su un nuovo decreto.
Richiamo la vostra attenzione sulla sentenza Saadi c. Italia del 28 febbraio 2008 nella quale la Grande Camera ha ritenuto, in una causa simile, che nell'eventualità fosse stata messa in esecuzione la decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia, vi sarebbe stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione. »
17.  Nel frattempo, il 3 dicembre 2008, il Ministero dell'Interno emise un decreto di espulsione nei confronti del ricorrente. Il 4 dicembre 2008, il tribunale di sorveglianza di Pavia diede il suo consenso all'espulsione osservando che il ricorrente rappresentava una minaccia per la sicurezza dello Stato
18.  Con un messaggio inviato via fax il 15 dicembre 2008, il rappresentante del ricorrente informò la cancelleria della Corte che il suo cliente era stato espulso verso la Tunisia il 13 dicembre 2008
19.  Il 27 dicembre 2008, il Governo informò la Corte che il ricorrente aveva finito di scontare la sua pena il 21 novembre 2008
B.  Le assicurazioni diplomatiche ottenute dalle autorità italiane
20.  Il 12 dicembre 2008, l'Ambasciata d'Italia a Tunisi inviò al ministero degli Affari esteri tunisino la seguente nota verbale (no 4647):
« L'Ambasciata d'Italia presenta i suoi complimenti al ministero degli Affari Esteri e fa riferimento alle proprie note verbali n° 2738 del 21 luglio e n° 2911 dello scorso 6 agosto ed alla visita in Tunisia della delegazione tecnica dei rappresentanti dei ministeri italiani dell'Interno e della Giustizia, svoltasi il 24 luglio scorso, concernenti l'esame delle procedure da seguire in merito ai ricorsi pendenti innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo, presentati da alcuni cittadini tunisini, nei cui confronti sono stati emessi o potrebbero essere emessi decreti di espulsione.
L’Ambasciata d’Italia ringrazia il ministero degli Affari Esteri per la nota verbale DGAC n° 011998 del 26 agosto scorso e per suo tramite il ministero della Giustizia e la Direzione diritti umani per la concreta collaborazione mostrata nel caso del signor Essid Sami Ben Khemais.
Conformemente a quanto convenuto nella riunione del 24 luglio, le autorità italiane si pregiano sottoporre per via diplomatica la loro richiesta di elementi addizionali specifici necessari nel contenzioso pendente innanzi alla Corte di Strasburgo tra l’Italia ed il signor Mourad TRABELSI.
A tal fine, l’Ambasciata d'Italia si pregia chiedere al ministero degli Affari Esteri di voler adire le autorità tunisine competenti affinché esse possano fornire per via diplomatica le seguenti assicurazioni specifiche su ciascuno di questi ricorrenti in relazione ai seguenti argomenti :
- che la persona, le cui generalità verranno specificate, in caso di espulsione verso la Tunisia non venga sottoposta a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti ;
- che essa possa essere giudicata da un tribunale indipendente ed imparziale, secondo procedure che, nel complesso, siano conformi ai principi di un processo equo e pubblico;
- che durante la sua detenzione, possa ricevere le visite dei suoi avvocati compreso quello italiano che la rappresenta nel giudizio innanzi alla Corte di Strasburgo, dei suoi familiari e di un medico.
Tenuto conto che la scadenza per la presentazione delle osservazioni del governo italiano a Strasburgo per i suddetti casi è fissata al prossimo 19 settembre, l’Ambasciata d'Italia sarebbe grata al ministero degli Affari Esteri se volesse farle pervenire al più presto gli elementi richiesti, fondamentali per la strategia difensiva del governo italiano e suggerisce che l'avvocato Costantini, Primo segretario dell'ambasciata, possa recarsi presso il ministero della Giustizia e la Direzione diritti umani per fornire tutti i chiarimenti ritenuti utili.
L’Ambasciata d’Italia sarebbe inoltre grata al ministero degli Affari Esteri se volesse verificare se le autorità tunisine competenti ritengono opportuno che il governo tunisino partecipi, per i citati ricorsi, alle procedure innanzi alla Corte di Strasburgo, in quanto terzo, e ciò conformemente agli articoli 36 della Convenzione, 44 del regolamento della Corte ed al paragrafo 2 dell’allegato al regolamento.
L'ambasciata d'Italia ringrazia anticipatamente il ministero degli Affari Esteri per l’attenzione che vorrà riservare alla presente nota e coglie l’occasione per rinnovarle i sensi della sua alta considerazione.»
21.  Non avendo ricevuto risposta, l'Ambasciata d'Italia a Tunisi rinnovò la sua richiesta di informazioni il 23 dicembre 2008.
22.  Il 3 gennaio 2009, le autorità tunisine fecero pervenire la loro risposta firmata dall'avvocato generale presso la direzione generale dei servizi giudiziari. Nelle sue parti pertinenti, questa risposta recita:
« Nella sua nota verbale del 12 dicembre 2008, l'ambasciata d'Italia a Tunisi ha richiesto, dalle autorità tunisine, le assicurazioni qui appresso elencate, riguardanti il cittadino Mourad TRABELSI, detenuto nelle carceri tunisine.
Innanzitutto è opportuno ricordare che successivamente alla sua consegna alle autorità tunisine, nei confronti dell’interessato è stata disposta la misura di fermo, conformemente all’articolo 13 bis del codice di procedura penale, nell’ambito di una indagine preliminare a suo carico per alcuni fatti connessi con i reati terroristici che gli vengono ascritti.
Dopo la chiusura dell’indagine preliminare, Mourad TRABELSI è stato presentato al procuratore della Repubblica che ha disposto l’apertura di un’istruzione per costituzione di un’associazione per delinquere e partecipazione ad un’intesa finalizzata a preparare e commettere attentati a persone e cose conformemente agli articoli 131 e 132 del codice penale tunisino. L’istruzione è stata affidata ad un giudice istruttore che ha interrogato Mourad TRABELSI in presenza del suo avvocato. Dopo l’interrogatorio, il giudice istruttore ha emesso un mandato di carcerazione nei confronti dell’imputato, conformemente all’articolo 80 del codice di procedura penale tunisino che dispone: “dopo l’interrogatorio dell’accusato, il giudice istruttore può, su richiesta del procuratore della Repubblica, emettere un mandato di carcerazione se il fatto è punito con la pena della reclusione”. L’istruzione è attualmente in corso.
