Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 27 agosto 2013 - Ricorso n. 9053/10 - Hannibal Miruts Hagos c. Paesi Bassi e Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Lucia Lazzeri, funzionario linguistico. Revisione a cura di Maria Caterina Tecca, funzionario linguistico.
 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

TERZA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 9053/10

Hannibal MIRUTS HAGOS contro Paesi Bassi e Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (terza sezione), riunita il 27 agosto 2013 in una Camera composta da:
Josep Casadevall, presidente,
Alvina Gyulumyan,
Guido Raimondi,
Corneliu Bîrsan,
Luis López Guerra,
Nona Tsotsoria,
Johannes Silvis, giudici,
e da Santiago Quesada, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 15 febbraio 2010,
Viste le osservazioni sui fatti presentate dal Governo olandese e dal Governo italiano e i commenti presentati in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Hannibal Miruts Hagos, è un cittadino eritreo, che afferma di essere nato nel 1990. All’epoca della presentazione del ricorso, era trattenuto in un centro di espulsione a Rotterdam. È rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. I. Oomen del foro di Amsterdam. Il Governo olandese è rappresentato dal suo agente supplente L. Egmond del Ministero degli Affari Esteri. Il Governo italiano è rappresentato dal suo agente E. Spatafora e dai suoi co-agenti N. Lettieri e P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, come esposti dal ricorrente, dal Governo italiano e dal Governo olandese, si possono riassumere come segue. Alcuni fatti sono contestati dalle parti.

3. Il ricorrente veniva registrato a Lampedusa e Linosa (Italia) il 15 agosto 2007, in quanto entrato illegalmente nel territorio  dell’Unione Europea. Veniva registrato con il nome di Binyam Murst, nato in Eritrea nel 1988. Con questa identità, gli veniva concesso un permesso di soggiorno in Italia per motivi umanitari dalla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Questo permesso di soggiorno, assieme al titolo di viaggio per stranieri, validi entrambi fino al 12 settembre 2008, gli venivano consegnati dall’Ufficio immigrazione della Questura di Foggia. Non risulta che il ricorrente abbia mai cercato di rinnovare questo permesso di soggiorno. Secondo le informazioni riportate sul permesso di soggiorno, all’epoca del suo rilascio il ricorrente era residente in un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Borgo Mezzanone, Foggia.

4. Il 28 ottobre 2008, il ricorrente entrava nei Paesi Bassi, dove presentava domanda di asilo il giorno seguente, affermando di chiamarsi Hannibal Hagos (in seguito corretto in Hannibal Miruts Hagos) e di essere un cittadino eritreo, nato nel febbraio del 1990.

5. Il 19 dicembre 2008 l’esame e il confronto delle impronte digitali del ricorrente, operato nel sistema Eurodac dalle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, generava una “risposta pertinente”, dalla quale emergeva che il ricorrente era stato registrato a Lampedusa e Linosa il 15 agosto 2007.

6. Il 23 gennaio 2009 le autorità olandesi chiedevano alle autorità italiane di assumere la competenza per l’esame della domanda di asilo del ricorrente ai sensi dell’articolo 10 del Regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003 (“il Regolamento Dublino”). Dal momento che le autorità italiane non rispondevano entro due mesi, si riteneva che avessero implicitamente aderito alla richiesta.

7. Nelle audizioni davanti alle autorità olandesi competenti in materia di immigrazione, svolte il 22 dicembre 2008 e il 24 marzo 2009, il ricorrente affermava inter alia di essere fuggito dall’Eritrea dopo avere disertato dall’esercito. Era giunto in Italia passando per il Sudan e la Libia, e subito dopo il suo arrivo era stato ricoverato in ospedale, dove era rimasto tre giorni, e aveva ricevuto cure per la tubercolosi. Aveva cercato di costruirsi una vita in Italia, ma era stato difficile senza un permesso di soggiorno. Aveva soggiornato inizialmente a Foggia e successivamente a Roma. Era partito perché era affetto da tubercolosi e non poteva curarsi in Italia, dove non aveva avuto a disposizione un alloggio ed era stato aggredito con un coltello. Sebbene la polizia fosse intervenuta sul posto, egli non aveva sporto denuncia, perché per farlo era necessario possedere un permesso di soggiorno. Assieme ad altri, si era recato in Francia, per proseguire poi verso i Paesi Bassi. Era sua intenzione recarsi nel Regno Unito.

8. Il 27 marzo 2009, le autorità italiane comunicavano alle autorità olandesi che accettavano la competenza per l’esame della domanda di asilo del ricorrente.

9. Il 29 maggio 2009, il Sottosegretario di Stato alla Giustizia (staatssecretaris van Justitie) rigettava la domanda di asilo presentata dal ricorrente nei Paesi Bassi, ritenendo che, ai sensi del Regolamento Dublino, l’Italia fosse competente a esaminare tale domanda. Rilevando che il ricorrente in passato era stato affetto da tubercolosi, ma che in quel momento non necessitava di cure, il Sottosegretario di Stato riteneva che non vi fossero motivi di ordine medico o di altro genere per far valere la “clausola di sovranità” prevista dal Regolamento Dublino e, di conseguenza, per esaminare la domanda di asilo nei Paesi Bassi e astenersi dal trasferire il ricorrente in Italia.

10. Il ricorrente impugnava la decisione del 29 maggio 2009, ma il Tribunale regionale (rechtbank) dell’Aja, con sede a Zwolle, rigettava la sua impugnazione il 24 dicembre 2009. Osservava che il ricorrente affermava di non avere presentato domanda di asilo in Italia, e che ciò non era in discussione. Riteneva inoltre che non fosse stato accertato che l’Italia non rispettasse gli obblighi derivanti dai trattati internazionali nei confronti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, evidenziando che il ricorrente non aveva dimostrato fatti e circostanze personali che potessero indurre il Sottosegretario a non  fare affidamento sul principio della reciproca fiducia tra stati (interstatelijk vertrouwensbeginsel) in relazione all’Italia e al ricorrente.

11. Il 21 gennaio 2010, il ricorrente presentava un’altra impugnazione dinanzi alla Divisione della giurisdizione amministrativa del Consiglio di Stato (Afdeling Bestuursrecht van de Raad van State). Il 15 febbraio 2010, chiedeva altresì l’applicazione di una misura provvisoria affinché, in pendenza del giudizio di impugnazione, non venisse trasferito in Italia. Questa richiesta veniva rigettata il giorno successivo dal Presidente della Divisione della giurisdizione amministrativa. In data 16 settembre 2010 l’impugnazione del ricorrente veniva respinta dalla Divisione della giurisdizione amministrativa, che confermava la sentenza del 24 dicembre 2009 impugnata. Tale decisione non può essere ulteriormente impugnata.

B. Gli sviluppi successivi alla presentazione del ricorso

12. Il ricorso veniva presentato dinanzi alla Corte il 15 febbraio 2010. Il 16 febbraio 2010, a seguito del rigetto della richiesta del ricorrente di misura provvisoria da parte del Presidente della Divisione della giurisdizione amministrativa, il Presidente della Sezione decideva di rigettare la richiesta del ricorrente, ai sensi dell’articolo 39 del Regolamento della Corte, di indicare al Governo olandese di sospendere il suo trasferimento in Italia. I Governi olandese e italiano venivano informati della decisione.

13. Veniva chiesto al Governo olandese di comunicare alla Corte se e quando il ricorrente sarebbe stato trasferito in Italia, e al Governo italiano di informare la Corte degli sviluppi di un’eventuale domanda di asilo presentata dal ricorrente e del luogo in cui sarebbe stato detenuto, qualora fosse stato sottoposto a detenzione al suo arrivo in Italia (articolo 49 § 3 (a)).

14. Il 26 febbraio 2010, il Governo olandese comunicava alla Corte che il trasferimento del ricorrente in Italia era programmato per il 1° marzo 2010.

15. Con una e-mail inviata dal ricorrente l’11 marzo 2010 al suo avvocato olandese, scritta in cattivo inglese, ma comprensibile, questi informava l’avvocato che dopo il suo arrivo in Italia era stato detenuto per sei giorni a Roma e che, al momento del rilascio, era stato invitato a lasciare l’Italia entro cinque giorni, dato che non aveva un permesso di soggiorno. Scriveva anche di non avere niente da mangiare e da bere e di avere l’influenza.

16. Il 6 aprile 2010, il Governo italiano comunicava alla Corte che, dal casellario giudiziale penale non emergevano procedimenti penali in corso né condanne a carico del ricorrente. Il 16 giugno 2010, il Governo italiano presentava osservazioni sui fatti riguardanti la situazione del ricorrente in Italia dopo il suo trasferimento del 1° marzo 2010. Il ricorrente presentava commenti in risposta il 23 luglio 2010.

17. Nel frattempo, in data imprecisata, ma comunque nella prima metà del mese di giugno del 2010, il ricorrente era ritornato nei Paesi Bassi, dove si trova attualmente e dove, in data 4 aprile 2012, presentava una nuova domanda di asilo.

18. In una dichiarazione non datata, scritta dal ricorrente in lingua tigrina, questi raccontava il suo trasferimento, il 1° marzo 2010, dai Paesi Bassi all’Italia, scortato da due funzionari delle forze dell’ordine olandesi che lo avevano consegnato alla polizia di Roma, la quale lo aveva sottoposto a rilievo dattiloscopico e trattenuto per tre giorni. Quando veniva rilasciato, gli venivano consegnati tre documenti, di cui non comprendeva il contenuto. Gli veniva detto di lasciare l’Italia entro cinque giorni. Si era poi recato a Milano, dove era stato arrestato dalla polizia e trattenuto per sei giorni. Una volta rilasciato, gli era stato ripetuto che doveva lasciare l’Italia. Di seguito si era recato in una località chiamata Loji [sic], dove era rimasto per due mesi, dormendo alla stazione ferroviaria. Da lì si era recato nuovamente nei Paesi Bassi.

19. Il 5 agosto 2010, veniva chiesto al Governo italiano di presentare ulteriori osservazioni sui fatti riguardanti la situazione del ricorrente in Italia dopo il suo trasferimento dai Paesi Bassi il 1° marzo 2010. Il Governo italiano faceva pervenire la sua replica in data 15 settembre 2010 e i commenti in risposta del ricorrente venivano presentati il 26 ottobre 2010.

20. Secondo le informazioni presentate dal Governo italiano, il ricorrente era arrivato all’aeroporto di Roma Fiumicino il 1° marzo 2010. Dopo il suo arrivo, le autorità italiane del Servizio di assistenza per richiedenti la protezione internazionale all’aeroporto di Fiumicino – che, informate dell’arrivo del ricorrente, avevano condotto indagini che avevano rivelato che il ricorrente aveva ricevuto dalla Questura di Foggia un permesso di soggiorno per motivi umanitari sotto un’altra identità e che avrebbe dovuto presentarsi a quella Questura il 4 gennaio 2010 o successivamente – avevano chiesto al ricorrente di recarsi alla Questura di Foggia per regolarizzare il suo soggiorno in Italia.  A tal fine, gli avevano consegnato una convocazione scritta, redatta nelle lingue italiana, francese, spagnola e inglese. Il Governo italiano dichiarava inoltre che il ricorrente non si era mai presentato alla Questura di Foggia per rinnovare il permesso di soggiorno e che la Questura di Milano non aveva mai avuto contatti con il ricorrente.

21. Il ricorrente confermava che, quando era stato rilasciato dopo essere stato trattenuto per tre giorni, aveva ricevuto e firmato la convocazione nonché altri documenti, di cui non aveva compreso il contenuto, dal momento che non è in grado di parlare né di leggere le lingue inglese, italiana, spagnola o francese. Immediatamente dopo essere stato allontanato dall’aeroporto di Fiumicino, si era messo in viaggio per Foggia, dove era arrivato il giorno seguente e si era subito recato all’Ufficio immigrazione della Questura, trovandovi alle 9 di mattina una lunga fila di circa cinquanta persone, che aspettavano fuori dell’edificio. Quando l’ufficio chiudeva alle ore 13.30, era ancora in fila ad aspettare. Dopo avere fatto la fila, senza successo, anche il secondo giorno, il terzo giorno era riuscito a mostrare i documenti all’agente di polizia che si trovava all’entrata. Quest’ultimo gli aveva comunicato che avrebbe dovuto presentarsi entro tre giorni e lo aveva mandato via. Due giorni dopo, il ricorrente era riuscito ad arrivare in testa alla fila e a consegnare i documenti. Lo avevano fatto entrare in ufficio, ma, invece di condurlo al piano superiore, dove venivano rinnovati i permessi di soggiorno, era stato portato in un ufficio al pianterreno. Quando si rendevano conto che non parlava né italiano né inglese, uno straniero in fila che parlava la lingua tigrina veniva invitato a tradurre. Questa persona gli aveva detto che i permessi di soggiorno venivano rinnovati al piano superiore e che le convocazioni venivano trattate al pianterreno. Il funzionario dell’immigrazione che si occupava del ricorrente gli aveva comunicato che non esisteva una pratica a nome del signor Miruts Hagos o Hannibal Hagos e che l’Italia non lo aveva mai invitato a rientrare dai Paesi Bassi. Aveva dovuto di nuovo firmare dei documenti ed era stato sottoposto ancora una volta a rilievo dattiloscopico. Gli avevano poi detto di non tornare ed era stato mandato via. Avrebbe voluto dire al funzionario che non aveva un posto dove andare e che aveva bisogno di aiuto e di assistenza, ma l’interprete gli aveva consigliato di non farlo perché altrimenti sarebbe stato picchiato. Dai commenti presentati dal ricorrente non sembra potersi evincere che egli abbia fatto presente all’Ufficio immigrazione della Questura di Foggia che esso lo conosceva anche con il nome di Binyam Murst.

22. Il 5 agosto 2010, veniva chiesto al Governo italiano di presentare ulteriori osservazioni sui fatti inerenti alla situazione del ricorrente in Italia. Il Governo italiano le presentava il 24 marzo 2011 e i commenti del ricorrente in risposta venivano depositati il 3 maggio 2011.

23. Secondo il Governo italiano, il ricorrente – arrivato in Italia il 1° marzo 2010 e invitato dalle autorità italiane a presentarsi alla Questura di Foggia – non aveva fatto presente di non disporre di denaro per pagarsi il viaggio a Foggia. Il Governo italiano faceva inoltre presente che, secondo le informazioni ottenute dalla Questura di Foggia, il ricorrente non si era mai presentato in quella sede per chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno.

24. Il ricorrente sosteneva di non avere mai visto il permesso di soggiorno italiano né il titolo di viaggio per stranieri che riferivano di avergli rilasciato. Inoltre, la firma del titolare apposta su questi documenti era diversa dalla sua, come si poteva chiaramente evincere dal confronto con la sua firma nella domanda di asilo che aveva presentato nei Paesi Bassi. Il ricorrente confermava che la convocazione del 1° marzo 2010 recava la sua firma. Tuttavia, per la sensazione di sollievo che aveva provato quando era stato rilasciato dalla detenzione a Roma, non aveva osato fare presente che non disponeva né di mezzi né di denaro per raggiungere Foggia.

25. Il 7 maggio 2012, le autorità olandesi chiedevano alle autorità italiane di riprendere in carico il ricorrente ai sensi dell’articolo 16 del Regolamento Dublino. Dal momento che le autorità italiane non rispondevano entro il termine stabilito, si riteneva che avessero implicitamente aderito a tale richiesta.

26. Il 23 luglio 2012, la nuova domanda di asilo presentata dal ricorrente il 4 aprile 2012 veniva rigettata dal Ministro per l’immigrazione, l’integrazione e l’asilo (Minister voor Immigratie, Integratie en Asiel). Il Ministro giudicava che, ai sensi del Regolamento Dublino, l’Italia era competente a esaminare la domanda di asilo del ricorrente e non riteneva dimostrato che l’Italia non stesse ottemperando agli obblighi derivanti dai trattati internazionali nei confronti del ricorrente. Quest’ultimo proponeva impugnazione e chiedeva contestualmente al Tribunale regionale dell’Aja  di adottare una misura provvisoria. L’udienza dinanzi al Tribunale regionale dell’Aja, con sede a Haarlem, era fissata per il giorno 23 aprile 2013. Non sono state fornite ulteriori informazioni su questa procedura.

C. Il diritto e la prassi pertinenti dell’Unione Europea, dell’Italia e dei Paesi Bassi

27. Il diritto, gli strumenti, i principi e la prassi pertinenti dell’Unione Europea, dell’Italia e dei Paesi Bassi in materia di procedure di asilo, accoglienza e trasferimento dei richiedenti asilo ai sensi del Regolamento Dublino sono stati di recente sintetizzati in maniera esaustiva in Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia ((dec.), n. 27725/10, §§ 25-28 e 33-50, 2 aprile 2013); Daybetgova e Magomedova c. Austria ((dec.), n. 6198/12, §§ 25 29 e §§ 32-39, 4 giugno 2013); Halimi c. Austria e Italia ((dec.), n. 53852/11, §§ 21-25 e §§ 29-36, 18 giugno 2013); e Abubeker c. Austria e Italia (dec.), n. 73874/11, §§ 31-34 e §§ 37-41, 18 giugno 2013).

MOTIVI DI RICORSO

28. Il ricorrente lamenta che le autorità olandesi, trasferendolo in Italia pur essendo o dovendo essere consapevoli delle carenze della legislazione e  della prassi italiane in materia di asilo, lederebbero i suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Senza un esame nei Paesi Bassi sul tipo di trattamento che egli rischierebbe di subire in Eritrea, l’espulsione verso l’Italia lo esporrebbe al rischio di respingimento dall’Italia verso l’Eritrea, senza che la sua domanda di asilo e i motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 3 siano stati debitamente esaminati in Italia.

29. Il ricorrente lamenta altresì, ai sensi dell’articolo 3, che non gli  verrebbe garantito un esame adeguato della sua domanda di  asilo/ protezione internazionale in Italia, con il conseguente rischio di respingimento dall’Italia verso l’Eritrea.

30. Il ricorrente lamenta infine che, in relazione ai motivi di ricorso sopra esposti, non dispone di un ricorso effettivo, come garantito dall’articolo 13 della Convenzione.

IN DIRITTO

31. Il ricorrente lamenta che i Paesi Bassi, trasferendolo in Italia, avevano leso e lederanno i suoi diritti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, dal momento che la sua domanda di asilo non sarà esaminata adeguatamente in Italia.
L’articolo 3 della Convenzione recita:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

32. La Corte rileva anzitutto che il ricorrente è istruito e sembra avere una conoscenza elementare della lingua inglese (si vedano i §§ 15 e 18 supra). La Corte ritiene accertato che il ricorrente, identificato mediante le impronte digitali nella banca dati Eurodac, fatto che esclude un errore di identità, entrava in Italia il 15 agosto 2007, dove, con un’identità diversa da quella che avrebbe successivamente fornito alle autorità olandesi, presentava una domanda di protezione internazionale, in base alla quale la competente Commissione territoriale gli rilasciava un permesso di soggiorno in Italia per motivi umanitari, valido fino al 12 settembre 2008 e che, quando questo permesso di soggiorno veniva emesso, il ricorrente era alloggiato in un centro di accoglienza per richiedenti asilo a Borgo Mezzanone, Foggia.

33. La Corte osserva inoltre che, in data 28 ottobre 2008, il ricorrente entrava nei Paesi Bassi e, con un’identità diversa da quella precedentemente fornita alle autorità italiane, presentava domanda di asilo nei Paesi Bassi. Dopo che il ricorrente veniva identificato nella banca dati Eurodac quale persona la cui domanda di asilo era di competenza dell’Italia ai sensi del Regolamento Dublino, le autorità olandesi chiedevano ai loro omologhi italiani di accettare tale competenza, che l’Italia assumeva in data 27 marzo 2009. Non ravvisando motivi di ordine medico o di altro genere per far valere la clausola di sovranità prevista dal Regolamento Dublino, il ricorrente veniva trasferito in Italia il 1° marzo 2010, mentre le autorità italiane erano state informate anticipatamente del suo arrivo.

34. La Corte ritiene inoltre accertato che il ricorrente, dopo essere stato consegnato dai due funzionari delle forze dell’ordine olandesi alle autorità italiane all’aeroporto di Roma Fiumicino, veniva informato da queste ultime che doveva presentarsi all’Ufficio immigrazione della Questura di Foggia – che aveva emesso il primo permesso di soggiorno – al fine di rinnovarlo. Sebbene il ricorrente lamenti di essere stato detenuto a Roma per diversi giorni, la Corte non ha trovato alcun riscontro a questa parte del suo racconto nel fascicolo. Sembra inoltre che il ricorrente, quando si presentava all’Ufficio immigrazione della Questura di Foggia, non abbia  detto, quando gli comunicavano che non risultava una pratica a nome di Miruts Hagos o Hannibal Hagos, che l’Ufficio lo conosceva con il nome di Binyam Murst (si vedano i §§ 3, 4 e 21 supra), motivo per cui la sua pratica non veniva trovata.

35. La Corte rammenta anzitutto i principi generali pertinenti ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, recentemente delineati nella decisione sulla ricevibilità relativa alle cause Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia (sopra citata, §§ 65-71) e Daybetgova e Magomedova c. Austria (sopra citata, §§ 58-64). Rammenta altresì che se un ricorrente non è stato ancora trasferito quando la Corte esamina la causa, la data da prendere in considerazione per la valutazione dell’esistenza del rischio di trattamento contrario all’articolo 3 è quella della procedura dinanzi alla Corte (si veda Saadi c. Italia [GC], n. 37201/06, § 133, CEDU 2008, e A.L. c. Austria, n. 7788/11, § 58, 10 maggio 2012). È necessaria una valutazione completa, dal momento che la situazione nel paese di destinazione può cambiare nel corso del tempo (si veda Salah Sheekh c. Paesi Bassi, n. 1948/04, § 136, 11 gennaio 2007).

36. La Corte è dell’opinione che il ricorrente debba essere considerato un richiedente asilo visto che, pur essendo già stato accolto in passato in Italia per motivi umanitari, non possiede attualmente un permesso di soggiorno italiano valido. Di conseguenza dovrà presentare una nuova domanda di protezione internazionale in Italia, in caso di trasferimento in tale luogo.

37. A tale riguardo, la Corte non ha trovato indicazione nel fascicolo che il ricorrente, dopo essere stato trasferito in Italia in data 1° marzo 2010 ed essersi presentato all’Ufficio immigrazione della Questura di Foggia, abbia tentato di presentare una nuova domanda di protezione internazionale in Italia, che gli avrebbe consentito di essere ospitato in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e di ottenere una nuova decisione della domanda da parte della Commissione territoriale. Al contrario, nel giugno 2010 egli ritornava nei Paesi Bassi, dove – comunque non prima del 4 aprile 2012 – presentava una nuova domanda di asilo, la cui procedura sembra ancora pendente allo stato attuale.
38. Rammentando le proprie conclusioni nella causa Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia (sopra citata, § 78) e non ravvisando alcun motivo negli argomenti presentati nella causa in esame per pervenire ad altra conclusione, la Corte ritiene che, benché la situazione generale e le condizioni di vita in Italia dei richiedenti asilo siano sicuramente lungi dall’essere ideali e  possano rivelare delle lacune, non è ravvisabile una carenza sistemica nel fornire supporto o strutture di assistenza ai richiedenti asilo, come era nel caso della Grecia, così come accertato dalla Corte in M.S.S. c. Belgio e Grecia (sopra citata). Oltretutto la Corte non può concludere, anche in considerazione delle modalità con cui il ricorrente è stato trattato dalle autorità italiane dopo il primo arrivo in Italia e dopo il trasferimento del 1° marzo 2010, che egli abbia dimostrato che qualora venisse trasferito in Italia, sarebbe esposto da un punto di vista materiale, fisico o psicologico, al rischio sufficientemente reale e imminente di privazioni di gravità tale da rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3, né che egli rischierebbe di essere trasferito nel suo paese di origine. La Corte non ravvisa alcun elemento per ritenere che il ricorrente non abbia potuto beneficiare delle risorse disponibili in Italia per i richiedenti asilo o che, in caso di difficoltà, le autorità italiane non avrebbero risposto in maniera adeguata.

39. Resta da esaminare se la situazione in cui il ricorrente verrebbe probabilmente a trovarsi, in caso di trasferimento in Italia per la seconda volta, possa essere considerata incompatibile con l’articolo 3, tenendo conto della sua situazione di richiedente asilo e, in quanto tale, di membro di un gruppo di persone particolarmente svantaggiato e vulnerabile che necessita di particolare protezione (si veda M.S.S. c. Belgio e Grecia [GC], n. 30696/09, § 251, CEDU 2011).

40. Tenuto conto delle sue conclusioni in relazione al trattamento riservato al ricorrente dopo il primo arrivo in Italia e dopo il trasferimento in Italia il °1 marzo 2010, la Corte non ravvisa alcun elemento nel fascicolo che possa far pervenire a una diversa conclusione riguardo alle future prospettive di trattamento del ricorrente in Italia.

41. Ne consegue che i motivi di ricorso del ricorrente ai sensi dell’articolo 3 contro i Paesi Bassi e contro l’Italia sono manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e pertanto irricevibili in applicazione dell’articolo 35 § 4.

42. Il ricorrente lamenta inoltre, in relazione ai motivi di ricorso ai sensi dell’articolo 3, di non avere avuto un ricorso effettivo, nell’accezione dell’articolo 13, nei Paesi Bassi e/o in Italia. Tale disposizione recita:

“Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.”

43. La Corte evidenzia che, nella misura in cui i fatti lamentati rientrano nel campo di applicazione di una o più disposizioni della Convenzione, il termine “ricorso”, nell’accezione dell’articolo 13, non indica un ricorso destinato ad avere esito positivo, ma semplicemente un ricorso accessibile dinanzi a un’autorità competente a esaminare il merito di una doglianza sollevata ai sensi della Convenzione (si vedano Ivakhnenko c. Russia (dec.), n. 12622/04, 21 ottobre 2008; e Adamczuk c. Polonia (revisione), n. 30523/07, § 78, 15 giugno 2010).

44. La Corte osserva che il ricorrente non ha tentato di impugnare le azioni e/o le decisioni adottate dalle autorità italiane in merito alla domanda di protezione internazionale presentata in Italia nel 2007 e che non risulta che, dopo essere stato trasferito in Italia il 1° marzo 2010, abbia tentato di presentare una nuova domanda di protezione internazionale in tale Stato.

45. Per quanto concerne la decisione della prima domanda di asilo presentata nei Paesi Bassi, la Corte osserva che il ricorrente poteva avvalersi e si è avvalso della possibilità di impugnare la decisione del Sottosegretario di Stato alla Giustizia dinanzi al Tribunale regionale dell’Aja e alla Divisione della giurisdizione amministrativa, aggiungendo che tali organi giudiziari esaminavano e decidevano le argomentazioni del ricorrente basate sull’articolo 3 della Convenzione in relazione al suo trasferimento in Italia. Quanto alla seconda domanda di asilo nei Paesi Bassi, la Corte ritiene che questa parte del presente motivo di ricorso sia prematura, visto che l’impugnazione del ricorrente avverso la decisione di rigetto adottata dal Ministro il 23 luglio 2012 è attualmente  all’esame del Tribunale regionale dell’Aja e che un’ulteriore impugnazione è pendente dinanzi alla Divisione della giurisdizione amministrativa.

46. Ne consegue che anche questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Josep Casadevall
Presidente

Santiago Quesada
Cancelliere