Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 8 ottobre 2013 - Ricorso n. 25367/11 Patience Azenabor c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Anna Aragona, funzionario linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 25367/11

Patience AZENABOR

contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita l’8 ottobre 2013 in una Camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 21 aprile 2011,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1. La ricorrente, sig.ra Patience Azenabor, è una cittadina nigeriana nata nel 1967 e residente a Roma. E’ rappresentata dinanzi alla Corte dall’avv. N. Paoletti, del foro di Roma.

A.  Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dalla ricorrente, si possono riassumere come segue.

3. Il 10 ottobre 2010 la ricorrente consultava uno studio legale al fine di promuovere una causa di separazione personale. Il 22 ottobre 2010, mentre la ricorrente era a casa con il marito e il figlio, si presentava al suo domicilio un medico per visitarla. La ricorrente, contro la sua volontà e con l’intervento della forza pubblica, veniva condotta in ambulanza all’ospedale   S. Spirito a Roma e ricoverata nel reparto di psichiatria. Il medico compilava una domanda di ricovero involontario, in quanto la ricorrente presentava gravi turbe del comportamento con pensiero delirante e non era possibile adottare misure alternative rapide ed adeguate. Dopo aver visitato la ricorrente, il medico dell’ospedale convalidava la proposta del primo medico.

4. Il 23 ottobre 2010, basandosi sui pareri dei summenzionati medici, il sindaco di Roma ordinava il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) nei confronti della ricorrente, a partire dal 22 ottobre alle 12:00, ai sensi della legge n. 180/1978 e della legge n. 833 del 1978. Veniva precisato che gli effetti di detta decisione sarebbero cessati entro il termine di legge di sette giorni, qualora la paziente fosse stata dimessa o avesse accettato una degenza volontaria. Il medesimo giorno, la decisione del sindaco veniva comunicata al giudice tutelare di Roma, senza essere indirizzata in copia alla ricorrente.

5. Il 23 ottobre 2010 il giudice tutelare convalidava la decisione del sindaco. Detta decisione non veniva comunicata alla ricorrente.

6. Il 30 ottobre 2010 la ricorrente depositava un ricorso al tribunale di Roma, affermando l’illegittimità della decisione del giudice tutelare. In primo luogo la ricorrente sosteneva che il suo stato di salute non giustificava la misura adottata, essendo la medesima in perfetta salute mentale e non essendo stata visitata da un medico specialista indipendente. In secondo luogo, lamentava la circostanza di non aver incontrato il giudice, prima della convalida del TSO, dal momento che questi aveva preso la decisione sulla base degli atti, il che contravveniva alle raccomandazioni formulate dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o dei trattamenti  inumani o degradanti, dopo la visita condotta in Italia nel 2004. Inoltre, la ricorrente non aveva ricevuto copia delle decisioni che la riguardavano.

7. In data 15 novembre 2010 il comune di Roma depositava presso il tribunale la documentazione relativa al TSO della ricorrente, dalla quale si evinceva che in data 28 ottobre 2010 il TSO era stato revocato, in quanto in tale data la ricorrente aveva prestato il suo consenso alla degenza.

8. Il 23 novembre 2010 la ricorrente usciva dall’ospedale.

9. Il 26 novembre 2010 si teneva un’udienza. L’avvocato della ricorrente depositava le sue conclusioni, nelle quali egli sviluppava l’argomento dell’impossibilità per la ricorrente di essere ascoltata o vista dal giudice tutelare prima della convalida del provvedimento. Invocando l’articolo 13 della Costituzione e l’articolo 5 della Convenzione, egli chiedeva al tribunale di non applicare la legge nazionale, la quale a suo parere non si conciliava con la giurisprudenza della Corte e, in subordine, di sollevare la questione di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale.

10. Con decisione depositata in cancelleria il 18 gennaio 2011, il tribunale di Roma rigettava il ricorso. In primo luogo, il tribunale constatava che la ricorrente aveva prestato il consenso alla degenza e che il TSO era stato revocato; che la medesima non aveva richiesto una sospensione; che non aveva depositato documenti sanitari che contraddicessero i pareri dei medici e che non aveva neanche chiesto al tribunale di procedere ad una valutazione del suo stato di salute; infine, nelle sue conclusioni, la ricorrente non aveva citato il motivo basato sulla natura ingiustificata del TSO.
In secondo luogo, il tribunale rammentava che il giudice tutelare, prima della convalida del TSO, disponeva di poteri di indagine, sebbene non fosse obbligato dalla legge a farne uso. Egli poteva adottare ogni misura atta a verificare le reali condizioni dell’interessata, recandosi all’ospedale o richiedendo il parere medico di un perito. Il fatto che nel caso di specie il giudice tutelare non si fosse recato all’ospedale non dipendeva dalla legge, bensì da mancanze dell’autorità giudiziaria e dell’autorità amministrativa preposta alla sanità. Offrendo a chiunque la possibilità di ricorrere al tribunale per contestare la decisione del giudice, la legge prevedeva garanzie sufficienti. 

11. La ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione.

B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

12. La procedura iniziale relativa al TSO è disciplinata dalla legge n. 833 del 1978, ai sensi della quale:

Articolo 33

«Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari. Nei casi di cui alla presente legge e in quelli espressamente previsti da leggi dello Stato possono essere disposti dall'autorità sanitaria accertamenti e trattamenti sanitari obbligatori, nel rispetto della dignità della persona.

Gli accertamenti ed i trattamenti sanitari obbligatori (TSO) sono disposti con provvedimento del sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico.

Gli accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori sono attuati dai presidi e servizi sanitari pubblici territoriali e, ove, necessiti la degenza, nelle strutture ospedaliere pubbliche o convenzionate (...).»

Articolo 34

«(...) Le misure di cui al secondo comma dell'articolo precedente possono essere disposte nei confronti di persone affette da malattia mentale.

Il trattamento sanitario obbligatorio per malattia mentale può prevedere che le cure vengano prestate in condizioni di degenza ospedaliera solo se esistano alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se gli stessi non vengano accettati dall'infermo e se non vi siano le condizioni e le circostanze che consentano di adottare tempestive ed idonee misure sanitarie extraospedaliere.

Il provvedimento del sindaco che dispone il trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera deve essere preceduto dalla convalida della proposta di cui al terzo comma dell'articolo 33 da parte di un medico della unità sanitaria locale e deve essere motivato in relazione a quanto previsto nel presente comma (...) »

Ai sensi dell’articolo 35 della legge, la decisione del sindaco deve essere notificata al giudice tutelare entro 48 ore. Quest’ultimo, entro le 48 ore successive, dopo aver assunto le informazioni e disposti gli eventuali accertamenti, provvede con decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento di TSO e ne dà comunicazione al sindaco. In caso di mancata convalida, il sindaco dispone la cessazione del trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza ospedaliera.

Nei casi in cui il trattamento sanitario obbligatorio debba protrarsi oltre il settimo giorno, il sanitario responsabile del servizio psichiatrico è tenuto a formulare, in tempo utile, una proposta motivata al sindaco che ha disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al giudice tutelare, indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso.

13. Quanto alle garanzie giurisdizionali, l’articolo 35 della legge n. 833 del 1978 consente a chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio, ed a chiunque vi abbia interesse, di proporre al tribunale competente per territorio ricorso contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare. Dinanzi al tribunale le parti possono essere assistite o meno da un difensore o altra persona di fiducia. Il presidente del tribunale civile fissa l’udienza di comparizione delle parti. E’ possibile chiedere una sospensione del provvedimento.
Il termine per proporre ricorso è disciplinato dall’articolo 739 del Codice di procedura civile, che sancisce quanto segue:

«Contro i decreti del giudice tutelare si può proporre reclamo con ricorso al tribunale, che pronuncia in camera di consiglio. (...). Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto, se è dato in confronto di una sola parte, o dalla notificazione se è dato in confronto di più parti. (...).»