Inoltre, dalla consultazione dei registri delle condanne è stato rilevato che il tribunale militare ha emesso nei confronti di Mourad TRABELSI una sentenza  contumaciale per il reato di adesione ad una organizzazione terroristica operante all'estero e per le sue attività volte a reclutare membri per questa organizzazione. L'inchiesta condotta in occasione di questo caso ha in effetti rivelato che l'interessato è un membro attivo di un’organizzazione che esalta il sovvertimento per mezzo delle armi dei regimi che non applicano la Charia islamica al fine di instaurare al loro posto degli Stati islamici.
Questa sentenza contumaciale è stata notificata a Mourad TRABELSI il quale è stato anche informato che, conformemente alla legge, poteva impugnarla tramite opposizione. L'interessato ha esercitato il suo diritto all'opposizione. A tal fine, è stato deferito al tribunale ed ha beneficiato dell'assistenza di un avvocato. La sua opposizione è stata dichiarata formalmente ammissibile; in conseguenza di ciò, in applicazione dell'articolo 182 del codice di procedura penale, è stata annullata la sentenza impugnata ed al ricorrente è stato permesso di essere nuovamente giudicato e di presentare i mezzi da lui ritenuti utili per la sua difesa. La causa è attualmente in corso e l'autorità giudiziaria competente ha deciso, in questo ambito, l'arresto dell'interessato.
Le seguenti precisazioni costituiscono la risposta ai diversi punti summenzionati.
I.  La garanzia del rispetto della dignità dell’interessato
E’ garantito il rispetto della dignità dell’interessato, esso trae origine dal principio del rispetto della dignità della persona, in qualunque stato si trovi, principio fondamentale riconosciuto dal diritto tunisino e garantito a tutte le persone e più in particolare ai detenuti il cui status è minuziosamente disciplinato.
È utile a tale proposito ricordare che l'articolo 13, comma 2, della Costituzione tunisina dispone che “ogni individuo che ha perduto la sua libertà è trattato umanamente, nel rispetto della sua dignità”.
La Tunisia ha peraltro ratificato senza alcuna riserva la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Essa ha così riconosciuto la competenza del comitato contro la tortura a ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate da o per conto dei cittadini che sono sottoposti alla sua giurisdizione e che sostengono di essere vittime di violazioni delle disposizioni della Convenzione [ratificata dalla legge 88-79 dell'11 luglio 1988. Gazzetta Ufficiale della Repubblica tunisina n° 48 del 12-15 luglio 1988, pagina 1035 (allegato n° 1)].
Le disposizioni di detta Convenzione sono state trasposte nel diritto interno, l'articolo 101 bis del codice penale definisce la tortura come “un atto con il quale, sono intenzionalmente inflitti ad una persona un dolore o delle sofferenze acute, fisiche o mentali, al fine di ottenere dalla medesima o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che lei o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla o far pressioni su lei o di intimidire o far pressioni su una terza persona, o quando il dolore o le sofferenze acute sono inflitte per qualsiasi altro motivo fondato su una forma qualunque di discriminazione.”
Il legislatore ha previsto pene severe per questo genere di violazioni, così il succitato articolo 101 bis dispone che “è punito con otto anni di reclusione  il funzionario o un suo assimilato che, nell'esercizio o in occasione dell'esercizio delle sue funzioni, sottopone una persona a tortura.”
Occorre segnalare che, secondo l'articolo 12 della Costituzione, la misura del fermo di polizia è soggetta al controllo giudiziario e che la detenzione preventiva può essere disposta soltanto con provvedimento giudiziario. È vietato sottoporre una persona a detenzione arbitraria. La procedura di fermo prevede parecchie garanzie che tendono ad assicurare il rispetto dell'integrità fisica e morale del detenuto fra cui in particolare:
- Il diritto della persona sottoposta a fermo di informare, al momento del suo arresto, i membri della sua famiglia.
- Il diritto di domandare durante il fermo di polizia o alla scadere del suo termine di essere sottoposto a visita medica. Questo diritto può eventualmente essere esercitato dai membri della famiglia.
- La durata della detenzione preventiva è disciplinata, la sua proroga è eccezionale e deve essere motivata dal giudice.
Occorre anche notare che la legge del 14 maggio 2001 sull'organizzazione carceraria all’articolo primo sancisce che l’obiettivo della medesima legge è la disciplina delle “condizioni detentive nelle carceri al fine di assicurare l'integrità fisica e morale del detenuto, di prepararlo alla vita in libertà e di aiutarlo nel suo reinserimento.”
Questa disposizione legislativa è rafforzata dall'attuazione di un sistema di controllo destinato ad assicurare l’effettivo rispetto della dignità dei detenuti. Si tratta di vari tipi di controlli eseguiti da diversi organi e istituzioni:
- Vi è dapprima un controllo giudiziario assicurato dal giudice dell'esecuzione delle pene che, secondo la formulazione dell'articolo 342-3 del codice di procedura penale tunisino, è tenuto a visitare l'istituto penitenziario situato nel distretto di sua competenza, per conoscere le condizioni dei detenuti, dette visite sono in pratica effettuate mediamente due volte a settimana.
- Vi è poi il controllo effettuato dal comitato superiore dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il presidente di questo istituto nazionale indipendente può effettuare visite improvvise negli istituti penitenziari per informarsi sullo stato e sulle condizioni dei detenuti.
- Vi è anche il controllo amministrativo interno effettuato dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei diritti dell'uomo e dell'ispettorato generale che dipende dalla direzione generale delle carceri e della rieducazione. È da notare in questo quadro che l'amministrazione penitenziaria fa parte del ministero della Giustizia e che gli ispettori di detto ministero sono magistrati di carriera e ciò costituisce una garanzia supplementare ai fini di un rigoroso controllo delle condizioni detentive.
