Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 giugno 2013 - Ricorso n.73874/11 - Mohammed Abubeker c. Austria e Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Lucia Lazzeri, funzionario linguistico. Revisione a cura di Lucia Lazzeri e Maria Caterina Tecca.

Corte Europea dei Diritti dell' Uomo

Prima Sezione

Decisione

Ricorso n. 73874/11

Mohammed ABUBEKER
contro Austria e Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita il 18 giugno 2013 in una camera composta da:
Isabelle Berro-Lefèvre, presidente,
Elisabeth Steiner,
Guido Raimondi,
Khanlar Hajiyev,
Mirjana Lazarova Trajkovska,
Julia Laffranque,
Linos-Alexandre Sicilianos, giudici,
e da Søren Nielsen, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 30 novembre 2011,
Vista la misura provvisoria indicata all’Austria ai sensi dell’articolo 39 del regolamento della Corte,
Viste le osservazioni presentate dai Governi convenuti e quelle presentate in risposta dal ricorrente,
Dopo avere deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Mohammed Abubeker, apolide, è nato nel 1967 e risiede attualmente a Traiskirchen. È rappresentato dall’avv. N. Lorenz del foro di Vienna.

2. Il Governo austriaco è rappresentato dal suo agente, ambasciatore H. Tichy, Capo del Dipartimento per il diritto internazionale del Ministero federale degli affari europei e internazionali. Il Governo italiano è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

3. I fatti della causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

1. La procedura di asilo e il soggiorno in Italia

4. Il ricorrente entrava in Italia il 3 agosto 2007, dove in primo luogo veniva sottoposto a rilievo dattiloscopico ad opera della questura di Crotone. Si annotava che il ricorrente era nato nel 1967 in Eritrea e che era entrato nell’Unione Europea illegalmente. Successivamente veniva trasferito nel centro di accoglienza “S. Anna” nell’Isola di Capo Rizzuto, dove il 29 agosto 2007 veniva nuovamente sottoposto a rilievo dattiloscopico e registrato come richiedente asilo.

5. Il 14 settembre 2007 la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale deliberava che il ricorrente non aveva diritto al riconoscimento dello status di rifugiato, ma che possedeva i requisiti per ottenere protezione per motivi umanitari. Pertanto gli rilasciava un permesso di soggiorno per motivi umanitari e un titolo di viaggio, entrambi validi fino al 13 settembre 2008. Secondo gli atti a disposizione delle autorità, il ricorrente, dopo avere ricevuto i documenti, si allontanava di propria volontà dal centro di accoglienza.

6. Sembra che il ricorrente si sia successivamente recato in Germania. In data 8 febbraio 2008 la Germania chiedeva all’Italia di riprenderlo in carico ai sensi dell’articolo 16 § 1 c del regolamento del Consiglio (EC) n. 343/2003 del 18 febbraio 2003 (“il regolamento Dublino II”, di seguito denominato “il regolamento Dublino”). L’Italia accettava la competenza e il 22 aprile 2008 il ricorrente veniva trasferito in Italia.

7. Dal 22 maggio 2008 al 17 maggio 2009, il ricorrente era ospitato in una struttura del “Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati” (di seguito denominata “SPRAR”), dalla quale si allontanava volontariamente. Dagli atti si evince che in data 1° agosto 2008 il ricorrente alloggiava in un centro appartenente al Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati a Roma.

8. Il 7 luglio 2009 la questura di Roma rilasciava al ricorrente un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria valido fino al 7 luglio 2012.

2. La procedura di asilo in Austria

9. Nel novembre 2010 il ricorrente si recava in Austria, dove veniva tratto in arresto ai fini dell’espulsione. Il 19 febbraio 2011 presentava domanda di asilo in Austria. Il ricorrente affermava di non volere ritornare in Italia, dove sarebbe stato costretto a dormire per strada e non avrebbe avuto accesso a mezzi di sostentamento, alloggio e vitto. In Italia gli era stato rilasciato un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma aveva restituito la sua carta d’identità alle autorità, poiché voleva il riconoscimento dello status di rifugiato a pieno titolo. Faceva presente che soffriva di diabete, asma e allergia agli acari della polvere e che aveva problemi psicologici.

10. Il 9 aprile 2011 l’Ufficio federale per l’asilo (Bundesasylamt) respingeva la domanda di asilo del ricorrente e dichiarava che l’Italia era competente a svolgere la procedura di asilo ai sensi dell’articolo 16 § 2 del regolamento Dublino. Ordinava altresì che il ricorrente fosse trasferito in Italia. L’Ufficio federale per l’asilo non accoglieva le rivendicazioni del ricorrente in merito ai gravi problemi medici e psicologici che dichiarava di avere. Facendo riferimento ai rapporti redatti sull’Italia, concludeva che in Italia il ricorrente avrebbe avuto accesso a mezzi di sostentamento e che il suo trasferimento in quel luogo non avrebbe costituito una violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

11. Il ricorrente impugnava tale decisione. Il 2 maggio 2011 la Corte per l’asilo (Asylgerichtshof) concedeva un effetto sospensivo all’impugnazione proposta dal ricorrente.

12. Il 12 maggio 2011 la Corte per l’asilo annullava la decisione adottata dall’Ufficio federale per l’asilo, ordinando di raccogliere ulteriori informazioni sull’Italia nell’ambito di una nuova procedura, di indagare quale titolo di residenza avrebbe avuto il ricorrente in Italia in caso di un suo trasferimento in quel luogo e di compiere ulteriori accertamenti riguardo al suo stato di salute.

