Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 12 novembre 2013 - Ricorso n. 50930/11 - Cavaliere c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorsi nn. 50930/11 e 50893/13

Ciro CAVALIERE contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 12 novembre 2013 in una camera composta da:

Işıl Karakaş, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visti i ricorsi sopra menzionati proposti il 24 giugno 2011 e il 22 luglio 2013,

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Ciro Cavaliere, è un cittadino italiano nato nel 1966 e residente a Giugliano in Campania. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall’avv. A. Marra (del foro di Napoli) nel ricorso n. 50930/11 e dall’avv. M. Albachiara (del foro di Napoli) nel ricorso n. 50893/13.

2. I fatti della causa si possono riassumere come segue.

A. Fatti comuni ai due ricorsi

3. Il ricorrente è un infermiere inizialmente impiegato presso l’Unità Sanitaria Locale («USL») n. 42 di Napoli, struttura alla quale è succeduta l’Azienda Sanitaria Locale («ASL») Napoli n. 1.

4. Il 1° agosto 1997 il ricorrente, con alcuni colleghi, si rivolse al tribunale amministrativo regionale («TAR») della Campania, sezione di Napoli, per chiedere l’annullamento della decisione dell’ASL che ordinava di restituire un premio di produttività accordato precedentemente dall’USL.

5. La cancelleria del TAR attribuì a questo ricorso il riferimento «R.G. n. 6751/97».

6. Con la sentenza n. 8264 del 2 dicembre 2009, il TAR respinse il ricorso.

B. Fatti del ricorso n. 50893/13

7. Il 9 luglio 2008 il ricorrente, rappresentato dall’avv. M. Albachiara e da un altro avvocato, adì la corte d’appello di Napoli ai sensi della legge «Pinto», lamentando la eccessiva durata del procedimento R.G. n. 6751/97 che era ancora pendente dinanzi al TAR.

8. In particolare, dopo aver esposto l’oggetto della controversia e i fatti essenziali di questo procedimento (paragrafi 3-5 supra), il ricorrente denunciò che quest’ultimo era durato 11 anni e chiese che il Ministero dell’Economia e delle Finanze venisse condannato al pagamento di 11.000 EUR per danno morale.

9. Il cancelliere della corte d’appello attribuì a questo ricorso il riferimento «R.G. n. 4374/08».

10. Con decisione del 21 luglio 2009, la corte d’appello considerò che il procedimento principale era durato fino al 9 luglio 2008, constatò il superamento del termine ragionevole e accordò al ricorrente 7.916,63 EUR per danno morale.

11. Questa decisione fu eseguita il 25 febbraio 2013, a seguito di un pignoramento presso terzi del tribunale di Roma (procedimento di esecuzione R.G. n. 22361/11); il ricorrente ottenne il pagamento di 8.538,27 EUR.

C. Fatti del ricorso n. 50930/11

12. All’inizio del 2009, verosimilmente nel mese di gennaio, il ricorrente, rappresentato dall’avv. A. Marra, adì la corte d’appello di Napoli ai sensi della legge «Pinto», lamentando la eccessiva durata del procedimento R.G. n. 6751/97 che era ancora pendente dinanzi al TAR.

13. In particolare, dopo aver esposto l’oggetto della controversia e i fatti essenziali di questo procedimento (paragrafi 3-5 supra), denunciò che quest’ultimo era durato «137 mesi» (ossia più di 11 anni e 4 mesi) fino alla presentazione del suo ricorso «Pinto» e chiese di condannare il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di 19.125 EUR per danno morale.

14. La cancelleria della corte d’appello attribuì a questo ricorso il riferimento «V.G. n 510/09».

15. Con decisione del 3 luglio 2009, la corte d’appello considerò che il procedimento principale era durato fino al 19 giugno 2009, constatò il superamento del termine ragionevole e accordò al ricorrente 8.913 EUR per danno morale.

16. Questa decisione fu eseguita il 26 maggio 2011, a seguito di un pignoramento presso terzi del tribunale di Roma (procedimento di esecuzione R.G. n. 30633/10); il ricorrente ottenne il pagamento di 9.195,54 EUR.

MOTIVI DI RICORSO

a) Ricorso n. 50930/11

17. Invocando gli articoli 6, 13 e 17 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, il ricorrente lamenta il ritardo nell’esecuzione della decisione «Pinto» del 3 luglio 2009 (V.G. n. 510/09).

b) Ricorso n. 50893/13

18. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta l’eccessiva durata della procedura «Pinto» R.G. n. 4374/08, che va dalla presentazione del ricorso alla corte d’appello di Napoli fino al pagamento dell’importo «Pinto».

IN DIRITTO

19. Tenuto conto della similitudine dei fatti denunciati e delle questioni giuridiche poste dai ricorsi, la Corte decide di riunirli e di esaminarli congiuntamente (articolo 42 § 1 del regolamento della Corte).

20. La Corte rammenta che un ricorso può essere considerato abusivo ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione se, ad esempio, è stato scientemente basato su fatti inventati (si vedano, tra altre, Jian c. Romania (dec.), n. 46640/99, 30 marzo 2004; Keretchachvili c. Georgia (dec.), n. 5667/02, CEDU 2006 V) o se il ricorrente ha omesso di comunicare informazioni essenziali riguardo i fatti di causa al fine di indurre in errore la Corte (si vedano, tra altre, Hüttner c. Germania (dec.), n. 23130/04, 19 giugno 2006; Basileo e altri c. Italia (dec.), n. 11303/02, 23 agosto 2011).

21. Inoltre, la Corte ha già affermato che «ogni comportamento del ricorrente manifestamente contrario alla vocazione del diritto di ricorso e che ostacoli il buon funzionamento della Corte o il corretto svolgimento della procedura dinanzi ad essa, può [in linea di principio] essere definito abusivo» (si veda Miroļubovs e altri c. Lettonia, n. 798/05, § 65, 15 settembre 2009), dove la nozione di abuso, ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione, deve essere intesa nel senso che normalmente le viene riconosciuto dalla teoria generale del diritto - ossia il fatto che il titolare di un diritto attui quest’ultimo al di fuori della sua finalità in maniera pregiudizievole (si veda Miroļubovs e altri, sopra citata, § 62; Petrović c. Serbia (dec.), nn. 56551/11 e altri dieci, 18 ottobre 2011).

22. Infine, la Corte ribadisce che ai sensi dell’articolo 44A del regolamento, «le parti hanno l’obbligo di collaborare pienamente allo svolgimento della procedura». Essa ha più volte dichiarato che le norme procedurali previste nel diritto nazionale si prefiggono di assicurare la buona amministrazione della giustizia e il rispetto del principio della certezza del diritto e che gli interessati devono poter contare sull’applicazione di tali norme. La stessa constatazione si impone a fortiori riguardo alle norme procedurali della Convenzione e del regolamento della Corte (si veda Miroļubovs e altri, sopra citata, § 66).

23. Un comportamento assolutamente irresponsabile e leggero del ricorrente o del suo rappresentante, che è chiaramente contrario alla vera missione della Corte ai sensi degli articoli 19 e 32 della Convenzione, può comportare il rigetto del ricorso in quanto abusivo (Petrović, sopra citata; Bekauri c. Georgia (dec.), n. 14102/02, §§ 21-24, 10 aprile 2012)

24. In base a questi principi, la Corte ha dichiarato irricevibili, in quanto abusivi ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione, alcuni ricorsi aventi ad oggetto il ritardato pagamento degli importi «Pinto», ritenendo che «lungi dall’essere cooperante con la Corte e con la sua missione, la condotta del ricorrente e del suo avvocato si è rivelata particolarmente scorretta ed ha comportato uno sperpero di risorse della Corte (Simonetti (II) c. Italia e Simonetti (III) c. Italia [dec.], nn. 50914/11 e 58323/11, § 24, 10 luglio 2012; si veda anche De Cristofaro e altri c. Italia [dec.], nn. 30464/07 e altri, §§ 45-49, 10 luglio 2012).

25. Nella causa Basileo e altri c. Italia, sopra citata, la Corte ha dichiarato abusivo il motivo di ricorso relativo alla durata della procedura principale e all’insufficienza dell’importo «Pinto» perché i ricorrenti avevano omesso di comunicare, dapprima alle giurisdizioni «Pinto» e poi alla Corte, alcune informazioni essenziali riguardanti i fatti di causa al fine di indurle in errore (ossia il fatto che, molto prima della data di presentazione del ricorso dinanzi alla Corte nonché del ricorso ai sensi della «legge Pinto», i crediti dei ricorrenti, che erano oggetto della procedura principale, erano stati integralmente soddisfatti). Parimenti, nella causa Rubeca c. Italia [dec.], n. 36773/02, § 29, 10 maggio 2012, la Corte ha dichiarato abusivo un motivo di ricorso dello stesso tipo in ragione del fatto che il ricorrente aveva omesso di informare la corte d’appello «Pinto» di una circostanza essenziale riguardo la ricevibilità del suo ricorso «Pinto», aggirando le norme procedurali che regolano il rimedio nazionale e ottenendo, così, un indennizzo per la violazione del termine ragionevole ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

26. Nelle cause Basileo e altri e Rubeca, § 35, sopra citate, dopo aver dichiarato abusivo il motivo di ricorso relativo alla durata della procedura principale, la Corte ha concluso per la manifesta infondatezza del motivo di ricorso basato sul ritardato pagamento degli importi «Pinto», sottolineando che la circostanza che la corte d’appello Pinto avesse riconosciuto ai ricorrenti, «su base erronea, un risarcimento morale, non può generare diritti per questi ultimi riguardo alla Convenzione, in quanto le conclusioni dell’istanza in causa derivavano, in tutto o almeno in parte, dal comportamento scorretto dei ricorrenti». Tuttavia, nonostante il fatto che le cause di cui si tratta vertono su motivi simili (ritardo nell’esecuzione della decisione «Pinto», per il ricorso n. 50930/11, e durata della procedura «Pinto», per il ricorso n. 50893/13), la Corte non ritiene di dover giungere alla stessa conclusione.

27. La Corte rileva che nel caso di specie il ricorrente ha adito la corte d’appello «Pinto» due volte, nel luglio 2008 e nel gennaio 2009, per lamentare la eccessiva durata del procedimento R.G. n. 6751/97, pendente dinanzi al TAR. Dunque, senza alcun titolo, ha ottenuto un doppio risarcimento per lo stesso pregiudizio morale derivante sostanzialmente dalla stessa violazione del temine ragionevole ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

28. In seguito si è rivolto due volte alla Corte sollevando dei motivi che tengono comunque conto del ritardo nell’esecuzione delle due decisioni Pinto. In effetti, «quando un ricorrente lamenta la eccessiva durata della fase giudiziaria di un ricorso «Pinto», nonché un ritardo nel pagamento dell’indennizzo, il tempo che trascorre tra la data della decisione esecutiva della corte d’appello «Pinto» e il pagamento effettivo della somma accordata deve essere preso in considerazione per valutare la durata della procedura (Belperio e Ciarmoli c. Italia, n. 7932/04, § 41, 21 dicembre 2010). Nel ricorso n. 50893/13, il ricorrente non ha segnalato né l’esistenza del ricorso n. 50930/11 né le connessioni tra i due.

29. Dunque, la Corte si trova qui di fronte ad un uso del diritto di ricorso individuale fuorviante rispetto al suo scopo, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione (si veda Petrović e Bekauri, § 24, sopra citate) nonché all’uso abusivo dell’intero meccanismo di salvaguardia instaurato dalla Convenzione, nel quale le vie di ricorso interne costituiscono il primo mezzo di protezione dei diritti dell’uomo (Kudła c. Polonia ([GC], n. 30210/96, § 152, CEDU 2000-XI 152; Brusco c. Italia (dec.), n. 69789/01, CEDU 2001 IX). Del resto, la Corte ha già affermato che il carattere abusivo di un ricorso può dipendere, almeno in parte, dall’uso delle vie di ricorso interne da parte del ricorrente nonché dalla sua condotta dinanzi le autorità giudiziarie nazionali (si vedano Bock c. Germania (dec.), n. 22051/07, 19 gennaio 2010; Dudek (VIII) c. Germania (dec.), nn. 12977/09, 15856/09, 15890/09, 15892/09 e 16119/09, 23 novembre 2010).

30. Tenuto conto di quanto esposto sopra, è opportuno dichiarare i ricorsi irricevibili in quanto abusivi, in applicazione dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Decide di riunire i ricorsi;

Dichiara i ricorsi irricevibili.

Stanley Naismith
Cancelliere

Işıl Karakaş
Presidente