- Occorre infine segnalare che il comitato internazionale della Croce Rossa è abilitato dal 2005 ad effettuare visite nei luoghi di detenzione, nelle prigioni e nei locali della polizia abilitati ad accogliere i detenuti in stato di fermo. Al termine di queste visite sono redatti dei rapporti dettagliati e vengono organizzati incontri con i servizi interessati per mettere in atto le raccomandazioni formulate dal comitato sullo stato dei detenuti.
Le autorità tunisine ricordano che esse non esitano affatto ad indagare su tutte le allegazioni di tortura ogni qualvolta vi siano ragionevoli motivi per credere che siano stati commessi maltrattamenti. Si citano due esempi: il primo riguarda tre agenti dell'amministrazione penitenziaria che hanno maltrattato un detenuto, a seguito di un'inchiesta aperta a tale proposito i tre agenti sono stati deferiti in giustizia e sono stati condannati ciascuno a quattro anni di reclusione con una sentenza della corte d'appello di Tunisi emessa il 25 gennaio 2002. Il secondo esempio riguarda un agente di polizia che è stato perseguito per lesioni volontarie ed è stato condannato a 15 anni di reclusione con una sentenza emessa dalla corte d'appello di Tunisi il 2 aprile 2002.
Questi due esempi dimostrano come le autorità tunisine non tollerino alcun maltrattamento e non esitino ad intraprendere le azioni necessarie contro i pubblici ufficiali ogni qualvolta vi siano motivi ragionevoli per ritenere che siano stati commessi atti di tale natura.
I pochi casi di condanna per maltrattamenti sono stati segnalati nel rapporto presentato dalla Tunisia al Consiglio dei diritti dell'uomo (allegato 2) ed al Comitato dei diritti dell'uomo (allegato 3) denotando così la volontà politica dello Stato nel perseguire e reprimere qualsiasi tortura o maltrattamento, e questo permette di respingere qualsiasi allegazione di sistematica violazione dei diritti dell'uomo.
In conclusione, è evidente che:
- Dopo la sua espulsione verso la Tunisia, nei confronti di Mourad TRABELSI è stata disposta la misura del fermo di polizia nell'ambito di una indagine preliminare a suo carico per costituzione e adesione ad un'associazione per delinquere. Dopo la chiusura di questa inchiesta, l'interessato è stato deferito alla procura che ha deciso l'apertura di una istruzione affidandola ad un giudice istruttore. L'interrogatorio dell'interessato si è svolto in presenza del suo avvocato. Al termine dell'interrogatorio, il giudice istruttore ha emesso un mandato di carcerazione nei suoi confronti.
- D'altra parte, nei confronti dell'interessato è stata emessa una sentenza contumaciale per la sua adesione ad un'organizzazione terroristica. E’ stato presentato innanzi a un giudice ed ha beneficiato dell'assistenza di un avvocato. Ha esercitato il suo diritto all'opposizione avverso la sentenza emessa suoi nei suoi confronti. L'ammissibilità dell'opposizione ha avuto quale effetto l’annullamento della sentenza e la causa è stata nuovamente esaminata
- Ad ogni modo, l'interessato beneficia di tutte le garanzie che la legislazione tunisina gli offre.
II. La garanzia di un processo equo all'interessato:
Mourad TRABELSI è processato per appartenenza ad un'associazione per delinquere e per adesione ad un’organizzazione terroristica operante all'estero.
Le procedure del procedimento penale, dell'istruzione e del giudizio di questi reati racchiudono tutte le garanzie necessarie ad un processo equo fra cui soprattutto:
- Il rispetto del principio della separazione tra le autorità richiedenti l’azione penale, dell’istruzione e giudicanti.
- L’istruzione in materia di crimini è obbligatoria. Essa obbedisce al principio del doppio grado di giurisdizione (giudice istruttore e sezione istruttoria).
- Le udienze del processo sono pubbliche e rispettano il principio del contraddittorio.
- Ogni persona sospettata di un crimine ha obbligatoriamente diritto all'assistenza di uno o più avvocati. In caso di bisogno le viene nominato un avvocato d'ufficio e le spese sono a carico dello Stato. L'assistenza dell'avvocato prosegue nel corso di tutto il procedimento: istruzione preparatoria e fase di giudizio.
- L'esame dei crimini è di competenza delle corti criminali che sono formate da cinque magistrati, questa formazione allargata rafforza le garanzie dell'imputato.
- Il principio del doppio grado di giurisdizione in materia criminale è sancito dal diritto tunisino. Il diritto di proporre appello avverso le sentenze di condanna è quindi un diritto fondamentale per l'imputato.
- Non può essere emessa nessuna condanna se non sulla base di solide prove che sono state oggetto di dibattimento in contraddittorio innanzi all'autorità giudiziaria competente. La confessione stessa dell'imputato non è considerata come una prova determinante. Questa posizione è stata confermata dalla sentenza della Corte di cassazione tunisina n° 12150 del 26 gennaio 2005 con la quale la Corte ha dichiarato che la confessione estorta con violenza è nulla e ciò in applicazione dell'articolo 152 del codice di procedura penale che dispone che: “la confessione, come qualsiasi elemento di prova, è lasciato alla libera valutazione dei giudici”. Il giudice deve quindi valutare tutte le prove che gli vengono presentate al fine di decidere sulla forza probante da attribuire loro secondo la sua intima convinzione.
III. La Garanzia del diritto di ricevere visite:
La legge del 14 maggio 2001 sull’organizzazione carceraria sancisce il diritto di ogni detenuto di ricevere la visita dell’avvocato incaricato della sua difesa, senza la presenza di un agente penitenziario, nonché la visita dei familiari. Il detenuto Mourad TRABELSI fruisce di questo diritto conformemente all’ordinamento vigente e senza alcuna restrizione.
b) Visite dei membri della famiglia
Ad oggi, ogni volta che i familiari di Mourad TRABELSI hanno chiesto l’autorizzazione a visitare il loro congiunto, l’autorità competente ha risposto loro favorevolmente. In questo ambito egli ha beneficiato, il 19 dicembre 2008, della visita di suo fratello e di sua sorella.
IV. La garanzia del diritto di beneficiare di cure mediche:
La legge precitata relativa all'organizzazione carceraria dispone che ogni detenuto ha diritto gratuitamente a cure e medicinali all'interno delle prigioni e, in mancanza, nelle strutture ospedaliere. Inoltre, l'articolo 336 del codice di procedura penale autorizza il giudice dell'esecuzione delle pene a sottoporre il condannato a esame medico.
In questo ambito il detenuto Mourad TRABELSI è stato sottoposto all'esame medico di primo ingresso nell'unità penitenziaria. Il rapporto del medico non rileva nulla di particolare nei suoi confronti. Detto detenuto ha, peraltro, fruito successivamente di un controllo medico facendo esami periodici. In conclusione, l'interessato beneficia di un regolare controllo medico come tutti i detenuti e quindi non è necessario autorizzare un altro medico a visitarlo.
Le autorità tunisine reiterano la loro volontà di cooperare pienamente con la parte italiana fornendole tutte le informazioni e i dati utili alla sua difesa nella procedura pendente dinanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo».
23.  Con una nota del 5 ottobre 2009, l'ambasciata d'Italia a Tunisi sollecitò al ministero tunisino degli Affari esteri le informazioni complementari riguardanti la situazione del ricorrente.
Il 14 ottobre 2009, il ministero degli Affari esteri fece pervenire la sua risposta. In particolare, quanto riguarda le condizioni detentive del signor Trabelsi, questa risposta recita:
 « L'interessato attualmente detenuto nel carcere di Saouaf (...).
Ha regolarmente beneficiato della visita dei suoi parenti, in particolare della moglie, dei genitori, della sorella e dei suoceri.
Il signor Trabelsi beneficia anche di tutte le cure mediche necessarie. Da una parte, fin dalla sua entrata in carcere, ha beneficiato di una visita medica per accertare il quadro complessivo del suo stato di salute. Dall'altra parte, l'interessato è sottoposto ad un regolare controllo sanitario nel quadro di un esame periodico (…).
Poiché il medico del carcere ha constatato che il signor Trabelsi presentava sintomi di asma, sono state disposte misure specifiche tenendo conto del suo stato di salute. Pertanto, l'interessato è ormai detenuto in una cella per non fumatori. D'altra parte beneficia di consultazioni periodiche regolari nel reparto di pneumologia dell'ospedale di Zenghouan, oltre alle cure che gli vengono prodigate dal personale medico dell'unità penitenziaria. »

II.  IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE

24.   I ricorsi che è possibile proporre avverso un decreto di espulsione in Italia e le norme che disciplinano la riapertura di un processo in contumacia in Tunisia sono descritti nella sentenza Saadi c. Italia ([GC], no 37201/06, §§ 58-60, 28 febbraio 2008).

III.  TESTI E DOCUMENTI INTERNAZIONALI
25.  Nella sentenza Saadi precitata si trova la descrizione dei seguenti testi, documenti internazionali, fonti di informazioni: l'accordo di cooperazione in materia di lotta contro la criminalità firmato dall'Italia e dalla Tunisia e l'accordo di collaborazione tra la Tunisia, l’Unione europea ed i suoi Stati membri (§§ 61-62); gli articoli 1, 32 e 33 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status di rifugiato (§ 63); le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa (§ 64); i rapporti di Amnesty International (§§ 65-72) e di Human Rights Watch (§§ 73-79) riguardanti la Tunisia; le attività del Comitato internazionale della croce Rossa (§§ 80-81); il rapporto del Dipartimento di Stato americano sui diritti umani in Tunisia (§§ 82-93); le altre fonti di informazioni relative al rispetto dei diritti umani in Tunisia (§ 94).
26.  Dopo l'adozione della sentenza Saadi, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale 2008. Le parti pertinenti della sezione di questo rapporto dedicata alla Tunisia sono riportate nella sentenza Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 34, ... 2009).
27.  Nella sua risoluzione 1433(2005), relativa alla legalità della detenzione di persone da parte degli Stati Uniti a Guantánamo Bay, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha chiesto al governo americano, tra l’altro, “di non rinviare o trasferire i detenuti basandosi sulle «assicurazioni diplomatiche» di paesi che notoriamente ricorrono con sistematicità alla tortura e in tutti i casi in cui non sia fermamente provata l’assenza del rischio di maltrattamenti “.

IN DIRITTO
I.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE
28.  Il ricorrente allega che la sua espulsione verso la Tunisia lo espone al rischio di essere torturato. Invoca l’articolo 3 della Convenzione.
Questa disposizione recita:
 «Nessuno può essere sottoposto né a pene o trattamenti inumani o degradanti. »
29.  Il Governo si oppone a questa tesi.
A.  Sulla ricevibilità
30.  La Corte constata che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 della Convenzione e che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. E’ quindi opportuno dichiararlo ricevibile.
B.  Sul merito
1.  Argomenti delle parti
31.  Il ricorrente sostiene che parecchi tunisini espulsi con il pretesto del terrorismo non hanno più dato segni di vita. Le inchieste condotte da Amnesty International e dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti di America, che dimostrerebbero che in Tunisia è praticata la tortura, confermerebbero questa affermazione. La tesi del Governo, che sostiene che la situazione dei diritti umani in Tunisia è migliorata, non si fonderebbe su nessun elemento oggettivo.
32.  Il ricorrente qualifica come propaganda le assicurazioni diplomatiche fornite dalla Tunisia e afferma che non sono affidabili. Ad ogni modo, il Governo avrebbe avviato trattative per ottenere tali assicurazioni soltanto il 3 gennaio 2009, ossia dopo l’espulsione, accettando così il rischio che il ricorrente venisse torturato.
