Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 11 gennaio 2018 - Ricorso n. 38259/09 - Causa Cipolletta c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione Generale degli Affari giuridici e legali, traduzione eseguita e rivista da Rita Carnevali, assistente linguistico e dalla la dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA CIPOLLETTA c. ITALIA
(Ricorso n. 38259/09)

SENTENZA

STRASBURGO
11 gennaio 2018


Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Cipolletta c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in una camera composta da:
Linos-Alexandre Sicilianos, presidente,
Kristina Pardalos,
Guido Raimondi,
Krzysztof Wojtyczek,
Ksenija Turković,
Pauliine Koskelo,
Jovan Ilievski, giudici,
e da Abel Campos, cancelliere di sezione,
Dopo avere deliberato in camera di consiglio il 28 novembre 2017,
Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1. All’origine della causa vi è un ricorso (n. 38259/09) proposto contro la Repubblica italiana con cui un cittadino di questo Stato, il sig. Aldo Cipolletta («il ricorrente»), ha adito la Corte il 14 luglio 2009 ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2. Il ricorrente è stato rappresentato dall’avvocato S. Benedetti, con studio a Corridonia. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora.
3. Il 27 luglio 2010 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I. LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4. Il ricorrente è nato nel 1928 e risiede a Recanati.

5. I fatti di causa, così come sono stati esposti dal ricorrente, si possono riassumere come segue.

6. Il ricorrente era titolare di una impresa di costruzioni.

7. Il 30 aprile 1985, il tribunale di Macerata (sentenza n. 31 del 1985) dichiarò che la società cooperativa edilizia V.L.G., di cui il ricorrente sosteneva di essere creditore in quanto titolare di cambiali per un ammontare di 307.364.000 lire italiane (ITL) (ossia 158.740,258 euro (EUR)) era in stato di insolvenza. Con un decreto del 4 maggio 1985 del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, la società fu posta in liquidazione coatta amministrativa sotto la direzione di un commissario liquidatore («il commissario»).

8. Il 21 giugno 1985 il commissario informò il ricorrente dell’apertura della procedura e dello stato di accertamento del passivo. Poiché non era stato tenuto conto del suo credito, il 4 luglio 1985 il ricorrente inviò al commissario una domanda di ammissione al passivo.

9. Il 14 agosto 1985, il commissario depositò lo stato passivo in cui non figurava il credito del ricorrente. Il 17 settembre 1985 il ricorrente propose opposizione allo stato passivo.

10. Con decreto depositato in cancelleria il 17 aprile 1997, il tribunale di Macerata: 1) constatò che il ricorrente e il commissario avevano firmato una transazione che riconosceva l’esistenza di un credito di 285.000.000 ITL (ossia 129.114,28 EUR); 2) accolse la domanda del ricorrente; 3) modificò lo stato passivo.

11. In base alle informazioni fornite alla Corte dal ricorrente il 24 dicembre 2010, e non smentite dal Governo, la procedura di liquidazione a questa data era ancora pendente.

12. Il ricorrente non ha avviato alcuna «procedura Pinto» in quanto la Corte di Cassazione avrebbe ritenuto la legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», inapplicabile alle procedure di liquidazione coatta amministrativa.

II. IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

A. La procedura di liquidazione coatta amministrativa

13. La liquidazione coatta amministrativa è una procedura disciplinata dal regio decreto n. 267 del 16 marzo 1942 (indicato qui di seguito come «legge fallimentare»). Essa si applica alle compagnie di assicurazione, alle banche e alle società cooperative, imprese generalmente soggette a controllo da parte dello Stato in ragione del carattere di interesse generale della loro attività.

La messa in liquidazione è preceduta dalla dichiarazione del tribunale civile dello stato di insolvenza dell’impresa. La dichiarazione è poi trasmessa all’autorità amministrativa che ha la vigilanza sull’impresa interessata tenuto conto della sua attività, che ordina la messa in liquidazione. La procedura è diretta da uno o tre commissari liquidatori che, nell’esercizio delle loro funzioni, sono assimilati ai pubblici ufficiali (articoli 198 e 199, comma 1, della legge fallimentare). Questi commissari sono sottoposti al controllo dell’autorità amministrativa competente.

14. Nel corso della procedura di liquidazione coatta amministrativa, nessun creditore può presentare al giudice domande individuali esecutive volte ad aggredire direttamente il patrimonio della società debitrice (articoli 201 e 51 della legge fallimentare). Ogni credito, anche privilegiato, deve essere dapprima verificato secondo la procedura dettata dagli articoli 207 e 209 della legge fallimentare che, nelle loro parti pertinenti al caso di specie, recitano
«Entro un mese dalla nomina, il commissario comunica a ciascun creditore, (...) le somme risultanti a credito di ciascuno secondo le scritture contabili e i documenti dell'impresa (…). Entro quindici giorni dal ricevimento della comunicazione i creditori (…) possono far pervenire al commissario le loro osservazioni o istanze.
(...) entro novanta giorni (…) il commissario forma l'elenco dei crediti ammessi o respinti (…) e lo deposita nella cancelleria del luogo dove l'impresa ha la sede principale. (…) Col deposito in cancelleria l'elenco diventa esecutivo.»

15. Il commissario o i commissari si incaricano poi della liquidazione dell’attivo (articoli 210 e 211 della legge fallimentare) e della ripartizione ai creditori delle somme ottenute (articolo 212 della legge fallimentare). In particolare, per la vendita di beni immobili o beni mobili facenti parte dell’attivo, l’articolo 210 prevede l’obbligo per i commissari di richiedere l’autorizzazione all’autorità di vigilanza. I crediti che hanno un diritto di prelazione, detti privilegiati, sono pagati in via prioritaria. I creditori chirografari (che non hanno tale diritto) sono soddisfatti sul resto dell’attivo. In base al principio di uguaglianza dei creditori (par condicio creditorum ), questi ultimi partecipano alla ripartizione dell’attivo e sono pagati in proporzione al valore dei loro rispettivi crediti (articolo 52, primo comma, e articolo 111, comma 3, della legge fallimentare).

16. Ai sensi dell’articolo 213, primo comma, della legge fallimentare, il bilancio finale della liquidazione e il piano di ripartizione ai creditori sono depositati presso la cancelleria del tribunale. Entro venti giorni dalla comunicazione del deposito, i creditori hanno la facoltà di contestare il bilancio e il piano di ripartizione con ricorso al tribunale civile (articolo 213, comma 3, della legge fallimentare).

17. La procedura è stata modificata più volte. In particolare, i decreti legislativi n. 5 del 9 gennaio 2006 e n. 169 del 12 settembre 2007 hanno modificato gli articoli 209 e 213 e abrogato l’articolo 211 della legge fallimentare.

B. L’applicazione della legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto», alla procedura di liquidazione coatta amministrativa

18. In materia di applicazione della «legge Pinto» alle procedure di liquidazione coatta amministrativa, la Corte di Cassazione (sentenze n. 17048 del 14 maggio 2007, depositata il 3 agosto 2007, e n. 28105 del 29 settembre 2009, depositata il 30 dicembre 2009; si vedano anche le sentenze nn. 18579/04, 1817/05, 12386/11 e 12729/11) ha affermato che la liquidazione è un procedimento di natura amministrativa, in cui si innestano fasi di carattere giurisdizionale, quali la dichiarazione dello stato di insolvenza, le relative eventuali impugnazioni e le opposizioni previste dagli articoli 98 e 100 della legge fallimentare.
Secondo la Corte di cassazione, il deposito dello stato passivo costituisce il presupposto per le contestazioni davanti al giudice ordinario, la connotazione giurisdizionale sopravviene per effetto della proposizione delle opposizioni e delle impugnazioni o delle insinuazioni tardive. Di conseguenza, sempre secondo la Corte di cassazione, ove la dichiarazione dello stato di insolvenza non abbia dato luogo a contestazione, il procedimento mantiene inalterato il suo carattere amministrativo. Circostanza da cui discende l’inapplicabilità della «legge Pinto».

IN DIRITTO

I. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

19. Dal punto di vista degli articoli 13 e 14 della Convenzione, il ricorrente afferma che la durata della procedura di liquidazione coatta amministrativa ha violato il principio del «termine ragionevole».

20. Il Governo si oppone a questa tesi.

21. Libera di qualificare giuridicamente i fatti (Aksu c. Turchia [GC], nn. 4149/04 e 41029/04, § 43, CEDU 2012, Halil Yüksel Akıncı c. Turchia, n. 39125/04, § 54, 11 dicembre 2012, e Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil des arrêts et décisions 1998 I), la Corte ritiene doversi esaminare la causa dal punto di vista dell’articolo 6 § 1 della Convenzione, che recita:

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

A. Sulla ricevibilità

1. Sull’applicabilità

22. La Corte rammenta che, in ogni causa che le viene sottoposta, deve assicurarsi di essere competente per esaminare il ricorso, e pertanto, in tutte le fasi del procedimento, deve affrontare la questione della sua competenza (Blečić c. Croazia [GC], n. 59532/00, § 67, CEDU 2006 III).

23. Nella presente causa, la Corte è chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità dell’articolo 6 della Convenzione alla liquidazione coatta amministrativa.

24. L’unica occasione in cui un organo della Convenzione si è pronunciato sulla sua competenza per decidere su questa procedura è stata nella causa F.L. c. Italia (n. 25639/94, decisione della Commissione del 12 aprile 1996, non pubblicata). Nella sua decisione parziale sulla ricevibilità del ricorso, la Commissione ha scartato la doglianza relativa alla durata della procedura, ritenendo che questa si fosse svolta sotto la direzione dell’autorità amministrativa. Essa ha pertanto dichiarato che non vi era alcuna «contestazione» in merito all’esistenza stessa o alle modalità o alla portata del diritto del ricorrente.

25. La Corte considera che la questione debba essere analizzata in maniera più dettagliata, e ritiene che vi siano argomenti convincenti in favore di un nuovo approccio che permetta di armonizzare la sua giurisprudenza per quanto riguarda le garanzie accordate ai creditori, tanto nell’ambito della procedura fallimentare che in quello della liquidazione coatta amministrativa, e dunque indipendentemente dalla natura del soggetto debitore in stato di insolvenza.

26. Anzitutto, la Corte osserva che la ratio della disciplina della liquidazione coatta amministrativa è rispondere all’esigenza che consiste nel dare allo Stato la possibilità di intervenire direttamente e di controllare la procedura che segue l’insolvenza di alcune categorie di società attive in settori economici strategici.

27. Secondo il diritto interno, se la procedura fallimentare è pienamente giurisdizionale, la liquidazione coatta amministrativa è, in parte, di natura amministrativa; il commissario presiede alla creazione della lista dei creditori sotto il controllo dell’autorità amministrativa competente (paragrafo 13 supra). Le eventuali contestazioni della lista dei creditori danno luogo a una procedura di opposizione, regolata dalle stesse disposizioni che disciplinano l’opposizione nella procedura fallimentare, il cui carattere giurisdizionale è fuori discussione.

28. La Corte osserva che le procedure di fallimento e di liquidazione coatta amministrativa hanno in comune il fatto che il creditore non può presentare dinanzi ai giudici una domanda di esecuzione volta ad intaccare direttamente il patrimonio della società debitrice. In effetti, il principio di fondo volto ad assicurare la par condicio creditorum resta lo stesso. La legge fallimentare intende garantire la soddisfazione proporzionale e a parità di condizioni dei diritti dei creditori.

29. Questo principio implica perciò che il commissario, benché nominato da un’autorità amministrativa, agisca non allo scopo di far prevalere gli interessi dell’attore pubblico coinvolto nella procedura e ancora meno per privilegiare un creditore a scapito degli altri. Il commissario, al contrario, deve agire in maniera neutrale e imparziale allo scopo di tutelare gli interessi di tutti i creditori.

30. Pertanto, indipendentemente dalla qualificazione data a livello interno alla procedura controversa, quel che importa secondo la Corte è determinare se, nell’ambito dell’attività condotta dal commissario, vi sia una «contestazione» su un «diritto» che si possa affermare essere, almeno in maniera difendibile, riconosciuto nel diritto interno.

31. La Corte rammenta che deve trattarsi di una contestazione reale e seria; tale contestazione può riguardare sia l’esistenza stessa di un diritto che la sua portata o le sue modalità (Parrocchia Greco-Cattolica Lupeni e altri c. Romania [GC], n. 76943/11, § 71, CEDU 2016 (estratti)). Una contestazione implica l’esistenza di una controversia (Le Compte, Van Leuven e De Meyere c. Belgio, 23 giugno 1981, § 45, serie A n. 43) e l’esito della procedura deve essere strettamente determinante per il «diritto di carattere civile in questione» (si vedano, tra altre, Frydlender c. Francia [GC], n. 30979/96, § 27, CEDU 2000 – VII, e Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 81, serie A n. 52).

32. Lo spirito della Convenzione impone di non attribuire al termine «contestazione» un significato troppo tecnico, nel senso di due rivendicazioni o richieste contraddittorie, e di darne una definizione materiale piuttosto che formale (Le Compte, Van Leuven e De Meyere, sopra citata, § 45). Per di più, per determinare se sussista una contestazione su un diritto di carattere civile occorre, al di là delle apparenze e del vocabolario utilizzato, impegnarsi a esaminare la realtà così come risulta dalle circostanze di ciascuna causa (Miessen c. Belgio, n. 31517/12, § 45, 18 ottobre 2016).

33. Nel caso di specie, la Corte osserva che, al di là della diversa natura attribuita al livello interno alla procedura fallimentare e a quella di liquidazione coatta amministrativa, in entrambi i casi il creditore basa la prospettiva di realizzazione del proprio credito sull’attività di un soggetto terzo che verifica l’esistenza dei crediti per poi procedere alla liquidazione degli stessi.

34. Per quanto riguarda la procedura fallimentare, la Corte ha sempre considerato che vi sia contestazione a partire dal momento in cui il creditore deposita una dichiarazione di credito (Savona c. Italia, n. 38479/97, §§ 7 e 14, 15 febbraio 2000, Venturini c. Italia, n. 44534/98, §§ 4 e 10, 1° marzo 2001, e Ragas c. Italia, n. 44524/98, §§ 3 e 9, 23 ottobre 2001).

35. Nell’ambito della liquidazione coatta amministrativa, la Corte rivela che è a partire dalla prima comunicazione del commissario relativa alla verifica dei crediti dell’impresa in stato di insolvenza che il creditore può presentare una domanda ai fini dell’ammissione del suo credito al passivo (si veda, mutatis mutandis, Santoni c. Francia, n. 49580/99, § 37, 29 luglio 2003; Jorge Nina Jorge e altri c. Portogallo, n. 52662/99, §§ 30 e 31,19 febbraio 2004).

36. Interessandosi all’impatto reale di tale atto nell’ambito della procedura controversa (si veda, mutatis mutandis, Gorou c. Grecia (n. 2) [GC], n. 12686/03, § 30, 20 marzo 2009), la Corte ritiene in questo caso che, a partire dalla suddetta richiesta formulata dal creditore, sorga una «contestazione» reale e seria su un diritto di carattere civile, trattandosi di un credito fondato su cambiali (Neves e Silva c. Portogallo, § 37, 27 aprile 1989, serie A n. 153-A, e Éditions Périscope c. Francia, § 38, 26 marzo 1992, serie A n. 234-B).

37. Pertanto, la Corte conclude che l’articolo 6 § 1 della Convenzione si applica alla presente causa.

2. Sul mancato esaurimento delle vie di ricorso interne

38. La Corte prende atto delle osservazioni del governo convenuto, che continua a sostenere, basandosi sulla giurisprudenza interna ben consolidata, che la «legge Pinto» non si applica alla liquidazione coatta amministrativa.

39. Essa osserva che, secondo questa stessa giurisprudenza, la possibilità di fare ricorso al rimedio Pinto è limitata alla sola contestazione della dichiarazione dello stato di insolvenza o all’opposizione al passivo, il che esclude, perciò, la procedura condotta dal commissario.

40. Pertanto, la Corte considera che il ricorrente non fosse tenuto ad esaurire la via di ricorso rappresentata dalla «legge Pinto».

3. In conclusione

41. Constatando infine che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e non incorre in altri motivi di irricevibilità, la Corte lo dichiara ricevibile.

B. Sul merito

42. La Corte rammenta che il carattere ragionevole della durata di un procedimento si valuta a seconda delle circostanze della causa e con riguardo ai criteri sanciti dalla sua giurisprudenza, in particolare la complessità della causa, il comportamento del ricorrente e quello delle autorità competenti, nonché la posta in gioco della controversia per gli interessati (si veda, tra molte altre, Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, § 68, CEDU 2006 V).

43. Nella fattispecie, la Corte osserva che il procedimento è iniziato il 4 luglio 1985, data in cui il ricorrente ha presentato al commissario la domanda di ammissione al passivo, e rileva che la procedura di liquidazione dell’attivo della società debitrice era ancora pendente alla data delle ultime informazioni fornite dal ricorrente (ossia il 24 dicembre 2010 – paragrafo 11 supra). In tale data, il procedimento era dunque durato complessivamente quasi venticinque anni e sei mesi. Dopo avere esaminato tutti gli elementi che le sono stati sottoposti, la Corte constata che il procedimento in questione è stato particolarmente complesso, soprattutto per quanto riguarda l’individuazione dell’attivo della società e la trasformazione di ciascun credito in liquidità mediante vendita o riscossione. Nondimeno, essa considera che il Governo non abbia esposto alcun fatto o argomento convincente che possa giustificare una tale durata.

44. Pertanto, pur riconoscendo nella presente causa la complessità delle procedura in materia di fallimento, la Corte ritiene che la durata contestata sia eccessiva e non sia stata conforme all’esigenza del «termine ragionevole» ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (si vedano, in materia fallimentare, De Blasi c. Italia, n. 1595/02, §§ 19-35, 5 ottobre 2006, Gallucci c. Italia, n. 10756/02, §§ 22-30, 12 giugno 2007, e Viola e altri c. Italia, n. 7842/02, §§ 58-63, 8 gennaio 2008).

45. Pertanto, vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.

II. SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 13 DELLA CONVENZIONE

46. Il ricorrente lamenta il carattere non effettivo del ricorso fondato sulla «legge Pinto», in particolare perché, a causa della giurisprudenza ben consolidata della Corte di cassazione, la liquidazione coatta amministrativa è considerata come una procedura amministrativa per la quale il ricorso Pinto sarebbe escluso. Egli invoca l’articolo 13 della Convenzione, che recita:
«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

47. Il Governo afferma che il rimedio Pinto rappresenta in generale una via di ricorso effettiva che è tuttavia inapplicabile in materia di liquidazione coatta amministrativa.

48. La Corte osserva che i principi derivanti dalla giurisprudenza interna consolidata in materia confermano l’inapplicabilità della «legge Pinto» alla liquidazione coatta amministrativa (paragrafo 18 supra).

49. Perciò, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione a causa dell’assenza nel diritto interno di un ricorso che permetta al ricorrente di ottenere il riconoscimento del suo diritto all’esame della sua causa entro un termine ragionevole, ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (Xenos c. Grecia, n. 45225/09, § 44, 13 luglio 2017).

III. SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

50. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A. Danno

51. Il ricorrente chiede la somma di 367.166,22 EUR per i danni materiale e morale.

52. Il Governo contesta queste pretese, che ritiene eccessive, ingiustificate e contrarie alla giurisprudenza della Corte.

53. La Corte osserva che, per quanto riguarda il danno materiale, la sua valutazione è in corso nell’ambito della procedura nazionale di liquidazione coatta amministrativa, che era, secondo le ultime informazioni, ancora pendente. In ogni caso, il danno materiale dedotto dal ricorrente non presenta alcun nesso di causalità con la violazione constatata, ossia l’eccessiva durata del procedimento. Pertanto, questa parte della domanda deve essere respinta. In compenso, essa ritiene che il ricorrente abbia subito un torto morale certo. Deliberando in via equitativa, la Corte gli accorda la somma di 24.000 EUR a questo titolo.

B. Spese

54. Il ricorrente, producendo i relativi documenti giustificativi, chiede inoltre la somma di 9.393,25 EUR per le spese sostenute per il procedimento dinanzi alla Corte.

55. Il Governo contesta queste pretese.

56. Secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorrente può ottenere il rimborso delle spese sostenute solo nella misura in cui ne siano accertate la realtà e la necessità, e il loro importo sia ragionevole. Nella fattispecie, tenuto conto dei documenti di cui dispone e dei criteri sopra menzionati, la Corte considera ragionevole la somma di 2.500 EUR per il procedimento dinanzi ad essa e la accorda al ricorrente.

C. Interessi moratori

57. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE

  1. Dichiara, all’unanimità, il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  3. Dichiara, con sei voti contro uno, che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione;
  4. Dichiara, con sei voti contro uno,
    1. che lo Stato convenuto deve versare al ricorrente, entro tre mesi a decorrere dal giorno in cui la sentenza sarà divenuta definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, le seguenti somme:
      1. 24.000 EUR (ventiquattromila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per il danno morale,
      2. 2.500 EUR (duemilacinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto dal ricorrente a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Respinge, all’unanimità, la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto l’11 gennaio 2018, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte.

Linos-Alexandre Sicilianos
Presidente

Abel Campos
Cancelliere

Alla presente sentenza è allegata, conformemente agli articoli 45 § 2 della Convenzione e 74 § 2 del regolamento, l’esposizione delle opinioni separate seguenti:

  • opinione concordante del giudice Koskelo;
  • opinion dissenziente del giudice Wojtyczek.

L.A.S.

A.C.



OPINIONE CONCORDANTE DEL GIUDICE KOSKELO

1. Come i miei colleghi della maggioranza, ho votato a favore della conclusione che l’articolo 6 è applicabile alla presente causa. Ho anche aderito alla constatazione della maggioranza che vi è stata violazione dell’articolo 6 in ragione dell’eccessiva durata della procedura fallimentare. Ritengo, tuttavia, che sia importante, nell’ambito dell’articolo 6, osservare le peculiarità della procedura fallimentare, che incidono sulla valutazione, inter alia, della durata ragionevole di tale procedura, e sulla misura in cui lo Stato può essere considerato responsabile a questo titolo ai sensi dell’articolo in questione.

Osservazioni generali

2. La procedura concorsuale è, per alcuni aspetti sostanziali, diversa dalla maggior parte delle alter procedure che rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 6.

3. In primo luogo, il ruolo dei tribunali in questo tipo di procedura è normalmente più limitato che in altri procedimenti civili. Sebbene alcune fasi della procedura fallimentare si svolgano dinanzi ai tribunali competenti e dipendano da determinazioni e decisioni giudiziarie, i tribunali o le altre autorità nazionali competenti in materia non sono di solito incaricate di altre fasi fondamentali di questa procedura. Nella maggior parte dei casi, il liquidatore o l’amministratore cui sono affidate le operazioni della liquidazione è un curatore privato che ha il compito di operare nell’interesse collettivo dei creditori. Sebbene nominato dal tribunale competente e soggetto ad un certo grado di controllo, il liquidatore o amministratore in genere non è un funzionario dello Stato ma un fiduciario della massa dei creditori. Questo è stato riconosciuto anche dalla Corte – nell’ambito di una doglianza relativa all’articolo 1 del Protocollo n. 1 – in Kotov c. Russia [GC], n. 54522/00, §§ 99-107, 3 aprile 2012.

4. In secondo luogo, la natura intrinseca della procedura fallimentare la distingue dalla maggior parte degli altri procedimenti civili per quanto attiene al suo scopo. La procedura fallimentare esiste sotto varie forme, come meccanismi collettivi di esecuzione della totalità dei crediti nei confronti di un debitore, o attraverso la liquidazione del patrimonio del debitore insolvente, o mediante la ristrutturazione del debito, o con la riabilitazione dei soggetti in stato di insolvenza. A prescindere dal tipo di procedura fallimentare, un elemento comune è costituito dal fatto di non avere ad oggetto unicamente o principalmente la composizione di controversie, quanto piuttosto la risoluzione globale di situazioni complesse derivanti dal dissesto economico di un debitore, al fine di ottenere un risultato che sia nel miglior interesse delle parti in causa, in particolare dei vari tipi di creditori.

5. In ragione di queste caratteristiche particolari, sarebbe un grave errore applicare l’articolo 6 ai procedimenti in materia di fallimento come se tali questi ultimi potessero essere assimilati ad altri tipi di procedimenti giudiziari. Si deve tenere conto delle particolari caratteristiche e scopi della procedura fallimentare.

6. Sebbene l’apertura e la chiusura di un procedimento in materia di fallimento richiedano in genere il coinvolgimento di tribunali, e anche se possono sorgere questioni nell’ambito di tali procedimenti che richiedono la risoluzione di controversie – ad esempio nel determinare la validità, l’ammontare o la natura giuridica dei crediti vantati nei confronti del debitore o l’efficacia di alcune transazioni precedenti al fallimento – la durata del procedimento fallimentare non dipende soltanto dal tempo che richiedono le fasi che si svolgono dinanzi ai tribunali. La durata complessiva di questo procedimento, ossia il periodo compreso tra l’apertura e la chiusura dello stesso, dipende in gran parte dal tempo richiesto dalle misure di liquidazione, ristrutturazione o riabilitazione. L’intero processo persegue lo scopo di raggiungere risultati ottimali dal punto di vista del soddisfacimento dei creditori. Questo può richiedere a sua volta misure a lungo termine. In questo contesto, un’azione rapida può non essere la migliore opzione per raggiungere un risultato economico ottimale per i creditori; nel procedimento in materia di fallimento, la soluzione rapida non è necessariamente la migliore. Perciò, a differenza della maggior parte degli altri procedimenti, una durata complessivamente lunga del processo di risoluzione può a volte essere giustificata dallo scopo del procedimento e dall’interesse superiore dei creditori. Questo, naturalmente, deve essere determinato alla luce delle circostanze di ciascun caso di specie.

7. Per questo motivo, i fattori temporali del procedimento fallimentare richiedono che si presti una particolare attenzione, sia quando si tratta di stabilire in quale misura la durata è interamente imputabile allo Stato, sia per quanto riguarda i criteri in base ai quali deve essere determinato il carattere ragionevole della durata, tenuto conto della natura e dello scopo di tale procedimento. Queste peculiarità devono essere tenute presenti nel decidere se e in quale modo lo Stato sia responsabile dal punto di vista del requisito del termine ragionevole previsto dall’articolo 6.

Il caso di specie

8. La presente causa riguarda un tipo particolare di procedura di liquidazione (liquidazione coatta amministrativa) prevista dalla legislazione italiana, applicabile a particolari categorie di debitori, quali gli istituti finanziari e le cooperative, che sono soggette al controllo dello Stato a causa dell’interesse generale delle attività che svolgono (paragrafo 13 della sentenza). In linea con le procedure fallimentari in generale, la procedura contestata è finalizzata all’esecuzione collettiva di tutti i crediti nei confronti del debitore, in questo caso una cooperativa edilizia (paragrafi 14-15 della sentenza).

9. Ai sensi di tale procedura, il tribunale competente dichiara lo stato di insolvenza ed esercita alcune altre funzioni nell’ambito del procedimento, alla competente autorità di controllo è affidato il compito di avviare formalmente la liquidazione, e i liquidatori sono pubblici ufficiali. Pertanto, a differenza delle comuni procedure fallimentari esistenti negli Stati contraenti, la procedura in questione è a tutti gli effetti condotta dalle autorità pubbliche nazionali, giudiziarie o amministrative, a seconda della fase del processo di liquidazione. Di conseguenza, concordo sul fatto che lo Stato convenuto possa essere considerato responsabile, a titolo dell’articolo 6, per la durata complessiva del procedimento fallimentare in questione.

10. Per quanto riguarda la durata del processo di liquidazione nel caso di specie, concordo con i miei colleghi della maggioranza che il Governo convenuto ha omesso di addurre una giustificazione pertinente per il lunghissimo periodo in cui il procedimento è rimasto pendente e che, in queste circostanze, vi è stata violazione dell’articolo 6 da parte dello Stato convenuto.


OPINIONE DISSENZIENTE DEL GIUDICE WOJTYCZEK

1. Contrariamente all’opinione della maggioranza, non penso che l’articolo 6 sia applicabile nella presente causa.

2. Questa causa riguarda una ingerenza nei diritti patrimoniali del ricorrente. Nel corso della procedura di liquidazione coatta amministrativa, i creditori non possono recuperare i loro crediti, neppure parzialmente. Devono attendere l’esito della procedura per sapere se e in quale misura i loro crediti saranno onorati. Pertanto, il ricorso avrebbe dovuto essere comunicato ed esaminato dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1. La durata della procedura di liquidazione in questa causa costituisce in effetti un motivo sufficiente per constatare una violazione di questo articolo della Convenzione. Mi rammarico che la maggioranza si sia rifiutata di esaminare questo aspetto della causa.

3. La maggioranza esprime la seguente opinione:

«Interessandosi all’impatto reale di tale atto nell’ambito della procedura controversa (si veda, mutatis mutandis, Gorou c. Grecia (n. 2) [GC], n. 12686/03, § 30, 20 marzo 2009), la Corte ritiene in questo caso che, a partire dalla suddetta richiesta formulata dal creditore, sorga una «contestazione» reale e seria su un diritto di carattere civile, trattandosi di un credito fondato su cambiali (Neves e Silva c. Portogallo, § 37, 27 aprile 1989, serie A n. 153-A, e Éditions Périscope c. Francia, § 38, 26 marzo 1992, serie A n. 234-B).»
Non sono d’accordo con questa opinione. Noto che nella sentenza Neves e Silva c. Portogallo, la Corte ha espresso il seguente punto di vista:
«L’articolo 6 par. 1 (art. 6-1) vale per le "contestazioni" relative a "diritti" (di carattere civile) che si possano considerare, almeno in maniera difendibile, riconosciuti nel diritto interno, indipendentemente dal fatto che siano o no tutelati anche dalla Convenzione (si vedano tra altre le sentenze Golder del 21 febbraio 1975, serie A n. 18, p. 16, par. 33, e H. contro Belgio del 30 novembre 1987, serie A n. 127-B, p. 31, par. 40).»
Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, il profilo civile dell’articolo 6 è applicabile alle controversie che vertono sui diritti delle persone interessate. Nel contesto delle procedure amministrative, la Corte, nella sentenza Janssen c. Germania (n. 23959/94, § 40, 20 dicembre 2001), ha formulato indicazioni più precise in merito alla applicabilità dell’articolo 6:
«La Corte ritiene come il Governo che il periodo pertinente sia cominciato a decorrere dal 20 marzo 1986, data in cui la sig.ra Gretel Janssen ha contestato il diniego di indennizzo che le era stato opposto dalla cassa malattia professionale. Solo in quel momento è sorta una «contestazione» ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione (König c. Germania , 28 giugno 1978, § 98, serie A, n. 27) ».
Questo approccio è stato confermato, tra l’altro, nelle cause Nichifor c. Romania (n. 1) (n. 62276/00, § 23, 13 luglio 2006), Schädler e altri c. Liechtenstein (n. 32763/08, § 25, 21 ottobre 2010), Mitkova c. l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (n. 48386/09, § 49, 15 ottobre 2015), Pejčić c. Serbia (n. 34799/07, § 69, 8 ottobre 2013), e Franz Maier GMBH c. Austria (n. 24143/11, § 49, 14 febbraio 2017).
Secondo questa giurisprudenza, ignorata nella sentenza, nel contesto di un procedimento amministrativo non contenzioso, sorge una contestazione se una persona propone un ricorso contro un atto amministrativo adottato nei suoi confronti. Fino a che l’interessato non ha presentato ricorso contro il primo atto amministrativo, non vi è alcuna contestazione.
Nel caso di specie, vi è stata effettivamente una contestazione riguardante la presa in considerazione del credito del ricorrente. La controversia è stata risolta in via definitiva con la sentenza del tribunale di Macerata in data 17 aprile 1997 (paragrafo 10). Il credito del ricorrente è stato riconosciuto dal giudice. Da allora, non vi è stata alcuna nuova contestazione, alcuna nuova controversia. Nessuno contesta che la società posta in liquidazione coatta amministrativa non sia in grado di pagare i suoi debiti. Il ricorrente attende una decisione che determinerà quale parte del suo credito gli sarà rimborsata. Una contestazione può sorgere in futuro se il ricorrente non è soddisfatto dello svolgimento o dell’esito del procedimento.

4. La maggioranza argomenta nel seguente modo:

«Per quanto riguarda la procedura fallimentare, la Corte ha sempre considerato che vi sia contestazione a partire dal momento in cui il creditore deposita una dichiarazione di credito (Savona c. Italia, n. 38479/97, §§ 7 e 14, 15 febbraio 2000, Venturini c. Italia, n. 44534/98, §§ 4 e 10, 1° marzo 2001, e Ragas c. Italia, n. 44524/98, §§ 3 e 9, 23 ottobre 2001).»
Constato che nelle cause qui citate, la Corte ha effettivamente calcolato la durata del procedimento a partire dalla data in cui un creditore aveva depositato una dichiarazione di credito, ma lo ha fatto senza dare alcuna spiegazione a questo riguardo. Essa ha completamente omesso di esaminare se effettivamente esistesse una contestazione in tale data. In particolare, non ha esaminato se la situazione del ricorrente soddisfacesse i criteri di applicabilità enunciati nella sua giurisprudenza e non ha neanche formulato esplicitamente il punto di vista secondo il quale vi sarebbe contestazione a partire dal momento in cui il creditore deposita una dichiarazione di credito. Le ragioni della scelta dell’approccio adottato in queste cause restano sconosciute.
Qui osservo anche che il solo fatto che una causa rientri nella competenza di una autorità giudiziaria e riguardi un diritto di carattere civile non rende automaticamente l’articolo 6 applicabile. In alcuni sistemi giuridici, gli organi giurisdizionali sono a volte competenti a pronunciarsi su questioni non contenziose, di carattere amministrativo, che potrebbero essere di competenza delle autorità amministrative.

5. La questione dell’applicabilità dell’articolo 6 alla procedura di liquidazione coatta amministrativa è affrontata dalla giurisprudenza consolidata della Commissione europea dei diritti dell’uomo. La camera ha deciso di discostarsi da questa giurisprudenza senza esaminare la questione in modo approfondito. Inoltre, essa si discosta anche dalla giurisprudenza consolidata relativa alla procedura amministrativa non contenziosa. L’approccio adottato equivale ad estendere la nozione di contestazione a ogni causa amministrativa nella quale un’autorità pubblica deve adottare un atto che determini i diritti (diritti di carattere civile ai sensi dell’articolo 6) di una persona.