Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 12 febbraio 2013 - Ricorso n.10948/05 - Giuseppe Campisi c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Anna Aragona, funzionario linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo.

Corte Europea dei Diritti dell' Uomo

Seconda Sezione

Decisione

Ricorso n. 10948/05

Giuseppe CAMPISI
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 12 febbraio 2013 in una Camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 23 febbraio 2005,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Giuseppe Campisi, è un cittadino italiano nato nel 1960, attualmente detenuto nel penitenziario di Sulmona (L’Aquila). E’ stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. F. Calabrese, del foro di Reggio Calabria.

2. I fatti della causa, così come esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.

3. Il ricorrente veniva accusato di traffico di stupefacenti. Secondo il capo di imputazione, egli sarebbe stato il punto di riferimento per il traffico di cocaina a Milano.

4. Al termine delle indagini preliminari, il ricorrente chiedeva di essere giudicato secondo il rito abbreviato, una procedura semplificata che prevede, in caso di condanna, una riduzione di pena (si veda, in particolare, la descrizione del diritto interno pertinente in Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 27-28, 17 settembre 2009, con ulteriori riferimenti).

5. Con sentenza del 30 maggio 2001, il giudice dell’udienza preliminare (di seguito il «GUP») di Reggio Calabria condannava il ricorrente a dieci anni di reclusione.

6. Il GUP osservava in particolare che il 23 maggio 1997 la corte d’assise di Palmi aveva emesso una sentenza di condanna a carico di alcune persone sospettate di far parte di un’associazione per delinquere di tipo mafioso. Il ricorrente non era imputato nel procedimento in questione, denominato «Tirreno». In seguito, venivano condotte altre indagini e una persona, M. A., in sede di interrogatorio forniva precisazioni su alcuni fatti relativi al traffico di stupefacenti, che non erano stati trattati nell’ambito del procedimento Tirreno. Tuttavia, le dichiarazioni di M. A. risultavano poco attendibili, in quanto egli aveva riferito fatti ai quali non aveva partecipato direttamente e per i quali gli inquirenti non avevano trovato riscontro. Tuttavia, gli elementi emersi nel corso del procedimento Tirreno, durante il quale il ricorrente era stato più volte menzionato, confermavano le dichiarazioni di  M. A.

7. Il ricorrente proponeva appello avverso detta sentenza. Egli eccepiva che la sentenza emessa nel procedimento Tirreno non poteva essere utilizzata a suo carico, dal momento che non era definitiva e che il ricorrente non era parte nel procedimento in questione.

8. La corte d’appello di Reggio Calabria riteneva necessaria l’audizione di quattro pentiti, interrogati nel corso delle udienze del 14 maggio e del 12 giugno 2002. Su richiesta della Procura, in data 25 giugno 2002, venivano interrogati in qualità di testi altri quattro pentiti. Una copia della sentenza Tirreno veniva acquisita agli atti del procedimento.

9. Con sentenza del 1o ottobre 2002, depositata in cancelleria il 14 novembre 2002, la corte d’appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del GUP.

10. La corte d’appello osservava innanzi tutto che, nelle parti passate in giudicato, la sentenza Tirreno era pertinente ai fini della decisione. In particolare, la sentenza aveva accertato l’esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso, nonché i settori della sua attività – fra i quali il traffico di stupefacenti. Il ruolo del ricorrente nel traffico di stupefacenti era stato dimostrato sulla base delle dichiarazioni dei pentiti interrogati in udienza, ritenute attendibili alla luce dei principi enunciati in materia dalla Corte di cassazione. Indipendentemente dal contenuto della sentenza Tirreno, dette dichiarazioni provavano i legami del ricorrente con l’organizzazione criminale ed il suo ruolo nel commercio di ingenti quantità di stupefacenti sul mercato milanese.

11. Il ricorrente proponeva ricorso per cassazione.

12. Con sentenza del 9 giugno 2004, depositata in cancelleria il 9 settembre 2004, la Corte di cassazione, ritenendo che la corte d’appello avesse motivato in modo logico e corretto tutti i punti contestati, rigettava il summenzionato ricorso.