33.  E’ prassi delle autorità tunisine minacciare e maltrattare i prigionieri e le loro famiglie. Ne è prova il fatto che le autorità tunisine per parecchi mesi si sarebbero rifiutate di rinnovare il passaporto di sua moglie al fine di impedirle di raggiungerlo in Tunisia e di verificare le condizioni della sua detenzione.
34.  Il Governo sottolinea che le allegazioni relative al rischio di essere esposto a tortura o a trattamenti inumani e degradanti devono essere sostenute da adeguati elementi di prova, e ritiene che nel caso di specie questo non sia avvenuto.
35.  A tale proposito, afferma che le informazioni fornite dalle fonti internazionali citate dall'interessato sono state smentite dopo le espulsioni, nel 2007 e 2008, dei signori Ben Khemais e Cherif (vedere sentenze Ben Khemais c. Italia, no 246/07, CEDH 2009 ... (estratti) ; Cherif e altri c. Italia, no 1860/07, 7 aprile 2009), cittadini tunisini che non hanno mai fornito la prova di essere stati torturati o sottoposti a maltrattamenti né durante la loro detenzione nelle carceri tunisine né dopo la loro remissione in libertà.
36.  Il Governo afferma che né la Convenzione né i suoi Protocolli sanciscono il diritto all'asilo politico. L'interpretazione della Corte secondo la quale il respingimento è vietato in caso di rischio di maltrattamenti anche se il ricorrente rappresenta un pericolo per la sicurezza del paese che lo accoglie equivarrebbe ad una abrogazione de facto degli altri trattati internazionali in materia di diritto di asilo politico e di concessione dello status di rifugiato.
37.  Nella fattispecie, il ricorrente sarebbe stato espulso solo dopo aver ottenuto garanzie ufficiose in merito al fatto che non sarebbe stato sottoposto a trattamenti contrari alla Convenzione, e il suo fascicolo sarebbe stato in seguito formalizzato durante una visita in Tunisia delle autorità italiane. Queste ultime avrebbero ricevuto sufficienti assicurazioni diplomatiche sulla sicurezza e sul benessere del ricorrente; e non accordarvi alcun credito equivarrebbe a dubitare della buona fede delle autorità  tunisine ed a rompere un dialogo intergovernativo e internazionale molto fruttuoso. Sottolineando che nella causa Saadi  prima citata, la Corte stessa ha domandato se tali assicurazioni fossero state richieste e ottenute, il Governo ritiene che, senza che si faccia questione di rimetterli in causa, i principi affermati dalla Grande Camera devono essere adattati alle particolari circostanze fattuali del caso di specie.
38. In merito alla situazione del ricorrente dopo la sua espulsione, il Governo fa riferimento alle informazioni complementari fornite dalla Tunisia 14 ottobre 2009, secondo le quali l'interessato riceverebbe visite regolari da parte della sua famiglia e godrebbe di uno stato di salute soddisfacente.
39. Il Governo sostiene che tali informazioni complementari non provengono dall'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari, bensì dal Ministero tunisino degli Affari Esteri, ossia dall'autorità competente a dare queste assicurazioni in nome dello Stato. A tale proposito, invita la Corte a discostarsi dalle sue conclusioni della causa Ben Khemais (succitata, § 59) relativamente alla incompetenza dell'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari a fornire assicurazioni diplomatiche in nome dello Stato tunisino.
2.  Valutazione della Corte
40.  I principi generali relativi alla responsabilità degli Stati contraenti in caso di espulsione, agli elementi da tenere in considerazione per valutare il rischio di esposizione a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione e alla nozione di “tortura” e di “trattamenti inumani e degradanti” sono riassunti nella sentenza Saadi (succitata, §§ 124-136), nella quale la Corte ha anche riaffermato l'impossibilità di mettere sul piatto della bilancia il rischio di maltrattamenti e i motivi invocati per l'espulsione al fine di determinare se esista la responsabilità dello Stato sotto il profilo dell’articolo 3 (§§ 137-141).
41.  La Corte ricorda le conclusioni alle quali è pervenuta nella causa Saadi succitata (§§ 143-146), che erano le seguenti:
- i testi internazionali pertinenti documentano numerosi e regolari casi di tortura e di maltrattamenti inflitti in Tunisia a persone sospettate o riconosciute colpevoli di atti di terrorismo;
- questi testi descrivono una situazione preoccupante;
- le visite del Comitato internazionale della Croce Rossa nei luoghi di detenzione tunisini non possono eliminare il rischio che queste persone siano sottoposte a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione.
42.  La Corte non vede nella fattispecie alcuna ragione di ritornare su queste conclusioni, che si trovano peraltro confermate nel rapporto 2008 di Amnesty International relativo alla Tunisia (vedere il precedente paragrafo 34). E inoltre nota che il ricorrente è stato condannato in Tunisia a pesanti pene detentive per appartenenza, in tempo di pace, ad una organizzazione terroristica. L’esistenza di queste condanne, pronunciate in contumacia dai tribunali militari, è stata confermata dalle autorità tunisine (vedere il precedente paragrafo 22).
43.  In queste condizioni, la Corte ritiene che nella fattispecie, fatti seri e accertati giustificano di concludere che esiste un rischio reale di vedere il ricorrente subire trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione in Tunisia (vedere, mutatis mutandis, Saadi, succitata, § 146). Resta da verificare se le assicurazioni diplomatiche fornite dalle autorità tunisine siano sufficienti a escludere questo rischio e se le informazioni relative alla situazione del ricorrente dopo la sua espulsione hanno confermato il parere del governo convenuto quanto alla fondatezza dei timori del ricorrente.
44.  A tale proposito, la Corte ricorda, prima di tutto, che l'esistenza di testi interni e l'accettazione di trattati internazionali che garantiscono, in linea di principio, il rispetto dei diritti fondamentali non sono sufficienti, da soli, ad assicurare un’adeguata protezione dal rischio di maltrattamenti quando, come nella fattispecie, fonti affidabili dimostrano pratiche delle autorità - o tollerate da queste ultime - manifestamente contrarie ai principi della Convenzione (Saadi, succitata, § 147 in fine). In secondo luogo, spetta alla Corte esaminare se le assicurazioni date dallo Stato di destinazione forniscano, nella loro effettiva applicazione, una sufficiente garanzia in merito alla protezione del ricorrente dal rischio di trattamenti vietati dalla Convenzione (Chahal, succitata, § 105). Il peso da accordare alle assicurazioni che provengono dallo Stato di destinazione dipende in effetti, in ogni caso, dalle circostanze che prevalgono all'epoca considerata (Saadi, succitata, § 148 in fine).
45.  Nella presente fattispecie, l'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari ha assicurato che in Tunisia la dignità umana del ricorrente sarebbe rispettata, che non sarebbe sottoposto a tortura, a trattamenti inumani o degradanti o ad una detenzione arbitraria, che beneficerebbe delle cure mediche appropriate e che potrebbe ricevere visite da parte del suo avvocato e dei membri della sua famiglia. Oltre che sulle leggi tunisine pertinenti e sui trattati internazionali firmati dalla Tunisia, queste assicurazioni si basano sui seguenti elementi:
- i controlli eseguiti dal giudice dell'esecuzione delle pene, dal comitato superiore dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (istituzione nazionale indipendente) e dai servizi dell'ispettorato generale del ministero della Giustizia e dei Diritti umani;
- due casi di condanna di agenti dell'amministrazione penitenziaria e di un agente di polizia per maltrattamenti;
- la giurisprudenza interna, ai sensi della quale una confessione estorta con costrizione è nulla e considerata nulla (vedere il precedente paragrafo 22, capitolo II).
46.  La Corte nota, tuttavia, che non è stato provato che l'avvocato generale della direzione generale dei servizi giudiziari fosse competente per fornire queste assicurazioni in nome dello Stato (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko c. Ucraina, no 2440/07, § 73, 23 ottobre 2008). Inoltre, tenuto conto del fatto che fonti internazionali serie e affidabili hanno indicato che le allegazioni di maltrattamenti non erano esaminate dall'autorità tunisine competenti (Saadi, succitata, § 143), il semplice richiamo di due casi di condanna di agenti dello Stato per lesioni su detenuti non sarebbe sufficiente a eliminare il rischio di simili trattamenti né a convincere la Corte dell’esistenza di un effettivo sistema di protezione contro la tortura, in mancanza del quale è difficile verificare che le assicurazioni date saranno rispettate. A tale proposito, la Corte ricorda che nel suo rapporto 2008 relativo alla Tunisia, Amnesty International ha precisato soprattutto che, benché numerosi detenuti si siano lamentati di essere stati torturati mentre erano sottoposti a fermo di polizia, “le autorità non hanno praticamente mai condotto inchieste né preso misure per portare innanzi alla giustizia i presunti torturatori”.
47.  Inoltre, nella sentenza Saadi succitata (§ 146), la Corte ha constatato una reticenza delle autorità tunisine a cooperare con le organizzazioni indipendenti che difendono i diritti dell’uomo, quali Human Rights Watch. Nel suo rapporto 2008 prima citato, Amnesty International ha peraltro notato che benché il numero di membri del comitato superiore dei diritti umani sia stato elevato, quest’ultimo “non includerebbe organizzazioni indipendenti di difesa dei diritti fondamentali”. L’impossibilità  per il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte di rendere visita al suo cliente detenuto in Tunisia conferma la difficoltà di accesso dei prigionieri tunisini a legali stranieri indipendenti anche quando essi sono parti nei procedimenti giudiziari pendenti innanzi alle giurisdizioni internazionali. Queste ultime rischiano dunque, una volta che un ricorrente è espulso in Tunisia, di trovarsi nell’impossibilità di verificare la sua situazione e di conoscere gli eventuali motivi di ricorso che potrebbe sollevare in merito ai trattamenti ai quali è sottoposto. Simili controlli sembrano anche impossibili al governo convenuto, il cui ambasciatore non potrà vedere il ricorrente nel luogo in cui è detenuto.
48 In queste circostanze la Corte non può sottoscrivere la tesi del Governo secondo la quale le assicurazioni fornite nella presente fattispecie offrono una protezione efficace contro il serio rischio che corre il ricorrente di essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione (vedere, mutatis mutandis, Soldatenko, succitata, §§ 73-74). Essa ricorda, invece, il principio affermato dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa nella sua risoluzione 1433(2005), secondo il quale le assicurazioni diplomatiche non possono essere sufficienti quando la mancanza di pericolo di maltrattamenti non sia seriamente accertata (vedere il precedente paragrafo 27).
49.  Infine, per quanto riguarda le informazioni fornite dal Governo in merito alla situazione del ricorrente in Tunisia, è opportuno ricordare che se per controllare l’esistenza di un rischio di maltrattamenti occorre prioritariamente fare riferimento alle circostanze di cui lo Stato in causa aveva o doveva aver conoscenza al momento dell’espulsione, questo non impedisce alla Corte di tener conto di informazioni successive che possono servire a confermare o ad inficiare la maniera in cui la Parte contraente interessata ha giudicato sulla fondatezza dei timori di un ricorrente (Mamatkulov e Askarov, succitata, § 69 ; Vilvarajah e altri c. Regno Unito, 30 ottobre 1991, § 107, serie A no 215 ; Cruz Varas e altri c. Svezia, 20 marzo 1991, §§ 75-76, serie A no 201).
50.  La Corte rileva che il Ministero degli Affari Esteri tunisino ha fatto sapere che il ricorrente riceve regolarmente la visita di sua moglie e degli altri membri della sua famiglia. Inoltre, sarebbe sottoposto ad un regolare controllo medico in carcere.
51. Secondo la Corte, queste affermazioni, benché provenienti direttamente dal Ministero degli Affari Esteri tunisino, non sono state corroborate da rapporti sanitari e non sono in grado di dimostrare che il ricorrente non abbia subito trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione. A tale proposito, la Corte non può che reiterare le sue osservazioni in merito alla impossibilità per il rappresentante del ricorrente innanzi ad essa e per l'ambasciatore d'Italia a Tunisi di visitarlo in carcere e di verificare l’effettivo rispetto della sua integrità fisica e della sua dignità umana (Ben Khemais c. Italia, no 246/07, § 64, CEDH 2009 ... (estratti).
