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Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 giugno 2022 - Ricorso n. 23735/19 - Causa De Giorgi c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista dalla sig.ra Rita Carnevali, assistente linguistico, e dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

Permission to re-publish this translation has been granted by the Italian Ministry of Justice for the sole purpose of its inclusion in the Court's database HUDOC
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA DE GIORGI c. ITALIA

(Ricorso n. 23735/19)

SENTENZA

Art 3 (materiale e procedurale) • Trattamento inumano e degradante • Inadempimento dello Stato al suo dovere di indagare sui maltrattamenti di violenza domestica subiti dalla ricorrente (e dai suoi figli) da parte di suo marito • Passività giudiziaria delle autorità interne nel corso dell'azione penale

STRASBURGO

16 giugno 2022

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite dall'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa De Giorgi c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell'uomo (prima sezione), riunita in una Camera composta da:
Marko Bošnjak, presidente,
Péter Paczolay,
Krzysztof Wojtyczek,
Alena Poláčková,
Erik Wennerström,
Raffaele Sabato,
Davor Derenčinović, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere di sezione,
Visti
Il ricorso (n. 23735/19) proposto contro la Repubblica italiana da una cittadina di questo Stato, la sig.ra Silvia De Giorgi («la ricorrente») che il 24 aprile 2019 ha adito la Corte ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»),
la decisione di portare a conoscenza del governo italiano («il Governo») le doglianze fondate sugli articoli 3 e 8 della Convenzione,
le osservazioni delle parti,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 10 maggio 2022,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

INTRODUZIONE

1. Il ricorso riguarda gli obblighi positivi derivanti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione in un contesto di violenza domestica. La ricorrente lamenta, in particolare, una mancanza di protezione e di assistenza da parte dello Stato convenuto per le violenze domestiche che le sarebbero state inflitte da suo marito.

IN FATTO

2. La ricorrente è nata nel 1978 e risiede a Cervarese Santa Croce. È stata rappresentata dall'avvocato M. Stellin.3. Il Governo è stato rappresentato dal suo agente, L. D’Ascia, avvocato dello Stato.

4. La ricorrente e suo marito (di seguito «L.B.»), genitori di tre figli, si separarono nel 2013.

5. L'accordo di separazione, omologato dal tribunale, prevedeva che i figli rimanessero domiciliati presso la ricorrente, e che il padre avrebbe potuto vederli liberamente. L.B. doveva inoltre pagare un assegno di mantenimento.

6. La ricorrente afferma di essere stata oggetto di molestie e minacce a partire dal momento della separazione.

7. Il 18 novembre 2015 la ricorrente presentò una denuncia ai carabinieri di Padova spiegando loro che, da diversi mesi, L.B. la seguiva, la minacciava con un coltello, controllava il suo telefono, minacciava di suicidarsi, era violento con i figli e affermava di voler uccidere tutta la famiglia. La ricorrente fornì le generalità di testimoni che potevano confermare le sue dichiarazioni.

8. Nello stesso giorno i carabinieri di Padova informarono il procuratore della denuncia della ricorrente e dei reati ascritti a L.B.

9. Fu aperto un procedimento penale per il delitto di maltrattamenti in famiglia.

10. Il 23 novembre 2015 la procura chiese ai carabinieri di svolgere un'indagine sulla coppia.

11. Nel frattempo, il 20 novembre 2015, L.B. aveva aggredito la ricorrente afferrandola per il collo, minacciandola di morte e percuotendola con il casco della sua moto. Successivamente, le aveva sottratto il telefono e aveva costretto la ricorrente ad entrare nell'edificio dove abitava la madre di lui. La polizia era arrivata sul posto e L.B. aveva confessato di aver colpito la ricorrente e di averle preso il cellulare.

12. Il giorno seguente la ricorrente si era fatta curare in ospedale, dove le era stata diagnosticata una contusione allo zigomo sinistro, una contusione nella regione parietale destra, una distorsione del rachide cervicale e una contusione alla spalla. La ricorrente, che era stata dimessa con una prognosi di otto giorni, si era recata dai carabinieri per presentare una nuova denuncia.

13. Il 23 novembre 2015 i carabinieri inviarono al procuratore il verbale di integrazione della denuncia sporta dalla ricorrente. Riferirono l'episodio di violenza del 20 novembre e, data la situazione, chiesero all'autorità giudiziaria di vagliare l'opportunità di adottare una misura di protezione per la ricorrente e di allontanare L.B. dalla casa familiare.
Le parti pertinenti del verbale sono così formulate:

«Non si può escludere che L.B. possa essere autore di ulteriori, se non più gravi, gesti di natura violenta nei confronti della moglie. (...) Si richiede a codesta autorità giudiziaria di vagliare l'opportunità di emettere una misura di allontanamento nei confronti di L.B.».

14. Il 2 dicembre 2015 la ricorrente indicò ai carabinieri il nome di alcune persone che potevano interrogare.

15. Il 18 dicembre 2015 la ricorrente presentò un'altra denuncia; essa sostenne che, in sua assenza, L.B. era entrato nella casa familiare e le aveva sottratto diversi capi di abbigliamento ed effetti personali.

16. Il 18 gennaio 2016 la ricorrente presentò di nuovo una denuncia contro L.B., accusandolo di aver piazzato degli apparecchi di registrazione nella casa coniugale per ascoltare le sue conversazioni.

17. Il 20 gennaio 2016 la ricorrente chiese nuovamente l'intervento dei carabinieri, affermando di aver trovato L.B. a casa quando era rientrata con i bambini. Secondo la ricorrente, L.B. era minaccioso e lei era dovuta andare a dormire altrove perché terrorizzata dalla sua presenza e dalle sue minacce.

18. Il 26 gennaio 2016 la ricorrente sporse denuncia per l'episodio del 20 gennaio. Affermò di essere vittima di atti persecutori da parte di L.B. che, a suo parere, controllava i suoi spostamenti, la molestava davanti a casa sua e la minacciava, fatto che la stessa qualificava come un comportamento di controllo e coercizione.

19. Il 12 febbraio 2016 la ricorrente presentò al giudice civile una domanda per ottenere una misura di protezione. Desiderava che L.B. fosse allontanato dalla casa familiare e gli venisse vietato di avvicinarla.

20. Il 26 febbraio 2016 i carabinieri di Padova comunicarono al procuratore i reati ravvisati a carico di L.B., in particolare i reati di diffamazione, interferenze illecite nella vita privata e violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza.

21. Il 1° marzo 2016 la ricorrente sporse un'altra denuncia. In particolare, esponeva che L.B. entrava e usciva a suo piacimento dalla casa in cui lei e i bambini vivevano. Spiegava che L.B. non pagava l'assegno di mantenimento e che lei non era più in grado di pagare le spese di riscaldamento, e che, di conseguenza, lei e i bambini chiedevano spesso di essere ospitati da amici. Inoltre, denunciò alcuni comportamenti violenti che L.B. avrebbe avuto nei confronti dei bambini.

22. Con decreto del 22 marzo 2016, il tribunale civile di Padova respinse la domanda con cui la ricorrente aveva richiesto l’emissione di un ordine di protezione (paragrafo 19 supra), in quanto era stata rilevata l'assenza di convivenza, considerata un presupposto per l'applicazione della misura richiesta. Inoltre, il tribunale osservava che il comportamento di L.B. rientrava in un contesto di separazione conflittuale. La decisione era così formulata:
«(...)
Ritenuto quindi che la condotta posta in essere da L.B. non appare di vessazione dell'altro coniuge, ma espressione di una elevata conflittualità, solo occasionalmente travalicata in un atto grave (episodio 25 novembre 2015).
Ritenuto che la condotta come sopra accertata rientra quindi nella tipica conflittualità molto elevata di alcune separazioni.

L.B. ha, infatti, mostrato sicuramente una condotta irrispettosa e poco atta all'ascolto, perfino nel corso dell'udienza, lasciandosi andare a giudizi errati nella forma e nel merito, anche nei confronti del difensore della controparte.

Però, si ribadisce che il tutto rientra in una esasperata conflittualità endogena a questo tipo di procedimenti e che non vi siano quindi i presupposti per l'emanazione dell'ordine di protezione invocato.»

23. Il 5 maggio 2016 il procuratore chiese al giudice delle indagini preliminari (di seguito il «GIP») di archiviare alcune delle denunce della ricorrente (le denunce dell'8 novembre 2015, del 18 dicembre 2015, del 18 gennaio 2016, del 20, 26 e 27 gennaio 2016 e del 1° marzo 2016) ad eccezione di quelle relative all'episodio del 20 novembre 2015 per i reati di lesioni e minacce. Il procuratore ritenne che queste denunce non fossero sufficientemente dettagliate e che gli elementi raccolti non permettessero di avviare un'azione penale. In particolare, per quanto riguardava la denuncia per maltrattamenti in famiglia, il procuratore sottolineò che non vi erano stati episodi continui di maltrattamenti.

24. In una data non precisata la ricorrente propose opposizione alla richiesta di archiviazione e sollecitò una investigazione suppletiva.

25. Il 30 marzo 2017 il GIP archiviò parzialmente le denunce e osservò che le dichiarazioni della ricorrente non erano sufficientemente credibili in considerazione della elevata conflittualità esistente tra le parti.

26. Nel frattempo, il 9 e il 12 settembre 2016 la ricorrente presentò una denuncia con la quale lamentava il mancato rispetto di una decisione giudiziaria, il mancato pagamento dell'assegno di mantenimento e l'inadempimento degli obblighi di assistenza familiare e affermava che L.B. era violento con i figli e che li aveva più volte traumatizzati minacciandola di morte davanti a loro.

27. A seguito di denunce presentate nel settembre 2016, il procuratore aprì un'indagine sui reati di inosservanza degli obblighi di assistenza familiare, furto, diffamazione e inosservanza di una decisione giudiziaria per l'omesso pagamento dell'assegno di mantenimento. Nello stesso fascicolo furono inserite le denunce che L.B. aveva depositato contro la ricorrente.

28. Nel frattempo, durante il procedimento civile di separazione, il tribunale aveva ordinato ai servizi sociali di redigere una relazione sulla situazione della famiglia. Tale relazione, depositata il 5 febbraio 2018, riportava che i bambini, che erano stati maltrattati dal padre e non erano stati adeguatamente protetti dalla madre, si trovavano in una situazione di disagio. I servizi sociali chiedevano che i bambini fossero sottoposti a un percorso terapeutico.

29. Questa relazione fu inviata al procuratore della Repubblica. Fu inserita nel fascicolo dell'indagine in corso per i reati di furto, diffamazione e mancato rispetto di una decisione giudiziaria per l'omesso pagamento di un assegno di mantenimento. Tuttavia, non fu condotta alcuna indagine sui presunti maltrattamenti che avevano riguardato i bambini.

30. Il 19 novembre 2018 la ricorrente chiese al procuratore incaricato dell'indagine di accedere agli atti del procedimento, iscrivere la notitia criminis nel registro delle notizie di reato, chiedere al GIP di riaprire il procedimento archiviato nel 2016 per sentire i minori e indagare sui maltrattamenti che aveva già denunciato. La ricorrente chiese per quale ragione la segnalazione dei servizi sociali non aveva dato luogo a un'indagine e rammentò di aver già presentato denuncia a tale riguardo nel 2015.

31. Il 22 febbraio 2019 la ricorrente depositò un documento da allegare alla sua denuncia precedente.

32. Il 6 dicembre 2019 la ricorrente presentò una nuova denuncia per omesso pagamento dell'assegno di mantenimento.

33. Il 23 luglio 2020, il procuratore rinviò a giudizio L.B. per i fatti accaduti nella notte del 20 novembre 2015. La prima udienza si è svolta nell'aprile 2021.

34. Per quanto riguarda il procedimento relativo all'omesso pagamento dell'assegno di mantenimento, l'indagine, secondo le ultime informazioni fornite dalle parti, è ancora pendente dal 2016. Inoltre, non è stata condotta alcuna indagine sul reato di maltrattamenti di cui i bambini sarebbero stati vittime.

IL QUADRO GIURIDICO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

I. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. Le disposizioni pertinenti del codice civile.

35. Le disposizioni pertinenti del codice civile sono così formulate:

Titolo IX – Dei fatti illeciti
Articolo 2043 – Risarcimento per fatto illecito

«Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.»

Articolo 2059 – Danni non patrimoniali

«Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge.»

Titolo IX bis – Ordini di protezione
Articolo 342 bis – Ordini di protezione contro gli abusi familiari

«Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell'altro coniuge o convivente, il giudice può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all'articolo 342 ter.»

Articolo 342 ter – Contenuto degli ordini di protezione

«Con il decreto di cui all'articolo 342 bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l'allontanamento dalla [sua] casa familiare (…) prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall'istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d'origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro (…).

Con il medesimo decreto il giudice (…) stabilisce la durata dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a sei mesi e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.

(...) Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all'esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l'attuazione, ivi compreso l'ausilio della forza pubblica e dell'ufficiale sanitario.»

B. Le disposizioni interne pertinenti in materia penale dopo l'adozione della legge n. 38 del 23 aprile 2009, della legge n. 119 del 15 ottobre 2013 (piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere) e della legge n. 69 del 19 luglio 2019 («Codice rosso1. »)

36. Le disposizioni pertinenti del codice penale (di seguito il «CP») sono così formulate:

Articolo 572 – Maltrattamenti contro familiari o conviventi

«Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi.

La pena è aumentata se il fatto è commesso in danno di minore degli anni quattordici.

Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni.

Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato.»

Articolo 582 – Lesioni

«Chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la reclusione da tre mesi a tre anni.»

Articolo 583 – Circostanze aggravanti

«La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni se dal fatto deriva una malattia o un'incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni.»

Articolo 612 – Minaccia

«Chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a 1.032 euro.

Se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339, la pena è della reclusione fino a un anno.

Si procede d’ufficio se la minaccia è fatta in uno dei modi indicati nell'articolo 339.»

Articolo 612 bis – Atti persecutori

«Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.

La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all'articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all'articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d'ufficio.»

37. Le disposizioni pertinenti del codice di procedura penale recitano:

Articolo 282 bis – Allontanamento dalla casa familiare

«Con il provvedimento che dispone l'allontanamento il giudice prescrive all'imputato [coniuge che ha avuto il comportamento pregiudizievole] di lasciare immediatamente la casa familiare (…) [vietandogli] di farvi rientro e di accedervi senza l'autorizzazione del giudice che procede. L'eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.

Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
(...)
Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d'ufficio o comunque aggravate, 600, 600 bis, 600 ter, 600 quater, 600 septies 1, 600 septies 2, 601, 602, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies e 609 octies e 612, secondo comma, 612 bis del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall'articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all'articolo 275 bis.»

Articolo 282 ter– Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa

«1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all'imputato [coniuge che ha avuto il comportamento pregiudizievole] di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa, anche disponendo l'applicazione delle particolari modalità di controllo previste dall'art. 275 bis.

2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.

3. Il giudice può, inoltre, vietare all'imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.

4. Quando la frequentazione [da parte dell’imputato] dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.»

Articolo 362 – Assunzione di informazioni

«Il pubblico ministero assume informazioni dalle persone che possono riferire circostanze utili ai fini delle indagini (...)

Quando si procede per il delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o per i delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 612 bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa.»

Articolo 370 – Atti diretti e delegati

«1. Il pubblico ministero compie personalmente ogni attività di indagine. Può avvalersi della polizia giudiziaria per il compimento di attività di indagine e di atti specificamente delegati, ivi compresi gli interrogatori [375, 388] ed i confronti [364] cui partecipi la persona sottoposta alle indagini che si trovi in stato di libertà, con l'assistenza necessaria del difensore.

2. Quando procede a norma del comma 1, la polizia giudiziaria osserva le disposizioni degli articoli 364, 365 e 373.

2 bis Se si tratta del delitto previsto dall'articolo 575 del codice penale, nella forma tentata, o di uno dei delitti, consumati o tentati, previsti dagli articoli 572, 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies, 612 bis e 612 ter del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583 quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5, 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, la polizia giudiziaria procede senza ritardo al compimento degli atti delegati dal pubblico ministero.
2 ter Nei casi di cui al comma 2 bis, la polizia giudiziaria pone senza ritardo a disposizione del pubblico ministero la documentazione dell'attività nelle forme e con le modalità previste dall'articolo 357.