13. La Corte di cassazione osservava che il ricorrente aveva contestato, tra l’altro, la sua condanna per un fatto diverso rispetto a quello indicato nel capo di imputazione, che menzionava «contatti con fornitori esteri». Secondo il ricorrente, nel corso del processo non sarebbe stata acquisita alcuna prova di tali contatti. La Corte di cassazione rilevava tuttavia che l’interessato era stato accusato di essersi associato con numerose altre persone al fine di acquistare, trasportare, detenere e cedere cocaina e per tale reato era stato condannato, mentre ogni altro dettaglio contenuto nel capo di imputazione specificava semplicemente le modalità di esecuzione della condotta criminale.

14. Inoltre, anche nell’ambito del rito abbreviato, il giudice poteva disporre l’acquisizione di nuove prove – nel caso di specie, l’audizione di testimoni – ove necessario ai fini della decisione (articolo 441 c. 5 del codice di procedura penale – il CPP). Infine, la sentenza Tirreno era divenuta definitiva.

MOTIVO DI RICORSO

15. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta la mancanza di equità del procedimento a suo carico.

IN DIRITTO

16. Secondo il ricorrente, il procedimento penale condotto a suo carico non era stato equo. Egli invoca l’articolo 6 della Convenzione, che, nelle parti pertinenti, recita:

«1.  Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (...) da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti (...).

3.  In particolare, ogni accusato ha diritto di:

a)  essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;

b)  disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

(...) ;
d)  esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;
(...).»

17. Il ricorrente sostiene che la sua condanna si basa sul contenuto  della sentenza Tirreno, pronunciata al termine di un procedimento nel quale egli non era parte. Il medesimo sottolinea al riguardo che il GUP non aveva ritenuto attendibile M. A. e che le dichiarazioni di quest’ultimo rappresentavano il solo elemento a suo carico. Quanto alla decisione della corte d’appello di interrogare altri pentiti, questa sarebbe stata illegittima, in quanto non motivata, nonché in contrasto con la ragion d’essere del rito abbreviato, ossia l’intenzione dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti durante l’udienza preliminare. Infine, il ricorrente ritiene di essere stato condannato per un fatto diverso rispetto a quello menzionato nel capo di imputazione che cita i contatti intrattenuti con i fornitori esteri, implicando quindi un’attività precedente all’introduzione delle sostanze stupefacenti in territorio italiano.

18.  La Corte rammenta che le esigenze del paragrafo 3 dell’articolo 6 rappresentano degli aspetti particolari del diritto a un processo equo sancito dal paragrafo 1 della citata disposizione, di cui occorre tener conto per valutare l’equità del procedimento. Inoltre, esaminando un motivo di ricorso basato sull’articolo 6 § 1, la Corte deve essenzialmente stabilire se il procedimento penale sia stato complessivamente equo (Taxquet c. Belgio [GC], n. 926/05, § 84, 16 novembre 2010). A tal fine, essa prende in considerazione il procedimento nel suo insieme (Al-Khawaya e Tahery c. Regno Unito [GC], nn. 26766/05 e 22228/06, § 118, 15 dicembre 2011).

19. La Corte osserva che nella sentenza del 23 maggio 1997, il GUP di Reggio Calabria ha ritenuto che il principale accusatore del ricorrente, M. A., non fosse molto attendibile, avendo parlato di fatti ai quali non aveva partecipato direttamente e per i quali gli inquirenti non avevano trovato elementi di riscontro (paragrafo 6 supra). Tuttavia, secondo il GUP, le dichiarazioni di M. A. potevano essere confermate dalla sentenza emessa dalla corte d’assise di Palmi nel procedimento Tirreno, nella quale il ricorrente era più volte menzionato. In tali condizioni, si potrebbe ritenere che la condanna del ricorrente in primo grado si basasse in parte sul contenuto di questa sentenza. Non essendo parte nel procedimento Tirreno, il ricorrente non aveva avuto occasione adeguata e sufficiente di contestare gli elementi presentati nel corso del medesimo, né di influire sul contenuto della sentenza della corte d’assise di Palmi.

