Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 dicembre 2012 - Ricorso n.5179/05 - Coppola ed altri c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Martina Scantamburlo, funzionario linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SECONDA SEZIONE

SENTENZA
Ricorsi nn. 5179/05, 14611/05, 29701/06, 9041/05, 8239/05

Salvatore COPPOLA e altri
contro Italia

STRASBURGO
18 dicembre 2012
Richiesta di rinvio dinanzi alla Grande Camera in corso

 

Questa sentenza diverrà definitiva alle condizioni definite nell'articolo 44 § 2 della Convenzione. Può subire modifiche di forma. 

 

Nella causa Coppola e altri c. Italia,

La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in una camera composta da:

Peer Lorenzen, presidente,

Guido Raimondi,

Dragoljub Popović,

András Sajó,

Nebojša Vučinić,

Paulo Pinto de Albuquerque,

Helen Keller, giudici,

e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,

Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 novembre 2012,

Pronuncia la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

  1. All’origine delle cause vi sono cinque ricorsi (nn. 5179/05, 14611/05, 29701/06, 9041/05 e 8239/05) proposti contro la Repubblica italiana e con cui alcuni cittadini di tale Stato («i ricorrenti»), (si veda la tabella allegata), hanno adito la Corte, tra dicembre 2004 e luglio 2006, in virtù dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. I nomi dei rappresentanti dei ricorrenti sono indicati nella tabella allegata. Il Governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, E. Spatafora, e dal suo co-agente, P. Accardo.
  3. I ricorsi sono stati comunicati al Governo tra marzo 2007 e gennaio 2008. Come consentito dall'articolo 29 § 1 della Convenzione, è stato inoltre deciso che la camera si sarebbe pronunciata contestualmente sulla ricevibilità e sul merito della causa.

    IN FATTO

    I.LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE

    1.Ricorso n. 5179/05 Coppola e Catania c. Italia


    1.La procedura di fallimento
     
  4. Con sentenza depositata l’8 gennaio 1988 il tribunale di Catania dichiarò il fallimento della società di fatto esistente tra i ricorrenti e il fallimento personale di questi ultimi.
  5. Con decisione resa in data 10 gennaio 2003, affissa al tribunale il 21 febbraio 2003, il tribunale chiuse la procedura per ripartizione finale dell’attivo del fallimento.

    2.Il procedimento avviato conformemente alla «legge Pinto»
  6. Il 20 settembre 2003 i ricorrenti presentarono un ricorso dinanzi alla corte d’appello di Messina chiedendo la riparazione del danno morale che ritenevano di avere subìto a causa della durata eccessiva della procedura e del protrarsi delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento.
  7. Con decisione notificata all’avvocatura dello Stato l’8 maggio 2004 la corte d’appello accordò 10.000 euro (EUR) al sig. Salvatore Coppola, 5.500 EUR al sig. Giuseppe Coppola e 4.000 EUR alla sig.ra Maria Catania.
  8. La decisione divenne definitiva il 7 luglio 2004, ossia sessanta giorni dopo la sua notifica, conformemente all’articolo 325 del codice di procedura civile.

    2.Ricorso n. 14611/05 Vittorino Iotti c. Italia
     
  9. Con sentenza depositata il 6 novembre 1984 il tribunale di Reggio Emilia dichiarò il fallimento personale del ricorrente.
  10. Con decisione del 16 agosto 2001 il giudice delegato chiuse la procedura a seguito della ripartizione finale dell’attivo del fallimento.
  11. Il 19 giugno 2003 il ricorrente presentò una domanda dinanzi al tribunale volta a ottenere la riabilitazione.
  12. Con sentenza depositata il 12 agosto 2003 il tribunale rigettò la domanda in quanto prematura, rammentando che, ai sensi dell’articolo 143 comma 3 della legge sul fallimento, la riabilitazione poteva essere accordata solo se la persona che era stata dichiarata fallita aveva dato prova di buona condotta per un periodo di almeno cinque anni dalla chiusura della procedura.

