Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 16 novembre 2017 - Ricorso n. 30801/06 - Causa Messana c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale affari giuridici e legali, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico e rivista con la dott.ssa Martina Scantambrulo, funzionario linguistico.

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CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

PRIMA SEZIONE

CAUSA MESSANA c. ITALIA
(Ricorso n. 30801/06)

SENTENZA

STRASBURGO
16 novembre 2017

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

Nella causa Messana c. Italia,

  • La Corte europea dei diritti dell’uomo (prima sezione), riunita in un comitato composto da
  • Kristina Pardalos, presidente,
  • Ksenija Turković,
  • Pauliine Koskelo, giudici,
  • e da Renata Degener, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 17 ottobre 2017,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

1.  All’origine della causa vi è un ricorso (n. 30801/06) presentato contro la Repubblica italiana con cui tre cittadini di questo Stato, il sig. Calogero Messana e le sigg.re Rosa e Giuseppa Marianna Messana («i ricorrenti»), hanno adito la Corte il 5 luglio 2006 in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
2.  I ricorrenti sono stati rappresentati dinanzi alla Corte dall’avvocato G. Ingrascí, del foro di Catania, e dall’avvocato A. Bozzi, del foro di Milano. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, dal suo ex co-agente N. Lettieri, e dal suo co-agente P. Accardo.
3.  Il 29 maggio 2007 il ricorso è stato comunicato al Governo.

IN FATTO

I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

4.  I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1946, 1944 e 1948 e risiedono a Caltanissetta.
5.  I ricorrenti erano comproprietari di due terreni edificabili rispettivamente di 7.030 e 1.020 m², situati a Canicattí e registrati al catasto al foglio 67, particelle 217, 230 e 224 e al foglio 67, particella 215.
6.  Con due decreti in data 14 gennaio 1983 e 24 agosto 1984, il comune di Canicattí autorizzò una impresa di costruzioni privata a occupare d’urgenza i terrenti dei ricorrenti, in vista della loro espropriazione, al fine di costruirvi delle case popolari.
7.  I terreni furono occupati rispettivamente il 16 febbraio 1983 e il 20 settembre 1984 e i lavori di costruzione terminarono il 3 dicembre 1986.

A.  Procedura riguardante l’indennità di espropriazione

8.  Con atti notificati il 19 e il 29 febbraio 1996, i ricorrenti avviarono, dinanzi al tribunale di Agrigento, un ricorso per risarcimento danni contro il comune di Canicattí e l’impresa di costruzioni. Essi sostenevano che l’occupazione dei terreni era illegittima e che i lavori di costruzione erano terminati senza procedura formale di espropriazione dei terreni. Chiedevano una somma corrispondente al valore venale dei terreni a titolo di risarcimento.
9.  Con sentenza del 7 maggio 1998, il tribunale di Agrigento dichiarò che ai ricorrenti non era dovuta alcuna indennità in quanto l’azione di risarcimento danni era soggetta a un termine di prescrizione di cinque anni a decorrere dal 3 novembre 1988, ossia la data di entrata in vigore della legge n. 458 del 1988, che fissa il principio dell’espropriazione indiretta e prevede un risarcimento per i proprietari dei terreni utilizzati per la costruzione di edifici pubblici.
10.  Con atto notificato il 6 maggio 1999, i ricorrenti interposero appello avverso questa sentenza dinanzi alla corte d’appello di Palermo.
11.  Il 14 novembre 2000, fu depositata in cancelleria una perizia tecnica disposta dalla corte d’appello. Secondo l’esperto, le date di scadenza dei periodi di occupazione legittima per i due terreni erano rispettivamente il 14 gennaio 1993 e il 20 settembre 1994. A queste date, il valore venale dei  terreni era di 1.043.158.716 ITL (539.158 EUR) per il primo e di 142.930.976 ITL (73.817 EUR) per il secondo. Applicando i criteri introdotti dalla legge n. 662 del 1996, l’esperto calcolò che l’indennità dovuta ai ricorrenti era di 573.737.294 ITL (296.300 EUR) per il primo terreno e di 78.612.037 ITL (40.599 EUR) per il secondo.
12.  Con sentenza del 6 dicembre 2004, la corte d’appello di Palermo rilevò che l'occupazione legittima era cessata il 14 gennaio 1993 e il 20 settembre 1994 e, in applicazione del principio dell'espropriazione indiretta, considerò che i ricorrenti erano stati privati dei loro terreni a partire da queste date. Ritenne anche che il termine di prescrizione di cinque anni fosse iniziato a decorrere da questa stessa data. Poiché i ricorsi per risarcimento danni erano stati proposti dinanzi al tribunale di Agrigento nel 1996, ritenne che il diritto degli interessati non fosse prescritto. Di conseguenza, in applicazione della legge n. 662 del 1996, la corte d'appello condannò il comune di Canicattí e l'impresa di costruzione a versare ai ricorrenti la somma complessiva di 892.412.578 ITL (460.892,63 EUR), corrispondente alle somme fissate dall’esperto, rivalutate alla data della sentenza.
13.  In assenza di ricorso per cassazione, la suddetta sentenza divenne definitiva il 21 gennaio 2006.

B.  Procedura riguardante l’indennità di occupazione temporanea

14.  Con atto di citazione del 9 febbraio 1996, i ricorrenti avviarono un’azione contro il comune di Canicattì dinanzi alla corte d’appello di Palermo, chiedendo il riconoscimento di una indennità di occupazione temporanea.
15.  Con sentenza del 3 maggio 2001, la corte d’appello di Palermo accordò ai ricorrenti, congiuntamente, 218.791.424 ITL (112.996 EUR) a titolo di indennità di occupazione, maggiorata di interessi fino alla data del pagamento.
16.   Con un mandato di pagamento emesso il 1° ottobre 2003, il comune di Canicattì corrispose ai ricorrenti 75.279,98 EUR ciascuno a titolo di indennità di occupazione temporanea.

II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI

17.  Per quanto riguarda il diritto e la prassi interni pertinenti nella presente causa, la Corte rinvia alla sentenza Messana c. Italia, n. 26128/04, §§ 17-20, 9 febbraio 2017.

IN DIRITTO

I.  SULLA DOMANDA DI CANCELLAZIONE DEL RICORSO DAL RUOLO AI SENSI DELL’ARTICOLO 37 DELLA CONVENZIONE

18.  Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, il 16 dicembre 2015 il Governo ha comunicato alla Corte di aver formulato una dichiarazione unilaterale al fine di risolvere la questione sollevata con il ricorso. Il Governo ha invitato la Corte a cancellare il ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 della Convenzione dietro versamento di una somma complessiva (520.000 EUR), a copertura di tutti i danni materiali e morali, nonché delle spese e del riconoscimento della violazione del diritto al rispetto dei beni ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 e dell’articolo 6 § 1 della Convenzione.
19.  Il 15 gennaio 2016 i ricorrenti hanno dichiarato di non essere soddisfatti dei termini della dichiarazione unilaterale tenuto conto della somma offerta.
20.  La Corte ha affermato che, in determinate circostanze, può essere opportuno cancellare un ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 §. 1 c) della Convenzione sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto anche se il ricorrente desidera che l’esame della causa prosegua. Saranno tuttavia le circostanze particolari della causa che permetteranno di stabilire se la dichiarazione unilaterale offra una base sufficiente per permettere alla Corte di concludere che il rispetto dei diritti umani sanciti dalla Convenzione non esige che essa prosegua l’esame della causa ai sensi dell’articolo 37 § 1 in fine (si vedano, tra altre, Tahsin Acar c. Turchia (eccezioni preliminari) [GC], n. 26307/95, § 75, CEDU 2003-VI e Melnic c. Moldavia, n. 6923/03, § 14, 14 novembre 2006).
21.  Tra i fattori da prendere in considerazione a tale proposito vi è, tra l’altro, l’eventualità che il Governo, nella sua dichiarazione unilaterale, formuli una qualche concessione per quanto riguarda le dedotte violazioni della Convenzione e, in questa ipotesi, quali siano la portata di tali concessioni e le modalità del risarcimento che intende fornire al ricorrente. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, nei casi in cui è possibile cancellare le conseguenze di una dedotta violazione (ad esempio in alcune cause in materia di proprietà) e in cui il Governo convenuto si dichiara disposto a farlo, il risarcimento previsto ha più probabilità di essere considerato adeguato ai fini di una cancellazione del ricorso dal ruolo (si veda Tahsin Acar, sopra citata, § 76).
22.  Quanto alla questione di stabilire se sia opportuno cancellare il presente ricorso dal ruolo sulla base della dichiarazione unilaterale del Governo, la Corte rileva che l’importo dell’indennizzo offerto è insufficiente rispetto alle somme da lei riconosciute in alcune cause simili in materia di espropriazione indiretta (si vedano Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009; Rivera e di Bonaventura c. Italia, n. 63869/00, 14 giugno 2011, De Caterina e altri c. Italia, n. 65278/01, 28 giugno 2011, e Macrì e altri c. Italia, n. 14130/02, 12 luglio 2011).
23.  In queste condizioni, la Corte osserva che la dichiarazione unilaterale in causa non costituisce una base sufficiente per concludere che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione non esige la prosecuzione dell’esame del ricorso (si veda Messana c. Italia, n. 26128/04, § 26, 9 febbraio 2017).
24.  In conclusione, la Corte rigetta la domanda del Governo volta alla cancellazione del ricorso dal ruolo in virtù dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione e, di conseguenza, prosegue l’esame della causa sulla ricevibilità e sul merito.

II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N. 1

25.  I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 in ragione dell’applicazione del principio dell’espropriazione indiretta. Invocano anche l’articolo 13 della Convenzione, in combinato disposto con l’articolo 1 del Protocollo n. 1 senza, tuttavia, esporre argomenti a sostegno. La Corte esaminerà tale motivo di ricorso unicamente dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, il quale è così formulato:
«Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»
26.  Il Governo si oppone a questa tesi.

A.  Sulla ricevibilità

27.  Il Governo solleva una eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in quanto i ricorrenti non hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello di Palermo.
28.  I ricorrenti si oppongono all’eccezione del mancato esaurimento del Governo e sostengono che un ricorso per cassazione non avrebbe posto rimedio alla situazione denunciata.
29.  La Corte rammenta di aver già rigettato delle eccezioni simili nelle cause Giacobbe e altri c. Italia (n. 16041/02, 15 dicembre 2005) e Chirò c. Italia, (n. 5), (n. 67197/01, 11 ottobre 2005) e, non rilevando alcun motivo per discostarsi dalle sue precedenti conclusioni, respinge l’eccezione in questione.
30.  La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 a) della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. È quindi opportuno dichiararlo ricevibile.

B.  Sul merito

1.  Argomenti delle parti

a)  I ricorrenti

31.  I ricorrenti rammentano di essere stati privati del loro bene in virtù del principio dell’espropriazione indiretta, un meccanismo che consente all’autorità pubblica di acquisire un bene illegittimamente, fatto che è inammissibile in uno Stato di diritto.
32.  Essi sostengono di avere avuto la certezza della perdita della proprietà dei loro beni in applicazione del principio dell’espropriazione indiretta con la sentenza della corte d’appello di Palermo.

b)  Il Governo

33.  Il Governo prende atto del fatto che la giurisprudenza della Corte, ormai consolidata, si pronuncia per l’incompatibilità del meccanismo dell’espropriazione indiretta con il principio di legalità. Tuttavia, alla luce delle sentenze delle autorità giudiziarie interne in cui si dichiara che vi era stato un trasferimento di proprietà, assimilabile ad un atto formale di espropriazione, l’espropriazione in questione non potrebbe più considerarsi incompatibile con il rispetto dei beni e il principio della preminenza del diritto.
34.  Per quanto riguarda il risarcimento, il Governo riconosce che i parametri applicati nel caso di specie sollevano problemi di compatibilità con la Convenzione, in quanto i ricorrenti non sono stati risarciti sulla base del valore venale dei terreni

2.  Valutazione della Corte

a)  Sull’esistenza di una ingerenza

35.  La Corte rinvia alla sua giurisprudenza costante relativa alla struttura dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione e alle tre norme distinte che questa disposizione contiene (si vedano, fra molte altre, Sporrong e Lönnroth c. Svezia, 23 settembre 1982, § 61, serie A n. 52, Iatridis c. Grecia [GC], n. 31107/96, § 55, CEDU 1999 II, Immobiliare Saffi c. Italia [GC], n. 22774/93, § 44, CEDU 1999 V, Broniowski c. Polonia [GC], n. 31443/96, § 134, CEDU 2004 V, e Vistiņš e Perepjolkins c. Lettonia [GC], n. 71243/01, § 93, 25 ottobre 2012).
36.  La Corte constata che le parti concordano sul fatto che vi è stata una «privazione» della proprietà ai sensi della seconda frase del primo comma dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.
37.  La Corte deve quindi accertare se la privazione denunciata sia giustificata dal punto di vista di questa disposizione.

b)  Sul rispetto del principio di legalità

38.  La Corte rammenta che l’articolo 1 del Protocollo n. 1 esige, prima di tutto e soprattutto, che un’ingerenza dell’autorità pubblica nel godimento del diritto al rispetto dei beni sia legale: la seconda frase del primo comma di questo articolo autorizza una privazione di proprietà soltanto «alle condizioni previste dalla legge»; il secondo comma riconosce agli Stati il diritto di disciplinare l’uso dei beni mettendo in vigore delle «leggi». Inoltre, la preminenza del diritto, uno dei principi fondamentali di una società democratica, è insita in tutti gli articoli della Convenzione (Amuur c. Francia del 25 giugno 1996, § 50, Recueil des arrêts et décisions 1996 -III, [GC] Iatridis c. Grecia, sopra citata, § 58).
39.  La Corte rinvia poi alla propria giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, fra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005, e Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia, in particolare per quanto riguarda la questione del rispetto del principio di legalità in questa tipologia di cause.
40.  Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell’espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno ritenuto che i ricorrenti fossero stati privati del loro bene a decorrere dalla data della cessazione del periodo di occupazione legittima. Ora, in assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che tale situazione non possa essere ritenuta «prevedibile», poiché soltanto con il provvedimento giudiziario definitivo si può considerare effettivamente applicato il principio dell’espropriazione indiretta e legittimata l’acquisizione dei terreni da parte delle autorità pubbliche. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la certezza giuridica per quanto riguarda la privazione della proprietà dei terreni non prima del 21 gennaio 2006, data in cui la sentenza della Corte d’appello di Palermo è divenuta definitiva.
41.  La Corte osserva poi che la situazione in causa ha consentito all’amministrazione di trarre vantaggio da una occupazione di terreno illegittima. In altre parole, l’amministrazione ha potuto appropriarsi del terreno in violazione delle norme che disciplinano l’espropriazione in debita forma.
42.  Alla luce di queste considerazioni, la Corte ritiene che l’ingerenza in causa sia incompatibile con il principio di legalità e che abbia pertanto violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti.
43.  Di conseguenza, vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1.

III.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE

44.  I ricorrenti lamentano una mancanza di equità della procedura e sostengono che non possono essere indennizzati sulla base del valore venale del terreno per effetto della legge n. 662 del 1996, entrata in vigore mentre il procedimento era ancora pendente. Essi invocano l’articolo 6 § 1 della Convenzione, che nelle sue parti pertinenti recita:
«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia trattata equamente (...) da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...).»
45.  La Corte osserva che questo motivo di ricorso è legato a quello esaminato sopra e deve pertanto essere dichiarato ricevibile.
46.  La Corte ha appena constatato, dal punto di vista dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, che la situazione denunciata dai ricorrenti non è conforme al principio di legalità. Tenuto conto dei motivi che hanno condotto a questa constatazione di violazione, essa ritiene di non dover esaminare separatamente se vi sia stata, nella fattispecie, violazione dell’articolo 6 § 1 (si vedano Macrì e altri c. Italia, sopra citata, § 49; Rivera e di Bonaventura c. Italia, sopra citata, § 30; Iandoli c. Italia, n. 67992/01, 14 giugno 2011; Velocci c. Italia, n. 717/03, 18 marzo 2008; Farina c. Italia, n. 75259/01, 17 maggio 2011).

IV.  SULLE ALTRE VIOLAZIONI DEDOTTE

47.  I ricorrenti invocano anche l’articolo 17 della Convenzione, senza tuttavia produrre elementi a sostegno della loro doglianza.
48.  Di conseguenza, la Corte ritiene che quest’ultima debba essere dichiarata irricevibile in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35, §§ 3 e 4 della Convenzione.

V.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE

49.  Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
«Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

A.  Danno materiale

50.  I ricorrenti chiedono una somma corrispondente alla differenza tra il valore venale del terreno e l’ammontare dell’indennizzo corrisposto a livello nazionale, da rivalutare e maggiorare degli interessi. I ricorrenti chiedono, inoltre, il versamento della somma di 6.240.000 EUR a titolo di plusvalenza derivante dalla costruzione delle opere pubbliche.
51.  Il Governo si oppone a queste richieste.
52.  La Corte rammenta che nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], sopra citata, la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte sui criteri di indennizzo nei casi di espropriazione indiretta, stabilendo che l’indennizzo da accordare deve corrispondere al valore integrale del terreno al momento della perdita della proprietà, accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice competente nel corso della procedura interna. Inoltre, una volta dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, tale importo deve essere attualizzato per compensare gli effetti dell’inflazione e maggiorato di interessi tali da rimediare, almeno in parte, al lungo lasso di tempo che è trascorso dallo spossessamento dei terreni. Infine, occorre valutare la perdita di chance eventualmente subita dagli interessati.
53.  Nel caso di specie, secondo i giudici nazionali, i ricorrenti hanno perso la proprietà dei due terreni rispettivamente il 14 gennaio 1993 e il 20 settembre 1994 (si veda il paragrafo 12 supra). Risulta dalla perizia ordinata dalla corte d’appello di Palermo che il valore dei terreni a queste date era di 1.043.158.716 ITL (539.158 EUR) per il primo terreno e di 142.930.976 ITL (73.817 EUR) per il secondo (si veda il paragrafo 11 supra).
54.  Tenuto conto di questi elementi, la Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente 752.000 EUR, più gli importi eventualmente dovuti a titolo di imposta su tale somma.
55.  Per quanto riguarda la perdita di chance subita a seguito della perdita di proprietà, la Corte ritiene che occorra prendere in considerazione il danno derivante dall’indisponibilità dei terreni nel periodo compreso tra l’inizio dell’occupazione legittima (16 febbraio 1983 e 20 settembre 1984) fino al momento della perdita della proprietà (14 gennaio 1993 e 20 settembre 1994). Dall’importo così calcolato sarà dedotta la somma eventualmente già ottenuta dai ricorrenti a livello interno a titolo di indennità di occupazione. La Corte ritiene ragionevole accordare ai ricorrenti, congiuntamente 38.700 EUR per la perdita di chances.

B.  Danno morale

56.  I ricorrenti chiedono 100.000 EUR ciascuno per il danno morale.
57.  Il Governo si oppone a queste richieste.
58.  La Corte ritiene che il senso di impotenza e di frustrazione per l’espropriazione illegittima del loro bene abbia causato ai ricorrenti un danno morale cui si deve porre rimedio adeguatamente.
59.  Tenuto conto delle circostanze del caso di specie, e decidendo in via equitativa la Corte assegna ai ricorrenti, congiuntamente, la somma di 5.000 EUR a titolo di danno morale

C.  Spese

60.  Producendo i relativi documenti giustificativi, i ricorrenti chiedono anche 50.000 EUR per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e 40.000 per quelle dinanzi alla Corte.
61.  Il Governo si oppone a queste richieste.
62.  La Corte non dubita che sia stato necessario sostenere delle spese, ma ritiene eccessivi gli onorari complessivi richiesti a questo titolo, considera pertanto opportuno rimborsarli solo in parte.
63.  Tenuto conto delle circostanze del caso, la Corte ritiene ragionevole concedere un importo di 5.000 EUR per tutte le spese sostenute dai ricorrenti.

D.  Interessi moratori

64.  La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Rigetta la domanda di cancellazione dal ruolo del ricorso;
  2. Dichiara il ricorso ricevibile per quanto riguarda i motivi relativi all’articolo 1 del Protocollo n. 1 e all’articolo 6 § 1 della Convenzione, e irricevibile per il resto;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1;
  4. Dichiara non doversi esaminare il motivo relativo all’articolo 6 § 1 della Convenzione;
  5. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, congiuntamente, entro tre mesi, le somme seguenti:
      1. 790.700 EUR (settecentonovantamilasettecento euro), più l’importo eventualmente dovuto per il danno materiale;
      2. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, per danno morale;
      3. 5.000 EUR (cinquemila euro), più l’importo eventualmente dovuto dai ricorrenti a titolo di imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tale importo dovrà essere maggiorato di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 16 novembre 2017, in applicazione dell'articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento della Corte

Renata Degener
Cancelliere aggiunto

Presidente
Kristina Pardalos