Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo del 18 dicembre 2012 - Ricorso n.70818/01 - Scala c.Italia

© Ministero della Giustizia, Direzione generale del contenzioso e dei diritti umani, traduzione effettuata da Rita Carnevali, assistente linguistico.

CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

SECONDA SEZIONE

SENTENZA
Ricorso n. 70818/01

SCALA
contro Italia

STRASBURGO
18 dicembre 2012

Questa sentenza è definitiva. Può subire modifiche di forma.

   

Nella causa Scala c. Italia,
La Corte europea dei diritti dell’uomo (seconda sezione), riunita in un comitato composto da:
Dragoljub Popović, presidente,
Paulo Pinto de Albuquerque,
Helen Keller, giudici,
e da Françoise Elens-Passos, cancelliere aggiunto di sezione,
Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 27 novembre 2012,
Emette la seguente sentenza, adottata in tale data:

PROCEDURA

 

  1. All'origine della causa vi è un ricorso (n. 70818/01) presentato contro la Repubblica italiana con il quale due cittadini di tale Stato, sigg. Achille Scala («il primo ricorrente») e Riccardo Scala («il secondo ricorrente»), hanno adito la Corte il 12 febbraio 2001 in virtù dell'articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali («la Convenzione»).
  2. I ricorrenti sono rappresentati dall'avvocato G. Romano, del foro di Benevento. Il governo italiano («il Governo») è stato rappresentato dal suo agente, I. M. Braguglia, e dal suo co-agente aggiunto, N. Lettieri.
  3. Il 2 settembre 2004, la Corte ha dichiarato il ricorso parzialmente irricevibile ed ha deciso di comunicare al Governo i motivi di ricorso relativi agli articoli 1 del Protocollo n. 1 e 6 § 1 della Convenzione (durata del procedimento). In applicazione del Protocollo n. 14 il ricorso è stato assegnato ad un comitato.

    IN FATTO

    I.  LE CIRCOSTANZE DEL CASO DI SPECIE 

  4. I ricorrenti sono nati rispettivamente nel 1937 e 1939 e risiedono rispettivamente a Napoli e a Liveri (Napoli).
  5. Il primo ricorrente era proprietario di un terreno edificabile situato a Liveri.
  6. Una terza persona («il terzo»), deceduta nel 1993, era usufruttuaria di questo terreno.
  7. Il secondo ricorrente è l'erede del terzo.
  8. Nel frattempo, con delibera del 30 luglio 1982, la giunta comunale di Liveri aveva approvato la creazione di uno «spazio verde pubblico» su questo terreno.
  9. Con delibera dell'8 agosto 1982, il comune di Liveri offrì un acconto sull'indennità, calcolato in base alla legge n. 385 del 1980. Questa legge disponeva che la somma offerta era un acconto in attesa delle nuove disposizioni in materia di calcolo della indennità di esproprio che prevedeva criteri di indennizzo specifici per le aree edificabili. L'offerta non fu accettata dal primo ricorrente.
  10. Con delibera del 12 febbraio 1983, il Consiglio comunale di Liveri approvò il progetto definitivo riguardante lo «spazio verde pubblico» da realizzare sul terreno in questione.
  11. Con delibera del 18 aprile 1983, il Consiglio comunale di Liveri decretò l'occupazione di una parte del terreno, ossia 1.418 metri quadrati, in vista della sua espropriazione per pubblica utilità, al fine di procedere alla creazione dello «spazio verde pubblico».
  12. Il 1° giugno 1983, il comune procedette all'occupazione materiale del terreno e avviò i lavori di sistemazione dello «spazio verde pubblico».

    A.  Il procedimento dinanzi ai giudici amministrativi
     
  13. Con atto notificato il 16 maggio 1983, il primo e il terzo ricorrente proposero ricorso dinanzi al tribunale amministrativo della Campania («TAR») contestando in particolare la legalità delle delibere del comune di Liveri del 12 febbraio 1983 e del 18 aprile 1983.
  14. Con sentenza depositata in cancelleria il 15 gennaio 1992, il TAR accolse il ricorso e annullò queste due delibere in quanto non erano state adottate conformemente alla legge.
  15. Risulta dagli atti che questa sentenza non è stata impugnata dinanzi al Consiglio di Stato ed è quindi diventata definitiva.