52.  Pertanto, l’esecuzione dell’espulsione del ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione.

II.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE
53.  Il ricorrente allega che la sua espulsione verso la Tunisia lo priverebbe dei legami affettivi con sua moglie e con i suoi due figli residenti in Italia, garantiti dall'articolo 8 della Convenzione.
54.  Il Governo contesta questa tesi.
55.  La Corte considera ricevibile questo motivo di ricorso (Saadi, succitata, § 163). Tuttavia, avendo constatato che l'espulsione del ricorrente verso la Tunisia costituirebbe una violazione dell'articolo 3 della Convenzione, non ritiene necessario esaminare separatamente la questione se tale espulsione abbia violato anche il diritto al rispetto della vita privata e familiare del ricorrente.

III.  SULLA ALLEGATA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 34 DELLA CONVENZIONE
56.  Il ricorrente denuncia il mancato rispetto da parte del governo italiano della misura provvisoria indicata in virtù dell'articolo 39 del regolamento della Corte dal presidente della seconda sezione.
57.  Il Governo ritiene di non essere venuto meno ai suoi obblighi.
58.  La Corte ritiene che questo motivo di ricorso si presta ad essere esaminato secondo l'articolo 34 della Convenzione, così formulato:
 « La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un'organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga di essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Altre Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l'esercizio effettivo di tale diritto. »
A.  Sulla ricevibilità
59.  La Corte constata che questo motivo non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione. Rileva peraltro che non contrasta con nessun altro motivo di irricevibilità. È quindi opportuno dichiararlo ricevibile.
B.  Sul merito
1.  Argomenti delle parti
60.  Pur riconoscendo l’importanza delle misure provvisorie, il Governo sostiene che queste possono essere applicate soltanto quando vi è un imminente pericolo di danno irreparabile e le vie di ricorso interne sono state esaurite, cosa che non sarebbe avvenuta nella fattispecie, in quanto il ricorrente non ha impugnato la decisione del 4 dicembre 2008 con la quale il magistrato di sorveglianza di Pavia confermò la sua espulsione.
61.  Inoltre, poiché l'espulsione è stata eseguita dopo che l'Italia aveva ottenuto garanzie formali e tranquillizzanti dalle autorità tunisine in merito al rispetto dei principi enunciati nella sentenza Saadi, l'inosservanza della misura provvisoria non avrebbe leso alcun interesse tutelato dalla Convenzione.
62.  Il ricorrente sottolinea che le assicurazioni diplomatiche tunisine pervennero alle autorità italiane soltanto il 3 gennaio 2009, ossia circa un mese dopo l'esecuzione della sua espulsione. In queste condizioni, il Governo non può sostenere di aver deciso di espellerlo in base a garanzie formali fornite dalla Tunisia.
2.  Valutazione della Corte
a)  Principi generali
63.  La Corte ricorda che l’articolo 39 del regolamento abilita le camere o, eventualmente, il loro presidente a indicare le misure provvisorie. Tali misure sono state indicate soltanto quando ciò era strettamente necessario e in limitati ambiti, in linea di principio in presenza di un imminente rischio di danno irreparabile. Nella maggior parte dei casi, si tratta di casi di espulsione e di estradizione. I casi nei quali gli Stati non si sono conformati alle misure indicate sono rari (Mamatkulov e Askarov, succitata, §§ 103-105).
64.  Nelle cause come la presente, dove il ricorrente allega in maniera plausibile che esiste un rischio di danno irreparabile al godimento di uno dei diritti che fanno parte del nocciolo duro dei diritti tutelati dalla Convenzione, una misura provvisoria ha lo scopo di mantenere lo statu quo nell'attesa che la Corte si pronunci sulla giustificazione della misura stessa. Dato che essa mira a prolungare l'esistenza della questione che forma l’oggetto del ricorso, la misura provvisoria riguarda il merito del motivo di ricorso basato sulla Convenzione. Con il suo ricorso, il ricorrente cerca di proteggere da un danno irreparabile il diritto sancito dalla Convenzione da lui invocato. Di conseguenza, il ricorrente domanda una misura provvisoria e la Corte la concede al fine di facilitare “l'esercizio efficace” del diritto di ricorso individuale garantito dall'articolo 34 della Convenzione, ossia di preservare l'oggetto del ricorso quando ritiene che vi sia il rischio che quest'ultimo subisca un danno irreparabile a causa di un'azione o di una omissione dello Stato convenuto (Mamatkulov et Askarov, succitata, § 108).
65.  Nell'ambito del contenzioso internazionale, le misure provvisorie hanno lo scopo di preservare i diritti delle parti, permettendo alla giurisdizione di dare effetto alle conseguenze della responsabilità derivata dal procedimento in contraddittorio. In particolare, nel sistema della Convenzione, le misure provvisorie, così come sono state costantemente applicate nella pratica, risultano essere di fondamentale importanza per evitare situazioni irreversibili che impedirebbero alla Corte di eseguire in buone condizioni un esame del ricorso e, eventualmente, per assicurare al ricorrente di fruire praticamente ed effettivamente del diritto tutelato dalla Convenzione da lui invocato. Pertanto, in queste condizioni, il fatto che uno Stato convenuto non osservi le misure provvisorie mette in pericolo l'efficacia del diritto di ricorso individuale, come garantito dall'articolo 34, nonché l'impegno formale dello Stato, in virtù dell'articolo 1, di salvaguardare i diritti e le libertà sancite nella Convenzione. Tali misure permettono anche allo Stato interessato di adempiere al suo obbligo di conformarsi alla sentenza definitiva della Corte, la quale è giuridicamente vincolante in virtù dell'articolo 46 della Convenzione (Mamatkulov et Askarov, précité, §§ 113 et 125).
66.  Ne consegue che l'inosservanza di misure provvisorie da parte di uno Stato contraente deve essere considerata come un fatto che impedisce alla Corte di esaminare efficacemente il motivo di ricorso del ricorrente e ostacola l'esercizio efficace del suo diritto e, pertanto, come una violazione dell'articolo 34 (Mamatkulov e Askarov, précité, § 128).
b)   Applicazione di questi principi al caso di specie
67.  Nel caso specifico, poiché l'Italia ha espulso il ricorrente verso la Tunisia, il livello di protezione dei diritti sanciti nell’articolo 3 della Convenzione che la Corte poteva garantire all'interessato è stato ridotto in modo irreversibile. Essa ha quanto meno tolto utilità all’eventuale constatazione di violazione in quanto il ricorrente è stato allontanato verso un paese che non è parte alla Convenzione, dove sosteneva di correre il rischio di essere sottoposto a trattamenti contrari a quest'ultima.
68.  Inoltre, l’efficacia dell'esercizio del diritto di ricorso implica anche che la Corte possa, nel corso del procedimento instaurato innanzi ad essa, continuare ad esaminare il ricorso secondo la sua abituale procedura. Ora, nella fattispecie, il ricorrente è stato espulso. Così, avendo perduto qualsiasi contatto con il suo avvocato, egli è stato privato della possibilità di richiedere, nell'ambito della produzione delle prove, alcune ricerche idonee a sostenere le sue affermazioni sul terreno della Convenzione. Le autorità tunisine hanno peraltro confermato che il rappresentante del ricorrente innanzi alla Corte non potrà essere autorizzato a visitare il suo cliente in carcere.
69.  Inoltre, la Corte nota che il Governo convenuto, prima di espellere il ricorrente, non ha domandato la revoca della misura provvisoria adottata ai sensi dell'articolo 39 del regolamento della Corte, che sapeva essere ancora in vigore, ed ha proceduto all'espulsione anche prima di ottenere le assicurazioni diplomatiche che gli invoca nelle sue osservazioni.
70.  I fatti della causa, così come sono stati esposti qui sopra, mostrano chiaramente che a causa della sua espulsione verso la Tunisia, il ricorrente non ha potuto sviluppare tutte le argomentazioni pertinenti alla sua difesa e che la sentenza della Corte rischia di essere priva di qualsiasi effetto utile. In particolare, il fatto che il ricorrente sia stato sottratto alla giurisdizione dell'Italia costituisce un serio ostacolo che potrebbe impedire al Governo di adempiere ai suoi obblighi (derivanti dagli articoli 1 e 46 della Convenzione) di salvaguardare i diritti dell'interessato e di cancellare le conseguenze delle violazioni constatate dalla Corte. Questa situazione ha costituito un ostacolo all' effettivo esercizio da parte del ricorrente del suo diritto di ricorso individuale garantito dall'articolo 34 della Convenzione, diritto che la sua espulsione ha ridotto a nulla. (Ben Khemais, succitata, § 87).
c)  Conclusione
71.  Tenuto conto degli elementi in suo possesso, la Corte conclude che non conformandosi alla misura provvisoria indicata in virtù dell'articolo 39 del suo regolamento, l'Italia non ha rispettato gli obblighi che a lei incombevano nella fattispecie riguardo l'articolo 34 della Convenzione.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
72.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
“Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione della Convenzione o dei suoi Pro-tocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente interessata non permette che una parziale riparazione della violazione, la Corte, se necessario, accorda alla parte lesa un’equa soddisfazione.”
A.  Danno
73.  Il ricorrente domanda 80 000 EURO per il danno morale che ritiene di aver subito.
74.  Il Governo si oppone alla concessione di qualsiasi somma a titolo di equa soddisfazione, ritenendo che l’eventuale constatazione di violazione costituirebbe una equa soddisfazione sufficiente.
75.  La Corte ritiene che il ricorrente abbia subito un torto morale certo a causa della messa in esecuzione della decisione di espellerlo. Decidendo secondo equità, come vuole l'articolo 41 della Convenzione, gli concede 15.000 EURO a questo titolo.
B.  Spese legali
76.  Producendo i documenti giustificativi, il ricorrente domanda anche 1 474,92 EURO per le spese legali affrontate per il procedimento innanzi al tribunale di sorveglianza di Pavia e 15 775,45 EURO per il procedimento innanzi alla Corte.
77.  Il Governo vi si oppone.
78.  Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo se siano accertate la loro realtà, la loro necessità e la ragionevolezza del loro tasso. Nel caso di specie e tenuto conto dei documenti in suo possesso e dei criteri sopra menzionati, la Corte giudica eccessive le somme richieste a titolo di spese legali. Ritiene ragionevole la somma di 1 000 EURO per il procedimento innanzi alle autorità nazionali e la somma di 5 000 EURO per il procedimento innanzi ad essa, e decide di  accordarle al ricorrente.
C.  Interessi moratori
79.  La Corte giudica appropriato calcolare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse dell’operazione di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITA’

1.  Dichiara il ricorso ricevibile;
2.  Dichiara che la messa in esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia ha violato l’articolo 3 della Convenzione;
3.  Dichiara che non è necessario esaminare se l’esecuzione della decisione di espellere il ricorrente verso la Tunisia abbia anche violato l’articolo 8 della Convenzione;
4.  Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 34 della Convenzione;
5.  Dichiara
a)  che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà diventata definitiva, conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
i.  15.000 EURO (diecimila euro), maggiorata di qualsiasi somma dovuta a titolo di imposta, per il danno morale ;
ii.  6.000 EURO (cinquemila euro), maggiorata di qualsiasi somma dovuta a titolo di imposta dal ricorrente per le spese legali ;
b)  che a partire dalla decorrenza di tale termine e fino al versamento, tale somma sarà maggiorata di un interesse semplice a un tasso uguale a quello dell’operazione di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante questo periodo, maggiorato di tre punti percentuali;
6.  Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.
Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 13 aprile 2010, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.       

Françoise Elens-Passos       
Cancelliere aggiunto

Françoise Tulkens
Presidente