Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 25 giugno 2013 - Ricorso n. 126/12 - Battaglia c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita dalla dott.ssa Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO
SECONDA SEZIONE
DECISIONE

Ricorso n. 126/12
Leandro BATTAGLIA
contro Italia 

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 25 giugno 2013 in un comitato composto da: 

Dragoljub Popović, presidente,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione f. f., 

Visto il ricorso sopra menzionato, presentato il 9 dicembre 2011; 

Vista la dichiarazione depositata dal governo convenuto l’11 settembre 2012 con cui si chiedeva alla Corte di cancellare il ricorso dal ruolo, nonché la risposta della parte ricorrente a tale dichiarazione; 

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione: 

FATTI E PROCEDURA 

Il ricorrente, sig. Leandro Battaglia, è un cittadino italiano nato nel 1953 e residente a Reggio Calabria. È stato rappresentato dinanzi alla Corte dall’avv. D. Polimeni del foro di Reggio Calabria.

Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

Il ricorrente è stato parte a un procedimento civile di cui contestava l’eccessiva durata per mezzo del ricorso «Pinto».

Con decisione del 22 dicembre 2008 la corte d’appello «Pinto» di Catanzaro constatò la violazione del termine ragionevole ai sensi dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e accordò al ricorrente le somme di 11.000 EUR per il danno morale e di 600 EUR per le spese.

La decisione non fu eseguita.

Dinanzi alla Corte, il ricorrente lamenta la mancata esecuzione della decisione «Pinto» e l’ineffettività del ricorso «Pinto».

Il ricorso è stato comunicato al Governo. 

IN DIRITTO 

A. Sulla mancata esecuzione della decisione «Pinto»

Il ricorrente lamenta la mancata esecuzione della decisione della corte d’appello «Pinto». Invoca gli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1.

Dopo il fallimento dei tentativi di composizione amichevole, l’11 settembre 2012 il Governo ha trasmesso alla Corte una dichiarazione unilaterale in cui affermava:

«(...) il Governo italiano si offre di versare (...):

  • la somma accordata dalla decisione «Pinto» in questione, rivalutata e maggiorata degli interessi legali alla data del pagamento, previa detrazione delle somme eventualmente già pagate in esecuzione di detta decisione,
  • 200 EUR (duecento euro), a copertura del danno morale derivante dal ritardo nel pagamento della somma Pinto, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta e
  • 200 EUR (duecento euro), a copertura di tutte le spese, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalla ricorrente.

Tali somme saranno pagate entro i tre mesi successivi alla data della notifica della decisione della Corte resa conformemente all’articolo 37 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In caso di mancato pagamento entro tale termine, il Governo si impegna a versare, a decorrere dalla scadenza dello stesso e fino al versamento effettivo delle somme in questione, un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea, aumentato di tre punti percentuali. Tale versamento avrà valore di definizione della causa.

Il Governo, riferendosi alla giurisprudenza della Corte in materia, ammette che la mancata esecuzione della decisione «Pinto» ha comportato la violazione degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1 (Simaldone c. Italia, n. 22644/03, 31 marzo 2009) e ritiene che le somme sopra indicate costituiscano una riparazione adeguata della violazione stessa (Gaglione e altri c. Italia, nn. 45867/07 e altri, 21 dicembre 2010).

Il Governo chiede rispettosamente alla Corte di dichiarare che la prosecuzione dell’esame del ricorso non è più giustificata e di cancellare il ricorso dal ruolo conformemente all’articolo 37 della Convenzione.»

Con lettera pervenuta alla Corte il 29 ottobre 2012 il ricorrente ha comunicato che non si riteneva soddisfatto dai termini della dichiarazione unilaterale.

La Corte rammenta che, in virtù dell’articolo 37 della Convenzione, in ogni momento della procedura può decidere di cancellare un ricorso dal ruolo quando le circostanze la portino a una delle conclusioni di cui ai commi a), b) o c) del paragrafo 1 di tale articolo. In particolare, l’articolo 37 § 1 c) le permette di cancellare un ricorso dal ruolo se:

«per ogni altro motivo di cui la Corte accerta l’esistenza, la prosecuzione dell’esame del ricorso non sia più giustificata.»

La Corte rammenta anche che, in alcune circostanze, può essere opportuno cancellare un ricorso dal ruolo ai sensi dell’articolo 37 § 1 c) sulla base di una dichiarazione unilaterale del governo convenuto (articolo 62A del regolamento).

A tal fine, la Corte deve esaminare in dettaglio la dichiarazione alla luce dei principi sanciti dalla sua giurisprudenza (Tahsin Acar c. Turchia (questione preliminare) [GC], n. 26307/95, §§ 75-77, CEDU 2003 VI; WAZA Spółka z o.o. c. Polonia (dec.) n. 11602/02, 26 giugno 2007).

La Corte ha fissato in un certo numero di cause, tra cui quelle contro l’Italia, la sua prassi per quanto riguarda i motivi di ricorso relativi, dal punto di vista degli articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1, alla mancata esecuzione delle decisioni giudiziarie (si vedano, ad esempio, Bourdov c. Russia, n. 59498/00, §§ 37-42, CEDU 2002 III; Metaxas c. Grecia, n. 8415/02, §§ 24-31, 27 maggio 2004) e, in particolare, delle decisioni «Pinto» (Simaldone c. Italia, n. 22644/03, §§ 48-64, 31 marzo 2009; Gaglione e altri c. Italia, nn. 45867/07 e altri, §§ 32-45, 21 dicembre 2010).

Considerata la natura delle concessioni contenute nella dichiarazione del Governo e visto l’importo del risarcimento proposto – conforme agli importi accordati in cause simili –, la Corte ritiene che la prosecuzione dell’esame di questa parte del ricorso non sia più giustificata (articolo 37 § 1 c)).

Inoltre, alla luce delle considerazioni sopra esposte e vista, in particolare, la sua copiosa e chiara giurisprudenza in materia, la Corte ritiene che il rispetto dei diritti dell’uomo sanciti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli non esiga che essa prosegua l’esame di questa parte del ricorso (articolo 37 § 1 in fine).

Infine, la Corte sottolinea che, qualora il Governo non rispettasse i termini della sua dichiarazione unilaterale, questa parte del ricorso potrebbe essere nuovamente iscritta al ruolo in virtù dell’articolo 37 § 2 della Convenzione (Josipović c. Serbia (dec.), n. 18369/07, 4 marzo 2008).

B. Sulla ineffettività del rimedio «Pinto»

Il ricorrente afferma che la mancata esecuzione della decisione della corte d’appello «Pinto» comporta l’ineffettività della via di ricorso interna, e invoca l’articolo 13 della Convenzione.

Considerata la giurisprudenza Simaldone c. Italia, n. 22644/03, §§ 76-84, 31 marzo 2009 e Gaglione, sopra citata, § 47, la Corte ritiene che la mancata esecuzione della decisione «Pinto» non rimetta in discussione l’effettività del rimedio «Pinto» ai sensi dell’articolo 13 della Convenzione.

Ne consegue che questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi la Corte, all’unanimità,

Prende atto dei termini della dichiarazione del governo convenuto riguardo alla mancata esecuzione della decisione «Pinto» (articoli 6 § 1 della Convenzione e 1 del Protocollo n. 1) e delle modalità previste per garantire il rispetto degli impegni in tal modo assunti;

Decide di cancellare questa parte del ricorso dal ruolo in applicazione dell’articolo 37 § 1 c) della Convenzione;

Dichiara il resto del ricorso irricevibile.

 

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

Dragoljub Popović
Presidente