    B.  Il procedimento dinanzi ai giudici civili 
     
  16. Nel frattempo, con atto di citazione notificato il 2 luglio 1988, il primo e il terzo ricorrente avevano citato il comune dinanzi al tribunale di Napoli. Essi facevano notare che l'occupazione del terreno era illegale in quanto i lavori di realizzazione erano terminati senza la messa in atto della procedura di espropriazione del terreno e il pagamento dell'indennità da parte del comune.
  17. Nel corso del procedimento, il 28 febbraio 1993, il terzo decedette. Il secondo ricorrente, suo erede, non si costituì nel procedimento dinanzi al tribunale di Napoli e, conformemente alla legge italiana, il terzo continuò ad essere considerato parte.
  18. Il 4 novembre 1994 il tribunale di Napoli trasmise il fascicolo al tribunale di Nola che era appena stato creato ed era competente ad esaminare la causa. 
  19. La perizia disposta dal tribunale fissò al 1° giugno 1988 il momento della trasformazione irreversibile del bene e valutò in 84.000 ITL (circa 43 EUR) al metro quadrato il valore venale del terreno a tale data. 
  20. Con sentenza depositata in cancelleria il 1° luglio 1999, il tribunale di Nola considerò che l'occupazione del terreno era illegale ab initio, tenuto conto della decisione del TAR. Tuttavia, il terreno non poteva essere restituito a causa dell'espropriazione indiretta. Di conseguenza, il tribunale condannò il comune a corrispondere al primo ricorrente un risarcimento pari al valore venale del terreno al momento della sua trasformazione irreversibile indicizzata al giorno della pronuncia, ossia 133.407.000 ITL (circa 68.899 EUR), più una somma, indicizzata al giorno della pronuncia, corrispondente al risarcimento per la distruzione delle opere esistenti sul terreno al momento dell'occupazione, ossia 95.928.843 ITL (circa 49.543 EUR). Inoltre, il tribunale condannò il comune a corrispondere al primo ricorrente la somma di 11.839.710 ITL (circa 6.114 EUR), volta a compensare la perdita di valore della restante parte del terreno.
  21. Infine, il comune fu condannato a corrispondere al terzo, usufruttuario, la somma di 48.225.775 ITL (circa 24.906 EUR), indicizzata al giorno della pronuncia, a titolo di indennità di occupazione relativa al periodo compreso tra l'inizio dell'occupazione, ossia il 1° giugno 1983, e la trasformazione irreversibile del bene, ossia il 1° giugno 1988. 
  22. In totale il tribunale condannò quindi il comune a corrispondere 241.175.553 ITL (circa 124.556 EUR), più interessi, al primo ricorrente, e 48.225.775 ITL (circa 24.906 EUR), più interessi, al terzo.
  23. Con atto notificato il 30 settembre 2000, il comune di Liveri interpose appello avverso la decisione del tribunale di Nola dinanzi alla corte d'appello di Napoli. 
  24. Il 14 ottobre 2005 la causa pendente in appello è stata cancellata dal ruolo e la sentenza del tribunale di Nola è divenuta definitiva. 

    C.  Il ricorso Pinto
     
  25. In una data non precisata nel 2001, i ricorrenti avviarono un'azione ai sensi della legge Pinto dinanzi alla corte d'appello di Roma.
  26. La corte d'appello esaminò il procedimento fino alla data di presentazione del ricorso e, con decisione depositata in cancelleria il 21 giugno 2002, constatò il superamento della durata ragionevole.
  27. Per quanto riguarda il primo ricorrente, la corte d'appello di Roma gli accordò un risarcimento di 2.100 EUR per la durata eccessiva del procedimento, nonché 2.205 EUR per le spese.
  28. Per quanto riguarda il secondo ricorrente, la corte d'appello decise che egli non poteva ritenersi vittima della durata del procedimento in quanto era stato parte soltanto nel procedimento svoltosi dinanzi alla corte d'appello di Napoli e non in quello dinanzi al tribunale di Napoli e a Liveri.
  29. Le somme accordate al primo ricorrente in esecuzione della decisione furono pagate l'11 agosto 2004. 

