Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 22 ottobre 2013 - Ricorso n.14055/04 - Mercuri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dl Rita Pucci, funzionario linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

CAUSA MERCURI c. ITALIA

(Ricorso n. 14055/04)

SENTENZA

STRASBURGO

22 ottobre 2013

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Mercuri c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
Dragoljub Popović, presidente,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Seçkin Erel, cancelliere aggiunto di sezione ff,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 1° ottobre 2013,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 14055/04) proposto contro la Repubblica italiana con il quale un cittadino di tale Stato, il sig. Giovanni Mercuri («il ricorrente»), ha adito la Corte il 7 aprile 2004 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).

2. Il ricorrente è stato rappresentato dagli avv. M. Nicolella, del foro di Parigi, e D. Pagano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.

3. L’8 luglio 2009, il ricorso è stato comunicato al Governo.

4. Il Governo ha presentato le sue osservazioni sulla ricevibilità e sulla fondatezza della causa l’8 dicembre 2009.

5. Il ricorrente ha presentato le sue osservazioni in risposta e le sue richieste di equa soddisfazione il 21 aprile 2010.

6. Il 9 luglio 2010, la Corte ha ricevuto le osservazioni supplementari del Governo e nuove osservazioni del ricorrente sull’equa soddisfazione. Queste ultime non sono state acquisite agli atti in quanto non richieste dalla Corte.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

7. Il ricorrente, sig. Giovanni Mercuri, è nato nel 1946 e risiede a Filothei.

1. Il procedimento civile

8.Il ricorrente era titolare della Kroton-Travel, un’azienda con sede ad Atene e operante nel settore turistico.

9. Il 28 maggio 1993 la Kroton Travel citò un’azienda partner italiana dinanzi al tribunale di Catania, affermando di essere stata frodata da questa e chiedendo una provvisionale nonché, all’esito del procedimento, la risoluzione del contratto di partenariato, il rimborso delle somme a suo dire dovute e la riparazione di tutti i danni contrattuali ed extracontrattuali subiti.

10. Il 20 luglio 1993 e il 16 febbraio 1994 il giudice istruttore respinse le richieste di provvisionale.

11. Dopo diverse udienze e rinvii, l’8 febbraio 1995 il perito contabile nominato dal giudice istruttore depositò una relazione attestante l’esistenza di un credito della Kroton Travel dell’importo di 216.532.214 lire italiane (circa 112.000 EUR).

12. L’11 aprile 1995 il giudice istruttore respinse per la terza volta la richiesta di provvisionale ritenendo che niente lasciasse prevedere il rischio, per la Kroton Travel, di non recuperare il suo credito all’esito del procedimento.

13. Dopo diverse udienze e rinvii, il 20 novembre 1998 le parti risolsero la controversia. Il ricorrente rinunciò a tutte le pretese in cambio del pagamento della somma di 12.000.000 di lire italiane (circa 6.200 EUR) da parte del convenuto. Egli sostiene di essere stato costretto ad accettare tale somma a causa delle sue condizioni economiche e della durata del procedimento.

14. Il 17 febbraio 2000, a causa delle ripetute assenze delle parti, la causa fu cancellata dal ruolo.

2.  Il procedimento penale

15. Il ricorrente afferma di essere stato processato in Italia per estorsione aggravata nei confronti del titolare dell’azienda partner e di essere stato assolto. Tuttavia, non ha fornito documenti in merito a tale procedimento.

3.  Il procedimento «Pinto»

16. Il 18 aprile 2002 il ricorrente adì la corte d’appello di Messina al fine di lamentare la durata eccessiva del procedimento civile in cui la Kroton Travel era stata parte. Chiese la riparazione dei danni materiali e morali.

17. Il 18 settembre 2003, la causa fu cancellata dal ruolo per le ripetute assenze dell’avvocato della Kroton Travel.

18. Sostenendo che all’origine di tali assenze vi era un errore di comunicazione della cancelleria, il 23 aprile 2004 il ricorrente citò nuovamente il ministero della Giustizia dinanzi alla corte d’appello di Messina.

19. La corte d’appello riprese il procedimento (mantenendo lo stesso numero R.G.N.C. 65/02) e, con decisione del 17 febbraio 2005, depositata il 28 febbraio 2005, respinse la domanda di risarcimento dei danni materiali, ritenendo che il ricorrente non avesse provato che questi erano la diretta conseguenza della lunghezza del procedimento. Gli accordò 2.000 EUR a titolo di risarcimento del danno morale e 610 EUR per le spese. Tali importi furono pagati il 4 luglio 2006.

20. Nel frattempo, il 15 novembre 2005, il ricorrente propose ricorso per cassazione.

21. Con decisione dell’11 dicembre 2007, depositata il 14 maggio 2008, la Corte di cassazione accolse parzialmente il ricorso e accordò 2.750 EUR a titolo di risarcimento del danno morale più interessi, e la somma complessiva di 1.890 EUR per le spese. Essa ritenne inammissibile la domanda relativa al danno materiale in quanto il ricorrente non l’aveva debitamente precisata e corredata di documenti.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

22. Il diritto e la prassi interni pertinenti figurano nelle sentenze Cocchiarella c. Italia ([GC], n. 64886/01, §§ 23-31, CEDU 2006-V) e Simaldone c. Italia (n. 22644/03, § 11-15, 31 marzo 2009).

IN DIRITTO

I. SULLE DEDOTTE VIOLAZIONI DEGLI ARTICOLI 6 § 1 DELLA CONVENZIONE E 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 RELATIVE ALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO PINTO E AL RITARDO NEL VERSAMENTO DELL’INDENNIZZO «PINTO»

23. Il ricorrente lamenta la durata eccessiva del procedimento Pinto e il ritardo nel pagamento della somma accordata dalla corte d’appello Pinto. Egli invoca gli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, i quali, nelle parti pertinenti, recitano così:

Articolo 6 § 1 della Convenzione

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».

Articolo 1 del Protocollo n. 1 

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale (...)».

24. Il Governo si oppone a questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

1.  Tardività del ricorso

25. Il Governo eccepisce la tardività del ricorso per quanto riguarda la doglianza relativa alla durata del procedimento «Pinto» in quanto il ricorrente avrebbe omesso di adire la Corte entro sei mesi dalla decisione di cancellazione dal ruolo pronunciata dalla corte d’appello Pinto il 18 settembre 2003. Ad ogni modo, questa doglianza sarebbe irricevibile perché, all’epoca della presentazione del ricorso dinanzi alla Corte, il ricorrente non aveva ancora esaurito le vie di ricorso interne.

26. La Corte rileva che, nel caso di specie, la decisione interna definitiva, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, è quella della Corte di cassazione Pinto depositata in cancelleria il 14 maggio 2008, ossia dopo la presentazione di questo ricorso, vale a dire il 7 aprile 2004 (si vedano i paragrafi 1 e 21 supra) e non la decisione di cancellazione dal ruolo del 18 settembre 2003. In seguito a quest’ultima, il ricorrente aveva citato nuovamente il ministero della Giustizia dinanzi alla corte d’appello di Messina al fine di riprendere il procedimento Pinto precedentemente cancellato dal ruolo. Così come implicitamente confermato dal mantenimento del numero di registro generale (si veda il paragrafo 19 supra), detta corte si pronunciò sul merito del ricorso Pinto originariamente instaurato.

27. Infine, la Corte rammenta che se è vero che, prima di adirla, un ricorrente ha, in linea di principio, l’obbligo di esperire lealmente i diversi mezzi di impugnazione interni, essa tollera che l’ultimo gradino di tali mezzi di impugnazione sia raggiunto dopo il deposito del ricorso dinanzi alla Corte, ma prima che essa sia chiamata a pronunciarsi sulla ricevibilità (si vedano, Šneersone e Kampanella c. Italia, n. 14737/09, § 66, 12 luglio 2011; Köse e altri c. Turchia (dec.), n. 50177/99, 2 maggio 2006 e mutatis mutandis, la sentenza Ringeisen c. Austria del 16 luglio 1971, § 91, Serie A n. 13, e E.K. c. Turchia (dec.), n. 28496/95, 28 novembre 2000).

28. In conclusione, l’eccezione del Governo deve essere rigettata.

2.  Qualità di «vittima»

29. Quanto alla doglianza relativa al ritardo nel pagamento della somma «Pinto», il Governo ritiene che il ricorrente non sia più «vittima» della dedotta violazione della Convenzione in quanto il ritardo controverso è stato compensato dalla concessione di interessi moratori e, eventualmente, di spese sostenute nel procedimento di esecuzione forzata.

30. A sostegno della sua tesi, il Governo adduce argomenti che la Corte ha già rigettato nella sentenza Belperio e Ciarmoli c. Italia (n. 7932/04, 21 dicembre 2010).

31. Non vedendo motivi per derogare a tale approccio, la Corte respinge l’eccezione sollevata dal Governo e ritiene che il ricorrente possa ancora sostenere di essere «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione.

3.  Conclusioni

32. La Corte constata che queste doglianze non incorrono in nessun altro dei motivi di irricevibilità di cui all’articolo 35 § 3 della Convenzione. Quindi, le dichiara ricevibili.