20. La Corte ritiene che una tale situazione, nella quale un imputato è condannato, tra l’altro, sulla base di conclusioni alle quali i giudici nazionali sono pervenuti senza la sua partecipazione in un procedimento distinto e separato, potrebbe porre un problema sotto il profilo dell’articolo 6 della Convenzione. In effetti, l’articolo 6 § 3 d) consacra il principio secondo il quale, prima che un imputato possa essere dichiarato colpevole, tutti gli elementi a carico devono in linea di principio essere prodotti in pubblica udienza ed in sua presenza, ai fini di un dibattimento in contraddittorio. Tale principio ha delle eccezioni, che possono essere ammesse solo fatti salvi i diritti della difesa; di norma, questi ultimi impongono di garantire all’imputato una possibilità adeguata e sufficiente di contestare le testimonianze a carico e di interrogare i testi, sia al momento della deposizione, sia in una fase successiva (Lucà c. Italia, n. 33354/96, § 39, CEDU 2001-II; Solakov c. «ex Repubblica jugoslava di Macedonia», n. 47023/99, § 57, CEDU 2001 X; e Al Khawaya e Tahery, loc. cit.).

21. Si ravvisano di conseguenza, quanto all’equità del procedimento di primo grado, delle carenze che hanno potuto nuocere alla situazione del ricorrente.

22. Tuttavia, la Corte ritiene che il procedimento d’appello abbia posto rimedio a tali carenze (si vedano, mutatis mutandis, Twalib c. Grecia, 9 giugno 1998, §§ 41 43, Recueil des arrêts et décisions 1998-IV, e Jones c. Regno Unito (dec.), n. 30900/02, 9 settembre 2003).

23. In effetti, la corte d’appello di Reggio Calabria ha disposto la convocazione e l’audizione testimoniale di otto pentiti, ai quali gli avvocati del ricorrente hanno potuto porre le domande ritenute utili ai fini della difesa del loro assistito (paragrafo 8 supra). Avvalendosi della sua facoltà di valutare i fatti (si veda, tra molte altre, Pacifico c. Italia (n. 2) (dec.), n. 17995/08, 20 novembre 2012), la corte d’appello ha ritenuto che le dichiarazioni rese dai suddetti testimoni fossero attendibili e che il ricorrente avesse il compito di vendere sul mercato milanese ingenti quantità di stupefacenti. Essa si è basata sulla sentenza emessa nel procedimento Tirreno unicamente per accertare l’esistenza di un’associazione per delinquere di tipo mafioso, con i relativi settori di attività, e non già per dimostrare la partecipazione del ricorrente all’associazione ovvero la sua colpevolezza (paragrafo 10 supra).

24. Quanto all’argomento del ricorrente, secondo il quale l’audizione testimoniale degli otto pentiti sarebbe illegittima, in quanto in contrasto con la ragion d’essere del rito abbreviato  (vale a dire l’intenzione dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti), la Corte rammenta che il rito abbreviato comporta innegabili vantaggi per l’imputato: in caso di condanna, egli beneficia di una notevole riduzione di pena ed il pubblico ministero non può proporre appello avverso le sentenze di condanna, salvo che si tratti di sentenze che modificano il titolo del reato. Per contro, il rito abbreviato prevede minori garanzie procedurali, fra quelle previste dal diritto interno, in particolare in relazione alla pubblicità del dibattimento ed alla possibilità di chiedere la produzione di elementi di prova non contenuti nel fascicolo del pubblico ministero (Kwiatkowska c. Italia (dec.), n. 52868/99, 30 novembre 2000 ; Hermi c. Italia [GC], n. 18114/02, § 78, CEDU 2006-XII; e Hany c. Italia (dec.), n. 17543/05, 6 novembre 2007). In effetti, nel rito abbreviato, le parti devono basarsi sui documenti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero, anche se, a titolo eccezionale, possono essere ammesse prove orali (Scoppola c. Italia (n. 2) [GC], n. 10249/03, §§ 27 e 134, 17 settembre 2009).
25. Una di queste eccezioni è prevista dall’articolo 441 c. 5 del CPP, ai sensi del quale quando il giudice ritiene di non poter decidere allo stato degli atti assume, anche d’ufficio, gli elementi necessari ai fini della decisione (Hermi, sopra citata, § 28 – si veda altresì il paragrafo 14 supra). La Corte non ritiene che tale eccezione, o la sua applicazione al caso di specie da parte della corte d’appello, abbia recato pregiudizio ai principi dell’equo processo. 

26. Nella causa Scoppola (sopra citata, § 139), la Corte ha rilevato che, se è vero che gli Stati contraenti non sono costretti dalla Convenzione a prevedere delle procedure semplificate, rimane comunque il fatto che, quando tali procedure esistono e vengono adottate, i principi del processo equo impongono di non privare arbitrariamente un imputato dei vantaggi ad esse connessi. È contrario al principio della certezza del diritto e della tutela della fiducia legittima delle persone sottoposte a giudizio che uno Stato possa, in maniera unilaterale, ridurre i vantaggi derivanti dalla rinuncia ad alcuni diritti inerenti al concetto di equo processo. 