    II.  IL DIRITTO E LA PRASSI INTERNI PERTINENTI
     
  30. Il diritto interno pertinente relativo all'espropriazione indiretta è descritto nella sentenza Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009.
  31. Il diritto e la prassi interni pertinenti relativi alla legge n. 89 del 24 marzo 2001, detta «legge Pinto» sono descritti nella sentenza Cocchiarella c. Italia [GC], n. 64886/01, CEDU 2006 V.

    IN DIRITTO

    I.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 1 DEL PROTOCOLLO N.1 ALLA CONVENZIONE
     
  32. I ricorrenti sostengono di essere stati privati del loro terreno in maniera incompatibile con l'articolo n. 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione così formulato:
    «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale.
    Le disposizioni precedenti non portano pregiudizio al diritto degli Stati di porre in vigore le leggi da essi ritenute necessarie per disciplinare l’uso dei beni in modo conforme all’interesse generale o per assicurare il pagamento delle imposte o di altri contributi o delle ammende.»

    A.  Sulla ricevibilità
     
  33. Il governo solleva l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne, facendo notare che, al momento della presentazione del ricorso alla Corte, il procedimento era pendente dinanzi alla corte d'appello di Napoli.
  34. I ricorrenti si oppongono all'eccezione del Governo.
  35. La Corte rammenta di aver già rigettato eccezioni simili nelle cause Colacrai c. Italia (n. 2) (n. 63868/00, 15 luglio 2005), Colacrai c. Italia (n. 1) (n. 63296/00, 13 ottobre 2005), Colazzo c. Italia (n. 63633/00, 13 ottobre 2005), Serrilli c. Italia (nn. 77823/01, 77827/01 e 77829/01, 17 novembre 2005), Serrilli c. Italia (n. 77822/01, 6 dicembre 2005), Giacobbe e altri c. Italia (n. 16041/02, 15 dicembre 2005), Sciarrotta c. Italia (n. 14793/02, 12 gennaio 2006), Izzo c. Italia (n. 20935/03, 2 marzo 2006), Gianni e altri c. Italia (n. 35941/03, 30 marzo 2006). Essa non vede alcun motivo per discostarsi dalle sue precedenti conclusioni e rigetta quindi l'eccezione in questione. 
  36. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 (a) della Convenzione e rileva peraltro che esso non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile

    B.  Sul merito
     
  37. I ricorrenti fanno notare di essere stati privati del loro bene in virtù del principio dell'espropriazione indiretta, un meccanismo che permette all'autorità pubblica di acquisire un bene in totale illegalità, fatto non ammissibile in uno Stato di diritto.
  38. Secondo il Governo, nonostante mancasse un decreto legittimo di espropriazione e il terreno non fosse stato trasformato in modo irreversibile dalla costruzione di un'opera di pubblica utilità così da rendere impossibile la sua restituzione, l'occupazione controversa è avvenuta nell'ambito di una procedura amministrativa basata sulla dichiarazione di pubblica utilità. Nel caso di specie, il Governo sostiene che i ricorrenti hanno ottenuto dal tribunale un risarcimento pari al valore venale del terreno al momento della sua trasformazione irreversibile.
  39. La Corte nota innanzitutto che le parti sono d'accordo nel dichiarare che vi è stata «privazione della proprietà».
  40. La Corte rinvia alla sua giurisprudenza in materia di espropriazione indiretta (si vedano, fra altre, Belvedere Alberghiera S.r.l. c. Italia, n. 31524/96, CEDU 2000-VI; Scordino c. Italia (n. 3), n. 43662/98, 17 maggio 2005; Velocci c. Italia, n. 1717/03, 18 marzo 2008) per un riepilogo dei principi pertinenti e per una sintesi della sua giurisprudenza in materia.
  41. Nella presente causa, la Corte rileva che, applicando il principio dell'espropriazione indiretta, i giudici nazionali hanno considerato che i ricorrenti sono stati privati del loro bene a decorrere dalla data di realizzazione dell'opera pubblica. Tuttavia, in assenza di un atto formale di espropriazione, la Corte ritiene che questa situazione non possa essere considerata «prevedibile», in quanto soltanto con la decisione giudiziaria definitiva è possibile considerare effettivamente applicato il principio dell'espropriazione indiretta e sancita l'acquisizione del terreno da parte delle autorità pubbliche. Di conseguenza, i ricorrenti hanno avuto la «certezza giuridica» di essere stati privati del terreno solo il 14 ottobre 2005, data in cui la sentenza del tribunale di Nola è diventata definitiva.
  42. La Corte ritiene che l'ingerenza controversa non sia compatibile con il principio di legalità e che abbia quindi violato il diritto al rispetto dei beni dei ricorrenti comportando la violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1.

    II.  SULLA DEDOTTA VIOLAZIONE DELL'ARTICOLO 6 DELLA CONVENZIONE
     
  43. I ricorrenti sostengono che la durata della procedura avviata al fine di ottenere il risarcimento per la perdita del terreno ha violato il principio del «termine ragionevole» posto dall'articolo 6 § 1 della Convenzione, così formulato:
    «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata (…) entro un termine ragionevole, da un tribunale (…) il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile (…)»
  44. Il Governo contesta questa tesi.

    A.  Sulla ricevibilità
     
  45. Il Governo solleva l'eccezione di mancato esaurimento delle vie di ricorso interne sostenendo che i ricorrenti non hanno proposto ricorso per cassazione avverso la decisione della corte d'appello di Roma.
  46. La Corte rileva che la decisione della corte d'appello di Roma è diventata definitiva al 21 settembre 2003. Alla luce della sua giurisprudenza (Di Sante c. Italia (dec.), n. 56079/00, 24 giugno 2004), essa rigetta tale eccezione.
  47. La Corte constata che questo motivo di ricorso non è manifestamente infondato ai sensi dell'articolo 35 § 3 della Convenzione e che non incorre in altri motivi di irricevibilità. È dunque opportuno dichiararlo ricevibile.

    B.  Sul merito
     
  48. La Corte constata che il procedimento principale, iniziato nel giugno 1988 e terminato nel 2005, è durato circa quindici anni per due gradi di giudizio. 
  49. La Corte ha trattato più volte ricorsi che sollevavano questioni simili a quella del caso di specie e ha constatato una inosservanza dell'esigenza del «termine ragionevole», tenuto conto dei criteri sviluppati dalla sua giurisprudenza consolidata in materia (si veda, in primo luogo, Cocchiarella c. Italia, sopra citata). In assenza di elementi che possano condurre ad una conclusione diversa nella presente causa, la Corte ritiene di dovere constatare anche una violazione dell’articolo 6 § 1.

    III.  SULL’APPLICAZIONE DELL’ARTICOLO 41 DELLA CONVENZIONE
     
  50. Ai sensi dell’articolo 41 della Convenzione,
    «Se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette se non in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa.»

    A.  Danno materiale
     
  51. I ricorrenti chiedono la restituzione e il ripristino del terreno in causa nonché un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno alla data della sentenza della Corte, stimato in base all'incremento di valore apportato al terreno dalla realizzazione dell'opera di pubblica utilità. Valutano la somma richiesta in 100.000 EUR per ciascun ricorrente.
  52. Il Governo si oppone a tale richiesta e fa notare in primo luogo che la restituzione del terreno è impossibile a causa dell'espropriazione indiretta. In secondo luogo fa notare che i ricorrenti hanno ottenuto un risarcimento corrispondente al valore venale del terreno, in conformità con i criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte.
  53. La Corte rammenta che una sentenza che constata una violazione comporta per lo Stato convenuto l'obbligo di porre fine alla violazione e di cancellarne le conseguenze in modo da ristabilire per quanto possibile la situazione preesistente (Iatridis c. Grecia (equa soddisfazione) [GC], n. 31107/96, § 32, CEDU 2000-XI).
  54. La Corte ricorda che nella causa Guiso-Gallisay c. Italia (equa soddisfazione) [GC], n. 58858/00, 22 dicembre 2009, la Grande Camera ha modificato la giurisprudenza della Corte per quanto riguarda i criteri in materia di indennizzo nelle cause di espropriazione indiretta. In particolare, ha deciso di respingere le richieste dei ricorrenti nella misura in cui sono fondate sul valore dei terreni alla data della sentenza della Corte e di non tener più conto, per valutare il danno materiale, del costo di fabbricazione degli immobili edificati dallo Stato sui terreni.
  55. L’indennizzo deve dunque corrispondere al valore pieno ed intero del terreno al momento della perdita della proprietà, come stabilito dalla perizia disposta dal giudice competente nel corso del procedimento nazionale. In seguito, una volta che si sarà dedotta la somma eventualmente accordata a livello nazionale, questo importo deve essere attualizzato per compensare gli effetti dell'inflazione. È anche opportuno maggiorarlo con interessi che possano compensare, almeno in parte, il lungo lasso di tempo trascorso dallo spossessamento dei terreni.
  56. La Corte osserva che i ricorrenti hanno ricevuto a livello nazionale una somma corrispondente al valore venale del terreno, rivalutata e maggiorata di interessi, a decorrere dalla data della perdita della proprietà, ossia dal 1° giugno 1988. La Corte ritiene pertanto che gli interessati abbiano già ottenuto una somma sufficiente a soddisfare i criteri di indennizzo sopra citati.