(...)»

Articolo 384 bis – Allontanamento d'urgenza dalla casa familiare

«Gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria hanno facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, o per via telematica, l'allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all'articolo 282 bis, comma 6, ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l'integrità fisica o psichica della persona offesa. La polizia giudiziaria provvede senza ritardo all'adempimento degli obblighi di informazione previsti dall'articolo 11 del decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, e successive modificazioni.

Si applicano in quanto compatibili le disposizioni di cui agli articoli 385 e seguenti del presente titolo. Si osservano le disposizioni di cui all'articolo 381, comma 3. Della dichiarazione orale di querela si dà atto nel verbale delle operazioni di allontanamento.»

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNAZIONALI

Consiglio d'Europa

1. La raccomandazione Rec(2002)5 del Comitato dei Ministri del 30 aprile 2002

38. Nella sua raccomandazione sulla protezione delle donne contro la violenza, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa ha invitato gli Stati membri, in particolare, a introdurre, sviluppare e/o migliorare, se del caso, politiche nazionali di lotta contro la violenza basate sulla massima sicurezza e sulla protezione delle vittime, sul sostegno e l'assistenza, sull'adeguamento del diritto penale e civile, sulla sensibilizzazione del pubblico, sulla formazione dei professionisti che si occupano di violenza contro le donne e sulla prevenzione.

39. Per quanto riguarda la violenza domestica, il Comitato dei Ministri ha raccomandato agli Stati membri di qualificare come reato qualsiasi violenza perpetrata all’interno della famiglia, di considerare la possibilità di interventi normativi, soprattutto per permettere alle autorità giudiziarie, allo scopo di proteggere le vittime, di adottare delle misure provvisorie volte a impedire all'autore di violenza di entrare in contatto con la vittima, di comunicare con essa o di avvicinarsi ad essa, di risiedere in determinati luoghi o di frequentare tali luoghi. Gli Stati membri sono inoltre invitati a considerare reato qualsiasi violazione delle misure che le autorità hanno imposto all'aggressore e a stabilire un protocollo obbligatorio affinché la polizia e i servizi medici e sociali seguano le stesse procedure di intervento.

2. La Convention d’Istanbul

40. Le disposizioni pertinenti della Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica («la Convenzione di Istanbul»), che è entrata in vigore nei confronti dell’Italia il 1° agosto 2014, sono state citate nella causa Kurt c. Austria ([GC], n. 62903/15, §§ 76-86, 15 giugno 2021).

41. Il GREVIO è l'organo specializzato indipendente incaricato di monitorare l'attuazione, ad opera delle Parti, della Convenzione di Istanbul. Il GREVIO pubblica dei rapporti nei quali valuta le misure legislative e di altro tipo adottate dalle Parti per dare effetto alle disposizioni della Convenzione; può anche adottare, se del caso, raccomandazioni generali su temi o nozioni della Convenzione.

42. Il GREVIO ha pubblicato il suo primo rapporto di valutazione di riferimento sull'Italia il 3 gennaio 2020. La sintesi afferma che «[l]'Italia ha adottato una serie di misure per attuare la Convenzione di Istanbul, fatto che testimonia la sua reale volontà politica di prevenire e combattere la violenza nei confronti delle donne. Una serie di riforme legislative successive ha creato un vasto insieme di regole e di meccanismi che rafforzano la capacità delle autorità di far corrispondere le loro intenzioni ad azioni concrete per porre fine alla violenza (...)». La sintesi precisa anche che il GREVIO ha individuato un certo numero di altri settori in cui sono necessari dei miglioramenti per conformarsi pienamente agli obblighi della convenzione.

I passaggi seguenti di questo rapporto di valutazione di riferimento pertinenti nel caso di specie sono:

IV. Protezione e sostegno
A. Obblighi generali (articolo 18)

(...)

«130. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché offrano una risposta coordinata e multiagenzia a tutte le forme di violenza contro le donne e ne favoriscano l’attuazione sviluppando delle adeguate linee guida e formando il personale interessato. Questo tipo di strumenti dovrebbe essere basato su un forte coinvolgimento delle autorità locali e sulla partecipazione di tutti i soggetti interessati, comprese le organizzazioni non governative che difendono i diritti delle donne e combattono la violenza contro le donne.»

V. Diritto sostanziale
A. Diritto civile
1. Processo civile e vie di diritto (articolo 29)
(...)

« 172. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché adottino misure per colmare il vuoto legislativo dovuto all'assenza di rimedi civili nei confronti delle autorità statali, siano esse giudiziarie o istituzionali, che non abbiano rispettato il proprio dovere ad assumere le necessarie misure preventive o protettive adeguate nell'ambito dell'esercizio dei propri poteri, come previsto dai requisiti dell’articolo 29, paragrafo 2 della Convenzione di Istanbul.

(...)

179. Il GREVIO esorta vivamente le autorità italiane ad adottare ulteriori misure per:

  1. agevolare l'accesso delle vittime al risarcimento nei procedimenti civili e penali e a garantire che tale risarcimento sia prontamente riconosciuto e proporzionato alla gravità del danno subito;
  2. elaborare criteri per garantire una quantificazione armonizzata dei danni subiti dalla vittima, compresi in particolare i danni morali;
  3. agevolare l'accesso delle vittime al risarcimento statale, garantire che tale risarcimento sia adeguato secondo i requisiti dell’articolo 30, comma 2 della Convenzione di Istanbul, che sia riconosciuto entro un lasso di tempo ragionevole, come previsto dall’articolo 30, comma 3 della Convenzione, e che sia idoneo a soddisfare le vittime di tutte le forme di violenza contemplate dalla Convenzione che abbiano subito gravi lesioni personali o danni alla salute.»

VI. Indagini, procedimenti penali, diritto processuale e misure di protezione
(...)
A. Risposta immediata, prevenzione e protezione (articolo 50)
1.Denuncia alle forze dell’ordine e indagini
(...)

«217. Il GREVIO esorta le autorità italiane a continuare ad adottare misure per garantire che le vittime vengano ascoltate senza ritardo da funzionari delle forze dell’ordine specificamente formati, e che le forze dell’ordine stesse che si trovino a gestire casi di violenza contro le donne condividano un approccio di genere sulla violenza contro le donne e pongano l'accento sulla sicurezza ed i diritti umani delle donne e dei loro figli.

(...)

225. Il GREVIO esorta vivamente le autorità italiane a:

  1. dar seguito al proprio impegno per consentire una rapida gestione delle indagini e dei procedimenti penali nei casi di violenza basata sul genere, garantendo al tempo stesso che le misure adottate a tal fine siano supportate da adeguati finanziamenti;
  2. affermare la responsabilità degli autori di violenze e perseguire la giustizia penale per tutte le forme di violenza contemplate dalla Convenzione di Istanbul;
  3. garantire che la condanna in casi di violenza contro le donne, compresa la violenza domestica, sia commisurata alla gravità del reato e che rispetti la funzione deterrente della pena.

I progressi in questo ambito dovrebbero essere misurati tramite dati adeguati e supportati da analisi della gestione dei casi penali da parte delle forze dell’ordine, dei pubblici ministeri e dei tribunali al fine di individuare i punti di criticità e le eventuali lacune nella risposta istituzionale alla violenza contro le donne»

B. Valutazione e gestione del rischio (articolo 51)
(...)

«233. [Il] GREVIO esorta le autorità italiane affinché:

  1. elaborino ulteriormente le procedure di valutazione e gestione del rischio e ne garantiscano la diffusione nell'ambito di tutti gli enti istituzionali che si occupano di casi di violenza basata sul genere;
  2. garantiscano che le valutazioni del rischio siano ripetute in tutte le fasi del procedimento, in particolare alla scadenza della misura cautelare, e che tali valutazioni tengano conto delle opinioni e delle preoccupazioni espresse dalle vittime;
  3. garantiscano che le procedure di valutazione e gestione del rischio rappresentino l’elemento cardine di una risposta multiagenzia e coordinata in tutti i casi di violenza contro le donne contemplati dalla Convenzione di Istanbul, compreso il matrimonio forzato e le mutilazioni genitali femminili;
  4. considerino l’ipotesi di introdurre un sistema, come ad esempio un meccanismo di revisione critica dell'omicidio, per analizzare tutti i casi di omicidio di donne basate sul genere – femminicidio, al fine di prevenirli in futuro, tutelando la sicurezza delle donne e obbligando a rispondere sia gli autori delle violenze, sia le varie organizzazioni che sono entrate in contatto con le parti.»