B.  Sul merito

33. Il Governo ritiene che, tenuto conto di vari rinvii delle udienze causati o richiesti dall’avvocato del ricorrente, all’origine, tra l’altro, della cancellazione dal ruolo della causa nel 2003, e del ritardo tra il deposito della decisione della corte d’appello Pinto e la data del ricorso per cassazione proposto dal ricorrente, la durata complessiva del procedimento Pinto non abbia leso il diritto sancito dall’articolo 6 § 1 della Convenzione.

34. La Corte rammenta che, nella causa Gagliano Giorgi c. Italia (n. 23563/07, § 76, 6 marzo 2012), essa ha ritenuto che, al fine di soddisfare le esigenze del «termine ragionevole» ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la durata di un procedimento «Pinto» dinanzi alla corte d’appello competente e alla Corte di cassazione, inclusa la fase di esecuzione della decisione, in linea di principio e salvo circostanze eccezionali, non dovrebbe superare due anni e sei mesi.

35. Nel caso di specie, la Corte osserva che il procedimento Pinto è durato complessivamente circa sei anni, ossia dal 18 aprile 2002, data di presentazione del primo ricorso Pinto, al 14 maggio 2008, data del deposito della decisione della Corte di cassazione. È vero che la prima causa era stata cancellata dal ruolo per le ripetute assenze dell’avvocato del ricorrente; tuttavia, in seguito alla domanda in cui questi denunciava un errore di comunicazione della cancelleria, egli fu ammesso a riprendere lo stesso procedimento dinanzi alla corte d’appello (si vedano i paragrafi 17-19 supra).

36. Ad ogni modo, anche volendo considerare la durata del procedimento Pinto solo a partire dal momento in cui il ricorrente citò nuovamente il ministero della Giustizia (23 aprile 2004), e deducendo circa otto mesi e mezzo tra il deposito della decisione d’appello (28 febbraio 2005) e la data del ricorso per cassazione (15 novembre 2005), il procedimento Pinto è comunque durato oltre tre anni per due gradi di giudizio.

37. Inoltre, il ritardo nel versamento della somma accordata al ricorrente dalla corte d’appello di Messina (pagata il 4 luglio 2006), calcolato a partire dal deposito in cancelleria della decisione della corte d’appello Pinto (28 febbraio 2005), ammonta a sei mesi.

38. Pertanto, la Corte ritiene che la durata del procedimento Pinto e il ritardo nel pagamento della somma accordata dalla corte d’appello di Messina, considerati complessivamente, abbiano superato il termine di due anni e sei mesi stabilito nella causa Gagliano Giorgi, sopra citata, con conseguente violazione dell’articolo 6 § 1, sotto il profilo del diritto ad una sentenza entro un termine ragionevole (si veda, Pedicini e altri c. Italia [comitato], n. 50951/99, §§ 29-46, 24 aprile 2012).

39. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che non sia necessario esaminare separatamente la doglianza formulata dal ricorrente sotto il profilo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE RELATIVA AL RIFIUTO DI ACCORDARE UNA PROVVISIONALE

40. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, il ricorrente lamenta il rifiuto di accordargli una provvisionale nel procedimento civile, sebbene il perito contabile avesse riconosciuto l’esistenza di un credito della sua azienda. Il citato articolo è così redatto nella parte pertinente:

 «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…), il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)».

41. Indipendentemente dalla qualificazione giuridica dei fatti, la Corte constata che il procedimento interinale controverso si concluse l’11 aprile 1995 e che, comunque, il procedimento principale terminò il 17 febbraio 2000.

42. Il ricorrente ha adito la Corte il 7 aprile 2004. Pertanto, non si può che constatare che la doglianza è stata presentata oltre il termine di sei mesi. Ne consegue che questa parte del ricorso deve essere rigettata conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE RELATIVA ALLA DURATA DEL PROCEDIMENTO PRINCIPALE

43. Il ricorrente lamenta la durata eccessiva del procedimento principale e l’inadeguatezza della riparazione ottenuta nell’ambito del procedimento «Pinto». Invoca la violazione dell’articolo 6 § 1, citato nel paragrafo 23 supra.

44. Prima di accertare se vi sia stata nel caso di specie violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, la Corte deve innanzitutto verificare se il ricorrente possa continuare a sostenere di essere «vittima», ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, dopo avere esperito i mezzi di impugnazione nazionali.

45. Al riguardo, essa rammenta la sua giurisprudenza nella causa Cocchiarella c. Italia (sopra citata, § 84) secondo la quale, in questo tipo di cause, spetta alla Corte verificare, da un lato, se le autorità abbiano riconosciuto, almeno in sostanza, la violazione di un diritto tutelato dalla Convenzione e, dall’altro, se la riparazione possa essere considerata adeguata e sufficiente.

46. La prima condizione, vale a dire la constatazione di violazione da parte delle autorità nazionali, non è oggetto di contestazione poiché la corte d’appello ha espressamente constatato la violazione.

47. Quanto alla seconda condizione, vale a dire una riparazione adeguata e sufficiente, la Corte fa riferimento a quanto da essa enunciato nella sentenza Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 86-107) in merito alle caratteristiche che un ricorso interno deve avere per arrecare una riparazione adeguata e sufficiente; si tratta in modo particolare del fatto che, per valutare l’importo del risarcimento accordato dalla corte d’appello, la Corte prende in esame, sulla base degli elementi a sua disposizione, quanto avrebbe accordato nella stessa situazione per il periodo preso in considerazione dal giudice interno.

48.  Quanto alla riparazione del danno morale, la Corte ritiene che, tenuto conto degli elementi della presente causa e in assenza di vie di ricorso interne, avrebbe potuto accordare la somma di 5.600 EUR. Essa osserva che la corte d’appello di Roma ha accordato al ricorrente 2.750 EUR per un procedimento durato quasi sette anni per un grado di giudizio, il che rappresenta circa il 49% della somma che la Corte stessa avrebbe potuto accordare all’interessato. Il risarcimento ricevuto dal ricorrente per il danno morale può quindi essere ritenuto adeguato e, di conseguenza, idoneo a riparare la violazione subita (Garino c. Italia (dec.), nn. 16605/03, 16641/03 e 16644/03, 18 maggio 2006).

49. Ne consegue che, al riguardo, il ricorrente non può più sostenere di essere vittima di una violazione della durata del procedimento.

50. Rimane da esaminare la parte della doglianza relativa alla riparazione del danno patrimoniale.

51. Secondo la giurisprudenza della Corte, le vie di ricorso interne non si considerano esaurite quando un ricorso sia stato dichiarato inammissibile a causa dell’inosservanza di una formalità da parte dei ricorrenti (Pugliese c. Italia n. 2 (dec.), n. 45791/99, 25 marzo 2004). Ora, nel caso di specie, la Corte osserva che la domanda del ricorrente dinanzi al giudice Pinto è stata dichiarata inammissibile perché non debitamente formulata e corredata di documenti (si veda il paragrafo 21 supra).

52. Di conseguenza, questa parte della doglianza deve essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

53. In conclusione, ne consegue che questa doglianza deve essere rigettata in parte per manifesta infondatezza e in parte per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, in applicazione dell’articolo 35 §§ 1, 3 e 4 della Convenzione.

IV.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

54. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danni

55. Il ricorrente chiede, a titolo di risarcimento dei danni morali e materiali, 216.532.214 lire italiane (ITL) [circa 112.000 euro – (EUR)] per tutte quante le violazioni.

56. Il Governo contesta il nesso di causalità tra la somma chiesta a titolo di risarcimento del danno materiale e la dedotta violazione della Convenzione relativa alla durata dei procedimenti.

57. La Corte osserva che l’unico elemento di cui tenere conto per la concessione di un’equa soddisfazione è rappresentato, nel caso di specie, dalla violazione dell’articolo 6 della Convenzione (constatata nel paragrafo 38 supra).

58. Tenuto conto dell’approccio adottato nelle cause Belperio e Ciarmoli c. Italia e Gaglione e altri c. Italia, sopra citate, e deliberando in via equitativa come richiesto dall’articolo 41 della Convenzione, la Corte ritiene equo accordare al ricorrente 200 EUR per il danno morale.

59. Per quanto riguarda il danno materiale, la Corte non vede alcun nesso di causalità tra la violazione constatata e il danno denunciato al riguardo (H.N. c. Polonia, n. 77710/01, § 100, 13 settembre 2005) e rigetta la domanda.

B. Spese

60. Nelle sue osservazioni sull’equa soddisfazione del 21 aprile 2010, il ricorrente non chiedeva il rimborso delle spese. Il 9 luglio 2010, ultimo giorno utile per il deposito delle osservazioni supplementari del Governo, il ricorrente ha fatto pervenire in cancelleria una domanda di rimborso delle spese da lui sostenute. Il documento non è stato acquisito agli atti in quanto non richiesto dalla Corte.

61. Il ricorrente non ha presentato la sua domanda entro il termine fissato, ossia il 23 aprile 2010, pertanto la Corte decide di non accordare niente al riguardo ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione.

C. Interessi moratori

62. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile quanto alle doglianze relative alla durata del procedimento Pinto e al ritardo nel pagamento della somma accordata dalla corte d’appello Pinto e irricevibile per il resto;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara che non vi è luogo ad esaminare la doglianza relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi, 200 EUR (duecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 22 ottobre 2013, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Dragoljub Popoviċ
Presidente

Seçkin Erel
Cancelliere aggiunto ff