Poiché il provvedimento relativo al trattamento sanitario obbligatorio in condizioni di degenza al reparto di psichiatria non è stato comunicato all’interessata, la giurisprudenza reputa che il termine di cui sopra cominci a decorrere dalla data di esecuzione della decisione in questione (Baronchelli c. Italia (dec.), n. 19479/03, 7  settembre 2010).

14. Ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione italiana, contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale è sempre ammesso ricorso per cassazione. La persona sottoposta al TSO può quindi proporre ricorso per cassazione, al fine di contestare assenze o carenze nella motivazione relativa alla sussistenza delle condizioni previste per l’imposizione della degenza (si vedano le sentenze della Corte di cassazione n. 6240 del 23 giugno 1998 e n. 18193 del 18 agosto 2006).

15. Ai sensi dell’articolo 13 della Costituzione italiana, non è ammessa forma alcuna di restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.

C.  Il diritto internazionale

16. Nel rapporto successivo alla visita effettuata in Italia dal 21 novembre al 3 dicembre 2004, il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (di seguito denominato: «CPT») ha formulato raccomandazioni sul ruolo del giudice tutelare prima della decisione relativa alla convalida di un TSO.
In relazione alla convalida della decisione del sindaco da parte delle autorità giudiziarie (§ 153), il CPT afferma:

«Si tratta di una garanzia fondamentale offerta ai pazienti sottoposti ad una misura privativa di libertà. Ciò detto, il giudice tutelare si limita in genere ad un controllo puramente formale dei documenti sottopostigli dal comune. In alcuni casi, il giudice provvede a contattare il servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) al fine di raccogliere informazioni sulla situazione del paziente interessato, prima di  emettere un decreto di «convalida». Il CPT ritiene, dal canto suo, che l’esame degli atti del procedimento a porte chiuse dovrebbe essere integrato da un’udienza in ospedale – la quale permetterebbe un contatto diretto tra le parti in causa, ossia il paziente, il medico ed il giudice –. Tale udienza potrebbe d’altronde essere tenuta nell’ambito dell’attuale legislazione. Ciò consentirebbe al magistrato non solo di ascoltare le eventuali spiegazioni del paziente, ma anche di comunicare direttamente al medesimo la decisione adottata (se necessario con l’aiuto del medico). L’ordinanza del giudice dovrebbe essere contenuta nel fascicolo del paziente e questi, inoltre, dovrebbe riceverne copia.»

MOTIVI DI RICORSO

17. Invocando l’articolo 5 § 1 e) e § 4 della Convenzione, la ricorrente lamenta il fatto che la misura privativa della libertà impostale non fosse regolare ed afferma di non aver beneficiato di garanzie procedurali sufficienti. In primo luogo, il TSO non era giustificato e la diagnosi non è stata effettuata da un medico specialista indipendente. In secondo luogo, il giudice tutelare ha deciso la convalida del TSO soltanto sulla base degli atti e senza aver prima incontrato la ricorrente. Secondo la medesima, l’impossibilità di avere un incontro con il giudice deriva dal testo di legge, che non ne prevede l’obbligo. Infine, la ricorrente lamenta il fatto di non aver ricevuto copia delle decisioni del sindaco e del giudice tutelare.

IN DIRITTO

18. La ricorrente lamenta che la privazione di libertà impostale non fosse conforme all’articolo 5 §§ 1 e 4 della Convenzione. Ai sensi di tali disposizioni:

«1.  Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della libertà, se non nei casi seguenti e nei modi previsti dalla legge:

(...)

e) nel caso della detenzione regolare di una persona che possa diffondere una malattia contagiosa, ovvero di un alienato, di un alcolizzato, di un tossicomane o di un vagabondo;

(...)

4.  Ogni persona privata della libertà mediante arresto o detenzione ha il diritto di presentare un ricorso ad un tribunale, affinché decida entro breve termine sulla legittimità della sua detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione è illegittima.

(...) »

19.La Corte rammenta innanzi tutto che, ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, essa può essere adita solo dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.
Nel caso di specie, la ricorrente non ha proposto ricorso per cassazione contro la decisione con la quale il tribunale civile di Roma rigettava il suo ricorso. La Corte deve quindi appurare se vi sia stato esaurimento delle vie di ricorso interne, in funzione della natura delle doglianze presentate dalla ricorrente.

20. Quanto all’affermazione secondo la quale la sua degenza involontaria in regime di TSO non era regolare in quanto ingiustificata e basata su una diagnosi non effettuata da uno specialista indipendente, la Corte osserva che l’interessata ha prestato il consenso alla degenza volontaria e che il TSO è stato revocato il 28 ottobre 2010. Dalla decisione del tribunale di Roma si evince che, nelle sue conclusioni, la ricorrente non ha menzionato il motivo di ricorso, inizialmente sollevato, basato sulla natura ingiustificata della degenza involontaria. Sembra dunque che l’interessata abbia rinunciato a questo motivo di ricorso già dinanzi al tribunale, oltre al fatto di non averlo sollevato dinanzi alla Corte di cassazione. Tenuto conto di tali elementi, la ricorrente non ha soddisfatto la condizione dell’esaurimento delle vie di ricorso interne e tale parte del ricorso deve quindi essere rigettata a norma dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

21. Quanto ai motivi relativi all’impossibilità per la ricorrente di essere vista o ascoltata dal giudice tutelare prima che il medesimo convalidasse il TSO, la Corte non è convinta che tale situazione derivi dalla legge. In effetti, se è vero che le disposizioni applicabili non prevedono per il giudice tutelare l’obbligo di procedere a tale adempimento, è altrettanto vero che egli dispone di poteri di indagine. Come menzionato dal tribunale, il giudice tutelare può, fra l’altro, recarsi all’ospedale e vedere il malato. Egli può altresì rivolgersi ad un perito medico per avere un altro parere specialistico. La Corte è consapevole dell’importanza di tali adempimenti, che ogni giudice tutelare dovrebbe assolvere per poter valutare realmente e correttamente la situazione prima di decidere. Non trattandosi di un’impossibilità ex lege, la situazione denunciata dalla ricorrente avrebbe quindi dovuto essere sottoposta all’esame della Corte di cassazione, che è l’autorità nazionale preposta all’interpretazione della legge ed al rafforzamento della tutela giurisdizionale delle persone sottoposte a degenza involontaria. Ne consegue che nemmeno su questo punto la ricorrente ha soddisfatto la condizione dell’esaurimento delle vie di ricorso interne. Tale parte del ricorso deve quindi essere rigettata a norma dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

22. Quanto al motivo di ricorso relativo alla mancata comunicazione alla ricorrente di copia delle decisioni con le quali veniva disposto il TSO nei suoi confronti, ossia la decisione del sindaco e la decisione del giudice tutelare, la Corte ritiene che detta situazione possa, in linea di principio, ridurre le garanzie procedurali spettanti ai soggetti sottoposti al TSO. Essa osserva al riguardo che, se gli interessati non ricevono la decisione che dispone il TSO, il termine di dieci giorni previsto per la proposizione del ricorso comincia a decorrere dal giorno di esecuzione della predetta decisione; tuttavia niente dimostra che gli interessati ne siano informati (Baronchelli c. Italia (dec.), n. 19479/03, 7  settembre 2010).
Nel caso di specie, la Corte osserva tuttavia che i diritti della ricorrente non sono stati pregiudicati dalla mancata consegna di copia delle decisioni contestate e che l’interessata ha potuto promuovere un ricorso dinanzi al tribunale civile di Roma.
Tenuto conto di tali elementi, la Corte ritiene che questa parte del ricorso sia manifestamente infondata e debba essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Danutė Jočienė
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere