Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 14 maggio 2013 - Ricorso n. 3314/09 - Carbè c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata dalla dott.ssa Anna Aragona, funzionario linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo. 

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 3314/09

CARBÉ contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 14 maggio 2013 in una Camera composta da:

Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,

Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 29 ottobre 2008,

Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

I ricorrenti, sig.ra Concetta Carbé e sig. Natale Carbé, sono cittadini italiani nati rispettivamente nel 1961 e nel 1931 e residenti ad Avola (Siracusa). Sono rappresentati dinanzi alla Corte dall’avv. Francesco Magro, del foro di Avola.

Le circostanze del caso di specie

1.  I fatti della causa, così come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.

1.  La procedura fallimentare

2.  Con sentenza depositata il 27 giugno 1989, il tribunale di Siracusa dichiarava il fallimento della società C. S.n.c. nonché il fallimento personale  dei ricorrenti, in quanto soci della medesima.  

3.  Il 20 luglio 1989 i ricorrenti proponevano opposizione alla dichiarazione di fallimento. Questa procedura si concludeva il 19 gennaio 1994 con una sentenza di rigetto.

4.  In data imprecisata, nel corso del 1989, uno dei creditori proponeva opposizione allo stato passivo del fallimento. Questo procedimento si concludeva con una sentenza depositata il 18 luglio 1999.

5.  L’esame delle domande tardive di ammissione al passivo fallimentare aveva luogo tra il 1990 ed il 1997.

6.  Nel corso della procedura venivano nominati tre periti, incaricati di valutare i beni facenti parte dell’attivo.

7.  Secondo le informazioni fornite dai ricorrenti il 17 dicembre 2012, la procedura in tale data era ancora pendente.

2.  Il procedimento promosso a norma della «legge Pinto»

8.  I ricorrenti proponevano separatamente due ricorsi dinanzi alla corte d’appello di Messina ai sensi della «legge Pinto», lamentando la durata eccessiva della procedura e le incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento.

9.  Valutato lo stato della procedura alla data delle decisioni emesse, ossia il 20 luglio 2004 per la sig.ra Concetta Carbé ed il 20 ottobre 2004 per il sig. Natale Carbé, la corte d’appello accordava a ciascun ricorrente 10.000 EUR a titolo di risarcimento dei danni morali.

10.  Con due sentenze depositate il 4 ed il 30 aprile 2008 (rispettivamente nei confronti del sig. Natale Carbé e della sig.ra Concetta Carbé), il ricorso proposto dagli interessati veniva rigettato.  

MOTIVI DI RICORSO

11.  Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti lamentano la durata eccessiva del procedimento. Invocando l’articolo 13 della Convenzione, essi denunciano il fatto di non disporre di un ricorso effettivo al fine di lamentare la durata eccessiva del procedimento. 

12.  I ricorrenti invocano altresì gli articoli 17 e 53 della Convenzione, senza tuttavia suffragare questi motivi di ricorso con elementi di prova. 

IN DIRITTO

13.  I ricorrenti lamentano la violazione degli articoli 6 § 1 (durata del procedimento) e 13 della Convenzione, che nelle parti pertinenti recitano:

Articolo 6 § 1 della Convenzione

«Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (...) entro un termine ragionevole da un tribunale (...), il quale sia chiamato a pronunciarsi (...) sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

Articolo 13 della Convenzione

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’autorità nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

 

14.  La Corte osserva in primo luogo di aver pronunciato, il 23 giugno 2009, una sentenza relativa ad un ricorso proposto dai ricorrenti ed avente per oggetto i fatti  della presente causa (ricorso n. 13697/04), pervenendo, per quanto attiene al presente caso, alle conclusioni che seguono. Quanto al sig. Natale Carbé, essa ha concluso per la violazione degli articoli 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione (diritto al rispetto della corrispondenza) e 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione, in relazione alla durata delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento e 13 della Convenzione, in relazione all’assenza di un ricorso effettivo al fine di lamentare la durata delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento. La Corte ha accordato al ricorrente 22.000 euro (EUR) a titolo di risarcimento dei danni morali.

15.  Nel caso della sig.ra Concetta Carbé, la Corte ha concluso per il mancato esaurimento delle vie di ricorso interne in relazione alla doglianza basata sulla durata delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento. Effettivamente, nell’ambito del ricorso n. 3697/04, la ricorrente aveva omesso di segnalare alla Corte di aver presentato un ricorso dinanzi alla Corte d’appello di Messina e, successivamente, dinanzi alla Corte di cassazione, ai sensi della «legge Pinto».

16.  Per quanto attiene al presente ricorso, la Corte ritiene che si debba effettuare una distinzione tra due periodi.  

1.  Periodo preso in considerazione dalle autorità nazionali nell’ambito del ricorso «Pinto» proposto dai ricorrenti

a)  Sig. Natale Carbé

17.  La Corte rileva che il ricorrente ha già ottenuto  22.000 EUR per la durata delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento. La Corte osserva che il risarcimento dei danni morali in questione è stato accordato per la violazione degli articoli 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione, 8 della Convenzione (diritto al rispetto della corrispondenza), 2 del Protocollo n. 4 alla Convenzione. Essa rileva altresì che il ricorrente invoca nel presente ricorso gli articoli 6 § 1 e 13 per lamentare la durata della procedura fallimentare in quanto tale. Tuttavia, la Corte può solo constatare che questi motivi di ricorso non sollevano una questione diversa rispetto a quella già sottoposta al suo esame nell’ambito del ricorso n. 13697/04, ossia la durata del procedimento nazionale con le relative conseguenze. 

18.  Pertanto, la Corte rigetta tale parte del ricorso, in quanto essa coincide essenzialmente con le doglianze sollevate nell’ambito del ricorso n. 13697/04, ai sensi dell’articolo 35 § 2 b) della Convenzione.

b)  Sig.ra Concetta Carbé

19.  La Corte rammenta che, nell’ambito del ricorso n. 13697/04, la ricorrente aveva omesso di segnalare alla Corte di aver presentato un ricorso dinanzi alla Corte d’appello di Messina e, successivamente, dinanzi alla Corte di cassazione, ai sensi della «legge Pinto». Di conseguenza, il suo ricorso era stato rigettato per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne.

20.  Come nel caso del primo ricorrente, la Corte osserva che le doglianze sollevate nell’ambito del presente ricorso riguardano la durata del procedimento nazionale e sono dunque identiche a quelle formulate nell’ambito del ricorso n. 13697/04.

21.  In queste circostanze, la Corte ritiene che il motivo di ricorso formulato dalla ricorrente, basato sugli articoli 6 § 1 e 13 della Convenzione, debba essere considerato d’ufficio come una implicita richiesta di revisione della sentenza della Corte del 23 giugno 2009, ed in particolare del paragrafo 26, ai sensi dell’articolo 80 del Regolamento della Corte, dal momento che la richiesta si basa su un fatto nuovo, ossia il ricorso «Pinto» proposto dalla ricorrente. L’articolo 80 del Regolamento della Corte, nelle parti pertinenti, dispone quanto segue:

«1. Se emerge un fatto che, per la sua natura, avrebbe potuto influenzare in modo decisivo l’esito di una causa già definita e che, all'epoca della sentenza, era sconosciuto alla Corte e non poteva ragionevolmente essere conosciuto da una delle parti, quest'ultima può, entro il termine di sei mesi a decorrere dal momento in cui ha avuto conoscenza del fatto scoperto, presentare alla Corte una richiesta di revisione della sentenza stessa. 

[...]

3. La camera iniziale può decidere d’ufficio di respingere la richiesta in quanto non vi sono ragioni che ne giustifichino l’esame. Se non è possibile riunire la camera iniziale, il presidente della Corte costituisce o integra la camera mediante estrazione a sorte. [...]»

22.  La Corte rammenta che, ai sensi dell’articolo 44 della Convenzione, le sue sentenze sono definitive e che, nella misura in cui rimette in discussione tale carattere definitivo, la procedura di revisione, non prevista dalla Convenzione ma introdotta dal regolamento della Corte, riveste carattere eccezionale: da qui l’esigenza di un severo esame della ricevibilità di ogni richiesta di revisione di una sentenza della Corte nell’ambito di tale procedura (Pardo c. Francia, 10 luglio 1996 (revisione – ricevibilità), § 21, Recueil des arrêts et décisions 1996-III, Gustafsson c. Svezia, 30 luglio 1998 (revisione – fondatezza), § 25, Recueil 1998-V, e Stoicescu c. Romania (revisione), n. 31551/96, § 33, 21 settembre 2004).

23.  La Corte osserva che il fatto in questione era evidentemente noto alla ricorrente al momento della presentazione del primo ricorso, in quanto la medesima era parte nei procedimenti promossi dinanzi alle autorità competenti per i procedimenti «Pinto», e che l’interessata ha semplicemente omesso di fornire alla Corte una versione corretta dei fatti della causa.

24.  Di conseguenza, la Corte rigetta la richiesta della ricorrente volta ad ottenere una revisione della causa alle luce di fatti nuovi presentati ai sensi dell’articolo 80 §§ 1 e 3 del Regolamento (Grossi e altri c. Italia (revisione), n. 18791/03, 30 ottobre 2012; Ernest Pardo c. Francia, dec., n. 13416/87, 31 agosto 2004 e Haas c. Paesi Bassi, dec., n. 36983/97, 7 settembre 2004).

2.  Periodo successivo a quello preso in considerazione dalle autorità nazionali nell’ambito del ricorso «Pinto» proposto dai ricorrenti 

25.  La Corte rileva che la corte d’appello di Messina, nell’ambito del primo ricorso Pinto, ha valutato la durata del procedimento alla data delle proprie decisioni, ossia il 20 luglio 2004 ed il 20 ottobre 2004. Dal momento che la procedura fallimentare era ancora pendente, i ricorrenti hanno omesso di proporre un nuovo ricorso «Pinto» per lamentare l’ulteriore periodo di oltre otto anni, alla data odierna, che non è stato preso in considerazione nell’ambito del primo ricorso. Per quanto riguarda questa fase successiva, i ricorrenti avrebbero dovuto utilizzare le vie di ricorso interne, rivolgendosi nuovamente alla corte d’appello competente. Di conseguenza, la Corte ritiene che questa parte del ricorso debba essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione (Musci c. Italia [GC], n. 64699/01, § 116, CEDU 2006 V (estratti) e Gattuso c. Italia, dec. n. 24715/04, 18 novembre 2004).

26.  I ricorrenti invocano altresì gli articoli 17 e 53 della Convenzione, senza tuttavia suffragare questi motivi di ricorso con elementi di prova. Gli articoli in questione recitano:

Articolo 17 della Convenzione

«Nessuna disposizione della (…) Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione.»

Articolo 53 della Convenzione

«Nessuna delle disposizioni della (…) Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte Contraente o in base ad ogni altro accordo al quale essa partecipi.»

27.  La Corte rileva che, non essendo suffragati da elementi di prova, tali motivi di ricorso devono essere dichiarati irricevibili in quanto manifestamente infondati ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Decide di rigettare la richiesta di revisione della sentenza Carbè e altri c. Italia, n. 13697/04, 23 giugno 2009;

Dichiara il ricorso irricevibile per il resto. 

Stanley Naismith
Cancelliere

Danutė Jočienė
Presidente