    3.Ricorso n. 29701/06 Suma c. Italia

    1.La procedura di fallimento
     
  13. Con sentenza depositata il 9 marzo 1991 il tribunale di Siracusa dichiarò il fallimento personale del ricorrente.
  14. Con decisione depositata il 9 novembre 2005, affissa al tribunale il 10 novembre 2005, l’autorità giudiziaria sopra citata chiuse la procedura a seguito della ripartizione finale dell’attivo del fallimento. La decisione divenne definitiva il 25 novembre 2005, ossia quindici giorni dopo la sua affissione, ai sensi dell’articolo 119 della legge sul fallimento.
     
    2.La procedura esecutiva
     
  15. Nell’ambito di un procedimento di esecuzione avviato il 6 ottobre 1988 dalla società C. S.p.a. relativamente a un bene immobile di proprietà del ricorrente, il 15 dicembre 1993 il bene in questione fu venduto e, il 23 gennaio 1995, la somma risultante dalla vendita fu versata all’attivo del fallimento.

    3.Il procedimento avviato conformemente alla «legge Pinto»
     
  16. Il 1° aprile 2004 il ricorrente presentò un ricorso dinanzi alla corte d’appello di Messina conformemente alla «legge Pinto» per lamentare la durata eccessiva della procedura di fallimento e di quella di esecuzione, nonché le incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento.
  17. Con decisione resa il 23 marzo 2005 la corte accordò al ricorrente 15.000,00 EUR a titolo di risarcimento per il danno morale causato dalla eccessiva durata dei procedimenti e dal protrarsi delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento.
  18. Il 7 giugno 2005 il ricorrente presentò ricorso per cassazione.
  19. Con sentenza depositata il 16 gennaio 2007 la Corte di cassazione respinse il ricorso del ricorrente.

    4.Ricorso n. 9041/05 Spanò c. Italia

    1.La procedura di fallimento
     
  20. Con sentenza depositata il 24 settembre 1986 il tribunale di Trapani dichiarò il fallimento della società M.C., della quale il ricorrente era socio accomandatario, nonché il fallimento personale di quest’ultimo.
  21. Con decisione depositata il 24 settembre 2003 il tribunale chiuse la procedura per ripartizione finale dell’attivo del fallimento.

    2.Il procedimento avviato conformemente alla «legge Pinto»
     
  22. Il 4 febbraio 2003 il ricorrente presentò un ricorso dinanzi alla corte d’appello di Caltanissetta conformemente alla «legge Pinto» al fine di ottenere la riparazione del danno che riteneva di avere subìto a causa dell’eccessiva durata della procedura e delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento.
  23. Con decisione depositata il 24 giugno 2003 la corte d’appello accordò al ricorrente 7.000 EUR a questo titolo. La decisione divenne definitiva il 9 agosto 2004.
     
    5.Ricorso n. 8239/05 Brugiafreddo e Falcone c. Italia

    1.La procedura di fallimento
     
  24. Con sentenza depositata il 21 maggio 1993 il tribunale di Cuneo dichiarò il fallimento personale delle ricorrenti, nella loro qualità di socie della società I.
  25. Il 16 giugno 1993 le ricorrenti presentarono un ricorso in opposizione allo scopo di ottenere la revoca della dichiarazione di fallimento nei loro confronti.
  26. Con sentenza depositata il 28 aprile 1999 il tribunale accolse la richiesta.

    2.Il procedimento avviato conformemente alla «legge Pinto»
     
  27. Il 3 agosto 2001 le ricorrenti adirono la corte d’appello di Milano conformemente alla «legge Pinto» lamentando la durata eccessiva della procedura.
  28. Con decisione depositata il 20 novembre 2001 la corte d’appello accordò a ciascuna ricorrente la somma di 4.000.000 lire italiane (ITL) (circa 2.065,80 EUR) in riparazione del danno morale che avevano subito a causa della durata eccessiva della procedura e la somma di 1.500.000 ITL (circa 774,60 EUR) congiuntamente per le spese.
  29. Le ricorrenti proposero un ricorso per cassazione, che fu respinto con sentenza depositata il 5 agosto 2004.