    B.  Danno morale
     
  57. I ricorrenti chiedono 62.000 EUR ciascuno per il danno morale.
  58. Il Governo si oppone a tale richiesta.
  59. La Corte ritiene che il senso di impotenza e frustrazione di fronte allo spossessamento illegale del loro bene nonché la eccessiva durata della procedura abbiano causato ai ricorrenti un danno morale importante che deve essere riparato adeguatamente.
  60. Conformemente alla giurisprudenza Guiso-Gallisay c. Italia (sopra citata) e Cocchiarella c. Italia (sopra citata, §§ 139-142 e 146) e, decidendo in via equitativa, la Corte accorda 5.000 EUR al primo ricorrente e 8.000 EUR al secondo ricorrente.

    C.  Spese
     
  61. I ricorrenti, producendo le relative notule, chiedono anche il rimborso delle spese sostenute per la procedura svoltasi dinanzi alla Corte per un importo di 39.392,53 EUR.
  62. Il Governo si oppone e sostiene che le somme richieste sono eccessive.
  63. La Corte rammenta che, secondo la sua giurisprudenza,  l’attribuzione delle spese a titolo dell’articolo 41 presuppone che ne siano accertate la realtà e la necessità, e che il loro importo sia ragionevole (Can e altri c. Turchia, n. 29189/02, del 24 gennaio 2008, § 22).
  64. La Corte non ha dubbi sulla necessità di sostenere delle spese, ma ritiene eccessivi gli onorari complessivi richiesti a tale titolo. Considera quindi che debbano essere rimborsati solo in parte. Tenuto conto delle circostanze della causa, la Corte giudica ragionevole accordare la somma di 7.000 EUR per le tutte le spese sostenute.

    D.  Interessi moratori
     
  65. La Corte ritiene appropriato basare il tasso degli interessi moratori sul tasso d’interesse delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea maggiorato di tre punti percentuali.

PER QUESTI MOTIVI, LA CORTE, ALL’UNANIMITÀ,

  1. Dichiara il ricorso ricevibile;
  2. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 alla Convenzione;
  3. Dichiara che vi è stata violazione dell'articolo 6 § 1 della Convenzione;
  4. Dichiara
    1. che lo Stato convenuto deve versare ai ricorrenti, entro tre  mesi, le seguenti somme:
      1. 13.000 EUR (tredicimila euro), ossia 5.000 EUR (cinquemila euro) al primo ricorrente e 8.000 EUR (ottomila euro) al secondo ricorrente, più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per il danno morale;
      2. congiuntamente 7.000 EUR (settemila euro), più l’importo eventualmente dovuto a titolo d’imposta, per le spese;
    2. che, a decorrere dalla scadenza di detto termine e fino al versamento, tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice ad un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale europea applicabile durante quel periodo, aumentato di tre punti percentuali;
  5. Rigetta la domanda di equa soddisfazione per il resto.

Fatta in francese, poi comunicata per iscritto il 18 dicembre 2012, in applicazione dell’articolo 77 §§ 2 e 3 del regolamento.

Dragoljub Popović
Presidente

Françoise Elens-Passos
Cancelliere aggiunto