C. Misure urgenti di allontanamento imposte dal giudice, ordinanze di ingiunzione o di protezione (articoli 52 e 53)
(...)

«241. Sottolineando innanzitutto che nei casi di violenza grave, l'arresto e la custodia cautelare dovrebbero rappresentare le principali soluzioni per proteggere le vittime in situazioni di immediato pericolo, il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché:

  1. rispettino il principio secondo cui i provvedimenti d’urgenza devono essere accessibili alle vittime di violenza domestica in tutte le sue manifestazioni, compresa la violenza psicologica, e che i provvedimenti d’urgenza: divieti, ingiunzioni e ordini di protezione, devono essere accessibili alle vittime di qualsiasi tipo di violenza contemplata dalla Convenzione di Istanbul, compresa la violenza psicologica e forme di violenza rese recentemente perseguibili come il matrimonio forzato;
  2. garantiscano il potenziale di deterrenza delle misure cautelari, facendole rispettare in modo adeguato, garantendo una risposta tempestiva da parte degli enti istituzionali in caso di violazioni e garantendo che tali violazioni vengano adeguatamente punite;
  3. modifichino la legislazione che subordina l’applicazione di una sanzione in caso di violazione degli ordini di protezione di natura civile alla denuncia della vittima;
  4. garantiscano che i provvedimenti di ingiunzione vengano emessi in maniera rapida per scongiurare situazioni di imminente pericolo e che, ove necessario, gli ordini di ingiunzione e/o di protezione vengano emessi inaudita altera parte;
  5. garantiscano che non si verifichino lacune nella protezione delle vittime dovute alla scadenza degli ordini di allontanamento, di ingiunzione o di protezione, adottando successive misure cautelari che possano essere applicate subito dopo;
  6. mettano fine alle pratiche dei tribunali civili che assimilano la violenza a situazioni di conflitto e tentano di raggiungere accordi tra la vittima e l'autore della violenza invece di valutare le esigenze della vittima in termini di sicurezza;
  7. migliorino e armonizzino le pratiche in materia di applicazione delle altre misure cautelari, come gli ammonimenti e l'arresto in flagranza di reato, attingendo dalle buone prassi esistenti e garantendo in ogni momento che tali misure tengano conto della scelta della vittima.

I progressi in questo ambito dovrebbero essere attentamente monitorati e analizzati, attraverso un'adeguata raccolta dei dati che enfatizzi, in particolare, il numero di misure cautelari (ordini di allontanamento, di protezione, di ingiunzione o ammonimenti) richieste e concesse, indipendentemente dal fatto che esse siano state adottate su richiesta di parte o per iniziativa delle autorità, dal motivo della loro mancata concessione, dal tipo di reato per cui sono state adottate, dal tempo medio trascorso prima della loro emissione, dalla loro durata, da quanto spesso sono state violate e dalle conseguenze delle eventuali violazioni. I risultati di questa attività di monitoraggio e analisi andrebbero resi pubblici.»

D. Indagini
(...)
E. Procedibilità d'ufficio e di parte (articolo 55)

« 243. L’articolo 55, paragrafo 1, della Convenzione di Istanbul prevede per le parti l’obbligo di accertarsi che le indagini per varie categorie di reati non dipendano interamente da una segnalazione o da una denuncia da parte della vittima e che il procedimento possa continuare anche se la vittima dovesse ritrattare l'accusa o ritirare la denuncia.

244. La legislazione italiana rispetta tale requisito per la maggior parte delle forme di violenza tranne due tipi di reato. Il primo è il reato di lesioni personali semplici (articolo 582, comma 2, del Codice Penale); infatti, all'atto della ratifica della Convenzione di Istanbul, l’Italia non ha depositato alcuna riserva che l'avrebbe esentata dall’obbligo di sottoporre tutti gli atti di violenza fisica sulle donne, compresi i reati minori, a indagini e procedimenti d’ufficio. Il secondo è il reato di violenza sessuale (articolo 609-bis del Codice Penale); la violenza sessuale è perseguibile solo dietro denuncia da parte della vittima, fatto salvo nel caso in cui la violenza si configuri come una delle circostanze aggravanti descritta dall’articolo 609-septies, comma 2 del codice. Perciò, ad esempio, la violenza sessuale commessa contro un minore o da un pubblico ufficiale è perseguibile d’ufficio.

245. Il GREVIO sollecita le autorità italiane affinché modifichino la legislazione per renderla conforme alle norme sulla procedibilità d’ufficio e di parte previste dall’articolo 55, comma 1 della Convenzione di Istanbul, con particolare riferimento ai reati di violenza fisica e sessuale.»

F. Misure di protezione (articolo 56)

«246. Il GREVIO prende atto con favore delle numerose misure attuate in Italia per ottemperare l’obbligo, previsto dall’articolo 56 della Convenzione, di adottare misure protettive per le vittime durante i procedimenti giudiziari. Molte di queste misure sono state definite a seguito della emanazione della Legge n. 119/2013. Altre sono state istituite mediante l’attuazione della Direttiva UE 2012/29/UE, che contiene degli standard minimi relativi ai diritti, il supporto e la protezione delle vittime di reati. Queste misure sono state ulteriormente rafforzate dalla giurisprudenza dei tribunali di grado più elevato ed il Consiglio Superiore della Magistratura ha emanato delle linee guida per ricordare ai tribunali quanto essi siano importanti per garantire che le vittime della violenza basata sul genere siano protette da intimidazioni, rappresaglie e ulteriore vittimizzazione.

247. Ciononostante, secondo quanto riportato dagli operatori giudiziari al GREVIO, vi sono ancora lacune nelle leggi in vigore e nelle prassi dei tribunali che potrebbero esporre le vittime ad ulteriori danni. Ciò è dovuto al fatto che l’obbligo di informare la vittima non è valido per tutte le misure cautelari e per tutte le circostanze e fasi del procedimento in cui cessano il loro effetto, e dunque in alcuni casi, le vittime potrebbero non essere al corrente del fatto che l’autore della violenza non è più detenuto. Il GREVIO osserva che le normative vigenti subordinano l'erogazione di informazioni ad un’espressa richiesta della vittima, un requisito che potrebbe essere visto come una limitazione eccessiva al campo di applicazione della responsabilità da parte delle autorità di garantire che le vittime siano informate, nei casi in cui esse e la loro famiglia potrebbero essere in pericolo, quando l’autore del reato evade o viene temporaneamente o definitivamente rimesso in libertà, conformemente a quanto previsto dall’articolo 56, lettera b della Convenzione. Il GREVIO osserva inoltre che indipendentemente dalla formulazione delle norme in vigore, le autorità sono vincolate dal dovere di accertarsi in tutte le fasi delle procedure che venga svolta una valutazione in merito al rischio di letalità, la gravità della situazione e il rischio di reiterazione della violenza, come previsto dall’articolo 51, comma 1, della Convenzione. Pertanto, ci si riferisce alle considerazioni espresse in precedenza all’interno del presente rapporto, in riferimento a questo articolo.

(...)

250. [Il] GREVIO esorta le autorità italiane a continuare ad adottare misure per:

  1. garantire che le vittime ricevano le informazioni rilevanti ai fini della protezione propria e delle loro famiglie da intimidazioni, ritorsioni e vittimizzazione secondaria, a prescindere da una loro esplicita richiesta di ricevere tali informazioni, in particolare quando si verificano modifiche alle misure volte alla loro protezione;
  2. favorire l'accesso delle vittime alle misure di protezione esistenti volte a tutelare la loro testimonianza nelle condizioni più adeguate, nello specifico sensibilizzando gli operatori e le operatrici interessati, in particolare la magistratura, sulla natura traumatica della violenza basata sul genere e sulle esigenze particolari delle vittime nel corso dei procedimenti giudiziari, ed investendo nei mezzi materiali necessari, come le attrezzature informatiche o stanze protette all’interno dei palazzi di giustizia, per rendere tali meccanismi disponibili alle vittime in tutto il Paese.
  3. mettere al centro dell'attenzione un approccio alla violenza contro le donne attento alle specificità di genere nell’ambito di tutte le nuove iniziative volte a creare e/o ampliare i servizi di sostegno e supporto per le donne vittime di reati durante i procedimenti giudiziari.»

43. Il 1° dicembre 2019 il Governo italiano ha sottoposto i suoi commenti in risposta al rapporto di valutazione di riferimento pubblicato dal GREVIO. I commenti riguardano esclusivamente delle proposte di revisioni linguistiche.

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 3 DELLA CONVENZIONE

44. La ricorrente sostiene che le autorità italiane sono state avvertite più volte della violenza di suo marito, ma che, per quello che lei considera inerzia e indifferenza, tali autorità non hanno adottato le misure necessarie e appropriate per proteggere lei e i suoi figli dal pericolo, a suo parere reale e conosciuto, rappresentato da suo marito, e non hanno impedito la commissione di ulteriori atti di violenza domestica. A suo avviso, le autorità non hanno adempiuto all'obbligo positivo imposto loro dalla Convenzione. La ricorrente invoca l'articolo 3 della Convenzione, che recita:

Articolo 3

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

A. Sulla ricevibilità

45. Il Governo eccepisce un mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, per diversi motivi. In primo luogo, la ricorrente non avrebbe proposto opposizione avverso la richiesta di archiviazione presentata dalla procura nel 2016, e non avrebbe né avviato un'azione civile contro L.B., né proposto un ricorso ai sensi della legge Pinto per lamentare la eccessiva durata del procedimento istruttorio. Inoltre, il Governo indica che la ricorrente potrà costituirsi parte civile nel procedimento penale a carico di suo marito.

46. La ricorrente contesta queste affermazioni e sostiene di aver proposto opposizione avverso l'archiviazione delle denunce nel 2016 e di non essersi potuta costituire parte civile in quanto non vi è stato alcun rinvio a giudizio fino al 2021. Per quanto riguarda la eccessiva durata delle due indagini, la ricorrente denuncia, dal punto di vista degli articoli 3 e 8, il contesto di impunità che si sarebbe instaurato a causa della dedotta inerzia delle autorità dopo l'aggressione del 2015.

47. La Corte osserva anzitutto che la ricorrente ha proposto opposizione avverso la richiesta di archiviazione parziale presentata dalla procura (si veda il paragrafo 24 supra), e che non poteva costituirsi parte civile, poiché il procedimento era ancora pendente e si trovava nella fase delle indagini preliminari al momento della presentazione del ricorso. Per quanto riguarda un'eventuale azione di responsabilità civile contro L.B. o un ricorso riguardante la eccessiva durata delle indagini, la Corte rammenta che un'azione civile avrebbe potuto portare al versamento di un risarcimento ma non all'azione penale nei confronti del responsabile degli atti di violenza domestica (azione penale che, ai sensi della legge italiana, per i reati in questione può essere avviata solo dal giudice dopo l'indagine del procuratore). Pertanto, queste azioni non sarebbero state di natura tale da consentire allo Stato di adempiere all'obbligo procedurale che l'articolo 3 gli impone in materia di indagini su tali atti di violenza (Tunikova e altri c. Russia, nn. 55974/16 e altri 3, § 120, 14 dicembre 2021, e Volodina c. Russia, n. 41261/17, § 100, 9 luglio 2019, e i riferimenti ivi citati).

48. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte respinge l'eccezione sollevata dal Governo.

49. Constatando che questa doglianza non è manifestamente infondata né irricevibile per uno degli altri motivi di cui all'articolo 35 della Convenzione, la Corte la dichiara ricevibile.

B. Sul merito
1. Tesi delle parti
a) La ricorrente

50. La ricorrente denuncia ciò che essa considera indifferenza da parte dell'autorità giudiziaria nei suoi confronti: da un lato, afferma di essere stata abbandonata a se stessa di fronte al rischio di violenza e, dall'altro, accusa le autorità di aver permesso a L.B. di aggredirla la notte del 20 novembre 2015, di continuare a molestarla, di mettere microfoni in casa sua e di minacciare lei e i bambini.

51. La ricorrente sostiene che, nonostante i carabinieri avessero chiesto al procuratore di disporre una misura di protezione, l'autorità giudiziaria, ritenendo che si trattasse di liti dovute alla procedura di separazione, non ha agito. Inoltre, secondo la ricorrente, il fatto che il tribunale richieda una convivenza per poter applicare la misura di protezione mette in evidenza un vuoto legislativo. Essa aggiunge che non è stato dato seguito ad alcuna delle denunce riguardanti i maltrattamenti subiti dai bambini e che, nonostante la segnalazione dei servizi sociali, non è stata condotta finora alcuna indagine su questo punto.

52. La ricorrente ritiene che la decisione di non perseguire L.B. per maltrattamenti costituisca di per sé una violazione degli articoli 3 e 8, sia nei loro profili procedurali che sostanziali. Essa afferma che i procuratori non hanno condotto l'indagine con la dovuta diligenza e che il termine di sei anni per l'indagine è inaccettabile.

53. Inoltre, la ricorrente ribadisce che le autorità sapevano che lei e i bambini erano in pericolo: diversi testimoni avrebbero indicato che era molto angosciata e aveva paura di L.B. A suo parere, anche la relazione dei servizi sociali ha confermato i suoi timori e quelli dei bambini, ed afferma che, nonostante ciò, è stata lasciata sola ed è stata costretta a fuggire da casa più volte.

54. Secondo la ricorrente, nulla può spiegare la dedotta passività del procuratore nell'esercizio dell'azione penale per i fatti del 20 novembre 2015. La ricorrente sostiene che la prima udienza dinanzi al tribunale di Padova ha avuto luogo il 13 aprile 2021, che i reati si prescriveranno nel 2023, ed è quindi molto probabile che non ottenga soddisfazione a causa dell'asserita inerzia dell'autorità pubblica.

55. Per quanto riguarda i maltrattamenti subiti dai bambini, la relazione dei servizi sociali sarebbe stata archiviata, non sarebbe stata condotta alcuna indagine e il procuratore avrebbe deciso di non riaprire il caso che era stato archiviato nel 2016.

b) Il Governo

56. Il Governo considera che, nel caso di specie, le autorità non sapevano e non potevano sapere che la ricorrente e i bambini erano in pericolo. Sostiene che gli episodi denunciati il 18 novembre 2015 e il 1º marzo 2016, nonché altri incidenti segnalati tra il 2016 e il 2017, erano risultati essere semplici liti familiari, come avrebbe osservato anche il tribunale quando ha respinto la richiesta di misure di protezione fatta dalla ricorrente. In tali circostanze, il Governo ha ritenuto che un intervento delle autorità avrebbe potuto violare l'articolo 8 della Convenzione.

57. Il Governo sostiene che la ricorrente non ha mai dimostrato di essere stata vittima di abusi o di violenza domestica o di aver vissuto nel timore di essere aggredita. Di conseguenza, esso ritiene che gli atti di violenza che la ricorrente avrebbe presumibilmente subìto non possano essere qualificati inumani o degradanti.

58. Il Governo indica che il GIP di Padova ha ritenuto che le dichiarazioni della ricorrente non fossero sufficientemente affidabili e credibili, tenuto conto della «annosa conflittualità tra le parti». Aggiunge che il reato di maltrattamenti in famiglia è stato archiviato per mancanza di episodi continui di questo tipo di maltrattamenti.

59. Per quanto riguarda la relazione dei servizi sociali del febbraio 2018, il Governo afferma che il fatto che sia stata archiviata non deve essere interpretato come un rifiuto ma come una «chiusura tecnica» che comporta un «trasferimento dei documenti in una procedura già registrata».

60. Secondo il Governo, le autorità hanno indagato con la dovuta diligenza e hanno condotto un'indagine approfondita dopo la prima denuncia della ricorrente.

61. Il Governo ritiene che la relazione dei servizi sociali, ricevuta nel febbraio 2018, si riferisse ai comportamenti subìti dalla ricorrente e dai bambini due anni prima, cosicché, a suo parere, non sarebbe stato possibile richiedere una misura di protezione a causa della mancanza di attualità del caso.

2. Valutazione della Corte

a) Sull'applicabilità dell'articolo 3 della Convenzione

62. La Corte rammenta che, per rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 3, un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale minimo dipende dall'insieme degli elementi della causa, in particolare dalla natura e dal contesto del trattamento, dalla sua durata, dai suoi effetti fisici e psichici, ma anche dal sesso della vittima e dal rapporto tra la vittima e l'autore del trattamento. Un maltrattamento che raggiunge tale soglia minima di gravità implica, in generale, lesioni al corpo o forti sofferenze fisiche o psicologiche. Tuttavia, anche in assenza di sevizie di questo tipo, nel momento in cui il trattamento umilia o svilisce un individuo, dando prova di mancanza di rispetto per la sua dignità umana o sminuendola, o suscita nell’interessato sentimenti di paura, angoscia o inferiorità tali da annientare la sua resistenza morale e fisica, questo trattamento può essere qualificato degradante e rientrare così nel divieto di cui all’articolo 3 (Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/09, §§ 86-87, CEDU 2015).

63. La Corte ha altresì riconosciuto che, oltre alle lesioni fisiche, l'impatto psicologico costituisce un aspetto importante della violenza domestica (Valiulienė c. Lituania, n. 33234/07, § 69, 26 marzo 2013, e Volodina, sopra citata, §§ 74-75). L'articolo 3 non si riferisce esclusivamente al fatto di infliggere del dolore fisico, ma anche a quello della sofferenza morale che è causata dalla creazione di uno stato di angoscia e di stress con dei mezzi diversi dalle vie di fatto. Il timore di nuove aggressioni può essere sufficientemente grave da indurre le vittime di violenza domestica a provare una sofferenza e un'angoscia che possono raggiungere la soglia minima prevista per l'applicazione dell'articolo 3 (Eremia c. Repubblica di Moldavia, n. 3564/11, § 54, 28 maggio 2013, T.M. e C.M. c. Repubblica di Moldavia, n. 26608/11, § 41, 28 gennaio 2014, e Volodina, sopra citata, § 75).
64. Nel caso di specie, la ricorrente ha subìto delle violenze da parte di L.B., che sono state documentate il 21 novembre 2015 (si veda il paragrafo 12 supra) dall'ospedale e dai carabinieri. La ricorrente è stata colpita alla testa con un casco da moto e ha subìto una contusione a livello dello zigomo sinistro, una contusione nella regione parietale destra, una distorsione del rachide cervicale e una contusione alla spalla.

65. Il comportamento minaccioso di L.B. le ha fatto temere il ripetersi delle violenze per un lungo periodo di tempo. Le varie denunce e richieste di protezione rivolte alle autorità dello Stato testimoniano questo timore. La ricorrente ha lamentato in diverse occasioni un comportamento di controllo e coercizione, manifestatosi attraverso la sorveglianza dei suoi spostamenti, le molestie davanti alla sua abitazione e le minacce di ucciderla davanti ai bambini. I maltrattamenti sono stati segnalati anche dai servizi sociali nella loro relazione del febbraio 2018. L'atteggiamento delle autorità, che ritenevano si trattasse di un conflitto tipico di alcune separazioni e non hanno offerto alcuna protezione alla ricorrente, deve aver esacerbato i sentimenti di ansia e impotenza che quest'ultima provava a causa del comportamento minaccioso di L.B.

66. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che il trattamento denunciato abbia oltrepassato il livello minimo di gravità previsto dall'articolo 3 della Convenzione.

a) Principi generali

67. La Corte rammenta che spetta alle autorità nazionali adottare delle misure di protezione di una persona la cui integrità fisica o psicologica è minacciata dagli atti criminali di un suo familiare o del suo partner (Kontrová c. Slovacchia, n. 7510/04, § 49, 31 maggio 2007, M. e altri c. Italia e Bulgaria, n. 40020/03, § 105, 31 luglio 2012, e Opuz c. Turchia, n. 33401/02, § 176, CEDU 2009). L’ingerenza delle autorità nella vita privata e familiare può divenire necessaria per proteggere la salute e i diritti di una vittima o per prevenire degli atti criminali in alcune circostanze. In numerosi casi le autorità, anche se non sono rimaste totalmente passive, non hanno comunque rispettato gli obblighi ad esse imposti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, in quanto le misure da esse adottate non hanno impedito all’aggressore di perpetrare nuove violenze contro la vittima (si vedano i riferimenti giurisprudenziali nella sentenza Volodina, sopra citata, § 86).

68. Dalla giurisprudenza emerge che gli obblighi positivi che gravano sulle autorità in virtù dell’articolo 3 della Convenzione comportano, in primo luogo, l’obbligo di mettere in atto un quadro legislativo e regolamentare di protezione; in secondo luogo, in alcune circostanze ben definite, l’obbligo di adottare delle misure operative per proteggere delle persone ben precise da un rischio di trattamenti contrari a tale disposizione; e, in terzo luogo, l’obbligo di condurre un’indagine effettiva su delle accuse difendibili relative all’inflizione di tali trattamenti. In generale, i primi due aspetti di questi obblighi positivi sono definiti «materiali», mentre il terzo corrisponde all’obbligo positivo «procedurale» che spetta allo Stato (Tunikova e altri, sopra citata, § 78 Volodina, sopra citata, § 77, e X e altri c. Bulgaria [GC], n. 22457/16, § 178, 2 febbraio 2021).

69. La Corte ha recentemente chiarito la portata e il contenuto dell’obbligo positivo per lo Stato di prevenire il rischio di violenza ricorrente nel contesto della violenza domestica nella causa Kurt (sopra citata, §§ 157-189). Tale portata e contenuto si possono sintetizzare come segue (ibid., § 190):

  1. Le autorità devono reagire immediatamente alle denunce di violenza domestica.
  2. Quando tali denunce vengono portate a loro conoscenza, le autorità devono accertare se esista un rischio reale e immediato per la vita altrui delle vittime di violenza domestica che sono state identificate e, per farlo, devono compiere una valutazione del rischio che sia autonoma, proattiva ed esaustiva. Esse devono tenere debitamente conto del contesto particolare dei casi di violenza domestica nel valutare il carattere reale e immediato del rischio.
  3. Non appena tale valutazione evidenzia l’esistenza di un rischio reale e immediato per la vita altrui, le autorità hanno l’obbligo di adottare misure operative preventive. Tali misure devono essere adeguate e proporzionate al livello di rischio rilevato.

70. La Corte ha esaminato tale obbligo positivo – in alcuni casi dal punto di vista degli articoli 2 o 3 e in altri casi dal punto di vista dell’articolo 8 considerato isolatamente o in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione (Volodina, sopra citata). Essa ritiene che nella presente causa sia necessario allinearsi sull’insegnamento derivante dalla sentenza Kurt (sopra citata) sotto il profilo dell’articolo 2. La Corte si riferisce dunque prima di tutto ai principi ivi enunciati nell’ambito dell’esame degli obblighi positivi sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione e per quanto riguarda l’obbligo di adottare misure ragionevoli per escludere un rischio reale e immediato di violenza ricorrente.

b) Applicazione di questi principi nel caso di specie

71. La Corte osserva che, da un punto di vista generale, il quadro giuridico italiano era idoneo ad assicurare una protezione contro atti di violenza che possono essere commessi da privati in una determinata causa. Essa osserva, inoltre, che l’ampia serie di misure giuridiche e operative disponibili nel sistema legislativo italiano (paragrafi 35-36 supra) offriva alle autorità interessate una varietà sufficiente di possibilità adeguate e proporzionate rispetto al livello di rischio esistente nel caso di specie.

i. Sulla questione se le autorità abbiano reagito immediatamente alle denunce di violenza domestica

72. La Corte osserva che, mentre i carabinieri hanno reagito senza indugio alle denunce presentate dalla ricorrente nel novembre 2015, e sono intervenuti durante i litigi e in occasione degli episodi violenti, i procuratori, invece, informati più volte dai carabinieri, non hanno chiesto al GIP la misura di protezione richiesta dai carabinieri e non hanno condotto un’indagine rapida e effettiva, dato che sette anni dopo i fatti il procedimento è ancora pendente in primo grado per l’aggressione del 20 novembre 2015; l’indagine per i fatti denunciati tra il 2016 e il 2017 è ancora pendente e, invece, non è stata condotta alcuna indagine a seguito dei maltrattamenti segnalati dai servizi sociali nel 2018.

73. La Corte rammenta che non rientra nelle sue competenze sostituirsi alle autorità nazionali e operare al loro posto una scelta tra le misure da adottare. Tuttavia, essa ritiene che, in riferimento ai numerosi elementi di cui disponevano le autorità, la procura investita del caso nel novembre 2015 avrebbe potuto essere in grado di condurre un’indagine più rapida sull’episodio del 20 novembre 2015 e sulle altre denunce della ricorrente che hanno dato luogo all’avvio di un’indagine tuttora pendente dal 2016.

74. La Corte osserva inoltre che, nel febbraio 2018, dopo la segnalazione fatta dai servizi sociali dei maltrattamenti subiti dai minori (che la ricorrente aveva riportato varie volte nelle sue precedenti denunce), non è stata condotta alcuna misura di indagine, dato che i minori non sono stati sentiti e che L.B. non è stato a tutt’oggi oggetto di alcuna indagine per il reato di maltrattamenti.

75. Essa ritiene che, anche se i carabinieri hanno proceduto a una valutazione del rischio autonoma, proattiva ed esaustiva tenendo debitamente conto del contesto particolare delle cause in materia di violenza domestica (si veda Kurt, sopra citata, § 190), chiedendo delle misure di protezione, alla luce della presunta esistenza di un rischio reale e immediato per la vita della ricorrente e dei suoi figli (paragrafo 13 supra), il procuratore che aveva il compito di valutare tali richieste non ha dimostrato la particolare diligenza necessaria al fine di reagire immediatamente alle accuse di violenza domestica formulate dalla ricorrente.

ii. La qualità della valutazione dei rischi

76. La Corte rammenta che, allo scopo di stabilire se le autorità avrebbero dovuto essere a conoscenza del rischio ripetuto di atti di violenza, essa ha individuato e preso in considerazione, in un certo numero di cause, gli elementi seguenti: i precedenti di comportamento violento dell'autore e il mancato rispetto dei termini di un'ordinanza di protezione (Eremia, sopra citata, § 59), l'escalation della violenza che rappresenta una minaccia continua per la salute e la sicurezza delle vittime (Opuz, sopra citata, §§ 135-36, CEDU 2009), le richieste di aiuto ripetute della vittima per mezzo di appelli urgenti, nonché le denunce formali e le petizioni rivolte al capo della polizia (Bălşan c. Romania, n. 49645/09, §§ 135-36, 23 maggio 2017). Alcuni degli elementi sopra indicati erano presenti anche nelle circostanze della presente causa.

77. La Corte osserva che, ad eccezione delle proposte fatte dai carabinieri al procuratore (paragrafo 75 supra), le autorità competenti, nel complesso, non hanno condotto né un'azione autonoma e proattiva, né una valutazione completa dei rischi. Le autorità non hanno mai seguìto una procedura di valutazione dei rischi della situazione della ricorrente e di quella dei suoi figli. I procuratori non hanno dimostrato, nell'esaminare le denunce della ricorrente, di aver preso coscienza del carattere e della dinamica specifici della violenza domestica, sebbene fossero presenti tutti gli indizi, ossia, in particolare, lo schema di escalation delle violenze subite dalla ricorrente (e dai suoi figli), l’aggressione del 20 novembre 2015, le minacce proferite e le molestie (Kurt, sopra citata, § 175). Le autorità non hanno considerato che, trattandosi di una situazione di violenza domestica, le denunce meritavano un intervento attivo: al contrario, le denunce sono state considerate poco dettagliate e non sono stati sentiti i minori nonostante le molteplici segnalazioni della ricorrente relative ai maltrattamenti che questi ultimi subivano. Anche se è vero che la Corte non può mettere in discussione il fatto che delle misure di protezione potessero essere applicate solo in caso di convivenza, come ha affermato il tribunale civile di Padova, essa osserva che questo stesso tribunale, al quale si era rivolta la ricorrente, ha sottovalutato la situazione, negando la misura di protezione richiesta (paragrafo 22 supra) ritenendo che si trattasse di una situazione tipica di un conflitto all’interno di una coppia che si stava separando.
Le autorità non hanno messo in atto misure di protezione nonostante tali misure fossero state richieste dai carabinieri. I rischi di violenza ricorrente non sono stati correttamente valutati né presi in considerazione.

78. La Corte constata che le autorità si sono sottratte al loro dovere di effettuare una valutazione immediata e proattiva del rischio di recidiva della violenza commessa contro la ricorrente e i suoi figli e di adottare delle misure operative e preventive al fine di attenuare questo rischio e proteggere la ricorrente e i suoi figli, e di censurare la condotta di L.B. I procuratori, in particolare, sono rimasti passivi di fronte al rischio serio che fossero inflitti dei maltrattamenti alla ricorrente e ai suoi figli e, con la loro inerzia, hanno creato un contesto di impunità, in quanto L.B. non è stato ancora processato per le lesioni inflitte alla ricorrente in occasione dell’aggressione del 20 novembre 2015, e l’indagine sulle altre denunce della ricorrente è ancora pendente dal 2016.

iii. Le autorità sapevano o avrebbero dovuto sapere che esisteva un rischio reale e immediato di violenza ricorrente per l’interessata?

79. Alla luce degli elementi sopra esposti (si veda il paragrafo 77 supra), la Corte ritiene che le autorità nazionali sapessero o avrebbero dovuto sapere che sussisteva un rischio reale e immediato di violenza ricorrente a causa delle violenze commesse da L.B., e che le stesse avessero l’obbligo di valutare il rischio che tali violenze si ripetessero e di adottare delle misure adeguate e sufficienti per proteggere la ricorrente e i suoi figli.

iv. Le autorità hanno adottato misure preventive adeguate nelle circostanze del caso di specie?

80. La Corte ritiene che, sulla base delle informazioni note alle autorità all’epoca dei fatti e che indicavano che esisteva un rischio reale e immediato che fossero commesse nuove violenze contro la ricorrente e i suoi figli, di fronte alle denunce di escalation delle violenze domestiche che formulava la ricorrente, le autorità non abbiano dimostrato la diligenza richiesta (si veda il paragrafo 78 supra). Esse non hanno proceduto a una valutazione del rischio di maltrattamenti che avrebbe caratterizzato in modo specifico il contesto delle violenze domestiche, e in particolare la situazione della ricorrente e dei suoi figli, e che avrebbe giustificato l’adozione di misure preventive concrete allo scopo di proteggerli da un tale rischio. Pertanto, essa ritiene che le autorità si siano sottratte al loro obbligo positivo derivante dall’articolo 3 di proteggere la ricorrente e i minori dalle violenze domestiche commesse da L.B.

v. L’obbligo di condurre un’indagine effettiva

81. La Corte rammenta che l’obbligo di condurre un’indagine effettiva su tutti i casi di violenza domestica è un elemento essenziale degli obblighi che l’articolo 3 della Convenzione impone allo Stato. Per essere efficace, una tale indagine deve essere rapida e approfondita; tali esigenze si applicano alla procedura nel suo complesso, compresa la fase del processo (M.A. c. Slovenia, n 3400/07, § 48, 15 gennaio 2015, e Kosteckas c. Lituania, n. 960/13, § 41, 13 giugno 2017). Quando si devono trattare casi di violenza domestica è richiesta una diligenza particolare, e si deve tenere conto della natura specifica della violenza domestica nel corso del procedimento interno. L’obbligo dello Stato di indagare non si può considerare soddisfatto se i meccanismi di protezione previsti nel diritto interno esistono soltanto in teoria: è soprattutto necessario che essi funzionino effettivamente nella pratica, il che presuppone un esame della causa sollecito e senza inutili ritardi (Opuz, sopra citata, §§ 145-151 e 168, T.M. e C.M., sopra citata, § 46, e Talpis c. Italia, n. 41237/14, §§ 106 e 129, 2 marzo 2017). Il principio di effettività implica che le autorità giudiziarie interne non devono in nessun caso essere disposte a lasciare impunite le sofferenze fisiche o psicologiche inflitte. Ciò è fondamentale per mantenere la fiducia e il sostegno dei cittadini nello Stato di diritto e per prevenire qualsiasi apparenza di tolleranza o di collusione delle autorità rispetto agli atti di violenza (Okkalı c. Turchia, n. 52067/99, § 65, CEDU 2006-XII (estratti)).

82. La Corte ha già stabilito che le autorità erano a conoscenza, o avrebbero dovuto esserlo, delle violenze di cui la ricorrente e i suoi figli erano stati vittime. Le denunce della ricorrente sono state corroborate da elementi di prova, soprattutto da referti medici e, per quanto riguarda i minori, dalla relazione dei servizi sociali, e hanno costituito una doglianza difendibile, relativa a maltrattamenti, che fa sorgere l’obbligo per le autorità di condurre un’indagine che risponda alle esigenze dell’articolo 3 della Convenzione (Volodina, sopra citata, § 93).

83. In risposta alle denunce di aggressione, atti persecutori e minacce che formula la ricorrente, la polizia ha limitato il suo intervento a un’indagine che si è conclusa con la parziale archiviazione dell’azione penale in quanto non era stato commesso alcun illecito perseguibile d’ufficio, e le denunce della ricorrente non erano sufficientemente dettagliate.

84. Le minacce di morte che la ricorrente ha affermato di aver ricevuto varie volte non sono state prese in considerazione. La Corte rammenta che il divieto di maltrattamenti previsto dall’articolo 3 comprende tutte le forme di violenza domestica, comprese le minacce di morte, e che qualsiasi atto di questo tipo genera un obbligo di indagare. Le minacce costituiscono una forma di violenza psicologica e una vittima vulnerabile può averne paura indipendentemente dalla natura oggettiva di tale comportamento intimidatorio (Volodina, sopra citata, § 98).

85. La Corte ritiene che, nel trattare in via giudiziaria il contenzioso delle violenze contro le donne, spetti ai giudici nazionali tenere conto della situazione di precarietà e di particolare vulnerabilità, morale, fisica e/o materiale, della vittima, e valutarne la situazione di conseguenza, nel più breve tempo possibile. La Corte non è convinta che le autorità abbiano cercato seriamente di avere una veduta d’insieme della successione di incidenti violenti in causa, come richiesto nelle cause in materia di violenza domestica. I procuratori incaricati delle due indagini non hanno dimostrato di avere alcuna consapevolezza delle particolari caratteristiche delle cause in materia di violenza domestica e alcuna volontà reale di fare in modo che l’autore di tali atti fosse portato a renderne conto. L’indagine sull’aggressione del 20 novembre 2015 si è conclusa nel 2021 e il procedimento è oggi tuttora pendente; l’indagine sui fatti denunciati tra il 2016 e il 2017 è ancora pendente e, invece, non è stata condotta alcuna indagine a seguito dei maltrattamenti segnalati dai servizi sociali nel 2018.

86. La Corte considera che lasciare la ricorrente da sola in una situazione di violenza domestica accertata equivale per lo Stato a sottrarsi al proprio obbligo di indagare su tutti i casi di maltrattamento.

87. La Corte rammenta su questo punto che il semplice passare del tempo può nuocere all’indagine e comprometterne definitivamente le possibilità di esito positivo (M.B. c. Romania, n. 43982/06, § 64, 3 novembre 2011). Essa rammenta anche che il tempo che passa intacca inevitabilmente la quantità e la qualità delle prove disponibili e che, inoltre, l’apparenza di una mancanza di diligenza solleva un dubbio sulla buona fede con la quale sono condotte le indagini e fa perdurare le sofferenze che subiscono i denuncianti (Paul e Audrey Edwards c. Regno Unito, n. 46477/99, § 86, CEDU 2002 II).

88. La Corte insiste nuovamente sulla particolare diligenza che richiede l’esame delle denunce di violenze domestiche, e ritiene che le specificità dei fatti di violenza domestica come quelle riconosciute nel preambolo della Convenzione di Istanbul (paragrafi 40-43 supra) debbano essere tenute presenti nell’ambito dei procedimenti interni.

89. Alla luce del modo in cui le autorità hanno trattato le denunce di violenze domestiche depositate dalla ricorrente – in particolare il fatto che esse non hanno indagato in maniera effettiva sulle accuse credibili di maltrattamenti e che non hanno fatto in modo che l’autore fosse perseguito e punito, cosicché l’indagine sulle denunce di maltrattamenti, essendo stata troppo a lungo pendente, ha mancato di effettività – la Corte ritiene che lo Stato si sia sottratto al suo dovere di indagare sui maltrattamenti subiti dalla ricorrente [e dai suoi figli] e che anche il modo in cui le autorità interne hanno condotto l’azione penale nella presente causa dimostra una passività giudiziaria e non si può considerare tale da soddisfare le esigenze dell’articolo 3 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, W. c. Slovenia, n. 24125/06, §§ 66-70, 23 gennaio 2014, P.M. c. Bulgaria, n. 49669/07, §§ 65-66, 24 gennaio 2012, e M.C. e A.C., sopra citata, §§ 120-125).

90. Pertanto, vi è stata violazione degli aspetti materiale e procedurale dell’articolo 3 della Convenzione.

II. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE

91. La ricorrente invoca altresì, a sostegno delle sue accuse, l’articolo 8 della Convenzione.

92. Avendo già concluso che vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione (paragrafo 90 supra), la Corte ritiene che non sia necessario esaminare gli stessi fatti dal punto di vista di tale disposizione (Opuz, sopra citata, § 205, Talpis, sopra citata, § 151).

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

93. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione:

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

94. La ricorrente chiede la somma di 40.600 euro (EUR) per il danno materiale che avrebbe subìto a causa delle somme non pagate da L.B. e del tempo impiegato dalle autorità per condurre l’indagine. La ricorrente chiede anche la somma di 100.000 EUR in riparazione del danno morale che ritiene di avere subìto.

95. Il Governo considera che non debba essere accordata alla ricorrente alcuna riparazione per il danno materiale dedotto, che a suo parere è di competenza dei giudici civili, e ritiene che, per quanto riguarda il danno morale, la somma sia elevata.

96. La Corte non scorge alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno materiale dedotto, e respinge tale richiesta. Per quanto riguarda il danno morale, essa ritiene che la ricorrente abbia senza dubbio provato angoscia e sofferenza a causa delle violenze domestiche subite e dell’inosservanza da parte delle autorità del loro obbligo positivo di adottare misure adeguate. Di conseguenza, deliberando in via equitativa, essa accorda alla ricorrente la somma di 10.000 EUR per il danno morale subìto.

B. Spese

97. Producendo i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede la somma di 6.983,75 EUR per le spese che afferma di avere sostenuto per il procedimento condotto dinanzi alla Corte.

98. Il Governo contesta tale richiesta.

99. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte ritiene ragionevole la somma richiesta e la accorda alla ricorrente.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 3 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare la doglianza formulata sotto il profilo dell’articolo 8 della Convenzione;
  4. Dichiara,
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi a decorrere dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione,
      1. 10.000 EUR (diecimila euro) più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta su tale somma, per danno morale;
      2. 6.983,75 (seimilanovecentoottantatré euro e settantacinque centesimi), più l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta su tale somma, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, e poi comunicata per iscritto il 16 giugno 2022, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Marko Bošnjak
Presidente

Renata Degener
Cancelliere

NOTA:

Quest'ultima legge è applicabile soltanto a determinati fatti commessi.1