    II.IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE
     
  30. Gli elementi di diritto interno pertinente sono riportati nelle cause Campagnano c. Italia, n. 77955/01, CEDU 2006 IV; Albanese c. Italia, n. 77924/01, 23 marzo 2006 e Vitiello c. Italia, n. 77962/01, 23 marzo 2006.
  31. L’articolo 50 della vecchia legge sul fallimento era così formulato:

    «Nella cancelleria di ciascun tribunale è tenuto un pubblico registro nel quale sono iscritti i nomi di coloro che sono dichiarati falliti. Le iscrizioni dei nomi dei falliti sono cancellate dal registro in seguito a sentenza del tribunale. Finché l’iscrizione non è cancellata, il fallito è soggetto alle incapacità stabilite dalla legge.»
     
  32. Questa disposizione è stata abrogata il 16 gennaio 2006 dall’articolo 47 della legge n. 5 del 2006.
  33. Con la sentenza n. 39 resa il 5 marzo 2008 la Corte costituzionale dichiarò incostituzionale l’articolo 50 della vecchia legge sul fallimento, in quanto esso prevedeva che le incapacità personali derivanti dalla dichiarazione di fallimento perdurassero oltre la chiusura della procedura.
  34. Nella sentenza n. 4630 del 26 febbraio 2009 la Corte di cassazione osservò che la legge n. 5 del 2006 non indicava quale fosse il dies ad quem della cessazione delle incapacità personali derivanti dal fallimento quando la relativa procedura veniva chiusa in epoca anteriore all’entrata in vigore della nuova legge. Per colmare questa lacuna, la Corte suddetta stabilì che tale data coincideva con quella della chiusura della procedura concorsuale.

    IN DIRITTO

    I.SULLA RIUNIONE DEI RICORSI
     
  35. Tenuto conto dell’analogia dei ricorsi per quanto riguarda i fatti e i problemi che essi pongono sul merito, la Corte ritiene necessario riunirli ed esaminarli congiuntamente in una sola sentenza.

    II.SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE (DIRITTO AL RISPETTO DELLA VITA PRIVATA E FAMIGLIARE)
     
  36. Invocando l’articolo 8 della Convenzione, i ricorrenti denunciano una violazione del loro diritto al rispetto della vita privata e famigliare a causa dell’iscrizione del loro nome nel registro dei falliti e lamentano di poter chiedere la riabilitazione solo cinque anni dopo la chiusura della procedura fallimentare. L’articolo 8 della Convenzione recita:

    «1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (…) e della propria corrispondenza.

    2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute e della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.»

    A.Sulla ricevibilità
     
  37. Il Governo sostiene che, conformemente all’interpretazione seguita dalla Corte Costituzionale e dalla Corte di Cassazione, le incapacità derivanti dall’iscrizione dei nomi dei ricorrenti nel registro dei falliti sono terminate alla data di chiusura delle procedure fallimentari. Essendo stati proposti più di sei mesi dopo la chiusura delle varie procedure fallimentari, i ricorsi sarebbero dunque tardivi.
  38. I ricorrenti contestano questa tesi e ribadiscono i loro motivi di ricorso.
  39. La Corte osserva che i ricorrenti hanno omesso di presentare elementi di prova a sostegno della parte del ricorso relativa al rispetto della vita famigliare. Questa parte del ricorso deve dunque essere rigettata in quanto manifestamente infondata, ai sensi dell’articolo 35 §§ 4 e 5 della Convenzione.
  40. Per quanto riguarda il motivo di ricorso relativo alla vita privata, la Corte constata che le sentenze indicate dal governo convenuto sono state pronunciate nel marzo 2008 e nel febbraio 2009 (paragrafi 33 e 34 supra), dunque successivamente alla presentazione dei ricorsi dinanzi alla Corte. Inoltre, poiché l’articolo 50 della vecchia legge sul fallimento è stato abrogato il 16 gennaio 2006, tutti i ricorsi in questione sono stati presentati dinanzi alla Corte ben prima della scadenza del termine di sei mesi di cui all’articolo 35 § 1 della Convenzione (si veda la tabella allegata). L’eccezione del Governo deve pertanto essere rigettata.
  41. Questa parte del ricorso non è manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.Sul merito
     
  42. La Corte rammenta di avere già esaminato cause che sollevano questioni simili a quelle del caso di specie e di avere constatato la violazione dell’articolo 8 della Convenzione dal punto di vista del diritto al rispetto della vita privata (si vedano, tra molte altre, le sentenze Campagnano c. Italia, sopra citata, §§ 50-66, Albanese c. Italia, sopra citata, §§ 50-66 e Vitiello c. Italia, sopra citata, §§ 44-62).
  43. La Corte ha esaminato le cause in questione e considera che il Governo non abbia fornito fatti o argomenti convincenti che possano portare a concludere diversamente. Pertanto, la Corte ritiene che vi sia stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione.

    III.SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1 (DIRITTO DI STARE IN GIUDIZIO), 8 DELLA CONVENZIONE (DIRITTO AL RISPETTO DELLA CORRISPONDENZA), 1 DEL PROTOCOLLO N. 1 E 2 DEL PROTOCOLLO N. 4
     
  44. I ricorrenti (ricorsi nn. 1, 3, 4 e 5) lamentano la violazione del loro diritto al rispetto della corrispondenza, del loro diritto al rispetto dei beni e della loro libertà di circolazione, in particolare a causa della durata dei procedimenti. Questi motivi rientrano nella sfera degli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo n. 1 e 2 del Protocollo n. 4. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti del ricorso n. 5 lamentano anche il protrarsi della loro incapacità di stare in giudizio a causa della durata del procedimento. Il testo dell’articolo 8 è riportato sopra. Le altre disposizioni recitano:

    Articolo 6 § 1 della Convenzione

    «1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (...)»

    Articolo 1 del Protocollo n. 1

    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

    Articolo 2 del Protocollo n. 4

    «1. Chiunque si trovi regolarmente sul territorio di uno Stato ha il diritto di circolarvi liberamente e di fissarvi liberamente la sua residenza.

    2. Ognuno è libero di lasciare qualsiasi Paese, compreso il proprio.

    3. L’esercizio di tali diritti non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono previste dalla legge e che costituiscono, in una società democratica, misure necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al mantenimento dell’ordine pubblico, alla prevenzione delle infrazioni penali, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e libertà altrui.

    4. I diritti riconosciuti al paragrafo 1 possono anche, in alcune zone determinate, essere oggetto di restrizioni previste dalla legge e giustificate dall’interesse pubblico in una società democratica. »
     
  45. Il Governo osserva che alcuni ricorrenti non si sono avvalsi del rimedio previsto dalla «legge Pinto», mentre altri hanno ottenuto una riparazione sufficiente nell’ambito di tale procedura.
  46. I ricorrenti contestano questa tesi e ribadiscono i loro motivi di ricorso.
  47. Per quanto riguarda i ricorsi nn. 1 e 4, i ricorrenti hanno omesso di presentare ricorso per cassazione per lamentare la durata eccessiva delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento nei loro confronti. Questa parte dei ricorsi deve pertanto essere rigettata per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.
  48. Per quanto riguarda i ricorsi nn. 3 e 5, la Corte osserva che i procedimenti interni sono durati rispettivamente quindici anni e sei anni circa. Essa ritiene che, considerati gli elementi delle cause in questione, avrebbe potuto accordare, in assenza di vie di ricorso interne, rispettivamente 22.000 e 4.500 EUR. Essa rileva che i ricorrenti hanno ottenuto 15.000 EUR, nel primo caso, e 2.065,80 EUR, nel secondo caso, il che rappresenta circa il 68 %, nel primo caso, e il 46 %, nel secondo caso, dell’importo che la Corte avrebbe potuto accordare agli interessati alla luce dei criteri derivanti dalla sua giurisprudenza (Cocchiarella c. Italia [GC], n. 886/01, § 146, CEDU 2006 V, Di Sante c. Italia, n. 56079/00, dec., 14 giugno 2007, mutatis mutandis, De Blasi c. Italia, n. 1595/02, §§ 19-30, 5 ottobre 2006, Gallucci c. Italia, n. 10756/02, §§ 24-30, 12 giugno 2007, Esposito c. Italia, n. 35771/03, §§ 16-28 e 31-35, 27 novembre 2007 e, mutatis mutandis, Garino c. Italia (dec.), nn. 16605/03, 16641/03 e 16644/03, 18 maggio 2006).
  49. La Corte considera che, in queste due cause, la riparazione accordata si è rivelata sufficiente e appropriata. Ne consegue che i ricorrenti non possono più sostenere di essere vittime, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, della violazione dagli stessi dedotta. Questo motivo di ricorso deve essere rigettata in applicazione degli articoli 34 e 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.

    IV.SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DEGLI ARTICOLI 6 § 1, 13, 17 e 53 DELLA CONVENZIONE
     
  50. Invocando gli articoli 6 § 1, dal punto di vista del diritto a un tribunale, e 13 della Convenzione, i ricorrenti (ricorsi nn. 2 e 3) denunciano l’assenza di un ricorso effettivo per lamentare il protrarsi delle incapacità che comporta la dichiarazione di fallimento. Il ricorrente del ricorso n. 3 invoca a tale titolo anche gli articoli 17 e 53 della Convenzione. Il testo dell’articolo 6 § 1 è riportato sopra. Gli altri articoli in questione recitano:

    Articolo 13

    «Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella (…) Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali.»

    Articolo 17

    «Nessuna disposizione della (...) Convenzione può essere interpretata nel senso di comportare il diritto di uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un’attività o compiere un atto che miri alla distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella (…) Convenzione o di imporre a tali diritti e libertà limitazioni più ampie di quelle previste dalla stessa Convenzione.»

    Articolo 53

    «Nessuna delle disposizioni della (...) Convenzione può essere interpretata in modo da limitare o pregiudicare i diritti dell’uomo e le libertà fondamentali che possano essere riconosciuti in base alle leggi di ogni Parte contraente o in base a ogni altro accordo al quale essa partecipi.»

    A.Sulla ricevibilità
     
  51. Il Governo contesta questa tesi.
  52. I ricorrenti ribadiscono il loro motivo di ricorso.
  53. La Corte rammenta che, essendo padrona della qualificazione giuridica dei fatti delle cause, essa non si considera vincolata da quella attribuita agli stessi fatti dai ricorrenti. Una doglianza si distingue per i fatti contestati e non per i semplici motivi o argomenti di diritto invocati (si veda, per esempio, Guerra e altri c. Italia, 19 febbraio 1998, § 44, Recueil des arrêts et décisions 1998 I).
  54. Alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte considera che questo motivo di ricorso debba essere esaminato unicamente sotto il profilo dell’articolo 13 della Convenzione (si veda, mutatis mutandis, Bottaro c. Italia, n. 56298/00, §§ 41-46 17 luglio 2003) considerato nei suoi due elementi.
  55. Per quanto riguarda il primo, sollevato unicamente nel ricorso n. 3 e legato alla durata delle incapacità che comporta la dichiarazione di fallimento (paragrafo 43 supra), la Corte rammenta che ha concluso per la non violazione degli articoli 8 della Convenzione, 1 del Protocollo n. 1 e 2 del Protocollo n. 4 (paragrafo 47 supra). Pertanto, non trattandosi di motivi di ricorso «difendibili» rispetto alla Convenzione, la Corte ritiene che questa parte del ricorso debba essere rigettata in quanto manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 35 §§ 3 e 4 della Convenzione (Brancatelli c. Italia (dec), n. 21229/02, 11 maggio 2006).
  56. Quanto al secondo elemento del ricorso, sollevato nei due ricorsi in questione e riguardante le incapacità derivante dall’iscrizione dei nomi dei ricorrenti nel registro dei falliti, la Corte constata che esso non è manifestamente infondato ai sensi dell’articolo 35 § 3 (a) della Convenzione. La Corte rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.Sul merito
     
  57. La Corte ha già esaminato cause che sollevano questioni simili ed ha constatato la violazione dell’articolo 13 della Convenzione (si vedano Bottaro c. Italia, sopra citata, §§ 41-46 e De Blasi c. Italia, sopra citata, §§ 58-59).
  58. La Corte ha esaminato i ricorsi nn. 2 e 3 e ritiene che il Governo non abbia fornito fatti o argomenti che portino a concludere diversamente in queste due cause.
  59. Pertanto, essa conclude che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione per quanto riguarda le incapacità derivanti dall’iscrizione dei nomi dei ricorrenti nel registro dei falliti.

    V.SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 3 DEL PROTOCOLLO N. 1
     
  60. I ricorrenti (ricorsi nn. 3, 4 e 5) lamentano la limitazione dei loro diritti elettorali a seguito della dichiarazione di fallimento nei loro confronti. Invocano l’articolo 3 del Protocollo n. 1, che recita:

    «Le Alte Parti contraenti si impegnano a organizzare, a intervalli ragionevoli, libere elezioni a scrutinio segreto, in condizioni tali da assicurare la libera espressione dell’opinione del popolo sulla scelta del corpo legislativo».
     
  61. Il Governo contesta questa tesi.
  62. I ricorrenti ribadiscono il loro motivo di ricorso.
  63. La Corte rileva che questo motivo di ricorso è stato presentato più di sei mesi dopo la cessazione dell’interdizione in questione (si veda la tabella allegata). La Corte constata dunque che questo motivo di ricorso è tardivo e deve essere rigettato conformemente all’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

    VI.SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL’ARTICOLO 6 § 1 DELLA CONVENZIONE (TERMINE RAGIONEVOLE)
     
  64. Invocando l’articolo 6 § 1 della Convenzione, i ricorrenti (ricorsi nn. 3, 4 e 5) lamentano la durata eccessiva della procedura fallimentare. Il ricorrente del ricorso n. 3 lamenta anche la durata eccessiva del procedimento di esecuzione.
  65. Il Governo osserva che alcuni ricorrenti non si sono avvalsi del rimedio previsto dalla «legge Pinto», mentre altri hanno ottenuto una riparazione sufficiente nell’ambito di tale procedura.
  66. Per quanto riguarda i ricorsi nn. 3 e 5, la Corte rinvia alle considerazioni esposte in riferimento al motivo di ricorso presentato dai ricorrenti relativamente alla durata delle incapacità derivanti dalla dichiarazione di fallimento nei loro confronti. Per i motivi esposti ai paragrafi 48 e 49 supra, essa ritiene che i ricorrenti non possano più sostenere di essere vittime, ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione, della violazione da essi dedotta. Questo motivo di ricorso deve essere rigettato in applicazione degli articoli 34 e 35 §§ 3 e 4 della Convenzione.
  67. Per quanto riguarda il ricorso n. 4, la Corte ribadisce che il ricorrente ha omesso di presentare ricorso per cassazione per lamentare la durata eccessiva della procedura (paragrafo 47 supra). Questa parte del ricorso è dunque irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, ai sensi dell’articolo 35 §§ 1 e 4 della Convenzione.

    VII.SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  68. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,

    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

    A.Danno
     
  69. Le somme richieste dai ricorrenti per il danno materiale e morale che avrebbero subìto sono riportate nella tabella allegata.
  70. Il Governo contesta tali richieste.
  71. La Corte non vede alcun nesso di causalità tra le violazioni constatate e i danni materiali asseritamente subiti e rigetta le richieste. Quanto alla violazione degli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata) e 13 della Convenzione, la Corte ritiene che, considerate tutte le circostanze delle cause, le constatazioni di violazione contenute nella presente sentenza rappresentino per se stesse un’equa soddisfazione sufficiente (si veda Campagnano c. Italia, sopra citata, § 81).

    B.Spese
     
  72. Le somme richieste dai ricorrenti per le spese sostenute dinanzi ai giudici nazionali e alla Corte sono riportate nella tabella allegata.
  73. Il Governo contesta tali richieste.
  74. Tenuto conto dei documenti di cui dispone e della sua giurisprudenza, la Corte considera ragionevole la somma di 500 EUR per il procedimento dinanzi ad essa e la accorda per ciascuno dei ricorsi (congiuntamente ai ricorrenti, nel caso in cui il ricorso sia stato presentato da più persone).

    C.Interessi moratori
     
  75. 75. La Corte ritiene opportuno basare il tasso degli interessi moratori sul tasso di interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Decide di riunire i ricorsi e di esaminarli congiuntamente in un’unica sentenza;
  2. Dichiara i ricorsi ricevibili per quanto riguarda i motivi di ricorso relativi agli articoli 8 della Convenzione, quanto al diritto al rispetto della vita privata (tutti e cinque i ricorsi), e 13 della Convenzione, quanto alla parte di tale motivo di ricorso legata alle incapacità derivanti dall’iscrizione del nome dei ricorrenti nel registro dei falliti (ricorsi nn. 2 e 3), e irricevibili per il resto;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata) per tutti i ricorsi;
  4. Dichiara che vi è stata violazione dell’articolo 13 della Convenzione per quanto riguarda i ricorsi nn. 2 e 3;
  5. Dichiara
    1. che le constatazioni di violazione rappresentano per se stesse un’equa soddisfazione sufficiente per il danno morale subito dalle ricorrenti per quanto riguarda la violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata) e 13 della Convenzione;
    2. che lo Stato convenuto deve versare, entro tre mesi, 500 EUR (cinquecento euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dalle ricorrenti, per le spese per ciascuno dei ricorsi (congiuntamente ai ricorrenti nel caso in cui il ricorso è stato presentato da più persone);
    3. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea aumentato di tre punti percentuali;
  6. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 dicembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Peer Lorenzen
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto

 

ALLEGATO
N. Ricorso N. Proposto il Ricorrente
Data di nascita
Luogo di residenza
Rappresentato da Date di comunicazione dei ricorsi al governo convenuto Date di cessazione dell’interdizione dai diritti elettorali Richiesta a titolo di equa soddisfazione
1 5179/05 38344 Sig. Salvatore Coppola,
Sig. Giuseppe Coppola,
Sig.ra Maria Catania,
1967, 1940 e 1948,
Gravina di Catania (Catania).
Avv. Angelo Coppola,
del foro di Catania
39150   Danno morale: 65.000 EUR (Sig. Salvatore Coppola),
Danno morale: 44.500 EUR (Sig. Giuseppe Coppola),
Danno morale: 36.000 EUR (Sig.ra Maria Catania).
Spese: i ricorrenti si rimettono al giudizio della Corte.
2 14611/05 38406 Vittorino Iotti,
Parma
1932
Avv. Claudio Defilippi,
di Parma
del foro
39150   Danno materiale: 20.000 EUR,
Danno morale: 50.000 EUR.
Spese dinanzi alla Corte: 7.838,50 EUR;
dinanzi ai giudici nazionali: 2.541,78 EUR.
3 29701/06 38909 Francesco Suma,
Avola (Syracuse)
Avv. Francesco Magro,
del foro
di Avola
39461 35133 Danno morale: 25.000 EUR.
Spese dinanzi alla Corte: 3.506,25 EUR;
dinanzi ai giudici nazionali: 5.300,12 EUR.
4 9041/05 38405 Pietro Spanò,
1954
Valderice (Trapani)
Avv. Rosa Sanna,
del foro
di Erice (Trapani)
39188 33505 Danno morale e materiale: 516.456,89 EUR.
Spese dinanzi alla Corte: il ricorrente si rimette al giudizio della Corte.
5 8239/05 38386 Sig.ra Giovanna Brugiafreddo,
Sig.ra Paola Falcone,
1962
Cuneo
Avv. Dario Gramaglia,
del foro
di Alba
  35936 Danno morale: 50.000 EUR, per ciascuna delle ricorrenti.
Danno materiale: 293.319,73 EUR.
Spese dinanzi alla Corte e ai giudici nazionali: 39.278,78 EUR.