13. Di conseguenza, il 20 giugno 2011 l’Ufficio federale per l’asilo contattava l’Unità Dublino in Italia chiedendo informazioni sul titolo di soggiorno che il ricorrente avrebbe avuto in Italia e sulla possibilità per lo stesso di avere accesso al farmaco Metamorphin in Italia. Queste richieste di informazioni venivano rinnovate e precisate il 6 luglio, il 21 luglio e il 1° agosto 2011. L’Unità Dublino in Italia rispondeva alle autorità austriache che i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione sussidiaria avevano accesso a mezzi di sostentamento e a supporto sanitario.

14. Il 20 ottobre 2011 l’Ufficio federale per l’asilo respingeva nuovamente la domanda di asilo del ricorrente ai sensi del regolamento Dublino e ordinava il trasferimento del ricorrente in Italia. Dai rapporti sull’Italia relativi agli anni 2009, 2010 e 2011 concludeva che lo “SPRAR” offriva alloggi e altre forme di sostegno a circa 3.000 richiedenti asilo per un periodo di sei mesi. Inoltre erano disponibili 2.000 posti in centri di accoglienza, ove i richiedenti asilo restavano al massimo sei mesi, anche se erano previste eccezioni per le persone vulnerabili. Oltre a queste strutture,  enti privati e comuni mettevano a disposizione dei richiedenti asilo posti letto e strutture di ricovero. Secondo i suddetti rapporti, i richiedenti asilo avevano accesso a mezzi di sostentamento e supporto sanitario, quantomeno nella fase dell’esame preliminare della domanda. I richiedenti asilo tuttavia avevano diritto ad alloggio e a mezzi di sostentamento solo dopo la registrazione della domanda di asilo. Le persone trasferite ai sensi del regolamento Dublino dovevano presentarsi in questura affinché potesse essere accertato il loro status giuridico. Per avere accesso a cure mediche in ospedali pubblici, i richiedenti asilo dovevano prima registrarsi presso una unità sanitaria. Tuttavia, quelli che non erano in grado di fornire un recapito incontravano difficoltà all’atto della registrazione necessaria per ottenere cure mediche e mezzi di sostentamento. L’Ufficio federale per l’asilo, inoltre, evidenziava il fatto che nel maggio 2011 il ricorrente era stato sottoposto a visita psichiatrica, che aveva accertato un “disturbo dell’adattamento” (Anpassungsstörung). Gli era stato raccomandato di sottoporsi a terapia, ma il ricorrente non aveva seguito le cure psichiatriche che gli erano state offerte. Non era possibile dimostrare che la sua salute mentale sarebbe peggiorata. In ogni caso il ricorrente, qualora fosse stato trasferito, avrebbe avuto accesso a mezzi di sostentamento.

15. Il ricorrente impugnava tale decisione. Il 14 novembre 2011 la Corte per l’asilo concedeva, ancora una volta, un effetto sospensivo all’impugnazione proposta dal ricorrente.

16. In data 23 novembre 2011 l’Ufficio federale per l’asilo inviava una e-mail all’associazione Arciconfraternita San Trifone per comunicarle che la domanda di asilo del ricorrente era stata respinta in primo grado e che era pendente un procedimento per la nomina di un tutore (si vedano i paragrafi 22-25 infra) in previsione di un eventuale trasferimento del ricorrente in Italia, nel caso in cui l’associazione avesse voluto adottare “tutele adeguate”. Informava inoltre l’Unità Dublino in Italia del pendente procedimento per la nomina di un tutore.

17. Il 28 novembre 2011 la Corte per l’asilo rigettava l’impugnazione proposta dal ricorrente perché infondata. Richiamandosi alla direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004 recante norme minime sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, richiamandosi altresì alla direttiva 2005/85/CE del Consiglio del 1° dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato e, infine, alla direttiva 2003/9/CE del Consiglio del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo, tutte applicabili anche in relazione all’Italia, concludeva che l’Italia disponeva di una prassi di asilo ineccepibile e che offriva ai richiedenti asilo accesso ad alloggio, mezzi di sostentamento e cure mediche.

18. Quanto all’argomento proposto dal rappresentante del ricorrente, secondo il quale era ormai scaduto il termine entro il quale l’Italia poteva riassumere la competenza per esaminare la domanda di asilo del ricorrente, statuiva che il termine non era ancora scaduto, vista la decisione del 14 novembre 2011 di concessione dell’effetto sospensivo, e che l’Italia era competente a esaminare la domanda di asilo del ricorrente.

19. La Corte per l’asilo dichiarava inoltre che, diversamente dalla situazione della Grecia, non esisteva una raccomandazione dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (“l’UNHCR”) che invitasse ad astenersi dal compiere trasferimenti in Italia. Aggiungeva che i rapporti generali sull’Italia non evidenziavano per i richiedenti asilo una situazione paragonabile a quella della Grecia. Quanto alle patologie fisiche del ricorrente, affermava che quest’ultimo aveva accesso al servizio sanitario italiano. Inoltre, dichiarava di aver ordinato all’Ufficio federale per l’asilo di contattare, in caso di trasferimento, le autorità italiane al fine di assicurare che il ricorrente ricevesse in Italia opportune misure di accoglienza e il necessario sostegno sanitario.

20. Quanto alle critiche contenute nel rapporto dell’associazione Pro Asyl [una Ong tedesca] del 2011 sulla situazione dei rifugiati in Italia, asseriva che gli autori del rapporto operavano nel campo dell’orientamento per i rifugiati e che il loro programma favoriva una posizione critica nei confronti dell’Italia quale Stato di accoglienza. Inoltre, la situazione dei rifugiati sbarcati nell’Italia meridionale non era paragonabile a quella di coloro che venivano trasferiti in applicazione del regolamento Dublino. Per quanto riguarda la salute mentale del ricorrente, la Corte per l’asilo dichiarava, ancora una volta, che in Italia egli aveva accesso alle cure, rinviava alla giurisprudenza della Corte in materia, e concludeva che il suo trasferimento non avrebbe costituito  violazione dell’articolo 3.

21. In data 2 marzo 2012 la Corte costituzionale (Verfassungsgerichtshof) rigettava la domanda del ricorrente di ammissione al gratuito patrocinio e rifiutava di esaminare la sua doglianza a causa delle scarse prospettive di successo della medesima.

3. Il procedimento per la nomina di un tutore in Austria

22. Il 25 ottobre 2011 il rappresentante del ricorrente chiedeva alla Pretura di Baden (Bezirksgericht Baden) di avviare un procedimento per la nomina di un tutore per il ricorrente. Affermava di essersi reso conto, nel prestargli consulenza legale, che la salute mentale del ricorrente si era notevolmente aggravata e che sussisteva il rischio che questi non fosse in grado di portare avanti la procedura di asilo nel modo migliore per i suoi interessi.

23. Il 1° dicembre 2011, dopo una prima udienza svoltasi in data 21 novembre 2011, la Pretura di Baden nominava un tutore provvisorio  per lo svolgimento del procedimento per la nomina di un tutore e per rappresentare il ricorrente nei procedimenti dinanzi alle autorità e ai tribunali, in particolare in relazione alla procedura di asilo. In pari data, la Pretura di Baden ordinava di sottoporre il ricorrente a perizia psichiatrica, da presentare alla Pretura entro otto settimane.

24. Il 22 dicembre 2011 il rappresentante del ricorrente forniva la procura con cui il tutore lo incaricava di rappresentare il ricorrente nel procedimento dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

25. Il 20 marzo 2012 la Pretura di Baden nominava un tutore per il ricorrente, con la funzione di rappresentarlo dinanzi alle autorità e ai tribunali. Basava la sua decisione sulla perizia che aveva diagnosticato al ricorrente una grave menomazione psicologica, la cui manifestazione clinica era paragonabile alla schizofrenia paranoide acuta. Il ricorrente soffriva di delirio bizzarro, che assorbiva i suoi sentimenti e i suoi pensieri. Era molto irritabile e totalmente preso dal delirio di essere perseguitato da satanisti malati di aids. Il ricorrente, almeno in passato, aveva associato il suo stato psicotico ad allucinazioni in cui veniva torturato e manovrato da spiriti. Il ricorrente soffriva inoltre di allucinazioni nelle quali Satana assumeva le sembianze di una leonessa.

4. La riapertura della procedura di asilo in Austria

26. Il 14 maggio 2012 la Corte per l’asilo, su domanda del ricorrente, ordinava all’Ufficio federale per l’asilo di riaprire la procedura del ricorrente. Faceva ampiamente riferimento alla perizia psichiatrica redatta nell’ambito del procedimento promosso per la nomina del tutore, con cui era stato inoltre accertato che i sintomi psicotici del ricorrente risalivano all’estate o all’autunno del 2011 e che il ricorrente riferiva di avere sofferto di problemi psicologici sin dal 1998. Quanto alla capacità del ricorrente di essere interrogato, il perito affermava che le sue risposte sarebbero state alterate dal suo stato psicotico e che, pertanto, non era in grado di essere interrogato, specialmente in relazione al procedimento per la nomina di un tutore, alla procedura di asilo e alla sua situazione personale. Nel complesso, il procedimento per la nomina di un tutore aveva dimostrato che il ricorrente non era in grado di curare i propri affari senza correre il rischio di subire un danno.

27. La Corte per l’asilo concludeva che nella precedente procedura aveva erroneamente agito ritenendo che il ricorrente fosse giuridicamente capace (prozeßfähig) di seguire la procedura in maniera adeguata. La Corte per l’asilo, sempre nel corso della precedente procedura, avrebbe dovuto nominare un tutore per il ricorrente ovvero sospendere la procedura fino alla conclusione del procedimento per la nomina di un tutore dinanzi alla Pretura. Era indubbio che il disturbo psicologico del ricorrente fosse già manifesto all’epoca della decisione della Corte per l’asilo, adottata il 28 novembre 2011 e, per questo motivo, la procedura doveva essere riaperta. Dichiarava inoltre che, essendo necessario compiere ulteriori indagini e procedere a ulteriori interrogatori, la Corte per l’asilo non poteva deliberare in merito alla domanda di asilo, all’eventuale protezione sussidiaria e a un eventuale decreto di espulsione. Pertanto, la procedura doveva essere proseguita dall’Ufficio federale per l’asilo.

28. La procedura di asilo riaperta in Austria è ancora pendente.

5. L’articolo 39 del regolamento della Corte

29. Il 9 dicembre 2011 la Corte applicava la misura provvisoria di cui all’articolo 39 e chiedeva al Governo austriaco di sospendere l’espulsione del ricorrente verso l’Italia fino a ulteriore comunicazione.

B. Il diritto e la prassi interni, europei e italiani, pertinenti

30. Il diritto, gli strumenti, i principi e la prassi europei e italiani pertinenti sono stati solo recentemente sintetizzati in maniera esaustiva in Mohammed Hussein c. Paesi Bassi e Italia (dec.), n. 27725/10, §§ 25-28 e 33-50, 2 aprile 2013. Di seguito si riportano esclusivamente le informazioni che rivestono particolare importanza per il caso di specie.

1. Il regolamento del Consiglio (CE) n. 343/2003 (il regolamento Dublino)

31. Ai sensi del regolamento, gli Stati membri devono determinare, sulla base di una gerarchia di criteri oggettivi (articoli da 5 a 14), quale Stato membro sia competente per l’esame di una domanda di asilo presentata nel loro territorio. L’obiettivo è quello di evitare la presentazione di domande multiple e di garantire che il caso di ciascun richiedente asilo sia trattato da un solo Stato membro. 

32. Quando è accertato che un richiedente asilo ha varcato illegalmente, in provenienza da un paese terzo, la frontiera di uno Stato membro, lo Stato membro in questione è competente per l’esame della domanda di asilo (articolo 10 § 1). Questa competenza cessa dopo che è decorso il termine di dodici mesi dalla data in cui ha avuto luogo l’attraversamento illegale della frontiera.

33. Se i criteri enunciati nel regolamento indicano che un altro Stato membro è competente, tale Stato è interpellato affinché prenda in carico il richiedente asilo ed esamini la domanda di asilo (articolo 17).

34. Ciascuno Stato membro, in deroga alla regola generale, può esaminare una domanda di asilo presentatagli da un cittadino di un paese terzo, anche se tale esame non gli compete in base ai criteri stabiliti nel regolamento (articolo 3 § 2). Si tratta della clausola di “sovranità”. In tale ipotesi lo Stato in questione diventa lo Stato membro competente e assume gli obblighi connessi a tale competenza.

2. La Legge austriaca sull’asilo

35. L’articolo 5 della Legge sull’asilo del 2005 (Asylgesetz) prevede che la domanda di asilo sia respinta in quanto irricevibile se, ai sensi delle disposizioni di un trattato o del regolamento Dublino, un altro Stato è competente per l’esame della domanda di asilo. Nella decisione di rigetto della domanda, l’autorità specifica quale sia lo Stato competente.

36. L’articolo 12 garantisce agli stranieri che hanno presentato domanda di asilo una tutela di fatto contro l’espulsione (faktischer Abschiebeschutz). Tuttavia, l’articolo 12a prevede che la persona la cui domanda di asilo sia stata respinta per incompetenza ai sensi del regolamento Dublino (articolo 5 della Legge sull’asilo) non abbia diritto alla tutela di fatto contro l’espulsione, se presenta una seconda domanda di asilo.

3. La procedura di asilo in Italia

37. Si rinvia, ancora una volta, all’esauriente descrizione della procedura di asilo e del diritto interno italiani, contenuta in Mohammed Hussein, sopra citata, §§ 33-41.

38. In particolare si osserva (si veda ibid., § 36) che la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale può:

  • concedere asilo, riconoscendo al richiedente lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati;
  • non riconoscere al richiedente lo status di rifugiato, ma concedere una protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 15c della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (“la direttiva sulla qualifica di rifugiato”) come attuata mediante il decreto legislativo n. 251/2007;
  • non concedere né asilo né protezione sussidiaria, ma concedere un permesso di soggiorno per imperativi motivi umanitari ai sensi dei decreti legge n. 286/1998 e n. 25/2008; o
  • non concedere al richiedente alcuna forma di protezione.

39. La persona ammessa a beneficiare della protezione sussidiaria riceve un permesso di soggiorno valido per un periodo di tre anni, che può essere rinnovato dalla Commissione territoriale che lo ha concesso. Tale permesso può inoltre essere convertito in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro in Italia, a condizione che la richiesta sia presentata prima della scadenza del permesso di soggiorno e che la persona interessata sia in possesso di un documento di identità. Il permesso di soggiorno concesso per protezione sussidiaria conferisce al beneficiario, inter alia, il diritto di ottenere un titolo di viaggio per stranieri, svolgere un’attività lavorativa, chiedere il ricongiungimento familiare e beneficiare del regime generale  di assistenza sociale, assistenza sanitaria, edilizia residenziale pubblica, e istruzione, previsto dal diritto interno italiano.

 40. La persona cui è concesso un permesso di soggiorno per imperativi motivi umanitari ottiene un permesso di soggiorno valido per un anno, che può essere convertito in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro in Italia, a condizione che la persona interessata sia titolare di un passaporto. Il permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari conferisce al titolare il diritto di svolgere un’attività lavorativa, beneficiare dell’assistenza sanitaria e, nel caso in cui non abbia un passaporto, ottenere un titolo di viaggio per stranieri (si veda, ibid., 38-39).

4. Le condizioni di accoglienza in Italia

41. Il programma e le condizioni di accoglienza in Italia sono sintetizzati, ancora una volta, in Mohammed Hussein, sopra citata, §§ 42-50.

MOTIVI DI RICORSO

42. Il ricorrente lamentava, in relazione all’Italia, i maltrattamenti di cui all’articolo 3 della Convenzione, in quanto non aveva avuto accesso a un alloggio, a cure mediche e a mezzi di sostentamento durante la sua permanenza in tale luogo.

43. Ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente lamentava anche, in relazione all’Austria, che il suo ritorno in Italia ai sensi della Convenzione di Dublino lo avrebbe esposto al rischio reale di maltrattamenti di cui a tale disposizione, in quanto in Italia non avrebbe avuto accesso ad alloggio, cure mediche e mezzi di sostentamento – circostanze che erano aggravate dal precario stato di salute fisiologica e psicologica del ricorrente.

IN DIRITTO

44. Il ricorrente, che lamentava di avere subito maltrattamenti in Italia e di correre il rischio reale di subirli nuovamente, qualora fosse stato trasferito in Italia ai sensi del regolamento Dublino, invocava l’articolo 3 della Convenzione, che recita:

“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”

45. La Corte procederà anzitutto a sintetizzare i principi giurisprudenziali generali che si applicano alle doglianze in questione, e passerà successivamente a esaminare la doglianza contro l’Italia e poi quella contro l’Austria.

A. Principi generali

46. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, gli Stati contraenti hanno il diritto, conformemente a un consolidato principio di diritto internazionale – senza pregiudizio degli obblighi derivanti dai Trattati, tra cui la Convenzione – di controllare l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione degli stranieri (si vedano, tra numerosi altri precedenti, Abdulaziz, Cabales e Balkandali c. Regno Unito, 28 maggio 1985, § 67, serie A n. 94, e Boujlifa c. Francia, 21 ottobre 1997, § 42, Reports of Judgments and Decisions 1997-VI). La Corte osserva altresì che il diritto all’asilo politico non è previsto né dalla Convenzione né dai suoi Protocolli (si veda Vilvarajah e altri c. Regno Unito, 30 ottobre 1991, § 102, serie A n. 215, e Ahmed c. Austria, 17 dicembre 1996, § 38, Reports 1996-VI).

47. Tuttavia, l’espulsione, l’estradizione o qualsiasi altra misura atta ad allontanare uno straniero può dare origine a una questione ai sensi dell’articolo 3 e, pertanto, comportare la responsabilità dello Stato contraente in forza della Convenzione, quando esistono validi motivi per ritenere che la persona interessata, in caso di trasferimento, corra il rischio reale di essere sottoposta a trattamento contrario all’articolo 3 nel paese di accoglienza. In tali circostanze, l’articolo 3 comporta l’obbligo di non trasferire la persona in  tale paese (si veda Soering c. Regno Unito, 7 luglio 1989, §§ 90-91, serie A n. 161; Vilvarajah e altri, sopra citata, § 103; Ahmed, sopra citata, § 39; H.L.R. c. Francia, 29 aprile 1997, § 34, Reports 1997-III; Jabari c. Turchia, n. 40035/98, § 38, CEDU 2000 VIII; Salah Sheekh c. Paesi Bassi, n. 1948/04, § 135, 11 gennaio 2007; e Hirsi Jamaa e altri c. Italia [GC], n.27765/09, § 114, CEDU 2012).

48. Per stabilire se sussistano validi motivi per ritenere che il ricorrente corra realmente questo rischio è inevitabile che la Corte proceda a valutare le condizioni esistenti nel paese di accoglienza, rapportandole ai parametri previsti dall’articolo 3 della Convenzione (si veda Mamatkulov e Askarov c. Turchia [GC], nn. 46827/99 e 46951/99, § 67, CEDU 2005 I). Secondo tali parametri, i maltrattamenti che il ricorrente asserisce di poter subire in caso di ritorno, devono raggiungere un livello minimo di gravità per poter rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 3. Tale valutazione è relativa, poiché dipende da tutte le circostanze della fattispecie (si veda Hilal c. Regno Unito, n. 45276/99, § 60, CEDU 2001 II). La Corte rammenta che, in linea di massima, spetta al ricorrente produrre prove atte a dimostrare che sussistono validi motivi per ritenere che, se la misura contestata fosse eseguita, egli sarebbe esposto al rischio reale di subire un trattamento contrario all’articolo 3 (si veda N. c. Finlandia, n. 38885/02, § 167, 26 luglio 2005).

49. Al fine di stabilire se vi sia un rischio reale di maltrattamenti nel caso di specie, la Corte deve esaminare le conseguenze prevedibili del trasferimento del ricorrente in Italia, tenendo presente la situazione generale locale e le sue circostanze personali (si veda Vilvarajah e altri, sopra citata, § 108 in fine). Farà questo valutando la questione alla luce di tutto il materiale presentatole o, se necessario, ottenuto proprio motu (si veda H.L.R. c. Francia, sopra citata, § 37, e Hirsi Jamaa e altri, sopra citata, § 116).

50. La Corte rammenta, inoltre, che il semplice fatto di tornare in un paese in cui la situazione economica di una persona sarebbe peggiore che nello Stato contraente di espulsione, non è sufficiente a soddisfare la soglia di maltrattamento proibito dall’articolo 3 (si vedano Miah c. Regno Unito (dec.), n. 53080/07, § 14, 27 aprile 2010 e, mutatis mutandis, N. c. Regno Unito [GC], n. 26565/05, § 42, CEDU 2008); che l’articolo 3 non può essere interpretato come un obbligo per le alte parti contraenti di fornire un alloggio a chiunque si trovi nella loro giurisdizione e che tale disposizione non comporta alcun obbligo generale di fornire ai rifugiati assistenza finanziaria per consentire loro di mantenere un determinato tenore di vita (si veda M.S.S. c. Belgio e Grecia, [GC], n. 30696/09, § 249, CEDU 2011).

51. Gli stranieri soggetti a trasferimento non possono, in linea di massima, rivendicare alcun diritto a rimanere nel territorio di uno Stato contraente al fine di continuare a beneficiare dell’assistenza medica, sociale o di altre forme di assistenza e servizi forniti dallo Stato di trasferimento. In assenza di imperativi motivi umanitari contro il trasferimento, il fatto che le condizioni di vita materiali e sociali del ricorrente possano peggiorare significativamente  in caso di suo trasferimento dallo Stato contraente, non è di per sé sufficiente a configurare una violazione dell’Articolo 3 (si vedano, mutatis mutandis, N. c. Regno Unito, sopra citata, § 42 e Sufi e Elmi c. Regno Unito, nn. 8319/07 e 11449/07, §§ 281-292, 28 giugno 2011; e Mohammed Hussein, sopra citata, § 71).

52. Se il ricorrente non è stato ancora trasferito quando la Corte esamina la causa, la data da prendere in considerazione è quella del procedimento dinanzi alla Corte (si veda Saadi c. Italia [GC], n. 37201/06, § 133, CEDU 2008, e A.L. c. Austria, n. 7788/11, § 58, 10 maggio 2012). La Corte deve procedere a una valutazione completa, dal momento che la situazione nel paese di destinazione può cambiare nel corso del tempo (si veda Salah Sheekh, sopra citata, § 136).

B. La doglianza del ricorrente contro l’Italia

1. Gli argomenti delle parti

53. Il Governo italiano sottolineava che il ricorrente aveva ricevuto un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, che gli permetteva di soggiornare in Italia per tre anni. Il permesso di soggiorno poteva essere rinnovato alla data di scadenza, purché persistessero le circostanze che ne avevano precedentemente giustificato l’originale rilascio. Il permesso di soggiorno concedeva pertanto al ricorrente accesso a lavoro e istruzione e avrebbe potuto essere convertito in un permesso per motivi di lavoro, qualora i requisiti fossero stati soddisfatti.

54. Il Governo italiano rilevava altresì che, alla luce delle informazioni ricevute dalle autorità austriache, il ricorrente, in caso di trasferimento in Italia, sarebbe stato considerato una persona vulnerabile e gli sarebbe stato garantito un alloggio adeguato. Il Governo, inoltre, sottolineava di avere chiesto alle autorità austriache di fornire, in caso di trasferimento in  Italia, tutta la documentazione medica aggiornata relativa al ricorrente, incluse le informazioni sulle cure mediche da questi ricevute in Austria.

55. In primo luogo, il ricorrente contestava le osservazioni del Governo italiano, adducendo che quest’ultimo aveva fornito informazioni contraddittorie sul luogo in cui il ricorrente era stato alloggiato nell’agosto 2008 e sul tipo di titolo di soggiorno che gli era stato concesso. Inoltre, le autorità italiane non erano a conoscenza del luogo in cui il ricorrente aveva vissuto tra il maggio 2009 e il novembre 2010, prima del suo arrivo in Austria.

56. Il ricorrente lamentava, inoltre, che il “permesso di soggiorno per motivi umanitari” non gli avrebbe garantito accesso all’assistenza sociale e sanitaria. Asseriva di non avere avuto un alloggio, di aver dovuto dormire per strada e di non avere avuto denaro per acquistare vitto e altri generi di prima necessità. La mancanza di alloggio e il negato accesso a cure mediche costituivano un trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione.

57. A proposito delle osservazioni del Governo italiano, il quale aveva fatto notare che entrambe le volte il ricorrente si era allontanato di propria volontà dai centri di accoglienza, il ricorrente dichiarava di soffrire di schizofrenia paranoide acuta, che era probabilmente già evidente durante il suo soggiorno in Italia e che, pertanto, era possibile che avesse sofferto di episodi psicotici di varia durata. Di conseguenza non poteva avere validamente rifiutato l’assistenza statale. Infine, l’alloggio fornito al ricorrente era comunque inadeguato.

2. La valutazione della Corte

58. La Corte osserva che il ricorrente, al suo arrivo in Italia nell’estate del 2007, veniva condotto in un centro di accoglienza e otteneva un permesso di soggiorno per motivi umanitari valido per un anno. Ricevuti i documenti, il ricorrente si allontanava dal centro di accoglienza di propria volontà. Nella primavera del 2008 il ricorrente, tornato dalla Germania, veniva nuovamente accettato in una struttura di accoglienza. Nel luglio 2009 il ricorrente riceveva un permesso di soggiorno per protezione sussidiaria, valido fino al luglio 2012. Il permesso rilasciato per motivi umanitari consentiva al ricorrente di lavorare in Italia e di beneficiare dell’assistenza sanitaria. Il permesso rilasciato per protezione sussidiaria conferiva al ricorrente il diritto a un titolo di viaggio per stranieri, a lavorare e a beneficiare dei regimi generali di assistenza sociale e sanitaria,  di edilizia residenziale pubblica, e di istruzione, previsti dalla legislazione interna italiana (si vedano i paragrafi 39 e 40 supra).

59. La Corte rileva, in primo luogo, che il Governo italiano ha fornito copie dei permessi di soggiorno rilasciati al ricorrente ed essa non ha pertanto motivo di dubitare della versione dei fatti sopra esposta. Quanto all’affermazione del ricorrente, secondo il quale il Governo italiano avrebbe fornito informazioni contraddittorie riguardo al luogo in cui egli viveva nell’agosto del 2008, la Corte osserva che, benché sembri che la documentazione presentata dal Governo italiano suggerisca proprio che il ricorrente era stato alloggiato in due luoghi contemporaneamente, ciò ovviamente non indica che il ricorrente non aveva accesso a un alloggio nel periodo in questione. Quanto all’osservazione del ricorrente, che sostiene che con il permesso di soggiorno per motivi umanitari egli non aveva accesso all’assistenza sociale e sanitaria, la Corte rileva che le informazioni pertinenti sull’ordinamento giuridico italiano dimostrano il contrario: il permesso di soggiorno per motivi umanitari conferiva al ricorrente il diritto di lavorare e avere accesso all’assistenza sanitaria (si veda il paragrafo 40 supra e Mohammed Hussein, sopra citata, § 39). La Corte inoltre ripete, come emerso dai fatti della causa, che il ricorrente era stato alloggiato in un centro di accoglienza quando ricevette il permesso di soggiorno per motivi umanitari e che, tuttavia, decise di allontanarsi dalla struttura. Alla luce di queste circostanze, non è imputabile allo Stato contraente il fatto che il ricorrente fosse privo di alloggio e non avesse accesso al sostegno sociale e all’assistenza sanitaria.

60. Dopo essere tornato in Italia dalla Germania, il ricorrente veniva nuovamente ospitato in una struttura di accoglienza a Roma, dove rimaneva per circa un anno, prima di lasciarla, anche questa volta, di propria volontà. Successivamente gli veniva rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di protezione sussidiaria, che gli conferiva il diritto a una serie di servizi, quali cure mediche, assistenza sociale, edilizia residenziale pubblica e lavoro.

61. Ancora una volta, quando il ricorrente lamenta di non avere avuto un alloggio, di avere dovuto dormire per strada e di non avere avuto mezzi di sostentamento e vitto, la Corte non ritiene che tale situazione sia imputabile all’ordinamento giuridico o a una situazione pratica posta in essere dallo Stato contraente. Al contrario, nel caso del ricorrente sembra che originariamente egli avesse accesso a un’ampia gamma di servizi, quali un alloggio, mezzi di sostentamento e cure mediche, ma che abbia volontariamente deciso di lasciare l’alloggio e il sistema di sostegno. Quando il ricorrente sostiene adesso che a causa della sua malattia mentale egli non aveva la capacità di rinunciare validamente all’assistenza pubblica, la Corte osserva che dalla documentazione presentata e dalle osservazioni delle parti non emergono elementi idonei ad accertare lo stato di salute mentale del ricorrente al momento in questione né a stabilire se le autorità italiane potessero o avrebbero dovuto sapere che il ricorrente poteva avere una menomazione psicologica di tale gravità.

62. La Corte ritiene complessivamente che il ricorrente, al suo arrivo in Italia, abbia ricevuto alloggio e permessi di soggiorno per motivi umanitari o per protezione sussidiaria e che, pertanto, abbia avuto accesso ad assistenza sanitaria, lavoro e, in seguito, anche all’assistenza sociale e all’edilizia residenziale pubblica. Il ricorrente, tuttavia, abbandonava di propria volontà questo sistema di sostegno.

63. Ne consegue pertanto che, anche assumendo che la presente doglianza non cada già sul requisito dell’esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 § 1 della Convenzione, la Corte giudica la doglianza del ricorrente contro l’Italia manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e, pertanto, irricevibile ai sensi dell’articolo 35 § 4 della Convenzione.

C. La doglianza del ricorrente contro l’Austria

1. Gli argomenti delle parti

64. Il Governo austriaco, rinviando alla procedura di asilo riaperta in Austria, affermava in primo luogo che, a suo parere, il presente ricorso doveva essere dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ovvero cancellato dal ruolo della Corte ai sensi dell’articolo 37 § 1 b e/o c della Convenzione. Osservava che le autorità austriache avrebbero dovuto valutare, nell’ambito della nuova procedura di asilo, se il trasferimento in Italia potesse costituire violazione dei diritti del ricorrente ai sensi dell’articolo 3 della Convenzione. Inoltre si sarebbe dovuto tener conto della nomina del tutore per il ricorrente e di ogni altro nuovo elemento riguardo alla sua salute mentale. Esse avrebbero altresì dovuto determinare la capacità dell’Italia di garantire al ricorrente un trattamento adeguato alla sua specifica situazione, in caso di trasferimento in Italia.

65. Il ricorrente contestava queste opinioni, sostenendo che la questione inerente all’esaurimento delle vie di ricorso interne dovesse essere determinata dalla Corte al momento del deposito del ricorso. Inoltre, nel caso di specie, al momento in questione erano state opportunamente esperite tutte le vie di ricorso. Oltretutto, neanche la procedura riaperta in Austria costituiva un ricorso effettivo, visto che anche in quella sede la domanda del ricorrente avrebbe potuto essere rifiutata, in applicazione del regolamento Dublino, e che il ricorrente non aveva diritto a un procedimento nel merito in Austria. Il ricorrente lamentava che nella procedura riaperta l’Ufficio federale per l’asilo intendeva comunque procedere al suo trasferimento in Italia. Inoltre l’eccessiva durata della procedura in Austria, che aveva aggravato il suo stato di salute mentale, doveva essere considerata una violazione dell’articolo 3 della Convenzione.

66. Il ricorrente rinviava dettagliatamente alla giurisprudenza dei Tribunali amministrativi tedeschi (quali i Tribunali amministrativi di Francoforte sul Meno, Stoccarda e Düsseldorf) che avevano statuito in sentenze del 2012 che in Italia i ricorrenti non avevano adeguato accesso alla procedura di asilo, che i ricorrenti rinviati in Italia potevano trovarsi privi di alloggio, di mezzi di sostentamento e di vitto, e che le condizioni di coloro che erano trasferiti in Italia ai sensi del regolamento Dublino potevano non soddisfare i parametri europei.

2. La valutazione della Corte

67. La Corte prende in esame, in primo luogo, l’affermazione del Governo austriaco secondo il quale il presente ricorso dovrebbe essere cancellato dal ruolo della Corte ai sensi dell’articolo 37 della Convenzione. La Corte osserva che la riapertura della procedura del ricorrente in Austria  a causa della sua incapacità giuridica nella prima procedura, riguarda unicamente la procedura del ricorrente ai sensi del regolamento Dublino. Le autorità austriache non hanno invocato la clausola di sovranità e non hanno deciso di esaminare nel merito l’originaria domanda di asilo del ricorrente. L’oggetto del presente ricorso, segnatamente la doglianza circa il suo pendente ritorno in Italia e le conseguenze pregiudizievoli che asseritamente ne deriverebbero, non sembra pertanto essere stato risolto ai sensi dell’articolo 37 § 1 (b) della Convenzione. La Corte, comunque, non deve decidere in maniera definitiva in ordine a questo punto, visto che la doglianza del ricorrente è comunque manifestamente infondata per i motivi che seguono.

68. Al fine di esaminare la doglianza del ricorrente contro l’Austria, la Corte passerà ora a valutare se la situazione in cui si troverebbe il ricorrente, in caso di trasferimento in Italia, possa essere ritenuta incompatibile con l’articolo 3, tenuto conto della sua situazione di richiedente asilo e, in quanto tale, di membro di un gruppo della popolazione particolarmente svantaggiato e vulnerabile che necessita di particolare protezione (si veda Mohammed Hussein, sopra citata, § 76, con riferimento a M.S.S. c. Belgio e Grecia, sopra citata, § 251).

69. La Corte osserva che il permesso di soggiorno del ricorrente per motivi di protezione sussidiaria è nel frattempo scaduto. Il Governo italiano,  ha tuttavia affermato nelle sue osservazioni alla Corte che il permesso può essere rinnovato, se persistono i fattori che ne hanno originariamente giustificato il rilascio (si veda il paragrafo 53 supra). Tale osservazione è corroborata dalle informazioni sul sistema di asilo italiano sintetizzate nella decisione relativa a Mohammed Hussein. Da un importante rapporto ivi citato si evince che è effettivamente possibile rinnovare permessi di soggiorno precedentemente rilasciati, presentando richiesta al competente Ufficio immigrazione della questura. Benché il requisito che prevede che la richiesta sia accompagnata dall’originale permesso possa comportare delle difficoltà (si veda ibid., § 48), tale documento può essere sostituito se è stato sottratto o perso. In conclusione, la Corte stima che il ricorrente abbia l’opportunità di richiedere il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di protezione sussidiaria, in caso di trasferimento in Italia.

70. Passando allo stato di salute mentale del ricorrente, manifestamente e gravemente menomato, la Corte rileva altresì che il Governo italiano ha già osservato che, in base alle informazioni ricevute fino a questo momento dalle autorità austriache, il ricorrente al suo ritorno sarebbe considerato una persona vulnerabile e avrebbe pertanto accesso a un alloggio (si veda il paragrafo 54 supra). La Corte è pertanto in grado di affermare che il ricorrente, se rinviato in Italia, avrà diritto a una particolare attenzione da parte delle autorità italiane in quanto persona vulnerabile ai sensi dell’articolo 8 del decreto legislativo n.140/2005 (si veda ibid., §§ 42-45).

71. La Corte reputa pertanto che le autorità italiane siano già consapevoli della  particolare vulnerabilità del ricorrente e della necessità di particolare assistenza. Confida inoltre che, nel caso in cui il ricorrente sia trasferito in Italia, le autorità austriache forniranno alle autorità italiane tutta la documentazione medica e psicologica in loro possesso, al fine di garantire che il ricorrente sia accolto adeguatamente in quel luogo. Date le circostanze, la Corte stima che non sussistano elementi per ritenere che il ricorrente non possa beneficiare delle risorse disponibili in Italia o che, qualora incontrasse difficoltà, le autorità italiane non risponderebbero in maniera adeguata a qualsiasi richiesta di ulteriore assistenza (si veda per un confronto, Mohammed Hussein, sopra citata, § 78).

72. Infine, la Corte prende nota dei rapporti redatti da organizzazioni governative e non-governative sulle carenze della situazione generale e delle condizioni di vita in Italia dei richiedenti asilo, dei rifugiati accolti e degli stranieri in possesso di permessi di soggiorno per vari motivi (si veda per i rapporti ibid., §§ 43-44, 46 e 49). La Corte giudica tuttavia che non sia stato dimostrato che i programmi di accoglienza italiani presentino carenze sistemiche nella fornitura di supporto o di strutture che provvedano ai richiedenti asilo in quanto appartenenti a un gruppo di persone particolarmente vulnerabile, come nella causa M.S.S. c. Belgio e Grecia (sopra citata, si veda altresì Mohammed Hussein, sopra citata, § 78).

73. Ne consegue che, al momento dell’esame del ricorso dinanzi alla Corte, e partendo dall’assunto che, in caso di allontanamento del ricorrente verso l’Italia, le autorità austriache trasmetteranno alle autorità italiane  informazioni esaustive sul ricorrente, la doglianza del ricorrente ai sensi dell’articolo 3 contro l’Austria è manifestamente infondata e pertanto irricevibile ai sensi dell’ articolo 35 § 3 (a) e § 4 della Convenzione.

D. L’articolo 39 del regolamento della Corte

74. Alla luce di quanto sopra esposto, è opportuno porre fine all’applicazione dell’articolo 39 del regolamento della Corte.

Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Isabelle Berro-Lefèvre
Presidente

Søren Nielsen
Cancelliere