Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 29 gennaio 2013 - Ricorso n.66640/10 - Tommaso Prestieri c. Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 66640/10

Tommaso PRESTIERI contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 29 gennaio 2013 in una camera composta da:
Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Peer Lorenzen,
Dragoljub Popović,
Işıl Karakaş,
Nebojša Vučinić,
Paulo Pinto de Albuquerque, giudici,
e da Stanley Naismith, cancelliere di sezione,
Visto il ricorso sopra menzionato proposto il 4 novembre 2010,
Dopo aver deliberato pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Tommaso Prestieri, è un cittadino italiano nato nel 1958 e residente a Napoli. Dinanzi alla Corte è rappresentato dall’avv. V. Giaquinto del foro di Caserta. Il governo italiano («il Governo») è rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

A. Le circostanze del caso di specie

2. I fatti della causa, così come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

3. Sospettato di essere affiliato a una associazione per delinquere specializzata nel traffico di stupefacenti a Napoli Scampia e per avere commesso degli omicidi, il ricorrente è stato oggetto di vari procedimenti penali. All'epoca in cui ha presentato il ricorso, era detenuto nel carcere di Secondigliano a Napoli.

1 La patologia cardiaca del ricorrente

4. Affetto da una cardiopatia scoperta nel 1992 quando ebbe un infarto, il ricorrente, un grande fumatore (80 sigarette al giorno), era stato inserito in una lista di attesa per il trapianto cardiaco dal 2006. Il ricorrente ovviava alla sua insufficienza cardiaca con l’aiuto di molteplici by-pass e di un defibrillatore.

5. In data non precisata, verosimilmente nell’ottobre 2008, il ricorrente fu arrestato e sottoposto a custodia cautelare nel carcere di Napoli Secondigliano. Il 18 gennaio 2010 il ricorrente ebbe un episodio sincopale e fu condotto all’ospedale di Napoli con un sospetto di infarto. Essendo stata scartata dal personale medico l’ipotesi di una grave affezione cerebro-vascolare, il 20 gennaio 2010 il ricorrente chiese di essere dimesso.

6. L’8 febbraio 2010 il ricorrente presentò due richieste per ottenere gli arresti domiciliari in considerazione del suo stato di salute. A sostegno della richiesta, invocava una decisione favorevole che aveva ottenuto dal tribunale di Napoli il 4 febbraio 2010 nell’ambito di un altro procedimento penale. Inoltre, produceva un parere medico formulato dal dott. Morieri. In base a tale parere, datato 1° febbraio 2010, il ricorrente doveva sottoporsi ad un prelievo di sangue mensile per verificare periodicamente se i suoi valori fossero compatibili con un eventuale trapianto. La permanenza in carcere avrebbe potuto complicare tale protocollo, ma era possibile procedere ai prelievi di sangue e inviarli all’ospedale. Inoltre, il ricorrente doveva effettuare frequentemente dei test di coagulazione poiché assumeva degli anticoagulanti. Quando fosse stato disponibile un cuore per il trapianto, il ricorrente avrebbe dovuto recarsi entro le tre ore successive all’ospedale Monaldi. Era pertanto auspicabile che l’interessato dimorasse in un luogo vicino a tale ospedale. Inoltre, avrebbe potuto avere delle crisi cardiache improvvise che avrebbero reso necessario il suo ricovero urgente. Per concludere, il ricorrente aveva bisogno di un’assistenza medica adeguata per fare fronte ad eventuali emergenze cardiovascolari e cerebrovascolari per le quali fosse necessario un trattamento rapido e che avrebbero potuto difficilmente essere affrontate dal reparto medico del carcere di Secondigliano. Pertanto, lo stato di salute del ricorrente non era compatibile con il regime della custodia cautelare.

7. Basandosi su delle perizie mediche, con due decisioni dell’11 febbraio 2010 i giudici per le indagini preliminari competenti rigettarono le domande del ricorrente, ritenendo che il suo stato di salute fosse compatibile con la custodia cautelare nel carcere di Secondigliano.

8. Il ricorrente interpose appello avverso tali decisioni dinanzi al tribunale di Napoli.

9. Il 25 febbraio 2010 fu inserito nella lista dei trapianti programmati per le settimane successive all’ospedale Monaldi.

10. Con due decisioni rese in data 22 aprile 2010 il tribunale di Napoli rigettò l’appello, in quanto i periti avevano indicato che lo stato di salute del ricorrente era compatibile con la detenzione, che era seguito in maniera adeguata nel carcere di Secondigliano, veniva regolarmente condotto in ospedale per essere sottoposto a dei controlli ed era tenuto sotto osservazione medica. Di conseguenza il tribunale non vedeva in che modo porre il ricorrente agli arresti domiciliari gli avrebbe permesso un migliore follow-up medico.

2. Il trapianto cardiaco e il periodo post-operatorio

11. Il trapianto di cuore fu eseguito all’ospedale Monaldi di Napoli il 30 aprile 2010.

12. Il 21 maggio 2010 il medico responsabile dell’ospedale indicò che, secondo il protocollo terapeutico, due-tre settimane dopo il trapianto sarebbe stata eseguita una biopsia endomiocardiaca allo scopo di verificare lo stato di eventuale rigetto. In caso negativo, il paziente avrebbe potuto essere trasferito verso un centro specializzato che offrisse un ambiente sterile, una riabilitazione cardiovascolare e respiratoria e una terapia immunosoppressiva. Il centro raccomandato era in questo caso la fondazione Don Gnocchi con sede a S. Angelo dei Lombardi. Era dunque possibile che, dopo la biopsia, il ricorrente potesse essere trasferito in tale istituto.

13. L’eventuale trasferimento del ricorrente in tale struttura, sotto la sorveglianza della polizia, fu autorizzato il 25 maggio 2010 dalla corte d’assise di Napoli che, allo stesso tempo, rigettò la domanda di revoca della custodia cautelare e di sostituzione di tale misura con una meno severa.

14. Il 31 maggio 2010 il ricorrente depositò una nuova domanda di revoca della custodia cautelare, e in subordine di applicazione degli arresti domiciliari, a causa del suo stato di salute. Si basava sul parere medico del dott. Oliviero, formulato il 25 maggio 2010, secondo il quale dopo il trapianto il paziente aveva bisogno di un «periodo iniziale» di terapia riabilitativa respiratoria da effettuarsi in una struttura specializzata. Il medico indicò le terapie medicamentose (tra l’altro con immunosoppressori e anticoagulanti) e gli esami ai quali il paziente doveva sottoporsi, e il regime alimentare da seguire (iposodico, ipolipidico, ipocalorico e ipoglicidico) che era «particolarmente difficile in regime di detenzione». Inoltre, il medico sosteneva che il ricorrente era molto preoccupato per la sua salute e non si sentiva tranquillo in quanto l’ambiente carcerario non era adatto alle sue condizioni. Questa situazione poteva turbare l’equilibrio psichico e sfociare in una sindrome ansiosa-depressiva di tipo reattivo, il che avrebbe generato la messa in circolazione di catecolamine con ripercussioni negative sul metabolismo e sulla patologia cardiaca. In conclusione: i numerosi esami e le terapie da effettuare, compresa la riabilitazione cardiorespiratoria, il regime alimentare da seguire e la necessità di proteggere il ricorrente dal contatto con portatori di agenti infettivi erano difficilmente realizzabili in ambiente carcerario, dove la nota promiscuità degli spazi e della popolazione avrebbe potuto mettere seriamente in pericolo la vita del paziente.

15. Con decisione dell’8 giugno 2010 la corte d’assise di Napoli, competente ad esaminare la richiesta, la rigettò osservando, da una parte, che non vi erano posti nella fondazione Don Gnocchi e notando, dall’altra, che, secondo il parere del medico responsabile dell’ospedale Monaldi, formulato il 4 giugno 2010, non vi erano ragioni mediche che si opponessero al trasferimento del ricorrente all’ospedale Cardarelli di Napoli, purché la struttura offrisse un ambiente sterile, la riabilitazione cardiorespiratoria e la terapia medicamentosa prescritta. Infine, la corte dichiarò di non comprendere come il ricorrente potesse affermare che sarebbe stato seguito meglio al suo domicilio piuttosto che in una struttura attrezzata. Peraltro, chiese all’amministrazione penitenziaria di procedere a delle verifiche presso l’ospedale Cardarelli e di informarsi sul luogo di destinazione del ricorrente una volta dimesso dall’ospedale Monaldi.

16. Il ricorrente interpose appello avverso tale decisione dinanzi al tribunale di Napoli.

17. Il 10 giugno 2010 il ricorrente fu dimesso dall’ospedale Monaldi e ricoverato nell’ospedale Cardarelli di Napoli.

18. Con decisione del 29 luglio 2010 il tribunale di Napoli, che aveva esaminato l’appello, accordò al ricorrente gli arresti domiciliari sotto scorta e sorveglianza della polizia, con ricovero presso un centro medico a scelta tra «Villa delle Magnolie à Castelmorrone, Fondazione Maugeri a Telese Terme e Campolongo Hospital a Eboli». Il tribunale considerò che le misure della scorta e della sorveglianza fossero necessarie viste le esigenze cautelari straordinarie del caso. Peraltro, il tribunale invitò il pubblico ministero a vigilare sull’evoluzione dello stato di salute del ricorrente per valutare la compatibilità di un ritorno in carcere.
La decisione del tribunale si basava in particolare su una relazione peritale redatta dal dott. Mucerino il 27 giugno 2010. Il medico, nominato in qualità di perito dal tribunale di Napoli, considerò che fosse necessario sottoporre il ricorrente a cure mediche intensive nel primo anno successivo all’intervento di trapianto cardiaco. Anche se le condizioni di salute del ricorrente erano abbastanza buone, era impensabile che l’interessato fosse preso in carico da un centro medico penitenziario, da una parte perché il controllo medico doveva essere costante, dall’altra perché il rischio per il ricorrente, immunodepresso, di contrarre un’infezione era molto alto. Il ricorrente avrebbe potuto essere ricoverato presso la fondazione Don Gnocchi a S. Angelo dei Lombardi.

19. Il ricorrente presentò ricorso per cassazione. Con decisione del 10 gennaio 2011, la Corte suprema cassò la decisione impugnata con rinvio.

20. Nell’ambito di un altro procedimento penale, con decisione in data 1° luglio 2010, il giudice per le indagini preliminari di Napoli aveva ordinato che il ricorrente fosse mantenuto in stato di custodia cautelare e assegnato alla sezione medica del carcere di Pisa.

21. Il ricorrente impugnò la decisione dinani al tribunale di Napoli.

22. Il 26 luglio 2010 l’amministrazione penitenziaria dichiarò che il trasferimento del ricorrente a Pisa non avrebbe avuto luogo in quanto il centro medico penitenziario in questione non era adatto alla patologia del ricorrente.

23. Con decisione del 3 agosto 2010, tenuto conto delle varie relazioni peritali disponibili, il tribunale di Napoli accordò al ricorrente gli arresti domiciliari sotto scorta e sorveglianza della polizia, con sistemazione in un centro medico a scelta tra Villa delle Magnolie a Castelmorrone, Fondazione Maugeri a Telese Terme e Campolongo Hospital a Eboli. Il tribunale ritenne che le misure della scorta e della sorveglianza fossero indispensabili viste le esigenze di sicurezza straordinarie del caso di specie.

24. Nel frattempo, una relazione di perizia medica del dott. Zangani e del dott. Gallotta era stata depositata il 27 luglio 2010 presso la corte d’assise di Napoli, chiamata a decidere su un’altra richiesta di applicazione degli arresti domiciliari. I periti riscontrarono buone condizioni cardiache e un netto miglioramento rispetto al 2 luglio 2010, ma il ricorrente aveva una insufficienza renale e la pressione più alta, ed era pertanto necessario adeguare il trattamento. Il controllo medico del rischio di rigetto acuto aveva comportato un test settimanale fino al 20 luglio, che avrebbe dovuto essere effettuato con cadenza bisettimanale nei mesi successivi.
Per quanto riguarda la questione di stabilire se il ricorrente potesse essere preso in carico in ambiente carcerario, i periti ritennero necessario distinguere l’organizzazione delle cure (ossia la somministrazione dei farmaci e il controllo terapeutico, che in linea di principio si potevano effettuare in un centro medico carcerario ben attrezzato) dal rischio di contagio infettivo che era elevato nel primo anno successivo al trapianto cardiaco. Di fatto alla fine del primo anno, qualora i test avessero permesso di escludere il rischio di rigetto acuto, i farmaci immunosoppressori sarebbero stati ridotti della metà, e il rischio di contagio sarebbe progressivamente diminuito. Per il momento era inimmaginabile lasciare il paziente in ambiente carcerario a causa del rischio di contagio più elevato che in una struttura sanitaria attrezzata in modo che le infezioni siano più rare. Inoltre il ricorrente avrebbe dovuto sottoporsi a delle sedute di riabilitazione cardiorespiratoria, fondamentali per mantenere la funzionalità dell’organo recentemente trapiantato.
Quanto alla possibilità di partecipare alle udienze processuali, la presenza in aula esporrebbe il ricorrente a un elevato rischio di contagio; la partecipazione tramite videoconferenza era possibile a condizione che il personale sanitario tenesse sotto controllo la pressione e il battito cardiaco dell’interessato.
In conclusione, lo stato di salute del ricorrente non era compatibile con la detenzione almeno fino alla fine del primo semestre successivo al trapianto, in quanto i primi sei mesi costituirebbero la fase più critica visto il rischio di infezioni e di rigetto acuto. Era necessario porre il ricorrente in un centro medico adeguato esterno al carcere, come la Villa delle Magnolie a Castelmorrone, la Fondazione Maugeri a Telese Terme o il Campolongo Hospital a Eboli. Dopo sei mesi sarebbe stato necessario riesaminare lo stato di salute del ricorrente e il rischio di rigetto per decidere sull’opportunità di lasciarlo ancora presso un centro medico esterno o di assegnarlo nuovamente al carcere.

25. Con decisione resa in data 28 luglio 2010 la corte d’assise rigettò la richiesta di revoca della detenzione o di applicazione degli arresti domiciliari. La Corte osservò che dalla perizia medico-legale che aveva affidato ai dottori Zangani e Gallotta risultava che il periodo più critico per contrarre un’infezione erano i sei mesi successivi all’intervento, ossia fino a fine ottobre 2010. Durante tale periodo non vi era incompatibilità con la detenzione, ma il ricorrente non poteva essere posto in un carcere e nemmeno in un centro medico penitenziario in quanto doveva vivere in un ambiente sterile. Questa condizione, tuttavia, non poteva essere soddisfatta nemmeno al domicilio del ricorrente, che necessitava di un ospedale in cui continuare il controllo medico già iniziato e dove potesse beneficiare di sedute di riabilitazione. Era pertanto fondamentale una lunga degenza in una struttura medica adeguata, come le cliniche sopra menzionate. Tuttavia, trattandosi di cliniche private, l’autorità giudiziaria non poteva imporre alle stesse di prendere in carico un paziente sotto sorveglianza della polizia, misura peraltro indispensabile nel caso di specie. Era dunque il ricorrente a dover indicare un istituto nel quale voleva andare presso il quale vi fosse un posto disponibile per lui.

26. Dal fascicolo risulta che il ricorrente non ha potuto assistere all’udienza del 6 luglio 2010 dinanzi alla corte d’assise di Napoli nemmeno per videoconferenza.

27. Secondo un rapporto dell’ospedale Cardarelli datato 5 ottobre 2010 lo stato di salute del ricorrente era stabile sia sul piano emodinamico che su quello metabolico. Il protocollo terapeutico prevedeva l’assunzione quotidiana di farmaci immunosoppressori e cardiologici e dei test cardio-chirurgici da eseguire tutti i mesi. Pertanto il ricorrente poteva essere trasferito al centro medico del carcere a condizione che fosse disponibile una camera individuale per evitare eventuali complicazioni infettive.

28. Il 12 ottobre 2010 il pubblico ministero chiese all’amministrazione penitenziaria se fosse disponibile nel carcere di Napoli Secondigliano una camera che rispondesse a tali criteri. Il ministero della Giustizia fece sapere, il 5 novembre 2010, che gli unici penitenziari che gli avevano dato una risposta affermativa erano quello di Pisa e quello di Napoli Secondigliano. Quest’ultimo avrebbe favorito i contatti con l’ospedale presso il quale il ricorrente avrebbe dovuto recarsi regolarmente per i controlli periodici.

29. Il 3 novembre 2010 l’avvocato del ricorrente chiese al tribunale di Napoli di modificare la sua decisione del 3 agosto 2010 e revocare la misura della sorveglianza e la scorta della polizia, visto che il ricorrente non era potuto andare in una clinica per la riabilitazione.

30. Con decisione del 9 novembre 2010 il tribunale di Napoli revocò la sorveglianza e la scorta di polizia e confermò il divieto di comunicare con persone non appartenenti alla sua famiglia o al personale curante.

31. Successivamente l’avvocato del ricorrente contattò i centri medici sopra indicati e un centro non consigliato dai periti (Villa Margherita).

32. Secondo una nota dell’ospedale Cardarelli datata 26 novembre 2010 e rivolta al reparto medico del carcere di Napoli Secondigliano le conizioni del ricorrente erano stabili sia dal punto di vista emodinamico che metabolico. Il paziente era stato costantemente trattato con farmaci immunosoppressori adeguati alla fase post-trapianto cardiaco ed era sottoposto a controlli periodici all’ospedale Monaldi.

33. Nell’ambito di un altro procedimento penale il ricorrente chiese al tribunale di Napoli di modificare la sua decisione del 29 luglio 2010.
Il 1° dicembre 2010 il tribunale di Napoli rammentò che la relazione peritale del 27 luglio 2010 aveva indicato una incompatibilità temporanea con la detenzione, aveva fissato a sei mesi il periodo critico per il rischio di rigetto e di infezioni e aveva raccomandato il ricovero ospedaliero per continuare il controllo medico e iniziare la riabilitazione cardiorespiratoria.
Visto che i pareri medici erano concordanti e indicavano che il ricorrente aveva superato senza complicazioni il semestre post-operatorio, il tribunale ritenne che nulla si opponesse al ritorno in carcere del ricorrente. Pertanto l’interessato doveva rientrare nel carcere di Napoli Secondigliano.

3. Il ritorno del ricorrente nel carcere di Napoli Secondigliano

34. Il 2 dicembre 2010 il ricorrente fu trasferito nel carcere di Napoli Secondigliano. Egli scrisse una dichiarazione con la quale affermava di non avere problemi di socializzazione, di non temere per la propria vita e di voler essere detenuto in una sezione comune.

35. Il 9 dicembre 2010 la clinica Villa Margherita fece sapere di non poter accogliere il ricorrente in quanto non garantiva le condizioni di igiene ideali per un paziente che aveva subito un trapianto ed era in cura con immunosoppressori.

36. Da un rapporto medico del carcere di Secondigliano del 13-14 dicembre 2010 risulta che il ricorrente era stato posto in una cella singola. Era stato sottoposto a controlli il 9 dicembre 2010 (eco-doppler TSA + A/Vgambe) e i valori che risultavano erano normali. Il controllo successivo all’ospedale Monaldi era fissato per il 13 gennaio 2011. Una consulenza da uno pneumologo era prevista per il 10 febbraio 2011.

37. Da una nota dell’amministrazione penitenziaria del 13 dicembre 2010 risulta che il ricorrente non aveva problemi relazionali con gli altri detenuti. Si recava alla messa, alla passeggiata, ai laboratori di socializzazione e ai colloqui – che effettuava in una sala a parte riservata ai detenuti che hanno subito un trapianto – e portava una maschera di protezione. L’igiene della cella era assicurata da un lavorante piantone. Il ricorrente non si era mai lamentato.

38. Il 21 dicembre 2010 l’amministrazione penitenziaria affermò che lo stato di salute del ricorrente era stabile e compatibile con la sua assegnazione al carcere di Napoli Secondigliano.

39. Il 31 gennaio 2011 fu effettuata una nuova perizia dai dottori Gallona e Zangani. I medici considerarono che il rischio di rigetto acuto era notevolmente diminuito; si trattava ormai di monitorare il rischio di rigetto cronico, con l’aiuto di immunosoppressori in quantità adeguata e di un controllo medico regolare.

40. L’11 aprile 2001 il ricorrente consultò il dott. Oliviero. Dal resoconto redatto da quest’ultimo il 12 aprile 2011 risulta che, nel periodo successivo al trapianto cardiaco, la riabilitazione cardiorespiratoria raccomandata nella fase post-operatoria non era stata effettuata. Il ricorrente era stato mandato a Napoli Secondigliano, il che gli permetteva di beneficiare di una terapia farmacologica e di consulenze mediche in carcere e all’esterno; era stata prevista una consulenza con uno psichiatra in quanto il suo stato depressivo era peggiorato rispetto ai mesi precedenti. Il successo a lungo termine del trapianto dipendeva da una buona terapia antirigetto, da un buon monitoraggio, dal trattamento di eventuali complicazioni e soprattutto dalla collaborazione (compliance) ottimale alla terapia da parte del paziente. I primi tre mesi successivi all’intervento di trapianto erano stati quelli a rischio di rigetto acuto e di infezioni; nella fase successiva vi era un rischio di rigetto cronico provocato dal rischio di reazioni alla terapia con immunosoppressori che possono compromettere progressivamente la funzionalità del nuovo cuore. La terapia con immunosoppressori doveva essere proseguita a vita e dosata attentamente per non esporre il paziente ai rischi di infezioni e neoplasie. Il paziente aveva bisogno di un controllo costante, non solo del nuovo cuore ma anche della sua situazione generale, in quanto la sua infermità era destinata a peggiorare ed egli doveva vivere in un ambiente non infetto. Il ricorrente era molto preoccupato per la sua salute, aveva paura di un’emergenza e temeva che il luogo in cui era stato mandato non rispondesse alle sue esigenze. Lo stress poteva avere conseguenze sul cuore. In conclusione, non era possibile porre il ricorrente in carcere in condizioni normali, il suo stato di salute era compatibile con gli arresti domiciliari o il ricovero in clinica privata. Più che di una riabilitazione cardiorespiratoria in una clinica, l’interessato aveva bisogno soprattutto di assumere farmaci antirigetto.

41. Sulla base di questo parere medico, l’avvocato del ricorrente chiese alla corte d’assise di revocare la decisione di sottoporre il suo cliente a detenzione in quanto quest’ultimo era stato mandato in un locale umido e incontrava altri detenuti durante i colloqui. Era importante assicurare che il ricorrente vivesse in un ambiente adatto. Inoltre, egli necessitava di un controllo psichiatrico.

42. Il 23 aprile 2011 i medici del carcere comunicarono all’autorità giudiziaria che le condizioni di salute del ricorrente era buono.

43. Con decisione del 5 maggio 2011 la corte d’assise di Napoli rigettò la domanda per i motivi seguenti. La detenzione non era un ostacolo alla presa in carico del ricorrente dal punto di vista medico; era infatti possibile somministrargli le cure indicate dal dott. Oliviero, all’interno del carcere o ricorrendo a strutture esterne ogni volta che ciò risultasse necessario. Questo valeva anche per il controllo psicologico o psichiatrico dell’interessato che era stato sollecitato dal dott. Oliviero. La detenzione non rappresentava un ostacolo nemmeno per quanto riguarda il regime alimentare raccomandato o la prevenzione del rischio infezioni. Se fosse sorto un problema di ordine pratico, si sarebbe dovuta allertare l’amministrazione penitenziaria e chiedere il trasferimento del ricorrente in un carcere meno affollato. Quanto alla riabilitazione cardiorespiratoria che era stata raccomandata per il periodo immediatamente successivo al trapianto, il ricorrente aveva avuto la possibilità di andare in clinica dal momento che la corte d’assise, il 28 luglio 2010, gli aveva comunicato che poteva scegliere tra più cliniche e, il 29 luglio 2010, disposto il ricovero in clinica sotto la sorveglianza della polizia per i tre mesi in cui i rischi erano maggiori. Nessuna clinica si era dichiarata disponibile ad accogliere il ricorrente; nemmeno la difesa aveva insistito per ottenere l’esecuzione di tale decisione In ogni caso, lo stato di salute del ricorrente non era peggiorato e il rischio di rigetto era diminuito. Tenuto conto della perizia d’ufficio del 31 gennaio 2011, dello stato di salute piuttosto buono del ricorrente e dell’attento controllo medico effettuato, sulla base del parere della direzione medica del carcere di Napoli Secondigliano del 23 aprile 2011, la corte d’assise di Napoli rigettò la richiesta.
44. Il ricorrente interpose appello avverso tale decisione.

45. Con decisione in data 7 luglio 2011 il tribunale di Napoli cui era stato assegnato l’esame dell’appello lo rigettò. Dopo aver sentito in udienza uno dei due periti, il dott. Gallotta, il tribunale prese atto delle condizioni cliniche stabili del ricorrente, della riduzione del rischio di rigetto e del rischio di infezioni e concluse che lo stato di salute del ricorrente era compatibile con la detenzione. Ribadì inoltre che, in caso di disfunzioni, sarebbe stato possibile trovare una soluzione chiedendo all’amministrazione penitenziaria di assegnare il ricorrente a un carcere meno affollato.

46. Dal fascicolo risulta che il ricorrente è stato sottoposto ad esami per tutto il 2011, in particolare, il 15 febbraio, uno SPECT del miocardio, che non aveva rivelato alcuna anomalia significativa di perfusione; un’eco-doppler il 1° settembre 2011, che evidenziò una leggera insufficienza mitrale e tricuspide del nuovo cuore. Inoltre, il 3 agosto 2011 il ricorrente fu ricoverato per ematemesi.

4. Il trasferimento del ricorrente nel carcere di Parma

47. Il 30 settembre 2011 il ricorrente fu trasferito nel carcere di Parma, per motivi non precisati.

48. Al suo arrivo, il medico del carcere di Parma esaminò la sua cartella clinica e rilevò che era incompleta. In particolare, mancavano il piano terapeutico con l’indicazione precisa della durata e della posologia del «Revatio», farmaco utilizzato in caso di ipertensione polmonare. Il personale contattò pertanto l’ospedale Monaldi di Napoli per ottenere tale documento. Nel frattempo, tra il 30 settembre e il 19 ottobre 2011, il ricorrente non assunse il «Revatio». Peraltro da nessun elemento del fascicolo risultava che il ricorrente avesse effettuato la riabilitazione cardiorespiratoria post-chirurgica.

49. Dal fascicolo emerge che il ricorrente fu posto in una cella singola, la quale era stata sottoposta a una pulizia estremamente approfondita. Beneficiava di una dieta ipolipidica, ipoglicemica e ricca di alimenti freschi. Portava una maschera durante i colloqui e per recarsi nella «sala di pittura»; riceveva visite senza altri detenuti; disponeva di un bastone per camminare in cella e di una sedia a rotelle per lunghi spostamenti; il blindo della cella rimaneva aperto 24 ore su 24.

50. In due note dell’8 e 27 ottobre 2011 i medici del carcere di Parma comunicarono all’amministrazione penitenziaria e all’autorità giudiziaria che il centro medico del carcere era stato chiuso e non sarebbe stato riaperto fino a nuovo ordine. Ciò implicava la necessità di ricorrere all’ospedale per qualsiasi cosa, ad eccezione delle consulenze con il cardiologo e dell’elettrocardiogramma. Il ricorrente era stato assegnato alla sezione per portatori di handicap, che non sembrava adatta al suo caso dal punto di vista dell’asepsi e della pulizia. Pertanto, era preferibile trasferire il ricorrente in un carcere dotato di un centro medico funzionante o di una sezione carceraria adeguata. Inoltre, il carcere doveva essere idealmente vicino a un centro specializzato in trapianti cardiaci. Peraltro, il ricorrente aveva una nevrosi da ansia. Era seguito da uno psicologo, con cui aveva avuto dei colloqui il 4 e il 21 ottobre 2011.

51. Il ministero della Giustizia inviò la sua risposta il 9 novembre 2011 e confermò la destinazione del ricorrente a Parma. Ordinò di contattare il più vicino centro trapianti. Il personale del carcere di Parma contattò il centro trapianti di Bologna (le due città distano 88 km).

52. Il 16 gennaio 2012 il personale medico del carcere di Parma trasmise un resoconto alla corte d’assise d’appello di Napoli e al magistrato di sorveglianza di Bologna, da cui si evince che il ricorrente era stato visitato da un dermatologo il 16 novembre 2011 per una escara profonda a un tallone, che era seguito da un diabetologo e che le terapie farmacologiche erano efficaci.

53. Il 1° dicembre 2011 il ricorrente fu condotto a Napoli Secondigliano, per essere sottoposto ad alcune visite mediche all’ospedale Monaldi.

54. Al suo ritorno a Parma il 27 dicembre 2011 un cardiologo constatò, il 5 gennaio 2012, che le condizioni del ricorrente erano stabili. Tuttavia, era auspicabile che fosse detenuto in un carcere più vicino ad un centro specializzato in trapianti, ad esempio nel carcere di Bologna, tanto più che il centro medico del carcere di Parma era sempre chiuso.

55. Dal fascicolo si evince che, nel 2012, il ricorrente passò vari mesi a Napoli a causa dei procedimenti penali pendenti nei suoi confronti.Durante la permanenza a Napoli, fu condotto all’ospedale Cardarelli per dispnea, ma volle lasciare l’ospedale senza sottoporsi ai test proposti. Il 10 maggio 2012 fu ricoverato in day hospital nell’ospedale Monaldi per sottoporsi a varie analisi da cui risultò che le sue condizioni di salute erano abbastanza buone. I medici adattarono le terapie farmacologiche in funzione degli esiti degli esami. Il ricorrente avvertiva un dolore dietro lo sterno, senza dispnea; non presentava lesioni all’esofago, ma aveva un’ernia iatale. Era ansioso.

56. Secondo un rapporto medico del carcere di Napoli Secondigliano del 2 agosto 2012 le condizioni emodinamiche erano buone; lo stato di salute era stabile; era opportuno procedere al raschiamento di una ferita al tallone.

57. Al suo ritorno al carcere di Parma il 7 agosto 2012 il ricorrente fu posto in una cella singola, pulita in modo estremamente approfondito. Le consegne per quanto riguarda la pulizia, il regime alimentare, la necessità di indossare una maschera, gli spostamenti e l’apertura del blindo erano le stesse che in passato.

58. Nel frattempo, poiché durante l’assenza del ricorrente il centro medico del carcere aveva riaperto, il ricorrente vi fu mandato l’8 agosto 2012.

59. Il 10 agosto 2012 i medici del carcere constatarono che le condizioni cliniche del ricorrente erano stabili. Il successivo day hospital all’ospedale Monaldi di Napoli era fissato per il 10 settembre 2012. Il ricorrente presentava affaticamento e segni di malessere. I motivi di ricorso da lui sollevati rispetto alla sua situazione erano basati sulle sue vicissitudini giudiziarie e sulle restrizioni legate alla sua condizione di detenuto. Lo psichiatra che visitò il ricorrente a più riprese affermò che vi era un problema «ambientale» in quanto il ricorrente non socializzava, non andava alla messa, si sentiva isolato, piangeva, era angosciato per la sua salute. Era curato con ansiolitici in attesa di sapere dal cardiologo se fosse possibile curarlo con antidepressivi. Il ricorrente fece lo «sciopero della terapia» per due giorni e non ebbe sintomi cardiologici, a parte una leggera tachicardia. Rifiutò di sottoporsi a una ecocardiografia finalizzata al monitoraggio dell’ipertensione polmonare. Poiché il day hospital all’ospedale Monaldi di Napoli era programmato a breve termine, i medici di Parma si rimettevano all’equipe napoletana ai fini di un tale giudizio.

60. L’8 settembre 2012 il ricorrente fu trasportato al carcere di Napoli Secondigliano. Il 10 settembre 2012 fu ricoverato in day hospital per controlli medici presso l’ospedale Monaldi. I risultati mostrarono che aveva un buon compenso cardiologico.

61. Nel novembre 2012 il ricorrente fece ritorno nel carcere di Parma.

MOTIVI DI RICORSO

62. Invocando l’articolo 3 della Convenzione, il ricorrente lamenta di essere stato mantenuto in stato detentivo nonostante le sue condizioni di salute. Sostiene inoltre di non aver ricevuto le cure mediche adeguate e di non essere stato detenuto in un ambiente adatto.

63. Invocando l’articolo 6 della Convenzione, il ricorrente lamenta di non avere potuto partecipare a un’udienza nel luglio 2010, nemmeno per videoconferenza, a causa delle sue condizioni di salute, e deplora che l’udienza in questione si sia volta nonostante la sua assenza.

IN DIRITTO

A. Motivo di ricorso basato sull’articolo 3 della Convenzione

64. Il ricorrente lamenta di avere subito un trattamento contrario all’articolo 3 della Convenzione per essere stato mantenuto in detenzione nonostante le sue condizioni di salute. La disposizione invocata dal ricorrente recita:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

1. Tesi delle parti

65. Il Governo sostiene che le autorità hanno fatto il possibile per assicurare al ricorrente un’assistenza medica adeguata, e che hanno preso tutte le precauzioni necessarie per minimizzare i rischi di infezioni e di rigetto. Il ricorrente ha passato in ospedale il periodo più delicato dopo l’intervento. Quanto alla questione di stabilire se il ricorrente avrebbe potuto essere mandato altrove, il Governo rammenta, da una parte, che non vi erano posti disponibili nelle cliniche della regione e, dall’altra, che il ricorrente non ha mai dimostrato che avrebbe potuto beneficiare di una migliore assistenza medica al suo domicilio. Per quanto riguarda la riabilitazione cardio-respiratoria raccomandata nella fase post-operatoria il Governo afferma di non aver disposto di informazioni precise in quanto l’accesso alla cartella clinica è riservato al paziente. Tuttavia, tutti i rapporti medici dimostrano che ha beneficiato di trattamenti adeguati.

66. Quando il ricorrente è stato rinchiuso in carcere, sette mesi dopo il trapianto, non vi era alcuna incompatibilità con il suo stato di salute, in quanto il momento più critico era già passato. Il periodo trascorso nel carcere di Napoli ha permesso al ricorrente di essere vicino all’ospedale Monaldi. Nel carcere di Napoli Secondigliano il ricorrente ha beneficiato della terapia che gli era stata prescritta. È stato sempre posto in cella singola e ha partecipato alle attività di socializzazione con tutte le precauzioni necessarie. Visite e colloqui si sono svolti in una sala separata, destinata ai detenuti che hanno subito un trapianto, e il ricorrente portava una maschera. Il Governo sottolinea che, durante la sua permanenza nel carcere di Napoli, il ricorrente non si è mai lamentato della sua condizione; inoltre, al suo arrivo in carcere, aveva dichiarato di non avere problemi di socializzazione e di voler essere assegnato ad una sezione di detenzione comune.

67. In conclusione, il Governo chiede alla Corte di rigettare il ricorso.

68. Il ricorrente contesta questa tesi, affermando di non aver ricevuto sufficienti cure adeguate alle sue condizioni di salute, in quanto non ha beneficiato di un trattamento di riabilitazione cardiorespiratoria nella fase post-operatoria. Egli lamenta inoltre di essere stato detenuto nel carcere di Napoli Secondigliano, dove sarebbe stato esposto al rischio di infezioni e di rigetto acuto. Afferma di non essere riuscito a trovare un posto in una clinica privata a causa della sorveglianza e della scorta della polizia che avrebbe dovuto accompagnarlo. Infine, lamenta di essere stato trasferito nel carcere di Parma, dove il centro medico è rimasto chiuso per molto tempo.

69. Il ricorrente sottolinea la gravità e la cronicità della sua patologia, che necessitavano di controlli precisi e frequenti e di un protocollo terapeutico costante, ivi compreso il regime alimentare, incompatibile con la detenzione. Poiché egli considera che il carcere non sia un ambiente adatto, soprattutto in caso di emergenza, vive nell’ansia e ciò si ripercuote sulle sue condizioni di salute.

2. Valutazione della Corte

70. La Corte rammenta che, affinché una pena o un trattamento possano essere definiti «inumani» o «degradanti», la sofferenza o l’umiliazione inflitte alla vittima devono andare oltre quelle che inevitabilmente comportano un determinato tipo di trattamento o di pena previsti dalla legge (Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, CEDU 2006 IX). In particolare, nel caso di persone private della libertà personale, l’articolo 3 impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che tutte le persone ristrette siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato a uno stress o a una prova la cui intensità superi il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione e che, considerate le esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in maniera adeguata, in particolare mediante la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000-XI; Rivière c. Francia, n. 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). Le cure dispensate in ambiente carcerario devono essere adeguate. Tuttavia, ciò non implica che sia garantito ad ogni detenuto lo stesso livello di cure mediche garantito dai migliori istituti di cura esterni all’ambiente carcerario (Mirilashivili c. Russia (dec.), n. 6293/04, 10 luglio 2007). Peraltro, quando si tratta di fornire le cure mediche adeguate, bisogna tenere presenti le esigenze pratiche della carcerazione (Alexanian c. Russia, n. 46468/06, § 140, 22 dicembre 2008).

71. Le condizioni di detenzione di una persona ammalata devono garantire la tutela della salute del detenuto, considerate le circostanze normali e ragionevoli della detenzione. Se non si può dedurne un obbligo generale di rimettere in libertà o di trasferire in un ospedale civile un detenuto, anche se quest’ultimo è affetto da una malattia particolarmente difficile da curare (Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 40, CEDU 2002-IX), l’articolo 3 della Convenzione impone in ogni caso allo Stato di tutelare l’integrità fisica delle persone private della libertà. La Corte non può escludere che, in condizioni particolarmente gravi, si debbano affrontare situazioni in cui una buona amministrazione della giustizia penale esige l’adozione di misure di natura umanitaria per porvi rimedio (Matencio c. Francia, n. 58749/00, § 76, 15 gennaio 2004; Sakkopoulos c. Grecia, n. 61828/00, § 38, 15 gennaio 2004). In una determinata causa, la detenzione di una persona affetta da una patologia che incide sulla prognosi di vita o le cui condizioni siano definitivamente incompatibili con la vita carceraria può porre dei problemi dal punto di vista dell’articolo 3 della Convenzione (Tekin Yıldız c. Turchia, n. 22913/04, § 72, 10 novembre 2005).

72. La mancanza di cure mediche adeguate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può, in linea di principio, costituire un trattamento contrario all’articolo 3 (İlhan c. Turchia [GC], n. 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII). Per di più, oltre alla salute del detenuto, è il suo benessere a dover essere garantito in maniera adeguata (Mouisel sopra citata, § 40). La Corte esige, anzitutto, l’esistenza di un quadro medico pertinente del malato e l’adattamento delle cure mediche prescritte alla sua situazione specifica. L’efficacia del trattamento dispensato presuppone quindi che le autorità penitenziarie offrano al detenuto le cure mediche prescritte da medici competenti (Gorodnitchev c. Russia, n. 52058/99, § 91, 24 maggio 2007; Soysal c. Turchia, n. 50091/99, § 50, 3 maggio 2007). Inoltre, la diligenza e la frequenza con cui le cure mediche vengono dispensate all’interessato sono due elementi da prendere in considerazione per valutare la compatibilità del suo trattamento con le esigenze dell’articolo 3. Questi due fattori non possono essere valutati dalla Corte in termini assoluti, ma tenendo conto ogni volta del particolare stato di salute del detenuto (Serifis c. Grecia, n. 27695/03, § 35, 2 novembre 2006; Rohde c. Danimarca, n. 69332/01, § 106, 21 luglio 2005; Iorgov c. Bulgaria, n. 40653/98, § 85, 11 marzo 2004). Un peggioramento della salute del detenuto non ha, di per sé, un ruolo determinante per quanto riguarda il rispetto dell’articolo 3 della Convenzione, in quanto la Corte deve esaminare di volta in volta se tale aggravamento sia imputabile a lacune nelle cure mediche dispensate (Kotsaftis c. Grecia, n. 39780/06, § 53, 12 giugno 2008). Ciò premesso, la Corte rammenta che, nella causa Sakkopoulos c. Grecia sopra citata, ha tenuto conto di tre elementi per esaminare la compatibilità di uno stato di salute preoccupante con il mantenimento in carcere del ricorrente: (a) le condizioni del detenuto, (b) la qualità delle cure dispensate, e (c) l’opportunità di mantenere il ricorrente in detenzione tenuto conto delle sue condizioni di salute. La Corte ritiene che tali criteri siano pertinenti anche nella presente causa.

73. Nel caso di specie, la Corte constata anzitutto che la patologia cardiaca del ricorrente, che comporta delle sofferenze sia fisiche che psicologiche, ha origini lontane nel tempo, di molto anteriori al suo arresto, dato che egli ebbe il primo infarto nel 1992. Sembra in ogni caso che le condizioni di salute del ricorrente, quando fu posto in detenzione, fossero gravi, dato che era già stato inserito nella lista delle persone che dovevano essere sottoposte a trapianto cardiaco. Se la gravità dello stato di salute del ricorrente che ha reso necessario il trapianto cardiaco non può essere imputata alla detenzione, la Corte deve esaminare il periodo successivo al trapianto, periodo che è oggetto del presente ricorso.

74. Quanto all’opportunità di mantenere il ricorrente in detenzione nonostante le sue condizioni di salute, la Corte constata che non è mai stato formulato un parere medico di incompatibilità. Anche nei primi sei mesi successivi all’intervento chirurgico le condizioni di salute del ricorrente sono state ritenute compatibili con la detenzione purché l’interessato fosse ricoverato in un ospedale esterno al carcere che soddisfacesse ai requisiti di asepsi, considerato l’elevato rischio di rigetto acuto e di infezioni.
Il ricorrente, operato il 30 aprile 2010, è rimasto all’ospedale Monaldi di Napoli – centro specializzato in trapianti – fino al 10 giugno 2010; è stato poi ricoverato all’ospedale Cardarelli di Napoli, dove ha trascorso il periodo compreso tra il 10 giugno e il 2 dicembre 2010. La Corte ritiene che questo periodo di ricovero, che copre ampiamente il periodo più a rischio, rispondesse alle esigenze del ricorrente.
Certamente nelle prime settimane dopo che era stato dimesso dall’ospedale Monaldi il ricorrente avrebbe potuto beneficiare di una riabilitazione respiratoria in clinica privata; era stato autorizzato in tal senso il 25 maggio 2010. Tuttavia, dopo aver constatato che non vi erano posti disponibili nella clinica raccomandata dai medici e previo parere favorevole dei medici dell’ospedale Monaldi, l’8 giugno 2010 la corte d’assise di Napoli aveva disposto il ricovero del ricorrente nell’ospedale Cardarelli, in attesa di vedere se fosse disponibile un’altra clinica, il che non si verificò. La Corte osserva che i vari rapporti medici acquisiti agli atti non indicano alcun peggioramento delle condizioni di salute del ricorrente imputabile al ricovero dello stesso all’ospedale Cardarelli o al fatto che il ricorrente non fosse stato ricoverato in una clinica privata per beneficiare di una riabilitazione cardiorespiratoria.
75. Il ritorno in carcere del ricorrente è avvenuto solo una volta passato il periodo più a rischio, ossia nel dicembre 2010, e con una serie di precauzioni volte a minimizzare il rischio di infezioni. In queste circostanze, non si può affermare che le autorità non abbiano fatto il possibile affinché il ricorrente beneficiasse delle cure adeguate alle sue condizioni di salute.

76. Per quanto riguarda il periodo trascorso nel carcere di Parma, la Corte osserva che esso è iniziato il 30 settembre 2011, ossia quando il ricorrente non era più a rischio di rigetto acuto. È vero che alcune lacune da parte delle autorità sembrano evitabili e molto deplorevoli, come la trasmissione incompleta della cartella clinica del ricorrente, che ha privato l’interessato di una terapia per alcuni giorni o, ancora, il fatto che il centro medico sia stato chiuso nei primi mesi, con la conseguente necessità di ricorrere a centri medici all’esterno del carcere per ogni eventuale esame diverso da una consulenza cardiologica o da un elettrocardiogramma. Tuttavia queste lacune, benché deplorevoli, non bastano, di per sé, tenuto conto complessivamente della situazione del ricorrente, per concludere che le autorità italiane siano venute meno in maniera sostanziale al loro dovere di tutelare la salute del ricorrente e per chiamare in causa, di conseguenza, la responsabilità dello Stato italiano sotto il profilo dell’articolo 3 della Convenzione.

77. La Corte constata in effetti che l’evoluzione delle condizioni di salute è stata monitorata attentamente per tutto il periodo in questione dalle equipe mediche degli ospedali e delle carceri a cui è stato assegnato. Dal fascicolo risulta che i medici sono intervenuti disponendo, laddove necessario, il suo ricovero in centri medici specializzati per verificare le sue condizioni di salute e dispensare il trattamento medico più appropriato. I vari rapporti medici redatti a livello interno e prodotti dalle parti non riportano alcun aggravamento delle patologie del ricorrente riconducibile alla sua detenzione. Al contrario, le condizioni cliniche del ricorrente sono state ritenute piuttosto buone e stabili per tutto il periodo di riferimento; il rischio di rigetto acuto è diminuito e, nell’aprile 2011, ossia quasi un anno dopo il trapianto di cuore e conformemente alle aspettative, il ricorrente era esposto soltanto al rischio di rigetto cronico.
Solo le condizioni psicologiche del ricorrente hanno subito un peggioramento. In effetti, se nell’aprile 2011, quando era detenuto nel carcere di Napoli Secondigliano, i medici descrivevano l’interessato come una persona ansiosa, angosciata, concentrata sulla sua salute e che necessitava un follow-up psicologico, una volta trasferito al carcere di Parma il ricorrente sembra avere incontrato vere e proprie difficoltà psicologiche, non imputabili a una mancanza di cure o ad una presa in carico lacunosa da parte delle autorità. In effetti, dal fascicolo risulta che le difficoltà del ricorrente erano legate alle sue vicissitudini giudiziarie e alle restrizioni derivanti dalla sua condizione di detenuto nel carcere di Parma. Inoltre, il ricorrente è stato seguito da un medico psichiatra. In queste condizioni, la Corte ritiene che le autorità non siano venute meno ai loro obblighi inerenti alla presa in carico del ricorrente dal punto di vista medico.

78. La Corte rileva infine che i giudici nazionali hanno rigettato le domande di revoca della detenzione presentate dal ricorrente con decisioni motivate e dopo aver preso in considerazione i pareri dei periti. La Corte ha considerato, per quanto riguarda l’opportunità di mantenere una persona in detenzione, di non poter sostituire il suo punto di vista a quello dei giudici nazionali (Sakkopoulos c. Grecia, sopra citata, § 44), a maggior ragione quando, come nella presente causa, le autorità nazionali hanno soddisfatto, in generale, il loro obbligo di tutelare l’integrità fisica del ricorrente, in particolare mediante la somministrazione di cure mediche adeguate (ibidem). Dal fascicolo risulta che il trattamento della malattia del ricorrente in detenzione è stato di pari livello rispetto a quello che avrebbe potuto essere dispensato all’esterno (si veda, a contrario, Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, §§ 55-61, 2 dicembre 2004, in cui la Corte ha concluso per l’esistenza di un «trattamento degradante» a causa del mantenimento in stato detentivo di una persona molto anziana, paraplegica e affetta da molte malattie incurabili, considerata la totale mancanza di autonomia e dell’assistenza non adeguata dispensata in carcere).

79. Per concludere, dopo aver valutato complessivamente i fatti pertinenti sulla base delle prove prodotte dinanzi ad essa, la Corte ritiene che né le condizioni di salute del ricorrente né lo stress/l’ansia che sostiene di avere subito raggiungono nella presente causa un livello di gravità sufficiente per comportare una violazione dell’articolo 3 della Convenzione (Kudła sopra citata, § 99).

80. Di conseguenza questa parte del ricorso è manifestamente infondata e deve essere rigettata in applicazione dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

B. Motivo di ricorso relativo all’articolo 6 della Convenzione

81. Il ricorrente lamenta di non aver avuto la possibilità di partecipare a un’udienza nel luglio 2010, nemmeno per videoconferenza, a causa delle sue condizioni di salute, e deplora che l’udienza in questione si sia svolta anche in sua assenza. Sostiene che vi è stata violazione dell’articolo 6 della Convenzione che, nelle parti pertinenti, recita:

«1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente (…) da un tribunale (…) che sia chiamato a pronunciarsi (…) sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti.

(...)

3. In particolare, ogni accusato ha diritto di:

(...)

b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia.»

82. La Corte osserva anzitutto che, nel suo ricorso e nelle sue osservazioni, il ricorrente ha affermato che vi erano tre procedimenti penali pendenti a suo carico, senza fornire ulteriori precisazioni. Essa ritiene che il motivo del ricorrente sia prematuro. Pertanto questa parte del ricorso deve essere rigettata ai sensi dell’articolo §§ 1 e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, all’unanimità,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Danutė Jočienė
Presidente

Stanley Naismith
Cancelliere