Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 17 settembre 2013 - Ricorso n. 11004/05 - Contessa c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico. Revisione a cura delle dott.sse Rita Pucci e Martina Scantamburlo.

 


CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 11004/05
Leonardo CONTESSA e altri
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 17 settembre 2013 in una camera composta da:

Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato, proposto il 21 marzo 2005,

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:


IN FATTO

1. I ricorrenti, i cui nomi, anni di nascita e luoghi di residenza sono indicati nella lista allegata alla presente decisione, sono dei cittadini italiani, rappresentati dinanzi alla Corte dall’avv. C. Ventura del foro di Bari.

2. Il governo italiano, («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

3. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

4. Il 20 febbraio 1986 i ricorrenti acquistarono due terreni situati a Ceglie del Campo (Bari). I primi due ricorrenti divennero proprietari di un terreno di circa 5.088 metri quadrati (m²), registrato al catasto, foglio 17, particella 13, e che pagarono 42.500.000 lire italiane (circa 21.949 euro). Per lo stesso importo, il terzo e il quarto ricorrente divennero proprietari di un terreno di circa 5.087 m2, registrato al catasto, foglio 17, particella 115.

5. Secondo il piano regolatore generale dell’8 luglio 1976, tali terreni erano destinati a «zona per attività secondarie di tipo B (zona produttiva) relative all’artigianato, al deposito e al commercio». I ricorrenti intendevano costruirvi un capannone industriale.

6. Con delibera n. 883 del 19 marzo 1990 il comune di Bari («il comune») adottò il «Piano per gli Insediamenti Produttivi («il PIP») di Ceglie del Campo. Tuttavia, il piano non fu approvato.

7. Il 29 settembre 1994 i ricorrenti depositarono al comune un progetto volto a ottenere il permesso di costruire un capannone industriale sui loro terreni.

8. Con nota del 20 luglio 1995 il comune informò i ricorrenti che la loro richiesta era stata rigettata a causa della mancata approvazione del PIP.

9. Il 10 novembre 1995 i ricorrenti chiesero al comune di approvare il PIP. Di fronte a quella che percepirono come un’inerzia dell’amministrazione, presentarono dinanzi al tribunale amministrativo regionale («il TAR») della Puglia un ricorso volto a ottenere l’annullamento della nota del 20 luglio 1995 e a contestare la legittimità del «silenzio rifiuto» del comune di approvare il PIP.

10. Con sentenza del 30 aprile 1997, depositata in cancelleria il 26 gennaio 1998, il TAR rigettò la domanda di annullamento della nota sopra citata. Con la stessa sentenza, il TAR accolse invece la contestazione riguardante la legittimità del «silenzio rifiuto» sopra menzionato e ordinò al comune di portare a termine la procedura relativa all’approvazione del PIP.

11. Ritenendo persistente l’inazione del comune, il 9 settembre 1998 i ricorrenti adirono nuovamente il TAR per ottenere l’ottemperanza della sentenza del 30 aprile 1997.

12. Con sentenza resa il 17 marzo 1999, depositata in cancelleria il 20 aprile 1999, il TAR ordinò al comune di dare esecuzione alla sua precedente sentenza, resa il 30 aprile 1997, entro il termine di 90 giorni a decorrere dalla avvenuta notifica o comunicazione della sua decisione.

13. Considerando che l’amministrazione avesse chiesto pareri inutili a vari organi e che tardasse a reagire all’ingiunzione del TAR, i ricorrenti si rivolsero nuovamente a tale autorità giudiziaria per ottenere l’esecuzione della sentenza del 30 aprile 1997. Con sentenza emessa il 15 dicembre 1999, depositata in cancelleria il 15 gennaio 2000, il TAR ordinò al comune di dare esecuzione alla sua sentenza del 30 aprile 1997 entro un termine portato questa volta a 30 giorni a decorrere dalla avvenuta notifica o comunicazione della sua decisione.

14. Il 16 ottobre 2000 i ricorrenti depositarono un nuovo ricorso di ottemperanza. Le udienze, inizialmente previste per il 10 e il 24 gennaio 2001, furono rinviate per permettere di esaminare dei documenti prodotti nel frattempo dal comune.

15. Intanto, con delibera n. 139 del 20 giugno 2000, il consiglio comunale aveva deciso di non approvare il PIP di Ceglie del Campo. Il 30 luglio 2001 i ricorrenti impugnarono la delibera dinanzi al TAR.

16. Con sentenza resa il 27 marzo 2003, depositata in cancelleria il 21 maggio 2003, il TAR dichiarò non doversi decidere sul ricorso dei ricorrenti, osservando in particolare che, dai documenti prodotti dal comune, risultava che i terreni degli interessati, essendo situati nei pressi di un torrente, erano sottoposti a un vincolo ambientale.

17. I ricorrenti interposero appello avverso quest’ultima sentenza dinanzi al Consiglio di Stato. Con sentenza emessa il 16 marzo 2004, depositata in cancelleria il 24 settembre 2004, il Consiglio di Stato confermò la sentenza del TAR.


MOTIVO DI RICORSO

18. Invocando l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, i ricorrenti lamentano il rigetto della loro domanda di un permesso di costruire e la mancata approvazione del PIP di Ceglie del Campo da parte del comune.


IN DIRITTO

19. I ricorrenti considerano che il rigetto della loro domanda di un permesso di costruire e la mancata approvazione del PIP di Ceglie del Campo da parte del comune abbiano violato il loro diritto al rispetto dei beni, sancito dall’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione.

Tale disposizione recita:

«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.

Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

A. Argomenti delle parti

1. Argomenti dei ricorrenti

20. I ricorrenti sostengono che le disposizioni interne che prevedono restrizioni legate alla tutela dell’ambiente sono poco chiare e contraddittorie, e che essi legittimamente si aspettavano di ottenere il permesso di costruire richiesto, sulla base del piano regolatore generale del 1976 e dell’adozione del PIP nel 1990.

21. Essi indicano che, al momento dell’acquisto dei loro terreni (antecedente all’adozione del PIP), il comune aveva rilasciato loro un certificato di destinazione urbanistica, datato 17 febbraio 1986, da cui risultava che detti terreni si trovavano in una «zona per attività secondarie di tipo B (zona produttiva) relative all’artigianato, al deposito e al commercio». Aggiungono che tale certificato, così come la scheda urbanistica di controllo redatta dal comune, non menzionava alcun vincolo, che la zona interessata era stata sempre compresa nei piani regolatori generali susseguitisi e che, dopo l’adozione del PIP, tutto lasciava supporre che l’area in questione sarebbe stata dichiarata edificabile. Essi precisano che il PIP comprendeva alcuni terreni situati a meno di 150 metri da un torrente, ma che gli stessi non appartenevano a privati. Indicano altresì che la questione dei vincoli ambientali, secondo loro, era inesistente ed era stata ignorata dalle autorità fino al 2000. Inoltre, essi considerano che il comune avrebbe dovuto approvare definitivamente il PIP imponendo loro al massimo una riduzione della superficie del capannone industriale in questione, rispettando una distanza di 150 metri dal torrente e che, procedendo in tal modo, non sarebbe stata modificata la destinazione dei loro terreni sui quali il capannone in questione avrebbe potuto essere costruito.

22. I ricorrenti sottolineano che il Governo stesso ammette che il comune ha tardato nel prendere la decisione di non approvazione del PIP. Osservano che l’amministrazione ha segnalato al comune solo il 15 marzo 2000 che i terreni in contestazione si trovavano nei pressi del torrente. Inoltre, essi precisano che, nella documentazione che avevano ottenuto al momento dell’acquisto dei loro terreni, non veniva menzionata in alcun modo l’esistenza di vincoli ambientali. Essi constatano peraltro che i termini previsti per l’esecuzione della decisione del TAR del 30 aprile 1997, fissati rispettivamente in 90 giorni e 30 giorni con le sentenze emesse il 17 marzo 1999 e il 15 dicembre 1999 da questa stessa autorità (paragrafi 12 e 13 supra), non sono state rispettate dal comune.

2. Argomenti del Governo

23. Il Governo osserva che l’impossibilità, per i ricorrenti, di costruire un capannone industriale sui loro terreni deriva dai vincoli imposti per la tutela dell’ambiente e del patrimonio archeologico. Esso ritiene che qualsiasi aspettativa dei ricorrenti per quanto riguarda l’utilizzo dei loro terreni fosse fondata sul PIP che era stato adottato ma non definitivamente approvato, e sostiene che, al momento dell’acquisto dei loro terreni, gli interessati non avevano alcuna certezza di poter costruire un capannone industriale e hanno accettato il rischio che una tale autorizzazione non fosse loro accordata. Il Governo conclude pertanto che i ricorrenti non sono stati privati di una prerogativa legata al loro diritto di proprietà sui terreni atteso che tale prerogativa non esisteva al momento dell’acquisto di tali beni.

24. Peraltro, il Governo considera che non si possa rimproverare al comune di non aver approvato il PIP e afferma che quest’ultimo non era conforme all’interesse generale relativo alla tutela dell’ambiente e del patrimonio archeologico. Aggiunge che, tutt’al più, il comune potrebbe essere considerato responsabile del ritardo nell’adozione della sua decisione di non approvazione del PIP, il che ha portato i ricorrenti ad avviare un giudizio di ottemperanza relativo alla sentenza del TAR del 30 aprile 1997 per porre rimedio all’inerzia dell’amministrazione. Al riguardo, esso indica che si deve comunque tenere conto della necessità per il comune di raccogliere i pareri degli organi competenti in materia di tutela dell’ambiente e del patrimonio archeologico.

B. Valutazione della Corte

25. La Corte constata anzitutto che, secondo il piano regolatore generale dell’8 luglio 1976, i terreni dei ricorrenti erano destinati a «zona per attività secondarie di tipo B (zona produttiva) relative all’artigianato, al deposito e al commercio» (paragrafo 5 supra). Gli interessati volevano costruirvi un capannone industriale e avevano presentato un progetto al fine di ottenere un permesso di costruire in tal senso (paragrafo 7 supra). Tuttavia, fintanto che il PIP di Ceglie del Campo non fosse approvato, il progetto non poteva essere realizzato.

26. A tale titolo, la Corte ritiene che le restrizioni derivanti dalla mancata approvazione del PIP costituiscano un’ingerenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto dei loro beni (si vedano, mutatis mutandis, Casa Missionaria per le Missioni estere di Steyl c. Italia (dec.), n. 75248/01, 13 maggio 2004; Galtieri c. Italia (dec.), n. 72864/01, 24 gennaio 2006, e Campanile e altri c. Italia (dec.), n. 32635/05, § 25, 15 gennaio 2013). Tale ingerenza è inerente alla regolamentazione dell’uso dei beni, ai sensi del secondo paragrafo dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 64, serie A n. 52, e Hiltunen c. Finlandia (dec), n. 30337/96, 28 settembre 1999).

27. Nella presente causa, la Corte osserva che, dalla sentenza del TAR del 27 marzo 2003, si evince che la mancata approvazione del PIP era giustificata dall’ubicazione dei terreni in questione, situati nei pressi di un torrente e sottoposti dunque a vincoli ambientali (paragrafo 16 supra), e che i ricorrenti affermano che tali vincoli erano inesistenti (paragrafo 21 supra). Essa ritiene tuttavia che spetti ai giudici nazionali interpretare il diritto interno e applicarlo in ogni singolo caso, e si limita a rilevare che non è oggetto di contestazione il fatto che nei pressi dei terreni in questione passasse un torrente. Alla luce di questo, essa non può sostituire la propria valutazione a quella del TAR e del Consiglio di Stato.

28. Inoltre, la Corte constata che i vincoli imposti ai ricorrenti erano volti a preservare l’ambiente, il che, a suo parere, risponde a un imperativo degli enti locali e corrisponde pertanto all’interesse generale, ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Galtieri, decisione sopra citata, e Campanile e altri, decisione sopra citata, § 26).

29. Resta da determinare se sia stato mantenuto un giusto equilibrio tra le esigenze dell’interesse generale e la salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo (si vedano Hiltunen, decisione sopra citata, e, mutatis mutandis, Cooperativa La Laurentina c. Italia, n. 23529/94, § 95, 2 agosto 2001).

30. La Corte osserva che i ricorrenti non hanno dimostrato di essere stati obbligati a modificare l’utilizzo dei loro terreni a causa dei vincoli contestati (Galtieri, decisione sopra citata, e Campanile e altri, decisione sopra citata, § 30) e che, tutt’al più, non hanno potuto destinare tali terreni a un nuovo uso, ossia la costruzione di un capannone industriale. In effetti, essa osserva che, al momento dell’acquisto dei loro terreni (il 20 febbraio 1986 – paragrafo 4 supra), nulla garantiva agli interessati che avrebbero potuto realizzare il loro progetto di costruzione, in quanto la classificazione della zona interessata come «zona per attività secondarie di tipo B (zona produttiva) relative all’artigianato, al deposito e al commercio» (paragrafo 5 supra) non era sufficiente a tale riguardo. Peraltro, essa constata che anche l’adozione del PIP da parte del comune, intervenuta più di quattro anni dopo l’acquisto dei terreni (paragrafo 6 supra), era solo una delle tappe di una procedura amministrativa complessa, in quanto solo l’approvazione definitiva di tale PIP poteva permettere agli interessati di costruire sui loro terreni.

31. Per di più, per quanto riguarda la segnalazione della vicinanza al torrente dei terreni controversi, effettuata il 15 marzo 2000 e considerata tardiva dai ricorrenti (paragrafo 22 supra), la Corte rammenta che, nell’ambito della pianificazione territoriale, la modifica o il cambiamento della normativa sono comunemente ammessi e praticati. In effetti, se i titolari di diritti di credito pecuniari possono, generalmente, avvalersi di diritti stabili e intangibili, lo stesso non può dirsi in materia urbanistica o di pianificazione territoriale, settori che riguardano diritti di natura diversa e che sono fondamentalmente in evoluzione (Gorraiz Lizarraga e altri c. Spagna, n. 62543/00, § 70, 27 aprile 2004, e Galtieri, decisione sopra citata). Peraltro, in un ambito così complesso come quello della pianificazione urbana, gli Stati contraenti godono di un ampio margine di apprezzamento nel condurre le loro politiche (Terazzi S.r.l. c. Italia, n. 27265/95, § 85, 17 ottobre 2002; Elia S.r.l. c. Italia, n. 37710/97, § 77, CEDU 2001-IX, e Saliba c. Malta, n. 4251/02, § 45, 8 novembre 2005). Pertanto, in assenza di una decisione manifestamente arbitraria o irragionevole, la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella delle autorità nazionali per quanto riguarda la scelta dei mezzi più idonei per ottenere, a livello nazionale, i risultati perseguiti da tale politica (Campanile e altri, decisione sopra citata, § 31).

32. Inoltre, la Corte osserva che dalla mancata approvazione del PIP e dalla classificazione dei terreni controversi nella categoria delle aree sottoposte a vincoli ambientali non deriva un diritto per i ricorrenti di ottenere un risarcimento. Quando viene messo in discussione un provvedimento che regolamenta l’uso dei beni, essa ritiene che l’assenza di un indennizzo sia uno degli elementi da prendere in considerazione per stabilire se sia stato rispettato un giusto equilibrio ma che tale assenza non possa, di per sé, essere costitutiva di una violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Galtieri, decisione sopra citata, e Campanile e altri, decisione sopra citata, § 32).

33. Peraltro, nella misura in cui la proporzionalità di un’ingerenza nel diritto di un proprietario al rispetto dei suoi beni può dipendere anche dall’esistenza di garanzie processuali che permettano di vigilare affinché l’attuazione di una politica e le sue ripercussioni per il proprietario non siano né arbitrarie né imprevedibili (si veda, mutatis mutandis, Immobiliare Saffi c. Italia, n. 22774/93, § 54, CEDU 1999-V), la Corte osserva che, nel caso di specie, i ricorrenti hanno potuto adire l’autorità giudiziaria amministrativa intentando un’azione di annullamento della libera di non approvazione del PIP. Essa osserva che tale ricorso è stato esaminato da due autorità giudiziarie, entrambe competenti a conoscere della causa in fatto e in diritto (paragrafi 15-17 supra), e che nulla dimostra che il TAR e il Consiglio di Stato abbiano valutato i fatti e gli elementi di diritto interno in modo arbitrario (Galtieri, decisione sopra citata, e Campanile e altri, decisione sopra citata, § 34).

34. Inoltre, per quanto riguarda il ritardo, denunciato dai ricorrenti, con cui è stata adottata la decisione relativa all’approvazione del PIP, la Corte rammenta che, laddove la violazione del diritto di proprietà è strettamente legata alla durata di un procedimento e ne costituisce una conseguenza indiretta, la «legge Pinto» permette di chiedere una decisione che può rientrare nella logica della giurisprudenza della Corte per quanto riguarda l’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione (Capestrani c. Italia (dec.), n. 46617/99, 27 gennaio 2005; Recupero c. Italia (dec.), n. 77713/01, 17 marzo 2005, e De Filippo c. Italia (dec.), n. 72112/01, 27 marzo 2007).

35. Nella fattispecie, la Corte constata che i ricorrenti hanno presentato dinanzi al TAR un ricorso per contestare la legittimità del «silenzio-rifiuto» di approvazione del PIP (paragrafi 9-10 supra) e poi, ritenendo di trovarsi di fronte a un’inerzia dell’amministrazione, tre ricorsi per l’esecuzione della sentenza del TAR del 30 aprile 1997 (paragrafi 11-14 supra). Essa sottolinea che, se avessero ritenuto eccessiva la durata di tali procedimenti, gli interessati avrebbero potuto presentare un ricorso ai sensi della «legge Pinto». La Corte constata invece che essi non si sono avvalsi di tale ricorso. Al riguardo, essa rammenta che, in materia di durata, un giudizio di ottemperanza deve essere considerato come la seconda fase del procedimento nel merito (Zappia c. Italia, 26 settembre 1996, § 20, Recueil des arrêts et décisions 1996-IV).

36. Considerate le circostanze del caso di specie legate all’esistenza di vincoli ambientali sui terreni dei ricorrenti, e dopo aver proceduto a una valutazione complessiva dei fatti della presente causa, la Corte conclude che l’ingerenza controversa contestata alle autorità non ha compromesso il giusto equilibrio da mantenere, in materia di regolamentazione dell’uso dei beni, tra l’interesse pubblico e l’interesse privato.

37. Di conseguenza, questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Stanley Naismith
Cancelliere

Danutė Jočienė
Presidente

ALLEGATO

  1. Leonardo CONTESSA è un cittadino italiano, nato nel 1944 e residente a Carbonara di Bari
  2. Chiara SASSANELLI è una cittadina italiana, nata nel 1946 e residente a Carbonara di Bari
  3. Michele PARTIPILO è un cittadino italiano, nato nel 1941 e residente a Carbonara di Bari
  4. Maria PICCIRILLI è una cittadina italiana, nata nel 1951 e residente a Carbonara di Bari