Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 1° febbraio 2018 - Ricorso n. 54227/14 - Causa V.C. c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA V.C. c. ITALIA

(Ricorso n. 54227/14)

SENTENZA

STRASBURGO

1° febbraio 2018

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa V.C. c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Guido Raimondi,
Aleš Pejchal,
Krzysztof Wojtyczek,
Ksenija Turković,
Pauliine Koskelo,
Tim Eicke, giudici,
e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 12 dicembre 2017,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 54227/14) proposto contro la Repubblica italiana con cui una cittadina di questo Stato, la sig.ra V.C. («la ricorrente»), ha adito la Corte il 23 luglio 2014 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»). Il presidente della sezione ha accolto la richiesta formulata dalla ricorrente di non divulgare la sua identità (articolo 47 § 4 del regolamento della Corte).

2. La ricorrente è stata rappresentata dagli avvocati S. Menichetti e C. Carrano, del foro di Roma. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente E. Spatafora, e dal suo co-agente M. L. Aversano.

3. Il 24 agosto 2016, il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. La ricorrente è nata nel 1997.

5. Dopo la morte della nonna, sopraggiunta nel 2010, la ricorrente, all’epoca minorenne, cominciò a mostrare segni di disagio. I suoi genitori chiesero il parere di uno psichiatra, il quale rilevò che la loro figlia presentava una instabilità emotiva, alternando periodi di rabbia a periodi di eccitamento.

6. Il 19 aprile 2013 la ricorrente partecipò ad una festa in cui circolavano droga e alcol. La polizia intervenne, sequestrò la droga e l’alcol e verificò l’identità dei minorenni presenti.

A. La procedura dinanzi al tribunale per i minorenni e l’affidamento della minore

7. Il 23 aprile 2013, la questura di Roma informò la procura presso il tribunale per i minorenni di Roma («il tribunale per i minorenni») dell’intervento effettuato dalla polizia il 19 aprile 2013 e della presenza della minore V.C. sui luoghi oggetto di questo intervento. Fu avviata un’inchiesta penale e ne fu informato il procuratore presso il tribunale per i minorenni.

8. Il 31 maggio 2013 il procuratore ascoltò i genitori di V.C. Questi ultimi riferirono le difficoltà manifestate dalla figlia e si dichiararono preoccupati per lei, precisando a questo riguardo che la figlia si drogava e rubava soldi in casa. Inoltre, informarono il procuratore che, secondo lo psichiatra che seguiva la ricorrente, quest’ultima soffriva di un disturbo bipolare e di un disturbo da deficit di attenzione dovuto all’uso di sostanze stupefacenti e mostrava anche dei segni di una personalità borderline e antisociale.

9. Successivamente, nel giugno 2013, i genitori di V.C. informarono il procuratore di aver scoperto, sull’account Facebook della figlia, che un fotografo aveva preso contatto con lei per fare foto a carattere pornografico. Il Governo sostiene che, in questa occasione, i genitori hanno comunicato al pubblico ministero che la loro figlia non desiderava andare in un istituto.

10. Il 5 giugno 2013, il pubblico ministero ascoltò la minore, la quale dichiarò che aveva cominciato a fare uso di droga all’età di dodici anni e poi aveva smesso. L’interessata dichiarò di opporsi al suo collocamento in una struttura idonea o in una famiglia di accoglienza.

11. Il 25 giugno 2013, la madre della ricorrente informò telefonicamente il procuratore che la situazione non era migliorata e che la ricorrente era stata contattata per fare delle fotografie a carattere pornografico.

12. Il 2 luglio 2013 il procuratore segnalò al tribunale per i minorenni che, dalle dichiarazioni dei genitori e da quelle della ricorrente, la quale aveva confessato di aver abbandonato la scuola e di aver fatto uso di droga, nonché dalla diagnosi eseguita dallo psichiatra, V.C si trovava in una situazione di pericolo in quanto non frequentava più la scuola e esisteva il rischio che potesse essere coinvolta in una rete di prostituzione di minori, visto che era stata contattata per fare delle foto. Il procuratore chiese pertanto al tribunale per i minorenni di avviare un procedimento in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 25 del regio decreto n. 1404 del 1934, di procedere all’inserimento della minore in una idonea struttura e di affidarla ai servizi sociali.

13. Il 24 luglio 2013 il tribunale designò un giudice onorario per ascoltare la minore, i suoi genitori e i servizi sociali, per verificare l’ambiente in cui la minore si trovava e adottare le misure appropriate per proteggerla.

14. Il 14 ottobre 2013, ossia quasi tre mesi dopo, il tribunale per i minorenni convocò i servizi sociali che non si presentarono.

15. Il tribunale convocò i genitori della minore per il 21 ottobre 2013. Questi ultimi furono ascoltati senza i servizi sociali e, in questa occasione, affermarono che la loro figlia non voleva essere sentita.

16. Il 24 ottobre 2013 il procuratore chiese al giudice di affidare la minore ai servizi sociali e di collocare l’interessata in una struttura idonea.

17. Il 9 dicembre 2013 il tribunale per i minorenni, dopo aver sentito i genitori e inserito nel fascicolo le conversazioni che la minore, che si era rifiutata di essere sentita, aveva avuto sul suo account Facebook e, tenuto conto che i servizi sociali non si erano presentati in udienza, decise che era necessario affidare la ricorrente ai servizi sociali e ordinò che fosse inserita, per un periodo iniziale di dodici mesi, in una struttura idonea affinché la minore, attraverso uno specifico progetto, potesse essere aiutata a correggere il suo comportamento, qualificato irregolare, e ritrovare così una vita normale.

18. L’11 dicembre 2013 i servizi sociali ricevettero copia della decisione presa dal tribunale.

19. Il 17 dicembre 2013 si svolse il primo colloquio tra i servizi sociali e i genitori della minore. In occasione di tale colloquio, questi ultimi informarono i servizi sociali che vi era il rischio che la loro figlia fosse coinvolta in una rete di prostituzione e che era in corso un’indagine penale.

20. Il 18 dicembre 2013 i servizi sociali si misero in contatto con lo psichiatra che seguiva la minore, poi incontrarono quest’ultima.

21. Il 19 dicembre 2013 il procuratore presso il tribunale penale informò il procuratore presso il tribunale per i minorenni che era in corso una indagine penale a carico di due persone per sfruttamento della prostituzione della ricorrente. Quest’ultima era stata sentita il 4 e il 9 dicembre (si veda il paragrafo 48 infra).
Il procuratore sottolineò che l’arresto dei due indagati era imminente e chiese al procuratore presso il tribunale per i minorenni di informarlo delle misure adottate ai fini dell’esecuzione della decisione del tribunale per i minorenni del 9 dicembre 2013 (paragrafo 17 supra) dal momento che la ricorrente doveva essere sentita nell’ambito dell’incidente probatorio (si veda il paragrafo 51 infra).

22. Il 20 dicembre 2013 la ricorrente ribadì di non voler essere inserita in una struttura idonea.

23. Nel gennaio 2014 la ricorrente acconsentì tuttavia ad essere collocata in una struttura idonea.

24. Il 30 gennaio 2014 i servizi sociali si misero in contatto con il servizio regionale per le tossicodipendenze, al fine di ottenere informazioni su come avviare un percorso di disintossicazione.

25. Nella notte tra il 30 e 31 gennaio 2014, V.C. fu vittima di violenza sessuale commessa da due persone (si veda il paragrafo 54 infra). Il 31 gennaio la ricorrente si recò all’ospedale con un ufficiale della polizia e sua madre per farsi visitare.

26. Il 6 febbraio 2014 i servizi sociali indicarono al tribunale per i minorenni che avevano avuto diversi incontri con i genitori di V.C. e con la psicologa e lo psichiatra che seguivano la ricorrente, e lo informarono anche che la minore aveva accettato la proposta di essere collocata in una struttura adeguata al fine di seguire una cura di disintossicazione.

27. Il 7 febbraio 2014 i servizi sociali furono informati dell’aggressione subita dalla ricorrente.

28. Il 19 febbraio 2014 la presidente del tribunale chiese urgentemente ai servizi sociali di informarla sulle misure adottate in favore della minore. La presidente sottolineò che, tenuto conto dell’età di quest’ultima, era ancora possibile ottenere un cambiamento nel suo comportamento e occorreva mettere in atto un progetto al fine di sottrarla ai rischi cui era esposta.

29. Il 25 febbraio 2014, non avendo ricevuto alcuna informazione in merito alla situazione della minore, il tribunale per i minorenni chiese alle strutture competenti dei servizi sociali di preparare una relazione sulle misure adottate in favore dell’interessata.

30. Il 13 marzo 2014 il servizio competente in materia di tutela della salute mentale in età evolutiva informò il tribunale che la ricorrente era stata diagnosticata come asociale e tossicodipendente e aveva dato il suo consenso ad essere inserita in una comunità terapeutica, e che, di conseguenza, era stato chiesto al centro V.L. di prenderla in carico.

31. Il 17 marzo 2014 il servizio per le tossicodipendenze indicò al tribunale per i minorenni che la minore non aveva dato il suo consenso ad essere inserita in una comunità terapeutica e che prima di inserirla era comunque necessaria una perizia psichiatrica.

32. Il 27 marzo 2014, i servizi sociali chiesero il collocamento temporaneo della minore in comunità. Il 31 marzo 2014 la comunità scelta segnalò di non avere posti disponibili.

33. Con una relazione del 3 aprile 2014, il servizio per le tossicodipendenze informò il tribunale di avere scelto una comunità terapeutica in cui la minore avrebbe potuto seguire un percorso di riabilitazione.

34. Il 3 aprile 2014 i genitori di V.C. chiesero al tribunale di eseguire la decisione del 9 dicembre 2013, che prevedeva di collocare la minore in una struttura adeguata al fine di aiutarla. Chiesero anche che venisse nominato un curatore e fossero prese misure urgenti per proteggere la loro figlia.

35. Il 4 aprile 2014 il tribunale per i minorenni decise l’immediato collocamento della minore presso la comunità terapeutica Karisma. Questa misura divenne efficace il 14 aprile 2014.

36. Il 2 luglio 2014, gli educatori della comunità Karisma osservarono che la minore mostrava un comportamento difficile dovuto alla dipendenza da stupefacenti e alcool.

37. Il 19 dicembre 2014 la comunità Karisma informò i servizi sociali che i problemi della minore persistevano e che le sue infrastrutture non erano adeguate per farvi fronte, tenuto conto della tossicodipendenza dell’interessata. Chiese pertanto il trasferimento della minore in una struttura adeguata che fosse competente a farsi carico dei minori tossicodipendenti.

38. I servizi sociali non risposero a questa richiesta.

39. Il 7 settembre 2015, V.C. lasciò la comunità Karisma e ritornò con i genitori.

40. Il 22 ottobre 2015 i servizi sociali fecero pervenire una relazione al tribunale per i minorenni nella quale sottolineavano che si erano svolti due incontri con i genitori della ricorrente ed era stata eseguita una perizia psichiatrica. Secondo l’esperto, la minore soffriva di un disturbo delle capacità aritmetiche e le era stato consigliato di seguire una terapia farmacologica.

41. Il 19 maggio 2016 il tribunale per i minorenni tenne un’udienza alla quale i servizi sociali non parteciparono. In questa circostanza fu sentita la ricorrente, la quale riferì che aveva ricominciato a frequentare la scuola e che era ancora seguita dai servizi sociali, che aveva nuovi amici e guardava positivamente il periodo trascorso nella comunità terapeutica.

42. Il 1° giugno 2016 la procura espresse un parere favorevole alla prosecuzione del progetto realizzato. A questo riguardo, la ricorrente afferma che in realtà non era stato eseguito alcun progetto.

43. Il 22 dicembre 2016 il tribunale per i minorenni convocò due rappresentanti dei servizi sociali al fine di essere messo al corrente della situazione della minore. Secondo i servizi sociali, quest’ultima stava meglio e, di conseguenza, il loro intervento non era più necessario.

44. Il 10 gennaio 2017 il procuratore espresse parere favorevole alla chiusura del procedimento avviato ai sensi dell’articolo 25 del regio decreto n. 1404 del 1934.

45. Con decisione del 17 gennaio 2017, il tribunale chiuse il suddetto procedimento.

B. Il procedimento penale relativo alla rete di prostituzione

46. Nel mese di aprile 2013 fu avviata una indagine sulla rete di prostituzione; l’indagine fu chiusa nel dicembre 2013.

47. Il 25 settembre 2013, il procuratore presso il tribunale per i minorenni segnalò la situazione della minore al procuratore presso il tribunale penale di Roma.

48. La minore, che fu sentita il 4 e il 9 dicembre 2013 nell’ambito dell’inchiesta penale, dichiarò di essersi prostituita per conto di due persone.

49. Il 16 gennaio 2014 e il 6 febbraio 2014 furono arrestati due indagati.

50. Il 21 gennaio 2014 il pubblico ministero sentì nuovamente la ricorrente.

51. Il 26 marzo 2014, nell’ambito dell’incidente probatorio, la ricorrente ribadì di essersi prostituita per conto dei due indagati tra agosto e dicembre 2013.

52. Il 17 novembre 2014 il tribunale di Roma condannò i due indagati rispettivamente a cinque e a quattro anni di reclusione per prossenetismo e a versare un indennizzo alla ricorrente, che si era costituita parte civile. Secondo i giudici, i due colpevoli avevano esercitato pressioni sulla ricorrente per farla prostituire, avevano tratto profitto dalla prostituzione della ricorrente che era minorenne e si erano divisi i guadagni. Nella sua decisione, il tribunale dichiarò che la minore era stata vittima di sfruttamento sessuale da agosto a dicembre 2013 e che i colpevoli erano a conoscenza della sua età.
Il 4 febbraio 2016 la corte d’appello confermò la condanna.

53. La ricorrente dichiara di non aver percepito la somma riconosciutale dai giudici a titolo di indennizzo.

C. Il procedimento penale relativo alla violenza sessuale sulla ricorrente

54. Nei confronti dei due indagati fu avviato un procedimento per violenza sessuale di gruppo sulla ricorrente nella notte dal 30 al 31 gennaio 2014. L’udienza preliminare fu fissata al 6 novembre 2015 dinanzi al tribunale di Roma. Si evince dal fascicolo che il 16 febbraio 2016 si è svolta un’altra udienza e che il procedimento sembra essere ancora pendente.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

55. Il regio decreto n. 1404 del 20 luglio 1934, convertito nella legge n. 835 del 1935, ha istituito i tribunali per i minorenni. Questa legge è stata successivamente modificata.

56. L’articolo 25 del regio decreto del 1934 prevede quanto segue in caso di irregolare condotta di un minore:

«Quando un minore degli anni 18 dà manifeste prove di irregolarità della condotta o del carattere, il procuratore della Repubblica, l'ufficio di servizio sociale minorile, i genitori, il tutore, gli organismi di educazione, di protezione e di assistenza dell'infanzia e dell'adolescenza, possono riferire i fatti al Tribunale per i minorenni, il quale, a mezzo di uno dei suoi componenti all'uopo designato dal presidente, esplica approfondite indagini sulla personalità del minore, e dispone con decreto motivato una delle seguenti misure: 1) affidamento del minore al servizio sociale minorile; 2) collocamento in una casa di rieducazione od in un istituto medico-psico-pedagogico.»

L’articolo 25bis del suddetto regio decreto è così formulato:

«Il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio, qualora abbia notizia che un minore degli anni diciotto esercita la prostituzione [o è vittima di violenze sessuali], ne dà immediata notizia alla procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, che promuove i procedimenti per la tutela del minore e può proporre al tribunale per i minorenni la nomina di un curatore. Il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti utili all'assistenza, anche di carattere psicologico, al recupero e al reinserimento del minore. Nei casi di urgenza il tribunale per i minorenni procede d'ufficio.»

L’articolo 27 di questo stesso testo dispone quanto segue:

«Nel caso in cui il tribunale abbia disposto la misura prevista dal n. 1 dell'art. 25, all'atto dell'affidamento è redatto verbale nel quale vengono indicate le prescrizioni che il minore dovrà seguire (…). Nel verbale può essere disposto l'allontanamento del minore dalla casa paterna. In tal caso deve essere indicato il luogo in cui il minore deve vivere. (...)
L’ufficio di servizio sociale minorile controlla la condotta del minore e lo aiuta a superare le difficoltà in ordine ad una normale vita sociale, anche mettendosi all'uopo in relazione con la sua famiglia (…). L'ufficio predetto riferisce periodicamente per iscritto o a voce al componente del tribunale designato, fornendogli dettagliate notizie sul comportamento del minore, delle persone che si sono prese cura di lui (...)»

IN DIRITTO

I. SULLA RICEVIBILITÁ

57. Il Governo sostiene che la ricorrente non ha più la qualità di vittima. A questo proposito indica che le autorità hanno adottato tutte le misure necessarie per proteggerla inserendola in una struttura adeguata, presso la quale sarebbe rimasta per un anno, che i procedimenti penali condotti contro i suoi aggressori si sono conclusi e che i suoi genitori si sono costituiti parte civile.

58. Inoltre, il Governo sostiene che la ricorrente non ha esaurito le vie di ricorso interne in quanto il procedimento nazionale era ancora pendente al momento della presentazione del ricorso.

59. La ricorrente contesta la tesi del Governo. In particolare indica che l’azione delle autorità è stata inefficace e che le sue doglianze non vertono sui procedimenti penali a carico delle persone perseguite per violenza sessuale e prossenetismo.

60. La Corte ritiene, innanzitutto, come la ricorrente, che le doglianze di quest’ultima non vertano sui procedimenti penali per sfruttamento sessuale e violenza carnale. Per quanto riguarda poi l’eccezione del Governo relativa alla mancata qualità di vittima, la Corte ribadisce che una decisione o un provvedimento favorevole al ricorrente è, in linea di principio, sufficiente a privarlo della qualità di «vittima» solo qualora le autorità nazionali abbiano riconosciuto la violazione della Convenzione, espressamente o sostanzialmente, e vi abbiano successivamente posto rimedio (Eckle c. Germania, 15 luglio 1982, §§ 69 e successivi, serie A n. 51, Amuur c. Francia, 25 giugno 1996, §36, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, Dalban c. Romania [GC], n. 28114/95, § 44, CEDU 1999-VI, e Jensen c. Danimarca (dec.), n. 48470/99, CEDU 2001 X). Questa regola vale anche se l’interessato ottiene soddisfazione mentre il procedimento è già avviato dinanzi alla Corte; ciò dipende dal carattere sussidiario del sistema di garanzie della Convenzione (si veda, in particolare, Mikheyeva c. Lettonia (dec.), n. 50029/99, 12 settembre 2002). La questione di sapere se una persona possa ancora ritenersi vittima di una dedotta violazione della Convenzione implica essenzialmente che la Corte proceda ad un esame ex post facto della situazione della persona interessata (Scordino c. Italia (n.1) [GC], n. 36813/97, § 181, CEDU 2006-V).

61. Per quanto riguarda i fatti del caso di specie, la Corte ritiene che nella presente causa non vi sia stato né un riconoscimento implicito dell'esistenza di una violazione della Convenzione né un risarcimento per il periodo durante il quale la ricorrente si è trovata in una situazione di vulnerabilità in attesa che le autorità adottassero misure concrete per proteggerla.

62. Alla luce di quanto detto sopra, la Corte ritiene che la ricorrente possa ancora ritenersi vittima di una violazione degli articoli 3, 8 e 13 della Convenzione, e rigetta pertanto l’eccezione sollevata dal Governo a questo proposito.

63. Quanto all’eccezione relativa al mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, la Corte nota innanzitutto che la ricorrente ha presentato il suo ricorso il 23 luglio 2014, mentre si trovava in comunità terapeutica, che l’inserimento in comunità è terminato nel settembre 2015 e che il procedimento è stato chiuso nel gennaio 2017 (paragrafo 44 supra). Rileva, inoltre, che il procedimento in causa, previsto dal regio decreto n. 1404 del 20 luglio 1934, non poteva offrire una correzione ai motivi della ricorrente relativi alla inerzia dei servizi sociali e al ritardo nell’attuazione delle misure di protezione. Inoltre, la Corte constata che i procedimenti penali avviati per sfruttamento sessuale e violenza carnale, che sono terminati rispettivamente nel 2016 e nel 2015, non sono oggetto del presente ricorso. Di conseguenza, la Corte ritiene che quest’ultimo non possa essere rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, nonostante il fatto che il procedimento previsto dal regio decreto n. 1404 del 20 luglio 1934 fosse pendente al momento di presentazione del ricorso. Ne consegue che l’eccezione del Governo deve essere rigettata.

64. Constatando che il ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non incorre peraltro in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 3 E 8 DELLA CONVENZIONE

65. La ricorrente sostiene che, sebbene la minore sia vittima di una rete di prostituzione, non ha beneficiato di tutte le misure di protezione necessarie da parte delle autorità italiane. Invoca gli articoli 3 e 8 della Convenzione, che recitano:

Articolo 3

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

Articolo 8

«1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (...)»

A. Argomenti della ricorrente

66. La ricorrente afferma che, pur essendo minorenne e vulnerabile, non ha beneficiato delle misure di protezione necessarie da parte dello Stato. Le autorità non avrebbero dimostrato la diligenza richiesta e non avrebbero tenuto conto dei rischi che essa correva. L’interessata sarebbe stata lasciata senza protezione, in una situazione vulnerabile, a partire dal 20 aprile 2013, fino al giorno in cui è stata inviata nella comunità terapeutica Karisma, il 14 aprile 2014.

67. La ricorrente considera che la sua protezione fosse fondamentale e che il tribunale per i minorenni e i servizi sociali competenti l’abbiano lasciata per un certo periodo sola e indifesa. La stessa precisa che, per tutto il periodo in cui è stata presa in carico dai servizi sociali, ha sofferto un’assenza di controllo da parte di questi ultimi ed è stata violentata. A suo parere, il rischio di aggressione sessuale era prevedibile.

68. La ricorrente indica inoltre che i suoi genitori hanno chiesto l’adozione di una misura di protezione nel luglio 2013, che l’udienza dinanzi al tribunale per i minorenni è stata fissata per ottobre 2013 e che la decisione in merito al suo affidamento è stata presa nel dicembre 2013. A suo parere, si tratta di un tempo lunghissimo.
La stessa aggiunge di essere stata vittima di sfruttamento sessuale tra agosto e dicembre 2013 e di essere stata vittima di stupro nel gennaio 2014.

69. A suo parere, le autorità non hanno fatto tutto quanto ci si poteva ragionevolmente attendere da esse per impedire il concretizzarsi di un rischio certo e immediato per la sua vita di cui le stesse erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza.

70. A questo proposito, la ricorrente ritiene che le autorità siano rimaste passive, e al riguardo precisa che il tribunale per i minorenni ha disposto il suo affidamento dieci mesi dopo la domanda in tal senso presentata dai suoi genitori e che, una volta adottata la decisione, i servizi sociali non hanno adottato le misure necessarie affinché fosse mandata rapidamente in una struttura adeguata. Aggiunge che il giudice ha dovuto chiedere due volte ai servizi sociali di indicare quali misure fossero state adottate per proteggerla (paragrafi 28 e 29 supra).

71. La ricorrente indica anche che, dopo averla inserita nella comunità terapeutica, i servizi sociali si sono disinteressati di lei. Perciò, il suo reinserimento presso i genitori sarebbe stato esclusivamente deciso dagli educatori della comunità terapeutica che l’ha accolta; i servizi sociali non avrebbero mai espresso alcun parere in proposito; e, dopo il suo ritorno al domicilio famigliare, non si sarebbero occupati di lei.

72. La ricorrente ritiene che, conformemente agli obblighi positivi derivanti dall’articolo 8 della Convenzione, le autorità avrebbero dovuto adottare misure urgenti, e precisa che, ben al contrario, tali autorità l’hanno lasciata in una situazione di vulnerabilità, mentre invece sarebbero state a conoscenza del pericolo che correva. L’inerzia delle autorità in un primo tempo e quella dei servizi sociali in un secondo tempo l’avrebbero perciò privata della protezione richiesta.

73. Di conseguenza, per la ricorrente, le autorità non hanno rispettato gli obblighi positivi derivanti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione.

B. Argomenti del Governo

74. Il Governo indica di avere adottato tutte le misure necessarie al fine di trovare una soluzione nella presente causa, e aggiunge che, data la complessità della situazione della ricorrente, legata a vari problemi relativi tra l’altro alla sua tossicodipendenza, non era facile trovare una struttura adeguata, in grado di monitorare la minore.

75. Il Governo afferma che, non appena i genitori della ricorrente hanno avvisato il tribunale per i minorenni che la stessa era esposta a vari pericoli, tra i quali il rischio di cadere in una rete di prostituzione di minori, è stata aperta un’inchiesta penale e i responsabili dei fatti in causa sono stati arrestati nel 2014.
Le autorità, pertanto, avrebbero adottato tutte le misure necessarie per proteggere la ricorrente e per prevenire eventuali maltrattamenti.

76. Per quanto riguarda l’aggressione sessuale subita dalla ricorrente, il Governo considera che non poteva essere prevista dalle autorità, tanto più che, vivendo con i famigliari al momento della perpetrazione di tale reato, la minore non si sarebbe trovata esclusivamente sotto il controllo dello Stato.

77. Pertanto, il Governo ritiene che l’aggressione sessuale subita dalla ricorrente non possa essere considerata una conseguenza del ritardo dell’amministrazione nell’esecuzione della decisione del tribunale per i minorenni.

78. Il Governo è del parere che l’aggressione sessuale fosse la conseguenza di un comportamento imprevedibile e che, inoltre, le autorità abbiano fatto tutto quanto in loro potere per identificare i responsabili e rinviarli a giudizio.

79. Il Governo indica poi che l’affidamento di un minore ai servizi sociali non è di per sé una misura di protezione e deve essere considerato un aiuto accordato alla famiglia, data la necessità di ottenere il consenso del minore prima di collocarlo in un istituto e di mettere in atto una procedura terapeutica di sostegno. In particolare, il Governo richiama l’attenzione della Corte sulla duplice finalità perseguita dalla misura prevista dal regio decreto n. 1404 del 1934, convertito in legge n. 835 del 1935: tale misura sarebbe destinata, da una parte, a garantire il diritto all’educazione dei minori in difficoltà e, dall’altra, a prevenire la delinquenza giovanile.

80. Quanto al motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione, il Governo afferma che le autorità hanno adottato tutte le misure necessarie per proteggere la minore non appena sono venute a conoscenza dei rischi che quest’ultima correva.

81. Precisa che le autorità hanno sentito la ricorrente e i suoi genitori più volte allo scopo di cercare di scegliere la struttura più idonea a prendere in carico l’interessata e che parecchie tra le strutture interpellate non erano in grado di accoglierla.

82. Il Governo ritiene che le autorità abbiano adottato tutte le misure necessarie, dal momento che avrebbero immediatamente aperto un’inchiesta per sfruttamento sessuale e avrebbero condannato i responsabili del reato e identificato gli autori dell’aggressione sessuale subita dalla ricorrente. Facendo riferimento alla sentenza resa dalla Corte nella causa O’Keeffe c. Irlanda ([GC], n. 35810/09, §§ 191-192, CEDU 2014 (estratti)), il Governo afferma che la doglianza relativa all’articolo 8 della Convenzione non solleva alcuna questione diversa da quella posta sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione.

C. Valutazione della Corte

1. Applicabilità dell’articolo 3 della Convenzione

83. Per rientrare nelle previsioni dell’articolo 3 della Convenzione, un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di tale minimo dipende dall’insieme degli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dai suoi effetti fisici o psichici nonché, a volte, dal sesso, dall’età, dallo stato di salute della vittima, ecc. (idem, § 86), fermo restando che la circostanza che un trattamento non avesse lo scopo di umiliare o denigrare la vittima non esclude in maniera definitiva una constatazione di violazione dell’articolo 3 (si veda, tra altre, V. c. Regno Unito [GC], n. 24888/94, § 71, CEDU 1999 IX). Si deve tenere conto anche del contesto nel quale il trattamento è stato inflitto, come un’atmosfera di grande tensione e a forte carica emotiva (cfr., ad esempio, Selmouni, sopra citata, § 10; si veda anche, in particolare, Gäfgen, sopra citata, § 88) e dell’eventuale situazione di vulnerabilità nella quale potrebbe versare la vittima (Khlaifia e altri c. Italia [GC], n. 16483/12, § 160, CEDU 2016).

84. Nel caso di specie, la Corte rammenta che non viene contestato che la ricorrente si trovasse in una situazione di vulnerabilità: essa ritiene, di conseguenza, che la ricorrente possa essere considerata come rientrante nella categoria delle «persone vulnerabili» che hanno diritto alla protezione dello Stato (A. c. Regno Unito, 23 settembre 1998, § 22, Recueil 1998 VI). A questo proposito, essa prende atto delle violenze che la ricorrente ha subito, essendo stata vittima di sfruttamento sessuale per il periodo compreso tra fine agosto e dicembre 2013 e di uno stupro nel gennaio 2014. Essa osserva, inoltre, che le violenze inflitte all’interessata, che si sono tradotte in lesioni personali e pressioni psicologiche, sono sufficientemente gravi per raggiungere il livello di gravità necessario per rientrare nell’articolo 3 della Convenzione e che, pertanto, tale disposizione si applica nel caso di specie.

2. Applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione

85. La Corte osserva che l’applicabilità dell’articolo 8 della Convenzione non viene messa in discussione tra le parti e ritiene che non sussistano dubbi sul fatto che le violenze subite dalla ricorrente, che violavano il diritto della stessa al rispetto della sua integrità fisica (M.P. e altri c. Bulgaria, n. 22457/08, § 110, 15 novembre 2011), sono state destabilizzanti per lo svolgimento della vita quotidiana dell’interessata e hanno pregiudicato la sua vita privata. Inoltre, la stessa rammenta di avere già dichiarato che l’integrità fisica e morale di un individuo è incorporata nella nozione di vita privata, che si estende anche ai rapporti degli individui tra loro. Del resto, sembra non esservi alcuna ragione di principio per considerare che le violazioni dell’integrità fisica sono escluse dalla nozione di «vita privata» (M.C., sopra citata § 150).

86. Ne consegue che questa disposizione è applicabile nel caso di specie.

3. Conclusione

87. Tenuto conto di quanto sopra esposto, nonché della natura e della sostanza delle doglianze espresse dalla ricorrente nel caso di specie, la Corte ritiene opportuno esaminarle dal punto di vista degli articoli 3 e 8 della Convenzione.

4. Sulla violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione

a) Principi applicabili

88. La Corte rammenta anzitutto che il divieto di trattamenti inumani e degradanti è uno dei valori fondamentali delle società democratiche (si vedano, tra molte altre, Selmouni c. Francia [GC], n. 25803/94, § 95, CEDU 1999 V, Gäfgen c. Germania [GC], n. 22978/05, § 87, CEDU 2010, El-Masri c. l’ex-Repubblica jugoslava di Macedonia [GC], n. 39630/09, § 195, CEDU 2012, e Mocanu e altri c. Romania [GC], nn. 10865/09, 45886/07 e 32431/08, § 315, CEDU (estratti)). Si tratta anche di un valore di civiltà strettamente legato al rispetto della dignità umana, che fa parte del nucleo stesso della Convenzione (Bouyid c. Belgio [GC], n. 23380/09, §§ 81 e 89-90, CEDU 2015). Il divieto in questione è assoluto, in quanto non ammette alcuna deroga, nemmeno in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione, e anche nelle circostanze più difficili, come la lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata, quale che sia il comportamento della persona interessata (si vedano, in particolare, Georgia c. Russia (I) [GC], n. 13255/07, § 192, CEDU 2014 (estratti), Svinarenko e Slyadnev c. Russia [GC], nn. 32541/08 e 43441/08, § 113, CEDU 2014 (estratti), e Bouyid, sopra citata, § 81).

89. La Corte rammenta che, combinato con l’articolo 3, l’obbligo che l’articolo 1 della Convenzione impone alle Alte Parti contraenti di garantire a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà sanciti dalla Convenzione impone loro di adottare misure idonee a impedire che tali persone siano sottoposte a maltrattamenti, anche da parte di privati (A. c. Regno Unito, sopra citata, § 22, Z e altri c. Regno Unito [GC], n. 29392/95, §§ 73-75, CEDU 2001-V, E. e altri c. Regno Unito, n. 33218/96, 26 novembre 2002, e M.C. c. Bulgaria, n. 39272/98, § 149, CEDU 2003 XII). Tali misure devono fornire una protezione effettiva soprattutto per quanto riguarda i minori, che sono particolarmente vulnerabili, rispetto a varie forme di violenza, e includere misure ragionevoli volte a impedire i maltrattamenti di cui le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza, nonché una prevenzione efficace che ponga i minori al riparo da forme così gravi di violazione dell’integrità della persona (si vedano, mutatis mutandis, Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, § 116, Recueil 1998-VIII, e E. e altri c. Regno Unito, n. 33218/96, § 88, 26 novembre 2002, Z e altri, sopra citata, § 73, e M.P. e altri, sopra citata, § 108). Misure di questo tipo devono mirare a garantire il rispetto della dignità umana e la protezione dell’interesse superiore del minore (C.A.S. e C.S. c. Romania, n. 26692/05, § 82, 20 marzo 2012, e Pretty c. Regno Unito, n. 2346/02, § 65, CEDU 2002 III).

90. Considerate le difficoltà per la polizia di esercitare le proprie funzioni nelle società contemporanee, l’imprevedibilità del comportamento umano e le scelte operative da fare in termini di priorità e risorse, si deve tuttavia interpretare tale obbligo positivo in modo tale da non imporre alle autorità un onere insopportabile o eccessivo. Ogni presunta minaccia contro la vita non obbliga le autorità, rispetto alla Convenzione, ad adottare misure concrete per prevenirne la realizzazione. Perché si possa parlare di obbligo positivo, deve essere accertato che le autorità erano o avrebbero dovuto essere a conoscenza all’epoca dell’esistenza di un rischio reale e immediato per un individuo identificato di subire maltrattamenti per atti criminali commessi da terzi e che esse non hanno adottato, nell’ambito delle loro attribuzioni, misure che avrebbero potuto ragionevolmente essere considerate di natura tale da evitare questo rischio. Un’altra considerazione pertinente è la necessità di assicurarsi che la polizia eserciti il proprio potere di stroncare e di prevenire la criminalità rispettando pienamente le vie legali e le altre garanzie che limitano legittimamente la portata dei suoi atti di indagine penale e di traduzione dei delinquenti in giustizia, ivi comprese le garanzie di cui all’articolo 8 della Convenzione (Đorđević c. Croazia, n. 41526/10, §§ 139, CEDU 2012 e le citazioni ivi contenute).

91. Per quanto riguarda la protezione dell’integrità fisica e morale di un individuo di fronte ai terzi, la Corte ha già affermato che gli obblighi positivi che gravano sulle autorità – in alcuni casi in virtù dell’articolo 2 o dell’articolo 3 della Convenzione, e in altri casi in virtù dell’articolo 8, considerato separatamente o in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione – possono comportare un dovere di mettere in atto e applicare in pratica un quadro giuridico adatto che offra una protezione contro gli atti di violenza che possano essere commessi da privati (si vedano, tra altre, Osman c. Regno Unito, 28 ottobre 1998, §§ 128-130, Recueil 1998 VIII, Bevacqua e S. c. Bulgaria, n. 71127/01, § 65, 12 giugno 2008, Sandra Janković c. Croazia, n. 38478/05, § 45, 5 marzo 2009, A c. Croazia, n. 55164/08, § 60, 14 ottobre 2010, e Đorđević, sopra citata, §§ 141-143).

92. Ciò premesso, non rientra tra le attribuzioni della Corte quella di sostituirsi alle autorità nazionali ed effettuare al posto di queste ultime una scelta tra l’ampia gamma di misure idonee a garantire il rispetto degli obblighi positivi che l’articolo 3 della Convenzione impone loro (idem, § 165). Peraltro, in virtù dell’articolo 19 della Convenzione e del principio secondo il quale lo scopo di quest’ultima consiste nel garantire diritti non teorici o illusori, ma concreti ed effettivi, la Corte deve vigilare affinché gli Stati adempiano correttamente al loro obbligo di proteggere i diritti delle persone poste sotto la loro giurisdizione (Sandra Janković, sopra citata, § 46, e Hajduová c. Slovacchia, n. 2660/03, § 47, 30 novembre 2010). La questione dell’adeguamento della risposta delle autorità può sollevare un problema rispetto alla Convenzione (Bevacqua e S., sopra citata, § 79).

93. L’obbligo positivo di proteggere l’integrità fisica dell’individuo si estende alle questioni riguardanti l’effettività di un’inchiesta penale, il che non può essere limitato ai soli casi di maltrattamenti inflitti da agenti dello Stato (M.C., sopra citata, § 151).

94. Questo aspetto dell’obbligo positivo non richiede necessariamente una condanna ma l’applicazione effettiva delle leggi, in particolare penali, per assicurare la protezione dei diritti garantiti dall’articolo 3 della Convenzione (M.G. c. Turchia, n. 646/10, § 80, 22 marzo 2016).

95. Un’esigenza di celerità e di diligenza ragionevole è implicita nell’obbligo di indagare. I meccanismi di protezione previsti nel diritto interno devono funzionare nella pratica entro termini ragionevoli che permettano di concludere l’esame del merito delle cause concrete che sono sottoposte alle autorità (Opuz c. Turchia, n. 33401/02, §§ 150-151, CEDU 2009). In effetti, l’obbligo dello Stato rispetto all’articolo 3 della Convenzione non può considerarsi soddisfatto se i meccanismi di tutela previsti nel diritto interno esistono soltanto in teoria: occorre soprattutto che essi funzionino effettivamente in pratica, il che presuppone un esame della causa tempestivo e senza inutili ritardi.

b) Applicazione dei principi sopra menzionati al caso di specie

96. Nella presente causa, non vi sono dubbi sul fatto che le violenze subite dalla ricorrente rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 3 della Convenzione e costituiscono una ingerenza nel diritto di quest’ultima al rispetto della sua integrità fisica, sancito dall’articolo 8 della Convenzione.

97. La Corte deve valutare se la legislazione e la sua applicazione nel caso di specie, associata alla lamentata inerzia dei servizi sociali, siano state lacunose al punto da comportare una violazione degli obblighi positivi che incombono allo Stato convenuto in virtù degli articoli 3 e 8 della Convenzione.

98. La questione principale che si pone nel caso di specie è dunque quella di stabilire se le autorità abbiano adottato tutte le misure necessarie per prevenire le violenze alle quali la ricorrente era esposta e per proteggere la sua integrità fisica.

99. La Corte cercherà di stabilire anzitutto se le autorità competenti fossero o avrebbero dovuto essere al corrente della situazione di vulnerabilità della ricorrente.

100. A questo proposito, la Corte constata che dal fascicolo risulta che, fin dall’aprile 2013, le autorità erano a conoscenza della condotta irregolare della minore, che era stata trovata in possesso di alcool e di droga, in quanto il procuratore presso il tribunale per i minorenni era stato informato della situazione.

101. Essa osserva anche che, nel maggio e nel giugno 2013, i genitori della minore hanno informato le autorità della situazione di disagio nella quale si trovava la figlia, che soffriva di un disturbo bipolare e di un deficit dell’attenzione e mostrava anche segni di una personalità borderline e antisociale (si veda paragrafo 8 supra). I genitori hanno anche suggerito, producendo i relativi documenti giustificativi, il rischio che quest’ultima cadesse in una rete di prostituzione.

102. Alla luce di questi elementi, la Corte è convinta che le autorità nazionali fossero a conoscenza della situazione di vulnerabilità della minore e del rischio reale e immediato che la stessa correva, e deve pertanto valutare se le stesse autorità abbiano, tenuto conto delle circostanze del caso di specie, adottato tutte le misure ragionevoli per proteggere la ricorrente, e questo fin da quando sono state informate dei rischi che quest’ultima correva.

103. La Corte rileva perciò che le autorità hanno immediatamente avviato un’inchiesta penale, ma che non è stata adottata alcuna misura di protezione nei confronti della ricorrente che, all’epoca, aveva quindici anni. In effetti, benché il procuratore, fin dal 2 luglio 2013 (paragrafo 12 supra), abbia chiesto l’avvio di una procedura d’urgenza e il collocamento della minore in una struttura adeguata e il suo affidamento ai servizi sociali, il tribunale per i minorenni ha impiegato più di quattro mesi per prendere una decisione.

104. La Corte osserva anche che dal procedimento penale relativo alla rete di prostituzione risulta che, nel periodo in questione, la minore è stata vittima di sfruttamento sessuale (paragrafo 52 supra): la ricorrente veniva dunque indotta a prostituirsi e una parte dei suoi guadagni erano dovuti ai maneggi dei due membri della rete di prostituzione.

105. La Corte osserva che, in seguito alla decisione del tribunale per i minorenni di dicembre 2013, i servizi sociali hanno impiegato più di quattro mesi per mettere in atto l’affidamento della minore, nonostante le domande fatte in tal senso dai genitori di quest’ultima e due richieste di informazioni urgenti formulate dal tribunale per i minorenni (paragrafi 28 e 29 supra).

106. La Corte osserva che, nell’intervallo, la minore è stata vittima di uno stupro (paragrafo 25 supra), che un’inchiesta penale è stata aperta a tale riguardo per violenza sessuale di gruppo, che i presunti autori del reato sono stati identificati e che il procedimento è pendente dinanzi al tribunale di Roma (si veda il paragrafo 54 supra).

107. La Corte ritiene che, per quanto riguarda la valutazione del rispetto da parte dello Stato dei suoi obblighi derivanti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione, un peso considerevole deve essere accordato agli sforzi fatti dai servizi sociali e/o di tutela dell’infanzia allo scopo di adottare le misure di protezione dei minore (si veda, mutatis mutandis. M.P. e altri, sopra citata, § 116).

108. Nella fattispecie, la Corte osserva che sono serviti quattro mesi al tribunale per i minorenni, a decorrere dal giorno in cui è venuto a conoscenza della situazione difficile e pericolosa in cui versava la ricorrente, (si veda il paragrafo 12 supra) per adottare le misure di protezione previste dalla legge e richieste dal procuratore, mentre i rischi che la minore fosse vittima di sfruttamento sessuale erano noti, dato che era in corso un’inchiesta penale e che i genitori della minore avevano informato le autorità.

109. La Corte non è convinta dall’argomento del Governo secondo il quale, in assenza di consenso della minore, la collocazione in un istituto, ordinata dal tribunale nella sua decisione del 9 dicembre 2013 (si veda il paragrafo 17 supra), non era possibile. Anche a voler supporre che fosse così, la Corte osserva al riguardo che, sebbene la minore avesse negato il consenso all’inserimento in comunità nel dicembre 2013 (paragrafo 22 supra), vi aveva invece acconsentito nel gennaio 2014 (paragrafo 23 supra), ossia tre mesi prima di essere collocata nella comunità Karisma (paragrafo 35 supra). La Corte conclude da ciò che l’assenza del consenso, in un determinato momento, non dispensava, di per sé, lo Stato dall’adottare rapidamente misure di protezione di un minore adeguate e sufficienti, che potessero assicurare la conformità con gli obblighi positivi imposti dagli articoli 3 e 8 della Convenzione.
Peraltro, considerato il comportamento dei servizi sociali che non si presentavano alle udienze (paragrafi 14 e 15 supra) e il tempo da essi impiegato per scegliere una struttura di accoglienza – e questo nonostante il carattere urgente della domanda formulata dal presidente del tribunale per quanto riguarda le misure adottate in favore della minore, che versava in una situazione difficile –, la Corte conclude che vi è stata una mancanza di reale coinvolgimento di detti servizi nell’esecuzione della decisione del tribunale per i minorenni.

110. Per la Corte, spettava alle autorità nazionali tenere conto della situazione di particolare vulnerabilità, morale e fisica, nella quale versava la ricorrente e valutare la situazione di conseguenza, adottando misure di protezione adeguate entro un breve termine. Così non è stato nel caso di specie.

111. La Corte constata che, contrariamente ai giudici penali che hanno agito rapidamente, in realtà le autorità competenti (tribunale per i minorenni e servizi sociali) non hanno adottato alcuna misura di protezione in tempi brevi sebbene sapessero che la ricorrente era vulnerabile, che era ancora pendente un procedimento, che la riguardava, per sfruttamento sessuale, e che era in corso un’inchiesta per violenza sessuale di gruppo. In questo modo, le autorità non hanno proceduto ad una valutazione dei rischi che correva la ricorrente.

112. In queste circostanze, secondo la Corte non si può considerare che le autorità abbiano dato prova della diligenza richiesta. Pertanto, essa ritiene che le stesse non abbiano adottato, in tempo utile, tutte le misure ragionevoli per impedire gli abusi di cui la ricorrente è stata vittima.

113. Pertanto, la Corte conclude che vi è stata violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione.

III. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

114. La ricorrente afferma di non avere avuto a disposizione un ricorso nel diritto interno per lamentare le violazioni da lei subite, e invoca l’articolo 13 della Convenzione, che recita:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

115. Il Governo contesta questa tesi.

116. Considerata la constatazione di violazione alla quale è giunta dal punto di vista degli articoli 3 e 8 della Convenzione (paragrafo 113 supra), la Corte ritiene di avere esaminato la questione giuridica principale posta dalla presente causa. Tenuto conto di tutti i fatti della causa e degli argomenti delle parti, essa ritiene che non sia necessario esaminare gli stessi fatti dal punto di vista dell’articolo 13 della Convenzione (Centro risorse giuridiche in nome di Valentin Câmpeanu c. Romania [GC], n. 47848/08, § 156, CEDU 2014 e le citazioni ivi contenute).

IV. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

117. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

118. La ricorrente chiede la somma di 150.000 euro (EUR) per il danno morale che afferma di aver subito.

119. Il Governo contesta la richiesta.

120. La Corte considera doversi accordare alla ricorrente la somma di 30.000 EUR per il danno morale.

B. Spese

121. Producendo i relativi documenti giustificativi, la ricorrente chiede anche la somma di 4.152,10 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e la somma di 19.153,65 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

122. Il Governo contesta la pretesa formulata dalla ricorrente, argomentando che la stessa non ha dimostrato di avere sostenuto le spese richieste.

123. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte respinge la domanda relativa alle spese sostenute per il procedimento nazionale, e ritiene invece ragionevole la somma di 10.000 EUR per il procedimento dinanzi ad essa, e la accorda alla ricorrente.

C. Interessi moratori

124. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione degli articoli 3 e 8 della Convenzione;
  3. Dichiara non doversi esaminare la doglianza relativa all’articolo 13 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare alla ricorrente, entro tre mesi dalla data in cui la sentenza sarà divenuta definitiva ai sensi dell’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 30.000 EUR (trentamila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      2. 10.000 EUR (diecimila euro), più l’importo eventualmente dovuto dalla ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 1° febbraio 2018, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione dell’opinione separata del giudice Wojtyczek.

L.A.S.
R.D.

OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE WOJTYCZEK

1. Concordo con i miei colleghi riguardo al dispositivo della sentenza emessa nel caso di specie, ma desidero tuttavia aggiungere alcune sfumature per quanto riguarda la motivazione.

2. Questa causa riguarda una minore che aveva 17 anni al momento in cui è stato presentato il ricorso. La formulazione della motivazione può sollevare dubbi circa la ricevibilità del ricorso.

Di norma, i minori sono rappresentati dai loro genitori, che prendono le decisioni sull’uso delle vie legali per far valere i diritti dei loro figli. In particolare, spetta ai genitori presentare alla Corte un ricorso che riguardi i diritti dei figli. In questo contesto noto che il ricorso presentato a nome della ricorrente è stato debitamente firmato da entrambi i genitori. Il ricorso è pertanto ricevibile. Osservo anche che la ricorrente, dopo aver raggiunto la maggiore età, ha espresso – in vari modi – la sua intenzione di proseguire la procedura dinanzi alla Corte.

3. Il compito di proteggere i bambini dagli abusi connessi all’uso di droga e alla prostituzione spetta in primo luogo ai genitori, in quanto il ruolo dello Stato è prima di tutto quello di rafforzare la potestà genitoriale e di aiutare i genitori a esercitarla in modo efficace. La difficoltà della presente causa è legata all’incapacità dei genitori di proteggere la loro figlia dalla droga e dalla prostituzione
Nella motivazione della sentenza, la Corte ha espresso l’opinione secondo la quale le autorità italiane non hanno adottato tutte le misure ragionevoli per impedire gli abusi di cui la ricorrente è stata vittima. Al tempo stesso, la Corte indica implicitamente che la misura adeguata era l’inserimento dell’interessata nella comunità Karisma. Questa soluzione, tuttavia, non è priva di problemi.
Va osservato, in primo luogo, che i genitori hanno chiesto alle autorità di agire, ma sembrano aver accettato l’affidamento della figlia solo il 3 aprile 2014. Inoltre, va osservato che la misura proposta ha portato a limitare considerevolmente la libertà della ricorrente e l’interessata vi si è opposta fino a gennaio 2014. Il ricorso equivale a contestare alle autorità italiane di non aver agito contro la volontà della ricorrente in quanto minorenne e di non aver limitato la libertà personale dell’interessata. In altre parole, la ricorrente lamenta che le autorità non sono riuscite a proteggerla non solo da terze persone, ma anche da se stessa. E’ innegabile che i genitori e, eventualmente le autorità, possono e devono proteggere un minore da se stesso qualora il suo interesse lo richieda. Tuttavia, è difficile, se non impossibile, trattare efficacemente la tossicodipendenza senza ottenere la collaborazione del paziente, anche adolescente, e soprattutto senza guadagnarsi la sua fiducia. Le autorità italiane si sono trovate ad affrontare una situazione particolarmente difficile.
D’altro canto, è innegabile che le autorità non hanno adempiuto al primo obbligo in questa causa, che era quello di condurre il procedimento dinanzi al tribunale per i minorenni con la celerità richiesta e di pronunciarsi nel merito. Risulta dal fascicolo che i servizi competenti non hanno cercato di fornire ai genitori una adeguata consulenza psicologica e l’assistenza necessaria prima di chiedere restrizioni della potestà genitoriale. Inoltre, non è stato dimostrato che i vari servizi abbiano compiuto gli sforzi necessari per cercare di convincere la ricorrente della necessità di un trattamento della tossicodipendenza e guadagnarsi la sua fiducia. Queste considerazioni sono sufficienti per concludere che vi è stata una violazione della Convenzione nelle circostanze della presente causa.