27. A parere della Corte, nel presente caso non è avvenuto nulla di simile, in quanto il ricorrente ha beneficiato della riduzione di pena prevista dalla scelta del rito abbreviato ed il pubblico ministero non ha proposto appello avverso la sentenza di condanna di primo grado.  

28.Per quanto concerne infine l’affermazione del ricorrente, secondo la quale egli sarebbe stato condannato per un fatto diverso da quello citato al capo di imputazione (paragrafo 17 in fine supra), la Corte rammenta che le  disposizioni dell’articolo 6 § 3 a) della Convenzione implicano la necessità di eseguire con estrema cura la notifica dell’«accusa» all’interessato. L’atto d’accusa svolge un ruolo determinante nel procedimento penale: a decorrere dalla sua notifica, la persona imputata viene ufficialmente informata del fondamento giuridico e fattuale delle accuse mosse nei suoi confronti (Kamasinski c. Austria, 19 dicembre 1989, § 79, serie A n. 168). Peraltro, l’articolo 6 § 3 a) riconosce all’imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, vale a dire dei fatti materiali addebitatigli sui quali si basa l’imputazione, ma anche, in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica attribuita a tali fatti (Pélissier e Sassi c. Francia [GC], n. 25444/94, § 51, CEDU 1999-II)). In materia penale, la notifica precisa e completa all’imputato delle accuse mosse nei suoi confronti – e quindi della qualificazione giuridica che il giudice potrebbe formulare a suo carico – è una condizione essenziale dell’equità del procedimento (Pélissier e Sassi, sopra citata, § 52).

29. Certamente, la portata dell’informazione «dettagliata» prevista dalla disposizione in questione varia a seconda delle particolari circostanze della causa; tuttavia, l’imputato deve in ogni caso disporre di elementi sufficienti per comprendere pienamente le accuse mosse a suo carico allo scopo di preparare adeguatamente la sua difesa. Al riguardo, l’adeguatezza delle informazioni deve essere valutata dal punto di vista del comma b) del paragrafo 3 dell’articolo 6, che riconosce a ogni persona il diritto di disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie per preparare la sua difesa (Mattoccia c. Italia, n. 23969/94, § 60, CEDU 2000-IX).

30. Nel caso di specie, le doglianze del ricorrente riguardano il fatto che il capo di imputazione menzionava «contatti intrattenuti con fornitori esteri», i quali non sarebbero stati provati nel corso del processo. La Corte di cassazione, tuttavia, ha ritenuto che la suddetta precisazione serviva solo a specificare le modalità di esecuzione della condotta criminale (paragrafo 13 supra).

31. La Corte rileva innanzi tutto che la qualificazione penale dei fatti addebitati al ricorrente non è mutata nel corso del processo (si veda, mutatis mutandis, Hermida Paz c. Spagna (dec.), n. 4160/02, 28 gennaio 2003). Inoltre, l’esistenza di contatti con fornitori esteri era solo un dettaglio che non ha sostanzialmente modificato i fatti principali addebitati al ricorrente, per i quali il medesimo è stato giudicato e condannato (si veda, mutatis mutandis, Hermida Paz, decisione sopra citata). La Corte rammenta altresì che la Convenzione non vieta ai giudici nazionali di precisare, sulla base degli elementi prodotti nel corso del pubblico dibattimento e portati a conoscenza dell’imputato, le modalità di esecuzione del reato al medesimo addebitato (Previti c. Italia (n. 2) (dec.), n. 45291/06, § 209, 8 dicembre 2009).

32. Infine, il ricorrente era a conoscenza della presunta assenza di prove relative ai contatti con i fornitori esteri ben prima della fine del processo ed ha dunque avuto occasione di organizzare la difesa in funzione di questa circostanza e di consultare i suoi avvocati sul punto (si veda, mutatis mutandis, D.C. c. Italia (dec.), n. 55990/00, 28 febbraio 2002).

33. Alla luce di quanto precede, la Corte non ravvisa nel procedimento penale contro il ricorrente, considerato nel suo insieme, alcuna parvenza di violazione dei principi del processo equo.

34. Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Danutė Jočienė
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto