Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 5 marzo 2013 - Ricorso n.15434/11 - Tellissi c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione eseguita da Rita Carnevali, assistente linguistico. Revisione a cura della dott.ssa Martina Scantamburlo.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

DECISIONE

Ricorso n. 15434/11

Fathi TELLISSI

contro Italia

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita il 5 marzo 2013 in una camera composta da:

Danutė Jočienė, presidente,
Guido Raimondi,
Dragoljub Popović,
András Sajó,
Işıl Karakaş,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,

Visto il ricorso sopra citato presentato il 28 febbraio 2011,

Viste le osservazioni sottoposte dal governo convenuto e quelle presentate in risposta dai ricorrenti,

Dopo aver deliberato, pronuncia la seguente decisione:

IN FATTO

1. Il ricorrente, sig. Fathi Tellissi, è un cittadino tunisino nato nel 1963 e attualmente detenuto nel carcere di Monza. Dinanzi alla Corte è stato rappresentato dall'avvocato C. Bianco del foro di Monaco. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.

2. I fatti della causa, come esposti dalle parti, si possono riassumere come segue.

A. Le condizioni di vita nel carcere di Monza

3. Arrestato il 16 luglio 2004, il ricorrente è detenuto dall'ottobre 2006 nel carcere di Monza. La data di fine pena è stata fissata al 7 marzo 2018. Egli afferma di condividere con altre persone una cella non riscaldata di circa undici metri quadrati. Il ricorrente sostiene che l'accesso alla doccia è limitato per la penuria di acqua calda nella struttura carceraria e che l'aerazione e l'illuminazione delle celle sono insufficienti a causa delle dimensioni delle finestre. Afferma di essere obbligato a passare sino a ventidue ore al giorno in queste condizioni.

B. Lo stato di salute del ricorrente

4. Nel 2004, mentre era detenuto nell'Istituto penitenziario di Pavia, giocando a calcio con i suoi co-detenuti, il ricorrente ebbe un incidente in seguito al quale riportò la rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro.

5. L'11 febbraio 2008, dopo uno sciopero della fame e dopo aver sollecitato più volte i rispettivi direttori dei penitenziari di Pavia, Torino e Monza, il ricorrente fu operato ai legamenti presso l'ospedale San Gerardo di Monza.

6. Dopo l'operazione, il ricorrente fu trasferito nel carcere di Torino per effettuare un ciclo di kinesiterapia post-chirurgica. Tuttavia, il ricorrente sarebbe stato informato che questo trattamento poteva non essere efficace e che era necessario un intervento chirurgico.

7. Il 21 ottobre 2008 il ricorrente fu trasferito a Monza dove i medici prospettarono una seconda operazione. Nel 2009 il ricorrente iniziò uno sciopero della fame allo scopo di ottenere delle cure adeguate.

8. Il 23 febbraio 2011 il ricorrente fu operato per un'ernia inguinale provocata, secondo lui, dal modo di camminare scorretto cui era costretto da parecchi mesi a causa dei forti dolori al ginocchio.

9. Il ricorrente presentò un reclamo al magistrato di sorveglianza di Milano lamentando la mancanza di cure adeguate al suo stato di salute.

10. Il 27 giugno 2011, dopo aver esaminato i rapporti redatti il 29 marzo e il 6 maggio 1011 dai medici del carcere, il magistrato di sorveglianza accolse il reclamo del ricorrente. Dai rapporti medici risultava che il ricorrente era affetto da rigidità del legamento crociato anteriore del ginocchio destro e necessitava di una terapia di recupero articolare. Era inoltre necessario eseguire esami approfonditi allo scopo di valutare l'opportunità di un'operazione d'artrolisi seguita da un trattamento di kinesiterapia. Il magistrato invitò la direzione del carcere di Monza a eseguire detti esami e ad assicurare, nell'attesa, che il ricorrente beneficiasse della terapia di recupero articolare prescritta dai medici. Inoltre, il magistrato invitò l'amministrazione penitenziaria a prevedere la possibilità di trasferire il ricorrente in un centro penitenziario adeguatamente attrezzato per le terapie di kinesiterapia post-operatoria.

11. Il 18 ottobre 2011 il ricorrente inviò parecchie istanze volte all'esecuzione della decisione del magistrato di sorveglianza del 27 giugno 2011. Egli si rivolse, tra altri, alla direzione del carcere di Monza, ai dirigenti dell'amministrazione penitenziaria e al magistrato di sorveglianza.

12. Il 15 marzo 2012 il magistrato di sorveglianza osservò che la decisione del 27 giugno 2011 era in corso di esecuzione e che il protrarsi dei tempi per la presa in carico era dovuto al tempo di attesa nelle strutture sanitarie pubbliche. Da una nota del 7 marzo 2012 dell'ospedale San Gerardo di Monza risulta che, d'accordo con il ricorrente, era stato deciso di procedere dapprima all'intervento chirurgico per curare l'ernia inguinale (paragrafo 8 supra); quest'ultimo era stato programmato presso l'Ospedale San Paolo, ma ancora non era stato possibile effettuarlo a causa dei lavori di ristrutturazione; nel frattempo, il 22 novembre 2011, il ricorrente era stato sottoposto a una radiografia del bacino. L'esame tramite risonanza magnetica nucleare del ginocchio era stato rinviato perché il ricorrente desiderava dapprima curare l'ernia ed era opportuno eseguire la risonanza magnetica poco tempo prima dell'intervento al ginocchio.

13. Nel frattempo, il 20 aprile e il 20 giugno 2011 il ricorrente si era rivolto al tribunale di sorveglianza lamentando l'inerzia prolungata delle autorità di fronte alle sue numerose richieste di urgente ricovero in ospedale e di trasferimento in una struttura adeguata al suo stato di salute. Il 24 gennaio 2012 il ricorrente chiese al tribunale di sorveglianza di fissare un'udienza; quest'ultima si tenne il 3 aprile 2012 alla presenza del ricorrente e del suo avvocato.

14. Con ordinanza del 3 aprile 2012, il cui testo fu depositato in cancelleria il 10 aprile 2012, il tribunale di sorveglianza dichiarò inammissibili le doglianze del ricorrente osservando che le decisioni del magistrato di sorveglianza sui reclami dei detenuti non possono essere oggetto di appello dinanzi al tribunale di sorveglianza. Non era neanche previsto che il magistrato potesse essere «messo in mora» da un detenuto. Peraltro, la decisione del 27 giugno 2011 aveva integralmente accolto le richieste del ricorrente. Inoltre, non vi erano elementi a riprova che le ernie inguinali e le altre patologie denunciate dall'interessato fossero dovute alla mancanza di cure adeguate; all'epoca della sua incarcerazione il ricorrente soffriva di parecchie patologie e una nuova lesione dei legamenti era stata provocata da una caduta fortuita. L'interessato era stato sottoposto a interventi chirurgici, aveva beneficiato della kinesiterapia nel carcere di Torino ed era stato più volte sottoposto all'esame dei medici. Le sue condizioni di salute - che secondo i certificati medici pertinenti erano molto diverse da quelle descritte dall'interessato - non giustificavano un trattamento prioritario nelle strutture sanitarie pubbliche.

15. Il 25 maggio 2012 il ricorrente presentò ricorso per cassazione avverso questa ordinanza. L'esito di questo ricorso non è conosciuto.

16. Nel frattempo, l'11 maggio 2012 il ricorrente era stato dichiarato invalido civile al 50% a causa della sua ridotta mobilità e della sua impossibilità di restare in piedi per una durata prolungata.

MOTIVI DI RICORSO

17. Il ricorrente sostiene che le sue condizioni detentive costituiscono un trattamento contrario all'articolo 3 della Convenzione.

IN DIRITTO

18. Il ricorrente ritiene di essere stato sottoposto a trattamenti contrari all'articolo 3 della Convenzione

Questa disposizione recita:
«Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.»

19. Il Governo si oppone a tale tesi.

A. Le condizioni di salute del ricorrente

1. Argomenti delle parti

a) Il ricorrente

20. Il ricorrente lamenta innanzitutto la qualità delle cure che gli sono state somministrate in carcere. Egli sostiene che, nonostante i rapporti medici e la decisione del magistrato di sorveglianza di Milano riconoscessero il suo precario stato di salute, egli non ha mai ricevuto cure adeguate e resta in attesa di una seconda operazione al ginocchio. Afferma che l'inerzia delle autorità competenti ha provocato un progressivo deterioramento delle sue capacità fisiche al punto che ha difficoltà ad uscire dalla sua cella, non potendo spostarsi senza aiuto o senza stampelle.

21. Il ricorrente fa osservare, riferendosi al suo fascicolo sanitario, che è stato sottoposto ad una radiografia del ginocchio il 22 giugno 2011 e che un esame del ginocchio sotto sforzo è stato eseguito il 13 maggio 2011. La decisione del magistrato di sorveglianza del 27 giugno 2011 (paragrafo 10 supra) è rimasta lettera morta. A causa di un incidente verificatosi nel 2004, è stato operato soltanto nel 2008; attende ancora una seconda operazione e non ha beneficiato di alcuna adeguata terapia riabilitativa, indispensabile, secondo i medici stessi, per assicurargli la guarigione. Afferma che le due ernie inguinali di cui ha sofferto sono state provocate dalle sue difficoltà di movimento.

b) Il Governo

22. Il Governo spiega che la ragione per la quale l'ultima risonanza magnetica del ginocchio del ricorrente è stata eseguita in data 22 giugno 2011 è che l'interessato ha preferito dare priorità all'intervento per l'ernia inguinale. Una nuova risonanza magnetica sarà eseguita in prossimità della data dell'intervento al ginocchio, per il quale il ricorrente è in lista di attesa presso l'ospedale San Gerardo di Monza. Secondo le informazioni fornite dal Governo nel giugno 2012, questo intervento doveva potersi eseguire al massimo entro il mese di settembre 2012.

23. Il Governo ritiene che il ricorrente abbia beneficiato di un trattamento medico specializzato e adeguato entro i termini imposti a tutti coloro che utilizzano il servizio sanitario nazionale. Per quanto riguarda i suoi problemi di mobilità, come regola generale, l'amministrazione penitenziaria deve cercare il luogo più adatto per i detenuti che hanno difficoltà di spostamento, e per superare le barriere architettoniche sono allo studio dei progetti.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

24. Conformemente alla giurisprudenza consolidata della Corte, per rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 3, un cattivo trattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. La valutazione di questo minimo è relativa; dipende nel complesso dagli elementi della causa, in particolare dalla durata del trattamento e dei suoi effetti fisici o psicologici nonché, talvolta, dal sesso, dall'età e dallo stato di salute di un ricorrente (si vedano, tra altre, Price c. Regno-Unito, n. 33394/96, § 24, CEDU 2001-VII; Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 37, CEDU 2002-IX; e Gennadi Naoumenko c. Ucraina, n. 42023/98, § 108, 10 febbraio 2004). Le asserzioni di maltrattamenti devono essere sostenute da adeguati elementi di prova (si veda, mutatis mutandis, Klaas c. Germania, 22 settembre 1993, § 30, serie A n. 269). Per la valutazione di questi elementi, la Corte aderisce al principio della prova «oltre ogni ragionevole dubbio», ma aggiunge che tale prova può risultare anche da un insieme di indizi, o da presunzioni non confutate, sufficientemente gravi, precisi e concordanti (Irlanda c. Regno Unito, 18 gennaio 1978, § 161 in fine, serie A n. 25, e Labita c. Italia [GC], n. 26772/95, § 121, CEDU 2000-IV).

25. Affinché una pena e il trattamento ad essa associato possano essere qualificati «inumani» o «degradanti», la sofferenza o l'umiliazione devono in ogni caso andare oltre ciò che inevitabilmente comporta una determinata forma di trattamento o di pena legittime (Jalloh c. Germania [GC], n. 54810/00, § 68, 11 luglio 2006).

26. In particolare, quando si tratta di persone private della libertà, l'articolo 3 impone allo Stato l'obbligo positivo di assicurarsi che le condizioni di detenzione siano compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano il detenuto ad uno stress o ad una prova la cui intensità superi l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute ed il benessere del detenuto siano assicurati in modo adeguato, in particolare tramite la somministrazione delle cure mediche richieste (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Rivière c. Francia, n. 33834/03, § 62, 11 luglio 2006). In tal modo, la mancanza di cure mediche appropriate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni inadeguate, può in linea di principio costituire un trattamento contrario all'articolo 3 (si vedano, ad esempio, İlhan c. Turchia [GC], n. 22277/93, § 87, CEDU 2000 VII, e Gennadi Naoumenko, sopra citata, § 112). Oltre alla salute del detenuto, occorre anche assicurare in maniera adeguata il suo benessere (Mouisel, sopra citata, § 40).

27. Le condizioni di detenzione di una persona malata devono garantire la tutela della sua salute, tenuto conto delle contingenze ordinarie e ragionevoli della carcerazione. Se dall’articolo 3 della Convenzione non è possibile dedurre un obbligo generale di rimettere in libertà il detenuto o di trasferirlo in un ospedale civile, anche se affetto da una malattia particolarmente difficile da curare (Mouisel c. Francia, n. 67263/01, § 40, CEDU 2002-IX), tale articolo impone comunque allo Stato di proteggere l'integrità fisica delle persone private della libertà. La Corte non può escludere che, in condizioni particolarmente gravi, sia possibile trovarsi in presenza di situazioni in cui una buona amministrazione della giustizia penale esiga l'adozione di misure di natura umanitaria per porvi rimedio (Matencio c. Francia, n. 58749/00, § 76, 15 gennaio 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, n. 61828/00, § 38, 15 gennaio 2004).

28. Nell'applicare i principi sopra esposti, la Corte ha già concluso che mantenere in stato detentivo per un periodo prolungato una persona in età avanzata, e per di più malata, può rientrare nel campo di applicazione dell'articolo 3 (Papon c. Francia (n. 1) (dec.), n. 64666/01, CEDU 2001-VI; Sawoniuk c. Regno Unito (dec.), n. 63716/00, CEDU 2001-VI; e Priebke c. Italia (dec.), n. 48799/99, 5 aprile 2001). Inoltre, la Corte ha dichiarato che mantenere in detenzione una persona tetraplegica, in condizioni inadeguate al suo stato di salute, costituiva un trattamento degradante (Price, sopra citata, § 30). Essa ha anche considerato che alcuni trattamenti possono violare l'articolo 3 per il fatto di essere inflitti a persona che soffre di disturbi mentali (Keenan c. Regno Unito, n. 27229/95, §§ 111-115, CEDU 2001-III). Per quanto esposto, la Corte deve tener conto, in particolare, di tre elementi al fine di esaminare la compatibilità di uno stato di salute preoccupante con il mantenimento in carcere del ricorrente, ossia: a) le condizioni del detenuto, b) la qualità delle cure dispensate e c) l'opportunità di mantenere la detenzione visto lo stato di salute del ricorrente (Farbtuhs c. Lettonia, n. 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos, sopra citata, § 39).

b) Applicazione di questi principi al caso di specie

29. La Corte rileva innanzitutto che il ricorrente non ha sostenuto l'incompatibilità del suo stato di salute con il mantenimento in carcere. L'unica questione posta nel caso di specie è quella di stabilire se le cure somministrate in carcere siano state adeguate, tenuto conto dell'esigenza di proteggere l'integrità fisica dell'interessato.

30. In proposito è opportuno osservare che a seguito di un incidente verificatosi nel 2004, il ricorrente ha riportato la rottura dei legamenti crociati del ginocchio destro (paragrafo 4 supra). L'11 febbraio 2008 l'interessato è stato operato ai legamenti presso l'ospedale di Monza (paragrafo 5 supra; si veda, mutatis mutandis, Stojanović c. Serbia, n. 34425/04, §§ 76-81, 19 maggio 2009). Egli ha in seguito beneficiato del ciclo di kinesiterapia nel carcere di Torino ed è stato più volte sottoposto a visite mediche (paragrafi 6 e 14 supra).

31. Di certo il ricorrente sostiene che dopo questa data non è stato sottoposto ad alcuna terapia adeguata e che era necessario un secondo intervento chirurgico. Al fine di ottenere queste cure, è stato costretto ad iniziare uno sciopero della fame e a presentare, nel 2011, un reclamo al magistrato di sorveglianza (paragrafo 9 supra). La Corte si rammarica per questi ritardi nel controllare la patologia del ricorrente. Tuttavia, tenuto conto della natura di quest'ultima, essa ritiene che questi inconvenienti non possano, da soli, costituire un trattamento vietato dall'articolo 3 della Convenzione.

32. La Corte nota che il 27 giugno 2011, il magistrato di sorveglianza ha invitato l'amministrazione penitenziaria ad assicurarsi che il ricorrente beneficiasse della terapia di recupero articolare prevista dai medici disponendo inoltre che fosse sottoposto ad accertamenti per valutare l'opportunità di un'operazione di artrolisi e di un trasferimento in un centro penitenziario adeguatamente attrezzato per la kinesiterapia post-operatoria (paragrafo 10 supra)

33. Nel frattempo sono stati eseguiti un esame del ginocchio sotto sforzo e una risonanza magnetica del ginocchio rispettivamente il 13 maggio e il 22 giugno 2011 (paragrafi 21 e 22 supra). Una radiografia del bacino è stata effettuata il 22 novembre 2011 (paragrafo 12 supra). La seconda operazione del ginocchio è stata rinviata - secondo le informazioni fornite dal Governo avrebbe dovuto essere eseguita al massimo entro settembre 2012 (paragrafo 22 supra) - in quanto il ricorrente ha espresso il desiderio di dare priorità all'intervento di ernia inguinale (paragrafi 8 e 12 supra).

34. Infine, l'amministrazione penitenziaria ha messo a disposizione del ricorrente delle stampelle per ovviare ai suoi problemi deambulatori.

35. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, nonostante alcuni ritardi, le autorità abbiano soddisfatto il loro obbligo di proteggere l'integrità fisica del ricorrente tramite la somministrazione dei controlli medici appropriati. A tale proposito sottolinea che lo stato di salute dell'interessato è stato costantemente controllato.

36. Pertanto, la Corte giunge alla conclusione che il trattamento di cui il ricorrente è stato oggetto non ha oltrepassato in modo significativo il livello inevitabile di sofferenza inerente alla detenzione. Non essendo stata raggiunta la soglia minima di gravità per rientrare nell'ambito di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione, nel caso di specie non può essere rilevata alcuna parvenza di violazione di questa disposizione.

B. Il sovraffollamento carcerario nel penitenziario di Monza

37. Il ricorrente lamenta anche le condizioni di vita nel penitenziario di Monza, soprattutto a causa del sovraffollamento carcerario.

1. Argomenti delle parti

a) Il Governo

38. Le Governo indica che tutte le sezioni del carcere di Monza nelle quali il ricorrente è stato assegnato dispongono di celle la cui superficie è di 11 m², compreso il bagno la cui superficie è di un metro quadrato.

39. In particolare:

- dal 28 ottobre 2006 al 9 febbraio 2007 il ricorrente è stato sistemato nella sezione infermeria in una camera individuale;

- dal 10 al 13 febbraio 2007 ha condiviso la sua cella con un altro detenuto;

- dal 14 febbraio 2007 al 13 febbraio 2008 ha condiviso la sua cella con altri due detenuti;

- dal 13 febbraio al 31 ottobre 2008 è stato trasferito nel penitenziario di Torino;

- il 31 ottobre 2008 è ritornato nel carcere di Parma ed è stato nuovamente sistemato nella sezione infermeria, dove condivideva la camera con un altro detenuto, fino al 10 novembre 2008;

- dal 10 novembre 2008 al 9 febbraio 2010 ha condiviso la sua cella con un altro detenuto;

- dal 10 febbraio al 22 marzo 2010 è stato sistemato in una cella singola;

- dal 23 marzo 2010 al 15 giugno 2011 ha condiviso la sua cella con un altro detenuto;

- dal 16 giugno 2011 fino alla data di presentazione delle osservazioni del Governo (11 giugno 2012), ha condiviso la sua cella con altri due detenuti.

40. Il Governo precisa che la capienza regolamentare del penitenziario di Monza è di 405 detenuti, mentre la sua «capienza tollerabile» è di 726 detenuti. Tuttavia, in seguito a infiltrazioni di acqua, il 13 novembre 2011 51 celle sono state dichiarate inagibili e sono state chiuse. Di conseguenza, le capienze di cui sopra sono state ridotte rispettivamente a 323 e 624 detenuti. Prima della chiusura delle suddette celle, erano detenute 843 persone, mentre l'11 giugno 2012 i detenuti erano 740.

41. Ogni cella è dotata di una finestra (1,20 x 1,20), che i detenuti possono aprire e che dà all'esterno, lasciando penetrare la luce naturale. Inoltre, le celle sono dotate di illuminazione artificiale, anche nel bagno.

42. Dalle ore 9:00 alle 11:00 e dalle 13:00 alle 15:00, i detenuti possono uscire dalle celle per fruire della passeggiata nel cortile del penitenziario; dalle ore 16:30 alle 18:00 hanno la possibilità di recarsi nella sala degli incontri con gli altri detenuti; una volta a settimana possono recarsi in palestra.

43. Il Governo rileva che il ricorrente non ha mai chiesto di partecipare a corsi di formazione o ad altre attività collettive, fatto che gli avrebbe permesso di restare meno a lungo nella sua cella.

44. Il Governo sottolinea che la soluzione del problema del sovraffollamento carcerario costituisce una priorità per il Ministero della Giustizia. Nell'ambito dell'esecuzione della sentenza Sulejmanovic c. Italia (n. 22635/03, 16 luglio 2009), l’Italia ha presentato al Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il suo piano di azione al riguardo.

b) Il ricorrente

45. Il ricorrente rammenta che il sovraffollamento carcerario è un problema sistemico in Italia. Al 30 settembre 2011 erano detenute 67.428 persone, mentre la capienza regolamentare delle carceri era di 45.817 posti. L'11 agosto 2010 il carcere di Monza (la cui capienza regolamentare era di 420 detenuti) ospitava 841 persone.

46. Il ricorrente sottolinea che, a partire dal 16 giugno 2011, è stato sistemato in una cella con altri due detenuti (paragrafo 39 supra), disponendo così di uno spazio personale inferiore a 4 m². A causa del suo stato di salute l'interessato, che non poteva spostarsi senza stampelle, non ha potuto recarsi alle passeggiate, fare sport o partecipare alle attività di formazione e di cura. Per accedere allo spazio della passeggiata, avrebbe dovuto salire e scendere delle scale. L'8 maggio 2008, tentando di spostarsi con l'aiuto delle stampelle, il ricorrente è rimasto vittima di una caduta. Nelle celle mancavano la luce, l'illuminazione e il riscaldamento e i detenuti non avevano a disposizione il necessario per la loro igiene personale e l'acqua corrente era fredda.

2. Valutazione della Corte

a) Principi generali

47. La Corte rileva che le misure privative della libertà solitamente comportano per un detenuto alcuni inconvenienti. Tuttavia, essa ricorda che la carcerazione non fa perdere al detenuto il beneficio dei diritti garantiti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può aver bisogno di una maggiore tutela in ragione della vulnerabilità della sua situazione e perché si trova interamente sotto la responsabilità dello Stato. In questo contesto, l'articolo 3 impone alle autorità l'obbligo positivo che consiste nell'assicurarsi che tutti i detenuti siano ristretti in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l'interessato ad uno stress o ad una prova la cui intensità superi l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano adeguatamente assicurati (Kudła c. Polonia [GC], n. 30210/96, § 94, CEDU 2000-XI ; Norbert Sikorski c. Polonia, n. 17599/05, § 131, 22 ottobre 2009).

48. Trattandosi delle condizioni di detenzione, la Corte tiene conto degli effetti cumulativi di queste ultime nonché delle specifiche asserzioni del ricorrente (Dougoz c. Grecia, n. 40907/98, CEDU 2001-II). In particolare il tempo durante il quale un individuo è stato detenuto nelle condizioni lamentate costituisce un fattore importante da considerare (Alver c. Estonia, n. 64812/01, 8 novembre 2005).

49. Quando il sovraffollamento carcerario raggiunge un certo livello, la mancanza di spazio in un istituto penitenziario può costituire l'elemento centrale di cui tener conto nella valutazione della conformità di una determinata situazione all'articolo 3 (si veda, in tal senso, Karalevičius c. Lituania, n. 53254/99, 7 aprile 2005).

50. Così, quando si è trovata di fronte a casi di grave sovraffollamento, la Corte ha dichiarato che questo elemento era di per sé sufficiente per concludere per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione. In linea generale, benché lo spazio ritenuto auspicabile dal CPT [Comitato per la prevenzione della tortura. N.d.T.] sia di 4 m2, si tratta di casi in cui lo spazio personale accordato a un ricorrente era inferiore a 3 m2 (Kantyrev c. Russia, n. 37213/02, §§ 50-51, 21 giugno 2007; Andreï Frolov c. Russia, n. 205/02, §§ 47-49, 29 marzo 2007; Kadikis c. Lettonia, n. 62393/00, § 55, 4 maggio 2006; e Sulejmanovic c. Italia, n. 22635/03, § 43, 16 luglio 2009).

51. Al contrario, nelle cause in cui il sovraffollamento non era importante al punto da sollevare da solo un problema sotto il profilo dell'articolo 3, la Corte ha notato che dovevano essere presi in considerazione altri aspetti delle condizioni di detenzione al fine di valutare il rispetto o meno di questa disposizione. Fra questi elementi figurano la possibilità di utilizzare i bagni in maniera privata, l'aerazione disponibile, l'accesso alla luce e all'aria naturali, la qualità del riscaldamento e il rispetto delle esigenze sanitarie di base. Così, anche nelle cause in cui ogni detenuto disponeva da 3 a 4 m², la Corte ha concluso per la violazione dell'articolo 3 dal momento che la mancanza di spazio era associata alla mancanza di ventilazione e di luce (Moisseiev c. Russia, n. 62936/00, 9 ottobre 2008; si vedano anche Vlassov c. Russia, n. 78146/01, § 84, 12 giugno 2008; Babouchkine c. Russia, n. 67253/01, § 44, 18 ottobre 2007); a un accesso limitato alla passeggiata all'aria aperta (István Gábor Kovács c. Ungheria, n. 15707/10, § 26, 17 gennaio 2012) o ad una totale mancanza di intimità nelle celle (si vedano, mutatis mutandis, Belevitskiy c. Russia, n. 72967/01, §§ 73-79, 1ordm; marzo 2007; Khudoyorov c. Russia, n. 6847/02, §§ 106-107, ECHR 2005-X (estratti); e Novoselov c. Russia, n. 66460/01, §§ 32 e 40-43, 2 giugno 2005).

b) Applicazione di questi principi al caso di specie

52. La Corte osserva che nel caso di specie risulta dalle informazioni fornite dal Governo (paragrafi 38-39 supra) e non contestate dal ricorrente nelle sue osservazioni in risposta, che l'interessato è stato sistemato in celle la cui superficie è di 11 m². Per lunghi periodi il ricorrente era il solo detenuto nella cella o la condivideva con un altro detenuto. Per questi periodi non si porrebbe quindi alcun problema di mancanza di spazio personale.

53. Per quanto riguarda i periodi che vanno dal 14 febbraio 2007 al 13 febbraio 2008 e dal 16 giugno 2011 all'11 giugno 2012, in cui l'interessato ha condiviso la sua cella con altri due detenuti, è opportuno notare che lo spazio personale di cui disponeva era di circa 3,6 m². Benché inferiore allo spazio ritenuto auspicabile dal CPT per le celle collettive (4 m²), questo spazio personale non era inferiore a 3 m² e dunque secondo la giurisprudenza della Corte non può da solo costituire una violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

54. È vero che il ricorrente sostiene anche che nelle celle mancavano la luce, l'illuminazione e il riscaldamento, che non aveva a sua disposizione il necessario per la sua igiene personale e che l'acqua corrente era fredda (paragrafo 46 supra). Tuttavia l'interessato non ha provato le sue asserzioni. In particolare, non ha fornito alcun elemento che permettesse di smentire l'affermazione del Governo secondo la quale ogni cella era dotata di una finestra della misura 1,20 x 1,20 m. ed era dotata di illuminazione artificiale, anche nel bagno (paragrafo 41 supra). La circostanza che l'acqua corrente fosse fredda e il fatto che non vi fossero alcuni prodotti per l'igiene personale non possono costituire un trattamento contrario all'articolo 3.

55. Inoltre, il ricorrente non ha sostenuto che vi fosse una totale mancanza di intimità nelle celle e non ha contestato le affermazioni del Governo secondo le quali i detenuti avevano accesso alla passeggiata per quattro ore al giorno e alla sala degli incontri per un'ora e 30 minuti al giorno (paragrafo 42 supra). Nonostante i suoi problemi di salute, il ricorrente avrebbe potuto partecipare a queste attività al di fuori delle celle spostandosi con l'aiuto delle stampelle.

56. In queste circostanze, la Corte ritiene che le condizioni della detenzione del ricorrente non rivelino alcuna parvenza di violazione dell'articolo 3 della Convenzione.

57. Ne consegue che il ricorso è manifestamente infondato e deve essere rigettato in applicazione dell'articolo 35 §§ 3 (a) e 4 della Convenzione.

Per questi motivi, la Corte, a maggioranza,

Dichiara il ricorso irricevibile.

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

Danutė Jočienė
Presidente