Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo dell'11 giugno 2013 - Ricorso n.11625/07 - Donato D’Auria e Balsamo c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da  Anna Aragona, funzionario linguistico. Revisione a cura di Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 11625/07

Donato D’AURIA e BALSAMO
contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita l’11 giugno 2013 in una Camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 9 marzo 2007,
Dopo aver deliberato, emette la seguente decisione:

IN FATTO

1. I ricorrenti, sigg. Donato e Antonio D’Auria («il primo ed il secondo ricorrente») e sig.ra Milena Balsamo («la ricorrente»), sono cittadini italiani, nati rispettivamente nel 1964, nel 1926 e nel 1965 e residenti a Pomigliano D’Arco (Napoli). Sono rappresentati dinanzi alla Corte dagli avv. A.G. Lana e A. Saccucci, del foro di Roma.

A.  Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dai ricorrenti, si possono riassumere come segue.

3. Nel dicembre 2002 a seguito delle dichiarazioni di un pentito, L.G., la procura di Roma avviava a carico del sig. Gian Paolo Cariello, il quale all’epoca dei fatti svolgeva le funzioni di presidente dell’ottava sezione del Tribunale del riesame di Napoli (di seguito la «sezione riesame»), un’indagine per corruzione e corruzione in atti giudiziari. Egli era accusato, insieme a altri quattro magistrati, di aver favorito, in cambio di somme di denaro e altre utilità, persone coinvolte in procedimenti per fatti di criminalità organizzata.

4. Il primo ricorrente era, all’epoca dei fatti, uno dei giudici della sezione riesame. Egli aveva redatto un provvedimento, adottato il 9 agosto 2001, con il quale detta sezione aveva ordinato la scarcerazione di alcuni affiliati ad un clan camorristico. Il 20 luglio 2001 il sig. Cariello aveva ricevuto rilevanti somme di denaro, che gli inquirenti avevano ritenuto essere di origine sospetta. 

5. Basandosi su tali elementi e ritenendo che il primo ricorrente potesse condurre conversazioni telefoniche con il sig. Cariello, il cui contenuto avrebbe potuto essere utile per le indagini, in data 14 luglio 2005 la procura di Roma chiedeva l’autorizzazione all’intercettazione di 18 utenze telefoniche, fra le quali tre erano intestate al primo ricorrente.  

6. Con decreto del 18 luglio 2005, il giudice per le indagini preliminari (di seguito il «GIP») di Roma accoglieva la citata richiesta ed autorizzava l’intercettazione delle utenze telefoniche in questione per una durata di 40 giorni. I ricorrenti osservano che, sebbene fossero intestate al primo ricorrente, due utenze telefoniche erano in realtà utilizzate dalla moglie (la ricorrente) e dal padre (il secondo ricorrente).

7. Con decreto del 26 agosto 2005, il GIP di Roma autorizzava una proroga delle intercettazioni per una durata di 20 giorni, osservando, tra l’altro, che alcune conversazioni intercettate erano attinenti alle indagini in corso. In particolare, vi sarebbe stato uno scambio di informazioni tra il primo ricorrente ed il sig. Cariello. Il 15 settembre 2005 il GIP autorizzava una nuova proroga di 20 giorni, giustificata dall’esigenza di acquisire prove e di identificare i responsabili dei reati.

8.Il 1o ottobre 2005 la procura chiedeva un’ulteriore proroga di 20 giorni. Con decreto del 3 ottobre 2005 il GIP rigettava detta richiesta nella parte concernente le utenze telefoniche intestate al primo ricorrente, osservando che dalle conversazioni intercettate tra il primo ricorrente ed il sig. Cariello o altri magistrati non erano emerse ipotesi di rilevanza penale.

9. Con decisione del 22 settembre 2006, accogliendo la richiesta della procura, il GIP di Roma archiviava il procedimento a carico del sig. Cariello e degli altri indagati, dichiarando il non luogo a procedere.

10. Pur affermando che le dichiarazioni di L.G. erano attendibili e che le indagini avevano effettivamente dimostrato l’esistenza di accrediti sospetti sul conto del sig. Cariello, il GIP riteneva che gli indizi raccolti nel corso delle indagini non fossero sufficienti a formulare un’imputazione di corruzione e non giustificassero la richiesta di rinvio a giudizio degli indagati.

11. I ricorrenti, che non erano oggetto delle citate indagini, venivano a conoscenza del fatto di essere stati intercettati solo al momento del deposito in cancelleria della decisione del 22 settembre 2006.

12. Il 23 marzo 2007 il sig. Cariello e altre tre persone proponevano ricorso alla Corte (n. 14064/07). Essi lamentavano, tra l’altro, l’illegalità delle intercettazioni, le quali non erano «necessarie in una società democratica» ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione. Con decisione del 30 aprile 2013 la Corte ha dichiarato irricevibile detto ricorso, ritenendo in particolare che il motivo di ricorso basato sull’articolo 8 della Convenzione fosse manifestamente infondato (si veda Cariello e altri c. Italia (dec.), n. 14064/07, 30 aprile 2013).

B.  Il diritto e la prassi interni pertinenti

13. Gli articoli 266-271 del codice di procedura penale (il «CPP») disciplinano l’intercettazione di conversazioni, di comunicazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione, incluse le comunicazioni informatiche e telematiche.

14. L’articolo 266 del CPP prevede i casi in cui le intercettazioni telefoniche possono essere effettuate, fra i quali rientra il caso dei reati contro la pubblica amministrazione, puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni.

15. L’articolo 267 del CPP stabilisce i presupposti e le forme del provvedimento che autorizza le intercettazioni:

« 1. Il pubblico ministero richiede al [GIP] l’autorizzazione a disporre [l’intercettazione di conversazioni o di comunicazioni telefoniche o di altre forme di telecomunicazione]. L’autorizzazione è data con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini.

(...)
4.  Tale durata non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni. »

16. La Corte di cassazione (sentenze nn. 9428 del 18 giugno 1999, rv. 214127, e 38413 del 7 febbraio 2003, rv. 227413) ha precisato che detto articolo si riferisce alla probabile esistenza di un reato e non alla colpevolezza di un determinato soggetto; per procedere ad  intercettazione non è pertanto necessario che gli indizi di colpevolezza siano a carico dei soggetti le cui comunicazioni debbano essere intercettate.

17. La legge n. 203 del 1991 «recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata» prevede deroghe alla disciplina delle intercettazioni qualora le indagini riguardino un reato connesso alla criminalità organizzata. In particolare, derogando parzialmente all’articolo 267 del CPP, l’articolo 13 della citata legge stabilisce che le intercettazioni possono essere autorizzate in presenza di «sufficienti indizi» di reato (invece di «gravi indizi di reato»), per una durata iniziale di quaranta giorni (invece di quindici) prorogabile per periodi successivi di venti giorni.

18. L’articolo 268 del CPP disciplina l’esecuzione delle operazioni di intercettazione. Il comma 4 recita:

«I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pubblico ministero. Entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni, essi sono depositati in segreteria insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l'intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga.»

19. Ai sensi dell’articolo 268 c. 6 del CPP, ai difensori delle parti è dato avviso che, entro un determinato termine, hanno facoltà di esaminare le trascrizioni delle intercettazioni ed ascoltarne le registrazioni. Scaduto il termine, il giudice dispone l'acquisizione delle conversazioni che non appaiano manifestamente irrilevanti, procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l'utilizzazione. Il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare allo stralcio.

20. L’articolo 269 del CPP stabilisce che le trascrizioni delle intercettazioni sono conservate presso il pubblico ministero che ha disposto l'intercettazione fino alla sentenza non più soggetta ad impugnazione.  Tuttavia gli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, possono chiederne la distruzione al giudice che ha autorizzato l'intercettazione. La distruzione viene eseguita sotto il controllo del giudice.

MOTIVI DI RICORSO

21.Invocando l’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti contestano l’intercettazione delle utenze telefoniche intestate al primo ricorrente.

22.Invocando l’articolo 13 della Convenzione, i ricorrenti denunciano l’assenza di rimedi effettivi al fine di contestare l’intercettazione delle lro conversazioni.

IN DIRITTO

A.  Motivo di ricorso relativo all’articolo 8 della Convenzione

23. I ricorrenti sostengono che le intercettazioni telefoniche di cui sono stati oggetto non erano previste dalla legge, né erano necessarie in una società democratica.

Essi invocano l’articolo 8 della Convenzione, che recita:

« 1.  Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. »

1.  Argomenti dei ricorrenti

24. I ricorrenti ammettono che l’ingerenza in questione avesse un fondamento giuridico formale nel diritto interno, ossia gli artt. 266 e seguenti del CPP e l’articolo 13 della legge n. 203 del 1991. Essi sostengono tuttavia che quest’ultimo articolo, relativo ad indagini su reati connessi alla criminalità organizzata, non trovava applicazione nel loro caso e non era stato citato nelle decisioni di proroga della durata delle intercettazioni. Inoltre, non sussisteva alcun «sufficiente indizio» di reato a carico della ricorrente e del secondo ricorrente. Quanto al primo ricorrente, nella decisione giudiziaria egli aveva solo applicato la legge sui termini massimi di custodia cautelare. La semplice circostanza che detta decisione  fosse stata adottata qualche giorno dopo il versamento di notevoli somme di denaro sul conto bancario del sig. Cariello non costituirebbe un grave indizio di colpevolezza.

25. I ricorrenti sostengono altresì che le disposizioni interne pertinenti non definirebbero con sufficiente precisione i casi in cui le intercettazioni possono essere disposte e utilizzate, né indicherebbero le persone che possono essere intercettate o i casi in cui le intercettazioni possono essere disposte. I ricorrenti ritengono che il riferimento ai «reati connessi alla criminalità organizzata» sia troppo generico e che la giurisprudenza della Corte di cassazione citata al paragrafo 16 supra consente, in pratica, di sottoporre chiunque ad intercettazioni telefoniche.

26. Le modalità e la durata delle intercettazioni sono peraltro risultate sproporzionate. I ricorrenti affermano di essere stati sottoposti ad intercettazione in assenza di qualsiasi accusa nei loro confronti e quindi in assenza di uno scopo legittimo. Sarebbe stato sufficiente sottoporre ad intercettazione le utenze del sig. Cariello e in ogni caso le autorità avrebbero dovuto rendersi conto che, fra le utenze intestate al primo ricorrente, due non erano utilizzate da quest’ultimo, ma da altri componenti della sua famiglia (la ricorrente ed il secondo ricorrente). Le motivazioni del GIP in merito alla necessità delle intercettazioni sarebbero state vaghe e laconiche. Non essendo parte nel procedimento penale, i ricorrenti non sono mai stati ufficialmente informati delle intercettazioni e non hanno avuto nessuna possibilità di intervenire nel procedimento, di avere accesso alle trascrizioni delle intercettazioni e di chiederne la distruzione. 

2.  Valutazione della Corte

a) Esistenza di un’ingerenza

27. La Corte sottolinea che, rientrando le comunicazioni telefoniche nella nozione di «vita privata» e di «corrispondenza» ai sensi dell'articolo 8, la loro intercettazione, la memorizzazione dei dati così ottenuti e il loro eventuale utilizzo nell'ambito dei procedimenti penali costituisce una «ingerenza da parte di un'autorità pubblica» nel godimento di un diritto che il paragrafo 1 della suddetta disposizione garantisce ai ricorrenti (si vedano, fra molte altre, Malone c. Regno Unito, 2 agosto 1984, § 64, serie A n. 82; Valenzuela Contreras c. Spagna, 30 luglio 1998, § 47, Recueil des arrêts et décisions 1998-V; e Panarisi c. Italia, n. 46794/99, § 64, 10 aprile 2007).

b) Giustificazione dell’ingerenza

28. Tale ingerenza viola l'articolo 8 salvo se, «prevista dalla legge», essa persegue uno o più scopi legittimi rispetto al paragrafo 2 ed è «necessaria in una società democratica» al fine di conseguirli (Panarisi, sopra citata, § 65, e Graviano c. Italia (dec.), n. 24320/03, 6 ottobre 2007).

i. L’ingerenza era «prevista dalla legge»?

29. L’espressione «prevista dalla legge» ai sensi dell'articolo 8 § 2 implica che la misura contestata abbia un fondamento nel diritto interno, ma riguarda anche la qualità della legge in causa, esigendo che quest'ultima sia accessibile per la persona interessata, la quale deve inoltre poterne prevedere le conseguenze per se stessa, e che sia compatibile con la preminenza del diritto (Khan c. Regno Unito, n. 35394/97, § 26, CEDU 2000-V, e Coban c. Spagna (dec.), n. 17060/02, 25 settembre 2006).

30. La Corte rileva che il GIP ha disposto le intercettazioni in questione ai sensi degli articoli 266 e seguenti del CPP, nonché della legge n. 203 del 1991 (paragrafi 13-20 supra). Poco importa che queste disposizioni non fossero espressamente menzionate nei decreti di proroga delle intercettazioni. D’altronde, poiché il sig. Cariello era accusato di aver favorito persone coinvolte in procedimenti in materia di criminalità organizzata in cambio di somme di denaro e altre utilità, non può essere considerata irragionevole o arbitraria l’interpretazione secondo la quale si trattava di reati «connessi alla criminalità organizzata». L’ingerenza in questione aveva quindi un fondamento giuridico nel diritto italiano.

31. La seconda esigenza che deriva dall’espressione «prevista dalla legge», ossia l'accessibilità di quest'ultima, non solleva alcun problema in questo caso. Lo stesso vale per la terza, la «prevedibilità della legge» per quanto riguarda il senso e la natura delle misure applicabili (Panarisi, sopra citata, § 68; Graviano, decisione sopra citata; Cariello e altri, decisione sopra citata, § 53). A tale proposito, è opportuno ricordare che il diritto italiano indica i reati per i quali le intercettazioni possono essere disposte ed effettuate, la loro durata massima e le modalità di conservazione e di distruzione delle registrazioni (paragrafi 13-20 supra). La Corte rammenta altresì di aver evidenziato l'impossibilità di raggiungere una precisione assoluta nella redazione delle leggi, e che molte leggi, in ragione della necessità di evitare una rigidità eccessiva e di adattarsi ai mutamenti, si servono per forza di cose di formule più meno vaghe (si vedano, mutatis mutandis, Barthold c. Germania, 25 marzo 1985, § 47, serie A n. 90, e Müller e altri c. Svizzera, 24 maggio 1988, § 29, serie A n. 133). Nelle circostanze particolari della presente causa, mancando ulteriori precisazioni da parte dei ricorrenti, la Corte non ritiene necessario pronunciarsi sulla questione di stabilire se il legislatore debba indicare con esattezza tutti i luoghi in cui potrebbero essere effettuate le intercettazioni o tutte le persone che, essendo in contatto con una persona sospettata, possono essere oggetto di intercettazione (Cariello e altri, decisione sopra citata, § 53).

32. Resta unicamente da stabilire se le modalità secondo le quali il GIP di Roma ha autorizzato le intercettazioni in questione fossero compatibili con le esigenze del diritto interno e della Convenzione.

33. Al riguardo, la Corte rammenta che spetta in primo luogo alle autorità nazionali, e in particolare alle corti e ai tribunali, interpretare e applicare il diritto interno (si vedano, fra molte altre, Malone, sopra citata, § 79, e Eriksson c. Svezia, 22 giugno 1989, § 62, serie A n. 156). Peraltro non è possibile prescindere da una giurisprudenza consolidata. In effetti la Corte ha sempre inteso il termine «legge» nella sua accezione «materiale» e non «formale»; in un ambito coperto dal diritto scritto, la «legge» è il testo vigente così come viene interpretato dai giudici competenti (Kruslin c. Francia, 24 aprile 1990, § 29, serie A n. 176-A).

34. Nel caso di specie, il GIP di Roma ha autorizzato le intercettazioni, rilevando che il pentito L.G. aveva riferito di una prassi di corruzione consistente nel favorire i  membri di un clan camorristico e che il primo ricorrente aveva emesso un provvedimento di scarcerazione di alcuni affiliati al suddetto clan qualche giorno dopo il versamento di rilevanti somme di denaro sul conto bancario di uno dei sospettati (paragrafi 4 e 5 supra). Secondo la Corte, il giudice ha sufficientemente motivato la sua decisione. E’ altresì opportuno rilevare che il GIP non era tenuto a specificare i «sufficienti indizi» di reato a carico del primo ricorrente, dal momento che questi non era una persona sospettata di un reato, ma semplicemente un soggetto che avrebbe potuto essere contattato da uno dei sospettati. In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (paragrafo 16 supra), le intercettazioni possono essere disposte anche nei confronti di persone a carico delle quali non sussiste alcun indizio di colpevolezza.

35. Alla luce di quanto precede, la Corte ritiene che l’ingerenza in questione fosse «prevista dalla legge».

ii.  Finalità e necessità dell’ingerenza

36. La Corte ritiene che l'ingerenza si prefiggesse di consentire l’accertamento della verità nell'ambito di un procedimento penale e fosse quindi volta alla difesa dell'ordine (Coban, decisione sopra citata; Panarisi, sopra citata, § 73; e Graviano, decisione sopra citata).

37. Resta da esaminare se l’ingerenza fosse «necessaria in una società democratica» per conseguire i citati obiettivi. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, gli Stati contraenti dispongono di un certo margine di apprezzamento per giudicare l'esistenza e l'ampiezza di tale necessità, ma questo va di pari passo con un controllo europeo che ha ad oggetto al tempo stesso la legge e le decisioni che la applicano, anche quando esse promanano da un’autorità giudiziaria indipendente (si veda, mutatis mutandis, Silver e altri c. Regno Unito, 25 marzo 1983, § 97, serie A n. 61, e Barfod c. Danimarca, 22 febbraio 1989, § 28, serie A n. 149). Nell'ambito dell'esame della necessità dell'ingerenza, la Corte deve soprattutto pervenire al convincimento che esistono garanzie adeguate e sufficienti contro gli abusi (Klass e altri c. Germania, 6 settembre 1978, §§ 50, 54 e 55, serie A n. 28).

38. La Corte rileva che il ricorso alle intercettazioni costituiva uno dei principali mezzi di indagine di natura tale da consentire di verificare se il sig. Cariello avesse abusato delle sue funzioni, come sosteneva L.G., allo scopo di favorire i membri di un’organizzazione criminale (si veda, mutatis mutandis, Panarisi, sopra citata, § 75, e Cariello e altri, decisione sopra citata, § 60).

39. Inoltre i ricorrenti, dopo aver appreso di essere stati intercettati, avrebbero potuto sporgere denuncia per intercettazioni illegali, nell’ambito della quale avrebbero potuto essere esaminate sia la legalità sia la giustificazione delle intercettazioni disposte (si veda, in particolare, la denuncia depositata nell’ambito della causa Cariello e altri, decisione sopra citata, § 61).

40. Quanto alla durata delle intercettazioni, queste ultime hanno avuto inizio nel luglio 2005 (paragrafo 6 supra) e sono state prorogate due volte (paragrafo 7 supra). La loro durata complessiva è stata di 80 giorni. Secondo la Corte, vista la gravità delle accuse a carico del sig. Cariello e delle altre persone coinvolte nel procedimento, nonché la necessità di verificare se alcuni magistrati del tribunale di Napoli abusassero delle loro funzioni in favore delle organizzazioni criminali, la durata complessiva di queste intercettazioni non può essere considerata sproporzionata rispetto allo scopo legittimo perseguito dalle autorità. D’altronde, dopo aver constatato che dalle conversazioni intercettate sulle utenze del primo ricorrente non emergevano elementi di rilievo penale, il GIP ha rifiutato un’ulteriore proroga delle intercettazioni (paragrafo 8 supra).

41. È vero che le intercettazioni hanno riguardato anche le utenze telefoniche utilizzate da persone, nella fattispecie la ricorrente ed il secondo ricorrente, le quali non si presumeva dovessero contattare il sig. Cariello. Tuttavia, la Corte ritiene che la sorveglianza di una persona non possa essere limitata unicamente perché le utenze telefoniche di cui è titolare sono utilizzate anche da altre persone. Inoltre, quando un indiziato è in contatto con terze persone, è possibile che le autorità mettano sotto intercettazione anche le utenze telefoniche appartenenti ai terzi interessati, a condizione che questa ingerenza, conformemente alla legislazione nazionale, sia giustificata da un bisogno imperioso. Al riguardo la Corte osserva che, secondo l'articolo 267 del CPP (paragrafo 15 supra), l'autorizzazione a procedere all'ascolto di conversazioni o di comunicazioni telefoniche o di altro tipo è data dal GIP soltanto se le intercettazioni sono «assolutamente indispensabili» per la prosecuzione dell'indagine. La documentazione contenuta nel fascicolo non consente di ritenere che la decisione di mettere sotto intercettazione le utenze in questione fosse arbitraria o contraria alla legge nazionale per altro motivo (si veda, mutatis mutandis, Cariello e altri, decisione sopra citata, § 63).

42. Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte ritiene che i ricorrenti abbiano beneficiato di un «controllo efficace» così come richiesto dalla preminenza del diritto e idoneo a limitare l'ingerenza in questione a ciò che era «necessario in una società democratica». Alla luce dei principi derivanti dalla giurisprudenza degli organi della Convenzione, la Corte ritiene che la documentazione contenuta nel fascicolo non permetta di rilevare una violazione da parte dei giudici italiani del diritto al rispetto della vita privata e delle comunicazioni, così come riconosciuto dall'articolo 8 della Convenzione (si vedano, mutatis mutandis, Coban, decisione sopra citata; Panarisi, sopra citata, § 77; e Graviano, decisione sopra citata).

43. Ne consegue che questo motivo di ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione

B.  Motivo di ricorso relativo all'articolo 13 della Convenzione

44. I ricorrenti sostengono di non essersi potuti avvalere, nel diritto italiano, di ricorsi effettivi per contestare le intercettazioni delle loro conversazioni.
Essi invocano l'articolo 13 della Convenzione, che recita:

«Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

45. La Corte rammenta che l'articolo 13 non può essere interpretato come obbligo di istituire un ricorso interno per qualsivoglia doglianza, sia pure ingiustificata, che un individuo può presentare in base alla Convenzione: deve trattarsi di un motivo di ricorso difendibile rispetto a quest'ultima (Boyle e Rice c. Regno Unito, serie A n. 131, § 52, 24 aprile 1988). Nella presente causa, la Corte ha appena concluso che la doglianza dei ricorrenti basata sulla clausola normativa «sostanziale» contenuta nell’articolo 8 della Convenzione è irricevibile in quanto manifestamente infondata.

46. Gli elementi di fatto sopra considerati dalla Corte per respingere quanto sostenuto dai ricorrenti sotto il profilo della clausola sostanziale invocata la inducono di conseguenza a concludere, sotto il profilo dell'articolo 13, che non si tratta di un motivo di ricorso difendibile (si veda, fra molte altre Al Shari e altri c. Italia (dec.), n. 57/03, 5 luglio 2005; Walter c. Italia (dec.), n. 18059/06, 11 luglio 2006; Schiavone c. Italia (dec.), n. 65039/01, 13 novembre 2007; e Zeno e altri c. Italia (dec.), n. 1772/06, 27 aprile 2010). Pertanto, nel caso di specie, non trova applicazione l’articolo 13.

47. Ne consegue che il presente motivo di ricorso è incompatibile ratione materiae con le disposizioni della Convenzione ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 § 4.

Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Danutė Jočienė
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere